Una selezione di articoli letti per voi
Objects carry with them a lingering aura of past forms, other human actions. By choosing this rough jute fabric, Burri opened up another path, because the image of the sack – a container that has vanished from our visual horizon – is interwoven with distant memories: contrition and repentance (the “sackcloth” of the Middle Ages), but also the toil of manual labour: lifting, carrying, filling and emptying. In the austere fabrics of Nero con punti rossi we find other things as well.
Yet his process is never one of mere replication. “I'm not trying to imitate a photograph” he says in one of his notes, “I'm trying to make one.
Yet his process is never one of mere replication. “I'm not trying to imitate a photograph” he says in one of his notes, “I'm trying to make one.
Like Barry X Ball's work, the device here combined technology (the shifting, talking masks) with craft (theatre). This was spelled out by the subtitle of the play, Technological Phantasmagoria, which tried to bend the rules of theatre, removing the presence of actors to reveal subterranean forces. In that case, however, after the initial shock of the faces looming high above − which seem to peer down without looking at us, or to be seeing into some dark elsewhere – the focus became the head, and how it spins in circles around the inconsolable, hopeless pain of existence.
Perché un artista contemporaneo sente il bisogno di rifare l'opera di un maestro del passato, e per giunta una tra le più famose dell'intera storia dell'arte?Le ragioni possono essere varie. Fra le tante è che quell'opera ha smesso di funzionare, perché il suo scopo è venuto meno, o perché semplicemente sono mutati i mezzi necessari a raggiungerlo, e quindi l'opera è stata, per così dire, liberata da sé stessa.
Un panno in fustagno si arrotola su di sé.
Considerato nella sua totalità, dai primi esperimenti giovanili al presente, il lavoro artistico di Ontani è sicuramente un universo in espansione, impossibile da immaginare senza la presenza attiva del suo demiurgo. È lui a governare la proliferazione delle forme, con tutta la straordinaria varietà delle tecniche e delle occasioni, imprimendole la coerenza di uno sviluppo organico, in cui non è concesso nessuno spazio al caso, e nulla si aggiunge al già fatto come una semplice addizione.
Dentro lo specchio ci sei tu. Di fronte, a viso scoperto, nell'atto di guardare, mentre “Lui e Lei abbracciati” ti rivolgono le spalle e non ricambiano il tuo sguardo. Eppure lo dirigono, stanno lì a configurare il tuo spazio, a indicare come posizionarti in relazione. Lo specchio cattura qualsiasi figura vi si affacci, ma accanto al loro due può starcene una sola. Stretti nell'abbraccio, Lui e Lei sono compiuti. Invece tu, persona singola, debordi. Una porzione del tuo corpo resta fuori, una parte della tua vita non si lascia ridurre a immagine di superficie.
Le adolescenti della Manzelli sono le adolescenti di oggi. In Luminale lei ti guarda con gli occhi grandi come quelli di una bambina che deve ancora crescere. Solo che lei è già cresciuta, ha i piedi da donna e le mani lunghe. Eppure sembra proprio che non crescerà più di così: è stesa su un tavolo, un altare, una bara, un luogo dove si consuma il sacrificio e il pasto sacrificale sarà lei stessa. Con le ossa del costato sporgenti, con una luce negli occhi che ci guardano, come quella che hanno i bambini che sempre, qualunque cosa gli si faccia, ci chiamano.
Il progetto Artpod – ascolti d'arte nasce da una collaborazione con Collezione Maramotti e Teatro delle Albe: una serie di podcast su opere iconiche della Collezione Maramotti permanente, raccontate attraverso le parole degli autori della rivista e interpretate dagli attori del Teatro delle Albe di Ravenna.
Una perenne tensione conoscitiva sul mondo che tuttavia sempre si ostina a negarsi; se ne colgono dei brani, se ne sentono degli odori, ma mai se ne afferra il noumeno. Questa è la condizione umana, che un autore come Julian Schnabel sembra recepire e fare sua in assoluto. La sua è una ricerca di evidente stampo filosofico, e lo stesso oscillare tra pittura e cinema lo verifica.
Nel dipinto di Gerhard Richter che porta il nome di «Kleine Liegender Akt» c'è una donna sdraiata su un fianco, sopra un sofà, completamente nuda. È appoggiata dolcemente sui gomiti, col busto appena ruotato e inclinato in avanti. Le sue braccia cingono un cuscino scuro. La gamba destra, sollevata, va a incrociare la sinistra, all'altezza del polpaccio. Probabilmente la donna ci guarda. Non lo possiamo stabilire con certezza, perché l'immagine è sfuocata.
Fa una certa impressione vederla sospesa là, nella Collezione Maramotti, la testa di Matthew Barney segnata di rosso, come se fosse sanguinante, con due lunghe appendici come un collo svuotato della carne che lo lega al corpo. Una faccia immobilizzata nel freddo di una preziosa scultura, levitante al soffitto con un perno placcato in oro, il volto di un amico ritratto dallo scultore nel prezioso onice messicano, e trasformato in una specie di San Sebastiano trafitto al capo da un solo dardo.
C'è un uomo con un coltello in pugno appostato accanto a una porta, come in attesa che entri qualcuno o qualcosa di minaccioso che egli intende colpire, per difesa o offesa non si sa.
Prima mi sono vergognata. Poi ero incredula delusa. Come bocciata. Tutta una specie ritornata indietro.Alle bastonate. Maschi al comando ancora,con i vecchi randelli trasformati in armatemissili carri armati corazzate,tutta un'esibizione muscolare così evoluta –e le teste invece rimaste indietro, alla predazione,alla zampata feroce su qualcuno che trema. Solo dopo è arrivata la pena. Solo doposono entrata dentro un gonfiodi lacrime tenute. E il dolore
Certo, è un gioco, forse il più paradigmatico dei giochi, il circuito, ma i giochi sono degli esercizi mentali, il circuito è una circonvoluzione del cervello, l'immagine del percorso che fa il pensiero. Dunque tu giri e lungo il percorso incontri sorprese e ostacoli, imprevisti e probabilità. Se non c'è un obiettivo da raggiungere o una competizione tra diversi partecipanti, il percorso risulta chiuso su sé stesso e tu sei sua preda, non puoi far altro che continuare a girare, in loop.
Da lontano si direbbe un manichino, di quelli in uso nelle giostre in costume o in qualche tiro al bersaglio. Un corpo umano senza dubbio, benché senza testa e senza braccia, un simulacro a grandezza naturale eretto su due rozze gambe che accennano a un passo con la rigidità di una statua egizia. Un corpo colto in uno stato incerto, indefinibile: è l'abbozzo di una figura? O il suo stato finale, un esperimento interrotto o fallito? C'è qualcosa di vago e minaccioso in questa scultura decapitata, e di stranamente espressivo, di patetico anche.
Senza titolo è un nome neutro. A differenza di quelli di molte altre opere di Kiefer, tratte da versi di poeti amati, da mitologie e leggende di ogni cultura e latitudine, e perciò ricchi di suggestioni e risonanze liriche ed epiche, questo non offre alcun appiglio. Non spiega, non allude, non orienta. Lascia che sia lo spettatore a inoltrarsi nel groviglio di segni e vi rintracci il senso nascosto.