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This week on the Fine Ale Countdown we drink Archway Lager and talk shite. Thanks to Neil Fitzpatrick for the music, and to Sentinel Audio for giving us a home.
Are Italy's populist policies of miniBOTs and flat taxes the right medicine for its economic sickness? Fabio Ghironi tells Tim Phillips that, if Italy doesn't attempt fundamental structural reforms, it may be on the path to Eurexit.
Playdirty podcast 001 : Eurexit on YouTube – have a listen !!! Hi folks, It’s really a bad time for Europe. The economic model in force, brings in [ … ]
Dalla crisi in Grecia alla Cassa Depositi e Prestiti in Italia. E' lunga la strada che porta da un estremo all'altro, ma Mariana Mazzucato – ospite oggi a Memos – la percorre tutta d'un fiato. Il vero problema dell'Europa, secondo l'economista dell'Università del Sussex, è quello di avere una classe dirigente che ha sbagliato la terapia contro la crisi: anziché investire ha pensato solo a tagliare. E sulla Grecia è stata sbagliata anche la diagnosi: a mandare in crisi Atene non è stato un problema di liquidità (carenza di prestiti per spendere), ma di solvibilità (incapacità di crescere per finanziare investimenti). I sistemi virtuosi del Nord-Europa, invece - secondo Mazzucato – fanno vedere che se ci sono banche pubbliche capaci di prestare denaro a lungo termine alle aziende, allora si stimola innovazione e crescita. Ci vogliono investimenti e non tagli, ripete l'economista. Perchè allora la Troika, il governo tedesco, hanno sempre chiesto altro alla Grecia? Il ragionamento di Mazzucato porta ad individuare due ragioni: per soddisfare gli interessi finanziari delle banche (i soldi dati ad Atene sono serviti per lo più a ripagare la banche tedesche e francesi) e per seguire l'onda del populismo pensando di contenerlo (far vedere che l'Europa è in grado di punire i “fannulloni”). E in Italia, come si può seguire la ricetta virtuosa degli investimenti? Chi sono i privati che mettono i capitali? I soldi pubblici sono quelli della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), una cassaforte dal oltre 300 miliardi di euro sotto il controllo del governo? Mazzucato: «L'attuale ecosistema italiano, tra pubblico e privato, è parassitico: è tutto basato su sussidi e incentivi ai privati ai quali il governo non chiede ulteriori investimenti. Quanto alla Cdp si tratta di un'istituzione che dovrebbe essere trasformata in una banca con un ruolo simile a quello giocato dalla Kfw (Banca della Ricostruzione, ndr) tedesca. Il governo Renzi avrà il coraggio di farlo?».
Proposte respinte, controproposte avanzate e bocciate, nuove proposte offerte come ultima chance prima di un presunto baratro. E' una partita politica complessa quella che si sta giocando tra Atene e Bruxelles, passando per Berlino e Francoforte. Da oggi il secondo piano di aiuti della Troika (Commissione europea, Bce, Fmi) alla Grecia non esiste più. E' scaduto ieri 30 giugno, non è stato rinnovato, così come il governo greco ha lasciato scadere – senza pagarla - la rata del prestito ottenuto dal Fmi. Esisterà un terzo piano di aiuti alla Grecia da parte delle istituzioni internazionali? Sarà solo un piano europeo, senza il Fmi, come vorrebbe il governo Tsipras (attraverso il fondo salva-stati, Esm)? Il governo tedesco vuole aspettare il referendum di domenica prossima in Grecia prima di compiere qualunque nuovo passo verso Atene: la cancelliera Merkel spera che l'esito referendario spazzi via il governo Tsipras. Secondo i calcoli della cancelleria di Berlino, senza Syriza al governo in Grecia sarà più facile trattare con Atene. Un azzardo che trova consenziente anche il presidente francese Hollande. Cosa si sta giocando la leadership europea di oggi (Merkel e Hollande, insieme a Draghi e Juncker) attorno alla “scommessa greca”? «Secondo me – racconta a Memos Barbara Spinelli, europarlamentare della Sinistra Unitaria – si stanno giocando il futuro democratico dell'Unione europea. E' un momento democratico dell'Unione, un momento introdotto da Tsipras, fondamentale per l'Unione perchè può mettere fine a quella che sembra un'incompatibilità fra l'Unione europea e la vita democratica dei paesi membri». Ospite a Memos oggi anche Stefano Sylos Labini, ricercatore all'Enea, coautore di un libro-proposta dal titolo: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro”.
Dalla crisi in Grecia alla Cassa Depositi e Prestiti in Italia. E' lunga la strada che porta da un estremo all'altro, ma Mariana Mazzucato – ospite oggi a Memos – la percorre tutta d'un fiato. Il vero problema dell'Europa, secondo l'economista dell'Università del Sussex, è quello di avere una classe dirigente che ha sbagliato la terapia contro la crisi: anziché investire ha pensato solo a tagliare. E sulla Grecia è stata sbagliata anche la diagnosi: a mandare in crisi Atene non è stato un problema di liquidità (carenza di prestiti per spendere), ma di solvibilità (incapacità di crescere per finanziare investimenti). I sistemi virtuosi del Nord-Europa, invece - secondo Mazzucato – fanno vedere che se ci sono banche pubbliche capaci di prestare denaro a lungo termine alle aziende, allora si stimola innovazione e crescita. Ci vogliono investimenti e non tagli, ripete l'economista. Perchè allora la Troika, il governo tedesco, hanno sempre chiesto altro alla Grecia? Il ragionamento di Mazzucato porta ad individuare due ragioni: per soddisfare gli interessi finanziari delle banche (i soldi dati ad Atene sono serviti per lo più a ripagare la banche tedesche e francesi) e per seguire l'onda del populismo pensando di contenerlo (far vedere che l'Europa è in grado di punire i “fannulloni”). E in Italia, come si può seguire la ricetta virtuosa degli investimenti? Chi sono i privati che mettono i capitali? I soldi pubblici sono quelli della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), una cassaforte dal oltre 300 miliardi di euro sotto il controllo del governo? Mazzucato: «L'attuale ecosistema italiano, tra pubblico e privato, è parassitico: è tutto basato su sussidi e incentivi ai privati ai quali il governo non chiede ulteriori investimenti. Quanto alla Cdp si tratta di un'istituzione che dovrebbe essere trasformata in una banca con un ruolo simile a quello giocato dalla Kfw (Banca della Ricostruzione, ndr) tedesca. Il governo Renzi avrà il coraggio di farlo?».
Dalla crisi in Grecia alla Cassa Depositi e Prestiti in Italia. E' lunga la strada che porta da un estremo all'altro, ma Mariana Mazzucato – ospite oggi a Memos – la percorre tutta d'un fiato. Il vero problema dell'Europa, secondo l'economista dell'Università del Sussex, è quello di avere una classe dirigente che ha sbagliato la terapia contro la crisi: anziché investire ha pensato solo a tagliare. E sulla Grecia è stata sbagliata anche la diagnosi: a mandare in crisi Atene non è stato un problema di liquidità (carenza di prestiti per spendere), ma di solvibilità (incapacità di crescere per finanziare investimenti). I sistemi virtuosi del Nord-Europa, invece - secondo Mazzucato – fanno vedere che se ci sono banche pubbliche capaci di prestare denaro a lungo termine alle aziende, allora si stimola innovazione e crescita. Ci vogliono investimenti e non tagli, ripete l'economista. Perchè allora la Troika, il governo tedesco, hanno sempre chiesto altro alla Grecia? Il ragionamento di Mazzucato porta ad individuare due ragioni: per soddisfare gli interessi finanziari delle banche (i soldi dati ad Atene sono serviti per lo più a ripagare la banche tedesche e francesi) e per seguire l'onda del populismo pensando di contenerlo (far vedere che l'Europa è in grado di punire i “fannulloni”). E in Italia, come si può seguire la ricetta virtuosa degli investimenti? Chi sono i privati che mettono i capitali? I soldi pubblici sono quelli della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), una cassaforte dal oltre 300 miliardi di euro sotto il controllo del governo? Mazzucato: «L'attuale ecosistema italiano, tra pubblico e privato, è parassitico: è tutto basato su sussidi e incentivi ai privati ai quali il governo non chiede ulteriori investimenti. Quanto alla Cdp si tratta di un'istituzione che dovrebbe essere trasformata in una banca con un ruolo simile a quello giocato dalla Kfw (Banca della Ricostruzione, ndr) tedesca. Il governo Renzi avrà il coraggio di farlo?».
Tradito da un referendum? Il presidente della Commissione europea Juncker ha detto di sentirsi “tradito” dalla decisione di Tsipras di indire il referendum sulla proposta dei creditori del governo di Atene. Eppure non ha avuto lo stesso effetto - su Juncker - l'annuncio del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. E' vero, Cameron non è Tsipras. E in effetti non tutti i referendum sono uguali nell'Europa delle “sliding doors”, quelle porte girevoli attraverso le quali si può uscire dall'Unione europea (Gran Bretagna) o essere espulsi dall'euro (Grecia). Memos ne ha parlato con David W. Ellwood, storico dell'Università Jonh Hopkins di Bologna. Ospite della trasmissione di oggi anche l'economista Emiliano Brancaccio. L'uscita dall'euro di un paese – sostiene Brancaccio – è tutt'altro che un percorso definito e scontato. Soprattutto non è chiaro se l'uscita dall'Unione monetaria europea sia una decisione in capo solo al paese “uscente”, che rinuncia ad utilizzare una valuta, oppure se sia possibile un'espulsione decretata dalle istituzioni europee. Interrogativi, che almeno per oggi, non sfiorano il “falco” Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco: “la Grecia – avrebbe detto in una riunione con i suoi parlamentari della Cdu - potrebbe restare nell'euro anche se prevalesse il 'no' al referendum di domenica prossima”.
Proposte respinte, controproposte avanzate e bocciate, nuove proposte offerte come ultima chance prima di un presunto baratro. E' una partita politica complessa quella che si sta giocando tra Atene e Bruxelles, passando per Berlino e Francoforte. Da oggi il secondo piano di aiuti della Troika (Commissione europea, Bce, Fmi) alla Grecia non esiste più. E' scaduto ieri 30 giugno, non è stato rinnovato, così come il governo greco ha lasciato scadere – senza pagarla - la rata del prestito ottenuto dal Fmi. Esisterà un terzo piano di aiuti alla Grecia da parte delle istituzioni internazionali? Sarà solo un piano europeo, senza il Fmi, come vorrebbe il governo Tsipras (attraverso il fondo salva-stati, Esm)? Il governo tedesco vuole aspettare il referendum di domenica prossima in Grecia prima di compiere qualunque nuovo passo verso Atene: la cancelliera Merkel spera che l'esito referendario spazzi via il governo Tsipras. Secondo i calcoli della cancelleria di Berlino, senza Syriza al governo in Grecia sarà più facile trattare con Atene. Un azzardo che trova consenziente anche il presidente francese Hollande. Cosa si sta giocando la leadership europea di oggi (Merkel e Hollande, insieme a Draghi e Juncker) attorno alla “scommessa greca”? «Secondo me – racconta a Memos Barbara Spinelli, europarlamentare della Sinistra Unitaria – si stanno giocando il futuro democratico dell'Unione europea. E' un momento democratico dell'Unione, un momento introdotto da Tsipras, fondamentale per l'Unione perchè può mettere fine a quella che sembra un'incompatibilità fra l'Unione europea e la vita democratica dei paesi membri». Ospite a Memos oggi anche Stefano Sylos Labini, ricercatore all'Enea, coautore di un libro-proposta dal titolo: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro”.
Proposte respinte, controproposte avanzate e bocciate, nuove proposte offerte come ultima chance prima di un presunto baratro. E' una partita politica complessa quella che si sta giocando tra Atene e Bruxelles, passando per Berlino e Francoforte. Da oggi il secondo piano di aiuti della Troika (Commissione europea, Bce, Fmi) alla Grecia non esiste più. E' scaduto ieri 30 giugno, non è stato rinnovato, così come il governo greco ha lasciato scadere – senza pagarla - la rata del prestito ottenuto dal Fmi. Esisterà un terzo piano di aiuti alla Grecia da parte delle istituzioni internazionali? Sarà solo un piano europeo, senza il Fmi, come vorrebbe il governo Tsipras (attraverso il fondo salva-stati, Esm)? Il governo tedesco vuole aspettare il referendum di domenica prossima in Grecia prima di compiere qualunque nuovo passo verso Atene: la cancelliera Merkel spera che l'esito referendario spazzi via il governo Tsipras. Secondo i calcoli della cancelleria di Berlino, senza Syriza al governo in Grecia sarà più facile trattare con Atene. Un azzardo che trova consenziente anche il presidente francese Hollande. Cosa si sta giocando la leadership europea di oggi (Merkel e Hollande, insieme a Draghi e Juncker) attorno alla “scommessa greca”? «Secondo me – racconta a Memos Barbara Spinelli, europarlamentare della Sinistra Unitaria – si stanno giocando il futuro democratico dell'Unione europea. E' un momento democratico dell'Unione, un momento introdotto da Tsipras, fondamentale per l'Unione perchè può mettere fine a quella che sembra un'incompatibilità fra l'Unione europea e la vita democratica dei paesi membri». Ospite a Memos oggi anche Stefano Sylos Labini, ricercatore all'Enea, coautore di un libro-proposta dal titolo: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro”.
Può apparire bizzarro, ma più che di Grexit bisognerebbe parlare in questi giorni di Eurexit. E' l'Europa (o meglio i vertici di questa Europa, Merkel Juncker e Draghi) che sta rischiando di abbandonare se stessa, di lasciarsi andare alla deriva. E' l'Europa che esce da se stessa, se così si può dire. Altro che Grecia che rischia di uscire dall'euro! Da qualunque parte la si guardi è difficile trovare una giustificazione - di quanto sta accadendo in questi giorni - nella ragione sociale dell'Europa vista fin qui, così come l'hanno definita nei decenni i vari Spinelli e Prodi, Schuman Delors e Mitterand oppure Adenauer Schmidt e Kohl. Eppure, di queste “icone dell'Europa” (tutte al maschile), Merkel Hollande Juncker & Co. si sentono eredi politici. Ma evidentemente non basta. La Grecia – e la sua sfida politica contro l'austerità – sta provocando un'amnesia continentale: ai leader di oggi è svanita la memoria degli ultimi 70 anni di storia dell'Europa. L'Europa uscita distrutta dalla guerra e l'Europa spezzata dalla cortina di ferro. A Memos oggi sono stati ospiti Alberto Gallo, direttore dello “European Macro Credit Research”, il centro studi della Royal Bank of Scotland, una delle principali banche mondiali; e Luca Fantacci, economista all'Università Bocconi, studioso e analista critico del capitalismo finanziario di questi ultimi anni.
Tradito da un referendum? Il presidente della Commissione europea Juncker ha detto di sentirsi “tradito” dalla decisione di Tsipras di indire il referendum sulla proposta dei creditori del governo di Atene. Eppure non ha avuto lo stesso effetto - su Juncker - l'annuncio del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. E' vero, Cameron non è Tsipras. E in effetti non tutti i referendum sono uguali nell'Europa delle “sliding doors”, quelle porte girevoli attraverso le quali si può uscire dall'Unione europea (Gran Bretagna) o essere espulsi dall'euro (Grecia). Memos ne ha parlato con David W. Ellwood, storico dell'Università Jonh Hopkins di Bologna. Ospite della trasmissione di oggi anche l'economista Emiliano Brancaccio. L'uscita dall'euro di un paese – sostiene Brancaccio – è tutt'altro che un percorso definito e scontato. Soprattutto non è chiaro se l'uscita dall'Unione monetaria europea sia una decisione in capo solo al paese “uscente”, che rinuncia ad utilizzare una valuta, oppure se sia possibile un'espulsione decretata dalle istituzioni europee. Interrogativi, che almeno per oggi, non sfiorano il “falco” Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco: “la Grecia – avrebbe detto in una riunione con i suoi parlamentari della Cdu - potrebbe restare nell'euro anche se prevalesse il 'no' al referendum di domenica prossima”.
Tradito da un referendum? Il presidente della Commissione europea Juncker ha detto di sentirsi “tradito” dalla decisione di Tsipras di indire il referendum sulla proposta dei creditori del governo di Atene. Eppure non ha avuto lo stesso effetto - su Juncker - l'annuncio del referendum sull'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. E' vero, Cameron non è Tsipras. E in effetti non tutti i referendum sono uguali nell'Europa delle “sliding doors”, quelle porte girevoli attraverso le quali si può uscire dall'Unione europea (Gran Bretagna) o essere espulsi dall'euro (Grecia). Memos ne ha parlato con David W. Ellwood, storico dell'Università Jonh Hopkins di Bologna. Ospite della trasmissione di oggi anche l'economista Emiliano Brancaccio. L'uscita dall'euro di un paese – sostiene Brancaccio – è tutt'altro che un percorso definito e scontato. Soprattutto non è chiaro se l'uscita dall'Unione monetaria europea sia una decisione in capo solo al paese “uscente”, che rinuncia ad utilizzare una valuta, oppure se sia possibile un'espulsione decretata dalle istituzioni europee. Interrogativi, che almeno per oggi, non sfiorano il “falco” Wolfgang Schaeuble, ministro delle Finanze tedesco: “la Grecia – avrebbe detto in una riunione con i suoi parlamentari della Cdu - potrebbe restare nell'euro anche se prevalesse il 'no' al referendum di domenica prossima”.
Può apparire bizzarro, ma più che di Grexit bisognerebbe parlare in questi giorni di Eurexit. E' l'Europa (o meglio i vertici di questa Europa, Merkel Juncker e Draghi) che sta rischiando di abbandonare se stessa, di lasciarsi andare alla deriva. E' l'Europa che esce da se stessa, se così si può dire. Altro che Grecia che rischia di uscire dall'euro! Da qualunque parte la si guardi è difficile trovare una giustificazione - di quanto sta accadendo in questi giorni - nella ragione sociale dell'Europa vista fin qui, così come l'hanno definita nei decenni i vari Spinelli e Prodi, Schuman Delors e Mitterand oppure Adenauer Schmidt e Kohl. Eppure, di queste “icone dell'Europa” (tutte al maschile), Merkel Hollande Juncker & Co. si sentono eredi politici. Ma evidentemente non basta. La Grecia – e la sua sfida politica contro l'austerità – sta provocando un'amnesia continentale: ai leader di oggi è svanita la memoria degli ultimi 70 anni di storia dell'Europa. L'Europa uscita distrutta dalla guerra e l'Europa spezzata dalla cortina di ferro. A Memos oggi sono stati ospiti Alberto Gallo, direttore dello “European Macro Credit Research”, il centro studi della Royal Bank of Scotland, una delle principali banche mondiali; e Luca Fantacci, economista all'Università Bocconi, studioso e analista critico del capitalismo finanziario di questi ultimi anni.
Può apparire bizzarro, ma più che di Grexit bisognerebbe parlare in questi giorni di Eurexit. E' l'Europa (o meglio i vertici di questa Europa, Merkel Juncker e Draghi) che sta rischiando di abbandonare se stessa, di lasciarsi andare alla deriva. E' l'Europa che esce da se stessa, se così si può dire. Altro che Grecia che rischia di uscire dall'euro! Da qualunque parte la si guardi è difficile trovare una giustificazione - di quanto sta accadendo in questi giorni - nella ragione sociale dell'Europa vista fin qui, così come l'hanno definita nei decenni i vari Spinelli e Prodi, Schuman Delors e Mitterand oppure Adenauer Schmidt e Kohl. Eppure, di queste “icone dell'Europa” (tutte al maschile), Merkel Hollande Juncker & Co. si sentono eredi politici. Ma evidentemente non basta. La Grecia – e la sua sfida politica contro l'austerità – sta provocando un'amnesia continentale: ai leader di oggi è svanita la memoria degli ultimi 70 anni di storia dell'Europa. L'Europa uscita distrutta dalla guerra e l'Europa spezzata dalla cortina di ferro. A Memos oggi sono stati ospiti Alberto Gallo, direttore dello “European Macro Credit Research”, il centro studi della Royal Bank of Scotland, una delle principali banche mondiali; e Luca Fantacci, economista all'Università Bocconi, studioso e analista critico del capitalismo finanziario di questi ultimi anni.