Un appuntamento che ci vede impegnati quasi ogni giorno con una nuova storia. Più di 240 novelle. Un intreccio di personaggi tra umorismo, comico, dramma e grottesco. Sentimenti contrari e paradossali, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino. Sostienici con una liber…
Vi parrà strano che io ora stia per fare entrare un orso in chiesa. Vi prego di lasciarmi fare perché non sono propriamente io. Per quanto stravagante e spregiudicato mi possa riconoscere, so il rispetto che si deve portare a una chiesa e una simile idea non mi sarebbe mai venuta in mente. Ma è venuta a due giovani chierici del convento di Tovel, uno nativo di Tuenno e l'altro di Flavòn, andati in montagna a salutare i loro parenti prima di partire missionari in Cina.
Una commovente processione in casa del giovine sacerdote don Arturo Filomarino. Visite di condoglianza. Tutto il vicinato stava a spiare dalle finestre e dagli usci di strada il portoncino stinto imporrito fasciato di lutto, che così, mezzo chiuso e mezzo aperto, pareva la faccia rugosa di un vecchio che strizzasse un occhio per accennar furbescamente a tutti quelli che entravano, dopo l'ultima uscita - piedi avanti e testa dietro - del padrone di casa. La curiosità, con cui il vicinato stava a spiare, faceva nascere veramente il sospetto che quelle visite avessero un significato o, piuttosto, un intento ben diverso da quello che volevano mostrare.
Tanti anni fa, a un pittore non si sa donde venuto, egli che viveva da selvaggio sú per le spalle dei monti, guardiano di mandrie, si era prestato a far da modello per una pala d'altare, di cui quegli preparava i cartoni e altri studii preliminari. Che parte fosse destinato a rappresentare in quel quadro sacro, non si era neppur curato di sapere: si era lasciato vestire di strana foggia e atteggiar d'un gesto violento, con una verga in mano. Ma, poco dopo, consacrata la chiesa nuova, e accorso egli con tutto il popolo alla prima funzione, vedendosi nella pala effigiato in uno dei giudici che colpivan Gesú legato alla colonna, s'era messo a gridar furibondo e a piangere e a strapparsi i capelli, pestando i piedi per terra: “Levatemi di lí! Son cristiano!”
Coricatosi accanto alla moglie, che già dormiva, voltata verso il lettuccio, su cui giacevano insieme i due figliuoli, Spatolino disse prima le consuete orazioni, s'intrecciò poi le mani dietro la nuca; strizzò gli occhi, e - senza badare a quello che faceva - si mise a fischiettare, com'era solito ogni qual volta un dubbio o un pensiero lo rodevano dentro. Fischiava, fischiava sì. Non era propriamente un fischio, ma uno zufolío sordo, piuttosto; a fior di labbra, sempre con la medesima cadenza.
† Assunta. † Filomena. † Crocifissa. † Angelica. † Margherita. † ... Così: una crocetta e il nome della figlia morta accanto. Cinque, in colonna. Poi una sesta, che aspettava il nome dell'ultima: Agata, a cui poco ormai restava da patire. Don Nuccio D'Alagna si turò le orecchie per non sentirla tossire di là; e quasi fosse suo lo spasimo di quella tosse, strizzò gli occhi e tutta la faccia squallida, irta di peli grigi; poi s'alzò.
Smilzo, un po' curvo, con un abitino di tela che gli sventolava addosso, l'ombrello aperto sulla spalla e il vecchio panama in mano, il signor Aurelio s'avviava ogni giorno per la sua speciosa villeggiatura. Un posto aveva scoperto, un posto che non sarebbe venuto in mente a nessuno; e se ne beava tra sé e sé, quando ci pensava, stropicciandosi le manine nervose.
[...] Cresciuto sempre solo, non aveva nessuna domestichezza con la madre. La vedeva, la sentiva molto diversa da sé, cosí alacre, energica e disinvolta. Forse egli somigliava al padre. E il vuoto lasciato dal padre da tanto tempo stava tra lui e la madre, e s'era sempre piú ingrandito con gli anni. Sua madre, anche lí presente, gli appariva sempre come lontana. Ora questa impressione era cresciuta fino a cagionargli uno stranissimo imbarazzo, allorché (molto tardi, veramente; ma Cesarino - si sa - aveva poca fantasia), per una conversazione tra due compagni di scuola, le prime infantili finzioni dell'anima gli erano cadute, scoprendogli improvvisamente certi vergognosi segreti della vita finora insospettati. [...]
Nella camera mortuaria erano raccolti tutti i parenti: il padre vecchissimo, le sorelle coi loro mariti, i fratelli con le loro mogli e i figliuoli piú grandi; e chi piangeva silenziosamente, col fazzoletto sugli occhi; e chi, scotendo amaramente il capo, appena appena, con gli angoli della bocca contratti in giú, mirava sul letto tra i quattro ceri la povera morta cosparsa di fiori, con un piccolo crocefisso d'argento e la corona del rosario di grani rossi tra le mani dure, livide, composte a forza sul petto. [...]
[...] Della stessa tenacia, dello stesso rigore era regolata la sua condotta nella vita. Pregato insistentemente due volte d'accettar la carica di ministro della pubblica istruzione, tutt'e due le volte aveva opposto un reciso rifiuto, non volendo distrarsi dai suoi studii e dai suoi doveri d'insegnante. Piccolissimo di statura, quasi senza collo, con quella faccia piatta, cuojacea, tutta rasa, e quelle palpebre gonfie come due borse, che gli nascondevano le ciglia, e quei capelli lunghi, grigi, lisci e umidicci, che gli nascondevano gli orecchi, aveva l'aspetto d'una vecchia serva pettegola. [...]
Con quale inflessione di voce e quale atteggiamento d'occhi e di mani, curvandosi, come chi regge rassegnatamente su le spalle un peso insopportabile, il magro giudice D'Andrea soleva ripetere: «Ah, figlio caro!» a chiunque gli facesse qualche scherzosa osservazione per il suo strambo modo di vivere! Non era ancor vecchio; poteva avere appena quarant'anni; ma cose stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze, misteriosi travagli di secoli bisognava immaginare per giungere a una qualche approssimativa spiegazione di quel prodotto umano che si chiamava il giudice D'Andrea. [...]
Il 21 luglio rappresenta per la famiglia Leccio non l'anniversario soltanto della gloriosa battaglia garibaldina; non soltanto l'onomastico della figliuola maggiore; ma la stessa ragion d'essere della famiglia, che appunto dalla battaglia di Bezzecca ha tratto l'origine. A diciott'anni Marco Leccio prese parte alla campagna del Trentino con Defendente Leccio, suo padre, e con un certo Casimiro Sturzi, suo amico da fratello, coetaneo, orfano di padre e di madre. Perdette a Bezzecca, nella famosa carica alla bajonetta, il padre e l'amico. Non ebbe neanche il tempo di piangerli. All'amico, mentre gli spirava tra le braccia raccomandandogli la sorella Marianna che restava sola al mondo, promise che, se fosse scampato alla morte, la sorella l'avrebbe sposata lui. [...]
AVVISO: Sospese da oggi le udienze a tutti i personaggi, uomini e donne, d'ogni ceto, d'ogni età, d'ogni professione, che hanno fatto domanda e presentato titoli per essere ammessi in qualche romanzo o novella. N.B. Domande e titoli sono a disposizione di quei signori personaggi che, non vergognandosi d'esporre in un momento come questo la miseria dei loro casi particolari, vorranno rivolgersi ad altri scrittori, se pure ne troveranno. Mi toccò la mattina appresso di sostenere un'aspra discussione con uno dei piú petulanti, che da circa un anno mi s'era attaccato alle costole per persuadermi a trarre da lui e dalle sue avventure argomento per un romanzo che sarebbe riuscito - a suo credere - un capolavoro. [...]
Si dà pur luce ogni mattino a questa camera, quando una delle tre sorelle a turno viene a ripulirla senza guardarsi attorno. L'ombra, tuttavia, appena le persiane e le vetrate della finestra sono richiuse e raccostati gli scuri, si fa subito cruda, come in un sotterraneo; e subito, come se quella finestra non sia stata aperta da anni, il crudo di quest'ombra s'avverte, diventa quasi l'alito sensibile del silenzio sospeso vano sui mobili e gli oggetti, i quali, a lor volta, par che rimangano sgomenti, ogni giorno, della cura con cui sono stati spolverati, ripuliti e rimessi in ordine. [...]
Piena anche per gli olivi quell'annata. Piante massaje, cariche l'anno avanti, avevano raffermato tutte, a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire. Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l'olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta piú capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d'uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa. [...]
[...]Scoppiata la guerra, il figliuolo, chiamato sotto le armi, s'era iscritto al corso accelerato degli allievi ufficiali; dopo tre mesi, nominato sottotenente di fanteria e assegnato al 12° reggimento, brigata Casale, era andato a raggiungere il deposito a Macerata, assicurando loro che sarebbe rimasto colà almeno un mese e mezzo per l'istruzione delle reclute; ma ecco che, invece, dopo tre soli giorni lo mandavano al fronte. Avevano ricevuto a Roma il giorno avanti un telegramma che annunziava questa partenza a tradimento. E si recavano a salutarlo, a vederlo partire.[...]
La guerra era scoppiata da pochi giorni. Marino Lerna, volontario del primo corso accelerato di allievi ufficiali, avuta la nomina a sottotenente di fanteria, dopo una licenza di otto giorni trascorsa in famiglia, partí per Macerata, ov'era il deposito del reggimento a cui era stato assegnato: il 12.mo, brigata Casale. Contava di passar lí qualche mese per l'istruzione delle reclute, prima d'esser mandato al fronte. Invece tre giorni dopo, mentre si trovava nel cortile della caserma, fu improvvisamente chiamato, non seppe da chi; e sú per le scale si trovò insieme con gli altri undici sottotenenti arrivati con lui a Macerata dai diversi plotoni. - Ma dove? Perché? [...]
«Raccolgo in questo XIV volume delle mie Novelle per un anno il racconto in otto capitoli Berecche e la guerra, scritto nei mesi che precedettero la nostra entrata nella guerra mondiale. Vi è rispecchiato il caso a cui assistetti, con maraviglia in principio e quasi con riso, poi con compassione, d'un uomo di studio educato, come tanti allora, alla tedesca, specialmente nelle discipline storiche e filologiche. La Germania, durante il lungo periodo dell'alleanza, era diventata per questi tali, non solo spiritualmente, ma anche sentimentalmente, nell'intimità della loro vita, la patria ideale. Nella imminenza del nostro intervento contro di essa, promosso dalla parte piú viva e sana del popolo italiano e poi seguito da tutta intera la Nazione, costoro si trovarono perciò come sperduti, e costretti, alla fine, dalla forza stessa degli eventi a riaccogliere in sé la vera patria, patirono un dramma che mi parve, sotto quest'aspetto, degno d'essere rappresentato.»
[...] Con la scusa che in Continente «si faceva cosí», quegli ufficiali tra lo scandalo e la maldicenza di tutte le altre famiglie del paese, erano riusciti a far commettere a quelle quattro figliuole le piú audaci e ridicole matterie; a prendersi con esse certe libertà di cui ogni donna avrebbe arrossito, e anche loro certamente, se non fossero state piú che sicure che, proprio, in Continente si faceva cosí e nessuno avrebbe trovato da ridirci. [...]
[...] Si svegliò a notte alta, di soprassalto, sbalordita da un formidabile fragore, che aveva scosso tutta la casa e che ora s'allontanava con cupi rimbombi tra lo scroscio violento della pioggia. La bambina si guardò attorno, smarrita. Dov'era? Quella non era la sua casa; quello non era il suo lettino... Chiamò la serva due o tre volte, si liberò della coperta in cui era avvolta e balzò a sedere sul letto. Era ancora vestita. Guardò il lettino accanto, intatto, e si raccapezzò: quella era la camera in cui dormivano le due vecchie signore: v'era entrata tante volte! [...]
La luce era tanta, in quella stanza nuda e sonora, che quasi si mangiava il pallore del viso emaciato dell'inferma giacente sul letto. Si vedevano solo in quel viso le fosse azzurre degli occhi. Ma in compenso poi, tutt'intorno, sul guanciale un incendio, al sole, dei capelli rossi di lei. E lei che, zitta zitta, a quel sole che le veniva sul letto si guardava le mani, o si avvolgeva attorno alle dita i riccioli di quei magnifici capelli. Cosí zitta, cosí quieta, che a guardarla e a guardar poi attorno la camera, in tutta quella luce, se non fosse stato per il ronzío di qualche mosca, quasi non sarebbe parsa vera.. [...]
“Finalmente!” Esclamò la signora Manfroni, strappando di mano alla serva la lettera da Roma tanto sospirata, nella quale il genero, Ennio Mori, doveva darle tutti i minuti ragguagli promessi, intorno al parto recente della figlia Ersilia. Inforcò subito gli occhiali e si mise a leggere. Già sapeva da telegrammi precedenti, che il parto era stato laborioso, ma che tuttavia la figlia non correva alcun rischio. Ora però la lettera le dava a sapere che qualche rischio Ersilia veramente lo aveva corso e che anzi c'era stato bisogno d'un ostetrico. […]
I topi non sospettano l'insidia della trappola. Vi cascherebbero, se la sospettassero? Ma non se ne capacitano neppure quando vi son cascati. S'arrampicano squittendo sú per le gretole; cacciano il musetto aguzzo tra una gretola e l'altra; girano; rigirano senza requie, cercando l'uscita. L'uomo che ricorre alla legge sa, invece, di cacciarsi in una trappola. Il topo vi si dibatte. L'uomo, che sa, sta fermo. Fermo, col corpo, s'intende. Dentro, cioè con l'anima, fa poi come il topo, e peggio. […]
[…] Aveva fatto mettere quelle tende nuove e i tappeti alle stanze per il battesimo dell'ultimo bambino, morto di venti giorni. Ecco, gli invitati tornavano or ora dalla chiesa. Angelica Noti, a cui egli offriva il braccio, glielo stringeva a un tratto furtivamente con la mano; egli si voltava a guardarla, stupito, ed ella accoglieva quello sguardo con un sorriso impudente, da scema, e chiudeva voluttuosamente le palpebre su i grandi occhi neri, globulenti, in presenza di tutti. […]
[…] Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via dal banco dov'ero scritturale, con la scusa che, essendoci io, nessuno piú veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo a una strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà piú sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio figliuolo, il quale ha famiglia anche lui, quattro bambini, e non può fare a lungo questo sacrifizio per noi. Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione dello jettatore! [...]
[…] Compreso dal mistero della morte, contemplò in alto gli astri impalliditi dal chiaror lunare. Ma nessuna relazione, veramente, agli occhi suoi tra quel cielo e quell'anima che agonizzava crudelmente dentro la stanza. Favole! Il Naldi sarebbe finito tutto laggiú... E cercò con gli occhi, in un punto noto della vallata, la macchia fosca dei cipressi del camposanto.[…]
[...] Non si sa mai che cosa può diventare all'improvviso un uomo che pensa sotto un fico. Non diventa niente, stupidello. Un uomo di passaggio. Fra poco s'alza e se ne va. Coi suoi pensieri. Di passaggio, e pensieri di passaggio. E tu resti, uccellino eterno. E vivo, e non sai quale contraddizione risolvi con un tuo trillo! [...]
[…] E a un tratto guardando così la figlia, con altri occhi, comprese quel che il marito voleva dirle. Egli era e si sentiva vecchio, e sapeva di non poter riempire la vita di lei; ma ella aveva una figlia, ora; e una figlia può e deve riempir la vita d'una madre. Egli poteva fare uno scandalo, e non l'aveva fatto; non solo, ma aveva dato anzi a quella bambina, che non era sua figlia, il prestigio del nome, del grado, e anche… sì, anche la sua tenerezza.[…]
[…] Come tutte le donne di quell'odiato paese, in cui gli uomini, nella briga, nella costernazione assidua degli affari rischiosi, non trovavan mai tempo da dedicare all'amore, Flavia, che avrebbe potuto essere per lui l'unica rosa lí tra le spine, s'era invece acconciata subito, senza rammarico, come d'intesa, alla parte modesta di badare alla casa, perché nulla mancasse al marito dei comodi materiali, quando stanco, spossato, ritornava dalle zolfare […]
[...] La vita era per Bernardo Sopo profondamente oscura; la morte, uno sbuffo di più densa tenebra nell'oscurità. Né al lume della scienza per la vita, né al lume della fede per la morte, riusciva a dar credito; e in tanta oscurità non vedeva profilarsi altro, a ogni passo, che le sgradevoli, dure, ispide necessità dell'esistenza, a cui era vano tentar di sottrarsi, e che si dovevano subito perciò affrontare o subire, per levarsene al più presto il pensiero. [...]
Prato al sole, erba nuova, fili di suono, nel silenzio che pare uno stupore. Stupore di come s'accendono qua questi fiorellini d'oro e là bruciano quei rossi. Ma già comincia a cadere, di sbieco e pericolante sul verde, l'ombra del conventino con la tozza crocetta in cima alla cuspide, cosí allungata che va a sbattere, e si rizza spezzata, su quel bianco muretto a riparo degli orti. Lucilla, da un pezzo addossata al muro del conventino, smette di piangere, d'un tratto facendo caso all'ombra di quella crocetta. Possibile, cosí lunga? [...]
Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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In certi momenti, o figliuolo, la vita si fa cosí perfida che gli scrittori non possono farci nulla; e quanto piú son fedeli nel ritrarla, tanto piú l'opera loro è condannata a perire. Che virtú di resistenza vuoi che abbiano contro il tempo le creature nate dai pensieri nostri dissociati, dalle azioni nostre impulsive e quasi senza legge, dai sentimenti nostri disgregati e nella discordia dei piú opposti consigli; questi miseri, inani, affliggenti fantocci che può offrirti soltanto la fiera odierna?
Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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Faustino Sangelli restò di gelo a quello sguardo d'assoluta indifferenza. Da che rideva, da che baciava vivo, con labbra ardenti, il tiepido, piccolo seno bianco di Lillí, e costringeva quell'uomo a chiudersi in camera con un braciere acceso per asfissiarsi, ecco che d'un tratto spariva in lui l'immagine di ciò ch'era stato, come un'ombra; e un'altra ombra d'improvviso sottentrava, l'ombra miserabile di se stesso, ombra irriconoscibile, se colui non lo aveva riconosciuto, dopo sedici anni: i sedici anni di tutti i suoi sogni svaniti, e di tante noje e di tante amarezze; i sedici anni che lo avevano invecchiato precocemente; che gli avevano portato la sciagura di quella moglie, il tormento di quei figliuoli. [...]
Le novelle di Luigi Pirandello. Scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Storie impegnate in un intreccio di personaggi fissati nel tempo di sempre, tra umorismo, comico, dramma e grottesco, sentimenti contrari e paradossali, intrecci di pensieri spesso inconfessabili e imprevedibili, immersi nella monumentale opera novellistica del drammaturgo Girgentino.
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