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Monica Canali"50 Ritratti del cattolicesimo democratico"Da Rosmini a Sassoli: volti e storie di una cultura politicaIl racconto di un pezzo fondamentale della storia politica italianaPostfazione di Ernesto Maria RuffiniEdizioni del Capricornowww.edizionidelcapricorno.it “50 ritratti del Cattolicesimo democratico è più di un libro. È un album di fotografie con dettagliate didascalie e brevi biografie. Un album dove ogni immagine riporta alla memoria storie, emozioni e parole attraverso l'impegno di persone che hanno lasciato ciascuna il segno nella nostra storia comune. Un album dove ogni nome può incuriosire i più giovani invogliandoli a fare qualche ricerca in più, qualche lettura in più, qualche domanda in più” (Ernesto Maria Ruffini). Quali sono le radici e i princìpi fondamentali della cultura politica cattolico democratica? Chi sono le donne e gli uomini che hanno posto le basi di questo pensiero politico? Quali sono i volti e le storie che hanno dato vita concreta alle idee?È a partire da queste domande che prende forma una galleria di 50 ritratti, di respiro nazionale ed europeo, di pensatori, politici, sindacalisti, insegnanti, animatori sociali. Un'opera collettiva, agile, che vuole essere strumento di formazione più che di commemorazione, per conoscere il volto e il pensiero di 50 uomini e donne. Ogni ritratto è una rapida pennellata tracciata da altrettanti autori rappresentativi del pensiero cattolico democratico di oggi, coordinati da Monica Canalis. I 50 ritratti:Konrad Adenauer, Maria Agamben Federici, Beniamino Andreatta, Tina Anselmi, Vittorio Bachelet, Ernesto Balducci, Armida Barelli, Laura Bianchini, Guido Bodrato, Paolo Bonomi, Pierre Carniti, Alcide De Gasperi, Ciriaco De Mita, Maria De Unterrichter Jervolino, Jacques Delors, Carlo Donat-Cattin, Giuseppe Dossetti, Leopoldo Elia, Maria Fortunato, Pier Giorgio Frassati, Paola Gaiotti De Biase, Giovanni Goria, Ermanno Gorrieri, Angela Gotelli, Achille Grandi, Angela Maria Guidi Cingolani, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Franco Marini, Jacques Maritain, Mino Martinazzoli, Maria Eletta Martini, Piersanti Mattarella, Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Aldo Moro, Emmanuel Mounier, Carla Passalacqua, Giulio Pastore, Antonio Rosmini, Roberto Ruffilli, David Sassoli, Oscar Luigi Scalfaro, Robert Schuman, Pietro Scoppola, Bartolomeo Sorge, Luigi Sturzo, Vittoria Titomanlio, Giuseppe Toniolo, Benigno Zaccagnini. Tra gli autori che hanno scritto i ritratti: Graziano Delrio, Giovanni Grasso, Mariapia Garavaglia, Gianfranco Astori, Bruno Manghi, Francesco Antonioli, Anna Maria Poggi, Fabio Pizzul, Renato Balduzzi, Francesco Occhetta, Luigi Bobba, Pierluigi Castagnetti, Elisabetta Gualmini. La curatrice:Monica Canalis, laureata a Torino in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ha lavorato per sei anni in ambito internazionale su progetti di cooperazione intergovernativa e cooperazione allo sviluppo. Dal 2007 al 2016 ha guidato la scuola di formazione politica del Partito Democratico piemontese. Eletta nel 2016 nel consiglio comunale della città di Torino e nel consiglio della Città Metropolitana di Torino, nel 2019 è diventata consigliera regionale del Piemonte, poi confermata nel 2024. Da sempre impegnata nel mondo della solidarietà torinese, anima dal 2009 l'Università del Dialogo del Sermig.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarewww.ilpostodelleparole.itDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/il-posto-delle-parole--1487855/support.
A cura di Daniele Biacchessi Si apre una nuova stagione politica all'insegna delle riforme costituzionali che segna, almeno sulla carta, l'avvio di un dialogo tra Governo, maggioranza e opposizione. La premier Giorgia Meloni incontrerà i rappresentanti delle forze politiche di opposizione con l'intento di rilanciare la proposta del presidenzialismo, già promessa in campagna elettorale. Su questo punto strategico per il Governo l'opposizione è contraria: si registra solo un timido avvicinamento di Azione e Italia Viva. Al confronto odierno, il Pd propone un semipresidenzialismo alla francese, il M5s un cancellierato alla tedesca con una alta soglia di sbarramento, dove Conte potrebbe trovare una convergenza con Schlein. Le alternative non sono molte. Dal Governo fanno sapere che se ci fosse una disponibilità dell'opposizione a discutere di riforme, soprattutto di presidenzialismo, ci sarebbe la disponibilità di una aprire una nuova Commissione parlamentare Bicamerale, ma le esperienze messe in campo si sono rivelate un fallimento: da quella di Aldo Bozzi tra il 1983 e il 1985, alla Bicamerale di Ciriaco De Mita e Nilde Iotti tra il 1993 e il 1994, fino al disastro della commissione di Massimo D'Alema tra il 1997 e il 1998 con il ribaltamento delle risultanze finali da parte di Silvio che scelse il cancellierato e il proporzionale contro il semipresidenzialismo. Altrimenti il governo andrà avanti con i suoi numeri, secondo l'articolo 138 della Costituzione: il Parlamento approva le modifiche alla Costituzione con due deliberazioni a maggioranza assoluta. Difficile dire come andrà a finire. Di certo il Governo non è intenzionato a mettere in campo riforme così delicate senza neanche una pur minima apertura delle opposizioni: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarebbe contrario, così come lo sono i dettami della Costituzione. Ma forse è proprio il cambiamento della Costituzione il vero obiettivo di chi propone il presidenzialismo che senza il sistema dei pesi e dei contrappesi rischierebbe di diventare carta straccia.
A cura di Daniele Biacchessi Si apre una nuova stagione politica all'insegna delle riforme costituzionali che segna, almeno sulla carta, l'avvio di un dialogo tra Governo, maggioranza e opposizione. La premier Giorgia Meloni incontrerà i rappresentanti delle forze politiche di opposizione con l'intento di rilanciare la proposta del presidenzialismo, già promessa in campagna elettorale. Su questo punto strategico per il Governo l'opposizione è contraria: si registra solo un timido avvicinamento di Azione e Italia Viva. Al confronto odierno, il Pd propone un semipresidenzialismo alla francese, il M5s un cancellierato alla tedesca con una alta soglia di sbarramento, dove Conte potrebbe trovare una convergenza con Schlein. Le alternative non sono molte. Dal Governo fanno sapere che se ci fosse una disponibilità dell'opposizione a discutere di riforme, soprattutto di presidenzialismo, ci sarebbe la disponibilità di una aprire una nuova Commissione parlamentare Bicamerale, ma le esperienze messe in campo si sono rivelate un fallimento: da quella di Aldo Bozzi tra il 1983 e il 1985, alla Bicamerale di Ciriaco De Mita e Nilde Iotti tra il 1993 e il 1994, fino al disastro della commissione di Massimo D'Alema tra il 1997 e il 1998 con il ribaltamento delle risultanze finali da parte di Silvio che scelse il cancellierato e il proporzionale contro il semipresidenzialismo. Altrimenti il governo andrà avanti con i suoi numeri, secondo l'articolo 138 della Costituzione: il Parlamento approva le modifiche alla Costituzione con due deliberazioni a maggioranza assoluta. Difficile dire come andrà a finire. Di certo il Governo non è intenzionato a mettere in campo riforme così delicate senza neanche una pur minima apertura delle opposizioni: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarebbe contrario, così come lo sono i dettami della Costituzione. Ma forse è proprio il cambiamento della Costituzione il vero obiettivo di chi propone il presidenzialismo che senza il sistema dei pesi e dei contrappesi rischierebbe di diventare carta straccia.
2 dicembre 1973. È domenica, la prima a piedi. Il presidente del Consiglio Mariano Rumor eil Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato Ciriaco De Mita emettono leggi e decreti per orientare il comportamento degli italiani. Nasce l'austerity, che è l'anticamera del mondo odierno. All'epoca fu dovuto al petrolio, oggi al gas. Rumor disse che il mondo sarebbe andato incontro a grosse difficoltà, proprio come il presidente francese Macron di qualche settimana fa. Ma chi ha investito all'epoca ha portato a casa risultati eccezionali. Il mondo non si ferma, e se si dovesse fermare noi non avremmo più motivo di preoccuparci né del mondo stesso, né dei nostri soldi, né di noi stessi.
La strage di Uvalde, gli aggiornamenti dall'Ucraina, il World Economic Forum, la morte di Ciriaco De Mita, la finale della Conference League e molto altro nell'ultima edizione del giornale radio
A cura di Ferruccio Bovio Con la scomparsa di Ciriaco De Mita, la politica italiana perde uno degli ultimi “cavalli di razza” che le fossero rimasti. Una politica alla quale, del resto, l'ex leader democristiano ha dedicato veramente tutta la sua esistenza che, infatti, concludendosi ieri, lo ha salutato mentre era ancora impegnato a fare il sindaco di Nusco, il comune dell'avellinese in cui era nato 94 anni fa. Resterà nella memoria di molti come un personaggio che non andava troppo d'accordo con le semplificazioni: anzi, la complessità ( e magari anche la tortuosità ) di certi suoi ragionamenti non sempre lo hanno facilitato nei contatti con il suo Partito, con il suo elettorato e con le altre forze politiche, sia alleate che avversarie. E proprio per questa sua raffinatezza argomentativa, l'Avvocato Gianni Agnelli ebbe a definirlo “un intellettuale della Magna Grecia”, volendo probabilmente significare che, a suo parere, De Mita era più che altro un contemplativo e, quindi, privo di quelle doti di pragmatismo che, invece, sono indispensabili a chi debba governare. Il punto è però che, per l'uomo che negli Anni 70 e 80 incarna, come forse pochi altri, il potere democristiano, è proprio il pensiero a dover presiedere a qualsiasi iniziativa politica, inquadrandola in un disegno strategico che vada ben al di là di qualche concreto interesse contingente. Di conseguenza non è difficile immaginare come, partendo da un'impostazione di questo tipo, la confusa ed incolta realtà politica degli ultimi trent'anni possa, quasi sicuramente, essergli sembrata vuota e svilita De Mita, come del resto quasi tutti i democristiani, fu sempre molto diffidente nei confronti dei decisionismi, dei presidenzialismi e, comunque, di tutte quelle tendenze che guardavano con sempre maggiore attenzione alla concentrazione di maggiori poteri nella sola persona del leader di un esecutivo. Ed a questo proposito, l'ultima testimonianza del suo modo di intendere le istituzioni e la vita politica la diede, ormai quasi novantenne, sei anni fa quando, al referendum del 4 dicembre, si oppose fieramente alla riforma costituzionale propugnata da Matteo Renzi. Esattamente come, negli anni in cui fu segretario della DC e presidente del Consiglio, era stato il più acerrimo avversario di Bettino Craxi e della sua famosa idea di “Grande Riforma”. Politicamente si era convinto del fatto che, in Italia, il partito responsabile per eccellenza, insieme alla Dc, fosse stato, almeno a partire dalla gestione Berlinguer in poi, il Pci. Sono però, ingiuste e superficiali le analisi che spesso lo hanno descritto come l'uomo del dialogo ad ogni costo con i comunisti. Certo, De Mita intendeva coinvolgerli sul terreno delle riforme istituzionali e, sempre con loro, nel giugno del 1985, concordò l'elezione al primo scrutinio di Francesco Cossiga alla presidenza della Repubblica, ma la sua era, soprattutto, una presa di coscienza - maturata sulle tracce di Aldo Moro - del fatto che era ormai giunto il momento di archiviare quella classica “conventio ad excludendum” nei confronti del PCI, che aveva regolato la formazione di tutti i Governi che si erano succeduti dalla Liberazione in poi. Tra le frasi che gli vengono attribuite, una in particolare merita di essere citata: ed è quella secondo cui “quando un avversario ha torto bisogna aiutarlo ad avere ragione”. Non c'erano, quindi, per Ciriaco De Mita, pregiudizialmente dei nemici, ma soltanto persone che sbagliavano e che, pertanto, andavano aiutate a trovare la strada giusta. Credits: Agenzia Fotogramma
A cura di Ferruccio Bovio Con la scomparsa di Ciriaco De Mita, la politica italiana perde uno degli ultimi “cavalli di razza” che le fossero rimasti. Una politica alla quale, del resto, l'ex leader democristiano ha dedicato veramente tutta la sua esistenza che, infatti, concludendosi ieri, lo ha salutato mentre era ancora impegnato a fare il sindaco di Nusco, il comune dell'avellinese in cui era nato 94 anni fa. Resterà nella memoria di molti come un personaggio che non andava troppo d'accordo con le semplificazioni: anzi, la complessità ( e magari anche la tortuosità ) di certi suoi ragionamenti non sempre lo hanno facilitato nei contatti con il suo Partito, con il suo elettorato e con le altre forze politiche, sia alleate che avversarie. E proprio per questa sua raffinatezza argomentativa, l'Avvocato Gianni Agnelli ebbe a definirlo “un intellettuale della Magna Grecia”, volendo probabilmente significare che, a suo parere, De Mita era più che altro un contemplativo e, quindi, privo di quelle doti di pragmatismo che, invece, sono indispensabili a chi debba governare. Il punto è però che, per l'uomo che negli Anni 70 e 80 incarna, come forse pochi altri, il potere democristiano, è proprio il pensiero a dover presiedere a qualsiasi iniziativa politica, inquadrandola in un disegno strategico che vada ben al di là di qualche concreto interesse contingente. Di conseguenza non è difficile immaginare come, partendo da un'impostazione di questo tipo, la confusa ed incolta realtà politica degli ultimi trent'anni possa, quasi sicuramente, essergli sembrata vuota e svilita De Mita, come del resto quasi tutti i democristiani, fu sempre molto diffidente nei confronti dei decisionismi, dei presidenzialismi e, comunque, di tutte quelle tendenze che guardavano con sempre maggiore attenzione alla concentrazione di maggiori poteri nella sola persona del leader di un esecutivo. Ed a questo proposito, l'ultima testimonianza del suo modo di intendere le istituzioni e la vita politica la diede, ormai quasi novantenne, sei anni fa quando, al referendum del 4 dicembre, si oppose fieramente alla riforma costituzionale propugnata da Matteo Renzi. Esattamente come, negli anni in cui fu segretario della DC e presidente del Consiglio, era stato il più acerrimo avversario di Bettino Craxi e della sua famosa idea di “Grande Riforma”. Politicamente si era convinto del fatto che, in Italia, il partito responsabile per eccellenza, insieme alla Dc, fosse stato, almeno a partire dalla gestione Berlinguer in poi, il Pci. Sono però, ingiuste e superficiali le analisi che spesso lo hanno descritto come l'uomo del dialogo ad ogni costo con i comunisti. Certo, De Mita intendeva coinvolgerli sul terreno delle riforme istituzionali e, sempre con loro, nel giugno del 1985, concordò l'elezione al primo scrutinio di Francesco Cossiga alla presidenza della Repubblica, ma la sua era, soprattutto, una presa di coscienza - maturata sulle tracce di Aldo Moro - del fatto che era ormai giunto il momento di archiviare quella classica “conventio ad excludendum” nei confronti del PCI, che aveva regolato la formazione di tutti i Governi che si erano succeduti dalla Liberazione in poi. Tra le frasi che gli vengono attribuite, una in particolare merita di essere citata: ed è quella secondo cui “quando un avversario ha torto bisogna aiutarlo ad avere ragione”. Non c'erano, quindi, per Ciriaco De Mita, pregiudizialmente dei nemici, ma soltanto persone che sbagliavano e che, pertanto, andavano aiutate a trovare la strada giusta. Credits: Agenzia Fotogramma
A cura di Ferruccio Bovio Con la scomparsa di Ciriaco De Mita, la politica italiana perde uno degli ultimi “cavalli di razza” che le fossero rimasti. Una politica alla quale, del resto, l'ex leader democristiano ha dedicato veramente tutta la sua esistenza che, infatti, concludendosi ieri, lo ha salutato mentre era ancora impegnato a fare il sindaco di Nusco, il comune dell'avellinese in cui era nato 94 anni fa. Resterà nella memoria di molti come un personaggio che non andava troppo d'accordo con le semplificazioni: anzi, la complessità ( e magari anche la tortuosità ) di certi suoi ragionamenti non sempre lo hanno facilitato nei contatti con il suo Partito, con il suo elettorato e con le altre forze politiche, sia alleate che avversarie. E proprio per questa sua raffinatezza argomentativa, l'Avvocato Gianni Agnelli ebbe a definirlo “un intellettuale della Magna Grecia”, volendo probabilmente significare che, a suo parere, De Mita era più che altro un contemplativo e, quindi, privo di quelle doti di pragmatismo che, invece, sono indispensabili a chi debba governare. Il punto è però che, per l'uomo che negli Anni 70 e 80 incarna, come forse pochi altri, il potere democristiano, è proprio il pensiero a dover presiedere a qualsiasi iniziativa politica, inquadrandola in un disegno strategico che vada ben al di là di qualche concreto interesse contingente. Di conseguenza non è difficile immaginare come, partendo da un'impostazione di questo tipo, la confusa ed incolta realtà politica degli ultimi trent'anni possa, quasi sicuramente, essergli sembrata vuota e svilita De Mita, come del resto quasi tutti i democristiani, fu sempre molto diffidente nei confronti dei decisionismi, dei presidenzialismi e, comunque, di tutte quelle tendenze che guardavano con sempre maggiore attenzione alla concentrazione di maggiori poteri nella sola persona del leader di un esecutivo. Ed a questo proposito, l'ultima testimonianza del suo modo di intendere le istituzioni e la vita politica la diede, ormai quasi novantenne, sei anni fa quando, al referendum del 4 dicembre, si oppose fieramente alla riforma costituzionale propugnata da Matteo Renzi. Esattamente come, negli anni in cui fu segretario della DC e presidente del Consiglio, era stato il più acerrimo avversario di Bettino Craxi e della sua famosa idea di “Grande Riforma”. Politicamente si era convinto del fatto che, in Italia, il partito responsabile per eccellenza, insieme alla Dc, fosse stato, almeno a partire dalla gestione Berlinguer in poi, il Pci. Sono però, ingiuste e superficiali le analisi che spesso lo hanno descritto come l'uomo del dialogo ad ogni costo con i comunisti. Certo, De Mita intendeva coinvolgerli sul terreno delle riforme istituzionali e, sempre con loro, nel giugno del 1985, concordò l'elezione al primo scrutinio di Francesco Cossiga alla presidenza della Repubblica, ma la sua era, soprattutto, una presa di coscienza - maturata sulle tracce di Aldo Moro - del fatto che era ormai giunto il momento di archiviare quella classica “conventio ad excludendum” nei confronti del PCI, che aveva regolato la formazione di tutti i Governi che si erano succeduti dalla Liberazione in poi. Tra le frasi che gli vengono attribuite, una in particolare merita di essere citata: ed è quella secondo cui “quando un avversario ha torto bisogna aiutarlo ad avere ragione”. Non c'erano, quindi, per Ciriaco De Mita, pregiudizialmente dei nemici, ma soltanto persone che sbagliavano e che, pertanto, andavano aiutate a trovare la strada giusta. Credits: Agenzia Fotogramma
E' morto a 94 anni Ciriaco De Mita, era stato segretario della Democrazia Cristiana e Presidente del Consiglio. Intanto Mosca continua a tenere in ostaggio il grano ucraino. Ne parliamo con Marco Di Liddo, analista del CeSI. La maggioranza trova l'intesa sulle concessioni balneari: confermate le gare, rinvio ai decreti invece per gli indennizzi ai concessionari. Con noi Carmine Fotina (Il Sole 24 Ore).
E' morto Ciriaco De Mita. L'ex segretario della DC aveva 94 anni, e da aprile era ricoverato nella casa di cura Villa dei Pini, dove stava seguendo un percorso di riabilitazione dopo un attacco ischemico.
Chi l’avrebbe mai detto: da Nusco un pezzetto di speranza, un briciolo di salvezza, un pensierino su come cambiano le cose & ndash; e per una volta - neanche male... Succede così che i vaccini anti Covid abbiano bisogno di speciali frigoriferi e che la meglio azienda che li produce, la Desmon, abbia sede proprio a Nusco, paese di circa 4.000 anime celebrato ’balcone dell’Irpinia’, ma soprattutto patria di Ciriaco De Mita che ne è tuttora l’amatissimo sindaco alla bella età di 92 anni.
L'anno del crollo del Muro di Berlino segna una svolta anche per i lavoratori portuali in tutta Italia. Genova, in particolare, diventa il centro di una mobilitazione nazionale che durerà alcuni mesi. Il governo di Ciriaco De Mita, il leader della Dc di allora, vuole di fatto privatizzare un lavoro che da decenni sta sotto le insegne del “servizio pubblico”. Sarà una protesta lunga, con il porto sotto la Lanterna bloccato per mesi. In questa storia ci sono tutti gli ingredienti delle grandi trasformazioni del lavoro di quell'epoca: la globalizzazione dei traffici, i cambiamenti tecnologici, la pressione degli interessi delle grandi compagnie private di navigazione. Antonio Benvenuti, ospite oggi a Memos, è il console dei camalli del porto di Genova ed è un protagonista di quella protesta del 1989. Benvenuti è diventato socio della Compagnia dei lavoratori del porto nel 1974. «Allora – racconta il console dei camalli - diventare socio della Compagnia era un ruolo ambito. Si faticava molto, ma si guadagnava bene, più di un operaio dell'Ansaldo. La legge italiana, il codice della navigazione, garantiva l'esclusiva del lavoro portuale nelle mani delle Compagnie di lavoratori». E' sarà proprio quell'esclusiva a finire nel mirino di un decreto del gennaio dell'89 firmato dall'allora ministro della Marina mercantile Giovanni Prandini: «il governo provò a minare il punto economico dell'esclusiva – dice Benvenuti - togliendo una quota di lavoro che nel frattempo si era espansa, come il lavoro sui piazzali e sui magazzini. Ciò significava spaccare l'organizzazione del lavoro, metterla in discussione». Nella puntata di oggi di Memos Benvenuti racconta la protesta, le fratture con i sindacati confederali e poi, a partire da giugno dell'89, gli accordi con le compagnie di navigazione che porteranno alla conclusione dello sciopero.
L'anno del crollo del Muro di Berlino segna una svolta anche per i lavoratori portuali in tutta Italia. Genova, in particolare, diventa il centro di una mobilitazione nazionale che durerà alcuni mesi. Il governo di Ciriaco De Mita, il leader della Dc di allora, vuole di fatto privatizzare un lavoro che da decenni sta sotto le insegne del “servizio pubblico”. Sarà una protesta lunga, con il porto sotto la Lanterna bloccato per mesi. In questa storia ci sono tutti gli ingredienti delle grandi trasformazioni del lavoro di quell'epoca: la globalizzazione dei traffici, i cambiamenti tecnologici, la pressione degli interessi delle grandi compagnie private di navigazione. Antonio Benvenuti, ospite oggi a Memos, è il console dei camalli del porto di Genova ed è un protagonista di quella protesta del 1989. Benvenuti è diventato socio della Compagnia dei lavoratori del porto nel 1974. «Allora – racconta il console dei camalli - diventare socio della Compagnia era un ruolo ambito. Si faticava molto, ma si guadagnava bene, più di un operaio dell'Ansaldo. La legge italiana, il codice della navigazione, garantiva l'esclusiva del lavoro portuale nelle mani delle Compagnie di lavoratori». E' sarà proprio quell'esclusiva a finire nel mirino di un decreto del gennaio dell'89 firmato dall'allora ministro della Marina mercantile Giovanni Prandini: «il governo provò a minare il punto economico dell'esclusiva – dice Benvenuti - togliendo una quota di lavoro che nel frattempo si era espansa, come il lavoro sui piazzali e sui magazzini. Ciò significava spaccare l'organizzazione del lavoro, metterla in discussione». Nella puntata di oggi di Memos Benvenuti racconta la protesta, le fratture con i sindacati confederali e poi, a partire da giugno dell'89, gli accordi con le compagnie di navigazione che porteranno alla conclusione dello sciopero.
L'anno del crollo del Muro di Berlino segna una svolta anche per i lavoratori portuali in tutta Italia. Genova, in particolare, diventa il centro di una mobilitazione nazionale che durerà alcuni mesi. Il governo di Ciriaco De Mita, il leader della Dc di allora, vuole di fatto privatizzare un lavoro che da decenni sta sotto le insegne del “servizio pubblico”. Sarà una protesta lunga, con il porto sotto la Lanterna bloccato per mesi. In questa storia ci sono tutti gli ingredienti delle grandi trasformazioni del lavoro di quell'epoca: la globalizzazione dei traffici, i cambiamenti tecnologici, la pressione degli interessi delle grandi compagnie private di navigazione. Antonio Benvenuti, ospite oggi a Memos, è il console dei camalli del porto di Genova ed è un protagonista di quella protesta del 1989. Benvenuti è diventato socio della Compagnia dei lavoratori del porto nel 1974. «Allora – racconta il console dei camalli - diventare socio della Compagnia era un ruolo ambito. Si faticava molto, ma si guadagnava bene, più di un operaio dell'Ansaldo. La legge italiana, il codice della navigazione, garantiva l'esclusiva del lavoro portuale nelle mani delle Compagnie di lavoratori». E' sarà proprio quell'esclusiva a finire nel mirino di un decreto del gennaio dell'89 firmato dall'allora ministro della Marina mercantile Giovanni Prandini: «il governo provò a minare il punto economico dell'esclusiva – dice Benvenuti - togliendo una quota di lavoro che nel frattempo si era espansa, come il lavoro sui piazzali e sui magazzini. Ciò significava spaccare l'organizzazione del lavoro, metterla in discussione». Nella puntata di oggi di Memos Benvenuti racconta la protesta, le fratture con i sindacati confederali e poi, a partire da giugno dell'89, gli accordi con le compagnie di navigazione che porteranno alla conclusione dello sciopero.
Ciriaco De Mita a “Otto e Mezzo” con Paolo Mieli e senza Ferrara impegnato altrove (22 Feb 08). Il file “ci azzecca” poco con la campagna elettorale del PD a questo punto, ma vale la pena documentarlo a… futura memoria.
Ciriaco De Mita a Controcorrente SKYTG24 con Formigli dopo l’esclusione dalle liste (21 Feb 08)