Le peripezie dell’immagine, le giravolte della cronaca, uno sguardo sulle gioie e le magagne della vita
Ogni televisione ha la censura che si merita e la Rai, ritornata mamma forbiciona, si concentra sullo sculettamento. Per cui sarebbe bello poter osservare le sequenze proibite del talent per anziani The Voice Senior in cui Elettra Lamborghini insegnava il twerking a Loredana Bertè. O almeno così in un primo momento l’hanno raccontata.
Chi l’avrebbe mai detto: da Nusco un pezzetto di speranza, un briciolo di salvezza, un pensierino su come cambiano le cose & ndash; e per una volta - neanche male... Succede così che i vaccini anti Covid abbiano bisogno di speciali frigoriferi e che la meglio azienda che li produce, la Desmon, abbia sede proprio a Nusco, paese di circa 4.000 anime celebrato ’balcone dell’Irpinia’, ma soprattutto patria di Ciriaco De Mita che ne è tuttora l’amatissimo sindaco alla bella età di 92 anni.
Davvero poco simpatico, oltre che sterile, è un atteggiamento sprezzante e schifato dinanzi alla cultura pop e alla modernità di massa con le sue inesorabili discese e diramazioni nella volgarità - e però! Però l’istituzionalizzazione della caccola, intesa come muco rappreso in estrazione e fantasticamente trasfigurato in uvetta da panettone, beh, aldilà di qualsiasi contegno estetico, un pensierino e una rubrichetta forse se la merita. Accade quindi che la Lombardia, la regione piò evoluta e provata dal Covid, nella persona del suo presidente Fontana, che pure appare nient’affatto burlone e anzi abbastanza mesto, per comunicare gli aiuti economici extra ristori statali abbia arruolato come testimonial Massimo Boldi, eroe del cinepanettone, genere che del recente passato costituisce l’ombrosa e sgangherata autobiografia.
In attesa dei robot, spetta ai piccoli eroi dei magazzini Amazon annunciare con ipnotica efficacia la buona novella in tre spot all’altezza della pandemia. Per cui Gianluca purtroppo ha smesso presto di studiare, ma ciò che conta è rialzarsi dalla sua condizione: “L’importante è crederci“.
“Non ce n’è,/ non ce n’è,/ non ce n’è...“. Ecco, sì, ci mancava solo l’inno negazionista; in stile rap con ibridazioni latinoamericane, brano di straniante euforia entro cui si condensano quasi tutti i fattori che fanno dell’Italia un paese unico al mondo. “Alza, alza,/ tutto è piò bello,/ forza ragazzi,/ buongiorno da Mondello!“, capitale morale della libertà anti-restrizioni. Ritornello e balletto accompagnato da mani che volano sotto il mento a significare: chi se ne frega. C’è poco da irridere o indignarsi, presentare denunce o scandalizzarsi; piuttosto ricordare, sia pure a malincuore, in quale altra lingua esiste l’espressione “canta che ti passa“: anche il virus evidentemente, e il dolore, i morti, i disastri sanitari, tutto. Inutile pure la consapevolezza che dietro all’operazione Non c’è n’è - nel titolo ufficiale spicca un grossolano errore - si intravede l’occulta regia di Lele Mora, appena ritornato allo showbiz con una sua “Accademia“, nientemeno.
Bòm fanno i petardi che esplodono tra le gambe dei poliziotti; bàaaang risuona la bomba carta nelle strette vie dei centri storici; mentre i bengala sibilano nel cielo buio, i razzi sfrigolano prima di fare il botto e i fumogeni frusciano grigi, bianchi, rossi e verdi colorando la guerriglia urbana. Iper pirotecnica di protesta nella stagione Covid.
Andata e ritorno, peripezie e cortocircuiti dell’immagine promozionale. Premesso che la Calabria è unica al mondo e quindi straordinaria nella sua varietà di storia, geografia, arte, cultura, delizie, miserie, misfatti, generosità, eccetera, si può comunque partire da quando, nel giugno scorso, una goffa pubblicità di Easyjet trovò il modo di accostare la regione alla criminalità e ai terremoti: apriti cielo, e anche giustamente.
Paese che vai, Zio Matto che trovi. Così se in America il Crazy Uncle è quello che nessuno vorrebbe avere accanto durante la cena del Thanksgiving, ecco che qui in Italia la stessa figura assume una suggestione piò famigliare e una valenza politica un tantino piò accettabile. Questo veniva da pensare quando la giornalista dell’Nbc Savannah Guthrie, mettendo sotto accusa Trump per la leggerezza con cui ritwittava le piò assurde balle cospirative, l’ha preso di petto: «Ma lei è il presidente, non un qualsiasi zio matto» & ndash; al che, nel rivedere il video, si capisce che per un attimo lui si è sentito in difficoltà e abbassando lo sguardo come un bimbo ha negato, «no, no, no, no...».
Conviene ricordare, magari per capire, però anche così, per diletto, gratis. Come al solito non si scopre nulla, ma il cinema resta fonte storica e specchio di poesia e contraddizioni che a rivederle sullo schermo, tra lotta di classe, Lsd a colazione, orge, ruderi e proclami, restituiscono l’eterno di una città e il trambusto di un’epoca. In questo senso tutto era davvero possibile a Roma alla metà degli anni 70 e pochi altri documenti lo dimostrano meglio di Glauber, Claro, lungometraggio che l’artista César Meneghetti ha dedicato al film che il grande regista Glauber Rocha, il Godard brasiliano, girò avventurosamente a Roma nel 1975, Claro appunto, e che la festa del Cinema ha appena proposto all’Auditorium in anteprima mondiale.
Quando la scorsa primavera Lucia Azzolina divenne ministra dell’Istruzione, da piò parti si notò come avesse una spiccata somiglianza con Sabina Guzzanti, il che spinse quest’ultima a pubblicare sui social due foto a confronto commentando: “Mi è stato riferito che la ministra va in giro facendo la mia imitazione“. Bene, a sei mesi di distanza si rende grazie a Guzzanti per essersi astenuta. Perché in coincidenza con la riapertura delle scuole, su La7 l’attrice Gabriella Germani fa l’imitazione di Azzolina; a Striscia la notizia Angelica Massera fa l’imitazione di Azzolina; e da un po’ anche sulla Nove Maurizio Crozza si è messo a fare l’imitazione di Azzolina.
Dei delitti e delle pene nell’era del trash diffuso e prolungatissimo. Donde un quesito ad alto tasso di pretestuosità: è piò grave che Fausto Leali abbia pronunciato la parola ’negro’ o che a stabilire i canoni di comportamento sia Il Grande Fratello da cui il medesimo Leali è stato, coram populo, espulso?
Sempre cara gli fu la sede, cosiddetta ’federale’, di via Bellerio, che per la verità non è mai stata bella, ma non per questo i leghisti hanno pensato e pensano ancora di vendere; e prima o poi finirà così perché troppi pasticci, troppi capricci, troppi impicci hanno continuato a combinare da quelle parti, nella piò scontata e grottesca continuità dal Cerchio Magico del vecchio Bossi ai Barbari Sognanti dell’ex risanatore Maroni fino ai giovani commercialisti bergamaschi del sovranismo filorusso e della Lombardia Film Commission.
La mascherina sul viso prima del tempo è certo un cortocircuito pretestuoso, una forzatura casuale, una coincidenza che parla piò del presente che del passato. Ma se c’è una figura che da 63 anni reca un’impressionante attualità, persino fotogenica, ecco, questa figura è Curzio Malaparte (1898-1957), che fu grande giornalista e grandissimo scrittore, ma soprattutto maiuscolo Personaggio straordinariamente mutevole, come d’altra parte richiesto dall’odierna cultura pop.
Alterazioni politiche e geografiche: a quattro anni dal terremoto del 2016-17 c’è un bel pezzo d’Italia che rischia semplicemente di non essere piò tale. Ed è un pensiero amaro, ma forse bisognava allarmarsi fin dall’inizio, e precisamente dal momento in cui tutti, ma davvero tutti, le massime cariche dello Stato in testa, pronunciarono quella frase a effetto, semplice e risoluta come una pubblicità progresso: «Non vi lasceremo soli».
L’dentità di un popolo risiede nella sua storia & ndash; ha scritto Benedetto Croce & ndash; in tutta la sua storia, in nient’altro che la sua storia». Il punto cruciale è se non sia il caso, o meglio non sia arrivato il momento di considerare nel divenire degli italiani tutto ciò & ndash; ed è moltissimo & ndash; che negli ultimi 40 anni è stato prodotto, consumato e assorbito anche in termini di mitologie fasulle, simboli scombinati, scherzi infiniti, oggetti inutili e scemenze, parodie, volgarità, invenzioni demenziali, ossessioni collettive, isterie di massa.
Ma poi: chi è stato veramente Licio Gelli? A 40 anni ormai dalla strage di Bologna viene da chiedersi che cosa dovrebbe pensare chi non c’era del Maestro Venerabile della P2; e per quanti articoli l’attempato tenutario di questa rubrichetta abbia dedicato al soggetto, non può che confessare il proprio smarrimento: imbroglione o assassino stragista? Materassaio all’italiana o figura centrale degli arcana imperii tipo Nato o Cia?
Nell’ambito dei narcisismi enologici, patriottici e commerciali, mentre l’economia è messa male e il Paese si frammenta, prosegue l’irresistibile marcia del vino di Bruno Vespa.
Nell’anno bisestile 2036 potrebbe finalmente terminare il Kali Yuga, processo che secondo l’escatologia induista avrebbe fin qui lasciato correre la civiltà verso la sua decadenza. In quello stesso 2036, secondo previsioni della società di consulting Pricewaterhouse, il volume delle attività bancarie degli Emerging Seven (Cina, India,Russia, Brasile, Messico, Indonesia e Turchia) supererà quello dei paesi del G7
Se ridendo si finisce per dire ciò che si pensa; e se i social rappresentano l’inconscio della società, ecco che nei giorni piò tosti del coronavirus su Instagram si è affacciato un giovane aspirante comico che però non faceva tanto ridere, un ragazzo con i capelli e la barbetta rossicci: «Il piò grande problema di questo Paese» questo l’esordio «sono i vecchi». Quel suo breve sketch suonava ispirato da una rabbia poco riconoscibile: «Non fraintendetemi, io non sto dicendo che bisogna uccidere i vecchi». E qui il giovanotto si fermava ammiccando: «Però...». Altra pausa: «Però se tutti morissimo a 75 anni: pensioni, lavoro, sanità: risolti». Un po’ grossolana risultava la chiusa, con ritorno allo spietato assunto iniziale: «Il piò grande problema di questo Paese non è l’africano, è tu’ nonna!».
«Dio creò l’uomo a sua immagine & ndash; è scritto nella Genesi (1-27) & ndash; maschio e femmina li creò». Ma senza che suoni come un richiamo fondamentalista, da un paio di settimane l’ultima versione di FaceApp è dotata di uno speciale filtro creatore, e con un paio di clic sul telefonino è possibile trasformare il maschio in femmina e viceversa.
Forse non tutti sanno che sui social vanno molto i preti. E siccome il mezzo è il messaggio, cantano, ballano, sorprendono, seducono, fanno ridere ben immersi nel flusso perpetuo dell’intrattenimento apostolico elettronico. Nascono così piccole grandi stelle del web ecclesiale, sacerdoti influencer il piò impressivo dei quali è Alberto Ravagnani, al secolo Rava, che è di Busto Arsizio, ha meno di trent’anni e un bel ciuffo distintivo: «Sono un prete. Vivo in oratorio. Insegno a scuola. Ogni tanto faccio cose sui social» si presenta nella sua bio.
Novità relativa: a Piazza Transenna, già Piazza Colonna, centro del centro della Capitale, sede del governo,si guarda, ma non si passa.
Trascorsi ormai dieci giorni dal 2 giugno, si porrebbe qui un quesito: gli italiani hanno scoperto un nuovo patriottismo o è quello solito, ma un tantinello bombato? E d’accordo, dopo una crisi occorre ritrovare il senso di se stessi.
Che poi l’arte, specie quella licenziosa, è così giocherellona da superare se stessa proiettando la piò armonica e caotica densità di orizzonti e significati. “Credevo che fosse di plastica“ si sente dire in un video da una turista, o forse era una passante, che la mattina presto si è imbattuta nel pisellone veneziano spuntato come un fungo (in micologia esiste in effetti il Phallus impudicus, anche detto “Satirione“) nel bel mezzo di piazza San Marco.
Vendere, vendere, vendere... Disse tanti anni fa l’ex pm Di Pietro: «Berlusconi sembra Wanna Marchi». Insinuò Giorgia Meloni qualche tempo dopo: «Renzi è il figlio segreto di Wanna Marchi». Lo stesso Renzi ammise: «Con gli 80 euro ho fatto come Wanna Marchi».
A proposito di immunologi, virus e disastri di comunicazione: chi si ricorda di Fernando Aiuti e di quello straordinario bacio divenuto icona della lotta all’Aids, ma anche di una stagione italiana tutt’altro che disprezzabile? Era il 2 dicembre del 1991 e il set fu deciso e allestito nella pausa di un convegno sull’Hiv alla fiera campionaria di Cagliari. Invano si è qui cercato l’autore materiale dello scatto. In compenso lei si chiamava Rosaria Iardino, aveva 25 anni, era sieropositiva da 7; oggi sta bene, è sposata con una donna, ha due figlie e seguita a occuparsi di Aids come presidente dell’associazione Bridge.
Spensieratino il servizio di Striscia la notizia sulla giornalista presunta scarmigliata; dignitosa, ma forse un tantinello spropositata l’iniziale replica di Giovanna Botteri dall’Estremo Oriente; curioso, per degli apprezzati professionisti della punzecchiatura, il successivo appello di Michelle Hunziker per chiarire che il siparietto sarebbe stato “a favore“; edificante la seconda reazione di Botteri. Così si è chiuso il tempestoso equivoco sulla messa in piega che nel frattempo i cattivacci dei social avevano selvaggiamente esteso ai rispettivi nuclei famigliari.
Fate i bravi, sennò arriva la Troika... E corre un brivido lungo la schiena ai popoli di manica larga, perché a differenza dell’Uomo Nero e del Babau, la Troika non è uno spauracchio per bimbi birichini, ma si è ben vista in opera qualche anno fa in Grecia, e sono stati dolori veri.
È duro da ammettere, ma la morte è straordinariamente creativa, piò la nascondi e piò ti sorprende, piò la dai per scontata e piò riattiva dal profondo qualcosa che si è dimenticato e che appare assurdo, inopportuno. Una di queste inaspettate riemersioni, in forma di odierna fruizione tecnologico-digitale, è la danza macabra
Le stelle stanno a guardare: nel senso che paiono insensibili a quanto da giorni subisce la bandiera blu su cui sono impresse nel segno dell’Europa. L’altra settimana si è visto l’onorevole Rampelli, Fdi, che con garbata solennità ha tolto il vessillo europeo dal suo ufficio alla Camera; già piò appariscente, in altra clip, un bersagliere in mimetica l’ha gettato giò da un tetto, al suono della fanfara.
Quando troppo e quando niente. Da un lato il pieno di apparizioni, interviste, intemerate e ordinanze; dall’altro, il vuoto della sala qui sotto che in tempi piò tranquilli ospitava le sonnacchiose riunioni della Conferenza Stato-Regioni alla presenza dei governatori. Che poi “governatori“ non sta scritto da nessuna parte, solo che da una ventina d’anni i giornalisti hanno smesso di usare le virgolette e i governatori, come succede, ci hanno preso così gustoda comportarsi ormai come capi di Stato, viceré, piccoli Cesari, tribuni della plebe, cacicchi, caudillini e satrapetti - e con il coronavirus ancora di piò.
Per sintomatica e fiduciosa coincidenza, quest’anno la Pasqua del coronavirus batte il 12 aprile, giorno nel quale si ricorda San Giuseppe Moscati, scienziato di vaglia oltre che medico di enorme amore per i malati, il quale visse quasi sempre a Napoli tra il 1880 e il 1927 lasciando un ricordo che mai come in questi giorni evoca un lampo di struggente e contagiosa bontà.
Chissà domani il ricordo di quandosi pensò che gli italiani dovevano comportarsi come i coreani. Secondoil consigliere del ministro della Salute: “Dobbiamo seguire la strategia di Seul“, dove al netto delle app, da sempre quei disciplinatissimi cittadini indossano le mascherine, senza virus, mossi da spontaneo e rigoroso spirito collaborativo e antiraffreddore.
Strane cose succedono in questi tempi, e molto in fretta; per cui nella fantasmagoria performativa del potere, principalmente a causa del virus, l’Italia si riconfigura come una monarchia rosa shocking. Occhio dunque ai simboli del comando e alla loro rielaborazione grafico-digitale.
Vi sono pratiche e nozioni che in forme varie, per quanto talvolta fra loro apparentate, si ritrovano in molti popoli e nelle epoche piò diverse“. Così Raymond Bloch apre La divinazione: saggio sul futuro e il suo immaginario (Mondadori, 1994).
Poi la pioggia è arrivata, e la siccità s’è interrotta. Ma anche per questo, o forse proprio per questo resta magnifica, nella sua potenza arcana, la foto della processione ad petendam pluviam, per invocare il dono dell’acqua nelle campagne di Marianopoli, Sicilia interiore e profonda, verso il santuario secentesco di Bilìci: i sacerdoti davanti, poi i contadini che portano sulle spalle un crocifisso disteso, dietro una statua di Sant’Antonio Abate con il suo porcellino e tutt’intorno un paesaggio splendido e riarso sotto un cielo azzurro senza una nuvola.
Considerazioni semiserie ai tempi del coronavirus: eh, ci mancava giusto la macchina della verità di Barbara D’Urso! Le vie del trash sono infatti inesauribili, oltre che lastricate di cattive intenzioni, perciò occorreva un Tribunale Supremo del gossip che previa misurazione della pressione, della sudorazione, della respirazione stabilisse l’ultima parola su: le esperienze extrasensoriali di Sandra Milo; l’annoso ’canna-gate’ all’Isola dei famosi; l’autenticità dei titoli nobiliari delle signore Daniela Del Secco e Patrizia De Blanck. E poi quale è la preferita per Vittorio Cecchi Gori: Rita Rusic o Valeria Marini? Ed è vero o non è vero che Pietro Delle Piane ha tradito Antonella Elia segregata nella casa del Grande Fratello?
E d’accordo: non è serio, né bello, né buono, né giusto, né opportuno, né niente, tirare in ballo il diavolo nelle faccende pubbliche. Oltretutto, non ne vale nemmeno la pena, e si finisce per assomigliare a qualche predicatore medievale o frate da Inquisizione; oppure si scivola nel ridicolo come quelli che giravano i 33 giri dei gruppi rock alla rovescia, operazione tutt’altro che agevole, sostenendo di trovarvi incisi dei messaggi di Satana.
Se ne saranno andate, nel frattempo, le cavallette? Boh. L’informazione purtroppo funziona così, e con l’Africa ancora di piò: una suggestione allarmante, un breve strepito di parole, un comunicato della Fao o dell’Onu, uno o due video, qualche foto, qualche sporadico ritorno e buonanotte. Sottinteso: si arrangiassero un po’ loro, benedetti africani, tra guerre, eccidi, carestie e sbalzi meteorologici. Per cui le cavallette rimangono lì: fra Kenya, Etiopia e Somalia hanno infestato un’area di 2.400 chilometri quadrati ai danni di circa venti milioni di abitanti, per lo piò agricoltori e allevatori. Addio pascoli e raccolti.
Io ti fotografo per farti male... Ci sono sempre stati, è vero, i paparazzi professionali, ma nel novero dell’evoluta regressione si segnalano oggi - bel progresso! - gli spaparazzi istituzionali, ovvero quei politici che, telefonino alla mano nelle assemblee elettive, fotografano gli avversari per svergognarli sui social: una forma di delazione visiva e performativa che ha qualcosa in comune con il malocchio, di lotta e di governo, applicato a una vita pubblica sempre piò lontana dagli ideali e immiseritasi nel primato della carne e del gossip.
Interrogativi inutili, anche se non del tutto innocui: che cosa ne sarà tra cinque o dieci anni della cravatta che Luigi Di Maio si è tolto platealmente durante il discorso delle dimissioni e che qualche zelante Cinque Stelle ha subito collocato sotto una campana di vetro?
Le peripezie dell’immagine, le giravolte della cronaca, uno sguardo sulle gioie e le magagne della vita. La rubrica di Filippo Ceccarelli