Paesaggi da ascoltare, da immaginare e da leggere. Una playlist di "paesaggi sonori" registrati dagli studenti del modulo "www...radio-tv1", PON Competenze base. Con un doppio clic su ogni traccia, sotto "info", è possibile leggere anche le rispettive narrazioni a cura degli studenti stessi: brevi s…
- by Ilaria Simonella, 3B Liceo Scientifico - Salgo sul tram numero 42, mi porterà alla giusta fermata.Ci sono parecchie persone sedute, vedo una signora parlare al telefono con gli auricolari, un'altra alla sinistra si sta truccando, noto che indossa un elegante vestito rosso, “forse andrà ad una festa”, penso. Mi piace immaginare le vite di questi sconosciuti, cosa faranno queste persone e fantasticare sul luogo dove potrebbero recarsi. Un posto si è liberato nel frattempo, posso sedermi anche io. Di fronte a me ho un ragazzo, mi sembra triste e allo stesso tempo furioso, probabilmente ha litigato con qualcuno. Sta maneggiando con una certa rabbia il display del telefono, sembra proprio agitato. Non so chi sia, eppure mi sorprendo a sperare che non sia nulla di grave ciò che lo preoccupa. Ecco, è arrivata la mia fermata. Scendo e mi incammino verso il luogo che mi era stato indicato nel SMS. Lungo la strada incontro parecchie persone, tutte hanno una cosa in comune: il cellulare in mano, sia grandi sia piccoli. Chissà cosa avranno tanto da guardare in quel piccolo “attrezzo”.Ma anche io lo sto guardando: controllo la via che sto cercando e mi guardo intorno finché la vedo. La palestra è circondata da auto parcheggiate. Sono lì davanti all’ingresso ora, mi faccio coraggio ed entro. Con grande sorpresa mi trovo ad assistere a un raduno di cani, ce ne sono di molte razze, ognuno accompagnato dal padrone. L’abbaiare forsennato crea ancora più confusione in testa. Cerco di farmi spazio tra la gente, non capisco il motivo per cui quel messaggio mi abbia portato lì. Dopo poco intravedo da lontano un ragazzo: mi fa cenno di avvicinarmi. Ci metto un po’ a riconoscerlo. Ora capisco perché mi ha detto di recarmi lì. Lui adora gli animali.
- By Giorgia Achilli, 3ITE - Sono le 7 del mattino, la mia mamma si sta pian piano svegliando per iniziare la solita intensa giornata di lavoro. Scende dal letto e in punta di piedi raggiunge la porta cercando di non svegliarmi. Non ci riesce, il rumore della maniglia interrompe il tranquillo sonno. Guarda l’orologio, è tardi. Scende di corsa le scale, apre il portone ed è avvolta dall’aria frizzante del sabato mattina. Lo sfrecciare delle macchine rende quel giorno davvero frenetico. La sento aprire la sua lavanderia e mettersi all’opera. Un’intera giornata chiusa li dentro tra camicie da stirare e panni da lavare.La centrifuga della lavatrice gira all’impazzata, proprio come lei, preoccupata per una macchia che non riesce a togliere. Il vecchio ferro sbuffa, quasi non riesce più a sostenere tutta la fatica. Mamma è ricurva, concentrata a non lasciare nemmeno una piega a quell’elegante camicia. È triste però, quante cose vorrebbe fare…magari passare un intero weekend con i figli, invece no, l’insormontabile lavoro le toglie il tempo. Solo un rumore rallegra l’atmosfera: è quello costante della lavatrice più grande di tutte, che richiama la mamma a tornare con i piedi a terra, distogliendola da pensieri un po’ tristi.
- By Alessia Xu, 3A Liceo Scientifico - Ah! Ancora un lunedì, il più deprimente e triste dell’anno: il Blue Monday. Mi strofino gli occhi per scuotere via il sonno, come al solito. E come al solito non funziona. Mi preparo per un’altra mattinata di scuola. Esco da casa e non ricordo neanche cosa ho mangiato pochi secondi fa per colazione. Alzo gli occhi al cielo, non c’è l’ombra del sole. Tutto mi sembra così insensato. Sento di essere vivo solo per il freddo lancinante che punge la punta del mio naso. Provo dolore, addirittura. Odio l’inverno. In realtà odio anche l’estate, la primavera, l’autunno. Trovo sempre un difetto in tutte le cose. Perso nei miei pensieri, non mi accorgo che sono già arrivato a scuola. Un grande senso di stanchezza mi pervade. Entro in classe e vengo accolto da saluti falsi, già ho dimenticato i volti di coloro che mi hanno rivolto la parola. Mi siedo in ultima fila e cerco di ascoltare la lezione. Inutile....oggi proprio non riesco. Maledetto Blue Monday. Le ore sembrano infinite ma la tanto attesa campanella mi riscuote dallo stato di trance: eh sì, ho proprio fame. Meglio fare l’intervallo.Quando finalmente esco dalla scuola, una luce mi abbaglia. Sbaglio o prima non c’era il sole? Il calore che sento scalda il mio corpo e con esso anche l’animo. Apro gli occhi, mi sembra di vedere un mondo nuovo. Il cinguettio degli uccelli richiama la mia attenzione: nascosto tra i rami di un albero spoglio, c’è un nido di passeri e quel canto soave mi fa dimenticare tutto il resto. Una sola foglia verde in cima a uno di quei rami, tradisce l’inizio della nuova vita e il tutto mi sembra straordinariamente armonioso. Anche se il tempo non si può fermare; anche se tutto sembra insensato, a volte triste e noioso, sono certi piccoli dettagli della vita a renderla sopportabile. Alla fine tutto è una questione di punti di vista.
- By Maria Andreozzi, 3B Liceo Scientifico - Mi sono svegliata prima del solito, questa mattina; come sempre, mi sono affacciata alla finestra per sentire il cinguettare dolce degli uccelli. Credo sia una sensazione meravigliosa. Era un canto accompagnato dal lento, sottile cadere della pioggia che risuonava sull'asfalto, laggiù in strada.E in lontananza, le oche allevate dal mio vicino: insistentemente, starnazzavano .Da sempre è la natura, per me, la più grande fonte di serenità, di pace, il luogo in cui mi rifugio per evadere dalla realtà in quei momenti di sconforto, che ogni tanto mi colgono.
- By Elia Mira, 3ITE - Come di consuetudine, anche stamattina scendo dall’autobus per andare a scuola. E’ la solita storia. Un via vai di auto che passano, chi per un motivo chi per un altro, chi va a lavoro per tirare a campare, per portare avanti la famiglia, chi per andare al bar a prendersi un caffè, leggere la Gazzetta o sfogliarla distrattamente. Se sia meglio o peggio non lo so, ma io, a differenza loro, sono qua per entrare a scuola. L’anno scolastico è ancora molto lungo e ogni giorno, lungo questo piccolo tragitto – pochi passi dalla fermata dell’autobus all’entrata dell’istituto – si rincorrono le emozioni, tante e diverse tra loro: non si direbbe, sembriamo tutti assonnati, assenti, ma se ci osservate bene mentre ci incamminiamo, noterete chi sta in ansia per un compito in classe, chi per una interrogazione, chi è felice perché il giorno prima ha preso un 9, chi perché quel giorno ha materie più “leggere” rispetto ad altre, chi ha il cuore che palpita per qualcuno o qualcuna, chi per la squadra del cuore che la sera prima ha giocato e vinto, chi sta passando un momento "un po' così".Giro l’angolo adesso, vedo tutti gli amici che scendono dalle altre corriere. Un cenno e, scherzando, ci fermiamo a fare due chiacchiere col sottofondo delle campane del paese: ci ricordano che dobbiamo sbrigarci, sono già le 8, occorre entrare in classe. E allora via, giù per le scalette che scendono verso il cortile di quella scuola di vita che noi studenti chiamiamo “casa”.
- By Lorenzo Giacomozzi, 4ITE - Rientro a casa avvolto da un silenzio innaturale, sento soltanto il mio passo pesante salire le scale. Entro nella solitudine di casa; allora accendo la radio, l’unico modo che ho per staccare dal mondo che non mi risparmia neanche un secondo. Metto a posto la poltrona rimasta li dall’ora di pranzo, e mentre la sposto guardo fuori dalla finestra. Resto attonito, stupito dal panorama: splendido è il tramonto, illumina d’arancione la catena montuosa degli Appennini. Tra le scintille del giorno che muore, sento la promessa dell’alba che verrà.
- By Claudia Timi, 3B Liceo Scientifico - Mary si prepara, è mattino presto. Tra poco uscirà di casa, deve andare al lavoro. Ieri sera c’è stata una forte nevicata, di quelle che sbiancano completamente le campagne. E ancora fiocchi cadono, quando esce la ragazza. Fuori di casa apre l’ombrello. Il paesaggio intorno è imprigionato nel gelo; il coraggio è sfidare una lastra di ghiaccio cammnandoci sopra; il rischio è che si rompa, il conforto è che lasci spazio alla neve candida, lì sotto: un manto morbido e soffice, in cui affondare. E' vicina ormai alla strada principale, Mary, sente adesso le auto: sembrano circolare regolarmente. Non lavora lontano dalla propria abitazione, come ogni mattina raggiunge a piedi il luogo di lavoro. È un’impiegata d’ufficio: tutto il giorno davanti al computer. Quando la sera torna a casa è distrutta, per non parlare dello stipendio: è difficile pagare l’affitto se si è soli, come lei. Conclusa è anche quella giornata. Torna al suo rifugio la ragazza. L’abitazione è fredda, Mary accende il caminetto. Prepara la cena; non vede l’ora di andare a dormire per sognare qualcosa di migliore.
- By Diego Giandomenico, 4A Liceo Scientifico - Camminava verso l’ignoto; nemmeno lui sapeva dove conducessero i suoi passi, ma continuava: negli auricolari aveva la sua canzone preferita. Era strano come il tutto concordasse alla perfezione con il verso dei cardellini, che lo scrutavano curiosi dalla sommità dei nidi. Ad un tratto i passi si interrompono, gli uccelli ammutoliscono e un’atmosfera cupa, tenebrosa guadagna spazio. E’ stordito dalla musica, il ragazzo: la sente andare a ritroso. Lo sgomento gli toglie, con un gesto fulmineo, gli auricolari. La canzone continua ancora a risuonare nella sua testa, ora sembra quasi un lamento di disperazione. Si guarda attorno, il ragazzo, e non vede altro che il vuoto. All’improvviso vaghe immagini iniziano a scorrergli davanti agli occhi. Erano sui ricordi? Era come se stesse viaggiando nel proprio passato, ma ad una velocità elevatissima, che gli confondeva la smente. Nient’altro che il caos. Risorgeva da un buco nero il ricordo dei suoi primi disegni. Sentiva il fruscio della grafite ritrarre su un cartoncino altre immagini, reminiscenze ben nascoste nelle vie contorte dell’animo. Cade improvvisamente una moneta a ricondurlo nel precipitare temporaneo della sua vita presente: di delusioni ne stava ricevendo a bizzeffe in quel periodo ed era stato il sogno a riportando indietro nel tempo, quando tutto era ancora radioso e spensierato, quando l’unica delusione poteva essere quella di perdere una partita di calcio un istante prima dei tre fischi finali.
- By Elena Azzurro, 4ITE - Quando le persone mi vedono, non possono far altro che osservare la tranquillità. Sono una di quelle che gli altri definiscono 'semplice', con una vita semplice, una casa semplice, dei semplici vestiti. Ed è ciò che voglio trasmettere, ma quell'immagine serena è niente altro che un'illusione. La mia è una vita frenetica, tra il lavoro, la famiglia, la casa; forse non so ancora bene come gestire tutto questo: sono ancora giovane, appena trasferita in una grande città, sola, con un grande sogno, ma non conosco nessuno.L'unico posto dove non entra l'uragano che c'è nella mia testa è il mio appartamento.È come se davanti alla porta ci fosse un cartello con su scritto “Vietata l'entrata ai problemi”, perché quando sono a casa voglio pensare solo a me e alla mia gatta: Luna.E’ una piccola abitazione la mia: lì posso essere me stessa senza pensare ai problemi quotidiani.Quando l’ho visitata per la prima me ne sono innamorata: è piccola, sì, ha una sola camera da letto, un bagno, una cucina ed un salotto. La particolarità, mi raccontava allora la proprietaria, è che in tutto il palazzo è l'unico appartamento ad avere un camino.L’ho presa in affitto immediatamente.Ed ora eccomi qua, davanti alla porta di una casa non più vuota. A riempirla c’è una ragazza che vuole lasciare fuori dalla porta la frenesia della vita. Apro e ad accogliermi c'è Luna, mi saluta sempre appena torno, anche adesso. Non mi giudica mai.Mi tolgo le scarpe, mi metto dei vestiti più comodi e preparo un tè caldo. Sono solo le 5 del pomeriggio, eppure mi sembra che siano le 11 di sera. Controllo il camino e c'è ancora la fiamma accesa. Mi piego per aprire lo sportello e un'ondata di calore travolge il mio viso.Lancio uno sguardo al libro che ho lasciato sopra il tavolo il giorno precedente, tendo il braccio cerco di prenderlo.Luna viene verso di me, miagola, poi salta su quella che io chiamo 'il trono di Luna': niente altro che un cuscino rosso accanto al camino. Le faccio una piccola carezza in testa e mi giro per prendere un pezzo di legno da buttare sul fuoco; è la legna che mio padre porta a casa ogni fine settimana dalla campagna, solo per me.Mi pulisco le mani, le stropiccio, le sfrego e faccio un sorso del mio tè. Pensando a mio padre, la mia espressione si intenerisce subito, poi cambio espressione: gli voglio un mondo di bene, ma crea ogni giorno problemi a destra e a manca e sono sempre io, sua figlia, a dover rimediare.Si intestardisce per ogni piccola cosa, una partita di calcio in tv o al bar con gli amici; e quando si arrabbia diventa una persona diversa: violenta, ingestibile.Perciò ogni giorno torno a casa prima da lavoro, mi cambio, mi metto comoda davanti al camino. Con Luna, che dorme vicino a me, e un buon libro aspetto la chiamata di papà, del bar, o addirittura dei carabinieri: mi preparo mentalmente, cerco di ricaricare le energie per diventare quella persona tranquilla e semplice che tutti vedono in me.
- By Sofia Scoccia, 3B Liceo Scientifico - Ci sono enormi distese di campi coltivati, il radioso sole che risplende, il rilassante cinguettio degli uccellini, il fruscio del vento fra le foglie, la leggera brezza. Quel cielo magnificamente blu, il profumo della terra, dell’erba, del fieno.E ancora i campi, il cocente sole, il canto degli uccelli, il vento tra gli alberi. Quel cielo blu, l’odore della terra, dell’erba e del fieno.E di nuovo i campi, il rovente sole, il fastidioso vento. Quel cielo blu, quel fetore di letame e di animali.Vorrei solo evadere da qui. Fuggire da questa monotonia. Là, tra le strade affollate, tra il brusio della gente, dei turisti. Tra solenni monumenti, teatri, maestose chiese, palazzi che trasudano cultura, storia e leggenda. Là vorrei stare.
- By Valentina Tartaglione, 3A Liceo Scientifico - Ho da sempre una grande passione: la musica.So che quando lo dico può sembrare strano, soprattutto per chi sa che sono una cuoca. Mi pare abbastanza ovvio che gli altri si chiedano: “Ma come, la sua passione non dovrebbe essere la cucina!?”Sì, lo è. Ma loro non sanno che io cucino proprio perché mi piace la musica.Quando ero piccola, ogni Capodanno vedevo in televisione il concerto al teatro “La Fenice” di Venezia. Rimanevo incantata, amavo quelle sinfonie e non capivo come potessero tutti quegli strumenti accordarsi l’uno l’altro, fino a quando… non ho creato io una mia orchestra.Quando mia mamma cucinava, sentivo una nota, un ritmo, una musica dietro ogni rumore.Il forno che si accendeva, i ticchettii del timer, la fiamma del gas, i tagli netti del coltello sulle carote, lo sfrigolio dell’olio, tutto era un susseguirsi di note che andavano a “comporre” una dolce, anzi dovrei dire una salata...melodia. Quando tutti i giorni a lavoro do gli ordini alla mia brigata mi sento come un direttore d’orchestra, e sono orgogliosa di aver dato vita ad una musica da gustare oltre che da ascoltare.
- By Samuele Tacchetti, 3B Liceo ScientificoSi era nel New Jersey e accadde nei primi anni del '900. Quella notte pioveva, mentre andavamo in cerca di un manicomio in cui si credeva fossero stati rinchiusi i più pazzi e pericolosi uomini al mondo. Proprio questo ci incuriosiva, volevamo a tutti i costi ritrovare quell'ospedale psichiatrico ormai sperduto; percorremmo le strade dell'intera città, accompagnati dalle auto che viaggiavano in piena notte e sotto un'impetuosa tempesta. Usciti dalla città, sempre più lontani, arrivammo nei pressi in una boscaglia: ora c'erano solo il fruscio delle foglie e lo scrosciare della pioggia intorno a noi. Percorremmo un sentiero, quando un rumore inatteso ci avvicinò. Avvertimmo la sensazione che volesse indicarci la via per giungere al manicomio. Sinistri canti di uccelli cominciammo a sentire di lì a poco e subito l'eco di risate inquietanti, come di persone per noi tutt'altro che normali. Capimmo di essere ormai vicini e, nonostante il freddo, la pioggia e la paura, decidemmo di andare fino in fondo. Più ci avvicinavamo, più quelle risate aumentavano di intensità, finchè sentimmo un ramo spezzarsi e la voce di un uomo, ma non capimmo esattamente quali parole avesse pronunciato.L'ospedale statale di Trenton si spalancò allora davanti ai nostri occhi. Quando entrammo, centinaia di persone erano lì, raccolte in una grande platea, simile a quella di un cinema. Ci guardavano e ridevano in continuazione: ci sembrò che ridessero come se noi fossimo attori comici di un film, poi capimmo che ridevano di noi. Ai loro occhi, eravamo noi i folli.
- By Francesco Siminelli, 4A Liceo ScientificoUn silenzio assordante, quasi surreale. E' il fragore più forte che io abbia mai udito. Questo silenzio mi aiuta, mi stimola, innesca la mia mente, la fa lavorare: ho come la sensazione di volare. Sto fluttuando sopra tutti i miei ricordi; vedo me stesso da bambino mentre gioco, riconosco la mia infanzia. E' molto suggestivo. Che sia solo frutto del silenzio è molto suggestivo: questo voglio dire! Magari è una quiete falsa, magari è tutto nella mia mente mentre fuori, in realtà, c'è il finimondo. Ma stando in silenzio per un tempo innumerevole, questo è ciò che evade dai labirinti della mente. Giusto una minima parte, tanto per.Non vorrei risultare un semplice, banale ragazzo che fa finta di avere la testa piena, in fondo ho solo 17 anni. Scorrono a flussi i pensieri che s’arrovellano nella mente e sembrano quasi le parole di un libro, o di un'autobiografia, no? In realtà è il silenzio, un silenzio che non mi fa smettere di parlare con me stesso. O di scrivere. Sto fuggendo da me stesso? Ma da cosa dovrei fuggire, dopotutto. Sto forse cercando di distrarmi col pensiero dal silenzio che mi avvolge? Ma il pensiero è in sé muto. Sto impazzendo? No, non penso. Prima o poi qualcosa romperà il silenzio. Ma perché romperlo? Alla fine non c'è nulla di male nel lasciarsi cadere in banalissime domande che l'uomo fa finta di porsi. Dio esiste? La realtà è vera realtà? Le emozioni servono o sono la più grande forma di inutilità sulla faccia della terra? Domande che mi facevo a otto anni. Acqua passata, ormai. Dai, che ora mi trovo bene con me stesso! Dai, che dopo un po’ ci si fa il callo; e ringrazio il Silenzio per la partecipazione. Aspetta, sento qualcosa. Un ticchettio, un fastidio. Una sveglia? Si, la sveglia. Era tutto un sogno allora. Allora era davvero tutto nella mia testa. E li rimarrà. Buongiorno.
- By Albana Kumara, 3A Liceo Scientifico - Che lunga giornata era stata! Dopo un compito di matematica sulle parabole e due ore di filosofia su Platone non vedevo l’ora di arrivare a casa e stendermi di peso sul letto. Ma non avevo le chiavi: nella fretta della mattina, le avevo dimenticate. Né sapevo se ci fosse qualcuno in casa ad aprirmi. Spinsi le dita sul campanello, ma non sentii alcun suono: nulla. Forse un blackout? Capitano spesso interruzioni del genere dovute a lavori di manutenzione. Decisi allora di fare all’antica, provai a bussare. Attesa. Niente.Non c’èra nessuno. Rassegnata al destino di dover aspettare ancora per un’ora, vidi leggermente socchiusa la porta che conduce sul tetto del condominio. Di solito resta sempre chiusa a causa dei bambini che ci vivono, ma questa volta gli inquilini del piano terra l’avevano dimenticata aperta. Cercai di aprirla facendo il meno rumore possibile, ma un acuto cigolio si sparse per tutte le scale. Sperai che lo coprissero il rombo dei motori delle auto, che sfrecciavano impegnate per la strada, quando un suono inatteso captò la mia attenzione. Forse un cane o un gatto randagio stava frugando nei sacchi di raccolta della carta. Sì, era proprio cosi. “Tutto nella norma” pensai, quando vidi sbucare dal cassonetto una mano umana intrisa di sangue.
- By Giorgia Baghetti, 3ITE - Mark sta andando all’appuntamento con Julie, la sua migliora amica: la conosce da anni ormai. Con lei si confida sempre, ma non si sono visti molto negli ultimi tempi, per via dell’eccessivo lavoro. Un messaggio arriva, Mark controlla il telefono: è un sms da parte del suo capo, Bob. Lo avverte che il signor Moor è appena tornato in città e occorre immediatamente interrogarlo. Mark lo sa bene, c’è bisogno di prove, potrebbe essere proprio lui l’assassino. Deve rinunciare all’appuntamento con la sua amica. Le scrive un messaggio e raggiunge l’auto, sale e riparte: destinazione, l’aeroporto. Serve un’ora buona di macchina. Mentre guida pensa alle domande che rivolgerà all’indiziato. Controlla di avere addosso il taccuino e la penna: li sente entrambi nella tasca interna della giacca. Riceve una chiamata ma decide di non rispondere perché quando è concentrato non vuole parlare con nessuno. E intanto inizia a piovere. Accende la radio per ascoltare un po' di musica, alza il volume per non sentire né il rumore dell’auto né quello della pioggia. Giunge infine all’aeroporto. Ha appena parcheggiato, spento il motore il silenzio è subito squarciato da due spari. Si abbassa d’istinto sul sedile e nello specchietto laterale lo vede: il signor Moor è a terra sanguinante. La folla nel parcheggio inizia ad urlare, presa dallo spavento. Era dunque lui, il signor Moor, l’assassino: aveva riconosciuto Mark, si era sentito in trappola e con un colpo alla gola, si era tolto la vita. La polizia era già sul posto, incredibile: come poteva essere già lì? Qualcosa non quadra, pensa Mark. I poliziotti sono lì per lui, lo costringono a salire nell’auto diretta in centrale. E’ lui il sospettato. È tutto un grande malinteso.
- By Klarissa Hoxha, 3A Liceo Scientifico - Quel mattino mi svegliai con la consapevolezza che non sarebbe stato un giorno come gli altri: quel venerdì 30 settembre la mia vita sarebbe cambiata totalmente.Nonostante il ritardo, presi il tempo necessario per fare colazione e finire di sistemare le valigie.D’altronde era quasi tutto pronto: le chiavi della casa in cui ero cresciuta le avrei consegnate a zia e sarei partita per Seattle, iniziando tutto da capo.Ma ciò non mi importava; avrei fatto di tutto pur di trasferirmi nella città dei miei sogni.Non avendo tempo di preparare il caffè, decisi che lo avrei preso all’aeroporto. Così presi i biglietti e, per l’ultima volta, chiusi la porta di quella casa, inconsapevole del fatto che non sarei mai giunta a Seattle.
- By Giorgia Tossici, ITE - 7:45. La corriera era in ritardo tardi. Di nuovo. Succedeva quasi ogni giorno ed Elisa non riusciva più a sopportare i bambini delle medie che sghignazzavano continuamente. Avrebbe potuto accettare che parlassero un po’, magari a bassa voce, ma loro strillavano. Sembrava quasi che lo facessero apposta, ma non si erano appena svegliati anche loro? Lei, di prima mattina, non era in grado di mettere in fila due parole e loro discutevano animatamente? Per non perdere il controllo di sé decise di mettere le cuffiette e cercare di ignorarli. Alzò il volume della musica al massimo e cercò di concentrarsi sul testo. Canzone peggiore non poteva ascoltare in quel momento. Era troppo sdolcinata per lei. Avrebbe voluto cambiare traccia ma il telefono aveva deciso di andare in tilt in quell’istante. Dopo quelli che le erano sembrati secoli di attesa alla fermata, ecco arrivare la corriera. Con “thousand years” nelle cuffie, i ragazzi e le auto in sottofondo, camminava lentamente.Un’altra pessima giornata era appena iniziata.
- By Luca Severini, 3A Liceo Scientifico - Gli sembrava una giornata come le altre. L'unica differenza è che quel giorno c'era il sole e si sentivano cinguettare gli uccellini. Camminava sulla poca neve rimasta a terra, di ritorno dal lavoro. "Crack, crack, crack". Tirava dritto verso casa. Nella monotonia della sua vita, quel giorno gli appariva come una rinascita. Non era solo l'arrivo della primavera, avvertiva in sé una rinascita spirituale. Sì, forse era un po' metereopatico. Camminado si sentiva persino coccolato dal traffico cittadino, che non era molto intenso in quel tratto di strada. Stranamente era più eccitato del solito. Che fosse solo il tempo? No...Aveva fatto qualcosa che non doveva, qualcosa di stupido, che però lo faceva sentire vivo. Nell'armonia dei suoni, cominciò poco a poco a diventare paranoico. Sentì una macchina passargli vicino e frenare bruscamente. Nello stesso momento, lo distrassero le voci che fuoriuscivano dal bar lì a due passi. Quel solo istante ruppe completamente l'armonia dei suoni."Che quella macchina avesse frenato per me? Cercava me? Ma era subito ripartita! Impossibile! Resta calmo, calmati”, si diceva. “E quei tizi che parlavano al bar? Forse qualcuno mi stava osservando. Mi sta osservando qualcuno adesso?”, continuava a dirsi. “Devo solo continuare a camminare, devo solo arrivare a casa." ripeteva ossessivamente nella testa.Quella pacatezza che aveva all’ inizio della camminata ormai era solo un ricordo. I rumori nell'ultimo tratto di strada erano gli stessi, ma era lui a non essere più lo stesso. Cosa aveva fatto? Perché era così paranoico?Era arrivato a casa. Mentalmente annientato. Sconquassato emotivamente. Aprì la porta e la chiuse velocemente. I rumori del mondo fuori si spensero, e rimase in silenzio coi soli rintocchi dell'inquietudine.Nei giorni precedenti era entrato nel deep web, solo per curiosità, per sfizio. Aveva parlato con chi non avrebbe mai dovuto parlare, né trattare. Prese un pezzetto di carta e accese il computer. Voleva rimediare ai suoi errori. Cancellarsi dal sito a cui s'era iscritto ed evitare che le cose degenerassero. Cominciò a prendere appunti, scriveva velocemente, era nel panico; batteva forte le dita sulla tastiera senza tregua. Il pensiero della morte lo tormentava. Scriveva e pigiava tasti. Non si calmava. Improvvisamente qualcuno spaccò il vetro della finestra. Frantumi di vetri e poi Pam!...Pam!...Pam! Tre colpi di pistola silenziata alla schiena.Era morto, accasciato sulla scrivania, col braccio che penzolava giù.Dalla finestra rotta, la natura estasiata tornò a farsi sentire. L’assassino selezionò qualcosa con il mouse sul computer della vittima. Intanto, terribile era il gocciolio del sangue sul pavimento...
- By Martina Mazzoni, 3A Liceo Scientifico - Mi ero trasferito da poco in quella città così caotica e mi fu sufficiente un breve periodo per comprendere la frenetica vita delle metropoli.La sveglia suonava all’alba, si dormiva poco dato e ogni giorno bisognava fare i conti con km e km di file, suonando in continuazione il clacson per cercare di superare il via vai di camion, automobili, motorini e arrivare al lavoro o a scuola in orario.Camminando lungo le vie, ci si imbatteva in gente di etnie diverse, bambini, artisti, negozianti, barboni, che animavano la città di un baccano continuo, alimentato anche dal frastuono evaso dalle single case: urla, pentole, stoviglie e aspirapolvere sempre più velocemente movimentati nelle abitazioni.Gran parte delle persone trascorreva la giornata fuori casa, i cellulari squillavano in continuazione, chiamate e messaggi di colleghi, amici, familiari che obbligavano tutti a correre da un posto all’altro: casa, scuola, palestra, supermercato. Si inseguiva a volte, il nulla, senza riuscire a trovare del tempo per rilassarsi. In ogni città la parola d’ordine è andare di corsa. Si vive sotto pressione, i livelli di stress e ansia crescono, ridotto al minimo, invece, è il tempo da trascorrere con la famiglia. Il corpo invita però a fermarsi, a trovare il tempo per se stessi, in compagnia della solitudine, allontanandosi dai rumori delle città per ritrovare il silenzio, dove ascoltare di nuovo l'io, la dolcezza della natura.
- By Arianna Santinelli, 3A Liceo Scientifico - Rosa dorme. Da tanti anni il marito Lucio non c'è più. Ama addormentarsi abbracciando il cuscino di lui per sentirlo più vicino; forse è proprio per questo che sognava sempre la loro prima uscita. Era il 17 Marzo, il giorno del patrono. Per la prima volta, nel piccolo paesino di Torre San Patrizio, era stato allestito un luna park. I due giovani erano arrivati in motorino: lui spavaldo, con la giacca di pelle appena comprata, lei timida e bella come il sole. Erano circondati dall’allegria: i bambini che guardavano meravigliati il mangiafuoco e ridevano alle barzellette del clown, gli adulti attratti dalle magie della maga in fondo alla strada. Rosa e Lucio si scambiavano continui sguardi d’intesa tra un morso di zucchero filato e un giro di giostra, fino a quando a mezzanotte il cielo si colorò si rosa, rosso, verde e, sotto la magia di quei fuochi d’artificio, come ogni storia d’amore prevede, si baciarono per la prima volta. In quel momento entrambi capirono di aver trovato l’altra metà della mela e fu proprio così. Si sposarono alcuni anni dopo, con le campane a festa sotto un cielo sereno. Rosa pronunciò il suo “lo voglio” con le lacrime agli occhi. Fu quella la scelta più giusta della sua vita.La sveglia ora suona, il sogno finisce e Rosa si sveglia. E' felice di aver ritrovato ancora una volta l'amato marito.
- By Laura Botticelli, 3A Liceo Scientifico - Sono le sei di sera, sto tornando a casa a piedi: come sempre. Ho appena fatto gli allenamenti e sento i miei passi pesanti: è la stanchezza accumulata in questa giornata. Mentre cammino, mi sorprende il canto degli uccellini. Credo che l'inverno stia finendo. Mi piace la stagione fredda, eppure sono invasa da una sensazione di serenità al pensiero della primavera che porterà giornate di sole, vedrà sbocciare i fiori e sentirà il canto degli uccelli. Mi passa accanto un auto mentre cammino verso il parco: lo attraverso ogni sera per tornare a casa. È vuoto e un po' desolato, fa ancora troppo freddo e i bambini non escono a giocare. Da piccola adoravo venire in questo posto, c'erano un sacco di bambini e ritrovarsi a giocare con loro era bello. Davvero. Ricordo pomeriggi interi trascorsi qui con i miei amici. Eravamo così felici e spensierati e bastava un pallone per farci stare bene. Ma il tempo cambia tante cose e ora con loro non parlo neanche più. Scaccio questi brutti pensieri insieme ai ricordi e torno al presente, quando due donne mi passano accanto chiacchierando. Sono quasi arrivata, tiro fuori le chiavi e apro il portone. Casa è vuota come sempre, eppure oggi lo sembra un po' di più; sarà per questa malinconia che mi porto dentro e che non riesco a spiegare. Mi convinco che passerà presto, e perché accada più in fretta accendo un po' di musica. Dopotutto, alla tristezza non c'è rimedio migliore.