Quante cose sono successe e non hanno lasciato traccia? O meglio, in un momento specifico della nostra vita sembravano essere gli eventi più importanti e fondamentali della vita nostra e dell’intera umanità ma che, con il passare del tempo, sono state dimenticate, cancellate, sepolte nella nostra memoria. E a ritirarle fuori oggi, alcune di queste ci fanno ridere, altre riflette, altre ancora inquietare: questo è lo scopo di Fixing news, quello di riportare a galla temi e notizie di un anno fa che adesso ci sembrano dimenticate, ma che è sempre meglio ricordare. Un’idea realizzata e pensata dalle menti di Blogo e Slow News.
Mentre i 69 giorni del primo lockdown finiscono e una pioggia di annunci occupa i media, scopriamo l'esistenza (e la sofferenza) di una categoria di lavoratori totalmente invisibili.
Che cosa significa davvero essere limitati nelle proprie libertà?
Stavamo per vedere la fine del (primo) tunnel, ci abituavamo alla tragedia quotidiana ma dimenticavamo le emergenze di prima, inquinando sempre di più.
Il primo 25 aprile senza la possibilità di manifestare in piazza, le polemiche sarcastiche sui “congiunti”, e la COVID-19 che arriva in Africa, o no?
A metà aprile del 2020, il Covid era tra noi ormai da due mesi (probabilmente perfino di più) e mentre in Cina l'allarme veniva gestito e in parte rientrava, qui da noi erano giorni di sconforto.
Mentre finisce la quarantena a Wuhan, l'epicentro della prima ondata, in USA Biden incassa gli endorsement pesanti di Obama e Sanders, mentre papa Francesco porta la croce da solo, per la prima volta in Vaticano, e le librerie indipendenti diventano loro malgrado un campo di battaglia.
Prima la scuola, ok. Ma quale, e come? Da un anno, non abbiamo ancora capito come affrontare e risolvere la questione.
La curva della prima ondata arriva all'apice, si iniziano a fare previsioni su quando ne usciremo e su che impatto avrà la quarantena a livello economico, ma anche a livello psicologico.
Fra immagini iconiche e titoli terrificanti, come si orientano le persone? È sempre più difficile. Ecco perché dobbiamo aggiustare quel che abbiamo rotto.
Mentre in Italia esplodeva la pandemia e c'era già chi gridava alla “dittatura sanitaria”, per Eddi Marcucci iniziava il regime di sorvegliata speciale.
Messaggi alla nazione, dirette Facebook, bollettini ogni sera: la guerra esiste se la racconti.
Mascherine che non si infilano, turismo che chiude e auto che non si vendono, le ultime ore prima del lockdown.
Pazienti zero che non lo erano, notizie che prima lo erano eccome che passano inosservate e un ragionamento sui pericoli derivati da una percezione sbagliate della realtà indotte dai media.
A un anno dall'inizio dell'infodemia ci troviamo alle prese con uno degli effetti più pericolosi dell'informazione distorta a cui ci siamo abituati: la polarizzazione.
Tra primarie e notizie allarmanti da Wuhan, diamo finalmente comincia l'infodemia.
L'ultima settimana di gennaio del 2020 è probabilmente la prima in cui abbiamo iniziato a percepire che qualcosa di grosso stava accadendo, anche se ancora non potevamo sospettare quanto fosse grossa la cosa che stava per piombarci sulla testa: il coronavirus sbarcò ufficialmente in Europa.
Un'epidemia si trasforma in pandemia, i soliti gravissimi problemi di sempre e le nostre chiacchiere sul nulla, ma mentre come abbiamo visto il timore per quella nuova forma di coronavirus che ora conosciamo fin troppo bene si stava insinuando poco a poco nelle nostre menti attraverso le notizie che arrivavano dalla Cina, e tutto il resto proseguiva come terribilmente al solito una notizia sconvolse il mondo della cultura pop.
Esattamente un anno fa non eravamo ancora preoccupati sul serio per quello che sarebbe diventato il nostro mostro quotidiano, l'argomento che iniziava e concludeva ogni nostra conversazione, sia mediatica che sociale. Non eravamo ancora allarmati noi, ma soprattutto non lo era ancora l'OMS. E intanto noi a cosa pensavamo? Di cosa discutevamo? Di cosa parlavano i giornali e cosa ci occupava il tempo nelel nostre discussioni sui social?
Il 7 gennaio del 2020 fu un giorno come tutti gli altri che lo avevano preceduto, almeno così pensavamo. Eppure, mentre fantasticavamo sull'operazione di SpaceX, che portava in orbita decine di satelliti con l'obiettivo di trasmettere Internet dallo spazio, mentre ci schieravamo come sempre in tifoserie di fronte alla decisione di Facebook di eliminare dalla piattaforma i cosiddetti deepfake, mentre ancora pensavamo che la minaccia incombente fosse una terza guerra mondiale scatenata dall'uccisione del generale Suleimani, mentre applaudivamo una ulteriore incriminazione di Harvey Weinstein per altri casi di stupri, sui giornali di tutto il mondo iniziò a girare una notizia che letta oggi dà la vertigine.
Dodici mesi fa, l'anno che avrebbe cambiato tutto - ma che per noi era ancora un anno come tutti - venne inaugurato da una ondata di polemiche, chiacchiere e meme, alcuni decisamente ben riusciti, generati da un fattoide che visto ora, a freddo, è totalmente WTF.
Ogni anno sono in tanti quelli che provano a fare delle previsioni, e non solo nelle pagine finali dei magazine riservate agli oroscopi.Di questi tempi, in questi ultime ore dell'anno, è particolarmente interessante guardarsi indietro per andare a rileggere cosa ci aspettavamo dal 2020 che ci stiamo faticosamente lasciando alle spalle, letteralmente andato alla malora in un modo che in pochissimi si sarebbero aspettati.
La settimana tra il 10 e il 16 dicembre dell'anno scorso, vista da oggi, rischia di farci un po' nostalgia, non tanto per ciò che successe, ma per ciò che, nel nostro piccolo, stavamo aspettando: un Natale “normale”, delle vacanze meritate, delle giornate in famiglia, delle serate con gli amici. Ancora ci chiedevamo che cosa avremmo fatto a Capodanno e non potevamo immaginare che tutte quelle cose che davamo per scontate, scontate in fondo non lo erano così tanto.
Le notiziole della prima settimana di dicembre 2019, quelle che se ne sono già andate via, quelle che duravano il tempo di maturazione di una banana, quelle che invece ci portiamo appresso ancora oggi. E il criterio di “notiziabilità”
La settimana tra il 18 e il 25 novembre del 2019 fu, a livello di notizie, una di quelle settimane riccamente assortite, di quelle ritmate dalle buone notizie e dalle notizie meno buone.
Inizia il Covid, anche se ancora non lo sappiamo, ma finisce anche il caso Cucchi e, sostanzialmente, i Gilet Gialli.
Dal 5 all'11 novembre 2019 si parlava di fascisti che non esistono, di impeachment, di Ilva, ma soprattutto di un'emergenza che, a pensarci oggi, sembra quasi incredibile.Esattamente un anno fa non pensavamo ancora alle elezioni americane, di cui, a parte Trump, non sapevamo nemmeno il nome dello sfidante, ma sia il nome di Trump che quello di Biden nel flusso delle news c'erano eccome, visto che si parlava ancora di impeachment e c'entrava proprio Biden e una indagine su di lui e su suo figlio chiesta da Trump al presidente ucraino in cambio di aiuti militari.
Un anno fa veniva annunciata la fusione FCA-PSA, rallentata dalla pandemia, in questi giorni nuovamente rilanciata. Si vagheggiava (senza alcun seguito successivo, per fortuna) di una nuova legge "sull'identità digitale", intanto i Coldplay anticipavano una tendenza obbligata, in quest'anno maledetto, realizzando il primo concerto pensato per essere trasmesso in streaming.
Un anno fa Evo Morales si rifugiava in Argentina, dopo un anno la Bolivia vota (democraticamente) per il suo partito. Si muovevano i primi tasselli di una "scandalo" che scandalizzò in pochi, il "Russiagate", di cui ancora oggi non sappiamo ancora molto, e Mafia Capitale veniva derubricato a semplice corruzione dalle sentenze.La cronaca nera ci raccontava, fraintendendola completamente per settimane, la morte di Luca Sacchi. Successero anche altre cose: a un anno di distanza magari le ricordiamo a stento, ma ci tennero occupati non poco.
Tra il 15 e il 21 ottobre del 2019 nel tritacarne delle news ci finirono un sacco di cose, quasi tutte rese ugualmente poltiglia indefinita nei nostri ricordi, a meno di non avere memorie prodigiose per l'aneddotica.In quel bolo si mischiarono, come sempre, singoli fatti appartenenti a dinamiche che sarebbe stato importante non dimenticare tanto in fretta, ma anche discussioni e polemiche che potevamo evitarci tranquillamente. Tra queste ultime, giusto per citarne giusto un paio, ci fu quella scatenata dalla scritta su una bustina di zucchero in val di Fassa, ma anche quella sempreverde su a chi sta dietro Soros, (lanciata, ehm, da una agenzia di stampa).Il flusso più importante delle conversazioni di quella settimana, però, quantomeno dell'inizio, fu un evento che scommettiamo nessuno di noi si ricorda più, ma che all'epoca ci occupò un sacco di tempo, e di spazio sui quotidiani.