"Non siamo noi a creare la storia, ma è la storia a creare noi" (Martin Luther King ). Perché proporre una rilettura della storia? Perché la storia è il più bel romanzo che sia mai stato scritto; se rivista, partecipata nel modo giusto, ci può coinvolgere ed appassionare, può persino insegnarci qualcosa. Va riletta però in un modo diverso, più aderente allo spirito che la anima; troveremo allora situazioni, personaggi, episodi vicini, in forma inattesa, alla nostra realtà . Faremo domande ed avremo risposte o ci nasceranno nuovi dubbi, troveremo forse qualche scintilla di verità .
Con la morte di Robespierre termina il periodo eroico o, se volete, più creativo della Rivoluzione Francese, il potere torna nelle mani della borghesia affarista, che aspirava ad una normalizzazione della situazione politica, al ritorno al liberalismo in economia. I nuovi padroni, però, mancavano di una solida base sociale che li appoggiasse, erano costretti a ricorrere all'esercito per reprimere le frequenti fiammate insurrezionali di destra o sinistra. Proprio l'esercito alla fine, o meglio il più energico ed intelligente dei suoi capi, Napoleone, si rende conto di poter fare assolutamente a meno di quel fiacco governo civile; il colpo di stato del brumaio 1799 sancisce la fine della Rivoluzione, le cui idee fondanti però sopravvivono e saranno diffuse in tutta Europa dalle armate napoleoniche.
Robespierre è sicuramente uno dei personaggi più eminenti della Rivoluzione Francese, forse di tutta la storia moderna, ma anche dei meno conosciuti; di lui è stato detto di tutto, nel bene e nel male, senza approfondire la complessità del suo carattere, il suo disegno politico, i suoi indiscutibili meriti, le sue carenze e le sue colpe; quanto cercheremo di fare in questa conversazione.
Il Termidoro è il nome con cui viene di solito designata la congiura che portò Robespierre alla ghigliottina, il 10 Termidoro 1794 appunto. Il Terrore che aveva oppresso la Francia da più di un anno, era stato accettato dai più perché ritenuto necessario a salvare sia la Francia che la Rivoluzione;la vittoria di Fleurus ora allontana il pericolo, gli eccessi del Tribunale Rivoluzionario non sono più sopportati. Si crea quindi il terreno fertile per la congiura ordita dai nemici personali di Robespierre per abbatterlo.
Con l'esecuzione di Danton inizia in Francia il periodo detto del Grande Terrore; ora come non mai Robespierre ed il Comitato di Salute Pubblica utilizzano Tribunale Rivoluzionario e ghigliottina per mettere a tacere ogni opposizione; la Francia è disgustata da questo fiume di sangue, oltre al malcontento per la difficile situazione economica, ma tutto viene accettato per il timore della minaccia portata dagli eserciti stranieri. La vittoria di Fleurus dissipa anche questa paura, la Francia è pronta a liberarsi del Terrore e dei suoi sostenitori.
L'assassinio di Marat porta inevitabilmente il Terrore anche in campo giudiziario, inizia l'epoca dei grandi processi; il Tribunale Rivoluzionario diviene strumento di governo, il mezzo per colpire ed abbattere gli avversari politici. Così dopo Maria Antonietta, finiscono sotto la ghigliottina anche avversari politici di ogni sorta, Bailly, primo sindaco di Parigi, Filippo d'Orleans, Barnave, Hebert, capo degli estremisti, ed infine lo stesso Danton, grande protagonista della Rivoluzione.
La morte di Marat avvia la stagione detta del “Terrore”, cioè il periodo in cui la Francia è governata con misure che incutono terrore su chiunque cerchi di opporsi o anche semplicemente obietti alle misure decretate dalla Convenzione. Misure così drastiche erano giustificate dalle difficoltà sia sul fronte della guerra, che su fronte interno, dove la carestia rischiava di provocare insurrezioni di massa. Il Terrore doveva salvare sia la Rivoluzione che la Francia.
L'insurrezione della Vandea, le sconfitte militari ai confini, dovute anche al tradimento di Dumouriez, erano eventi capaci di favorire l'estremismo, a scapito dei moderati, cioè la Gironda, che conosce un destino tragico; i suoi rappresentanti sono esclusi dalla Convenzione, i capi giustiziati. Per vendicarli, Charlotte Corday macchinò l'assassinio di Marat; così aprì le porte al Terrore.
La rivolta della Vandea è uno degli argomenti più difficili, controversi e dolorosi di tutta la Rivoluzione Francese. Il nome Vandea, che in realtà è solo il nome un dipartimento del nord-ovest della Francia, subito sotto la Loira, è rimasto nell'immaginario collettivo come sinonimo di movimento reazionario, clericale e monarchico. In passato si tendeva a minimizzare o deprecare quegli eventi, la Vandea era considerata un incidente di percorso o, addirittura, una pugnalata alle spalle per la Rivoluzione; in tempi recenti, studi più obiettivi hanno modificato questa immagine, eminenti storici francesi hanno identificato nella rivolta vandeana l'espressione di un malessere che pervadeva diverse regioni francesi, al di fuori di Parigi; quanto poi alla repressione seguita alla sconfitta militare, gli stessi storici hanno definito, senza mezzi termini, la Vandea come il primo genocidio dell'età contemporanea!
La caduta della monarchia ebbe come inevitabile corollario il processo al Re; i Girondini tentarono di tutto per evitarlo, ma alla Convenzione prevalsero alla fine considerazioni politiche sugli aspetti prettamente giuridici e il 21 Gennaio 1793 Luigi XVI salì sul patibolo. Sulle frontiere, subito dopo la vittoria di Valmy, le sorti della guerra sembrarono volgere a favore delle armate francesi che giunsero ad occupare il Belgio; poi, una serie di passi falsi in campo diplomatico determinarono il costituirsi della I Coalizione, la Francia si trovò a dover affrontare le maggiori potenze europee alleate contro di lei; alcune gravi sconfitte e, infine, il tradimento del generale Dumouriez riportarono le truppe nemiche sui confini francesi. Per bloccare la loro avanzata la Convenzione decretò una leva straordinaria di 300.000 uomini, ma si trovò a dover fronteggiare una minaccia inattesa ed ancora più devastante, la rivolta della Vandea.
Mentre a Parigi i tumulti abbattono la monarchia, l'esercito prussiano avanza ai confini della Francia, il 2 settembre giunge ad occupare Verdun, la strada per Parigi sembra aperta. L'emergenza fa sollevare la Francia, a Parigi tre giorni di massacri sconvolgono la città; al fronte affluiscono volontari da tutto il paese e, sorprendentemente, un'armata di reclute male equipaggiate e prive di addestramento riesce a fermare a Valmy, il 20 settembre 1792, l'esercito più preparato e più forte d'Europa. “Da questo luogo e da questo giorno comincia un'era nuova nella storia del mondo”.Wolfgang Goethe
L'Assemblea Costituente aveva concluso i suoi lavori il 30 Settembre 1791 ed era stata sostituita da un nuovo organo, la Legislativa, in cui assunse presto una posizione di preminenza un gruppo di delegati provenienti, per buona parte, dalla zona di Bordeaux, la Gironda, detti anche per questo “Girondini”. Ai Girondini si deve la decisione dell'entrata in guerra contro Austria e Prussia, guerra che si riteneva facile e vittoriosa, che invece volgerà presto al peggio con l'avanzata dell'esercito prussiano ai confini. Il pericolo alle frontiere eccita le folle parigine che, con l'assalto alle Tuileries obbligano l'Assemblea a sancire la caduta della monarchia.
La presa della Bastiglia aveva obbligato il Re a prendere atto della nuova realtà, un'Assemblea, in rappresentanza del popolo, aveva preso la guida della nazione. La Costituente così poté iniziare i suoi lavori, che non si limitarono alla stesura di un testo di costituzione, ma che riformarono in profondità la struttura sociale, economica e politica della Francia. Alla conclusione dei lavori della Costituente, dopo la firma del sovrano della Costituzione, sembrò a tutti che la Rivoluzione fosse terminata, che una nuova era di pace e prosperità si aprisse per la Francia. Così non sarà.
La crisi dell'Ancien Regime, i cui motivi antichi e profondi abbiamo esaminato nella precedente conversazione subì, agli inizi del regno di Luigi XVI, una improvvisa accelerazione, a causa del baratro in cui stava sprofondando la finanza pubblica; per sanare una situazione divenuta ormai drammatica era stato chiamato a Parigi un finanziere svizzero, Jacques Necker, la cui opera, però, si era dimostrata insufficiente a risolvere i problemi di fondo della Francia, che erano di natura fiscale e, quindi, politica. Giunto allo stremo, l'esecutivo si era risolto a rivolgersi al Paese, con la convocazione degli Stati Generali, che nei periodi precedenti costituivano un organo consultivo per la monarchia; in questo caso, al contrario, i delegati, una volta riuniti, pretesero di disporre di un potere reale, in qualità di delegati della nazione e si costituirono in Assemblea Nazionale, con l'impegno di dare alla Francia una Costituzione. La rivolta di Parigi, con la presa della Bastiglia, sancì e rese irrevocabile l'investitura dell'Assemblea.
Le vere rivoluzioni non si limitano a sommosse o rivolte dovute a miseria o carestie, ma danno luogo a grandi cambiamenti politici, sociali ed economici; si preparano a lungo, sotto superficie, ed esplodono in forma inattesa, con impeto irresistibile, che travolge spesso gli stessi fautori dei cambiamenti. Le crisi dell'Ancien Regime, causa prima della Rivoluzione Francese, fu dovuta allo scollamento profondo tra realtà economica ed ordinamento politico della nazione, che era in corso di maturazione da più di un secolo, ebbe il collante ideologico del pensiero illuminista, esplose infine per uno specifico fatto contingente, una grave crisi finanziaria.
Nell'Aprile del '45 si consuma l'agonia di Berlino; asserragliato nel bunker sotto la cancelleria, Hitler, abbandonato ormai anche dai suoi ministri, farnetica di assurdi contrattacchi con divisioni che non esistono più, ha solo ben chiara un'idea, che morrà con il suo regime. Hitler si suicida con Eva Braun il 30 aprile; la resa viene firmata otto giorni più tardi.
Dopo la caduta del ponte di Remagen, le porte della Germania si aprirono davanti agli alleati; iniziava la corsa a Berlino, alla quale però gli americani rinunziarono ben presto per decisione di Eisenhower, che, con un suo messaggio personale, informò Stalin che il suo esercito non intendeva entrare a Berlino. Questa decisione getterà tutta l'Europa orientale nelle braccia di Stalin.
Nella primavera del'45 l'offensiva degli alleati sul fronte occidentale rischiava di arrestarsi davanti ad un ostacolo praticamente insuperabile, se non a costo di gravi perdite, il fiume Reno, di cui i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare tutti i ponti. In forma inattesa, e sorprendente anche per loro, gli americani si trovarono di fronte, a Remagen, ad un ponte ancora intatto, il ponte Ludendorff; per la conquista e la difesa di questo ponte gli americani scrissero pagine di autentico eroismo, ma ne valse la pena; il passaggio a Remagen aprì agli americani le porte della Germania.
La distruzione di Dresda, ad opera di bombardieri inglesi ed americani nel Febbraio '45, fu uno dei più inutili e tragici misfatti compiuti dagli Alleati nel corso dell'ultima guerra mondiale. Dresda era città d'arte, nota come la ”Firenze sull'Elba”, non rivestiva alcun interesse strategico o militare, niente giustificava il massiccio bombardamento cui fu sottoposta e, quindi, la sua totale distruzione. Tremende anche le conseguenze in termini di perdite umane; la città era divenuta nei mesi tra fine '44 e inizio ‘45 un centro di raccolta dei disperati in fuga dalla Prussia Orientale per sottrarsi alle violenze sovietiche; nella tempesta di fuoco generata dalle bombe incendiarie inglesi e americane, per quei disgraziati, non ci fu scampo; si è parlato di oltre 250.000 morti, nessuno conosce il numero esatto di quelle povere vittime.
L'offensiva sulle Ardenne, voluta da Hitler nella speranza di respingere gli Alleati o addirittura di ributtarli in mare, era stata condotta con un ampio impiego di divisioni distolte dal fronte russo; l'offensiva era fallita, come visto, ma le conseguenze peggiori si verificarono a nord, dove i russi travolsero senza eccessive difficoltà le difese tedesche sguarnite, costringendo i nemici ad attestarsi sul fiume Oder.La precipitosa ritirata della Wehrmacht lasciò scoperto il fianco orientale di regioni tedesche da secoli, la Prussia Orientale e la Pomerania; qui si consumò una tragedia di dimensioni bibliche, tra stupri, massacri, vani tentativi di fuga: milioni di tedeschi furono costretti ad abbandonare le loro case, la loro terra in una operazione di pulizia etnica condotta dai russi con ferocia e sadismo senza precedenti.
Dopo lo sbarco in Normandia è come se gli Alleati fossero stati sorpresi dalla portata stessa del loro successo; non avevano piani operativi per la prosecuzione del conflitto alle frontiere tedesche, soprattutto non avevano comandanti capaci di sfruttare in modo adeguato le opportunità, che in quel fatidico settembre si presentavano loro, per la disparità delle forze in campo. Così, sia pure con forze esigue, i tedeschi riuscirono ad arginare l'avanzata, prima degli inglesi ad Arnhem, poi degli americani sul Reno. Ma una sorpresa ancora più amara attendeva gli americani nel dicembre di quell'anno; sfruttando il vantaggio della posizione centrale, Hitler trasferì nel massimo segreto venti divisioni dal fronte russo sul fronte occidentale, scatenando un attacco devastante contro gli avamposti americani: l'obiettivo dichiarato di Hitler era un'altra Dunkerque, voleva ributtare gli alleati in mare. Se il progetto fallì, fu dovuto anche all'eroica resistenza di un piccolo caposaldo, Bastogne.
La prossima ricorrenza dell'ottantesimo anniversario dello sbarco in Normandia (6 Giugno 1944) ha suggerito questa ricostruzione degli eventi che portarono alla caduta del nazismo. Dopo lo sbarco, malgrado la trionfale e, in forma inattesa, rapidissima, liberazione del suolo francese, la guerra non era affatto conclusa; la tenacia dei difensori tedeschi e gli errori dell'Alto Comando Alleato furono la causa di mesi e mesi di durissimi scontri che coprirono di sofferenze e di sangue ogni palmo di terra, ogni kilometro di avanzata, fino alla caduta di Berlino ed alla fine del nazismo. A quei tragici eventi, anche in parte poco conosciuti, è dedicato questo ricordo, cominciando dalla battaglia per il ponte di Arnhem.
La battaglia di Gettysburg segnò la svolta decisiva della guerra, malgrado un'ostinata resistenza i Confederati non potevano più nutrire alcuna speranza, la resa fu siglata il 9 Aprile 1865; contemporaneamente Lincoln otteneva un altro successo, forse anche più significativo, l'abolizione della schiavitù, con il XIII Emendamento della Costituzione. Lincoln non poté godersi il trionfo, né avviare i piani di ripresa che aveva in mente; il 14 Aprile 1865 Lincoln fu assassinato da un fanatico sudista.
Gli Stati Uniti d'America erano nati portando in seno alcune gravi criticità, innanzitutto lo schiavismo, una contraddizione palese con gli ideali proclamati nella Dichiarazione d'Indipendenza e ribaditi nella costituzione, ma anche il crescente divario tra le economie del Nord e del Sud del paese. Questi elementi portarono al deflagrare, nel 1861, del conflitto più sanguinoso di tutta la storia americana, la Guerra Civile, altrimenti detta Guerra di secessione.
Nei primi anni della nuova Repubblica americana, nel periodo che va dal 1776 ai primi decenni del 1800, viene forgiato uno dei simboli, uno degli elementi identitari della nazione, per il quale gli Stati Uniti sono noti ovunque, il dollaro americano. Il dollaro è un “oggetto” che noi tutti abbiamo avuto tra le mani, ma pochi ne conoscono le origini ed il significato dei caratteri che compaiono sulle banconote.
Per quanto essenziale ai fini del raggiungimento dell'indipendenza, il successo militare nella guerra con la Gran Bretagna non generò, ipso facto, una nazione e, soprattutto, non esaurì la carica rivoluzionaria accesa dal confronto e dalla controversia con il governo inglese. Questa carica rivoluzionaria trovò espressione, innanzitutto, nelle strutture politiche che le 13 colonie decisero di darsi; occorre sottolineare, ancora una volta, l'originalità della Rivoluzione Americana e della nazione che ne nacque rispetto all'Europa. Tutte le altre democrazie occidentali, ovvero i regimi parlamentari che le hanno precedute, hanno avuto origine da un processo di contestazione dell'ordine preesistente, al termine del quale si manteneva comunque in vita l'istituto politico che già esisteva, cioè la monarchia, con le regole ed i limiti imposti da una Costituzione. Niente di simile è quanto accadde negli Stati Uniti, dove la democrazia era nata spontaneamente ancora prima che esistesse una carta costituzionale, dove il diritto di voto era considerato una prerogativa naturale del cittadino, dove l'uguaglianza era un concetto fondamentale nella società; tutto ciò era incompatibile con un istituto monarchico, gli Stati Uniti quindi furono la prima Repubblica democratica dei tempi moderni.
L'applicazione di nuove imposte da parte del governo inglese aveva esacerbato i rapporti tra la madre patria e le colonie; ormai non si trattava più di una pura questione di merito, l'entità delle nuove tasse, ma di principio, cioè l'autorità del Parlamento inglese, in cui le colonie non erano rappresentate, a legiferare sulle stesse, soprattutto in materia fiscale. Questione di principio e, quindi, questione politica, su cui non era più possibile mediare; l'idea d'indipendenza prende gradualmente piede tra i coloni, fino a concretizzarsi nella “Dichiarazione d'Indipendenza” del 4 Luglio 1776. La dichiarazione apre le porte alla guerra, nella quale gli inglesi apparivano largamente favoriti per l'entità e la qualità delle truppe che potevano dispiegare; la natura del territorio ed, in seguito, anche l'aiuto francese produssero invece un risultato che forse nessuno aspettava, la vittoria delle colonie (1783).
Nei primi 150 anni, la colonizzazione del Nord America si era svolta nella pressoché totale indifferenza da parte della madre patria, che si preoccupava solo di riscuotere dazi e dogane, senza curarsi dell'amministrazione delle colonie, che si erano quindi organizzate per proprio conto, in assoluta autonomia. Questo atteggiamento detto di “benign neglect”, bonaria indifferenza, era destinato a tramontare, soprattutto quando la vittoria nella guerra dei sette anni aveva gettato tra le braccia dell'Inghilterra i territori francesi, un'estensione immensa, che andava governata, anche militarmente. Il costo dell'esercito non poteva essere coperto dal tesoro inglese, già dissanguato dalle precedenti campagne di guerra; si pensò allora di addossarlo ai coloni con una serie di imposte dirette ed indirette, che destarono violente reazioni da parte della popolazione americana, che non era stata consultata su queste misure. Furono sollevate da parte americana obiezioni non solo di merito, ma anche di principio, cioè contestazioni politiche; si andava verso un esito imprevisto, l'aperto scontro con la madrepatria.
Le migrazioni religiose ed in generale il grande afflusso di coloni che portò alla costituzione delle prime colonie americane furono fenomeni giganteschi, invasivi, che non poterono non condurre a conseguenze anche dolorose per l'habitat del Nord America; questa regione non era affatto disabitata, in essa si trovavano al tempo dei primi arrivi, forse fino a 10 milioni di indios nativi. I primi rapporti con i coloni non furono conflittuali, almeno inizialmente, si stabilirono relazioni commerciali, gli indiani insegnarono anche ai coloni come sopravvivere in quegli ambienti; le relazioni si guastarono quando la fame di terre portò i coloni ad occupare territori che gli indiani consideravano parte della loro nazione; cominciò allora la lunga sequenza di guerre indiane che condussero allo sterminio dei nativi.Se questa è certamente una macchia nelle origini degli Stati Uniti, non si possono però ignorare i tanti aspetti peculiari, innovativi della democrazia americana, che ne fecero un esempio per tutto il mondo.
Al primo tentativo di colonizzazione delle coste del Nord America, visto nella Virginia, ne seguirono altri di ben diverso spessore ed importanza, sotto la spinta delle migrazioni religiose, cioè dell'emigrazione nelle nuove terre dei dissenzienti religiosi perseguitati in patria. La peculiarità di queste colonizzazioni consisteva nel fatto che erano promosse sempre dall'iniziativa privata, che le finanziava con capitali propri e quindi intendeva gestirle in totale autonomia. Questa inedita commistione di iniziativa privata e motivazioni religiose fecero dell'America del Nord l'archetipo di una nuova società.
La Rivoluzione Americana è stata un evento assolutamente originale, unico, differente da tutte le altre rivoluzioni a noi note; non esistevano in America, come in Europa, classi privilegiate, feudalità e clero, contro cui ribellarsi per ottenere giustizia ed equità sociale, queste esistevano già, erano il prodotto dei due secoli di storia che avevano preceduto la Rivoluzione e delle peculiari forme con cui si era realizzata la colonizzazione del Nord America; la Rivoluzione difese e consolidò quanto già esistente, ma creò anche uno stato che non c'era, fondò una repubblica in un mondo che conosceva solo monarchie, generò una società di uguali, fu la prima democrazia funzionante nell'ordine e nel progresso civile; tanti motivi per la narrazione che segue.
Le premesse per la Rivoluzione Industriale Inglese erano maturate nell'Inghilterra del XVIII secolo, attraverso una serie di “rivoluzioni” settoriali, che avevano modificato radicalmente i lineamenti di economia, agricoltura, finanza, in sostanza di tutta la società inglese; a questo punto, per avviare la Rivoluzione Industriale, mancavano alcuni passi concreti, come l'introduzione di nuove tecniche, la creazione di nuovi macchinari, l'applicazione di nuove fonti energetiche, che furono il vero motore della rivoluzione industriale.
La Rivoluzione Industriale Inglese fu resa possibile dal convergere di una serie di eventi straordinari, di grandi trasformazioni, alcune delle quali attinenti all'economia ed alle infrastrutture del Paese; altre, forse anche più importanti, interessarono la cultura, l'etica e la forma mentis delle persone, che saranno protagoniste di questo periodo. L'insieme di queste tessere costituisce il mosaico che farà da sfondo alla Rivoluzione Industriale.
La Rivoluzione Industriale Inglese ci appare come un evento non solo affascinante, ma decisivo nella storia dell'umanità, che si affranca, per la prima volta, dai vincoli imposti ad essa dalla limitatezza delle forze di uomini e animali, apprende nuove strade per migliorare la propria condizione, capisce che bisogna investire nelle facoltà creatrici dell'ingegno umano. I motivi che determinarono l'esplosione di questo fenomeno in un paese sostanzialmente arretrato e privo di tradizioni industriali, come l'Inghilterra, sono molteplici e si possono spiegare dal convergere di più concause, che chiameremo anch'esse rivoluzioni, e che ci si fa obbligo di analizzare, partendo dai due fattori base, l'agricoltura e la crescita demografica.
L'ascesa al trono di un Re cattolico, Giacomo II, determinò in Inghilterra una situazione paradossale e potenzialmente instabile. Giacomo, da parte sua, non si rese conto della precarietà della sua posizione, un cattolico a capo di una nazione protestante e commise errori imperdonabili, alienandosi l'appoggio della Chiesa e di tutto l'establishment anglicano. Di questo dissenso seppe approfittare Guglielmo d'Orange, che sbarcato in Inghilterra, costrinse lo Stuart ad abbandonare il paese; l'insediamento sul trono dell'Orange fu l'occasione per la proclamazione del “Bill of Rights”, documento fondamentale nella storia politica inglese.
Con il ritorno in patria dell'erede al trono, nel1660, ha inizio il periodo detto della Restaurazione, che vede il pieno ristabilirsi dell'autorità di monarchia e Chiesa Anglicana, Il retaggio delle tragiche esperienze vissute non fu dimenticato, non si ripeterono gli errori del passato; si cercò un nuovo equilibrio tra esecutivo e Parlamento, il confronto tra Chiesa Anglicana e religioni riformate divenne meno aspro, passo dopo passo nasceva la nuova Inghilterra.
La decapitazione di Carlo I aveva lasciato un vuoto istituzionale che fu presto riempito da Oliver Cromwell; sciolto il simulacro di Parlamento ancora in essere, con il titolo di “Lord Protettore”, Cromwell resse l'Inghilterra da dittatore per quasi un quinquennio.
Carlo I, succeduto al padre, nel 1625 è una delle figure più tragiche della storia inglese; personalmente fu un regnante moralmente ineccepibile, anche energico e capace, ma dovette misurarsi con problemi in quel momento insolubili, come il problema religioso e lo scontro aperto con il Parlamento. Istanze religiose e contestazioni politiche si intrecciavano in modo inestricabile, creando le premesse della guerra civile; Carlo, sconfitto, salì sul patibolo, primo sovrano condannato a morte dal suo popolo.
La Rivoluzione Inglese si può definire, a buon titolo, la madre di tutte le Rivoluzioni, non solo perché avvenne per prima, ma anche perché dimostrò a tutti che una limitazione dei poteri dell'esecutivo, cioè della monarchia, in favore del Parlamento non doveva necessariamente condurre all'anarchia, anzi poteva produrre un regime più agile, attento alle esigenze della nazione e quindi capace di raccogliere il consenso della maggioranza del popolo.Come tutto ciò che ci viene dall'Inghilterra, la Rivoluzione Inglese presenta lineamenti peculiari, diversi da quelli delle altre rivoluzioni, sia per il mescolarsi di motivi politici e religiosi, sia perché fu un evento che non si consumò in pochi anni, ma venne a maturare nel corso di un secolo, un periodo tra i più densi e pregnanti della storia inglese, che quindi dovremo ripercorrere, partendo dalla dinastia che lo dominò in larga parte, gli Stuart.
Due donne di Casa Medici occuparono posizioni di rilievo nella storia di Francia, Caterina e Maria; entrambe spose di Re, entrambe reggenti dopo la morte violenta del marito, delle due è Caterina la figura di maggior spicco, protagonista di importanza decisiva in uno dei periodi più drammatici della storia del Paese, quello delle guerre di religione.
Con Cosimo I le fortune della famiglia Medici avevano raggiunto l'apice, ormai governavano tutta la Toscana. Purtroppo, quando le sorti di una dinastia. raggiungono il culmine, è naturale ed inevitabile che segua il declino, che fu dovuto, in questo caso, non a fattori esterni, ma all'impoverirsi del genio politico della stirpe. Dei discendenti di Cosimo solo il figlio secondogenito, Ferdinando, dimostrò doti di statista, tutti gli altri, anche nelle successive generazioni, si rivelarono inadeguati ed inetti.La fine del governo dei Medici avviene nel 1737, quando l'ultima esponente della famiglia, Anna Maria Luisa è costretta a cedere la Toscana ai Lorena; riesce ad ottenere però che tutto il patrimonio di casa Medici restasse a Firenze, cosa di cui noi tutti dobbiamo esserle eternamente grati.
Con la resa agli spagnoli nel 1530 ha termine per Firenze l'età della Repubblica, che viene formalmente abolita nel 1532 dal nuovo Signore della città, Alessandro il Moro.L'assassinio di Alessandro, nel 1537, ad opera del cugino Lorenzo, apre la strada ad un discendente del ramo dei Popolani, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, Cosimo I de'Medici. Cosimo, salito al potere all'età di soli 17 anni, fu un personaggio subdolo e contraddittorio, capace di ogni crudeltà e nefandezza nel reprimere il dissenso; Cosimo si dimostrò anche un grande statista, rigenerò Firenze, portò la Toscana a livelli di prosperità e peso politico ineguagliati fino allora. Cosimo fu il primo Granduca di Toscana.
Dal 1513 al 1534 le sorti del Papato, di Firenze e di tutta l'Italia furono rette, tranne un breve intermezzo, il pontificato di Adriano VI, da pontefici di Casa Medici.L'età dei Papi, come qui definita, non fu un periodo felice per la Chiesa, per l'Italia e per la città di Firenze; si verificarono eventi drammatici, come il Sacco di Roma o la perdita della libertà di Firenze, altri ancora di portata epocale come la Riforma Luterana o lo Scisma anglicano. Non tutte le responsabilità possono essere addossate ai due pontefici di Casa Medici, anche se questi si dimostrarono quanto meno inadeguati a fronteggiare tali eventi, se non direttamente artefici, come nel caso di Clemente VII, di alcune delle tragedie di quel periodo.
La scomparsa del Magnifico coincise con un anno fatidico per la storia d'Europa, il 1492, un anno denso di grandi eventi, dalla conquista di Granada, alla scoperta dell'America, all'ascesa al trono pontificio del Borgia, Alessandro VI; aprì anche la strada, la morte di Lorenzo, al crollo di casa Medici, crollo che si consumò in soli due anni. Nel 1494 Piero de' Medici e la sua famiglia furono costretti ad abbandonare Firenze; quasi venti anni durò l'esilio dei Medici e furono anni tristi per la famiglia, la città e per l'Italia tutta.
Lorenzo de' Medici, “Il Magnifico” è, agli occhi di tutti, il simbolo di un'epoca, il simbolo dello splendore e della grandezza di un periodo irripetibile. Lorenzo non fu solo il cittadino più eminente di Firenze, ma anche e soprattutto il politico più lucido e lungimirante di tutta Italia, il mecenate capace di portare al culmine arte e cultura di un periodo eccezionale. Nelle vicende della sua vita personale si intrecciano gioia e splendore, successi e dolorose perdite, tragedie e sangue; Lorenzo è un personaggio vero, vivo, attuale, affascinante; e affascinante è anche la storia che ci accingiamo a raccontare.
Il mecenatismo nel Rinascimento in Italia è stato un tratto comune a tanti principi e Papi, ma se ci fu una dinastia che eccelse, legando il suo nome a grandissimi artisti e ad opere immortali, questi furono certamente i Medici. Il mecenatismo per loro non fu solo mezzo per comunicare, o “instrumentum regni”, fu anche autentica passione ed a questo tratto della stirpe dei Medici dobbiamo le opere più meravigliose di quel periodo.Cosimo ed il figlio Piero furono gli iniziatori di questa tradizione, molti dei nomi più famosi degli artisti rinascimentali sono a loro legati.
La Firenze del tre-quattrocento era caratterizzata da una grande mobilità sociale, chiunque poteva ambire a crearsi una fortuna, anche partendo dal nulla, ma tra tutti, senza dubbio, risalta l'ascesa della famiglia Medici; sono gli uomini che fanno la fortuna di un casato e le fortune di casa Medici furono dovute alla personalità dei due grandi fondatori, Giovanni di Bicci e Cosimo dei Medici, al primo per quanto riguarda gli aspetti economici e finanziari, al secondo per quanto riguarda il ruolo politico della famiglia
La casata dei Medici ha scritto la storia di Firenze e, in parte, d'Italia per più di quattrocento anni; d'altro canto, però, bisogna anche riconoscere che l'incredibile ascesa di questa famiglia non sarebbe stata possibile al di fuori di quel particolare contesto storico, politico ed economico costituito da Firenze e da tutta l'Italia del Nord nel periodo che va dalla fine dell'impero carolingio fino all'inizio del ‘500. In questo periodo nasce in Italia il capitalismo moderno, in tutte le sue più varie espressioni, dal connubio mercato, industria, finanza, sino alle forme societarie più sofisticate, ancora presenti nel nostro mondo, ed alle attività bancarie più spregiudicate.Gli uomini d'affari italiani, nati da questo contesto, hanno dominato la scena economica d'Europa per almeno quattro secoli: non solo, essi sono stati il fattore principale di quella trasformazione della civiltà, della cultura, dell'arte e dei valori etici che chiamiamo Rinascimento.Di questo mondo, di questa civiltà, che cercheremo di illustrare in questa prima conversazione, i Medici furono eccelsi interpreti, forse, tra tutti, i più grandi e geniali.
Ci vuole coraggio per pensare al futuro e fare previsioni in momenti come questi, quando è persino difficile astrarsi da fatti che turbano profondamente il nostro animo e le nostre coscienze. Il pensiero razionale però è l'ultima risorsa dell'essere umano e ad esso conviene fare riferimento per sollevarci dall'angoscia del presente e cercare di immaginare quale futuro ci attende dopo questa guerra. Uno studio razionale della storia dimostra che essa tende a riprodurre, sia pure con le dovute varianti, un limitato numero di macro-scenari, l'esame dei quali, quindi l'analisi dei modi con cui si sono evoluti, alterati, ricomposti gli equilibri del mondo civile nel passato possono suggerire qualche ragionevole ipotesi sul futuro ordine mondiale.
Il declino della civiltà persiana diviene irreversibile dopo l'inizio del XIX secolo, per il confronto con le potenze occidentali; alla fine di quel secolo, due nazioni europee si dividono il potere in Persia, esautorando di fatto lo Shah, Inghilterra e Russia. La Rivoluzione bolscevica elimina la Russia dallo scenario persiano e favorisce l'ascesa al potere dell'ultima dinastia, i Reza Pahlavi. I due regnanti di questa dinastia hanno entrambi l'obiettivo di modernizzare il paese e di omologarlo alla civiltà occidentale, come fatto in Turchia da Ataturk, ma si scontrano con l'ostilità del clero. La possente predicazione di Khomeini, costringe infine all'esilio l'ultimo Shah, vittima dei suoi errori e del fanatismo imperante. Inizia l'epoca degli ayatollah.
Durante tutto l'età dell'Islam, cioè dal VII al XV secolo, la Persia, pur conoscendo momenti di grande splendore artistico e culturale, era sempre rimasta soggetta a dominatori stranieri. La rinascita della nazione è strettamente legata al sorgere e all'affermarsi di un movimento religioso, il movimento sciita, che diviene rapidamente ed è tuttora un fatto identitario, la nazione persiana si identifica con la religione sciita.
Nel VII secolo d.c. la storia della Persia entra in una nuova fase, l'età dell'Islam: con la conquista da parte degli arabi la Persia perde la sua indipendenza, diviene una regione sottomessa di un impero assai vasto. La cultura, la civiltà di questa terra non tardano a riaffiorare e ad imporsi anche ai nuovi dominatori: la capitale viene trasferita in Mesopotamia, a Bagdad, tutta la struttura amministrativa, a partire dal Gran Visir, impiega personale persiano, la cultura adotta i lineamenti propri della civiltà persiana, a partire dall'apertura ai contributi di altre culture, come, ad esempio, quella della Grecia classica; questa singolare mescola dei mondi islamico, persiano ed occidentale genera personaggi di grandissimo rilievo, dal poeta Firdusi, al filosofo e medico Avicenna, al poeta Omar Khayyam, al matematico Al Kwarizmi.