Rubrica settimanale di attualità (anno VIII). Domande testimonianze e percorsi da condividere insieme.
In questa puntata numero 9 del programma Altrobinario speciale poesia,approfittando della presenza di Giovanni Varrasi, nella sua doppia veste di medico psichiatra e di poeta (nonché di curatore della rubrica) vogliamo prendere in esame una poetessa del '900, Alda Merini e un poeta, Dino Campana che hanno un filo rosso comune: la poesia, il meccanismo della follia e l'esperienza dell'internamento in manicomio. Come si vedrà con due esiti differenti. Come nelle puntate precedenti, Claudio Coppini svolgerà il ruolo del conduttore e Roberto Vacca presterà la sua voce alla lettura delle poesie. Alda Merini, breve nota biografica. Alda Merini nasce a Milano nel 1931. Vi muore nel 2009. Vive l’infanzia durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel 1947, a sedici anni, ha le sue prime crisi psichiatriche, che chiama “ le prime ombre che riempiono la sua mente”. Viene ricoverata in Psichiatria più volte. Da giovane donna vive molti amori e scrive varie raccolte di poesie, che vengono pubblicate. Ha una figlia. Dal 1969 al 1972 subisce un lungo internamento all’ospedale psichiatrico di Milano. Dal 1979 si ristabilisce in pieno. Continua a vivere e a scrivere poesie, che hanno grande risalto e successo letterario. La sua figura diventa un simbolo della lotta tra il bisogno d’amore e le ombre della follia. Di lei abbiamo scelto la poesia “ Ho bisogno di sentimenti” Io non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze di sogni che abitino gli alberi di canzoni che facciano danzare le statue di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole che risveglia le emozioni e dà colori nuovi. La mia poesia è alacre come il fuoco trascorre tra le mie dita come un rosario ...................... sono il prato che canta e non trova le parole sono la paglia arida sopra cui batte il suono sono la ninnananna che fa piangere i figli sono la vanagloria che si lascia cadere il manto di metallo di una lunga preghiera del passato cordoglio che non vede la luce. ******** Dino Campana, breve nota biografica. Dino Campana nasce a Marradi, sull’Appennino tra Toscana e Romagna, nel 1885. Muore a Scandicci, nel manicomio di Castelpulci, nel 1932. Il poeta espresse il suo “male oscuro”, che gli psichiatri chiamano schizofrenia, con il bisogno di una vita errabonda: fughe in paesi stranieri, viaggi lontani o nei boschi dell’Appennino, dove trascorreva giornate intere da solo. Ma la sua vita è anche studi, speranze, sacrifici. Nella sua esistenza dolente e confusa , affiorano due isole: le sue poesie( i Canti orfici) e l’amore per Sibilla Aleramo. Nel caso delle sue poesie, dopo essere andato a piedi attraverso i boschi da Marradi a Firenze, consegnò il suo manoscritto nelle mani di Giovanni Papini e Ardengo Soffici. I due letterati glielo persero (!), tanto che dovette riscriverlo per intero. Per quanto riguarda l’amore, Sibilla Aleramo, vogliosa di un’ennesima esperienza, di un ennesimo amante nel mondo letterario, lo sedusse e poi lo abbandonò. L’amore durò una sola estate. Il primo ricovero in manicomio di Dino Campana avvenne a Imola: aveva 20 anni, poi a 23 fu ricoverato per un breve periodo a San Salvi, manicomio di Firenze. Nel 1918 fu ricoverato definitivamente a Castelpulci, aveva 33 anni. Vi morì nel 1932. Di Dino Campana abbiamo scelto la poesia dedicata a Sibilla Aleramo. In un momento In un momento sono sfiorite le rose, i petali caduti perché io non potevo dimenticare le rose erano le sue rose erano le mie rose. Questo viaggio chiamammo amore. Col nostro sangue e con le nostre lagrime facevamo le rose che brillavano un momento al sole del mattino. Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi le rose che non erano le nostre rose le mie le tue rose. P.S. E cosi dimenticammo le rose. ( per Sibilla Aleramo) ********************************* Giovanni Varrasi( dalla raccolta “ Parentesi graffa”) Vorrei Vorrei svegliarmi in campagna mentre suonano le campane, domenica è sempre domenica, il profumo delle lenzuola di lino, la loro consistenza sul mio viso. Vorrei una famiglia, tutti insieme, nonni, nipoti, zie bizzarre, amici contadini, filosofi, genitori che sanno, una grande casa luminosa, frutta colorata e succosa, tutti intelligenti che anche l’intelligenza te la mangi a colazione. Vorrei pregare Dio, la manina di Miriam tra le mie. E poi un cielo stellato, profondità che parlano. Fermentino fresco da bere su una terrazza. La notte sogni disperati, anche il dolore deve avere il suo spazio. ******************************** Claudio Coppini dalla sua pagina sul sito scrivere.info Le anime degli amanti Gli amanti separati, posti agli arresti domiciliari nelle loro stanze vuote solitarie, meditano sull’assoluto divieto d’incontrarsi ancora. Eppure sul far della sera la mano di lui prende su i pensieri di lei e i pensieri di lei cercano la mano di lui. Immuni da regole divieti, le anime s’abbracciano nella notte. E all’alba, zittezitte sgusciano via lasciando il buon profumo di sé tra le pieghe dei lenzuoli. Nella prossima e ultima puntata leggeremo sei poesie, fuori da riferimenti temporali, quelle che ci piacciono di più, che ci hanno commosso, che sono rimaste indelebili nella memoria. Tre saranno scelte dai curatori della rubrica (una ciascuno). Le altre tre dagli ascoltatori. Le poesie scelte,verranno semplicemente lette citando l'autore. L'articolo Altrobinario speciale poesia: Alda Merini e Dino Campana, la poesia e il manicomio proviene da Radio Voce della Speranza.
Siamo arrivati all'ottava puntata della rubrica L’altrobinario speciale poesia e il secolo di cui ci occuperemo in questa puntata è il Novecento. Del ‘900 italiano in questa prima puntata abbiamo scelto tre poeti: Gabriele D’Annunzio Giuseppe Ungaretti Eugenio Montale Come premessa alla puntata ci piace riportare un aforisma di un poeta di lingua tedesca, Rainer Maria Rilke ( Praga 1875, Alpi svizzere 1926). “Nasciamo, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”. ******* Gabriele D’Annunzio è nato a Pescara nel 1863, è morto a Gardone Riviera nel 1938. Scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista, è stato simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale e del nascente fascismo. Di lui scegliamo la celeberrima poesia “ La pioggia nel pineto” ( due strofe) Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove che parlano, gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse, piove sulle tamerici salmastre e arse piove su i pini scagliosi e irti piove su i mirti divini sulle ginestre fulgenti di fiori accolti su i ginepri folti di coccole aulenti piove sui nostri volti silvani piove sulle nostre mani ignude sui nostri vestimenti leggeri sui freschi pensieri che l’aria schiude novella, sulla favola bella che ieri t’illuse, oggi m’illude o Ermione ****** Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 è muore a Milano nel 1970. Figlio di genitori italiani provenienti da Lucca. Il padre era operaio per i lavori di apertura lavori del canale di Suez, la madre possedeva un forno. Ebbe in tutta la sua vita un grande amore per la poesia. Visse in Francia. Partecipò alla prima guerra mondiale. Coltivò molte attività letterarie e giornalistiche a Parigi. Nel 1942 tornò in Italia, nominato Accademico. L’Ermetismo è la sua espressione stilistica, cioè una poesia misteriosa, chiusa, serrata. I suoi versi sono potenti anche se espressi da poche parole. Poesia “Mattina” M’illumino di immenso Poesia “ Soldati” Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie Poesia “ Porto sepolto” Vi arriva il poeta e poi torna alla luce coi suoi canti e li disperde mi resta quel nulla d’inesauribile segnale ***** Eugenio Montale nato a Genova nel 1896, è morto a Milano nel 1981. Poeta, traduttore, giornalista. Premio Nobel per la letteratura nel 1975. Di lui, la splendida, famosa poesia “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” Non chiederci la parola che squadri da ogni lato, l’animo nostro informa, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato Ah, l’uomo che se ne va sicuro agli altri e a se stesso amico, e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarmi la formula che mondi possa aprirti si qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo darti ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Infine, una poesia di Giovanni Varrasi dal titolo “ Lodo Esposito” Bastardi senza radici, soldi, casa, libri, senza traccia di pietà, corrono a perdifiato, ridendo, urlando, nei vicoli , nel ventre della città. Canzoni, risate, le scarpe rotte, calzoni con le toppe. Un vento caldo li spinge, li sostiene, li fa volare. Figli di Dio, si, si, figli di Dio, affidati alla sua Provvidenza e ai loro sorrisi, ai profili scavati, alla sfida sfacciata per non morire. Dai balconi soleggiati, scoppia, come un acquazzone estivo, un canto allegro, sincero, solare, collettivo, che s’impiglia tra i lenzuoli ad asciugare tra gli odori umidi dei bassi e il vuoto delle Chiese. L’eco lo senti, lontano, anche dopo tanti anni. Quei bambini, ormai uomini, faticano in fornace, in carcere, al cimitero, hanno lo sguardo opaco, consumato, non più, per niente, sincero. L'articolo Altrobinario: speciale poesia (8) proviene da Radio Voce della Speranza.
Siamo arrivati alla settima puntata della rubrica L'altrobinario speciale poesia e il secolo di cui ci occuperemo in questa puntata è il novecento. Il Romanticismo è un movimento artistico che nasce in Germania sotto il termine “sturm und trang “. ovvero “tempesta e assalto” e si diffonde successivamente in tutta Europa. Reagisce all’Illuminismo cioè al culto della Ragione, e al Neoclassicismo, cioè al culto delle forme classiche della bellezza, quella degli antichi greci e romani. Il Romanticismo cavalca e valorizza le energie della Spiritualità, dell’Emotività, del sentimento appassionato, della Fantasia, e sopratutto afferma il valore supremo della soggettività dell’artista. L’800 è il secolo dei poeti e della poesia. Tra tutti ne elenchiamo solo alcuni: Keats, Shelley, Foscolo, Carducci, Pascoli. Noi ne scegliamo due: lord Byron e Giacomo Leopardi Byron è un nobile inglese. Tra i suoi antenati ci sono ammiragli, narratori, stravaganti libertini. Visse 36 anni tra il 1788 e il 1824. Byron descrive il malessere del secolo, l’inquietudine, l’irrequietezza, la malinconia, lo spirito di ribellione contro l’ordine costituito. Di lui abbiamo scelto una poesia dal titolo “Strofe per musica”. Dicono che la Speranza sia Felicità, ma il vero Amore deve amare il Passato e il Ricordo risveglia i pensieri felici che primi sorgono e ultimi svaniscono, e tutto ciò che il Ricordo ama di più, un tempo fu Speranza solamente e quel che amò e perse la Speranza ormai è circonfuso nel Ricordo. È triste! È tutto un’illusione, il futuro ci inganna da lontano non siamo più quel che ricordiamo nè osiamo pensare a quel che siamo. In questa poesia Speranza e Ricordo si inseguono invano, entrambi alla ricerca dell’Amore. Quello che resta nel presente è un enorme Vuoto. ******** Il conte Giacomo Leopardi è stato un poeta, un erudito, un filosofo, uno scrittore. È ritenuto uno dei maggiori poeti europei dell’800. È nato a Recanati nel 1798, è morto a Napoli nel 1837 a 39 anni. Da ragazzo studia molto ( è sua l’espressione “ studio matto e disperatissimo”) nella straordinaria biblioteca del padre, con l’ausilio di precettori ed eruditi. Apprende il latino e il greco, conosce l’ebraico e il sanscrito e tutte le lingue europee. Ha interessi per la matematica e l’astronomia. È, per tutta la sua breve vita, molto malato. Sopratutto di una grave forma di scoliosi, presumibilmente di origine tubercolare. Ha gravi problemi agli occhi. Soffre intensamente tutto il suo dolore, sente come ferite insopportabili i suoi gravi impedimenti fisici, che ostacolano il suo amore per le donne e il suo sconfinato bisogno di amore. La sua sterminata cultura è solo un palliativo, un lenimento non risolutivo. Passa dall’amore per l’erudizione, all’apprezzamento del Bello, e poi dall’amore del Bello a quello per la Verità. Viaggia a Roma, a casa dello zio materno, poi a Milano, a Bologna , a Pisa. A Firenze rimane tre anni dal 1830 al 1833. Poi a Napoli, ospite del suo amico Antonio Ranieri, che lo seppellisce al momento della morte, poche settimane prima dell’avvento della peste. Un’amica tedesca così lo descrive in quel periodo: “ Leopardi è piccolo e gobbo, il viso ha pallido e sofferente...fa del giorno notte e viceversa...conduce una delle più miserevoli vite che si possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo più da vicino, la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo fare dispongono l’animo in suo favore”. E ora, detto del corpo e della mente così sfortunati, godiamoci questi versi meravigliosi che Leopardi crea! L’infinito Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando e mi sovvien l’eterno e le morte stagioni e la presente, e viva, e il suon di lei. Così tra queste immensità s’immerge il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare. Una delle poesie più intense mai scritte! Me stesso Or poserai per sempre, stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento in noi i cari inganni. Non che la speme, il desiderio, è spento, posa per sempre. Assai palpitasti. Non val cosa nessuna i moti tuoi, nè di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango il mondo. T’acqueta ormai. Dispera l’ultima volta. Al gener nostro il fato non donò che il morire. Ormai disprezza te, la natura, il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera e l’infinita vanità del tutto. Dolore, dolore, dolore. Allora la poesia di Leopardi è solo questo? Un urlo, magari con parole ben scelte, sublimi, che si dilata da sè? Dice di lui De Sanctis, il maggiore critico letterario italiano: Leopardi non crede al progresso e te lo fa desiderare non crede alla libertà e te la fa amare chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto il desiderio È scettico e ti fa credente E mentre non crede possibile un avvenire per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore in quella e ti infiamma a nobili fatti. ********* La poesia di Varrasi è dedicata al padre morto, visto proprio nel momento successivo al decesso. Si intitola “Mio padre” Il viso di mio padre cadavere era proprio solo carne. L’anima se ne era andata, era evidente. Indaffarato come era stato a tirare il pesante carretto della famiglia, l’aveva trascurata, troppo. Come una donna poco amata, la sua anima aveva colto al volo l’occasione per lasciarlo lì, un semplice ammasso di cellule. Rimanevano i ricordi dei suoi occhi grandi, ora affettuosi, ora severi, delle labbra carnose, del profumo nel fazzoletto pulito, delle sue mani larghe che rassicuravano, dei ciuffi di peli alle orecchie, ricordo di stagioni selvagge. L'articolo Altrobinario: speciale poesia (7) proviene da Radio Voce della Speranza.
In questa quinta puntata Giovanni Varrasi e Claudio Coppini affrontano il periodo barocco. Con il termine “barocco” si indica lo stile delle espressioni artistiche del 1600 in tutta Europa. Il termine deriva dal francese “ baroque “, ma anche dallo spagnolo “barueco ” e dal portoghese “ barocco”. In tutte queste lingue la parola significa PERLA IRREGOLARE. Ma la parola barocco pare derivare anche dal latino “ verruca” che significa ESCRESCENZA innaturale. Il barocco si muove dentro questa contraddizione che parte dal significato del termine: da una parte preziosismi, voglia di stupire, estrosità, uso di fantasie bizzarre, dall’altra richiama irregolarità, inquietudine, malessere, forzosità espressive. In architettura il barocco oscilla tra neoclassicismo e decorazioni sfarzose ( Borromini, il grandissimo Bernini). Nella pittura troneggia l’opera di Caravaggio, che essendo un genio, il più grande pittore di tutti i tempi, è fuori da ogni angusta collocazione storica. Nasce, in Italia, la musica rappresentata in pubblico. Monteverdi, Scarlatti, Vivaldi, esprimono desiderio di bellezza, di armonia, di rapporto con la natura. In questo secolo Galileo Galilei teorizza il metodo scientifico. Supera la teoria copernicana che colloca la terra al centro dell’universo. Teorizza che la terra gira intorno al sole e, sopratutto, socchiude le porte del sapere all’ipotesi di un universo talmente esteso che non è nemmeno pensabile dall’uomo. La Chiesa Cattolica, unico Dominus del sapere, del potere, dell’arte e di ogni “ sofia “, cerca di correre ai ripari con il concilio di Trento e la cosiddetta Controriforma. La scienza da una parte e la riforma protestante dall’altra, fanno tremare questo suo dominio assoluto. Divampano guerre di religione tra gli stati e al loro interno. E dunque, questo diciassettesimo secolo, dietro le apparenze dorate del potere e dell’opulenza delle Corti, sempre più autoritarie, fa nascere nella società europea espressioni di relativismo filosofico, di dubbio, di inquietudine. Tutto questo tormento e ricerca produrrà nel secolo successivo l’avvento dell’Illuminismo, che dichiara definitivamente ( ?) il primato della ragione e della scienza. Per quanto riguarda l’espressione lirica, da una parte c’è dunque una poesia di corte (Giovanbattista Marino), stucchevole, compiacente, con le rime al loro posto, dall’altra emergono dei veri e propri giganti che danno voce ai dubbi e alle inquietudini del secolo. Scegliamo tra tutti, per questa nostra puntata, tre autori di diverse nazioni europee. Li accomuna la disperazione, la rabbia, l’invettiva rassegnata o vulcanica. William Shakespeare 1564-1616 , Regno Unito, con il suo monologo di Amleto; Ciro di Pers, 1599-1663 , Friuli, con la sua invettiva contro l’orologio meccanico; Perdo Calderon de la Barca, 1600-1681, Spagna, con la sua “ la vita es sueno”. **** Shakespeare, monologo dell’Amleto Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi di atroce fortuna o prender armi contro un mare di affanni e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire.. nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui erede è la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente.. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. ............................ Chi porterebbe fardelli grugnando e sudando sotto il peso di una vita faticosa se non ci fosse il terrore di qualcosa dopo la morte....... così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azione. **** Ciro da Pers L’orologio da rota ( i primi orologi meccanici furono costruiti nel 1300) Mobile ordigno di dentate ruote lacera il giorno e lo divide in ore, ed ha scritto di fuor con fosche note a chi legger lo sa: sempre si muore. .................. E con quei colpi onde il metal rimbomba affretta il corso del secol fugace ( cioè delle nostre vite n.d.r.) e perché s’apra, ognor picchia alle tombe ( sollecita le tombe ad aprirsi ai morituri n.d.r.) **** Pedro Calderon de la Barca La vita es sueno ( suegno). È un dramma filosofico-teologico in tre atti dove si narra delle peripezie del principe Sigismondo di Polonia, odiato, drogato, addormentato dal padre Basilio, per provare, di fronte alla corte, la sua stranezza e cattiveria e non fargli ereditare il regno dopo di lui. Che sventurato è infelice son io! Sapere, cieli, mi chiedo, visto il male che mi è dato quali colpe ho mai commesso contro di voi nel nascere se anche proprio nel nascere so che stanno le mie colpe? ................. Poiché la colpa più grande dell’uomo è d’essere nato. Nasce l’uccello, coi doni della suprema bellezza: appena è fiore di piume o efflorescenza di ali già veloce esso fende le distese dell’etere rifiutandosi al conforto del nido rimasto vuoto e io che ho più anima, perché ho minor libertà? ( parla in sequenza della libertà e dei privilegi delle bestie, dei pesci, del ruscello) ....... Ormai in preda al furore, più dell’Etna o un vulcano vorrei strapparmi il petto, fatto a brandelli, il mio cuore. Che legge, anima o ragione. può agli uomini negare così dolce privilegio e così alta eccezione che Dio ha dato a un ruscello, a un pesce, a un animale? ***** Per concludere, come le altre puntate, riportiamo una poesia del nostro amico Giovanni Varrasi. È come se il ‘600, dietro le apparenze del potere e del controllo, dovesse elaborare un concetto nuovo di divinità , più rispondente ai Vangeli e ai bisogni della nascente modernità. Il ‘600 segna quello spazio di tempo in cui la vecchia idea di divinità tramonta con le nuove scoperte scientifiche e la nuova non nasce ancora pienamente. La poesia di Varrasi, intitolata “ Misteri del creato”, descrive una piccola società, che per la sua stupidità , per le zuffe o per le guerre senza fine, non pensa a Dio, nè è da Lui considerata. Lo fa parlando di galline. Le galline si becchettano senza pausa, nervose, stizzite, coccò, coccodè, a scatti successivi, spezzati, tesi, insensati. Non sanno fare le uova. Indaffarate, con le loro rugose zampette sporche, impregnate dei loro bisogni, scappano, si inseguono, piene di energia si litigano il mais disponendone in gran quantità. Si allontanano per poco per poi riappiccicassi nel balconcino interno di un grattacielo. Un padrone scriteriato le ha depositate là, è partito per un viaggio intorno al mondo. L’Altrobinario Speciale POESIA è una nuova rubrica radiofonica a cura di Giovanni Varrasi, medico psichiatra e poeta, con la partecipazione di Claudio Coppini, nella veste di conduttore, e di Roberto Vacca, che legge i testi scelti di volta in volta. Un viaggio nella storia della poesia e dello sguardo poetico attraverso i secoli, fino alla nostra attualità, lasciando l’ultima parte del programma aperta ai radio ascoltatori che vorranno mettersi in gioco inviando alla redazione dei propri componomenti poetici. Potete inviare le vostre poesia a firenze@radiovocedellasperanza.it L'articolo Altrobinario: speciale poesia (5) proviene da Radio Voce della Speranza.
In questo numero di Sfogliando il giornale, Claudio Coppini e Roberto Vacca intervistano lo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Tomai, prendendo spunto da un interessante articolo di Massimo Recalcati apparso su Repubblica di domenica 23 febbraio dal titolo Resistere al panico. L'articolo Sfogliando il giornale: “Resistere al panico” proviene da Radio Voce della Speranza.
Secondo i libri di storia, il medioevo è un periodo storico lunghissimo, che dura mille anni, datato tra la fine dell’impero romano ( 476) e la scoperta dell’America (1492). In un’epoca costituita da molti secoli, è difficile orientarsi nella scelta delle espressioni poetiche di tutto questo tempo. Per la nostra puntata di oggi sulla poesia medioevale, abbiamo utilizzato tre criteri di scelta, scegliendo arbitrariamente su queste basi: 1- poesie che parlano delle gesta dei cavalieri; 2- poesie scritte nelle nuove lingue nazionali, che nascono dal latino e dalle lingue celtiche; 3- le poesie ormai “ colte”, diremmo moderne, che trasmettono ai nuovi tempi i valori classici greci e romani . E dunque 1- riportiamo alcuni versi della Chanson de Roland. Poi 2- qualche strofa del Cántico dei Cantici di San Francesco. Infine 3- alcuni versi di Dante Alighieri, sia amorosi del cosiddetto “ dolce stil novo”, che etici e filosofici. Chanson de Roland Le nuove nazioni hanno bisogno di eroi, di cavalieri, di modelli da seguire. In Francia si raccontano in versi le imprese di Carlomagno contro i saraceni in Spagna. Immaginiamoci che questi versi siano cantati dovunque, da teatranti, giullari, gente comune, a corte, ma anche per le strade, nei mercati, e il popolo, ascoltandoli, si senta parte di una nazione, di un aggregato stabile che permetta il rifiorire di iniziative, di commerci, di imprese militari. I versi sono scritti nella lingua d’oil, nucleo della lingua francese. Re Carlo, il nostro magno imperatore stette per sette interi anni in Spagna. Fino al mar conquistò la terra alpestre e a lui d’innanzi cedono castella, nè un borgo, e non un muro, rimase contr’a lui , nè città, tranne Saragozza che sta su la montagna. Queste “ canzoni” , veri reportage di guerra romanzata, sono state scritte intorno all’anno mille. Facciamo un salto di duecento anni e planiamo in Umbria. In questa regione specialmente, ma anche in altre, fiorisce il fenomeno del “monachesimo”, che ha una valenza non solo religiosa, ma anche civile e culturale. Uomini di città, in molti casi appartenenti a famiglie aristocratiche, decidono di andare lontano da casa, in luoghi eremitici, dove consacrarsi al Signore, ma anche lavorare i campi, illustrare, con splendide miniature, i vecchi libri, recuperare antiche pergamene, predicare i nuovi valori a masse sempre più estese di persone che vanno ad ascoltarli. Intorno ai frati, a partire dalle fondamenta cristiane, si ricostituisce una civiltà intera. Dopo il disastro economico successivo alla caduta dell’Impero Romano, i campi si ripopolano, si costruiscono castelli e borghi e, poi, sono edificate città sempre più grandi e potenti. Infine, sopratutto in Francia e Germania, si costituiscono nazioni. L’autore di questi versi è Francesco da Assisi, grandissimo innovatore della religione e della cultura. Nella sua opera e nella sua predicazione, uomo, Dio e Natura, si compenetrano. Niente di più attuale, è la stessa sensibilità dei giorni nostri. Questa splendida poesia è scritta in italiano( 1226) . È la prima, nella nostra lingua, di cui si conosca l’autore. È una lode a Dio, ma anche un inno alla vita. Ne riportiamo pochi versi: Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ‘honore et omne benedictione. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature spetialmente messer lo frate sole... Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore de te, Altissimo, porta significanza... Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in cielu l’ai formate clorite et preziose et belle Laudato si’ mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et omne tempo, per lo quale alle tue creature dai sostentamento Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, la quale è multo utile et umile et preziosa et casta ...e poi “ frate focu “, robustoso et forte e sora “ madre terra” la quale ne sostenta e ne governa... E infine: Laudate e benedicete mi’ Signore..serviatele cum grande humilitate . Veniamo a Dante. Abbiamo scelto due poesie. Una che inneggia all’amore per Beatrice, l’altra, compresa nel ventiseiesimo canto dell’inferno, che costruisce, solo con due versi, la nuova etica moderna. Versi magnifici. Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, che la lingua deven, tremando, muta e li occhi non l’ardiscon di guardare. Ella sen va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà vestuta, e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi si piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che intender non la può chi non la prova e par che dalla sua labia si muova uno spirito soave pien d’amore che va dicendo all’anima: sospira. XXVI canto dell’inferno: Ulisse è di nuovo partito per l’ignoto. Vuole scoprire, andare oltre i confini conosciuti, non usando, secondo Dante, nè la fede, nè la ragione. Per questo muore ed è collocato da Dante all’Inferno. Anche questi sono versi indimenticabili: O frati, ( fratelli) dissi, che per cento milia perigli siete giunti in Occidente a questa tanto piccola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente ( in questo poco tempo di vita sensibile che ci rimane), non vogliate negar l’esperienza di retro al sol, del mondo senza gente. (Dante credeva che a occidente si fosse dietro al sole e non ci fossero abitanti). Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per segui vertute e canoscenza. La mia ragazza Sono la tua ragazza.... È la prima volta che lo sento dire in tutta la mia vita, veramente, in tutta la mia vita. Qualche volta mi sono innamorato. Qualcuna l’ho messa in Paradiso, così in alto che nemmeno le vedevo il viso, o l’ho travata nelle spazzature, lì mi piaceva razzolare tra rifiuti e fregature. Nessuna è stata la mia ragazza, semplicemente, naturalmente, senza paure, congetture, storpiature. Le tue parole fanno cigolare portoni arrugginiti che sento gemere nell’anima. Guardo il paesaggio tra le feritoie della mia costruzione, egoismo, delirio e vuoto indicano i territori su cui comandano. Mi scopro all’improvviso stanco esausto, della guerra di liberazione. Speciale POESIA è una nuova rubrica radiofonica a cura di Giovanni Varrasi, medico psichiatra e poeta, con la partecipazione di Claudio Coppini, nella veste di conduttore, e di Roberto Vacca, che legge i testi scelti di volta in volta. Un viaggio nella storia della poesia e dello sguardo poetico attraverso i secoli, fino alla nostra attualità, lasciando l’ultima parte del programma aperta ai radio ascoltatori che vorranno mettersi in gioco inviando alla redazione dei propri componomenti poetici. Potete inviare le vostre poesia a firenze@radiovocedellasperanza.it L'articolo Altrobinario: speciale poesia San Valentino (3) proviene da Radio Voce della Speranza.
In questa puntata dell'Altrobinario Claudio Coppini e Roberto Vacca intervistano lo psichiatra-psicoterapeuta Luciano Gheri, che lavora da anni con gli adolescenti delle scuole medie della provincia di Prato per la prevenzione delle tossicodipendenze e del disagio giovanile. L'articolo Altrobinario: scuola italiana classista? proviene da Radio Voce della Speranza.