I concetti più usati nei discorsi sull'apprendimento in rete spiegati in un glossario podcast coordinato da Paula de Waal. Università degli Studi di Padova.
Voce del Glossario a cura di Nataly Marin PINGBACK Il Pingback è uno strumento di notifica tra blog che utilizza il protocollo XML PRC per permettere di essere avvisati quando in un blog viene commentato un proprio articolo, postando in entrambi i siti un link che rimanda rispettivamente all’uno e all’altro. Il pingback è un processo automatico che avviene, però solo se in entrambi i blog lo strumento Pingback è abilitato. Il Pingback consente un’interazione dinamica tra utenti del blog, permettendo agli stessi di inserirsi in una discussione più ampia che coinvolge più blogger. Spesso lo strumento Pingback non viene abilitato a causa del crescente dilagare di spammers che usano lo spam dei commenti, ossia commenti indesiderati contenenti link ad altri siti e domini, per ottenere un punteggio più alto nei motori di ricerca. Tra gli strumenti che permettono di contrastare lo spam, il più conosciuto è Akismet. Vediamo ora un esempio di utilizzo della risorsa Pingback: Giulia pubblica un post nel suo blog di cucina che contiene un link verso una ricetta che Sandra ha postato nel suo blog. Il sistema di blogging o gestione dei contenuti si attiva prima per constatare se nel blog di Sandra è abilitata la funzione Pingback e poi avverte il sistema di Sandra del post contenente il suo link. Il sistema di blogging di Sandra, a sua volta, segnala un link verso il post di Giulia. In questo modo gli utenti di entrambi i blog potranno seguire tutti gli articoli e commenti collegati. Se si pensa al contesto elearning, il Pingback può essere un utile risorsa di collaborazione on-line. All’interno del web blog, Il pingback , oltre a fornire un approfondito monitoraggio, lasciando oltre alla traccia il contenuto, implementa la piattaforma di partenza da cui si diramano tanti link che collegano utenti interessati ad un argomento. Grazie ai Pingback si può quindi creare una vera e propria fonte di scambio, di conoscenza, di comunicazione. L’esempio della blogcattedra sperimentata da Stefano Epifani contribuisce ad inserire il blog tra i più importanti strumenti tecnologici dell’elearning, a patto che le sue risorse siano utilizzate correttamente: Pingback compresi. Umberto Eco diceva: Internet è come un immenso magazziono di informazioni, ma non può costruire di per sè la memoria. Grazie ad internet oggi, noi lo possiamo fare.
Voce del Glossario a cura di Liboria Pantaleo SCORM Lo SCORM – Sharable Content Objet Reference Model è un modello di riferimento per la condivisione di contenuti, si tratta di una raccolta di parametri, di modelli standard per poter condividere oggetti didattici cioè i L.O. che possono essere una lezione, un test di valutazione o un’altra attività indipendentemente dalla piattaforma e-learning utilizzata. Per essere compatibile con lo standard SCORM ogni L.O. dev’essere catalogabile attraverso dei metadati cioè dei campi descrittivi predefiniti in modo da poter essere indicizzato e ricercato all’interno della piattaforma. I campi descrittivi richiesti sono ad esempio l’autore, la versione, la data dell’ultima modifica; inoltre ogni L.O. deve poter dialogare con la piattaforma e-learning in cui è incluso, passandogli dei dati utili al tracciamento dell’attività del singolo studente come ad esempio il tempo passato all’interno di una certa lezione, i risultati conseguiti in un test e i vincoli previsti per passare all’oggetto successivo; e infine ogni L.O. dev’essere riusabile, l’oggetto deve quindi essere trasportabile e poter funzionare su diverse piattaforme, sistemi operativi, browser e questo viene definito interoperabilità. In questo modo insegnanti e allievi non devono imparare a usare più piattaforme e l’adozione di standard permette al docente di aggiungere nel suo corso, contenuti didattici creati da altri docenti permettendo così una condivisione di risorse e un impiego della stessa in diversi contesti. Uno SCORM può essere composto anche da un gruppo di L.O. aggregato e organizzato secondo un determinato ordine che può essere sequenziale, gerarchico, reticolare. Possiamo quindi organizzare il contenuto e indicare quale L.O. viene prima di un altro. SCORM definisce infine uno standard per regolare la fruizione dei L.O. sulla base dello stato individuale del singolo utente. Lo studente in questione può accedere al contenuto successivo solo dopo, ad esempio, aver visionato un determinato contenuto o aver superato un determinato test. Nel campo dell’e-learning il modello SCORM serve per definire la struttura e la gestione di un corso e quindi l’organizzazione, la catalogazione, il riutilizzo dei vari oggetti didattici e il loro tracciamento cioè la frequenza alle varie attività da parte degli studenti.
Voce del Glossario a cura di Francesca Magnabosco SCORM Lo SCORM – Sharable Content Objet Reference Model è un modello di riferimento per la condivisione di contenuti, si tratta di una raccolta di parametri, di modelli standard per poter condividere oggetti didattici cioè i L.O. che possono essere una lezione, un test di valutazione o un’altra attività indipendentemente dalla piattaforma e-learning utilizzata. Per essere compatibile con lo standard SCORM ogni L.O. dev’essere catalogabile attraverso dei metadati cioè dei campi descrittivi predefiniti in modo da poter essere indicizzato e ricercato all’interno della piattaforma. I campi descrittivi richiesti sono ad esempio l’autore, la versione, la data dell’ultima modifica; inoltre ogni L.O. deve poter dialogare con la piattaforma e-learning in cui è incluso, passandogli dei dati utili al tracciamento dell’attività del singolo studente come ad esempio il tempo passato all’interno di una certa lezione, i risultati conseguiti in un test e i vincoli previsti per passare all’oggetto successivo; e infine ogni L.O. dev’essere riusabile, l’oggetto deve quindi essere trasportabile e poter funzionare su diverse piattaforme, sistemi operativi, browser e questo viene definito interoperabilità. In questo modo insegnanti e allievi non devono imparare a usare più piattaforme e l’adozione di standard permette al docente di aggiungere nel suo corso, contenuti didattici creati da altri docenti permettendo così una condivisione di risorse e un impiego della stessa in diversi contesti. Uno SCORM può essere composto anche da un gruppo di L.O. aggregato e organizzato secondo un determinato ordine che può essere sequenziale, gerarchico, reticolare. Possiamo quindi organizzare il contenuto e indicare quale L.O. viene prima di un altro. SCORM definisce infine uno standard per regolare la fruizione dei L.O. sulla base dello stato individuale del singolo utente. Lo studente in questione può accedere al contenuto successivo solo dopo, ad esempio, aver visionato un determinato contenuto o aver superato un determinato test. Nel campo dell’e-learning il modello SCORM serve per definire la struttura e la gestione di un corso e quindi l’organizzazione, la catalogazione, il riutilizzo dei vari oggetti didattici e il loro tracciamento cioè la frequenza alle varie attività da parte degli studenti.
Voce del glossario a cura di Maria Mori MAPPING Il mapping è un termine tecnico che indica la relazione tra due cose (Norman,1997), ad esempio fra i comandi e il loro azionamento e i risultati che ne derivano nel mondo esterno. Il mapping è uno dei principi da tener presente nella fase di sviluppo di interfacce con l’obiettivo di renderne più semplice la fruibilità. Un buon mapping sfrutta la corrispondenza naturale tra comandi ed effetti, riducendo la possibilità di confondersi e inoltre, non costringe l’utente a ricordare l’utilizzo degli oggetti o la sequenza da eseguire, ma gli permette di manipolare direttamente gli artefatti (Busetti, 2004) e le possibili alternative concesse. Un buon mapping aiuta l’utente ad avere una migliore comprensione del sistema, delle sue funzionalità e operazioni, in pratica lo aiuta a formare un pulito, chiaro e comprensibile modello concettuale (Norman,2000). Il modello mentale del funzionamento di un oggetto, si basa in buona parte sull’interpretazione della sua struttura visibile e delle azioni che sono percepite come possibili. Quest’interpretazione diviene problematica quando l’immagine del sistema non esplicita quale sia il modello corretto del suo funzionamento, facendo sì che l’utente si formi un modello mentale errato del funzionamento dell’artefatto stesso e interagisca con esso in conformità a questo modello erroneo (Norman, 2000). Gli artefatti, quindi, possono aiutare oppure ostacolare la costruzione di un corretto modello mentale del loro funzionamento. Un esempio di mapping nel contesto della comunicazione mediata può essere il programma di registrazione che sto usando ora: l’interfaccia si presenta intuitiva, balzano all’occhio i pulsanti grafici di controllo che rispettano la convenzione in cui il tasto “play” si trova nel mezzo, il tasto “indietro” a sinistra e il tasto “avanti veloce” a destra. Il criterio di organizzazione si basa sull’effetto direzionale delle azioni che usano operazioni simili, mediate da elementi simili, per svolgere compiti simili, usando così la correlazione naturale che esiste tra comandi (Preece, Sharp & Rogers, 2004). Il principio del mapping è rendere visibili e raggiungibili gli strumenti di interazione e come sostiene Nelson (1990), un criterio per valutare se un sistema è facile da apprendere è rappresentato dalla regola dei dieci minuti, se gli utenti non ci riescono il sistema è fallito (Preece, Sharp & Rogers, 2004).
Voce del Glossario a cura di Tessariol Luisa FLAME WAR Nel gergo di Internet con flame war si intende uno scambio di insulti innescato da un messaggio ostile inviato da un utente alla comunità. È come dire “fare fuoco e fiamme!”. Una “rissa virtuale” considerata inaccettabile dalla netiquette. Se il messaggio incendiario è deliberatamente provocatorio, siamo di fronte ad utenti, chiamati troll, che approfittano dell’ apertura della rete per inserirsi nelle conversazioni e rovinarle. Anonimato e mancanza di contatto fisico predispongono a questa trasgressione delle norme sociali. Negli ambienti di apprendimento on-line è difficile trovare troll, ma questo non pone al riparo da situazioni di flame war in cui il messaggio, senza essere volutamente ostile, è fonte di malintesi che portano in poco tempo ad accesi diverbi. La disconnessione comunicativa nasce da una sopravvalutata capacità di trasmettere e interpretare il tono dei messaggi scritti che alimenta equivoci amplificati dalla mancanza degli aspetti di meta comunicazione causa di rarefazione del processo interattivo e di scambi meno accurati a livello affettivo emozionale. Anche la tendenza a ricorrere a stereotipi sociali riconosciuti (di potere, di status, di autorità) concorre a creare incomprensioni svuotando di significato condiviso la comunicazione che è costruzione di relazioni, in cui a volte è più importante il “come” del “cosa”. Il messaggio postato in un forum è spesso privo di coloritura emotiva e non sono sufficienti emoticon per compensarne la mancanza, anzi l’uso improprio di “faccine” provoca l’effetto contrario innescando una distorsione della posizione sostenuta. Per non trovarsi coinvolti in flame war è opportuno trattenersi dall’impulso di risposta immediata rivedendo accuratamente il messaggio prima del fatidico click sul tasto invio. Infatti è più facile appiccare un incendio che domarlo.
voce del Glossario a cura di Ilaria Bencivenga 3D BARCODE Il 3d barcode sono rappresentazioni di informazioni interpretabili da una macchina e si presentano come formati grafici impressi su superfici di tipo materiale e multimediale. Le informazioni sono rappresentate da un insieme di moduli quadrati bianchi e neri o colorati che formano figure quadrate o rettangolari. I tag tridimensionali possono contenere oltre 3000 caratteri e vengono acquisiti e interpretati dai terminali mobili dotati di fotocamera e client di decodifica. Le componenti tecnologiche basilari sono la simbologia,il reader di lettura e decodifica a bordo dei cellulari, le architetture di risoluzione degli indirizzi e le regole di “specification”. All’interno di un codice a barra è possibile codificare informazioni come contatti personali,indirizzi email,e siti internet.Ila risultato è una piccola immagine di forma quadrata che può essere inserita in pubblicità,brochure,giornali,riviste o su video. I barcode sono generati con l’ausilio di una piattaforma di encoding, dotata di una interfaccia web mediante la quale un set di informazioni è codificato in immagini di piccole dimensioni. Una volta generati i barcode possono essere decodificati da appositi programmi,che li acquisiscono e ne interpretano il contenuto. Si tratta di un sistema innovativo per la promozione di prodotti e contenuti. Alcuni esempi applicativi? L’interazione con servizi interattivi multimediali, l’advertising multimediale e il one-click contenet, ovvero il reperimento facile e l’invio veloce di informazioni su terminali mobili. Oppure la Gazzetta dello Sport ha lanciato Gazza&Play, un servizio mobile multimediale basato su codici a barra tridimensionali; per accedere a tali contenuti,è necessario disporre di un terminale mobile con fotocamera, installare il lettore di barcode ed effettuare una scansione del barcode associato al singolo articolo. A termine di questa operazione, si riceve un link che punta ad un contenuto multimediale. I barcode saranno ospitati su supporti fisici e cartacei, su pagine di siti web,su supporti immateriali come video trasmessi in televisione per abilitare l’interattività dello spettatore con programmi televisivi o l’acquisto di contenuti correlati con il programma fruito.
Voce del glossario a cura di Rosa Pastore WEB TV La WEB TELEVISION è la televisione trasmessa e vista via Internet attraverso la tecnologia streaming. Lo “streaming” permette di accedere ai contenuti multimediali video/audio attraverso la rete IP senza richiedere alcuno spazio sul disco locale: il file richiesto viene infatti visualizzato al momento, senza un preventivo download sul disco fisso del pc. La modalità streaming consente la fruizione di contenuti audiovisivi in tempo reale, in questo caso infatti non esiste un vero e proprio file, ma piuttosto un flusso continuo (uno stream appunto) di bit che sono prodotti codificando in tempo reale la sorgente analogica. Per realizzare un sistema di streaming video sono necessarie tre componenti fondamentali: un encoder che acquisisce il segnale analogico da una sorgente video (DVD, VHS, Telecamera, ricevitore satellitare) e lo codifica in formato digitale – la codifica avviene tramite gli algoritmi standard MPEG e dipende dal tipo di encoder; un server responsabile della distribuzione del video sulla rete – la distribuzione può avvenire in modalità Unicast (il server trasmette ad un solo destinatario), in modalità Multicast (il server trasmette ad un gruppo di destinatari) o in modalità On-Demand (il client richiede la trasmissione di un video dal Video Server); il client di decodifica può essere un Software Player installato sul PC, un Set Top Box connesso ad una TV o monitor esterno, un appliance dedicato alla decodifica hardware (in genere più veloce e adatto alle applicazioni Real Time). Il successo e la diffusione della web tv sono dovuti principalmente alla possibilità di utilizzare la rete di computer già esistente per distribuire video di ottima qualità direttamente sui desktop. Grazie alla facilità e flessibilità d’utilizzo per le più svariate applicazioni e al consistente risparmio di costi infrastrutturali e di gestione tutti possono creare la propria web tv e pubblicare i video autoprodotti anche in modalità live facendo coesistere contenuti video con le altre forme mediali di comunicazione (testi, documenti) e permettendo il dialogo bidirezionale con il pubblico mediante la possibilità di fornire feedback, attivare forum, newsletter, chat on-line, community e contando su un pubblico pressoché illimitato.
Voce del Glossario a cura di Ornella Loi USABILITA L’Usabilità è la facilità d’uso di oggetti interattivi. L’ ISO la definisce come l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione con cui determinati utenti raggiungono determinati obiettivi in particolari contesti d’uso. Prendiamo come esempio un sito di vendite online: è importante che l’utente riesca a completare in breve tempo e senza intoppi la procedura d’acquisto. I campi obbligatori da compilare nella registrazione dovranno essere ridotti al minimo, le parti non intuitive dovranno essere supportate dagli appositi link esplicativi, e non sarà opportuno appesantire la pagina con applicazioni non direttamente finalizzate all’acquisto, proprio per ridurre al minimo la possibilità che il sistema vada in errore. Più in generale, progettare un sito usabile non è così difficile! Per iniziare, basterebbe evitare alcuni elementi di disturbo come: un uso errato della scelta cromatica testo-sfondo; la proliferazione di finestre; l’eccesso di banner pubblicitari… E nello specifico, nell’e-learning, un primo elemento critico di progettazione è sicuramente l’interfaccia: una progettazione attenta e rispettosa delle specifiche esigenze ed attitudini dell’utente può rendere meno traumatico il primo approccio e facilitare il successivo rapporto tra l’allievo e il nuovo ambiente didattico. Chiediamoci allora: come costruire un’interfaccia usabile? Facendo in modo che le azioni possibili corrispondano alle intenzioni (qui il concetto di usabilità incontra l’affordance) ; Facendo in modo che lo stato fisico del sistema sia interpretabile in modo univoco e immediato (e si parla di feedback); Evitando l’overload informativo; E anche, se gli utenti hanno esigenze diverse, prevedendo forme di adattamento. Obiettivo finale dell’usabilità è quello di rendere la tecnologia sottostante invisibile, trasparente all’utilizzatore, il quale deve potersi concentrare esclusivamente sul compito, anziché sul mezzo.
Voce del Glossario a cura di Emanuela Candeo UBIQUITOUS LEARNING Il concetto di UBIQUITOUS LEARNING fa riferimento ad un modello formativo che utilizza a scopi pedagogici le potenzialità offerte da un insieme di tecnologie informatiche che consente agli utenti l’accesso a risorse didattiche in ogni momento e in ogni luogo. Se il termine learning circoscrive infatti il campo di ciò che è formativo, istruttivo e didattico, l’aggettivazione ubiquitous rimanda ad un nuovo e possibile ambito di comunicazione, pervasivo e immediato. Lo sviluppo della tecnologia di comunicazione wireless, la diffusione di pc di nuova generazione, sistemi elettronici avanzati, l’evoluzione del web, rappresentano alcuni degli elementi che hanno reso possibile negli ultimi anni l’abbattimento dei vincoli spaziali e temporali, punto di forza per l’apertura di nuovi scenari educativi. L’idea pedagogica sottostante evidenzia le dimensioni aperta, reticolare, collaborativa, frattale, mobile, dell’ apprendimento. Un apprendimento emancipato dal locale al globale, dal personale al collettivo, capace di integrare in modo reale vita e formazione. Un apprendimento in relazione con i termini “contesto”, “società” , “stile di vita” che incontra un tipo di utente giovane e dinamico incrementandone la motivazione e la partecipazione. L’apprendimento diventa “laboratorio”: studenti collegati in rete, seduti sulla riva di un fiume intenti a raccogliere dati su ossigeno, temperatura, p.H. dell’acqua… possono essere in quel luogo e in quel momento soggetti che apprendono secondo una forma di gestione che mette in gioco un nuovo ruolo del docente e del discente. Oppure, un ragazzo che usa un telefono cellulare o un computer palmare in grado di mettere in relazione la posizione geografica in cui si trova con un insieme di contenuti e di informazioni è, in quel luogo e in quel momento un soggetto che “auto-apprende”… La reale evoluzione nello scenario futuro è quindi legata allo sviluppo della comunicazione automatica, senza fili. Il sogno di arrivare sempre più diffusamente “everywhere and everytime” si sta avverando. C’era una volta un luogo fisico all’interno del quale si era sicuri di essere lì e soltanto lì. C’era una volta un’aula all’interno della quale non entrava il mondo esterno. C’era una volta… C’è adesso un luogo… senza muri, c’è adesso un tempo… senza suoni di campanelle dove a tutti e a ciascuno è consentito di imparare… anche stando seduti su una nuvola!
Voce del glossario a cura di Danieli Tamara TEDDY …probabilmente ci verrebbe in mente Teddy Bear, il compagno inseparabile di ogni bambino. E, se invece di un orsetto, Teddy fosse il nostro compagno elettronico? Teddy sarebbe in grado di memorizzare tutti i nostri pensieri, i ricordi e le conoscenze, fin da quando eravamo piccolissimi. Teddy ci renderebbe disponibile qualsiasi informazione nel momento stesso in cui noi ne abbiamo bisogno. In una visione utopistica l’interazione fra noi e Teddy diventerebbe estrema e Teddy sarebbe parte integrante del nostro corpo. Realisticamente, Teddy, è un tassello, un frammento, di quella “conoscenza distribuita” fra menti, strumenti e artefatti, che caratterizza la società multimediale. Una conoscenza quindi che non può essere racchiusa dentro di noi, che non può essere concentrata né localizzata. Una conoscenza frammentata e distribuita, accessibile nei modi e nei tempi che a noi fanno più comodo. Un esempio classico di Teddy è un qualsiasi dispositivo per la riproduzione di Podcast, audio e video. Il podcasting è un sistema che permette di scaricare da internet, in modo automatico, file audio e video di nostro interesse. Ci interessa avere a disposizione le voci dall’e-learning? Possiamo scaricarle sul nostro Teddy, e riascoltarcele off-line dove e quando vogliamo, in modalità non lineare e discontinua. Trovare l’informazioni che ci serve nel momento in cui ci serve. La prestigiosa Università di Berkeley ha reso disponibili interi corsi ed eventi con l’utilizzo del sistema del podcasting, rendendoli comodamente fruibili live e on-demand. Donald Norman è colui che ha per primo immaginato Teddy. Di Teddy ha scritto: “Avere l’informazione a portata di mano è una delizia, una prospettiva troppo allettante. Supponiamo che un domani ognuno di noi possa disporre di un piccolo assistente personale da portarsi sempre appresso dovunque, capace di fornire in ogni momento l’informazione necessaria per mandare avanti le faccende della vita con efficienza e senza intoppi.”
Voce del Glossario a cura di Anna Galtineri TECNOLOGIE ADATTIVE “Le tecnologie adattive sono tecnologie che modificano la loro configurazione e la loro interazione in base alle risposte degli utenti e all’ambiente in cui esse avvengono” (Epasto, A. A., 2009). Le tecnologie adattive fanno riferimento alla cornice teorica indicata con l’espressione Ambient Intelligence e cioè «intelligenza disposta intorno a noi». Tale espressione è stata coniata da Emile Aarts, che prese spunto dagli studi e dalle teorie di Weiser e Norman. Con tecnologie adattive s’intendono le tecnologie in grado di modificare automaticamente le caratteristiche dell’interfaccia e del compito in funzione delle modalità di utilizzo e dei (presunti) bisogni dell’utente. Un esempio di tale tecnologia è la funzione chiamata “Keyword suggestions” di Google, la quale, mentre digitiamo i termini della nostra ricerca, in automatico inizia a proporci una lista dei termini che più corrispondono a quelli che stiamo cercando, ordinati per popolarità. Esempi analoghi sono: l’autocompletamento delle parole di Openoffice writer (che “apprende” le parole a mano a mano che vengono scritte e successivamente le suggerisce allo scrivente) oppure la tecnologia T9 per la scrittura negli apparecchi mobili. Anche i tag cloud utilizzati nel web facilitano la navigazione personalizzando in maniera adattiva la visualizzazione dei link pertinenti. Le piattaforme di e-learning si avvalgono di tecnologie adattive volte a migliorare l’efficacia delle specifiche metodologie didattiche. Stiamo parlando di Adaptive and Intelligent Web-Based Educational System – sistemi di educazione intelligente e adattativa basata sul WEB). Tali sistemi si avvalgono di tecnologie come il filtraggio adattivo di informazioni (che sperimentiamo quando i motori di ricerca ci propongono le risposte alle nostre “domande”) e il wiki che consente la creazione collaborativa di contenuti e di reti di concetti, evidenziati dalla “tessitura” automatica di link ipertestuali che cresce con l’espandersi del contenuto creato. Le tecnologie adattive, nel migliorare continuamente l’accessibilità di un’interfaccia, segnano un passo in avanti verso una tecnologia sempre più intelligente e capace di rispondere autonomamente ai bisogni dell’utente.
Voce del Glossario a cura di Stefania Tiozzo TEAM Il team è costituito da un gruppo qualsiasi di persone in cui occorre che i membri instaurino tra loro un senso di interdipendenza e di coesione. Ciò che rende un insieme di persone un team è l’unione in funzione di un obiettivo. E’ proprio durante questo processo che gli individui sviluppano la collaborazione e la fiducia reciproca necessarie per negoziare obiettivi, metodi e ruoli. Il team è quindi un gruppo di lavoro, e l’azione prodotta dal gruppo di lavoro viene definita lavoro di gruppo. Per svolgere il suo compito il gruppo di lavoro si dota di: un obiettivo, un metodo, dei ruoli, una leadership, un metodo di comunicazione, un clima ed un profilo di sviluppo. Noi tutti siamo continuamente coinvolti in gruppi di diverso tipo, come ad esempio: gruppi sportivi, gruppi parrocchiali, gruppi politici, sociali, ecc… ed oggi come oggi i gruppi di lavoro sono sempre più numerosi in molte realtà aziendali per aumentare l’efficienza produttiva dei dipendenti; infatti le statistiche registrano negli ultimi 2 anni, un aumento del 40% dei corsi di formazione sul lavoro in team. Soprattutto nei comparti produttivi dove è più accesa la competitività ed è più forte la corsa all’innovazione del prodotto (come ad es. l’uso della tecnologia nella gestione e nel trattamento dell’informazione, nelle telecomunicazioni e nella ricerca), il lavoro in team è diventato la regola organizzativa prioritaria. Per concludere, infine, alla Michael Jordan si può affermare che “Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati”, inoltre come sostiene Henry Ford “Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso…lavorare insieme un successo”
Voce del Glossario a cura di Laura Cesaro SPAM Con il termine spam si identificano i messaggi indesiderati, spesso di tipo pubblicitario o commerciale, che vengono inviati indiscriminatamente a un gran numero di persone senza essere stati richiesti. La maggior parte dello spam arriva tramite email, nonostante si stimi che i sistemi di filtraggio impediscano l’inoltro di più del 95% di quelle inviate, ritenute spazzatura. Con il diffondersi di Internet, dei sistemi elettronici e dei media digitali lo spam ha assunto dimensioni sempre più rilevanti e forme sempre più varie e arriva oggi anche tramite instant messaging, wiki, forum, social network, commenti dei blog, e via sms o fax. Il modo migliore di proteggersi e di proteggere gli iscritti ad un ambiente di apprendimento online è limitare quanto più possibile la pubblicazione di indirizzi email e dati personali su pagine web accessibili a chiunque, per evitare che vengano inseriti negli elenchi degli spammer. E’ importante poi rendere consapevoli gli utenti dei pericoli che si corrono aprendo, rispondendo o seguendo link presenti in email di spam, dato che si rischia il furto di identità e di account personali, o l’installazione di malware in grado di creare delle reti di computer, dette botnet, per inviare ulteriore spam o effettuare attacchi informatici distribuiti. Le email da considerare sospette sono sia quelle inviate da mittenti sconosciuti, sia quelle apparentemente provenienti da persone note, ma che promettono facili vincite, offrono rimedi miracolosi, notificano problemi con account bancari indirizzando su pagine contraffatte, o segnalano una sicura infezione proponendo un antivirus che in realtà installa software dannoso. Inoltre, facendo girare indiscriminatamente i messaggi delle catene di S.Antonio, si possono esporre a rischi gli indirizzi dei destinatari, perché possono essere incautamente inseriti come visibili a tutti, e si aumenta lo spreco delle risorse della rete. Lo spam causa infine danni all’ambiente: un recente studio di McAfee stima che il consumo energetico che ne deriva abbia prodotto nel 2008 tanta anidride carbonica quanta quella emessa da oltre 3 milioni di auto!
Voce del glossario a cura di Anna Roversi SOCIAL NETWORK Per social network si intende un intreccio di relazioni sociali attraverso la rete Internet. Il bisogno umano di comunicare e di stabilire nuovi legami trova infatti piena realizzazione all’interno dei social network, un fenomeno nato negli Stati Uniti, che si è esteso in tutto il mondo ed è in continua espansione nell’era del web 2.0. Ci sono social network, tra i quali Twitter, Facebook, MySpace, in cui gli utenti creano profili che spesso contengono fotografie e liste di interessi personali, scambiano messaggi privati o pubblici e fanno parte di gruppi di amici. Altri social network offrono blog, condivisione di foto, come ad esempio Flickr, oppure musica e video, come Youtube, mentre alcuni social network vengono impiegati principalmente per la rete professionale e per l’istruzione. Un modello di social network nel quale la collaborazione assume un ruolo chiave per la crescita e lo sviluppo, è costituito dalle piattaforme di e-learning che, attraverso la nuova rete del web 2.0, hanno rivoluzionato interamente i modelli, le metodologie e gli strumenti della didattica tradizionale. La rete fornisce il canale fisico di una comunicazione che può avvenire in forma asincrona (come nei blog e nei forum di discussione) oppure sincrona (come nei flashmeeting o nelle chat), sia nella forma individuale che in quella collettiva. All’utente vengono proposte formule di apprendimento flessibili, perché può scegliere il proprio percorso didattico, ma la caratteristica distintiva è che lui stesso produce nuova conoscenza, diventando creatore di contenuti da condividere in rete. Questi social network per l’apprendimento collaborativo consentono la crescita del singolo all’interno di obiettivi condivisi da un gruppo, così l’apprendimento individuale è il risultato di un processo collettivo e il flusso della conoscenza si svolge attraverso la comunicazione di gruppo.
Voce del glossario a cura di Rossana Galzignato SIMULAZIONE Con il termine simulazione si intende l’attività del replicare per modelli una realtà già esistente o da progettare, al fine di studiare, nel primo caso, gli effetti di possibili interventi o eventi in qualche modo prevedibili, o nel secondo, di valutare diverse possibili scelte progettuali alternative. La simulazione è una tecnica mediante la quale vengono condotti esperimenti su calcolatore, atti a riprodurre nel tempo il funzionamento di un sistema reale complesso. Tramite un modello di simulazione è possibile quindi prevedere il comportamento di un sistema nelle condizioni che prevedibilmente si presenteranno nel corso del suo normale utilizzo e funzionamento pratico. I SOFTWARE DI SIMULAZIONE Le simulazioni puntano a riprodurre sul computer le condizioni che nella realtà fisica modificano l’ambiente esterno evidenziando le relazioni di causa-effetto fra i fenomeni. I modelli di simulazione sono espressi dai programmi del computer. PERCHE’ UTILIZZARE LE SIMULAZIONI IN AMBIENTE DIDATTICO? Principalmente perchè una simulazione fa “letteralmente vedere” i fenomeni di cui si occupa, modsalità vantaggiosa e coerente all’apprendimento umano naturale, legato allo spazio e al movimento piuttosto che ai simboli astratti di un linguaggio. Le simulazioni servono, dunque, come laboratori sperimentali di apprendimento. Lo studente agisce sulla simulazione, cambia le condizioni in cui avvengono i fenomeni, fa mutare le variabili di riferimento e osserva cosa succede: l’interattività della simulazione si rivela un’interattività per capire, basata sul fare e sul visuale.
Voce del glossario a cura di M.Emanuela Perlotto SERENDIPITY Serendipity è un neologismo inglese che indica la capacità di scoprire qualcosa di sorprendente, che arriva all’improvviso quando in realtà si sta cercando qualcos’altro. Lo scrittore britannico Walpole coniò questo termine ispirandosi ad un’antica leggenda persiana che narra di tre principi coltissimi, che vanno in giro per il mondo scoprendo continuamente, per caso e per intelligenza, cose non cercate. La Serendipity non è però data solo dalla fortuna, ma anche dalla capacità di osservazione e di guardare alla realtà con occhi diversi per trovare quegli indizi che portano a conoscenze inimmaginabili, poiché come diceva Pasteur: “La fortuna favorisce la mente preparata”. Molte scoperte scientifiche, tecnologiche, mediche sono figlie della serendipità: la scoperta dell’America, la legge di gravità di Newton,il principio di Archimede, la penicillina e così via… la strada dei premi Nobel è lastricata di esempi di serendipità. Anche il luogo virtuale in cui ora avviene questa interazione e cioè la Rete, è in fondo nato con altri obiettivi! Ma cosa c’entra Internet con tutto questo? In realtà esso, con il suo “ambiente reticolare ad alta densità di link” è “un paradiso per la Serendipity”. L’intreccio di informazioni, notizie e di collegamenti permette di saltare da un argomento all’altro e di scoprire cose nuove e interessanti. In un’ottica di e-learning la Serendipity risulta essere allora una grande opportunità di apprendimento per scoperta e di conoscenza come costruzione e co-costruzione fondata sulla creatività, la rielaborazione personale e l’approccio problematico. Questo è Serendipity e forse fa un po’ sorridere una definizione molto semplice, ma efficace del noto ricercatore biomedico Julius H. Comroe : «La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino».
Voce del Glossiario a cura di Tacchetto Angela SENSITIVE WALL Sensitive wall è un sistema per l’interattività multimediale. E’ un nuovo media interattivo che consente la presentazione di contenuti multimediali attraverso rivoluzionarie interfacce touch – free. Consiste in un muro o una parete contenenti dati e informazioni multimediali. L’utente può fruire dei contenuti muovendosi di fronte allo schermo o alla parete o facendo semplici gesti come per esempio indicare un contenuto perchè questi si animi o far scorrere finestre come se stesse sfogliando un libro. Un esempio di Sensitive Wall possiamo trovarlo nella filiale del futuro, completamente self service, aperta 24 ore su 24, dispensatrice di informazione ed emozioni. Il nuovo sportello multimediale è stato realizzato dalla Banca Popolare Friuladria ed è già operativo a Pordenone. Il Sensitive Wall, lo schermo “intelligente” è in grado di rilevare la presenza dell’utente attraverso un apposito sensore e dialogare con lui grazie ad una tecnologia che permette di interagire con i contenuti digitali caricati sullo schermo, senza che sia necessario toccarlo.
Voce del Glossario a cura di Gianluca Tramontana RSS L’RSS, acronimo Really Simple Syndication, è un popolare formato per la distribuzione di contenuti Web. Gli RSS permettono all’utente in modo rapido, semplice ma potente la raccolta di contenuti da diverse fonti sul web. Essi facilitano l’accesso agli ultimi aggiornamenti dei propri siti preferiti senza doverli visitare ogni volta singolarmente con un evidente risparmio di tempo. Il termine Syndication non ha un equivalente italiano, esso indica la cessione di contenuti di un sito web affinché possano essere pubblicati da agenzie di stampa. La raccolta di contenuti viene canalizzata in un’unica destinazione, utilizzando un programma chiamato feed reader o, per l’appunto, aggregatore. Il vantaggio sta nel fatto che non c’è più bisogno di visitare 20 siti diversi per controllare gli aggiornamenti: è il feed reader che si occupa di notificare l’arrivo di nuovi contenuti, alla stregua di un client di posta elettronica. Spesso, per descrivere gli RSS, si utilizza la metafora del canale televisivo: il flusso informativo veicolato dai feed RSS assomiglia molto ad una sequenza di trasmissioni televisive o radiofoniche che si succedono. Il concetto è anche molto simile all’abbonamento a una rivista: è sempre un atto volontario e consapevole con il quale un utente vuole essere aggiornato costantemente sulle novità prodotte dai siti di proprio interesse. Non a caso un altro termine molto in uso nel mondo degli RSS è proprio subscription cioè abbonamento. Si tratta quindi di una tecnologia di tipo pull: all’utente finale non sarà automaticamente inviato nulla, a meno che non abbia inserito l’indirizzo del feed RSS nel suo feed reader. L’opzione di sottoscrizione ai feed RSS si trova su quasi tutti i blog, e sempre più spesso anche in altri siti web di varia natura: news, meteo, podcast e tutti quei portali che offrono contenuti con frequenti aggiornamenti. Nell’ambito delle piattaforme e-learning, ad esempio, gli RSS possono essere utili per tenersi aggiornati sulle news o sui nuovi messaggi inseriti in un forum. RSS è una tecnologia con enormi potenzialità per la didattica: la sua semplicità e flessibilità la rendono adatta ai più svariati utilizzi, dall’aggiornamento continuo che caratterizza molti settori disciplinari, come ad esempio la medicina, alla possibilità di “connessione” dei blog e dei podcasting in canali tematici.
Voce del Glossario a cura di Roberto Basile RECOMMENDATION ENGINE I Recommender systems o i recommendation engines costituiscono una specifica forma di analisi e di filtraggio dell’informazione. Sono infatti tecniche che forniscono una presentazione di elementi informativi (film, musica, libri, immagini, pagine Web) che potrebbero essere di interesse per l’utente. Tipicamente un sistema di raccomandazioni compara un profilo dell’utente con diverse voci di riferimento e cerca prevedere quali saranno gli altri elementi aventi caratteristiche simili che interesseranno l’utente. Queste caratteristiche derivano spesso da voci informative basate sull’utente stesso (approccio basato sui contenuti) oppure sull’ambiente sociale dell’utente (approccio basato sul filtro collaborativo) Quando viene costruito il profilo utente viene fatta una distinzione tra le informazioni implicite e di informazioni esplicite di una collezione di dati. Esempi di informazioni esplicite possono essere: - Chiedere all’utente di valutare una particolare voce. - Chiedere l’utente di ordinare una collezione di voci dalla preferita meno preferita - Presentare due voci all’utente e chiedergli di scegliere la migliore - Chiedere all’utente di creare una lista di voci in base alle sue preferenze Esempi di informazioni implicite possono essere: - Osservare le voci che un utente visualizza nel negozio on-line - Analizzare il rapporto tra le diverse voci ed i vari utenti - Analizzare le registrazioni delle voci riferite ai prodotti che gli utenti acquistano on-line - Analizzare la rete sociale degli utenti e scoprire eventuali elementi simili (graditi e sgraditi). Tutto questo lo avviene attraverso particolari algoritmi che riescono a prevedere il comportamento dell’utente attraverso determinate tecniche.
Voce del glossario a cura di Gianio Manfioletti REALTA AUMENTATA La realtà aumentata, in lingua inglese Augmented Reality, è il risultato della sovrapposizione di oggetti virtuali al mondo reale. Il termine coniato da Thomas Caudell nel 1990 ,quando era a capo della progettazione di sistemi virtuali alla Boeing, sta a significare che il mondo reale è aumentato con quello virtuale , il tutto in tempo reale. Attraverso tecniche di rendering si genera un’immagine o una scena tridimensionale , una volta individuati dei punti nello spazio reale, l’immagine virtuale viene agganciata alla realtà percepita sovrapponendosi alla stessa. Esistono diversi software per generare contenuti di realtà aumentata, alcuni si basano sul riconoscimento automatico di immagini, altri su quello di maker cartacei. Sembrerebbe molto complesso ma in realtà basta una webcam o la telecamera del cellulare per provare un’esperienza di realtà aumentata. E’ sufficiente installare una piccola applicazione sul computer o collegarsi ad una determinata pagina internet e far visualizzare alla web cam un marker , una particolare immagine stampata su un cartoncino o presente su una rivista ed immediatamente ci appariranno immagini, video, oggetti o personaggi virtuali. Ad esempio possiamo inquadrare la nostra fidanzata con il cellulare e veder apparire sullo schermo la data di nascita o dell’anniversario. Ma le applicazioni possibili sono ben più serie, grazie allo sviluppo di piattaforme che consentono di lanciare applicazioni di realtà aumentata via internet, mescolando il mondo reale e quello virtuale, è possibile creare realistiche situazioni di formazione a distanza con un impatto ed un coinvolgimento mai visti fino ad ora. E’ certo che nel prossimo futuro saremo noi stessi ad aumentare la realtà ed il mondo che ci circonda con una serie di informazioni user generated con le quali contribuiremo a modificare molte delle nostre attività quotidiane.
Voce del glossario a cura di Barbara Gasperoni PROFILO DELL’UTENTE Il profilo dell’utente è lo spazio che ha la persona, per conformare il computer secondo le proprie esigenze, all’inizio di ogni nuova impostazione di un software. Il profilo dell’utente è quindi una pagina d’impostazione iniziale, che chiede dati identificativi dell’utente ma anche preferenze soggettive della persona stessa, per dare forma ad un’impostazione personalizzante. Davanti al suo profilo dell’utente da compilare, la persona deve scegliere quali informazioni scrivere e quali no. Le informazioni che la persona scrive nel suo profilo dell’utente sono raccolte e interpretate in modo diverso, a seconda che siano postate in ambito chiuso, aperto, commerciale, formativo o in un social network. AD ESEMPIO: In un social network, un utente può compilare più profili, anche corrispondenti a identità inventate. In un contesto commerciale, appena si scrivono parole riferite a gusti personali, scattano sullo schermo messaggi pubblicitari collegati. In una piattaforma per l’apprendimento formale, invece, le informazioni utili alla condivisione sono da individuare con parametri diversi. Un esempio di profilo dell’utente da redigere in contesto formativo è quello previsto nella piattaforma Moodle, utilizzata nei corsi e-learning dell’Ateneo di Padova. In questo caso, è bene che l’utente inserisca correttamente i dati anagrafici, la modalità preferita di ricezione dei messaggi e di utilizzo degli ambienti, la descrizione personale di sé e di come si presenta alla comunità, anche con una fotografia. Moodle si avvale inoltre del sistema denominato “Role system”, che associa, ad ogni tipologia di ruolo (tutor, docenti, studenti), i permessi specifici di azione. RIASSUMENDO: Tecnicamente il profilo dell’utente è un configuratore, che permette di conformare il computer secondo le proprie esigenze, selezionando tutte le opzioni per personalizzarlo. E’ importante compilare consapevolmente la pagina di profilo dell’utente: per dialogare bene con il computer e con i lettori delle proprie tracce nel web!
Voce del glossario a cura di Francesca Ravanelli OVERLOAD Overload è il termine che rappresenta il sovraccarico informativo caratteristico della nostra società dell’informazione. Overload è la sensazione di distrazione, confusione, disorientamento di fronte all’abbondanza dell’informazione digitale, chela nostra mente è costretta ad analizzare ed elaborare. E’ l’overload informativo che produce overload cognitivo. L’ansia da informazione, l’erosione dell’attenzione, la paralisi delle idee di fronte alla percepita ingestibilità e all’inflazione di informazioni. Proviamo ora a rappresentare qualche situazione di overload. Se ricerchiamo nella Rete informazioni su un oggetto che ci interessa, ad esempio su un famoso lettore multimediale, il motore di ricerca ci restituisce milioni di risultati, per esempio, 438 milioni di pagine. La stessa situazione si presenta se cerchiamo informazioni su un concetto, ad esempio, su “overload informativo”: anche qui migliaia e migliaia di voci da analizzare. La nostra memoria di lavoro si trova di fronte ad uno sterminato numero di informazioni che non riesce a processare. E’ un problema che ne contiene molti altri: attenzione limitata, superficialità, dipendenza, comportamenti automatici, inibizione della creatività e dell’iniziativa personale. La progettazione dell’e-learning dovrà fare i conti con la problematica dell’overload, semplificando la gestione e organizzando i contenuti, innanzittuto le interfacce dovranno diminuire il carico cognitivo con una strutturazione chiara, pulita, facilmente comprensibile ed usabile per quanto riguarda l’organizzazione dei contenuti con un’offerta di strumenti e dispositivi che facilitino la selezione, la mappatura, e l’associazione tra le conoscenze… perché, come diceva Eraclito, “Imparare molte cose non insegna ad essere intelligenti”.
Voci del Glossario a cura di Mirella Zaccaria PERSONALIZZAZIONE In ambito pedagogico il termine personalizzazione indica una strategia metodologica, spesso contrapposta a quella di individualizzazione, dove la persona rappresenta il centro attorno al quale si struttura un percorso educativo-formativo. Attualmente il termine è molto utilizzato anche perchè viene spesso richiamato dalla riforma Moratti. Personalizzare vuol dire quindi diversificare e adattare un percorso formativo ad ogni singolo allievo migliorandone l’apprendimento, in virtù del fatto che vengono rispettati i tempi e gli stili cognitivi personali. La conseguenza in ambito tecnologico sta nella possibilità, attraverso le Nuove Tecnologie, appunto di personalizzare i contenuti attraverso modelli di interazione personalizzata con l’utente. Si passa quindi dalle vecchie piattaforme chiuse e standardizzate ad altre più dinamiche e flessibili che permettono di creare spazi liberi e personalizzabili attraverso interfacce intuitive e semplici da usare. La possibilità di personalizzare e di gestire il proprio apprendimento (learning management system)rappresenta una grande opportunità offerta dalla Rete in ambito pedagogico. Tra gli strumenti principali di personalizzazione ricordiamo i blog,i wiki, RSS e tutti i tools offerti dal web 2.0 che aprono gli scenari ai personal learning environment(ambienti personalizzati d’apprendimento) gestisti in maniera attiva e completamente autonoma da parte dell’utente. La Rete fornisce quindi all’individuo gli elementi per la costruzione della propria identità digitale e di riflessione sulla propria conoscenza personale che attraversa sia contesti formali che informali.
Voce del glossario a cura di Marta Marchi OPEN SOURCE Open come aperto – Source come sorgente. Open Source é un software che viene fornito di codice sorgente, ossia della sequenza di istruzioni di cui si compone un programma per elaboratore, in modo tale che, chi lo possiede, possa apportarvi le modifiche necessarie o desiderate. A differenza di un free software, i requisiti di licenza open source, devono rispettare le linee guida della Open Source Initiative, dieci requisiti che ne definiscono modalità di utilizzo e di distribuzione, sintetizzabili in: accesso al codice originale e completo del software, possibilità di modifica del software o creazione di uno nuovo, copia del software originale e sua distribuzione. É il 1998 ed Eric Raymond, utilizza per la prima volta l’espressione open source, rilasciando il codice sorgente del browser Netscape. La Cattedrale e il bazar é il titolo del suo libro – manifesto: la cattedrale della programmazione proprietaria lascia, dunque, il posto al bazar della programmazione condivisa e accessibile. Il software, lasciato alla disponibilità di eventuali sviluppatori che in collaborazione eseguono revisioni e aggiornamenti, raggiunge una complessità e ricchezza maggiori di quanto potrebbe ottenere con il lavoro di un singolo gruppo di programmatori. La logica Open Source si applica oggi a sistemi operativi come Linux, browser come Firefox, ma anche a pacchetti informatici quale Open Office. I campi applicativi vanno dalla Medicina ai programmi di riproduzione audio e video, dalla Grafica alla Finanza, dalla Fisica e Matematica alla Linguistica. Costo limitato, garanzia di sicurezza, update continui e possibilità di personalizzazione fanno dell’Open Source la logica vincente. L’impiego di tecnologie Open Source e di contenuti editoriali liberi e riutilizzabili, Open Content, aprono prospettive di socializzazione di idee e risorse. Le soluzioni open stanno rapidamente diffondendosi in ambiente e-learning: in esso Open Source non può che favorire ed ampliare la condivisione delle informazioni, il lavoro su progetti comuni, lo sviluppo di comunità di conoscenza. Condividere, modificare, migliorare e sviluppare questa la filosofia che sottende la proposta Open Source, un nuovo modo di concepire la creazione e la distribuzione di software, un nuovo modo di stare in rete. (Marta Marchi, 2010)
Voce di glossario a cura di Irene Zanatta OPEN CONTENT Un Open Content, ovvero un contenuto libero, è una qualsiasi produzione dell’attività dell’ingegno umano liberamente condivisibile e riutilizzabile da chiunque. Quindi testi, musiche, opere d’arte, filmati, ma anche software e brevetti sono liberamente riutilizzabili da chiunque e vincolate da particolari norme del diritto d’autore. Esistono infatti licenze specifiche che permettono alcuni determinati riutilizzi del contenuto e forniscono all’autore la facoltà di decidere in quali casi permettere la riproduzione della propria opera. Le potenzialità degli Open Content sono strettamente connesse alla possibilità di un loro utilizzo collaborativo. Wikipedia è l’esempio più conosciuto di Open Content: si tratta di un’enciclopedia web a contenuto libero interamente condivisibile, riutilizzabile e modificabile. Le grandi università stanno portando avanti numerosi progetti in cui l’attività didattica diventa un Open Content. Il Massachusetts Institute of Technology di Boston, tramite il progetto MIT OpencourseWare, ha pubblicato sul Web i materiali di molti corsi universitari, mentre l’università di Berkeley, in California, ha un proprio canale su YouTube dove trasmette i video delle lezioni. Attraverso tali progetti contenuti didattici di altissimo livello diventano accessibili a tutti. Produrre contenuti didattici Open Content, cioè privi di diritto d’autore, li rende più facilmente reperibili sia dai docenti che dagli studenti, facilitando la libera circolazione dei contenuti. Gli Open Content sono aperti soprattutto alle successive elaborazioni di chiunque li voglia approfondire e modificare, e si prestano bene ad un approccio di tipo collaborativo.
Voce del Glossario a cura di Redi Chiara NATURAL INTERACTION La natural interaction è una pratica d’uso degli strumenti tecnologici basata su un approccio percettivo, non astratto. Nasce dalla ricerca di interfacce e soluzioni tecnologiche in grado di attivare dinamiche cognitive e cibernetiche utilizzate comunemente dagli esseri umani nella vita reale, quando per scoprire il mondo si guardano intorno e manipolano gli oggetti e per comunicare usano gesti, espressioni, movimenti. Le interfacce naturali, come ad esempio i Sensitive Walls, rendono la comunicazione accessibile e immediata. L’interazione con un’interfaccia naturale è intuitiva, non richiede l’apprendimento di istruzioni, né di indossare o usare dispositivi tecnologici, poiché tutta l’infrastruttura tecnologica sparisce idealmente nell’ambiente, nascosta nell’architettura complessiva e in oggetti di uso quotidiano. Le persone possono muoversi liberamente all’interno o intorno allo spazio interattivo, senza alcuna apparente restrizione e vengono impegnate in un dialogo reale e convincente: si può, ad esempio, esplorare l’antica Roma, o diventare un personaggio di un vecchio film, o giocare con animali virtuali e tutto questo senza avere la sensazione di interagire con una macchina. Abbassare la soglia di competenza tecnologica necessaria permette la riduzione del carico cognitivo sulle persone che interagiscono con tali interfacce, aumentando così la quantità di attenzione sui contenuti. Tale potenzialità è estremamente utile in contesti di e-learning. L’interazione con sistemi di questo tipo è, dunque, facile e seducente per tutti. Norman ha evidenziato come un dispositivo attraente migliori l’interazione in termini di usabilità: poiché la persona è affascinata dall’oggetto, sarà molto più creativa nel trovare il modo di interagire con esso. Citando Bruno Munari, progresso significa semplificare, non complicare. La semplicità d’uso dell’interfaccia naturale porta ad un più facile e più sostenibile rapporto con i media e con la tecnologia.
Voce del glossario a cura di Luisa Pertile MOBILE LEARNING “Mobile Learning” è un termine usato per definire un tipo di apprendimento che avviene in un luogo e in un momento scelti dallo studente per imparare attraverso tecnologie mobili, quali computer palmari (Personal Device Assistant), smartphone, iphone e altri dispositivi portatili, permettendogli di “imparare quando vuole, dove vuole e come vuole” . Sperimentato negli anni ’80, ha avuto il suo sviluppo nel ‘99 grazie alla prima integrazione tra il cellulare e il PDA che ha costituito la base tecnologica di video comunicazione a banda larga per la realizzazione di una piattaforma multimediale composta da entrambi le funzioni. Ciò ha permesso di creare un oggetto capace di connettersi sia attraverso la telefonia sia attraverso Internet tramite un terminale mobile che permettesse, in sostanza, di portarsi “l’ufficio in tasca” (Multimedia terminal Mobile) Con i dispositivi mobili è infatti possibile avere sempre ed ovunque a portata di mano informazioni che aiutano a svolgere attività di apprendimento quali testi, esercizi, approfondimenti utilizzando immagini, audio, video e interagendo con altri individui all’interno di una comunità. Il mobile Learning si differenzia dall’e-Learning in quanto non è semplicemente elettronico ma anche mobile; secondo Hoppe, Joner, Millard e Sharples m-learning è l’e-learning che utilizza device e la connessione wireless. Mentre l’e-learning costringe la formazione “on deskop” attraverso l’uso di un personal computer, il mobile learning dispone di applicativi fruibili e portabili in ogni situazione ed in ogni luogo. I progetti europei sul Mobile Learning comprendono diversi contesti educativi: scuole, università, musei, apprendimento informale, sviluppo professionale, ambiente di lavoro con diversi “target group” ( tra cui bambini, adulti e professionisti). L’evoluzione del Mobile Learning è rivolta però al vero “soggetto mobile” ossia allo studente; in questa prospettiva, esso s’ identifica come mezzo idoneo a supportare i momenti formativi che avvengono nella vita quotidiana delle persone. (Luisa Pertile, 2010)
Voce del glossario a cura di Vittorio Piccolo METACOGNIZIONE Il concetto di metacognizione è stato introdotto negli anni 70 negli Stati Uniti, con l’intenzione di confutare le teorie dell’apprendimento che assegnavano un ruolo secondario all’educazione nello sviluppo cognitivo del bambino. Flavell definisce la metacognizione come la conoscenza che un soggetto ha del proprio e altrui funzionamento cognitivo. Altri autori ridefiniscono la metacognizione come l’ insieme dei meccanismi di regolazione e di controllo del funzionamento cognitivo che permettono di guidare e regolare l’apprendimento e il percorso cognitivo in situazioni di “problem solving”. Gli individui ricorrono spontaneamente alla metacognizione quando riflettono sui propri pensieri e su quello che ritengono sia il proprio modo di ragionare. Un comportamento metacognitivo diventa così la capacità di riflettere sul proprio funzionamento mentale, e focalizza l’attenzione, oltre che sull’attività che si sta svolgendo, anche sulle modalità con cui viene affrontata. Se per esempio il compito è un esercizio di matematica, attraverso un approccio metacognitivo, si mette in grado lo studente: - di sapere cosa significa trovarne la soluzione; - usando il metodo più semplice o più breve; - verificandone ogni passaggio. Quindi, maggiore autoconsapevolezza e controllo della sua capacità cognitiva di regolare ed influenzare tale attività. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in un contesto e-learning, favoriscono dinamiche metacognitive perché forniscono ambienti di apprendimento interattivi che determinano i processi di costruzione della conoscenza facilmente osservabili, registrabili e analizzabili. Esiste un detto che recita: “se ascolto o leggo dimentico, se vedo capisco, se faccio imparo”,ma “se so in anticipo ciò che devo fare e come lo devo fare ”, imparerò prima e meglio.
Voce glossario a cura di Pamela Faccioni METAVERSO Il termine metaverso viene coniato da Neal Stephenson in Snow Crash, un libro di fantascienza cyberpunk degli anni 90. In Snow Crash, il metaverso viene descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Il metaverso è un ambiente partecipativo, dove ci si prefigge il raggiungimento di un obiettivo insieme ai partecipanti, è un ambiente persistente, dove il tempo corrisponde al tempo reale, e un ambiente comunitario, nel quale il valore e’ dato dal confronto con le persone. Stephenson vede il metaverso come una immensa sfera nera. Su questa sfera ogni persona può realizzare in 3 dimensioni ciò che desidera: negozi, uffici, nightclub, scuole e altro, il tutto potenzialmente visitabile dagli altri utenti. Esempi oggi conosciuti di metaverso sono: Second Life, Active Worlds, le chat in 3 dimensioni e i Massive Multiplayer Online Role-playing Games, ovvero i giochi di ruolo che si svolgono online, dove migliaia di persone possono interagire. Il metaverso comprende diversi mondi online, ciascuno adatto alle diverse esigenze dell’utente. Alcuni, come Second Life, sono dei veri e propri mondi, con le loro regole sociali, nei quali si formano aggregazioni di persone con i più diversi scopi. Second Life ad esempio, è collegato con l’economia reale: i dollari del mondo virtuale, chiamati Linden Dollars, sono convertibili in dollari americani e le creazioni dei residenti di tale metaverso diventano effettivamente di loro proprietà. In questo senso si può affermare che il metaverso favorisce la creatività, permettendo la libera sperimentazione, la fisica dei solidi, l’interazione e l’arricchimento del linguaggio. Il metaverso è caratterizzato poi da regole di comportamento precise, diritti di proprietà, economia integrata. La conversazione, nel metaverso, diventa interazione. Nel campo della sperimentazione didattica il metaverso sta rappresentando un valido strumento di supporto all’insegnamento. Non sono rari i casi di università attive su Second Life o di introduzione di giochi virtuali per l’insegnamento, come il caso di SimCity Societies, utilizzato dalle facoltà di Economia per insegnare ai propri studenti la gestione e l’implementazione dei servizi di una città. La classe virtuale introduce notevoli vantaggi soprattutto per ciò che riguarda le distanze fisiche che spesso limitano le possibilita’ di partecipazione alle lezioni degli studenti. Ciò comporta però uno sforzo superiore del docente, che non è più solo insegnante ma diventa mediatore e facilitatore dell’apprendimento, avvicinandosi più al paradigma del laboratorio che all’idea di classe tradizionale.
Voce del Glossario a cura di Irene Soffiati MASHUP Mashup letteralmente “poltiglia”, è preso in prestito dall’ambiente della pop music. Nel settore informatico, per Mashup, s’intende l’aggregazione di risorse in un’applicazione web ibrida che includa ed integri, in modo dinamico, informazioni e contenuti provenienti da più fonti. Infatti ogni sito web è caratterizzato da interfaccia utenti impiegate dai programmatori nella creazione di applicazioni, e fornite su internet, a volta anche inconsapevolmente, da aziende come Yahoo, Flickr, Google, Amazon. Ecco, uno sviluppatore che sta lavorando ad un mashup, non fa altro che usufruire di queste speciali maschere, aggregare e implementare le funzionalità contenente al loro interno, e fare poi in modo che prendano vita a livello grafico direttamente attraverso l’interazione con l’utente. Un esempio può essere un’applicazione capace di estendere i risultati della ricerca di un sinonimo a foto di Flickr e link di Wikipedia, oppure di trovare il mezzo pubblico più comodo da una località all’altra, incrociando alcune funzionalità di Google Maps con le informazioni provenienti da varie aziende di trasporto. Nel nostro caso, nel caso di un corso di laurea universitario, potrebbe essere utile un mashup che riunisca in un unico motore di ricerca, tutto il materiale prodotto da studenti e docenti e pubblicato in maniera diversificata su YouTube, piuttosto che su SlideShare o Delicious. La crescita esponenziale di questo fenomeno, va di pari passo con l’intensificarsi del rapporto tra Web 2.0 e apprendimento e della conseguente riformulazione di strategie didattiche capaci di integrare strumenti diversi e potenziare il ruolo attivo dell’allievo. Collegare e organizzare risorse, sperimentare praticamente i risultati del proprio studio personalizzato: la creazione di mashup di contenuti può diventare insomma parte integrante del cosiddetto Personal Learning Environment, il portfolio personale di apprendimento, arrivando alla creazione di veri e propri learning objects. Rimane la necessità di essere guidati in maniera valida durante il percorso tra questi strumenti, nonché tutta una serie di questioni relative all’uso libero e alla proprietà intellettuale dei materiali utilizzati, ma, almeno per ora, via libera alla creatività!
Voce del glossario a cura di Bianca Maria Scotton MACHINIMA Il termine “machinima” è la combinazione di due parole: “machine” e “cinema” oppure “machine” e “animation”. Il machinima è un nuovo modo di produrre video utilizzando il motore grafico dei videogames o dei mondi virtuali (come Second Life) per creare immagini “in tempo reale”. In parole semplici, fare machinima significa fare “film con i videogiochi”. Dopo aver predisposto un set all’interno del mondo virtuale, si fanno muovere, agire ed interagire i personaggi attraverso i motori del gioco e si registrano queste immagini in real time, non più con una telecamera, ma con appositi software di screencast, che permettono la registrazione digitale dell’output dello schermo. Chi fa machinima, i machiministi, sono allo stesso tempo registi, sceneggiatori e cameramen, che creano storie nuove da elementi preesistenti. Essi trasformano l’ambiente di gioco di un video game in un set cinematografico e gli avatar (i personaggi che muovono) in attori. Il machinima è anche un nuovo medium, in cui convergono tre media creativi: il filmmaking, l’animazione e il videogioco. Rispetto ai prodotti dell’animazione 3d tradizionale, basata sul rendering, il machinima ha il vantaggio di essere “low cost”, ovvero molto meno costoso e molto più veloce. La sua logica produttiva è il “crowdsourcing”, ovvero la collaborazione, la condivisione e il riciclo creativo dei contenuti con la comunità virtuale. Il machinima è infatti una tecnica che nasce “dal basso”: i primi machiministi furono un gruppo di videogiocatori chiamato “The Rangers”, che nel 1996 creò un cortometraggio, “Diary of a Camper”, registrando il filmato con la funzione demo di Quake, uno sparatutto. Ci si può però servire della tecnica del machinima anche per la formazione e l’apprendimento: integrando infatti i tradizionali sistemi web per l’ e-learning e i mondi virtuali 3D, si crea una nuova piattaforma, il Virtual-Learning . In una sessione di V-Learning le persone, rappresentate dai propri Avatar, accedono a spazi dedicati, dove un insegnante può agire come tutor e diffondere contenuti di formazione in modo innovativo. Il V-learning è uno strumento formativo molto efficace, soprattutto perchè favorisce un apprendimento esperienziale.
Voce del Glossario a cura di Massimo Baldo LINK POPULARITY Link Popularity è un importante criterio usato dai maggiori motori di ricerca come Google per valorizzare una pagina web all’interno di una pagina di risultati. Come funzione un motore di ricerca come Google? Attraverso Link Popularity i motori di ricerca definiscono la posizione di una pagina web, contando e calcolando il numero complessivo di link che puntano a quella pagina: Maggiore è il numero dei link, migliore sarà la posizione di quella pagina nei risultati delle ricerche. In pratica, Google considera un link ad un sito esterno come un invito per l’utente a visitare quel sito. E’ come se raccogliesse le voci di tanti utenti che dicono: “Ehi … Vai lì … è un buon posto per trovare quello che cerchi…” Dunque, i motori di ricerca, trattano i link come veri e propri “consigli”, dei consigli di visita: più il sito è consigliato, più gode di popolarità e quindi merita una posizione più visibile nelle pagine di ricerca. Ma se un sito è appena stato creato, quanto tempo dovrà aspettare per ottenere una buona popolarità e quindi ottenere buona visibilità? Per superare questo inconveniente, accanto a Link Popularity un motore affianca il Page Rank, indicatore del valore che Google attribuisce ad ogni pagina web contenuta nel proprio archivio. Attraverso un suo algoritmo, il motore non calcola solo il numero dei link, ma conta soprattutto i link provenienti da pagine già conosciute e considerate “importanti” dal motore stesso, ovvero pagine che possiedono un valore di PageRank alto. Al valore di popolarità si aggiunge quindi quello di autorevolezza, conferito da siti già autorevoli e ben piazzati. Link Popularity si lega quindi al concetto di folksonomy e tag, così fondamentali nel web 2.0 E ha fatto nascere, accanto alla professione di sviluppatore di siti, quella di SEO (Search Engine Optimization), che si occupa di ottimizzare la posizione di un sito nella pagina di risposta dei motori di ricerca, facendola diventare risorsa rapidamente disponibile per chi cerca e rapidamente visibile per chi fornisce il servizio o il prodotto. Come nel mondo accademico e scientifico, l’autorevolezza e la notorietà è conferita dalla comunità scientifica, così un sito cresce in popolarità grazie dalla comunità dei pari, che la visitano e che, trovandovi risposte adeguate, invitano altri utenti a farvi visita.
Voci del Glossario a cura di Laura Mella LIFELONG LEARNING Lifelong learning, è un’ espressione inglese che il pedagogista Yeaxlee, ha utilizzato per definire l’ “apprendimento per tutto l’arco della vita”; si riferisce a un processo di acquisizione intenzionale di conoscenze e competenze che non finisce con il percorso scolastico di una persona ma prosegue per tutta la sua vita lavorativa e professionale. Oggi la nostra società, soggetta al continuo cambiamento tecnologico, richiede aggiornamento e formazione permanenti di conoscenze e abilità senza le quali si rischia l’esclusione sociale e l’alienazione. Le nuove tecnologie però sono anche un valido strumento per promuovere e diffondere le conoscenze e per offrire nuove opportunità di lifelong learning in modo efficiente ed efficace. Per questo l’e-learning cioè l’apprendimento a distanza è una forma di apprendimento innovativa perché attraverso internet e le tecnologie multimediali consente alle persone di conciliare il lavoro con le loro aspettative personali e di dare una risposta alle esigenze che emergono quotidianamente grazie anche alle opportunità di interazione che la rete offre sempre e dovunque, in modo sincrono e asincrono. Oggi, esistono numerosi contesti dove è possibile realizzare l’apprendimento permanente anche attraverso l’e-learning come ad esempio l’educazione per adulti o i corsi di formazione continua per l’acquisizione di titoli e competenze in età adulta che permettono anche lo sviluppo professionale sul posto di lavoro, L’Unione Europea ha attivato alcune iniziative rivolte anche ai più giovani come i Progetti Comenius ed Erasmus inseriti nel Lifelong learning Programme, il nuovo Programma di apprendimento permanente dell’Unione europea al quale hanno aderito 27 paesi compreso il nostro allo scopo di educare le nuove generazioni ad una “forma mentis” che riesca a sentire l’apprendimento permanente allo stesso modo in cui lo auspicava Yeaxlee, cioè una parte integrante della vita quotidiana come lo sono il cibo e l’esercizio fisico.
Voce del glossario a cura di Manuela Zani LEARNING ORGANIZATION Il termine learning organization è usato per definire un’organizzazione che facilita l’apprendimento, una comunità di persone che condividono costantemente le loro conoscenze al fine di generare nuove idee. Il concetto di Learning Organization è nato nell’ambito dell’impresa come risposta alla necessita di adattarsi continuamente ai cambiamenti e alla complessità dei mercati globali. La Learning organization è l’insieme di processi che portano l’organizzazione ad analizzare e ripensare criticamente i propri successi e insuccessi, a rivedere in modo continuativo i propri indirizzi, e soprattutto a sperimentare innovazioni tecniche e organizzative che vengono alimentate da un coerente processo di produzione e di diffusione della conoscenza. L’obiettivo della learning organization, è quello di attivare un processo di formazione continua dei propri membri per metterli in grado di produrre miglioramenti e innovazioni. Il suo funzionamento dipende dalla capacità di raccogliere, e utilizzare opportunamente le informazioni provenienti dall’esterno o possedute dalle persone che la costituiscono. La sua forza risiede nella capacità di sapersi riconfigurare attraverso l’apprendimento continuo. La learning organization si basa dunque su una flessibilità culturale che deve essere garantita e supportata da soluzioni tecnologiche volte all’acquisizione, distribuzione e interpretazione del patrimonio conoscitivo . L’uso intensivo delle tecnologie e le strategie di diffusione dell’e-learning diventano il sistema di formazione più consono. La learning Organization infatti usa l’elearning come strumento di studio e di aggiornanmento. Peter Senge la definisce come “un’organizzazione in cui non è possibile non imparare poichè in tale contesto imparare è un processo intrinseco della vita professionale”.
Voci del Glossario a cura di Fabio Marafon IMMERSIONE Il termine immersione indica la relazione che intercorre fra una data entità e l’ambiente o situazione che la contiene. Nell’uso comune, esso esprime la sensazione che ciascuno di noi prova, quando ad esempio ascolta musica, legge un libro, o è impegnato in un lavoro particolarmente delicato ed importante. Più i nostri sensi sono coinvolti e più ci sentiamo immersi in quello che facciamo. Grazie allo sviluppo delle tecnologie informatiche e della comunicazione il termine immersione è diventato particolarmente significativo nello studio della realtà virtuale, dei video giochi e dei contesti per l’apprendimento. La costruzione di un luogo tridimensionale generato al computer in cui i soggetti possono interagire fra loro e con l’ambiente come se fossero realmente immersi al suo interno, è alla base di esperienze, come quella dei piloti d’aereo che imparano a volare, utilizzando i simulatori di volo, o quella relativa alle ricerche sulle interfacce grafiche tridimensionali, utilizzate nel mondo informatico. Nell’ambito della formazione e dell’e-learning, l’apprendimento per immersione, presuppone il coinvolgimento dell’allievo nella pratica e nella possibilità di partecipare in prima persona alla creazione e allo sviluppo della propria conoscenza. Questo avviene anche all’interno di “mondi virtuali” come Second Life, che riproducendo su Internet, ambienti e situazioni sociali di ogni genere, consente agli utenti, o meglio alle loro identità virtuali denominate avatar, di incontrarsi ed interagire in modo più coinvolgente con gli altri attori che compongono la scena, innalzando il livello di partecipazione e immedesimazione a vantaggio dell’apprendimento. I video giochi, consentendo di immergersi in pochi secondi in ambienti altrimenti inaccessibili nella vita reale, stimolano l’immaginazione, la presa di decisioni, la costruzione di abilità di previsione e strategie. In poche parole, permettono di imparare facendo. Ecco cosa afferma Vygotskij (in Bruner et alii, 1981: 657), a proposito del gioco. “Domandiamoci ora che cos’è il gioco, se una caratteristica temporanea dell’infanzia oppure un tratto che contrassegna tutto l’arco dell’esistenza umana, pur con differenziazioni che variano a seconda delle diverse età. Le numerose indicazioni fornite dall’osservazione e dalla ricerca ci portano in via provvisoria ad affermare che il gioco, pur essendo una funzione preminente e specifica dell’infanzia, si prolunga poi per tutta la vita”.
Voci del glossario a cura di Franca Gava GRUPPO DI LAVORO Un gruppo di lavoro è formato da persone che perseguono un obiettivo finalizzato alla realizzazione di uno stesso compito instaurando processi di coesione e negoziazione che consentono il passaggio dalla reciproca interazione a una interdipendenza consapevole e all’integrazione dei membri. Un gruppo di lavoro si forma quando vi sia l’intento di agire una forma di costruzione attiva e autonoma di conoscenza, sia in campo formativo che in campo lavorativo. Alla costruzione e all’evoluzione del gruppo di lavoro concorrono: l’individuazione di un obiettivo chiaro e condiviso; il metodo che traccia la strutturazione dell’attività; la comunicazione, fondata sulle relazioni e sulla messa in opera dei ruoli; il clima che riguarda le percezioni dei membri sulla qualità dell’ambiente; lo sviluppo che concerne la crescita delle competenze individuali e collettive del gruppo di lavoro. Un gruppo di lavoro che opera in contesto e-learning è un sistema in cui si integrano soggetto, tecnologia e ambiente. Il gruppo di lavoro online comporta elementi di criticità quali la competenza tecnologica, in quanto la differenziazione di competenza nell’uso delle tecnologie può creare un problema di interazione e integrazione del gruppo, o l’interazione comunicativa ed emozionale che in rete è relegata al messaggio scritto per cui la comprensione reciproca, la fiducia e il senso di appartenenza richiedono un tempo maggiore di costruzione; tuttavia la non obbligatorietà della presenza può amplificare le potenzialità relazionali se evita dispersione e frammentazione negli scambi. Citando Kurt Lewin: “Il gruppo è qualcosa di più o, per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri … può definirsi come una totalità dinamica”.
Voce del Glossario a cura di Laura Policastro GRANDE FRATELLO Grande Fratello: metafora per indicare il controllo eccessivo della vita privata di un individuo, ignaro di essere sorvegliato da una persona, da un’istituzione o da una tecnologia. La metafora é stata coniata da George Orwell. Nel suo romanzo intitolato “1984″, scritto nel 1948, rimbalza ripetutamente lo slogan: “Il Grande Fratello vi guarda”, ipotizzando una società dove il potere avrebbe guidato un paese controllandolo a vista con telecamere piazzate ovunque. Oggi questa predizione é diventata realtà. Il Grande Fratello agisce in svariati contesti e per diversi motivi. Molti Paesi, tra cui l’Italia, garantiscono la sicurezza nazionale installando, nelle zone considerate a rischio, migliaia di occhi elettronici per vigilare costantemente sulla vita dei cittadini. Nei Paesi non democratici, il Grande Fratello è presente nel web, limitando la libertà d’espressione e d‘informazione dei cittadini. Nelle aziende il Grande Fratello s’insinua attraverso l’”Amministratore di sistema”, che gestisce la rete locale e controlla le attività in rete dei dipendenti scoprendo eventuali illeciti. Una scuola americana ha installato una video camera nei personal computer dati in comodato ai propri studenti, controllando i comportamenti nella vita privata degli ignari ragazzi e delle loro famiglie. Le piattaforme su cui sono organizzati i corsi educativi a distanza, permettono il tracciamento dei dati facendo conoscere a docenti e tutor quanti clic di mouse sono dati dai singoli utenti. Più evoluto è l’ambiente, più informazioni si generano automaticamente elaborando una statistica di uso dell’ambiente stesso. Il reality show televisivo intitolato “Grande Fratello”, paga i protagonisti per essere costantemente spiati giorno e notte dalle telecamere mentre si esibiscono nella Casa. Il successo della trasmissione é dato dalla sete di controllo del pubblico che lo segue. Le società Occidentali sono pervase dal Grande Fratello. Più la tecnologia si evolve, più il Grande Fratello perfeziona la sua capacità di controllo, adottando tecniche sempre più sofisticate. Nel contempo, anche i cittadini elaborano risposte adeguate che possono trasformarsi in concreti atti di controllo dell’Autorità.”
Voce del Glossario a cura di Elisabetta Pagani GIOCHI SERI Si parla di giochi seri quando ci si riferisce ad attività ludiche che utilizzano come medium il computer o le consolle. I giochi seri si distinguono dai giochi di intrattenimento o dai giochi educativi in quanto sono intenzionalmente progettati per diventare un utile strumento di apprendimento in linea con la pedagogia attiva: in un contesto di questo tipo hanno il beneficio di essere sia sorgente di apprendimento sia supporto all’apprendimento; presentano, generalmente, livelli di difficoltà crescente, coinvolgendo il giocatore in un processo di autoapprendimento e di sfida mentale, determinando un buon “gameflow”, per cui ogni sforzo o fatica genera un senso di piacere che ripaga. I giochi seri permettono di affinare la percezione, la memoria e l’attenzione favorendo modifiche comportamentali attraverso il learning by-doing (Autori vari da Wikipedia, l’enciclopedia libera, 2010). E’ infatti con l’apprendimento per esperienza, che le informazioni e le sensazioni vissute rimangono fortemente impresse nella memoria a lungo termine, mentre l’elemento ludico aumenta il coinvolgimento e la motivazione (Gloria, 2009). Troviamo applicazioni di giochi seri non solo nel campo dell’insegnamento scolastico, ma anche nel campo della medicina, dell’aeronautica, della salute, del marketing, della politica e della strategia della comunicazione. I giochi seri consentono di immergerci in simulazioni di mondi ancora sconosciuti, provare esperienze nuove e verificare le nostre capacità di affrontare ostacoli attraverso un apprendimento significativo. Possiamo, per esempio, trovarci ad affrontare in prima persona i problemi di una famiglia di agricoltori del terzo mondo, tenendo presente valori culturali e usanze locali. Per garantirne la sopravvivenza si dovranno attivare strategie individuando le priorità legate all’alimentazione e alla salute e tenendo conto di problematiche economiche e finanziarie di quella realtà. Ancor prima della nascita dei videogiochi lo storiografo Huizinga amava ricordare “Ogni gioco è soprattutto un atto libero. Il gioco comandato non è un gioco. Tutt’al più può essere la riproduzione obbligata di un gioco”
Voce del Glossario a cura di Catia Ziggiotto GEOPOSIZIONAMENTO Geo è primo elemento di molte parole composte derivate dal greco o formate nella terminologia scientifica, significa “terra”, “superficie terrestre”. Posizionamento indica la collocazione in un luogo appropriato in base a determinati criteri. Geoposizionamento significa collocazione di un dato elemento sulla superficie terrestre in base a coordinate spaziali. Il geoposizionamento permette di informare la gente di dove ti trovi, di vedere mappata a colpo d’occhio la presenza nel territorio. Un utilizzo innovativo di geoposizionamento si riscontra nel campo della telefonia mobile. I nuovi modelli di telefonia mobile dispongono di un sensore GPS integrato in grado di rendere disponibili i dati di posizionamento rilevati dal GPS per tutte le altre applicazioni installate nel dispositivo. E’ possibile posizionare le proprie foto sopra le mappe mondiali, vedere la posizione geografica dei vostri amici, condividere le immagini dei luoghi, realizzare e salvare mappe per definire percorsi. Il formato tipico per le foto digitali è il JPEG, in realtà il vero formato utilizzato per le foto digitali si chiama EXIF. Un EXIF è a tutti gli effetti un normale JPEG, contiene tuttavia molte informazioni extra che in un JPEG-base sono del tutto assenti. Sia i JPEG-base che i JPEG-EXIF utilizzano come suffisso .jpg oppure .jpeg. Riassumendo, possiamo dire che: un JPEG-base contiene semplicemente un’immagine compressa; un JPEG-EXIF contiene un’immagine compressa, ma in aggiunta contiene anche un set strutturato di metadati che forniscono ulteriori informazioni relative all’immagine. La presenza dei dati di posizione nelle immagini è una novità che consente una diversa gestione nell’utilizzo quotidiano delle foto digitali, permette di aggiungere funzioni ai software di archiviazione e gestione, sia sul pc locale dell’utilizzatore che su web, tramite siti e servizi appositi. Ricordiamo alcuni software per gestire le foto JPEG-EXIF Flickr, in grado di archiviare/condividere immagini on line Google Picasa Web Album – permette di archiviare le foto e posizionarle sulla mappa di Google. Oggi il geoposizionamento è una pratica molto comune grazie alla convergenza tra le tecnologie GPRS e gli smartphone che permettono a viaggiatori e ai turisti di ottenere informazioni fotografiche e audiovisive in tempo reale sui luoghi in cui stanno transitando.
Voce del Glossario a cura di Erika Iervolino FOLKSONOMY Il termine folksonomy , coniato nel 2004 dall’architetto dell’informazione Thomas Vander Wal, deriva dall’unione di folk (popolare, del popolo e quindi sociale) e tassonomia (classificazione) e sta ad indicare una categorizzazione di informazioni generata dagli utenti mediante l’utilizzo di tag scelti liberamente. Tra i sistemi di classificazione per il Web è il più democratico dal momento che essa è in pratica una classificazione dal basso, creata dagli utilizzatori stessi, per condividere risorse. Il meccanismo alla base della folksonomia è dunque quello del ‘tagging’ (tipico soprattutto dei servizi di social bookmarking) che vede coinvolte tre realtà: la persona-utente, la risorsa e appunto il tag. La folksonomy si rivela di grandissima utilità in particolari tipologie di archivi, dotati di caratteristiche quali una dimensione considerevole, la frequentazione da parte di una nutrita comunità di utenti e l’aggiornamento continuo. In siti come per esempio YouTube o del.icio.us (che di fatto è stato il primo ad avere applicato il concetto di Folksonomy nel 2003), l’utilizzo di tassonomie più tradizionali non sarebbe in grado di rispondere tempestivamente alla magmaticità e alla mutevolezza dell’ambiente. Le Potenzialità di questo sistema appaiono evidenti anche e soprattutto in ambito educativo: In primo luogo la sua SEMPLICITÀ, I COSTI LIMITATI, la CAPACITÀ DI ADATTAMENTO ai cambiamenti e alle necessità degli utenti. Esso RIFLETTE inoltre IL VOCABOLARIO DEGLI UTENTI stessi, AGEVOLA LA SERENDIPITY, infine FAVORISCE LA CREAZIONE DI COMUNITÀ VIRTUALI, grazie alla comunicazione attraverso metadati Esistono, però, anche dei limiti che l’educatore deve tenere presenti: l’AMBIGUITÀ generata dal fatto che persone differenti classificano risorse in modo differente. Per esempio uno stesso tag può essere utilizzato in modi diversi, oppure uno stesso concetto può essere taggato con termini diversi, o ancora il tag può essere applicato al singolare o al plurale. Anche la FORMATTAZIONE DELLE PAROLE, quindi il differente uso degli spazi e delle abbreviazioni in parole composte risulta un limite del sistema. Infine concetti simili possono essere espressi in lingue diverse, dando luogo ad un’effettiva incomunicabilità tra i soggetti della “comunità”.
Voce del Glossario a cura di Maria Zuccarelli FOAF FOAF è l’acronimo di Friend Of A Friend, cioè amico di un amico, una ontologia comprensibile dal computer atta a descrivere persone. Il documento Foaf viene scritto con sintassi xml seguendo direttive RDF cioè Resource Description Framework, questo fa si che Foaf ne acquisisca l’estendibilità avendo così la possibilità di combinare le relazioni definite con FOAF con altre definite utilizzando un qualsiasi vocabolario RDF. Il vocabolario Foaf infatti è una fusione di un vocabolario ad hoc creato appositamente per il progetto e di altri vocabolari già esistenti. Chiunque seguendo lo standard FOAF può creare il proprio profilo personale inserendo: il proprio nome, l’indirizzo di posta elettronica,i propri amici, i propri interessi, le passioni, le letture personali, le esperienze professionali e ogni altro tipo di informazione che ritiene utile per descriversi meglio. Ciò consente ad un software di elaborare queste descrizioni, magari all’interno di un motore di ricerca automatico, allo scopo di trovare informazioni su un utente e sulle comunità delle quali fa parte. I dati inseriti in FOAF permetteranno alla piattaforma di individuare altri utenti che condividono gusti o passioni simili e di visualizzare il loro materiale. Grazie alle informazioni inserite nell’ontologia FOAF nell’ambito dell’e-learning è possibile l’assegnazione dei partecipanti ai gruppi sulla base di alcuni vincoli, allo scopo per esempio di favorire attività di collaborazione. Massimizzando l’utilità dei vincoli all’interno degli obiettivi si ha la possibilità di ridurre al minimo lo scarto tra la soddisfazione dei gruppi e la formazione ottimale.
Voce del Glossario a cura di Katia Stedile FLOW Il concetto di flow, “flusso”, fu introdotto dallo psicologo americano Csikszenthmihalyi nei primi anni ’70. Egli chiamò “flusso di coscienza” uno stato mentale nel quale si prova un’”esperienza ottimale”, in cui la prestazione è al massimo e lo stato d’animo è positivo, a condizione però che le sfide e le capacità siano bilanciate, che gli individui percepiscano di avere un alto grado di abilità e sentano di affrontare un compito adeguatamente impegnativo. La completa immersione nel compito fino alla perdita della dimensione fisica e temporale, il piacere che si prova nel controllo e nella realizzazione dell’attività, accrescono la motivazione intrinseca a ripetere l’esperienza incrementando le capacità personali. Negli ambienti mediati dal computer affinché il flow si realizzi, gli utenti devono concentrarsi sull’interazione con il sistema e trovare un bilanciamento tra le proprie abilità e capacità e le sfide che si trovano davanti. Nella progettazione dell’e-learning il mantenimento dello stato di flow è favorito dalla capacità di interazione e socializzazione dell’esperienza da parte dei tutor, dalle capacità dell’utente, da compiti e attività stimolanti, con livello di sfida ottimale, contenuti ed elementi dell’interfaccia aggiornati, piattaforme veloci. Lo studente è portato a mantenere e ripetere il flow nell’ambito della stessa attività e ad estenderlo ad altre più complesse, con progressivo aumento delle sue abilità. La dispersione interrompe lo stato di flow, causando abbassamento motivazionale, necessario questo a percepire l’esperienza della navigazione come stimolante e gratificante. Scrive lo psicologo teorico del flow: “I momenti migliori si verificano quando il corpo o la mente sono tesi al limite in uno sforzo volontario di ottenere qualcosa di difficile e per cui vale la pena di lottare”. (Katia Stedile, 2010)
Voce del Glossario a cura di Cecilia Della Vedova DEEP UNDERSTANDING Il concetto di Deep Understandig o comprensione profonda si riferisce alla capacità di una persona di acquisire una conoscenza in modo sistematico, integrato e olistico. La deep understanding è dimostrata dal successo di uno studente di produrre nuova conoscenza attraverso la scoperta di relazioni tra concetti, la risoluzione di problemi, la rielaborazione di spiegazioni e il trarre conclusioni. L’attenzione viene rivolta alle strategie e tecniche didattiche per favorire la capacità di comprendere profondamente la conoscenza e i concetti (Deep Understandig), a tutti i livelli: dalla scuola primaria all’università, alla formazione continua degli adulti. Il concetto di Deep Understandig è stato studiato da diversi autori Nord americani di approccio costruttivista. Nell’ambito dell’apprendimento mediale, interessante è la prospettiva presentata da Marlene Scardamalia e Carl Bereiter dell’Università di Toronto, Canada. I due ricercatori canadesi utilizzano il termine deep costructivism come sinonimo di deep understanding, proprio a sottolineare come la comprensione profonda sia un processo legato all’interazione in un comunità di studio. Scardamalia e Bereiter distinguono due forme di costruzione della conoscenza: una superficiale (shallow costructivism) e una profonda (deep costructivism). Nella forma più superficiale di apprendere (shallow costructivism), lo studente descrive sì le attività in cui è impegnato (per esempio piantare semi o misurare una superficie piana), ma dimostra poca consapevolezza verso i principi teorici che sottendono a queste attività. I concetti di deep costructivism o deep understanding sono alla base della teoria di Knowledge Building1 di Scardamalia e Bereiter. Questa teoria fornisce una risposta al bisogno di educare le persone al mondo contemporaneo, nel quale la creazione e l’innovazione sono pervasive. Per Scardamalia e Bereiter, knoweldge building può essere considerato come deep costruttivism , poiché implica un’attività di ricerca collettiva attorno ad uno specifico argomento, e procede ad una comprensione profonda (deep understanding) attraverso: discussioni interattive, dialoghi e una continua progressione delle idee. I due ricercatori hanno sviluppato il primo network educativo per favorire la costruzione di nuove conoscenze (Knowledge Building) chiamato Computer Supported Intentional Learning Environment (CSILE), attualmente chiamato Knowledge Forum. Knowledge Forum è una piattaforma educativa in ambiente on-line, che può essere utilizzata sia come e-learning system sia come in-class technology. Attualmente è utilizzata in 19 Paesi nel mondo. Il progetto di Knowledge Forum, è orientato alla comprensione piuttosto che alla realizzazione del compito, alla collaborazione piuttosto che alla controversia.
Voce del glossario a cura di Nuccia Silvana Pirruccello CROSSMEDIALITA Il termine cross-mediale sta per “creare narrazioni e contenuti specifici per ciascun mezzo di comunicazione coinvolto all’interno di un progetto editoriale che utilizzi più media contemporaneamente”. Perché si parla in questo caso di crossmedialità e non di convergenza digitale? E chi sono i nuovi narratori cross mediali? I modelli di racconto convergente e racconto cross mediale si differiscono fin dalla stessa ideazione. Nel caso della convergenza varrà infatti la definizione di “create once, publish everywhere” – i contenuti si creano una tantum e si distribuiscono sui diversi media coinvolti. Nel caso del racconto cross-mediale si ha invece un articolazione editoriale più complessa: vengono creati contenuti e narrazioni specifiche ed interattive per ciascun medium. L’articolazione del consumo è più piatta e replicata nel caso della convergenza. È invece più impegnativa nel caso delle narrazioni cross-mediali. Le nuove narrazioni, dice Max Giovagnoli che dirige la prima laurea italiana in Cross- media communication, sono come i pollini, sono dovunque. Passano da un mezzo di comunicazione all’altro e contaminano il cinema con i video-games, la letteratura con la TV e i social network, i fumetti con il Web e le performance particolari. Egli definisce i nuovi narratori come la generazione Cross-media, impegnata in una costante opera di ri-definizione e di ri-mediazione dei contenuti offerti dalle grandi narrazioni delle corporate mondiali oppure li crea dal basso: user generated contents. Un esempio? Nella sezione Expanded Universe del sito ufficiale di Star Wars, la produzione mette a disposizione della sua community, la possibilità di creare e inviare strisce a fumetti, immagini modificate, proposte narrative e di partecipazione a un blog dedicato all’immaginario e ai beniamini della Saga. Siamo chiamati a sperimentare modi sempre più interattivi per narrare e il pubblico dei media contemporanei cerca la complessità, non la semplicità. Sarà vero? In questo nuovo habitat abbiamo cominciato a raccontare diversamente le nostre storie.