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Aprire la strada alla sperimentazione dell’idrogeno liquido come carburante per aerei: è quanto si propone il progetto europeo HASTA, finanziato con oltre 3 milioni di euro, che coinvolge un consorzio di 15 partner provenienti da 8 Paesi, tra cui molti provenienti dall’Italia: ENEA, Cnr, Sapienza Università di Roma e Università degli Studi Niccolò Cusano. HASTA ha tra i più importanti obiettivi la progettazione di un serbatoio per aerei adatto a gestire l’idrogeno liquido, risolvendo problemi come lo sloshing, il rimescolamento tumultuoso dell’idrogeno liquido che può avvenire durante il volo a causa di qualche sballottamento, rendendo difficile una fornitura regolare di carburante ai motori. Ce ne parla ancora Antonio Agresta, ricercatore del Laboratorio Idrogeno e Nuovi Vettori Energetici del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell’ENEA.
L'idrogeno liquido è un carburante usato da decenni dall'industria aerospaziale, grazie alla sua leggerezza in rapporto alla sua capacità di fornire energia. Ora numerose compagnie aeree stanno studiando come applicarlo anche ai normali aeroplani al posto del cherosene, molto più impattante sia dal punto di vista climatico che ambientale. È un percorso ancora lungo, che passerà per l'introduzione graduale dell'idrogeno nell'ambiente aeroportuale, iniziando dalle operazioni come la movimentazione a terra. Ce ne parla Antonio Agresta, ricercatore del Laboratorio Idrogeno e Nuovi Vettori Energetici del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell'ENEA.
Trasformare il BOOM di un aereo supersonico in un tonfo sordo. È l’obiettivo di una serie di progetti che stanno tentando di riportare in vita il volo supersonico in ambito civile. Progetti che riaprono una stagione - quella del Concorde - chiusa ormai da decenni, ma facendo un passo avanti ritenuto cruciale, per permettere il volo supersonico anche sulla terraferma: attutire quel potente boato, simile a un colpo di cannone. USA, Giappone e Cina ci stanno lavorando e, seppur meno alacremente, anche l’Europa. Intanto il primo prototipo di aereo supersonico “low boom”, l’X59 della NASA, si prepara a effettuare entro l’anno il primo volo. Ne parliamo ancora con Nicole Viola, professoressa di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Torino.
Tornare al volo supersonico civile. È l’obiettivo di numerosi progetti che vedono coinvolti i principali paesi dotati di capacità e industrie aerospaziali: USA, Giappone, Cina e UE.Ma il principale problema da risolvere per andare oltre l’era del Concorde, è riuscire a controllare il “boom sonico”: il botto, simile a un’esplosione, è dovuto al fatto che le onde acustiche emesse da un velivolo che viaggia a velocità supersonica tendono a fondersi, formando un’onda d’urto capace di farsi sentire a molte decine di chilometri di distanza, rendendo pressoché impraticabile il volo supersonico sopra le regioni abitate. Da qui, progetti come l’XB1 o l’X59, che pur con differenti approcci inseguono il medesimo risultato. Ne parliamo con Nicole Viola, professoressa di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Torino.
Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all'uso sempre più intensivo dell'irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l'obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall'idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l'obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino
Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all’uso sempre più intensivo dell’irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l’obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall’idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l’obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino
Curare con gli ultrasuoni. Non è un novità assoluta bensì qualcosa che già si fa, ma non se il bersaglio da colpire si trova nel cervello, protetto da una barriera quale la scatola cranica. Una barriera che non fa passare in modo controllabile nemmeno le vibrazioni.Superare questa barriera è l’obiettivo di LUMEN, progetto cui è stato assegnato un ERC Grant da circa 1,5 M€ e che mira ad aggirare il problema trasformando la scatola cranica stessa in una sorta di campana la quale, fatta vibrare in modo opportuno, permetterebbe di concentrare l’energia acustica su un bersaglio preciso: un nuovo approccio alla cosiddetta "stimolazione cerebrale transcranica" che potenzialmente potrebbe dare benefici a milioni di persone che soffrono di disturbi quali il Parkinson o di dolore di origine neurologica.Ospite Emanuele Riva, ricercatore del Dip Mecc del Polimi.
Curare con gli ultrasuoni. Non è un novità assoluta bensì qualcosa che già si fa, ma non se il bersaglio da colpire si trova nel cervello, protetto da una barriera quale la scatola cranica. Una barriera che non fa passare in modo controllabile nemmeno le vibrazioni.Superare questa barriera è l'obiettivo di LUMEN, progetto cui è stato assegnato un ERC Grant da circa 1,5 M€ e che mira ad aggirare il problema trasformando la scatola cranica stessa in una sorta di campana la quale, fatta vibrare in modo opportuno, permetterebbe di concentrare l'energia acustica su un bersaglio preciso: un nuovo approccio alla cosiddetta "stimolazione cerebrale transcranica" che potenzialmente potrebbe dare benefici a milioni di persone che soffrono di disturbi quali il Parkinson o di dolore di origine neurologica.Ospite Emanuele Riva, ricercatore del Dip Mecc del Polimi.
Aprire la strada a un nuovo tipo di calcolatore quantistico, più semplice da costruire e soprattutto capace di operare in condizioni non estreme, come quelle richieste dagli attuali computer quantistici che per funzionare hanno bisogno di temperature di oltre 270 °C sottozero. Questo l’obiettivo del progetto Light-driven molecular spin qubits (LIGHT-QIS), che studierà la possibilità di realizzare dei Qbit (l’elemento base del calcolo quantistico) utilizzando porfirine, molecole organiche ben note per essere coinvolte nella fotosintesi delle piante e nel trasporto dell’ossigeno nel sangue.Ospite Alberto Privitera, ricercatore dell’Università di Firenze presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze.
Aprire la strada a un nuovo tipo di calcolatore quantistico, più semplice da costruire e soprattutto capace di operare in condizioni non estreme, come quelle richieste dagli attuali computer quantistici che per funzionare hanno bisogno di temperature di oltre 270 °C sottozero. Questo l'obiettivo del progetto Light-driven molecular spin qubits (LIGHT-QIS), che studierà la possibilità di realizzare dei Qbit (l'elemento base del calcolo quantistico) utilizzando porfirine, molecole organiche ben note per essere coinvolte nella fotosintesi delle piante e nel trasporto dell'ossigeno nel sangue.Ospite Alberto Privitera, ricercatore dell'Università di Firenze presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Firenze.
Una nuova generazione di propulsori spaziali al plasma. Questo l’obiettivo di PHOENIX, progetto premiato con un ERC Starting Grant da oltre 1,5 milioni di Euro.In particolare, PHOENX mira eliminare da questi propulsori (che sono il futuro e in buona parte anche il presente della propulsione spaziale) un componente detto neutralizzatore, che spesso è causa di guasti. Qui è il caso di ricordare che i motori al plasma non espellono semplicemente un gas caldo come avviene nei normali razzi a combustione chimica, bensì ioni, cioè atomi con una carica elettrica positiva netta, che va compensata emettendo una equivalente carica negativa per evitare che tutta la navicella si carichi elettricamente, impedendo ai motori di continuare a funzionare. A questo pensa il neutralizzatore, che i ricercatori pisani vorrebbero però eliminare.Ospite Vittorio Giannetti, ricercatore dell’Istituto di Intelligenza Meccanica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all'uso sempre più intensivo dell'irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l'obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall'idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l'obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino
Si chiama ipertermia oncologica ed è un campo della ricerca e della clinica medica che ha come obiettivo coadiuvare le terapie antitumorali “tradizionali”, come i farmaci chemioterapici e le radiazioni ionizzanti, aumentandone l’efficacia a parità di dose. Come dice il nome, la tecnica consiste nel surriscaldare i tessuti tumorali, fino a far loro raggiungere una temperatura compresa tra i 42 e i 45 gradi centigradi, per mezzo di microonde che permettono di raggiungere l’interno del corpo umano e, a differenza delle radiazioni ionizzanti, sono fondamentalmente innocue. Il calore, invece, non è innocuo: va tenuto d’occhio. Andare oltre certe temperature può essere pericoloso anche per i tessuti sani e proprio le difficoltà connesse col monitoraggio della temperatura all’interno del corpo umano sono state il principale ostacolo alla diffusione di questa metodologia nella lotta contro il cancro. Ma un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, in collaborazione con la fondazione LINKS, ha forse trovato il bandolo della matassa. ce lo racconta Giuseppe Vecchi, professore del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET del Politecnico di Torino.
Si chiama ipertermia oncologica ed è un campo della ricerca e della clinica medica che ha come obiettivo coadiuvare le terapie antitumorali “tradizionali”, come i farmaci chemioterapici e le radiazioni ionizzanti, aumentandone l'efficacia a parità di dose. Come dice il nome, la tecnica consiste nel surriscaldare i tessuti tumorali, fino a far loro raggiungere una temperatura compresa tra i 42 e i 45 gradi centigradi, per mezzo di microonde che permettono di raggiungere l'interno del corpo umano e, a differenza delle radiazioni ionizzanti, sono fondamentalmente innocue. Il calore, invece, non è innocuo: va tenuto d'occhio. Andare oltre certe temperature può essere pericoloso anche per i tessuti sani e proprio le difficoltà connesse col monitoraggio della temperatura all'interno del corpo umano sono state il principale ostacolo alla diffusione di questa metodologia nella lotta contro il cancro. Ma un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, in collaborazione con la fondazione LINKS, ha forse trovato il bandolo della matassa. ce lo racconta Giuseppe Vecchi, professore del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET del Politecnico di Torino.
Trasformare in dual fuel i veicoli per gli autotrasporti pesanti, in modo che possano funzionare anche con un mix di idrogeno e gasolio, come già si fa con alcuni camion che funzionano con un mix di gasolio e metano (quando quest'ultimo è disponibile). Si tratta di una soluzione che numerose compagnie di trasporti in Europa, USA e Australia hanno sperimentato nel corso del 2025: non ottimale, ma semplice e che permette di decarbonizzare, in toto o in parte, i veicoli pesanti già esistenti, gradualmente e senza “strappi tecnologici”. Anche se il costo dell’idrogeno Green rimane una barriera non indifferente. Ne parliamo con Fernando Ortenzi, ricercatore ENEA e responsabile del progetto IPCEI H2 Technology per i veicoli pesanti.
Trasformare in dual fuel i veicoli per gli autotrasporti pesanti, in modo che possano funzionare anche con un mix di idrogeno e gasolio, come già si fa con alcuni camion che funzionano con un mix di gasolio e metano (quando quest'ultimo è disponibile). Si tratta di una soluzione che numerose compagnie di trasporti in Europa, USA e Australia hanno sperimentato nel corso del 2025: non ottimale, ma semplice e che permette di decarbonizzare, in toto o in parte, i veicoli pesanti già esistenti, gradualmente e senza “strappi tecnologici”. Anche se il costo dell'idrogeno Green rimane una barriera non indifferente. Ne parliamo con Fernando Ortenzi, ricercatore ENEA e responsabile del progetto IPCEI H2 Technology per i veicoli pesanti.
L’ambiente marino è ancora poco utilizzato dall’uomo, ma le cose stanno un po’ alla volta cambiando con lo sviluppo di applicazioni come l’agricoltura marina ad altre ancora. Ed è proprio sotto la superficie del mare che le tecnologie fotovoltaiche potrebbero trovare un nuovo campo di applicazione. Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials, infatti, ha dimostrato che le celle solari a perovskite - un tipo innovativo di cella solare alternativo a quelle al silicio - possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, se non addirittura meglio che in atmosfera. Lo studio è frutto della collaborazione tra due Istituti di ricerca del CNR, l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional Spa. Ce ne parla Jessica Barichello, ricercatrice dell’ Istituto di Struttura della Materia del CNR.
L'ambiente marino è ancora poco utilizzato dall'uomo, ma le cose stanno un po' alla volta cambiando con lo sviluppo di applicazioni come l'agricoltura marina ad altre ancora. Ed è proprio sotto la superficie del mare che le tecnologie fotovoltaiche potrebbero trovare un nuovo campo di applicazione. Una ricerca pubblicata sulla rivista Energy & Environmental Materials, infatti, ha dimostrato che le celle solari a perovskite - un tipo innovativo di cella solare alternativo a quelle al silicio - possono funzionare in modo efficiente anche in ambiente acquatico, se non addirittura meglio che in atmosfera. Lo studio è frutto della collaborazione tra due Istituti di ricerca del CNR, l'Università degli studi di Roma Tor Vergata e la società BeDimensional Spa. Ce ne parla Jessica Barichello, ricercatrice dell' Istituto di Struttura della Materia del CNR.
Si sente sempre più spesso parlare di gentrificazione, ovvero quel processo per cui un quartiere popolare, da un certo momento, inizia a essere abitato da persone con reddito sempre più elevato, dando il via a una serie di cambiamenti: sia positivi, come il risanamento di aree degradate o la riduzione dei tassi di criminalità; sia negativi, come l’aumento dei prezzi degli affitti e più in generale del costo della vita, che può obbligare i ceti popolari che originariamente abitavano il quartiere a spostarsi in zone più economiche e più periferiche. La gentrificazione non è di per sé un processo intenzionale, ma può certamente essere accelerato o frenato dalle scelte amministrative. Oggi, un modello matematico sviluppato tra le università di Oxford e di Bari, la Scuola normale superiore di Pisa, e l’Istituto di Scienze e Tecnologie dell'Informazione del CNR permette, per la prima volta, di provare a governarlo per mezzo di proiezioni e simulazioni. Insomma: dati alla mano. Ne parliamo con Luca Pappalardo, Ricercatore dell’ lSTI - Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Informazione del CNR.
Una scodella di fango da acque reflue, due cucchiai di fanghi industriali con un pizzico di cacca di pesce. Poi aggiungi bucce d’arancia, compost di alghe e di residui agricoli e una manciata di cenere dell’Etna. Sembra la ricetta per il sabba delle streghe, e invece è una combinazione di ingredienti che, in proporzioni ancora tutte da studiare, potrebbe trasformarsi in un fertilizzante completo di tutti i micro e macronutrienti necessari. Ed è solo uno dei 5 mix di rifiuti e matrici organiche di scarto che il progetto europeo Landfeed sperimenterà insieme ad altrettante tecnologie, in altrettanti paesi europei. Mentre questo verrà sperimentato in Sicilia, in Grecia, per esempio, si concentreranno su scarti dell’industria dell’olio d’oliva, e in Polonia dei latticini. Parliamo di tutto questo con Giuseppe Mancini, professore di Impianti Chimici dell’Università di Catania.
Una scodella di fango da acque reflue, due cucchiai di fanghi industriali con un pizzico di cacca di pesce. Poi aggiungi bucce d'arancia, compost di alghe e di residui agricoli e una manciata di cenere dell'Etna. Sembra la ricetta per il sabba delle streghe, e invece è una combinazione di ingredienti che, in proporzioni ancora tutte da studiare, potrebbe trasformarsi in un fertilizzante completo di tutti i micro e macronutrienti necessari. Ed è solo uno dei 5 mix di rifiuti e matrici organiche di scarto che il progetto europeo Landfeed sperimenterà insieme ad altrettante tecnologie, in altrettanti paesi europei. Mentre questo verrà sperimentato in Sicilia, in Grecia, per esempio, si concentreranno su scarti dell'industria dell'olio d'oliva, e in Polonia dei latticini. Parliamo di tutto questo con Giuseppe Mancini, professore di Impianti Chimici dell'Università di Catania.