Dall'intelligenza artificiale alle nanotecnologie, dalla blochckain ai nuovi materiali, dall'energia che cambia alla digital transformation, dall'auto elettrica all'economia economia circolare: ogni giorno a Smart City idee e storie di innovazione dalla voce dei protagonisti.

In due articoli su Scientific Reports e su Advanced Optical Materials, vengono descritte delle vere e proprie antenne per la luce. L'idea è mettere in comunicazione dei dispositivi senza fibre ottiche, lasciando che gli impulsi di luce che trasportano l'informazione viaggino nell'aria. L'obiettivo è un nuovo sistema di tele-comunicazione, wireless come il wifi, ma con la velocità della fibra. Un filone di ricerca che va avanti da anni, scontrandosi con mille difficoltà tecniche, tra cui quella di allineare il trasmettitore e il ricevitore: infatti, mentre nelle fibre ottiche la luce segue il percorso della fibra, in aria viaggia in linea retta e nulla lo può impedire. Ecco perché l'antenna ottica, sviluppata tra Cnr, Scuola Superiore Sant'Anna, Laboratorio LENS, e le Università di Firenze e Pisa, può rappresentare un concreto passo in avanti. Parliamone con Jacopo Catani, dirigente di ricerca INO CNR.

Messi a punto tra Pisa, Napoli e Firenze i primi pannelli fotovoltaici semi-trasparenti fatti di plastica riciclata.Per la precisione, si tratta di concentratori solari luminescenti e si basano sulla proprietà che hanno alcune nano-particelle o alcuni coloranti di assorbire e riemettere la luce. Quando questi materiali si trovano dispersi in una lastra trasparente, di plexiglass o vetro, la luce riemessa rimane intrappolata nella lastra e viaggia fino al suo bordo, dove dei piccoli pannelli fotovoltaici la intercettano trasformandola in elettricità. Da tempo si lavora su questi oggetti con l'obiettivo di creare dei pannelli fotovoltaici semi-trasparenti, che possano essere integrati in vetrate, pensiline o serre. Di recente, un team di ricercatori dell'Università di Pisa, in collaborazione con il CNR-ICCOM di Firenze e l'Università di Napoli Federico II, ha mostrato come sia possibile produrli anche da plastica riciclata. Ce lo racconta Andrea Pucci, professore di Chimica Industriale dell'Università di Pisa.

Prevedere le traiettorie delle maree nere è uno di quei problemi di calcolo che chiede agli scienziati di dare risposte rapide e con pochi dati a disposizione. Molte variabili sono ignote, perché non esistono ancora dati sul campo e devono essere stimate o ipotizzate. Eseguire delle simulazioni al computer in queste condizioni è quindi un'impresa quasi impossibile. Ma un team di ricercatori del CMCC ha mostrato come, integrando i modelli fisici oceanici con un pizzico di IA, a cui si affidano proprio queste valutazioni "a naso", si ottengano miglioramenti fino al 25% nell'accuratezza delle previsioni. È uno dei numerosi esempi di come, miscelando sapientemente calcolo tradizionale e Intelligenza Artificiale, la ricerca scientifica stia facendo passi avanti in molti settori. Ne parliamo con Gabriele Accarino, ricercatore del CMCC e della Columbia University.

È ora sulla buona strada il primo cemento prodotto in Italia che, non solo non emette CO² in atmosfera, ma la cattura e la stocca in vecchi giacimenti di gas esauriti. Tra i candidati all'Innovation Fund dell'Unione Europea, vi è infatti il progetto DREAM di decarbonizzazione della cementeria di proprietà di Heidelberg Materials, a Rezzato-Mazzano in provincia di Brescia. DREAM punta a catturare un milione di tonnellate all'anno di CO², che - in collaborazione con il progetto Ravenna CCS sviluppato da ENI e SNAM - sarà trasportata tramite pipeline verso siti di stoccaggio geologico sicuro e permanente nei giacimenti di gas esauriti al largo della costa di Ravenna. Ne parliamo con Agostino Rizzo, direttore tecnico di Heidelberg Materials.

Quale ruolo per le amministrazioni comunali nell'affrontare la crisi abitativa che oggi colpisce numerose città in tutto il mondo, in particolare quelle in crescita? Quasi sempre all'avanguardia in tutti i fenomeni sociali, positivi e negativi, e laboratorio sempre di grande interesse di nuovi modelli e nuove esperienze, la Città di New York ha sperimentato il problema della crisi abitativa già tempo fa, al punto di entrare nella campagna elettorale, poi vinta da Bill De Blasio, già nel 2014. Di alcune delle più interessanti esperienze, portate avanti dall'amministrazione della Grande Mela per cercare di affrontare la crisi abitativa, parliamo con Gianluca Galletto, presidente di I³NYC (I-cube NYC) e già consigliere dell'ex Sindaco De Blasio per l'innovazione, gli investimenti e le start up.

Siamo nella settimana di Ecomondo, la Fiera della Green Economy, e noi cogliamo l'occasione per fare il punto sul riciclo degli imballaggi in acciaio, un settore dell'economia circolare ben avviato, dove tuttavia non mancano le opportunità per aumentare ancora il volume e la qualità della raccolta di imballaggi. Questi, d'altronde, sono vitali per l'industria dell'acciaio italiana, caratterizzata ormai da una fortissima predominanza di acciaio prodotto con ciclo elettrico, che ha emissioni molto basse ma implica un elevato fabbisogno di rottame di ferro. Sul riciclo degli imballaggi in acciaio il paese può migliorare, adottando, come già sta facendo la Turchia, tecnologie avanzate per la selezione e l'affinazione del rottame ferroso, e chiedendo ai fornitori di rottame uno sforzo in più per offrire partite di materiale più omogenee. Anche su questi dettagli si gioca l'economia circolare. Ce ne parla Federico Fusari, direttore generale del consorzio Ricrea.

Sostituire le terre rare e altre materie prime critiche, elaborando nuovi materiali ottenuti dalla combinazione di elementi comuni e di facile reperibilità. Questo è l'obiettivo di RARA Factory, spin-off deep-tech dell'Università Ca' Foscari di Venezia, costruito intorno a un modello proprietario di Intelligenza Artificiale capace di elaborare ricette di nuovi materiali, individuandone la composizione e i dosaggi sulla base delle proprietà fisiche e funzionali richieste. Dopotutto la vita sulla terra si è evoluta imparando a fare di tutto con pochi elementi molto comuni e abbondanti: nessuna proteina, nessun enzima nel corpo umano ha bisogno, per funzionare, di terre rare o elementi troppo esotici. Ma la natura ha impiegato miliardi di anni prima di arrivare alle ricette giuste; l'obiettivo di RARA factory è andare decisamente più veloci. Ce ne parla Stefano Bonetti, professore di Fisica Sperimentale della Materia e Applicazioni a Ca' Foscari e fondatore e direttore scientifico di RARA Factory.

PITAGORA, il nuovo supercomputer del CINECA inaugurato oggi a Casalecchio di Reno (BO), è un mostro da non meno di 50.000 microprocessori capace di eseguire 42 milioni di miliardi di operazioni al secondo. PITAGORA sarà utilizzato per simulare sia i materiali che comporranno i reattori a fusione, sia il plasma rovente contenuto in essi; la sua architettura è concepita per eseguire simulazioni fisiche, in cui ogni microprocessore è responsabile di riprodurre ciò che accade in un dato volume di spazio. Una caratteristica innovativa di PITAGORA è che a questo nucleo di calcolo specializzato nelle simulazioni fisiche se ne aggiunge uno specializzato nell'Intelligenza Artificiale: un computer dalla "doppia personalità", che permetterà di dare forma ai gemelli digitali dei fenomeni sotto indagine e aiuterà i ricercatori condurre le simulazioni nel modo più efficiente possibile. Ne parliamo con Mirko Cestari - Cineca, Responsabile Tecnologie e Architetture Sistemi HPC (High Performance Computing).

È il titolo (un po' criptico) di un approfondito report che Motus-e ha pubblicato a inizio ottobre e che analizza il "Total Cost of Ownership" dei veicoli nel settore della logistica e del trasporto pubblico locale, comparando le varie motorizzazioni. Dal report emerge un segnale importante: ovvero che almeno per certe categorie di mezzi, e a certe condizioni, una flotta di veicoli elettrici risulta già oggi economicamente vincente anche in assenza di incentivi o agevolazioni. E questo è un dato interessante, visto che l'evoluzione tecnologica non potrà che allargare sempre di più, nei prossimi anni, questa platea di situazioni favorevoli all'elettrico. Ne parliamo con Francesco Naso Segretario Generale di Motus-E.

Questa sera vi riporteremo a "Città nel Futuro 2030-2050". Nel corso della manifestazione, organizzata a Roma da ANCE due settimane fa, si è discusso anche del mondo del calcestruzzo e degli sforzi che sta facendo per ridurre il proprio impatto ambientale. Un tema che rappresenta una delle sfide più complesse in ottica di decarbonizzazione, visto che il processo di produzione di cemento emette intrinsecamente CO2, anche qualora si utilizzassero combustibili decarbonizzati. L'utilizzo dei CSS (combustibili solidi secondari) nella produzione del cemento, soluzione considerata best practice ambientale in tutta Europa, non è atterrato in Italia. Ospite Stefano Gallini, Presidente di Federbeton.

Magneti superconduttori che sembrano sculture tridimensionali, grandi come autobus ma costruiti con una precisione da orologeria svizzera. Sono il cuore degli Stellarator, macchine per la fusione nucleare capaci di contenere il plasma di idrogeno a 200 milioni di gradi in modo molto più naturale, semplice e stabile dei Tokamak oggi sperimentati in tutto il mondo, ma molto più difficili da costruire. Ed è qui che punta a inserirsi Renaissance Fusion, start-up in rapida crescita grazie a un pacchetto di idee brevettate mirate a semplificare drasticamente la realizzazione di queste macchine concepite già negli anni '50, ma molto meno studiate nella pratica per l'estrema difficoltà di realizzazione. Tra i brevetti più importanti, un concept radicalmente innovativo per realizzare magneti superconduttori sofisticati in modo molto più semplice, con un processo che ricorda la serigrafia. Ne parliamo ancora con Francesco Volpe, fisico e fondatore e CTO di Renaissance Fusion.

Si chiama Stellarator ed è uno dei primissimi concept su cui si punta, fin dagli anni '50, per produrre energia con la fusione nucleare. Teoricamente molto più stabili e facili da gestire di quanto non siano i Tokamak - le macchine a fusione su cui si lavora principalmente da anni, tra cui il grande esperimento ITER - gli Stellarator sono però molto più difficili da costruire. Alcune novità tecnologiche recenti - dall'intelligenza artificiale ai superconduttori ad alta temperatura - hanno però riaperto la strada verso lo Stellarator e altri design alternativi, portando alla nascita di start-up in tutto il mondo che li stanno studiando e sperimentando. Tra queste c'è Renaissance Fusion, che recentemente ha acquisito una start-up pisana segnando così la nascita di una filiale italiana. Renaissance Fusion, oggi una realtà con più di 100 dipendenti, ha studiato come semplificare drasticamente la costruzione degli Stellarator. Nel corso di due puntate, cercheremo di capire di più di queste macchine straordinarie, con l'aiuto di Francesco Volpe, fisico e fondatore e CTO di Renaissance Fusion.

Si prevede che verranno estratti 37 milioni di metri cubi di roccia, per realizzare il tunnel di base della Torino Lione. Potete immaginarli come un cubo di più di 330 metri di lato. Ma che fine farà questo materiale? Almeno il 50% verrà riutilizzato all'interno dell'opera stessa: la roccia di prima qualità verrà utilizzata per realizzare i conci, gli anelli in cemento che servono a rivestire le pareti della galleria e a consolidarla. La roccia con prestazioni meccaniche inferiori, invece, verrà utilizzata per le opere accessorie, come le massicciate e i rilevati del tracciato ferroviario. Infine, il materiale che non potrà essere usato sul posto, verrà utilizzato per opere di rinaturalizzazione, come il riempimento delle cave dismesse, sebbene inevitabilmente una frazione finirà in discarica. Le attività di riciclo sono rese ulteriormente complicate dalla presenza fisica, in mezzo al cantiere, di un confine nazionale, che ha richiesto l'introduzione di innovazioni giuridiche ad hoc per poter gestire in modo integrato i materiali di scavo sui due lati del cantiere. Ne parliamo con Manuela Rocca, Direttrice Generale aggiunta Italia di TELT.

Come la composizione del sangue per il mondo animale, così quella della linfa per le piante è indicativa dello stato di salute. Plantbit, start-up nata come Spin-off del CNR IMEM di Parma, ha creato un nuovo tipo di sensore in grado di monitorare in tempo reale lo stato fisiologico delle piante tramite misurazioni elettrochimiche della linfa vegetale. Il sensore, chiamato "bioristor", si inserisce come un ago nel fusto di una pianta, dove rimane per fornire da lì in avanti informazioni precise sui fabbisogni idrici e nutrizionali, oltre a segnali di stress o malattie. Ce lo racconta Filippo Vurro, ex ricercatore, cofondatore e CEO della start-up.

Alcune settimane fa FIRE, la Federazione Italiana per gli Usi Razionali dell'Energia, ha pubblicato un report intitolato "Intelligenza artificiale per la gestione dell'energia", che restituisce una fotografia di quali siano oggi le tecnologie di IA più usate in questo settore, per fare cosa e con quali risultati. A prevalere sono, da un lato, le tecnologie volte a ottimizzare la conduzione e la manutenzione di impianti industriali, edifici e reti elettriche, e dall'altra quelle dedicate a formulare previsioni di mercato, per ottimizzare la gestione economica. Si tratta in entrambi i casi di applicazioni "classiche" dell'IA, con una forte enfasi sull'analisi dei dati e sui processi di apprendimento automatico. Meno diffuso invece è l'uso di soluzioni di intelligenza artificiale generativa e ancora meno sono i casi in cui si è fatto ricorso a soluzioni di IA personalizzate. Ne parliamo con Dario di Santo, Direttore FIRE

C'è all'orizzonte un nuovo modo per produrre vino novello di qualità superiore e con meno rischi per gli operatori: la macerazione con azoto, in cui, prima di subire la pigiatura e il classico processo di fermentazione che, con innumerevoli varianti, è alla base della produzione di tutti i vini, i grappoli interi vengono lasciati fermentare in ambienti saturi di azoto, anziché che CO2 come si fa tradizionalmente. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa ha testato il nuovo processo nella cantina sperimentale del "Podere Cipollini" a San Piero a Grado, col risultato di un vino con un contenuto significativamente più alto di antociani e polifenoli, sostanze fondamentali per la qualità e la stabilità del prodotto finale, e una maggiore sicurezza per gli operatori, che non rischiano l'esposizione a concentrazioni eccessive di CO2.Ospite Alessandro Bianchi, ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell'Università di Pisa.

A che punto è la refrigerazione a stato solido, il santo Graal della refrigerazione? Immaginate un frigorifero, o un condizionatore, o una pompa di calore senza pompe e compressori: nessuna parte in movimento che possa rompere o usurarsi; nessun liquido refrigerante che possa disperdersi nell'ambiente. Al loro posto, una o più piastre di uno speciale materiale che, quando viene stimolato con il magnetismo, l'elettricità o altre forme di energia, è capace di generare una differenza di temperatura tra un lato e l'altro, più o meno come un pannello fotovoltaico genera una differenza di tensione elettrica quando viene esposto alla luce. Il tentativo di realizzare sistemi di raffreddamento a stato solido è in corso da tempo per i molti vantaggi che potrebbero offrire. A che punto siamo? Ne parliamo con Mario Motta, professore di Fisica Tecnica al Politecnico di Milano e direttore di ReLAB.

Imparare di nuovo dalla natura, procedendo anche per prova ed errore, e con un po' più di disponibilità al rischio. Questa la sintesi un po' brutale del pensiero di Carlo Ratti - architetto e ingegnere conosciuto in tutto il mondo per i suoi progetti che mescolano la dimensione architettonica e quella digitale - in merito a come le città debbano affrontare la sfida dell'adattamento climatico. Lo ha incontrato Silvia Bandelloni a "Città nel Futuro 2030-2050", la manifestazione organizzata a Roma da ANCE per discutere delle tante sfide che le città si trovano ad affrontare: dal turismo di massa al climate change, e proprio l'adattamento delle città ai mutamenti del clima è stato al centro di numerosi dibattiti. Cosa che accade sempre più spesso. Sarà che il problema è politicamente trasversale, considerato che, finanche chi nega che il riscaldamento climatico sia causato dall'uomo, deve fare i conti con i cambiamenti del territorio e immaginare infrastrutture urbane diverse.Ospite Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab del MIT e della Biennale Architettura di Venezia.

Raramente gli prestiamo attenzione se non quando sono scassate: parlo delle pavimentazioni del suolo urbano: asfalto, più raramente cemento, ma anche porfido e granito, basalto e travertino, soprattutto se si parla di Roma. Il tipo di pavimentazione - non solo il materiale ma anche il tipo di posa - ha un impatto considerevole non solo sulla viabilità ma anche su aspetti come la regolazione del deflusso delle acque e l'effetto isola di calore; effetti di cui oggi non possiamo più premetterci di non tener conto in modo dettagliato, ma che nessuno finora aveva misurato. Da qui l'Atlante delle Pavimentazioni, realizzato dall'Università della sapienza per l'Ufficio Clima di Roma Capitale; un catalogo georeferenziato dei vari tipi di pavimentazione e delle loro caratteristiche ambientali, di cui i progettisti in futuro potranno tenere conto.Ospite Alessandra Battisti, professoressa del Dipartimento di Pianificazione Design Tecnologia dell'Architettura della Sapienza.

Somministrare terapie geniche direttamente in utero, in modo da poter correggere, già durante la gravidanza, patologie genetiche devastanti, come le malattie mitocondriali, che fanno danni irreparabili prima ancora che il bambino nasca. Si parla in questi casi di Terapia Genica Fetale In Utero (IUFGT) e in uno studio coordinato dall’Università degli Studi di Milano e dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con il Policlinico di Milano e Avantea di Cremona, un gruppo di ricercatori ha descritto una procedura sperimentale per la somministrazione di questo tipo di cura, basata sull’iniezione ecoguidata transaddominale: una tecnica comprovata e sicura, già usata per l’amniocentesi e quindi ben sperimentata nella pratica clinica. I risultati dello studio, ottenuti al momento sui suini, sono pubblicati sulla rivista Gene Therapy del gruppo Nature e sono alquanto incoraggianti. Ne parliamo con Dario Brunetti, coordinatore dello studio, docente del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università Statale di Milano e primo ricercatore presso l’Istituto Neurologico Carlo Besta.

Lo chiamano Calcestruzzo bio-recettivo ed è un calcestruzzo leggero, una miscela di cemento: fibre vegetali e materiali industriali di scarto che, nelle giuste dosi, favoriscono l’attecchimento di muschi e licheni, di cui si ricopre rapidamente. L’idea è che il calcestruzzo bio-recettivo possa essere utilizzato per realizzare rivestimenti edilizi, che in breve tempo si trasformano in superfici verdeggianti in grado di tenere sotto controllo il fenomeno dell’isola di calore e di fornire numerosi altri vantaggi: isolamento termoacustico, assorbimento di Co2 e inquinanti e una migliore gestione dell’acqua, grazie alla capacità di trattenerne almeno una parte e ritardarne l’afflusso nel sistema fognario. Ce ne parla Antonella Belletti, tesista del Politecnico di Milano, vincitrice del primo premio della call "Ideas for Future” di Kerakoll.

Pannelli fonoassorbenti che fermano le vibrazioni, lasciando passare aria e luce; barriere per ridurre l’inquinamento acustico sottomarino; dispositivi in grado di interagire e ridirigere le onde sismiche. Sono alcune delle applicazioni allo studio nei progetti DREAM e POSEIDON: il primo sostenuto dal MIUR e dedicato alla progettazione di materiali innovativi per l’architettura; il secondo, dallo European Research Council e concentrato sulla lotta all’inquinamento acustico sottomarino. Entrambi puntano a risolvere il problema grazie allo sviluppo di nuovi metamateriali, le cui strutture geometriche presenti al loro interno conferiscono loro proprietà non convenzionali. Ne parliamo ancora con Marco Miniaci, professore di Scienza delle Costruzioni al Politecnico di Torino.

Similmente alla foglia di loto, la cui idrorepellenza dipende da microscopici peli che ricoprono la superficie, ci sono sono materiali le cui proprietà dipendono quasi esclusivamente dalla presenza, sulla loro superficie o al loro interno, di motivi geometrici ripetuti, anziché dalla “sostanza” di cui sono composti. Materiali artificiali di questo tipo vengono detti metamateriali e possono esibire proprietà straordinarie, inesistenti in natura e addirittura contro-intuitive. In particolare, quando si tratta di manipolare delle onde: dalle onde radio alle onde acustiche, dalle onde sismiche a quelle del mare. Con l'aiuto di Marco Miniaci, professore di Scienza delle Costruzioni al Politecnico di Torino, in questa puntata parliamo proprio di metamateriali e di come possono essere utilizzati nel mondo delle costruzioni.

Dalla plastica al paracetamolo (il principio attivo della tachipirina) grazie un batterio. È quanto è riuscito a fare un team di scienziati del Wallace Lab dell’Università di Edimburgo che ha utilizzato l’E. coli, un batterio innocuo tra i più studiati dai biologi: questo batterio viene riprogrammato geneticamente per trasformare in paracetamolo una molecola nota come acido tereftalico, derivata dal PET (la plastica delle bottiglie). Il processo ricorda la fermentazione con cui i lieviti trasformano gli zuccheri in alcool, che avviene a temperatura ambiente e con un impatto ambientale minimo.L’idea, finora testata solo a livello di laboratorio, è un’altra, possibile tessera che va ad aggiungersi al puzzle dell’economia circolare. Ce lo spiega Loredano Pollegioni, professore di Biochimica all’Università dell’insubria.

Si apre oggi la Milano Digital Week, che fino al 5 ottobre inonderà il capoluogo lombardo di workshop, talk e dibattiti dedicati alla cultura digitale e all’innovazione. Filo conduttore di questa edizione è “Tutte le intelligenze della città”, tema sul quale interverrà anche Cosimo Accoto, filosofo delle nuove ingegnerie affiliato al MIT di Boston e uno dei pensatori più originali dell’impatto profondo che la cultura e la tecnologia digitale stanno avendo sulla nostra vita. Parleremo con lui della necessità di un cambio di passo rispetto al modo in cui usiamo e intendiamo l’uso dell’Intelligenza Artificiale, anche per affrontarne le criticità, passando dall’isteria alla strategia, e dalla concezione strumentale che abbiamo dell’IA a una di tipo “istituzionale”.

Andiamo a Bergamo al JOiiNT LAB, il laboratorio di ricerca nato da una partnership tra IIT e Sistema Bergamo, per conoscere Frasky, un robot capace di muoversi in autonomia in un vigneto ed eseguire operazioni varie: dal monitoraggio, alla manipolazione dei grappoli di uva, fino alla somministrazione mirata di antiparassitari. Delle dimensioni di un piccolo frigorifero, con quattro ruote e una mano guantata, Frasky è pensato per offrire un supporto concreto ad agricoltori e aziende vitivinicole, anche di fronte alla crescente carenza di manodopera e alle sfide imposte dai cambiamenti climatici. Ce ne parla Manuel Catalano, ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia e Coordinatore del laboratorio JOiiNT LAB a Bergamo.

Il concetto di Smart City, che ha preso corpo intorno al 2010, consiste nell’idea che grazie alla diffusione di sensori, reti telematiche e centri di elaborazione dati sia possibile fotografare istante per istante, e governare in tempo reale e in modo coordinato, molti dei processi e delle infrastrutture che caratterizzano le società moderne, come il traffico, i flussi di energia, la logistica, le reti elettriche e idriche. La possibilità di realizzare concretamente tutto ciò dipende in ultima analisi dalla qualità dei dati raccolti, che tuttavia in molti casi è insufficiente. Ripulire e tirare a lucido i dataset è quindi parte integrante del lavoro, se non addirittura la parte più onerosa. Oggi questo avviene anche attraverso strumenti come l’intelligenza artificiale. Un caso è quello dei dati prodotti dai sensori sparsi lungo la rete idrica di Lombardia e Friuli Venezia Giulia, su cui, in collaborazione con la società Idrostudi, ha lavorato un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste.Ne parliamo con Luca Bortolussi, professore di Informatica Università di Trieste.

Aprire la strada alla sperimentazione dell’idrogeno liquido come carburante per aerei: è quanto si propone il progetto europeo HASTA, finanziato con oltre 3 milioni di euro, che coinvolge un consorzio di 15 partner provenienti da 8 Paesi, tra cui molti provenienti dall’Italia: ENEA, Cnr, Sapienza Università di Roma e Università degli Studi Niccolò Cusano. HASTA ha tra i più importanti obiettivi la progettazione di un serbatoio per aerei adatto a gestire l’idrogeno liquido, risolvendo problemi come lo sloshing, il rimescolamento tumultuoso dell’idrogeno liquido che può avvenire durante il volo a causa di qualche sballottamento, rendendo difficile una fornitura regolare di carburante ai motori. Ce ne parla ancora Antonio Agresta, ricercatore del Laboratorio Idrogeno e Nuovi Vettori Energetici del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell’ENEA.

L'idrogeno liquido è un carburante usato da decenni dall'industria aerospaziale, grazie alla sua leggerezza in rapporto alla sua capacità di fornire energia. Ora numerose compagnie aeree stanno studiando come applicarlo anche ai normali aeroplani al posto del cherosene, molto più impattante sia dal punto di vista climatico che ambientale. È un percorso ancora lungo, che passerà per l'introduzione graduale dell'idrogeno nell'ambiente aeroportuale, iniziando dalle operazioni come la movimentazione a terra. Ce ne parla Antonio Agresta, ricercatore del Laboratorio Idrogeno e Nuovi Vettori Energetici del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili dell'ENEA.

Trasformare il BOOM di un aereo supersonico in un tonfo sordo. È l’obiettivo di una serie di progetti che stanno tentando di riportare in vita il volo supersonico in ambito civile. Progetti che riaprono una stagione - quella del Concorde - chiusa ormai da decenni, ma facendo un passo avanti ritenuto cruciale, per permettere il volo supersonico anche sulla terraferma: attutire quel potente boato, simile a un colpo di cannone. USA, Giappone e Cina ci stanno lavorando e, seppur meno alacremente, anche l’Europa. Intanto il primo prototipo di aereo supersonico “low boom”, l’X59 della NASA, si prepara a effettuare entro l’anno il primo volo. Ne parliamo ancora con Nicole Viola, professoressa di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Torino.

Tornare al volo supersonico civile. È l’obiettivo di numerosi progetti che vedono coinvolti i principali paesi dotati di capacità e industrie aerospaziali: USA, Giappone, Cina e UE.Ma il principale problema da risolvere per andare oltre l’era del Concorde, è riuscire a controllare il “boom sonico”: il botto, simile a un’esplosione, è dovuto al fatto che le onde acustiche emesse da un velivolo che viaggia a velocità supersonica tendono a fondersi, formando un’onda d’urto capace di farsi sentire a molte decine di chilometri di distanza, rendendo pressoché impraticabile il volo supersonico sopra le regioni abitate. Da qui, progetti come l’XB1 o l’X59, che pur con differenti approcci inseguono il medesimo risultato. Ne parliamo con Nicole Viola, professoressa di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Torino.

Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all'uso sempre più intensivo dell'irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l'obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall'idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l'obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino

Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all’uso sempre più intensivo dell’irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l’obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall’idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l’obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino

Curare con gli ultrasuoni. Non è un novità assoluta bensì qualcosa che già si fa, ma non se il bersaglio da colpire si trova nel cervello, protetto da una barriera quale la scatola cranica. Una barriera che non fa passare in modo controllabile nemmeno le vibrazioni.Superare questa barriera è l’obiettivo di LUMEN, progetto cui è stato assegnato un ERC Grant da circa 1,5 M€ e che mira ad aggirare il problema trasformando la scatola cranica stessa in una sorta di campana la quale, fatta vibrare in modo opportuno, permetterebbe di concentrare l’energia acustica su un bersaglio preciso: un nuovo approccio alla cosiddetta "stimolazione cerebrale transcranica" che potenzialmente potrebbe dare benefici a milioni di persone che soffrono di disturbi quali il Parkinson o di dolore di origine neurologica.Ospite Emanuele Riva, ricercatore del Dip Mecc del Polimi.

Curare con gli ultrasuoni. Non è un novità assoluta bensì qualcosa che già si fa, ma non se il bersaglio da colpire si trova nel cervello, protetto da una barriera quale la scatola cranica. Una barriera che non fa passare in modo controllabile nemmeno le vibrazioni.Superare questa barriera è l'obiettivo di LUMEN, progetto cui è stato assegnato un ERC Grant da circa 1,5 M€ e che mira ad aggirare il problema trasformando la scatola cranica stessa in una sorta di campana la quale, fatta vibrare in modo opportuno, permetterebbe di concentrare l'energia acustica su un bersaglio preciso: un nuovo approccio alla cosiddetta "stimolazione cerebrale transcranica" che potenzialmente potrebbe dare benefici a milioni di persone che soffrono di disturbi quali il Parkinson o di dolore di origine neurologica.Ospite Emanuele Riva, ricercatore del Dip Mecc del Polimi.

Aprire la strada a un nuovo tipo di calcolatore quantistico, più semplice da costruire e soprattutto capace di operare in condizioni non estreme, come quelle richieste dagli attuali computer quantistici che per funzionare hanno bisogno di temperature di oltre 270 °C sottozero. Questo l’obiettivo del progetto Light-driven molecular spin qubits (LIGHT-QIS), che studierà la possibilità di realizzare dei Qbit (l’elemento base del calcolo quantistico) utilizzando porfirine, molecole organiche ben note per essere coinvolte nella fotosintesi delle piante e nel trasporto dell’ossigeno nel sangue.Ospite Alberto Privitera, ricercatore dell’Università di Firenze presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze.

Aprire la strada a un nuovo tipo di calcolatore quantistico, più semplice da costruire e soprattutto capace di operare in condizioni non estreme, come quelle richieste dagli attuali computer quantistici che per funzionare hanno bisogno di temperature di oltre 270 °C sottozero. Questo l'obiettivo del progetto Light-driven molecular spin qubits (LIGHT-QIS), che studierà la possibilità di realizzare dei Qbit (l'elemento base del calcolo quantistico) utilizzando porfirine, molecole organiche ben note per essere coinvolte nella fotosintesi delle piante e nel trasporto dell'ossigeno nel sangue.Ospite Alberto Privitera, ricercatore dell'Università di Firenze presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell'Università di Firenze.

Una nuova generazione di propulsori spaziali al plasma. Questo l’obiettivo di PHOENIX, progetto premiato con un ERC Starting Grant da oltre 1,5 milioni di Euro.In particolare, PHOENX mira eliminare da questi propulsori (che sono il futuro e in buona parte anche il presente della propulsione spaziale) un componente detto neutralizzatore, che spesso è causa di guasti. Qui è il caso di ricordare che i motori al plasma non espellono semplicemente un gas caldo come avviene nei normali razzi a combustione chimica, bensì ioni, cioè atomi con una carica elettrica positiva netta, che va compensata emettendo una equivalente carica negativa per evitare che tutta la navicella si carichi elettricamente, impedendo ai motori di continuare a funzionare. A questo pensa il neutralizzatore, che i ricercatori pisani vorrebbero però eliminare.Ospite Vittorio Giannetti, ricercatore dell’Istituto di Intelligenza Meccanica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Le condizioni di stress idrico sempre più frequenti , dovute sia ai cambiamenti climatici che all'uso sempre più intensivo dell'irrigazione, suggeriscono la necessità di passare a diete basate su alimenti che richiedano meno acqua.Stimolare un cambiamento delle abitudini alimentari capace di innescare effetti a catena sulle reti commerciali internazionali e sui sistemi di produzione è l'obiettivo del progetto TIP-FRESH, premiato con un prestigioso ERC grant, che riunendo specialisti di materie le più disparate, dall'idrologia alla sociologia, cercherà di spiegare in che modo nuove abitudini alimentari, coerenti con l'obiettivo di ridurre in consumo di acqua, possano essere propagate a partire da nicchie di consumatori virtuosi, studiando come ciò sia avvenuto in passato e quali siano state le leve che hanno fatto la differenza.Ospite Marta Tuninetti, ricercatrice e docente di Idrologia Applicata all'Agricoltura presso il Politecnico di Torino

Si chiama ipertermia oncologica ed è un campo della ricerca e della clinica medica che ha come obiettivo coadiuvare le terapie antitumorali “tradizionali”, come i farmaci chemioterapici e le radiazioni ionizzanti, aumentandone l’efficacia a parità di dose. Come dice il nome, la tecnica consiste nel surriscaldare i tessuti tumorali, fino a far loro raggiungere una temperatura compresa tra i 42 e i 45 gradi centigradi, per mezzo di microonde che permettono di raggiungere l’interno del corpo umano e, a differenza delle radiazioni ionizzanti, sono fondamentalmente innocue. Il calore, invece, non è innocuo: va tenuto d’occhio. Andare oltre certe temperature può essere pericoloso anche per i tessuti sani e proprio le difficoltà connesse col monitoraggio della temperatura all’interno del corpo umano sono state il principale ostacolo alla diffusione di questa metodologia nella lotta contro il cancro. Ma un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, in collaborazione con la fondazione LINKS, ha forse trovato il bandolo della matassa. ce lo racconta Giuseppe Vecchi, professore del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET del Politecnico di Torino.

Si chiama ipertermia oncologica ed è un campo della ricerca e della clinica medica che ha come obiettivo coadiuvare le terapie antitumorali “tradizionali”, come i farmaci chemioterapici e le radiazioni ionizzanti, aumentandone l'efficacia a parità di dose. Come dice il nome, la tecnica consiste nel surriscaldare i tessuti tumorali, fino a far loro raggiungere una temperatura compresa tra i 42 e i 45 gradi centigradi, per mezzo di microonde che permettono di raggiungere l'interno del corpo umano e, a differenza delle radiazioni ionizzanti, sono fondamentalmente innocue. Il calore, invece, non è innocuo: va tenuto d'occhio. Andare oltre certe temperature può essere pericoloso anche per i tessuti sani e proprio le difficoltà connesse col monitoraggio della temperatura all'interno del corpo umano sono state il principale ostacolo alla diffusione di questa metodologia nella lotta contro il cancro. Ma un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, in collaborazione con la fondazione LINKS, ha forse trovato il bandolo della matassa. ce lo racconta Giuseppe Vecchi, professore del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni-DET del Politecnico di Torino.

Trasformare in dual fuel i veicoli per gli autotrasporti pesanti, in modo che possano funzionare anche con un mix di idrogeno e gasolio, come già si fa con alcuni camion che funzionano con un mix di gasolio e metano (quando quest'ultimo è disponibile). Si tratta di una soluzione che numerose compagnie di trasporti in Europa, USA e Australia hanno sperimentato nel corso del 2025: non ottimale, ma semplice e che permette di decarbonizzare, in toto o in parte, i veicoli pesanti già esistenti, gradualmente e senza “strappi tecnologici”. Anche se il costo dell’idrogeno Green rimane una barriera non indifferente. Ne parliamo con Fernando Ortenzi, ricercatore ENEA e responsabile del progetto IPCEI H2 Technology per i veicoli pesanti.