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Silvio Moretti"A metà strada"Scatole Parlantiwww.scatoleparlanti.itA metà strada è la storia di un figlio e di un padre. L'esistenza di Giuliano, il protagonista, viene infatti narrata e osservata da Andrea, suo padre, prematuramente scomparso ma ancora al suo fianco. Le vicissitudini della vita di Giuliano, tra amori, scelte e difficoltà, sono quindi permeate dalla forza di un legame che valica la morte, in un romanzo esistenziale-fantastico che sfuma i confini tra il mondo reale e l'aldilà.Silvio Moretti è nato a Civitavecchia e vive a Vitorchiano (VT). È uno studioso dello scrittore Achille Campanile, conosciuto e frequentato negli anni Settanta, sul quale ha realizzato, insieme ad Angelo Cannatà, un sito web e del quale ha curato, sempre con Angelo Cannatà, alcune pubblicazioni per le edizioni Aragno: Autoritratto (2008), Urgentissime da evadere (2010) e Grazie, arcavolo! Raccolta di scritti inediti e dispersi (2017).IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarewww.ilpostodelleparole.itDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/il-posto-delle-parole--1487855/support.
Marco Alfano"Parole a manovella"La linea scrittawww.lalineascritta.itSpesso i grandi scrittori si mettono a giocare mentre scrivono.Dagli insospettabili Dante e Boccaccio fino a Joyce, Nabokov, Cortàzar e Primo Levi, solo per citarne alcuni, la letteratura si è nutrita e si nutre sottotraccia di sperimentazioni sulla forma che sono delle vere e proprie macchine giocose, i cui ingranaggi sono regole rigorose che producono piacere aggiuntivo nel lettore. E soprattutto che hanno la funzione di stimolo alla creatività, come ben sapevano gli scrittori dell'OuLiPo come Perec e Queneau (cui si unì Italo Calvino), che hanno prodotto capolavori assoluti a partire da una griglia di norme formali in cui sbizzarrirsi con la fantasia per ottenere il miglior risultato, proprio come in un gioco di società.E, d'altra parte, il piacere del gioco, che sia coltivato individualmente o in gruppo, si alimenta spessissimo con la lingua, le parole e la loro duttilità, i sensi multipli (e i nonsensi), le assonanze. Dal Gioco del vocabolario al Telegrafo senza fili, dal Taboo ai surrealisti Cadaveri Squisiti, ai molteplici giochi enigmistici il divertimento passa attraverso il linguaggio, la sua manipolazione gioiosa, lo stupore infantile della scoperta di nuovi sensi e nuovi suoni.Questo laboratorio vuole affrontare con serissima leggerezza la relazione tra parola e gioco, in entrambe le direzioni: usare il gioco e le sue regole come strumento creativo per scrivere e le parole per giocare e divertirsi. Lo faremo attraversando la miriade di forme della ludoscrittura, leggendo e analizzando gli scrittori e i poeti che l'hanno praticata ma soprattutto scrivendo e giocando assieme. A chi è rivolto:A chi scrive e vuole aggiungere nuovi utensili, manovelle, trottole, scatole a molla e caleidoscopi alla sua cassetta degli attrezzi narrativaA chi è appassionato di giochi, letteratura, enigmistica, poesia, combinatoria, scrittura umoristicaA chiunque, che sia o no incluso nelle due categorie precedenti, voglia divertirsi e impararenuovi giochi e cimenti da sperimentare in gruppo o da soloCome si articolaSei incontri in videoconferenza, il giovedì, di due ore ciascuno, con una parte teorica e, principalmente, l'applicazione pratica e creativa delle varie forme di scrittura ludica o “a contrainte”. Esercizi, giochi e scritture saranno condivisi continuativamente attraverso una mailing list e un gruppo Facebook che saranno attivi durante il laboratorio e anche successivamente.Alcuni degli argomenti/giochi:l'OuLiPo e la scrittura a contrainte; Lipogrammi e tautogrammi; Acrostici, palindromi e anagrammi; Poesia metasemantica; Le lingue inventate; Le parole inesistenti e il gioco del vocabolario; La combinatoria; Le forme poetiche come Ur-contraintes; Il nonsense e i Limericks; Le scritture automatiche; Il cut-up di Borroughs; Il cinegioco (gioco dei titoli).Alcuni degli autori trattati:Georges Perec; Raymond Queneau; Primo Levi; Stefano Bartezzaghi; Giampaolo Dossena; Umberto Eco; Italo Calvino; Tommaso Landolfi; Julio Cortázar; Jorge Luis Borges; J. Rodolfo Wilcock; Giorgio Manganelli; Marcello Marchesi; Achille Campanile; Ettore Petrolini; Raymond Roussel; Leonardo Sciascia; Vladimir Nabokov; Giovanni Boccaccio; Dante Alighieri; Gianni Mura; Beppe Varaldo; Toti Scialoja; Edward Lear; Lewis Carroll; Fosco Maraini.Marco AlfanoCura per Lalineascritta, nei cui laboratori si è formato, il sito web, e i corsi in videoconferenza, che ha ideato e realizza assieme ad Antonella Cilento dal 2011. È docente del laboratorio di ludoscrittura "Parole a Manovella". Ha pubblicato racconti in numerose antologie, sui quotidiani L'Unità e Roma e sulla rivista internazionale «Storie». È in preparazione una sua raccolta di poesie illustrate ispirate a Toti Scialoja e sta lavorando al suo primo romanzo. Musicista, è stato membro fondatore dei Panoramics (con i quali ha tra l'altro composto le musiche originali per lavori video e teatrali di Mario Martone e Andrea Renzi e collaborato con Enzo Moscato e Peppe Servillo) ed è attualmente componente dei Ferraniacolor, pop band il cui album di esordio è uscito nel marzo del 2018. È tra gli autori di «Perdurante», tributo a Francesco Durante pubblicato nel 2021 dall'OpLePo, sezione italiana dell' OuLiPo.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarewww.ilpostodelleparole.itDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/il-posto-delle-parole--1487855/support.
Con i tormentoni, recenti e passati, di Sanremo ancora in testa oggi partiamo da una canzone di Dargen D'Amico (“Dove si balla”) per parlare dei terremoti e dei vulcani (anche metaforici) che fanno capolino in libri, saggi e poesie. Si parte con Paolo Rumiz e si conclude con Achille Campanile passando per Heinrich von Kieist, Tiffany Watt Smith, Vamba, Giacomo Leopardi, Alberto Angela, John Fante, Emily Dickinson e l'immancabile Antoine de Saint-Exupéry. Per scoprire poi che le calamità naturali sono preferibili al fanatismo dell'uomo e che quando sei un vulcano ed erutti, rischi di fare una figuraccia.
Massimo Cerulo"Alfonso Gatto"Orthotes Editricehttps://orthotes.comAlfonso Gatto è inviato al Giro d'Italia e al Tour de France – le due grandi corse a tappe del ciclismo – negli anni del secondo dopoguerra. Prima per l'Unità e poi per Il Giornale del Mattino. In quel periodo, insieme al giornalista sportivo, i quotidiani italiani ingaggiavano il cosiddetto “uomo di colore”: uno scrittore o scrittrice capace di osservare e raccontare tutto quello che girava intorno alla corsa: paesi, persone, odori, aneddoti, leggende. L'obiettivo era quello di “tirare su” una popolazione provata dal conflitto mondiale e, nello stesso tempo, educarla alla lettura. Si trattava dunque di un'opera meritoria, di educazione collettiva, svolta da scrittori di primissimo piano: Dino Buzzati, Achille Campanile, Anna Maria Ortese, Vasco Pratolini (e, in seguito, Gianni Brera, Indro Montanelli, Giovanni Mosca). Di solito, scrivevano per giornali diversi ma spesso e volentieri si confrontavano tra loro e si leggevano (almeno quelli che vivevano in anni comuni).L'“uomo di colore” è una figura oggi dimenticata: l'ultimo superstite è stato Gianni Mura, il quale tuttavia, da grande giornalista qual era, racchiudeva nei suoi articoli sia la cronaca sia, appunto, “il colore”. D'altronde, maestro di Mura fu Gianni Brera che iniziava ad affacciarsi alle grandi corse a tappa alla fine degli anni Cinquanta, come appare in alcuni resoconti di Gatto («parlerò con Gianni Brera che porta anche lui al Giro il suo umanesimo clandestino con cui allena la ragione e tiene sveglia la dignità sua»). Ma cosa racconta un poeta catapultato in mezzo ai ciclisti (che nel gergo vengono definiti “girini”)? Di certo non sta «a sbagliare i conti dei minuti e dei secondi, a credere soltanto al possibile», poiché gli sembrerebbe di «rubare il pane». E dunque si occupa e preoccupa di altro. Scrive versi. Riporta storie. Si entusiasma per imprese sportive che hanno del leggendario – soprattutto se consideriamo il livello di conoscenza tecnica dell'epoca. Si ferma a dialogare con meccanici, passanti, sindaci, locandiere, parenti dei corridori. Produce un diorama del mondo circostante, svolgendo un mestiere che ricorda quello dell'antropologo: una sorta di Lévy-Strauss ingaggiato da un quotidiano per tre settimane in punta di penna.Massimo Cerulo è professore ordinario di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di Napoli “Federico II”. È chercheur associé al CERLIS (CNRS) dell'Université Sorbonne Paris Cité. Ha insegnato e svolto attività di ricerca nelle università di Torino, Salerno, Napoli, Cosenza, Lugano, UQAM-Montréal, EHESS-Parigi, Lille, Montpellier, Londra. È membro della Société Internationale d'Ethnographie, dell'Osservatorio per lo studio dei mutamenti sociali e delle innovazioni culturali (MUSIC-Torino), dell'Osservatorio per lo studio della vita quotidiana e dei processi culturali (OSSIDIANA-Cosenza). Per la casa editrice Orthotes è direttore scientifico della collana “Teoria sociale”. Ha introdotto in Italia parti della teoria sociale di alcuni classici della sociologia, quali Pierre Bourdieu (Sul concetto di campo in sociologia, Roma 2010), Gabriel Tarde (La logica sociale dei sentimenti, Roma 2011) e Arlie R. Hochschild (Lavoro emozionale e struttura sociale, Roma 2013). Tra le sue pubblicazioni più recenti: Emozioni e ragione nelle pratiche sociali (con F. Crespi, Orthotes 2013); La società delle emozioni (Orthotes 2014); Gli equilibristi. La vita quotidiana del dirigente scolastico (Soveria Mannelli 2015); Sociologia delle emozioni. Autori, teorie, concetti (Bologna 2018); Emotions et dynamiques sociales. Règles et expressions dans l'interaction sociale (Montpellier 2020); Giovani e social network (con E. Bissaca, C.M. Scarcelli, Roma 2021); Andare per Caffè storici (Bologna 2021, finalista Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica); Il pensiero sociologico (con F. Crespi, Bologna 2022)IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.itQuesto show fa parte del network Spreaker Prime. Se sei interessato a fare pubblicità in questo podcast, contattaci su https://www.spreaker.com/show/1487855/advertisement
Rassegna stampa di mercoledì 7 settembre 2022 al microfono Nicola Villa.I giornali ormai allineati sui temi cari alla destra anche in città (sicurezza, percepita e non, degrado e decoro). Sul "Foglio" indiscrezioni sulla curiosità del Vaticano per la Meloni: è meglio di Salvini. Dal "Tempo" prendiamo la notizia del nuovo esame di accesso al numero chiuso di Medicina, ieri alla Sapienza. Da "Internazionale" il saccheggio della Rai: negli anni l'azienda statale è stata derubata delle sue opere d'arte, in corso un'inchiesta sui furti. Dal "Corsera" un ritratto del velletrano Achille Campanile.Sveja è un progetto di giornalismo indipendente sostenuto da Guido Larcher e dalla fondazione Charlemagne.
Da un frammento di conversazione surreale captata in spiaggia nasce l'episodio di oggi dedicato ai dialoghi. Dal "dialogo dei dialoghi" (Platone) alle "Tragedie in due battute" di Achille Campanile il passo è breve. In mezzo Cesare Pavese, Marc Augé con Filippo La Porta, Umberto Galimberti con Marco Alloni, James Hillman con Laura Pozzo, Carl Gustav Jung, Emmanuel Lèvinas. E un fungo. A riprova che si, la filosofia è importante - e anche il dialogo "maieutico" - ma come diceva Victor Hugo: "E' dall'ironia che comincia la libertà".
Fortezze di confine fra monti che irretiscono, porte che non si lasciano oltrepassare, malattie neurologiche che ci tengono in scacco, prigioni-fortezze su isole inaccessibili, parole prese troppo alla lettera: tante sono le prigioni, reali o mentali, nelle quali veniamo rinchiusi, ma sono tante anche le "nostre" prigioni, quelle che costruiamo per noi stessi. Dino Buzzati, Franz Kafka, Oliver Sacks, Silvio Pellico, Alexandre Dumas e Achille Campanile sono gli autori che ci accompagnano oggi in un viaggio un po' allucinante che termina là dove tutto ha avuto inizio: nel giardino dell'Eden, con una rilettura dissacrante del Genesi, perché la situazione è sì disperata, ma non seria.
Alberto Piazza"Genetica e destino"Riflessioni su identità, memoria ed evoluzioneCodice Edizionihttps://www.codiceedizioni.it/Le sempre maggiori conoscenze che stiamo accumulando sulla genetica e sull'evoluzione umana hanno una forte influenza sulla percezione che avvertiamo di noi stessi. Un'influenza tale da richiamare un concetto potente come il destino, spesso associato a un'idea di predeterminazione scritta nei nostri geni. La realtà è però ben più complessa. In questa raccolta di saggi, il genetista Alberto Piazza prende spunto proprio dal significato di destino per tracciare un viaggio di esplorazione della natura biologica, culturale e morale dell'essere umano, dove scienza, letteratura e filosofia si incontrano e dialogano. Muovendosi con disinvoltura tra Primo Levi e Mozart, tra Charles Darwin e Achille Campanile, Piazza ci conduce in un'appassionata e profonda riflessione sull'identità, la memoria, la morale e l'etica.«SI È DETTO CHE L'IDENTITÀ CULTURALE EVOLVE, COSÌ COME EVOLVE L'IDENTITÀ BIOLOGICA, MA È UN PO' COME L'ARABA FENICE: ESISTE MA NON SAPPIAMO BENE DOVE SIA». ALBERTO PIAZZAAlberto PiazzaProfessore emerito di genetica umana presso l'Università di Torino, dal 1981 al 2004 è stato visiting professor presso il dipartimento di genetica della Medical School di Stanford, in California. Nel 2009 ha fondato, e poi presieduto fino al 2017, l'ente di ricerca Human Genetics Foundation (HuGeF-Torino).Tra il 2015 e il 2018 è stato presidente dell'Accademia delle Scienze di Torino. Insieme a Luigi Luca Cavalli-Sforza e Paolo Menozzi è autore della fondamentale Storia e geografia dei geni umani (Adelphi, 1997).Premio Galileo per la divulgazione scientificaTra i cinque finalisti, anche Alberto Piazza, professore emerito di Genetica umana Università di Torino, e autore di Genetica e destino (Codice edizioni)Sabato 16 e Domenica 17 Ottobre a PadovaIL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Racconto di Achille Campanile. Voce e montaggio di Emanuela Biancardi, musica interpretata da Renato Bertèlli.
Il silenzio come protesta non violenta, come espressione di sgomento davanti ai misteri della vita, ma anche come indifferenza e fallimento della parola. Con l'abate Dinouart e attraverso citazioni di Primo Levi, Elie Wiesel, Patroni Griffi, Seneca, Achille Campanile, George Bernard Shaw e Battiato - e partendo da un film geniale - ci accostiamo oggi al mistero del silenzio. Per arrivare a scoprire che il silenzio può essere assordante ma anche fare tanta luce. Non per niente, infatti, è d'oro.
Con questo episodio Gli Scimmioni, dopo aver festeggiato il primo compleanno la settimana scorsa, si rimettono in viaggio. Ma cosa significa viaggiare? Oggi, in compagnia di Konstantinos Kavafis, Achille Campanile, Goethe, Mark McCrum, Giovanni Rajberti, Olga Tokarczuk e altri autori, scopriamo che si viaggia per lasciare la casa alle spalle, ma anche per trovare casa; si viaggia per formazione personale, per curiosità, per restare in movimento e non farsi sorprendere dalla morte. Perché, come scopriremo insieme, non solo partire è morire un po' ma anche frugarsi nelle tasche è un po' morire. Partire, dunque, per dove? Se arrivate in fondo all'episodio, Ungaretti vi svelerà la meta di ogni viaggio.
Oggi andiamo ficcare il naso nei romantici carteggi d'amore di scrittori famosi, in surreali scambi di lettere di personaggi inventati (amanti improbabili nell'antico Egitto e scacchisti newyorkesi), in struggenti lettere di poeti, scrittori e letterati fino ad arrivare a una rivoluzionaria lettera aperta a una professoressa che tutti dovremmo ricevere, e leggere (insegnanti e non). George Sand, Alfred de Musset, Achille Campanile, John Keats, Franz Kafka, Rainer Maria Rilke, la scuola di Barbiana: tutti questi mittenti ci chiedono, ancora oggi, di aprire le loro lettere. E allora leggiamole e continuiamo a nostra volta a diffonderle. E chissà che il mondo non ci guadagni in umanità.
Fu Talleyrand che disse "La parola serve non a rivelare ma a mascherare il pensiero" --- Send in a voice message: https://anchor.fm/faustino-stigliani/message
Quell'antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa. --- Send in a voice message: https://anchor.fm/faustino-stigliani/message
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=4GIOVANNINO GUARESCHI: IL PADRE DI DON CAMILLOAlla morte di Giovannino Guareschi (a sessant'anni, nel 1968), nessun messaggio giunge dalle autorità di governo, nessuno da uomini politici. Solo tante calunnie, aspre e velenose, dai giornali più diffusi e da quelli di partito. Colui che aveva creato e diretto il settimanale più letto d'Italia, il Candido, lo scrittore italiano più tradotto al mondo, veniva dimenticato dall'Italia ufficiale, piena di fretta di seppellirlo, ma non dalla gente della Bassa, accorsa in massa al suo funerale. Nella predica il parroco apre un libro del defunto, e legge. "Adesso vi racconto tutto di me: ho l'età di chi è nato nel 1908, conduco una vita molto semplice, non mi piace viaggiare, non pratico nessuno sport, non credo in tante fantasticherie. Ma in compenso credo in Dio". Poi il parroco prosegue: "Su questa terra noi piantiamo la croce di Cristo, del tuo Cristo che hai saputo far vibrare nei cuori e nelle coscienze degli italiani e di tanti altri milioni di uomini, soprattutto nell'ora della lotta".La fretta di seppellire Guareschi continua ancor oggi, nel volenteroso sforzo di farlo dimenticare, ad esempio eliminandolo dalle antologie scolastiche, in cui invece trovano spazio autori noiosissimi, che non hanno mai avuto vera fortuna presso il pubblico, ma solo presso l'onnipotente giudizio della critica. Ma chi era Giovannino Guareschi?"Quando mi specchio e vedo sul mio viso un truce cipiglio, scuoto il capo e dico: Giovannino, quanto sei fesso!".Un uomo senz'altro eccezionale, sin dalla prima giovinezza.I compagni ricordano il suo spirito goliardico, la sua intraprendenza, la sua intelligenza vivace. Scrive di lui Cesare Zavattini, suo istitutore in quinta ginnasio: "Troppo spiritoso. La sua verve è spesso inopportuna. Le sue mancanze sono conseguenza d'irrefrenabili doti umoristiche. Veramente intelligente, ottiene per lo studio, con i minimi mezzi, i massimi risultati". Finita la scuola, iscrittosi all'università, più per partecipare alle feste studentesche che altro, si cimenta in una grande varietà di mestieri: elettricista, caricaturista, cartellonista, scenografo, custode di depositi di biciclette ecc. Finalmente riesce ad approdare al mondo del giornalismo: lavora dapprima per alcuni quotidiani emiliani, finché nel 1936 si trasferisce a Milano, con la moglie Ennia, per lavorare al Bertoldo, insieme ad Achille Campanile, Giovanni Mosca e Cesare Zavattini. Dal 1940 collabora anche col Corriere della Sera.Fin dai primi anni di giornalismo Guareschi snobba le conventicole degli intellettuali e degli scrittori che si elogiano e si premiano a vicenda, e col suo stile semplice e pieno d'umorismo svillaneggia la retorica ufficiale. L'umorismo gli appare il nemico giurato di ogni retorica di regime, di ogni menzogna ufficializzata e consacrata: "Liberiamoci dalla parte peggioreCampagna di Russia di noi stessi, guardiamoci allo specchio e ridiamo della nostra tracotanza, del nostro barocco messianismo, della nostra retorica. Guardiamoci allo specchio dell'umorismo, così come ho fatto tante volte io, cittadino-niente, che, quando mi specchio e vedo sul mio viso un truce cipiglio, scuoto il capo e dico: Giovannino, quanto sei fesso!".Nel 1942 Guareschi viene arrestato dai fascisti, "per aver comunicato al rione Gustavo Modena, Ciro Menotti, Castelmorrone ciò che in quel momento pensavo di tutta la faccenda. Si tratta di un episodio poco onorevole in quanto accade che io, la notte del 14 ottobre 1942 – riempitomi di grappa fino agli occhi in casa di amici – per tornare alla mia casa di via Ciro Menotti, che è lontana non più di ottocento metri, impieghi due ore. E in quelle due ore urlo delle cose che poi l'indomani trovo registrate diligentemente in quattro pagine di protocollo… Gli amici mettono in moto l'eterna macchina della camorra italiana in modo da sottrarmi alle giuste sanzioni della legge, e, per prudenza, mi fanno richiamare alle armi". Sembra insomma, chiosa Guareschi, "che per perdere la guerra ci sia assoluto bisogno della mia collaborazione". Così finisce in Egitto, per alcuni mesi. Dopo l'8 settembre si trova di fronte alla grande decisione: collaborare coi fascisti e coi tedeschi, diventare partigiano o restare fedele al giuramento fatto al re. Giovannino opta per la terza scelta, e la paga duramente, con due anni di lager, durante i quali rifiuta più volte l'opportunità di venir liberato in cambio di una collaborazione, anche solo di penna. Nell'atmosfera cupa e angosciante del lager non si dà per vinto: organizza teatrini, inventa favole piene di speranza, promuove chiacchierate e discussioni tra internati, tenendo desto il desiderio di vivere di chi lo circonda. Chi scrive ha conosciuto persone che devono alla sua vitalità e alla sua forza di non essere sprofondate nella disperazione e, forse, nella morte. "Non muoio neanche se mi ammazzano", è il suo motto di quei giorni. Ma lo sconforto prende talora il sopravvento anche in un animo fiero come il suo: "Le mie ore si annullano in questa sabbia, e ogni ora mi ruba una goccia di vita, un sorriso dei miei figli, e io vedo me stesso scendere gradino per gradino la scala che non si risale mai più. Questa noia che sa di catrame come l'aria di questa terra ostile… Un anno è finito. Un anno comincia. La noia continua, niente di nuovo".Finalmente arriva la liberazione, e Guareschi può tornare a casa: "Per ventiquattro mesi ho calpestato sabbia di lager e la sabbia non dà suono, e così il mio passo ha perso la sua voce. Ora ritrovo sulle lastre del porticato la voce del mio passo… Non ho notizie dei miei da troppo tempo. La guerra è passata lì vicino: li ritroverò tutti? Qualcuno? Nessuno? E proprio e solo adesso, quando l'avventura è finita, ho paura e mi sfascio sulla riva del fosso, come uno straccio… Quando arrivo davanti a casa mia sta schiarendo e io rimango seduto sulla sponda del fosso e aspetto che il sole si sia ben levato e intanto guardo le finestre chiuse e soffro come non ho mai sofferto neanche lassù. Perché lassù si aveva un po' l'idea che tutto si fosse fermato, a casa nostra, e soltanto al nostro ritorno la vita avrebbe ripreso il suo naturale corso. Poi, a un tratto, sento una voce gridare qualcosa: ed è la mia voce e io ne sono terrorizzato e attendo con gli occhi sbarrati che tutte le finestre si aprano e conto le teste che spuntano fuori: una, due, tre, quattro. Ne manca una, la più piccola. Allora lascio il sacco in riva al fosso e corro dentro e, sperduta in un enorme letto, trovo la signorina Carlotta che dorme. E dico 'Cinque!', anche se la prima cosa che vedo non è una testa, ma un sederino rosa… Ennia è più magra di me. E' un sacchetto d'ossa tenute insieme soltanto dal desiderio di farsi ritrovare viva da me al mio ritorno".Ma il ritorno tanto desiderato si tinge presto di scuro. Non c'è, ad accoglierlo, un paese unito, desideroso di rialzarsi, di ricominciare. Non c'è uno spirito comunitario, un sentimento di fratellanza, come quello che si era creato tra compagni di lager, nell'ora del dolore, della nostalgia e della speranza: "Gli italiani non hanno imparato niente dalla guerra. E' triste: nelle guerre imparano qualcosa soltanto i morti". Infatti l'Italia è divisa dall'odio di classe, dal veleno di un'altra ideologia, non meno terribile di quelle sconfitte. Alla guerra mondiale si è sostituita la guerra civile, il rancore e l'odio tra compaesani e connazionali. Guareschi ricorda soprattutto, come segno evidente di questo clima appestato, il riso di disprezzo di una ragazza seduta su una panchina: "Ogni tanto, tra una raffica e l'altra di riso, urla qualcosa sui miei baffi, sui miei capelli. E io che rido tanto degli altri e che non mi arrabbio se qualcuno ride di me, per quel riso non mi offendo: mi sgomento… La ragazza non ha nessuna ragione. Non sa nemmeno chi sono: a lei non piacciono i miei baffi e i miei capelli, perché un uomo che li porta di quel genere è uno degli altri. Un rappresentante della classe odiata che bisogna impiccare". Di fronte a tutto ciò Guareschi ricorre ancora all'unica arma che conosce, la sua penna, e fonda, nel dicembre 1945, il Candido, il giornale che svelerà, puntualmente, le stragi comuniste, specie in Emilia Romagna e in Toscana; che denuncerà il passaggio in massa degli intellettuali fascisti al comunismo; che consacrerà le figure di Peppone e di don Camillo, destinate a rimanere nell'immaginario collettivo per molti anni. Bisogna leggere queste storie, piene di umorismo leggero, di umanità, ma anche profondamente storiche, per capire l'atmosfera di quegli anni: "L'ambiente in cui i miei personaggi operano è il mio paese. E' la Bassa. Alla Bassa, dove il sole d'estate spacca la testa alla gente, e dove, d'inverno, non si capisce più quale sia il paese e quale il cimitero, basta una sciocchezza come una gallina accoppata a sassate o un cane bastonato per mettere due famiglie in guerra perpetua… Alla Bassa, dove le strade sono lunghe e diritte, da una parte c'è l'alba e dall'altra il tramonto, piacciono i tipi con una fisionomia precisa, facili da amare e facili da odiare".Candido diviene così il giornale che, insieme ai Comitati civici di Luigi Gedda, segna la sconfitta dei comunisti e la vittoria della Dc nel 1948. Ben più di De Gasperi, col suo aspetto "secco e funereo", ben più degli uomini di partito, contano, in questa splendida campagna elettorale, le vignette e i manifesti elettorali di Guareschi, e l'azione solerte e instancabile dei ragazzi delle parrocchie. Giovannino Guareschi, monarchico, cattolico, destrorso, antifascista e reduce da due anni di lager in Germania, si trova quindi a combattere ancora una volta per la libertà, e lo fa, ancora una volta, senza risparmiarsi. Ma pur risultando vincitore non reclama alcuna prebenda, né alcun onore: vuole tenersi libero, non vuole legarsi a n
Dall'episodio di oggi traiamo utili consigli su come affrontare le varie rotture della vita. Eh sì, perché tante sono le cose che si possono rompere: i 'cabasisi' di montalbaniana memoria, i motori di aeroplani, i cuori malati, gli schemi, i vasi, i ponti. Eppure non tutte le rotture vengono per nuocere: ce lo insegnano Ernest Hemingway, Paul Watzlawick, Thornton Wilder, Heinrich von Kleist, Achille Campanile, Saint-Exupéry. Tutto bene quel che finisce bene dunque. Se non fosse per un certo ciambellone particolarmente tenace.
Da Yggdrasill, il frassino del mondo della mitologia norrena, alla nostrana “quercia del Tasso” di Achille Campanile, dai baobab de “Il Piccolo Principe” di Saint-Exupéry al melo de ‘L'abero” di Silverstein: la mitologia e la letteratura da sempre guardano agli alberi come maestri di vita. E noi, che alberi siamo? Siamo ghiande o querce? Siamo maestosi baobab o patetici bonsai? Alla fine dell'episodio scopriamo che se la specie arborea non ha importanza, è essenziale invece cercare di evitare l'impatto con l'asteroide (e che con un baobab in mano è difficile grattarsi la punta del naso).
Il breve racconto che segue, tratto dalla raccolta "Manuale di conversazione" pubblicata da Rizzoli nel 1973, illustra bene lo stile di Achille Campanile, giornalista, scrittore, drammaturgo e grande giocoliere nel maneggio della parola. Cultore del paradosso, fa un uso sapiente del lessico per depotenziare il significato delle parole fino a renderle equivoche con risultati esilaranti ma anche spiazzanti poiché la parola è la più diretta delle convenzioni sociali e il suo dileggio è anche il dileggio delle stesse convenzioni.Voce di Alberto Gini
Il breve racconto che segue, tratto dalla raccolta "Manuale di conversazione" pubblicata da Rizzoli nel 1973, illustra bene lo stile di Achille Campanile, giornalista, scrittore, drammaturgo e grande giocoliere nel maneggio della parola. Cultore del paradosso, fa un uso sapiente del lessico per depotenziare il significato delle parole fino a renderle equivoche con risultati esilaranti ma anche spiazzanti poiché la parola è la più diretta delle convenzioni sociali e il suo dileggio è anche il dileggio delle stesse convenzioni. Voce di Alberto Gini
Con l'attore novese Andrea Robbiano portiamo il teatro ogni giorno a casa vostra. Oggi "La rivolta delle sette" di Achille Campanile.
Secondo episodio dedicato alla risata. Questa volta parlo di Achille Campanile e leggo un pezzo tratto dal suo libro "Il povero Piero".Buon ascolto!
Lezione scolastica su "Contro l'insonnia" di Achille Campanile - prof. Luigi Gaudio
Luigi Fortini ha scelto, e legge, le pagine qui presentate ricavandole dal "Manuale di conversazione" di Achille Campanile pubblicato nel 1973 da Rizzoli. Il breve racconto - il cui significato va cercato nel non-detto come si comprenderà arrivando alla fine - è intitolato: "Una persona gentile". Spiazzante e corrosivo cultore del paradosso, umorista di successo, Achille Campanile ha un posto tutto suo nella letteratura italiana, al punto che per molti rimane ancora oggi incatalogabile. Ma che sia stato scrittore, drammaturgo e giornalista di razza è certo: già da giovane, negli Anni Venti dello scorso secolo, si fa un nome pubblicando romanzi e commedie di successo e guadagnandosi l'appoggio di due futuri premi Nobel: Montale e Pirandello. In età matura saranno intellettuali progressisti quali Norberto Bobbio, Umberto Eco e Enzo Siciliano a rendergli omaggio. Ma anche adesso, come già allora, senza che si potesse attribuirgli una precisa collocazione nel panorama letterario italiano. Per il critico Carlo Bo, Campanile è stato "uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario" e quali fossero le fondamenta di tale genere è lo stesso Campanile a suggerirlo : l' umorista, ha spiegato, "è uno che istintivamente sente il ridicolo dei luoghi comuni e perciò è tratto a fare l'opposto di quello che fanno gli altri". Un sovversivo, dunque? No, o almeno non sempre, perché l'amore per il paradosso lo induce ad aggiungere: "se è un umorista, può arrivare perfino all'assurdo di essere come tutti gli altri"
Luigi Fortini ha scelto, e legge, le pagine qui presentate ricavandole dal "Manuale di conversazione" di Achille Campanile pubblicato nel 1973 da Rizzoli. Il breve racconto - il cui significato va cercato nel non-detto come si comprenderà arrivando alla fine - è intitolato: "Una persona gentile".Spiazzante e corrosivo cultore del paradosso, umorista di successo, Achille Campanile ha un posto tutto suo nella letteratura italiana, al punto che per molti rimane ancora oggi incatalogabile.Ma che sia stato scrittore, drammaturgo e giornalista di razza è certo: già da giovane, negli Anni Venti dello scorso secolo, si fa un nome pubblicando romanzi e commedie di successo e guadagnandosi l'appoggio di due futuri premi Nobel: Montale e Pirandello.In età matura saranno intellettuali progressisti quali Norberto Bobbio, Umberto Eco e Enzo Siciliano a rendergli omaggio. Ma anche adesso, come già allora, senza che si potesse attribuirgli una precisa collocazione nel panorama letterario italiano.Per il critico Carlo Bo, Campanile è stato "uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario" e quali fossero le fondamenta di tale genere è lo stesso Campanile a suggerirlo : l' umorista, ha spiegato, "è uno che istintivamente sente il ridicolo dei luoghi comuni e perciò è tratto a fare l'opposto di quello che fanno gli altri". Un sovversivo, dunque? No, o almeno non sempre, perché l'amore per il paradosso lo induce ad aggiungere: "se è un umorista, può arrivare perfino all'assurdo di essere come tutti gli altri"
Luigi Fortini ha scelto, e legge, le pagine qui presentate ricavandole dal “Manuale di conversazione” di Achille Campanile pubblicato nel 1973 da Rizzoli. Il breve racconto – il cui significato va cercato nel non-detto come si comprenderà arrivando alla fine – è intitolato: “Una persona gentile”. Spiazzante e corrosivo cultore del paradosso, umorista di successo,...
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