Il #Buongiorno di Giulio Cavalli

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Dal lunedì' al venerdì, ogni mattina, il buongiorno. E poi le letture. E tutto quello che ci viene in mente.

Giulio Cavalli

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    Il sangue di Gaza scorre anche sulle mani dell'Italia

    Play Episode Listen Later Jun 6, 2025 1:35


    Ieri, mentre nella Striscia di Gaza si continuava a morire sotto i raid israeliani, l'amministrazione Trump ha esercitato per la quinta volta il veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, bloccando una risoluzione per il cessate il fuoco immediato e incondizionato. È il primo veto dopo il suo ritorno alla Casa Bianca. Quattordici Paesi hanno votato a favore, gli Stati Uniti hanno detto no, ancora una volta. Così i massacri continuano. A Gaza, nelle stesse ore, venivano bombardati due ospedali: l'Al-Ma'amadani e il Battista. All'Al-Ahli, già colpito otto volte, un drone israeliano ha ucciso almeno quattro persone, tra cui tre giornalisti palestinesi. Altri sei civili, compresa un'intera famiglia, sono stati uccisi a Khan Younis. L'Unicef, sotto assedio, ha evacuato bambini ustionati e feriti, per poi vederli nuovamente sotto attacco persino all'interno degli ospedali. L'ambasciatore pakistano all'Onu ha definito il veto americano "un via libera all'annientamento". L'ambasciatore algerino ha parlato di "macchia morale sulla coscienza mondiale". Ma Washington, come sempre, blinda Israele e trasforma il Consiglio di Sicurezza in una scenografia inutile. L'Italia, mentre gli Stati Uniti legittimano questi crimini con il proprio veto, resta agganciata a Trump per servilismo atlantico. Ma la politica estera non può essere un atto di fedeltà cieca. Se il governo italiano ha ancora un minimo di autonomia politica e morale, è ora che trovi il coraggio di smarcarsi. Perché chi tace di fronte a questi massacri diventa complice. E il sangue di Gaza sporca anche le mani di chi resta fermo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il genocidio a rate: oggi si muore di fame

    Play Episode Listen Later Jun 5, 2025 1:37


    Ieri Israele ha fermato le distribuzioni di cibo a Gaza. Non per umanità, non per vergogna. Per strategia. Le file di disperati da cui pescare bersagli erano diventate troppo lunghe, troppo visibili, troppo ingombranti persino per chi, in Occidente, continua a ripetere che "bisogna distinguere". La Gaza Humanitarian Foundation — creata da Israele e gestita da contractor statunitensi, militari di compagnie private — ha chiuso i centri di distribuzione "per lavori di organizzazione ed efficienza". La traduzione è elementare: meno distribuzioni, meno folle, meno occhi del mondo addosso. Martedì, a Rafah, l'ennesima carneficina: 27 morti sotto i proiettili israeliani, mentre cercavano cibo. Le strade verso i centri sono state dichiarate “zone di combattimento”. Chi si avvicina rischia di essere giustiziato senza processo. Israele controlla cosa entra, quanto entra, quando entra. I valichi sono sotto il suo totale controllo: né Nazioni Unite né agenzie indipendenti possono decidere cosa far passare. In aprile, il numero dei camion di aiuti ammessi è crollato ai minimi storici, sotto i 200 al giorno: meno di un quarto rispetto al fabbisogno stimato per sfamare la popolazione assediata. Quando i morti sotto i droni non bastano più, quando i massacri diventano difficili da coprire perfino per i complici europei, resta la fame. Non serve il piombo ogni giorno, basta chiudere i rubinetti. La fame non ha bisogno di immagini, non sporca le mani, non costringe a spiegazioni nei salotti buoni. È un'arma più silenziosa, più comoda, più vile. Il genocidio continua. Cambiano solo i metodi. L'obiettivo è sempre lo stesso: annientare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Israele continua a sparare sulla fame

    Play Episode Listen Later Jun 4, 2025 1:39


    A Gaza il pane continua a essere moneta di scambio tra la fame e la morte. La nuova "strage del pane" avvenuta nelle ultime ore a Rafah porta con sé numeri ancora una volta agghiaccianti: almeno 27 morti e oltre 90 feriti secondo il Ministero della Sanità di Gaza e Al Jazeera. Si spara su chi cerca cibo, su chi tenta di sopravvivere. E mentre i carri armati e i droni israeliani inchiodano i civili sui corridoi di distribuzione degli aiuti, l'esercito israeliano parla di "colpi di avvertimento" contro "sospetti" che si sarebbero avvicinati a 500 metri dalle postazioni militari. Di fatto hanno confessato, sconfessando coloro che inventavano responsabilità di Hamas. A certificare la gravità non sono solo i bilanci di sangue: l'ONU definisce ormai questi attacchi intorno ai centri di distribuzione come “crimini di guerra”. Il segretario generale Antonio Guterres invoca un'indagine indipendente: “È inaccettabile che i palestinesi debbano rischiare la vita per procurarsi del cibo”. Sembra banale ma di questi tempi tocca ribadirlo. Intanto la macchina di demolizione prosegue: bulldozer israeliani hanno abbattuto anche il muro posteriore dell'Ospedale Europeo di Khan Younis e bombardato l'ultimo centro dialisi a Beit Lahiya. La Gaza Humanitarian Foundation — organismo criminale sostenuto da USA e Israele e respinto dall'ONU — gestisce la distribuzione. Anche Trump ha le mani sporche di sangue. Mentre Madrid sospende i contratti militari con Israele, il consenso europeo verso Tel Aviv crolla ai minimi storici. Eppure l'ecatombe continua, in diretta, davanti agli occhi di un Occidente che si indigna a intermittenza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il cibo come esca, i civili come bersagli. Cronache dal genocidio.

    Play Episode Listen Later Jun 3, 2025 1:26


    A Gaza si muore così: con le mani tese verso un pacco alimentare. Almeno 31 palestinesi sono stati uccisi a Rafah mentre attendevano gli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation, un'organizzazione creata sotto il controllo indiretto di Washington e Tel Aviv. Alcuni testimoni parlano di soldati israeliani che hanno aperto il fuoco, di un carro armato che ha sparato sulla folla. Il pane è diventato un'esca, le file sono diventate bersagli mobili. Aiuti umanitari trasformati in trappole d'esecuzione. Intanto Meloni balbetta, certa stampa progressista minimizza, i partiti europei cincischiano. Ci pensa il Financial Times, non certo un foglio estremista, a dire ciò che la politica teme: servono sanzioni contro Israele. Perché l'evidenza dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità – documentata anche dall'ONU – ha superato ogni margine di ambiguità. L'Europa, dice il Financial Times, dovrebbe congelare le riserve estere della Banca d'Israele, limitare commercio e turismo, agire senza attendere Washington. Come ha fatto con Mosca, quando la violazione del diritto internazionale colpiva l'Ucraina. L'ipocrisia dell'Occidente qui è plateale. A Gaza la fame viene usata come arma, gli aiuti come esca, i civili come scudi. E mentre i bambini cadono per un sacchetto di farina, chi dovrebbe parlare si rifugia nelle formule prudenti. Ma ogni nuovo massacro rende quel silenzio sempre più complice. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Non è solo Netanyahu, non è solo Gaza: è il sistema dell'apartheid

    Play Episode Listen Later May 30, 2025 1:41


    Il genocidio ha bisogno di propaganda, come primo passo per lo sterminio. Ha bisogno di una regia che sappia umanizzare l'orrore, raccontarlo come incidente, come costo collaterale, come atto tecnico. I morti sono “errori”, gli sfollamenti forzati si trasformano in “evacuazioni umanitarie”, e la fame, quella scientificamente indotta, diventa “distribuzione di aiuti”. Oggi gli affamati vengono adescati in massa con la scusa del pane. Immagini aeree mostrano file ordinate che ricordano i campi più bui della storia: corpi magri e mani protese verso un sacchetto di riso, usato come esca per spostare interi quartieri. Il tutto gestito da mercenari americani già condannati per crimini di guerra. Intanto si costruiscono 22 nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania, come annunciato dal ministro Katz e dal fanatico Smotrich, celebrando “un grande giorno per il movimento degli insediamenti”. Una colonizzazione attiva, militare, permanente, in pieno corso. La propaganda (umanitaria) è il concime per il consenso per il genocidio. Netanyahu è la maschera perfetta di questa operazione, ma non l'unico attore. L'illusione che la sua caduta basti a rimettere le cose a posto è una comoda bugia per chi, nel frattempo, ha fornito armi, appoggi politici e coperture mediatiche. Il sistema resta. Chi ha cominciato a osservare la Palestina il 7 ottobre 2023 può credere che basti cambiare premier per cambiare rotta. Chi guarda da anni sa che la sostanza resta intatta, anche se cambiano i nomi. E sa che parlare di “aiuti” mentre si costruisce l'apartheid è il più violento degli inganni. Ora il rischio è che ci servano un genocidio umanitario. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Tajani parla, Gaza muore

    Play Episode Listen Later May 29, 2025 1:34


    Nell'informativa urgente alla Camera, il ministro Tajani ha raccontato un'Italia che salva, costruisce e abbraccia. Peccato che sia un racconto. Mentre a Gaza l'accesso agli aiuti è stato bloccato per oltre 80 giorni, Tajani parlava di ricostruzione, di progetti architettonici e borse di studio, come se la fame e i bombardamenti fossero alle spalle. Secondo l'OCHA, nel solo maggio 2025, l'84% del territorio di Gaza risultava evacuato forzatamente, e oltre il 90% delle strutture ospedaliere era fuori uso. Eppure, Tajani celebrava un'Italia attiva, coinvolta, umanitaria. La realtà? Dal 2022 il governo Meloni ha sistematicamente evitato di sostenere risoluzioni ONU che chiedevano tregue immediate, cessate il fuoco o il riconoscimento dello Stato palestinese. Tajani stesso ha bollato come “slogan da piazza” la proposta di riconoscere la Palestina, mentre il suo esecutivo votava contro l'apertura di una procedura UE per sanzionare Israele per violazioni dei diritti umani. Perfino sulla Corte Penale Internazionale – che ha chiesto un mandato d'arresto per Netanyahu – il ministro ha definito “irrealizzabile” un'azione legale in Italia. L'unica coerenza è l'adesione alla linea israeliana: si plaude agli aiuti simbolici, ma si proteggono le forniture militari; si parla di pace ma si silenziano le responsabilità. Il discorso di Tajani alla Camera è stato un esercizio di propaganda travestito da diplomazia. Nessuna autocritica, nessun cambio di rotta, nessuna verità. Solo la solita liturgia di chi invoca la ricostruzione per seppellire, con una colata di cemento politico, i corpi che ancora non hanno smesso di morire. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    A Gaza il vero ostaggio è la verità

    Play Episode Listen Later May 28, 2025 1:35


    “Se Hamas liberasse gli ostaggi, la guerra finirebbe.” È la formula ripetuta come un mantra per offuscare il genocidio a Gaza. Ma cosa succede se a incrinare questa narrazione sono proprio le voci più autorevoli, quelle delle famiglie degli ostaggi israeliani? “Il governo sceglie i territori, non i nostri cari”, denuncia il Forum delle Famiglie, puntando il dito contro il “Piano Smotrich-Netanyahu”: un progetto per conquistare Gaza che passa sopra le vite dei prigionieri. Einav Zangauker, madre dell'ostaggio Matan, accusa Netanyahu di voler “una guerra eterna, motivata politicamente” invece del ritorno dei rapiti. E mentre le truppe partono per il fronte, il governo pianifica nuovi insediamenti “sulle spalle dei nostri ostaggi”. L'organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem è brutale: Israele ha scelto “di sacrificare gli ostaggi per portare avanti la guerra totale”. E i racconti degli ostaggi liberati confermano i timori. Na'ama Levy, ex prigioniera, racconta che i bombardamenti israeliani “l'hanno messa in pericolo più di ogni altra cosa”. Gil Dickmann, cugino di Carmel Gat uccisa in prigionia, è chiarissimo: “Ogni escalation mette a rischio altre vite”. Nel frattempo, Netanyahu ha nominato a capo dello Shin Bet David Zini, uomo che ha definito il conflitto una “guerra per sempre” e si è detto contrario agli accordi per la liberazione degli ostaggi. Per le famiglie, questa nomina è un crimine deliberato. Ascoltando chi ha figli ancora prigionieri, il dubbio diventa legittimo: ne sanno più i commentatori imbiancati delle famiglie? Se l'agenda del governo preferisse le macerie di Gaza alla vita dei propri cittadini? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Su Gaza va in scena la manifestazione del rimorso

    Play Episode Listen Later May 27, 2025 1:49


    Non sono le fiamme che ardono vivi i bambini di Gaza a smuovere improvvisamente la stampa e, ora, la politica. Non è la coscienza a tirare i fili: è il consenso. La politica è un animale molto più stupido di quanto sembri. Vira quando annusa la possibilità di perdere voti, ritrova la parola quando la vergogna ha già macchiato le sue azioni e le sue omissioni. La notizia rilanciata dai quotidiani cosiddetti progressisti di una “grande manifestazione” del centrosinistra per fermare il genocidio che si consuma a Gaza è il ravvedimento tardivo nel tentativo di recuperare posizioni. La politica si muove dopo che i giornalisti si sono vergognati di aver contribuito al silenzio intorno all'eccidio. Ben venga, dice qualcuno, che si muovano anche se tardi. Ben venga, verrebbe da dire, che ora non siano più antisemiti coloro che pretendevano e pretendono reazioni contro il governo di Netanyahu, che sotto gli occhi del mondo si è trasformato in un laboratorio di distruzione. Manifestare, però, non è abbastanza. Le voci e le bandiere sono roba dei cittadini, che da mesi subiscono la censura sbirresca messa in atto dal governo. Nel centrosinistra italiano c'è il Partito Democratico, che a Bruxelles è una gamba importante del sostegno a Ursula von der Leyen. Obbligare fin da subito questa Commissione europea, che tuona contro il ricercato internazionale Putin ma tace sul ricercato internazionale Netanyahu, è un passo necessario, da compiere immediatamente. Mettere con le spalle al muro il governo italiano, che continua a fare affari militari con Israele, senza paura, è un'azione politica da portare in Parlamento già domani. Sanzionare e interrompere ogni relazione con il governo israeliano è ciò che spetta alla politica. Non basta sfilare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Von der Leyen, Meloni e gli sgherri del massacro

    Play Episode Listen Later May 26, 2025 1:41


    L'ex Alto Rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha frantumato il muro di ipocrisia europeo sui morti di Gaza. “Se credete che il bilancio delle vittime sia troppo alto, forse dovreste fornire meno armi per evitare che così tante persone vengano uccise”, ha detto Borrell. Il 50% delle bombe che cadono sulle teste dei bambini a Gaza è spedito dall'Unione Europea. Il 30% arriva dall'Italia. Sono numeri di Borrell, mica di Hamas. Sono gli stessi concetti che quindici mesi e trentamila morti fa sollevarono Madrid e Dublino. I governi di Spagna e Irlanda, per voce dei rispettivi ministri degli Esteri, avevano chiesto formalmente alla Commissione Europea di rivedere l'accordo di associazione tra l'Unione Europea e Israele, sostenendo che Israele stesse violando l'articolo 2 dell'accordo, che obbliga le parti a rispettare i diritti umani e i principi democratici. Il sangue che si versa quotidianamente a Gaza ha le impronte della Commissione von der Leyen e del governo italiano. Per questo, ora che l'indifferenza non è più possibile — vista l'ondata emotiva (e tardiva) — spuntano sgherri che provano a sotterrare la realtà. Rula Jebreal, dopo avere incrociato Italo Bocchino, li chiama “arrampicatori di specchi e rimestatori nel torbido”, che “si affannano per cercare di chiudere gli occhi al mondo”. Sono sgherri che si affannano per rendere potabile l'indicibile. E ne risponderanno anche loro, insieme ai governi, di fronte alla storia. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Gaza: ogni giorno un numero, ogni numero una complicità

    Play Episode Listen Later May 23, 2025 1:28


    Ieri, 22 maggio 2025, almeno 51 palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani su Gaza. È una cifra che si somma silenziosamente a un totale che ha già superato le 53.762 vittime confermate. Ogni giorno un aggiornamento. Ogni giorno un bollettino di guerra che passa inosservato nei palinsesti e nei vertici diplomatici. Dal 7 ottobre a oggi, Israele ha ucciso più di 3.600 persone solo dopo la rottura del cessate il fuoco, il 18 marzo. A queste si aggiungono mille corpi estratti dalle macerie. Come se la guerra non si fosse mai fermata, neanche durante la cosiddetta "tregua", tra gennaio e marzo, in cui morirono almeno 170 civili e più di 2.200 furono sepolti vivi. La violenza continua a mutare forma: non è solo fuoco dall'alto. È fame. È prigionia. Oggi il ministro della Salute palestinese ha confermato la morte per fame di 29 bambini e anziani. Ha detto che 14.000 neonati rischiano la stessa sorte. È un numero che dovrebbe far tremare i tavoli dell'Onu. E invece no: sono tavoli che restano vuoti mentre le forniture umanitarie restano bloccate ai confini e gli ospedali vengono bombardati. A Rafah si spara ancora. A Jenin i diplomatici stranieri vengono “avvisati” a colpi di mitra. A Sde Teiman si continua a morire nei lager israeliani: oggi è toccato ad Amr Hatem Odeh, 33 anni, padre di tre figli, morto nella base-prigione nel Negev dove Israele tiene centinaia di palestinesi senza processo. C'è una logica che tiene insieme tutto questo: è la logica del disumano che si fa sistema, della punizione collettiva come strategia, del genocidio come prassi. L'Occidente guarda, commenta, si astiene. E Gaza muore, ogni giorno, con la puntualità dei suoi numeri. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Ma voi sapete che dicono di Gaza?

    Play Episode Listen Later May 22, 2025 1:46


    C'è un punto oltre il quale le parole non sono più opinioni, ma prove. Il genocidio non si consuma soltanto con le bombe: si prepara nel linguaggio, si legittima nella propaganda, si giustifica con l'ideologia. È quello che sta accadendo a Gaza. Dove la devastazione non è solo materiale, ma discorsiva. E dove l'intento è dichiarato, pubblicamente, più volte, da più voci. Il 9 ottobre 2023 il ministro della Difesa Yoav Gallant annuncia un “assedio totale” e definisce i palestinesi “animali umani”. Il presidente Isaac Herzog nega l'esistenza di civili: “un'intera nazione è responsabile”. La deputata Gotliv invoca “missili senza limiti” per “radere al suolo Gaza senza pietà”. Il ministro Eliyahu considera “una delle opzioni” la bomba atomica. Il vicepresidente della Knesset, Nissim Vaturi, scrive: “Gaza deve essere bruciata, cancellata dalla faccia della Terra”. E ancora: Bezalel Smotrich parla di “due milioni di nazisti”, di “purificazione”, di “distruzione totale”. Netanyahu loda Smotrich e cita Amalek, il popolo biblico da sterminare. L'ex ministro Moshe Feiglin chiede che Gaza venga “distrutta come Dresda e Hiroshima”. Ariel Kallner e Yinon Magal evocano esplicitamente una “seconda Nakba”. Sono frasi, ma non solo. Sono ordini in potenza, cornici morali, autorizzazioni implicite all'eliminazione di un intero popolo. Perché le parole generano realtà. E la realtà oggi, a Gaza, è una striscia bombardata fino alle fondamenta, privata di acqua, luce, rifugi, umanità. Gaza è una scena del crimine. Gli intenti sono già tutti scritti. Ed è sotto gli occhi di tutti. La storia li leggerà. E li ricorderà. #… #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Lo “scolasticidio” in Palestina

    Play Episode Listen Later May 21, 2025 1:48


    Non è un effetto collaterale. È il bersaglio. Lo dice Ehab Abo Khair, portavoce dell'ultima università rimasta in piedi a Gaza, prima che fosse occupata per 70 giorni e poi rasa al suolo dall'esercito israeliano. È il 17 gennaio 2025. Due giorni prima del cessate il fuoco. La distruzione sistematica delle scuole e delle università palestinesi non è un eccesso: è una dottrina. Secondo le Nazioni Unite, l'80% delle scuole di Gaza è stato distrutto. Tutte le undici università non esistono più. Hanno bruciato anche i libri. E la replica israeliana? Qualche condanna di facciata, la solita inchiesta-fantasma. Kenneth Roth, ex direttore di Human Rights Watch, ha parlato di violazioni gravi del diritto internazionale umanitario. Perché anche se in quelle aule ci fossero state armi – ipotesi mai dimostrata – la distruzione metodica di interi campus non ha alcuna proporzionalità militare. È una punizione culturale. Lo chiamano “scolasticidio”, un termine coniato nel 2009 dalla docente Karma Nabulsi per descrivere la cancellazione intenzionale dei sistemi educativi. Myriam Benraad parla di “epistemicidio”: l'assassinio della conoscenza come atto di guerra. Non si colpiscono solo i muri. Si spezza la possibilità stessa di ricostruire, di ricordare, di esistere come popolo. Cinquemila studenti, novantacinque docenti universitari e duecentosessantuno insegnanti uccisi. Oltre seicentomila studenti senza scuola da oltre un anno e mezzo. Mentre le bombe cancellano le aule, Trump arresta studenti solidali nelle università americane e taglia fondi. La guerra alla Palestina passa per l'annientamento del pensiero. Serve chiamarlo con il suo nome. Serve farlo ora. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Una pita per Gaza, il resto è distruzione

    Play Episode Listen Later May 20, 2025 1:49


    Bezalel Smotrich l'ha detto chiaramente: “una pita e un piatto di stufato, e questo è tutto”. È il limite razionato della pietà, la misura della vita concessa per continuare a distruggere. Dietro il linguaggio della sicurezza e della fermezza, si delinea una strategia che ha poco a che fare con Hamas e molto con la punizione collettiva. Il ministro delle Finanze israeliano ha definito “il minimo dei minimi” gli aiuti umanitari concessi alla popolazione di Gaza. Il fine non è sfamare, ma mantenere in piedi, con precisione millimetrica, un popolo sotto assedio. Per non far morire la narrazione della guerra “giusta”, serve che i gazawi restino abbastanza vivi da non scandalizzare l'Occidente. È la fame programmata come strumento di legittimazione internazionale. Netanyahu lo ha detto apertamente: “non dobbiamo arrivare alla fame”, non per umanità, ma per non perdere “l'ombrello diplomatico” che protegge Israele dalle sanzioni e dal Tribunale dell'Aja. Così l'assistenza diventa operazione cosmetica: il pane serve più a Gerusalemme che a Gaza. Intanto le immagini dei camion in fila mostrano un'illusione di aiuto, mentre le cucine pubbliche razionano zuppa e propaganda. Smotrich rivendica che “stiamo distruggendo tutto ciò che resta della Striscia di Gaza”. E lo fa con metodo, con parole studiate per diventare bandiera. Ogni briciola distribuita serve a prolungare l'assedio, non ad alleviarlo. La distruzione è fatta di calcoli, non di bombe. Non è una guerra contro Hamas, ma la normalizzazione della distruzione amministrata. Un popolo trattato come corpo da ridurre a caloria, da spostare, da logorare. Smotrich lo chiama “leadership”. La storia lo chiamerà assedio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Una nuova Nakba in diretta mondiale

    Play Episode Listen Later May 19, 2025 1:56


    Donald Trump la chiama “una soluzione positiva per Gaza”. Israele la chiama “fase operativa”. Insieme costruiscono una nuova Nakba. Mentre i carri armati dell'operazione “Carri di Gedeone” avanzano nella Striscia, radendo al suolo ciò che resta di Rafah, il presidente Usa tornato alla Casa Bianca lavora a un piano di deportazione di massa: un milione di palestinesi da trasferire in Libia. Secondo la Nbc News, in cambio dell'accoglienza forzata, Trump sarebbe pronto a sbloccare miliardi di dollari dei fondi libici congelati da Washington. È un baratto tra esilio e denaro. Nessun governo libico ha confermato. Nessuna autorità palestinese è stata consultata. Nessun trattato internazionale lo giustifica. La terza fase della guerra israeliana – dopo lo sterminio e lo sfollamento – è già in corso: la distruzione sistematica delle città per impedire qualsiasi ritorno. Israele ha già cancellato oltre 60mila edifici. Gaza è ridotta al 31% del suo patrimonio abitativo. E Trump, intanto, promette “buone notizie per giugno”. Ma non basta. Per spostare un milione di persone servirebbero 1.173 voli su Airbus A380, o migliaia di viaggi via mare e terra. A Gaza non c'è un aeroporto. E l'Egitto, che dovrebbe concedere il transito, tace. Anche la Libia – divisa, instabile, ostile – respinge l'ipotesi. L'intero mondo arabo, al vertice di Baghdad, ha ribadito il rifiuto di qualsiasi piano di espulsione. Trump non cerca soluzioni, cerca territori da vendere. Gli sfollati non sono più civili: sono numeri da dislocare. E Gaza diventa uno spazio vuoto da riassegnare. Così, mentre Netanyahu devasta, Trump negozia. Con chi? Per cosa? Non importa. Importa solo che, anche stavolta, il mondo guardi altrove. In silenzio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Non in mio nome: la rivolta silenziosa dei soldati israeliani

    Play Episode Listen Later May 16, 2025 1:51


    C'è chi diserta, ma non fugge. Chi rifiuta l'uniforme, ma non tradisce il Paese. Chi dice “no” in nome di una coscienza che pesa più delle stellette. L'ultima ondata di mobilitazione in Israele — come racconta Ruth Margalit su The New Yorker — non ha trovato tutti allineati e coperti. Migliaia di riservisti hanno deciso di non rispondere alla chiamata. Non per codardia. Per lucidità. Sono soldati israeliani che avevano giurato fedeltà a uno Stato, non a un governo. Alcuni sono tornati precipitosamente dall'estero dopo l'attacco di Hamas dell'ottobre 2023. Hanno combattuto, pianto, obbedito. Ma oggi si tirano indietro. Non per stanchezza, ma per vergogna. Perché, come scrive il soldato Eran Tamir, “questa guerra è il nostro punto più basso”. Perché la liberazione degli ostaggi è l'ultimo obiettivo sulla lista del governo, preceduto dal “controllo operativo” di Gaza e dallo spostamento forzato della popolazione civile. Perché, semplicemente, non si fidano più. È la crisi morale prima ancora che politica di uno Stato fondato sulla memoria dell'esilio, che ora blocca gli aiuti e affama i civili. È l'erosione di una coesione nazionale che si regge sempre più solo sull'obbligo e sull'abitudine. La retorica bellica resta, ma la carne si sfila. Persino nell'esercito più coeso del Medio Oriente. Intere compagnie si sciolgono, i comandanti reclutano su Facebook, si promettono turni “settimana per settimana” pur di tappare i buchi. Si combatte senza motivazione, si muore per inerzia. E quando i soldati cominciano a dire “basta”, il problema non è solo militare. È il sintomo terminale di una guerra che ha perso anche il suo racconto. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Su Gaza il consenso cambia tutto. Tardi.

    Play Episode Listen Later May 15, 2025 1:46


    Ora che anche il Financial Times parla di “vergogna”a Gaza, ora che The Guardian scrive la parola proibita – genocidio – all'improvviso il silenzio s'incrina. I comitati editoriali si svegliano. Le colonne si moltiplicano. Ma non è coscienza: è consenso. È il panico di perdere lettori, abbonamenti, credibilità. E allora via con gli editoriali contriti, con le fotografie che finalmente mostrano ciò che tutti sapevano da mesi. Ben venga. Ma nessuna indulgenza. Per diciannove mesi una parte della stampa ha depotenziato, censurato, giustificato. Ha fatto da schermo. Ora si scopre umanitaria solo perché l'opinione pubblica cambia vento. Perché le università occupate fanno rumore, perché i lettori si stancano delle veline, perché persino i cronisti embedded non riescono più a oscurare i corpi bruciati e i bambini amputati. Il merito non è dei giornali. È di chi ha tenuto la barra dritta quando non conveniva: reporter sul campo, ong, studiosi, attivisti, redazioni che hanno pagato in termini di isolamento, licenziamenti, intimidazioni. È questa la vera resistenza. Tutto il resto è rincorsa tardiva, goffamente rivendicata. Ora tocca alla stampa un compito più difficile: raddrizzare la politica. Perché la politica, anche quella italiana, continua a balbettare, a distinguere, a voltarsi altrove. Servono editoriali che non si limitino al lutto ma pretendano sanzioni, rotture diplomatiche, conseguenze. Chi ha sbagliato – con il silenzio o con la complicità – non può farla franca solo perché oggi cambia verbo. Il tempo delle omissioni è finito. Ora si risponde alla Storia. E la Storia ha buona memoria. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    La libertà si perde un decreto alla volta. Come allora

    Play Episode Listen Later May 14, 2025 1:45


    Quando Giovanni Giolitti definiva il fascismo "roba che deve sfogarsi", non stava solo sbagliando previsione. Stava costruendo un alibi. L'illusione di poter normalizzare l'eccezione, di usarla per i propri fini e poi ricondurla alla legalità, è stata la trappola dell'Italia liberale. Oggi quella stessa trappola si presenta in abiti nuovi, ma con la stessa logica: minimizzare, giustificare, normalizzare. Come allora, anche oggi c'è chi sminuisce le intimidazioni neofasciste, chi liquida le critiche sulla libertà di stampa come “strumentali”, chi derubrica l'erosione dei diritti a misura necessaria per la “sicurezza”. Il saluto romano diventa un “gesto funebre”, l'antifascismo è ridotto a una questione di retorica, i decreti sicurezza si presentano come strumenti di ordine pubblico e non come dispositivi punitivi. C'è una continuità nel linguaggio e nella strategia: il ricorso all'“emergenza”, l'uso della legge per legittimare l'arbitrio, la delegittimazione dei critici. Allora come oggi, la stampa che denuncia viene attaccata. I giornalisti sono "portatori di interesse", i dissidenti sono "faziosi", le ONG sono "politicizzate". La storia non si ripete mai uguale, ma si lascia scivolare nei dettagli: nel calcolo di chi tace, nell'ambiguità di chi strizza l'occhio, nella disattenzione di chi liquida tutto come nostalgia. I liberali degli anni '20 si convinsero che il fascismo fosse un male passeggero. Anche oggi, chi minimizza crede di poter controllare ciò che non è mai stato addomesticabile: il potere che si nutre del disprezzo per la libertà. La democrazia non si difende da sola. Sta a chi la vive riconoscere i segnali che la storia ci ha lasciato. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    A Gaza non è guerra, è semantica dell'annientamento

    Play Episode Listen Later May 13, 2025 1:44


    La guerra non si combatte solo con le bombe. Si prepara con le parole. “Spopolamento”, “kill zone”, “Nakba 2023”, “fame”, “migrazione volontaria”, “Amaleciti”. È il lessico con cui, secondo il libro Lessico della brutalità di Adam Raz e Assaf Bondy, Israele racconta la distruzione di Gaza. Il vocabolario militare non descrive: legittima. Svuota di umanità. Così il massacro diventa strategia. La fame, una leva. I morti civili, “nessuno è innocente”. Le parole preparano il crimine, lo giustificano, lo ripetono. E cancellano la storia. Le espressioni usate da ministri, analisti e generali raccontano una brutalità che non ha più bisogno di travestimenti. Il ministro dell'Agricoltura Avi Dichter ha dichiarato in tv: “È la Nakba di Gaza”. Il ministro delle Finanze e leader del Partito Sionista Religioso, Bezalel Smotrich, parla apertamente di “spopolamento” come obiettivo bellico. Benjamin Netanyahu definisce l'offensiva “la seconda guerra di indipendenza”. E poi c'è la parola più agghiacciante: “Amaleciti”. Nella Bibbia ebraica, gli Amalek erano un popolo nemico d'Israele che Dio ordinò di sterminare completamente, uomini, donne, bambini e animali compresi. Usarla oggi per indicare i palestinesi significa sacralizzare il genocidio. Raz e Bondy non si limitano a denunciare. Decostruiscono. Perché ogni parola è una prova. Ogni formula ripetuta nei documenti ufficiali è un passo verso l'abisso. L'orrore è iniziato prima delle bombe. È cominciato quando un popolo intero è stato riscritto come bersaglio. Quando i confini morali sono crollati, e il linguaggio ha smesso di nascondere l'orrore e ha cominciato a compiacerlo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Turismo dell'orrore: morofilia al confine con Gaza

    Play Episode Listen Later May 12, 2025 1:41


    C'è una parola che descrive esattamente questo scempio: morofilia. È l'attrazione morbosa per la morte e la sofferenza altrui. Non è una categoria psicologica, è una pulsione sociale, è uno dei molti mostri che la guerra a Gaza ha risvegliato. Il “tour del 7 ottobre” documentato da Pablo Trincia promette ai visitatori un'escursione nei luoghi dell'attacco di Hamas, con una comoda sosta su una collina da cui “ammirare” i bombardamenti israeliani sulla Striscia. È tutto vero: 162,87 euro a persona, caffè, pasticcini, aria condizionata, acqua in bottiglia e magari qualche piantina da un vivaio “vicino a Gaza”, per sentirsi anche buoni. Tutto prenotabile su TripAdvisor. Le recensioni sono entusiaste, il tono è da agenzia turistica, ma il contesto è quello di un genocidio in corso. Non una parola sulle migliaia di civili palestinesi uccisi, sulle famiglie cancellate dalle mappe, sulle case rase al suolo, sugli ospedali assediati. Tutto si riduce a un'esperienza immersiva da raccontare agli amici, tra selfie e souvenir. La morofilia non nasce nei campi di battaglia, ma negli occhi di chi guarda. E oggi trova forma nei pacchetti turistici confezionati come un safari etico, condita da un folklore militare che trasforma l'orrore in una narrazione di eroismo. È il trionfo della disumanizzazione: la guerra vista come spettacolo, le vittime ridotte a sfondo. Si può davvero assistere a tutto questo sorseggiando caffè? Evidentemente sì. Si può sorseggiare un caffè guardando un bambino morire sotto le macerie, se è incluso nel prezzo. Il genocidio, dopotutto, è più digeribile con un pasticcino. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il governo che disinnesca il voto

    Play Episode Listen Later May 9, 2025 1:45


    Si può invitare all'astensione senza violare la legge. Ma è un'altra storia se a farlo è chi siede al governo. Quando il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani consiglia di disertare i referendum su cittadinanza e lavoro dell'8 e 9 giugno, non infrange il codice penale. Lo spiega bene Vitalba Azzollini su Pagella Politica. Il diritto di parola tutela anche chi promuove il “non-voto”. Purché non usi il proprio potere per forzare o manipolare. Il punto, però, è un altro. È politico, non penale. Quando i ministri usano la loro voce per depotenziare il referendum – l'unico strumento di democrazia diretta riconosciuto dalla Costituzione – stanno ammettendo che la partecipazione popolare è un inciampo. Non abusano delle loro attribuzioni, ma se ne servono per svuotare un diritto. Perché un referendum che fallisce per astensione non è una decisione collettiva: è un'occasione abortita. La Costituzione considera il voto un dovere civico. Se oggi non è più un obbligo, non è perché abbia perso valore, ma perché si presume che una Repubblica sana sappia stimolare il consenso, non sopirlo. Ogni appello istituzionale all'astensione è un invito alla resa. È la maggioranza che, temendo il giudizio popolare, preferisce l'afonia alla parola. Come ricordava vent'anni fa il costituzionalista Gaetano Silvestri, «l'appello all'indifferenza è una contraddizione in termini». Anche quando è lecito, resta una scorrettezza. Perché la democrazia funziona solo se qualcuno si prende la responsabilità di farla funzionare. La legge consente di non votare, ma il potere dovrebbe incentivare il confronto, non spegnerlo. In democrazia, il silenzio non è mai neutro. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Turetta come modello. Il sistema come complice

    Play Episode Listen Later May 8, 2025 1:50


    A Montecchio Precalcino, provincia di Vicenza, un diciannovenne si fa chiamare “Zeus”. Ha tatuaggi, profili social e una lista. Una lista “come quella di Turetta”: forbici, sacchi dell'immondizia, scotch, contanti. In calce, la dedica: «Turetta esempio modello». Lo scrive online pochi giorni prima di attirare la sua ex con una scusa: «sono scappato di casa per vederti». Lei ha diciannove anni, si era rifugiata da una parente a Mirano per non essere trovata. Ma lui la trova. La colpisce, la minaccia con un paio di forbici, le prende il telefono e la costringe a cancellare i contatti maschili. Poi scompare. Poi riappare. Minaccia anche la madre di lei: «Zeus viene ad ammazzarvi». Si filma sotto casa della ragazza. Viene arrestato. Dopo una notte in cella è già fuori. Obbligo di firma quattro volte a settimana. Per lui. Per lei: vigilanza attiva. Non può bastare per il divieto di avvicinamento. Serve un secondo episodio. È scritto così. Ci si chiede a cosa servano le lacrime, i fiori, i proclami se il codice rosso funziona solo a sangue versato. Se un ragazzo che pubblica un'imitazione puntuale di un femminicidio può ancora essere considerato solo un “ragazzino disturbato”. Se le parole sono sempre “scherzi”, le botte “una scivolata”, le forbici “un oggetto potenzialmente pericoloso”. Ma il punto è che non è pazzo, non è solo. È il risultato di una cultura che ha già archiviato Giulia, che usa Turetta come un meme, che allena ragazzi a considerare la violenza una prova d'amore. Un gioco da uomini. E finché il primo episodio sarà solo un preallarme, ci sarà sempre qualcuno pronto a testare il secondo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Let it be a tale: Israele distrugge, Abu Toha ricostruisce parola per parola

    Play Episode Listen Later May 7, 2025 1:57


    Mosab Abu Toha ha vinto il Pulitzer mentre in troppi ancora si chiedono se le parole possano qualcosa contro la guerra. I suoi saggi pubblicati sul New Yorker non sono solo resistenza culturale: sono cronaca incisa nella carne, sono memoria che non chiede il permesso di esistere. Abu Toha scrive da poeta e sopravvissuto. Scrive per chi non può più parlare. Scrive con l'urgenza di chi ha perso tutto tranne la voce. “La Gaza che ci lasciamo alle spalle” è un titolo che sembra una resa, ma contiene invece un intero atlante di ciò che si vuole far sparire: un forno d'argilla, il costume di Spider-Man del figlio, le partite di calcio tra amici, le melanzane coltivate ai bordi dei campi. È la geografia sentimentale della distruzione. Perché ogni casa bombardata, racconta, è “una sorta di album, pieno non di foto ma di persone reali, i morti pressati tra le sue pagine”. Ha rischiato la deportazione dagli Stati Uniti, dove vive in esilio con la sua famiglia. Ha cancellato incontri pubblici per paura. Ha detto che è devastante essere al sicuro nel Paese che finanzia il genocidio della sua gente. Eppure continua a scrivere. Continua a raccontare la fatica di coltivare verdure in mezzo ai droni, la vergogna di chiedere a un fratello affamato di cercare un album fotografico sotto le macerie. La speranza che un aquilone visto da un bambino non sia solo un aquilone. Abu Toha ha raccolto l'eredità di Refaat Alareer, ucciso da un raid nel dicembre 2023. A lui risponde con la stessa formula: “Let it bring hope. Let it be a tale”. Perché se devono morire, allora qualcuno deve raccontare. È questo, oggi, il compito del giornalismo. Il resto è contabilità del silenzio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Gaza muore di fame, l'Europa di cautela

    Play Episode Listen Later May 6, 2025 1:52


    Mentre Israele approva l'occupazione totale della Striscia di Gaza, il governo Netanyahu discute se far entrare o meno i camion con farina e medicine. Il gabinetto di sicurezza ha dato l'ok all'unanimità per una nuova fase della guerra: “conquista e mantenimento del territorio”. Un eufemismo per chiamare con freddezza militare ciò che è già una tragedia: due milioni di persone ridotte a combattere contro la fame, la sete e il silenzio. Nel frattempo, il ministro Ben Gvir chiede di bombardare le scorte alimentari di Hamas e afferma che “Gaza ha aiuti a sufficienza”. Nessuna ironia, solo l'indifferenza che diventa dottrina. Il capo di Stato Maggiore ricorda il diritto internazionale, ma viene zittito. Gli aiuti arriveranno solo dopo la visita di Donald Trump, come se un popolo potesse essere tenuto in ostaggio del calendario diplomatico. A Gaza, racconta la giornalista Rita Baroud, i bambini bevono acqua torbida e mangiano foglie d'uva crude. Le panetterie sono chiuse, le fattorie bombardate, i pozzi contaminati. Il pane è un ricordo, la carne un miraggio, l'acqua un lusso negoziato col potere. La fame non è una conseguenza della guerra. È una scelta deliberata, una strategia. La fame come arma, la sete come deterrente. Israele dice di voler evitare che Hamas si appropri degli aiuti, ma intanto la carestia avanza, i morti superano i 52.000 e le tende profughi si riempiono di corpi vivi che svaniscono. In Occidente, la parola “cessate il fuoco” si consuma sulle labbra, senza trovare mai le condizioni “adeguate”. Non è una difesa, è un piano di sterminio. Per avere successo ha solo bisogno di un esercito di vigliacchi fiancheggiatori. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Olimpiadi da incubo: per il tubo di Zaia si affittano anche le promesse

    Play Episode Listen Later May 6, 2025 1:45


    Per salvarsi dal rosso della pista da bob, il Comune di Cortina farà da B&B. È scritto nero su bianco nel piano economico redatto da KPMG e citato da Il Fatto Quotidiano il 4 maggio: 638mila euro di perdite ogni anno, 12,7 milioni in vent'anni. L'impianto “iconico” voluto da Zaia sarà pronto dopo l'inizio dei Giochi e resterà sulle spalle dei cittadini molto più a lungo. Per coprire il disastro, il Comune pensa di affittare appartamenti pubblici ai turisti: fino a 400 euro a notte. Gli stessi alloggi che da anni si promettono ai residenti. Si chiama valorizzazione immobiliare. Ma è una svendita. Nel 2023 la società Simico parlava di pareggio al quinto anno. Oggi la parola più usata è “deficit”. La voce principale? L'energia: 455mila euro solo per mantenere il ghiaccio. Più del doppio di quanto si incassa da tutte le attività agonistiche e turistiche messe insieme. La pista si userà per due mesi l'anno, se va bene. Il resto del tempo resterà lì, ferma, come una ferita aperta. Uno di quei monumenti all'insipienza che in Italia si costruiscono per sentirsi grandi. Salvo poi trovarsi piccoli davanti al conto. Il sindaco aveva detto di non dormire per l'ansia dei debiti. Ora sappiamo perché. Ma non sarà solo lui a pagare. A pagare saranno i cortinesi, con il patrimonio pubblico trasformato in rendita privata. Saranno le famiglie a cui si era promessa una casa. Saranno i contribuenti che finanziano un tubo inutile. Loro negheranno, negheranno ancora, negheranno come hanno fatto fin qui. Per salvarsi dal rosso della pista da bob, il Comune di Cortina farà da B&B. È scritto nero su bianco nel piano economico redatto da KPMG e citato da Il Fatto Quotidiano il 4 maggio: 638mila euro di perdite ogni anno, 12,7 milioni in vent'anni. L'impianto “iconico” voluto da Zaia sarà pronto dopo l'inizio dei Giochi e resterà sulle spalle dei cittadini molto più a lungo. Per coprire il disastro, il Comune pensa di affittare appartamenti pubblici ai turisti: fino a 400 euro a notte. Gli stessi alloggi che da anni si promettono ai residenti. Si chiama valorizzazione immobiliare. Ma è una svendita. Nel 2023 la società Simico parlava di pareggio al quinto anno. Oggi la parola più usata è “deficit”. La voce principale? L'energia: 455mila euro solo per mantenere il ghiaccio. Più del doppio di quanto si incassa da tutte le attività agonistiche e turistiche messe insieme. La pista si userà per due mesi l'anno, se va bene. Il resto del tempo resterà lì, ferma, come una ferita aperta. Uno di quei monumenti all'insipienza che in Italia si costruiscono per sentirsi grandi. Salvo poi trovarsi piccoli davanti al conto. Il sindaco aveva detto di non dormire per l'ansia dei debiti. Ora sappiamo perché. Ma non sarà solo lui a pagare. A pagare saranno i cortinesi, con il patrimonio pubblico trasformato in rendita privata. Saranno le famiglie a cui si era promessa una casa. Saranno i contribuenti che finanziano un tubo inutile. Loro negheranno, negheranno ancora, negheranno come hanno fatto fin qui. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il crimine nel nome della memoria

    Play Episode Listen Later May 1, 2025 1:48


    Il 18 marzo è una data che resterà impressa nella coscienza di chi ha ancora il coraggio di guardare. Più di 400 persone palestinesi uccise in poche ore, molte delle quali erano bambini, in uno degli attacchi più feroci dell'ultima offensiva israeliana su Gaza. Una madre, Nesreen Abdu, e i suoi figli e nipoti, carbonizzati. È successo. Di nuovo. E succede ancora. Daniel Blatman, tra i massimi studiosi della Shoah, ha scritto su Haaretz parole che dovrebbero pesare come una sentenza: “Non avrei mai immaginato di leggere testimonianze su massacri compiuti dallo Stato ebraico che ricordano quelle raccolte al Memoriale dell'olocausto”. Blatman non è un attivista. È un archivista della memoria. E proprio per questo, la sua denuncia è più potente di qualsiasi slogan. “I miei peggiori incubi non avevano previsto tutto questo”, scrive. E poi osserva come i veri eroi di oggi siano i familiari delle persone liberate da Hamas che, nonostante il dolore, si aggrappano ancora all'umanità. Un'umanità che molti, in alto, hanno perduto. L'articolo ricorda Marek Edelman, comandante del ghetto di Varsavia, che disse: “Essere ebrei significa stare sempre dalla parte degli oppressi, mai degli oppressori.” Se chi ha conosciuto il genocidio diventa carnefice, la memoria si trasforma in propaganda. E allora quel “Mai più”, svuotato e tradito, diventa solo una scusa per altri massacri. Nel mondo che guarda in silenzio e nelle cancellerie che misurano i morti con la bilancia della convenienza, restano solo i fatti: bambini affamati, tende sventrate, cimiteri improvvisati. E la vergogna di chi conosce la storia, ma ha scelto di dimenticarne il senso. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Gaza: la morte differita come strategia di guerra

    Play Episode Listen Later Apr 30, 2025 1:50


    In un anno e mezzo di guerra a Gaza, Israele non ha soltanto cancellato vite: ha accorciato il futuro. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, l'aspettativa di vita dei palestinesi è crollata: meno 51,6% per gli uomini, meno 38,6% per le donne. Dietro i grafici ci sono i volti. Ci sono bambini che muoiono di fame a pochi chilometri da dove il mondo si interroga sulle calorie delle diete occidentali. C'è il latte che non esiste più, il pane che costa dieci volte tanto, l'acqua che non disseta ma ammala. Il cibo si misura in cucchiai di fagioli, quando c'è. Quando non c'è, si strappa l'erba ai margini delle strade, come raccontano le madri di Gaza. Uno studio separato pubblicato nel febbraio 2025 ha stimato che il numero reale dei morti è stato sottovalutato del 41%, portando il bilancio effettivo vicino a 64.620 vittime, contro i 37.877 dichiarati dal Ministero della Sanità palestinese. Ci sono donne che partoriscono in ospedali devastati, senza acqua, senza energia elettrica, senza nulla che somigli a una speranza. Alcune perdono il bambino in marcia, inseguite da cani addestrati a terrorizzare.Ci sono medici che non salvano più nessuno perché gli ospedali sono diventati bersagli. Oltre il 90% delle strutture sanitarie è stato distrutto. Il blocco degli aiuti, la distruzione dell'agricoltura, l'interruzione dell'acqua potabile, la fame usata come arma: ogni scelta compiuta contro Gaza non ha solo effetti immediati. È una dichiarazione di morte differita. Non basteranno cessate il fuoco di facciata né commozioni posticce a cancellare l'evidenza: a Gaza si è scientificamente bombardato anche il futuro. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Se il consenso non c'è, si finge una telefonata: Trump docet

    Play Episode Listen Later Apr 29, 2025 1:45


    Nel manuale delle presidenze in crisi, Donald Trump aggiorna l'appendice. Quando il gradimento affonda al 39%, il peggiore da settant'anni a questa parte, l'istinto suggerisce di evocare il prestigio delle relazioni internazionali, magari con una telefonata mai avvenuta. Xi Jinping chiama, dice lui. Peccato che Pechino smentisca, ufficialmente e per due volte, che ci sia stato un colloquio tra i due leader. Nessuna telefonata, nessun negoziato sui dazi, nessun segnale di apertura. Solo Trump che inventa, mentre il paese reale gli scivola tra le mani. A centri di rilevamento spenti, il Washington Post, l'Abc e Ipsos misurano il battito della presidenza. I numeri sono impietosi: il 39% di approvazione contro un 55% di disapprovazione, il 44% di giudizi fortemente negativi. La distanza tra Trump e il resto del paese si fa voragine, e il paragone con i predecessori è un altro schiaffo: Obama stava al 65% nei primi cento giorni, Biden al 52%. Trump non riesce a risalire nemmeno ai livelli del suo primo mandato. Anzi, peggiora. Tra le donne il gradimento precipita al 36%, tra gli ispanici al 28%. L'economia, un tempo vessillo della sua narrativa muscolare, oggi gli si rivolta contro: il 60% degli americani boccia la sua gestione, i dazi fanno più paura che orgoglio, e il protezionismo esasperato viene percepito come una minaccia diretta ai bilanci domestici. Trump, fedele al proprio stile, trasforma la politica estera in teatro d'ombre. Assomiglia a quella che avrebbe voluto essere mediatrice e invece è stata solo una comparsa nelle retrovie durante il funerale di Francesco. Per questo si piacciono. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Fascisti che temono un lenzuolo

    Play Episode Listen Later Apr 28, 2025 1:52


    Se c'è un'immagine che racconta questi tempi è quella di Lorenza Roiati, panettiera di Ascoli Piceno, che il 25 aprile appende un lenzuolo alla facciata del suo forno: “Buono come il pane, bello come l'antifascismo”. Due agenti si presentano per identificarla. Un atto di ordinaria amministrazione, spiegano. Ma l'ordinario non è mai neutro. Non è ordinario dover giustificare una scritta antifascista nel giorno in cui l'Italia celebra la Liberazione dal fascismo. Non è ordinario che chi espone un messaggio di libertà debba mostrare i documenti due volte, mentre gli striscioni intimidatori appesi da ignoti vengano lasciati lì, puzzolenti come la vigliaccheria di chi li firma nell'ombra. Uno di questi recita: “Dal quel forno un tale fetore, che diventa simpatico anche il questore”. Il fetore, in realtà, è quello di una stagione che torna. Il sindaco di Ascoli, Marco Fioravanti, Fratelli d'Italia, non ha dubbi: le vere vittime sarebbero i poliziotti “aggrediti” sui social. La panettiera? Strumentalizzata, dice. I fascisti che minacciano? Invisibili. Chi difende Lorenza è accusato di interrompere il lutto nazionale per il papa defunto. Mescolare il lutto religioso con il diritto a celebrare la Resistenza è un'operazione così oscena che nemmeno i peggiori governatori degli anni Venti avevano osato. L'antifascismo diventa uno sgarbo, un fastidio, un peccato. Intanto la politica si spacca. Matteo Ricci e Giuseppe Buondonno raccolgono solidarietà attorno a Lorenza. Elly Schlein, per una volta, trova le parole: “Quegli striscioni fascisti sono un insulto alla Costituzione”. Ma il problema è più profondo: un pezzo d'Italia ha smesso di vergognarsi del fascismo. E le istituzioni, quando non si girano dall'altra parte, danno una mano. Resta il lenzuolo bianco, appeso tra la paura e il coraggio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Evasione fiscale, nessun record: il bluff di Meloni smascherato dalla Corte dei conti

    Play Episode Listen Later Apr 25, 2025 1:43


    Un record che non esiste. La Corte dei conti smonta con poche righe le narrazioni trionfalistiche del governo Meloni sulla lotta all'evasione fiscale. I 33,4 miliardi di euro incassati dall'Agenzia delle entrate nel 2024, definiti dalla premier “una somma mai raggiunta dalla nostra nazione”, non sono il frutto di un'azione straordinaria, ma il risultato di controlli automatizzati. Nessuna caccia all'evasore, nessun rafforzamento degli strumenti per far emergere il sommerso. Solo la routine. In un'audizione sul Documento di economia e finanza alle commissioni bilancio, i giudici contabili chiariscono che la maggior parte degli introiti deriva da errori o omissioni nei versamenti individuati tramite controlli automatici. L'83 per cento dei fondi raccolti non nasce da accertamenti sostanziali, ma dalla verifica meccanica delle dichiarazioni presentate. Gli evasori veri restano al sicuro. L'incremento di otto miliardi rispetto al 2022, celebrato dalla presidente del Consiglio come il risultato di norme “contro le attività ‘apri e chiudi' degli extracomunitari”, si rivela essere un'illusione propagandistica. La Corte dei conti lo dice chiaramente: questi risultati sono difficilmente replicabili senza un deciso aumento dei controlli sostanziali, proprio quelli che il governo non ha rafforzato. E nonostante strumenti come la fatturazione elettronica, il reverse charge e lo split payment, l'Italia continua a occupare le ultime posizioni in Europa per il gap Iva, con un buco del 14,74 per cento nel 2023. Ancora peggio va sul fronte Irpef per professionisti e imprese individuali, dove l'evasione si attesta a un preoccupante 65 per cento. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    A trent'anni ancora a casa: il fallimento economico che chiamano tradizione

    Play Episode Listen Later Apr 24, 2025 1:55


    In Italia si resta a casa dei genitori fino a trent'anni, come se la giovinezza fosse un contratto a tempo indeterminato. I numeri li mette in fila Lorenzo Ruffino: quattro anni sopra la media europea, peggio di noi solo Croazia, Slovacchia, Grecia e Spagna. Altrove si esce di casa a ventidue anni, qui si tira avanti, ostaggi di stipendi da fame e di un mercato del lavoro che ti fa il favore di assumerti. Tra i venticinque e i ventinove anni si guadagnano in media 1.200 euro netti al mese, tra i trenta e i trentaquattro si arriva a malapena a 1.390. La soglia dei 1.500 euro si supera solo dopo i quaranta, come se fosse un premio per la sopravvivenza. E intanto si vive con mamma e papà, perché trovare un affitto dignitoso con quei soldi significa scegliere tra il letto e il frigorifero. Ma la crudeltà vera sta nei numeri che non cambiano mai. Ruffino lo mostra: negli ultimi vent'anni la percentuale di giovani che vive con i genitori è rimasta la stessa. Fermi, inchiodati. Un intero paese che ripete la stessa storia, come una condanna. Ogni volta si tira fuori la cultura, il legame familiare, le radici. È solo un modo elegante per nascondere il fallimento economico. In Finlandia, in Svezia, in Germania non amano meno le famiglie: possono solo permettersi di viverne fuori. Qui si resta perché non si ha scelta. E si invecchia in camera propria, con le mensole di quando si era bambini. Il 63% delle persone tra i diciotto e i trentaquattro anni vive ancora a casa. Dio, patria e famiglia, dicono. Dio è una clava contro gli avversari, la patria è il circolino degli amici e la famiglia è il rifugio obbligato di uno Stato fallito. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Chi chiederà ancora “come è andata la notte?”

    Play Episode Listen Later Apr 23, 2025 1:56


    Sono 563. Un numero come tanti, ma a Gaza era il conto di chi non si rassegna al silenzio. Cinquecentosessantatré contatti tra Papa Francesco e la parrocchia della Sacra Famiglia. Telefonate, messaggi, una voce che ogni giorno domandava: “Come è andata la notte?”. Una voce che si faceva presente, ostinata, mentre il resto del mondo voltava lo sguardo altrove. Ora quella voce non c'è più. Il Papa che ogni sera cercava di rompere la solitudine di Gaza non potrà più chiedere se qualcuno ha visto il giorno spuntare. È morto chi aveva scelto di contare le notti invece che le vittime, di restare nel tempo sospeso tra un bombardamento e l'altro, dove si annida l'umanità che sopravvive. Padre Gabriel Romanelli, intrappolato fuori dalla Striscia, e Padre Youssef Asaad, rimasto dentro con la sua comunità, conoscono il peso di quelle parole. Perché a Gaza ogni notte è un testimone di resistenza. È in quel buio che Francesco si faceva presente, non con appelli solenni, ma con la costanza di chi sa che il male si sfida solo restando. Ora resta il numero. Resta la cifra, 563, a dire che non bastava un'udienza, non era sufficiente una dichiarazione. Serviva esserci ogni giorno. Serviva una voce che attraversasse l'assedio. La voce di Francesco era potente perché sola, perché fragile come le vite che cercava. E Gaza resta così: sola, fragile, dimenticata. La soledad de Gaza esta noche. 563 contatti sono un segno. Non bastano, non cambiano il corso della guerra, ma fanno esistere chi altrimenti sparirebbe. Nelle notti di Gaza non serve un miracolo, basta una voce che tenga aperta la possibilità di essere ascoltati. C'è qualcuno tra i potenti laici disposto a farlo? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Comolake: l'evento privato con soldi pubblici (e bugie di Stato)

    Play Episode Listen Later Apr 22, 2025 1:56


    Nel governo dell'intransigenza a orologeria, c'è sempre un momento in cui il boomerang del potere torna a colpire. Stavolta ha scelto la via del lago: Comolake, evento digitale su misura del sottosegretario Alessio Butti, è finito al centro di un'inchiesta giornalistica che, carte alla mano, disegna una rete di favori, bugie e silenzi. Nel mirino c'è la moglie del sottosegretario, Lisa Giussani. Secondo i documenti pubblicati da Domani, avrebbe inviato mail, indicato nomi, fornito contatti e suggerito sponsor. Non un dettaglio marginale, visto che Comolake era – nelle parole di Butti – «evento privato». Peccato che dentro ci fossero l'Agenzia per l'Italia digitale e società controllate dal ministero dell'Economia. Quando il privato si fa pubblico per convenienza e viceversa per difesa. Meloni tace, ma s'irrita. Non è l'indignazione per il merito, è il fastidio per il rumore. A palazzo Chigi la linea è cauta: non una smentita, non una difesa. Butti è uno dei suoi. E si sa quanto la presidente detesti dover rinunciare a un uomo di fiducia. Intanto, i fili si annodano. Dalla consulenza da 80mila euro affidata all'allora regista dell'evento, Raffaele Barberio – poi allontanato in silenzio – fino al coinvolgimento diretto del super consulente Serafino Sorrenti, uomo chiave nel dipartimento per la trasformazione digitale e citato esplicitamente nei documenti inoltrati da Giussani per agganciare gli sponsor: il cerchio intorno a Butti non è mai stato tanto affollato. Eppure, nelle dichiarazioni ufficiali, tutto sembrava ridursi a una semplice «iniziativa privata». Nel silenzio tombale del partito, risuonano solo le interrogazioni delle opposizioni. Ma la domanda vera è un'altra: perché in Italia il conflitto d'interessi resta sempre un reato d'opinione? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il Pd li forma, Renzi li lancia, Calenda li offre a Meloni

    Play Episode Listen Later Apr 18, 2025 1:57


    Le biografie politiche non mentono. A volte basta leggerle al contrario per capire dove si voleva arrivare fin dall'inizio. Giuseppe Luigi Cucca, oggi candidato sindaco del centrodestra a Nuoro, ha solo completato il giro. È stato Pd, poi Italia Viva, ora Azione. Infine, il posto che sembrava già scritto: la candidatura unitaria del centrodestra sardo, benedetta da Fratelli d'Italia, Forza Italia, Psd'Az e Riformatori. Il salto è mrivelatore. Cucca è l'esempio ambulante di una transumanza che ha cambiato pelle senza cambiare direzione. Quando da segretario regionale del Pd passò a Renzi, fu salutato come “riformista pragmatico”. Poi in Italia Viva, con il consueto trucco dell'“oltre la destra e la sinistra”, trovò parcheggio e visibilità. Infine approdò in Azione, dove è oggi segretario regionale, e dove l'equivoco è finito da tempo: Azione è ormai, nei territori come nei palazzi romani, l'ala educata della destra. Quella che si vergogna di dirlo, ma poi s'innamora ogni volta. Azione e Calenda quando arrivano le elezioni, mostrano i loro amorevoli sensi al centrodestra con zelo e disciplina. Con Azione e Italia Viva il centrodestra ha una riserva naturale di candidati pronti, senza doverli neanche formare. La parabola di Cucca dice molto più del suo destino personale: racconta l'identità (o l'assenza di identità) di chi è passato e passa ancora dal Pd. Non si diventa candidati della destra per caso, ci si arriva dopo una lunga coerenza. E ogni volta che qualcuno invoca un “campo largo” allargato anche a questi personaggi, farebbe bene a ricordare dove hanno scelto di stare quando le carte si scoprono. In fondo Cucca non è un'eccezione: è il paradigma. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Standard & Propaganda

    Play Episode Listen Later Apr 17, 2025 1:50


    Per anni, le agenzie di rating erano “inutili”, “anonimi asserragliati nei grattacieli”, speculatori da contrastare con interrogazioni parlamentari. Per anni, Meloni le ha descritte come pericolose, capaci di mettere a rischio la sicurezza economica del Paese, strumenti opachi in mano a interessi privati. Nel 2018 giudicava i loro pronostici “attendibili come quelli di una cartomante”. Nel 2012 chiedeva addirittura che ne venissero resi noti i veri proprietari. Poi Standard & Poor's alza il rating dell'Italia da BBB a BBB+ e tutto cambia. I “pagliacci” diventano autorevoli. I loro giudizi – ieri considerati minacce alla patria – oggi diventano certificati di buona condotta economica. È bastata una lettera in più per riscrivere tredici anni di accuse, complotti, invettive. Ora i post ufficiali di Fratelli d'Italia celebrano la “stabilità del governo Meloni”, accusano la sinistra di “propaganda anti italiana” e parlano di un'economia “in ottima salute”. È la consueta parabola della propaganda: quando i numeri vanno storti, si denuncia il complotto; quando sorridono, diventano verità di Stato. L'arte di sopravvivere alla realtà senza mai ammettere d'aver sbagliato. La coerenza, come la responsabilità, è un fastidio da riservare agli avversari. Non è un cambio di rotta: è una mutazione genetica. L'ennesima. Nel 2017, quando Fitch abbassò il rating, Meloni accusò le agenzie di aver scelto i governi italiani. Nel 2018 si indignò perché il presidente Mattarella aveva tenuto conto del giudizio delle agenzie. Oggi, quelle stesse agenzie diventano totem da sventolare. Ma in questa abiura continua, c'è un messaggio pericoloso: a essere declassata è la coerenza. Da tempo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Gratteri: “Nemmeno Berlusconi avrebbe osato tanto”

    Play Episode Listen Later Apr 16, 2025 1:55


    “Nemmeno Berlusconi se le sognava, certe riforme”. Nicola Gratteri non usa giri di parole. Ospite della trasmissione In Altre Parole su La7, guarda il video in cui Carlo Nordio accusa i magistrati per l'aumento dei detenuti e chiede: “Ma è vero, o è un montaggio?”. Il ministro sostiene che se le carceri sono piene è colpa di chi manda in prigione le persone che commettono reati. Una logica rovesciata, che Gratteri smonta punto per punto. Nessuna nuova struttura penitenziaria, nessun progetto, solo annunci. Le carceri sono diventate “contenitori” per migliaia di persone dipendenti da sostanze. “Appena escono tornano a rapinare per procurarsi una dose”, dice. Eppure basterebbe un accordo con le Asl per inviarli in comunità terapeutiche. Costerebbe meno – 60 euro al giorno contro i 170 del carcere – e restituirebbe dignità alle famiglie e alla funzione rieducativa della pena. Gratteri propone anche di riconvertire beni confiscati alle mafie per accogliere persone con patologie psichiatriche, spesso incompatibili con la permanenza in carcere. Ma non se ne parla. Come non si parla dei cellulari che circolano nelle celle. “Propongo da anni i jammer, ma dicono che fanno male. Eppure io ne porto uno sulla schiena da due anni. E non ho commesso reati”. Poi c'è il processo telematico, il fiore all'occhiello del ministro. “Ha paralizzato le procure. Hanno speso milioni, e sono riusciti perfino a sbagliare gli articoli del codice penale”. L'unica norma utile? Quella del luglio 2024, che consente indagini nel dark web e sul cybercrime. “Tutto il resto è dannoso”, dice Gratteri. È un atto d'accusa documentato. Serve altro? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il crimine di Netanyahu? Un dettaglio tra due coni gelato

    Play Episode Listen Later Apr 15, 2025 1:47


    Israele ha completato l'accerchiamento di Rafah, dopo averla desertificata svuotandola dei suoi abitanti. Il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che la città del sud della Striscia è diventata parte di una «zona di sicurezza israeliana». Le 200mila persone che abitavano a Rafah vagano per la Striscia, sperando che non gli cada in testa una bomba e di non imbattersi in qualche cecchino dell'esercito di Netanyahu. Nella notte tra sabato e domenica, l'ultimo ospedale di Gaza è stato colpito da due missili che hanno distrutto il pronto soccorso, l'area del ricevimento dei pazienti, le ambulanze, la farmacia e il laboratorio. Era l'ultimo ospedale interamente operativo a nord della Striscia. “A Gaza 38 ospedali sono stati resi da Israele completamente fuori servizio, questo era l'ultimo ospedale interamente funzionante”, racconta Mohammed Abu Sabla, perfusionista dell'ospedale European di Gaza. Il ricercato dalla Cpi per crimini di guerra Benjamin Netanyahu è contestato anche in patria, ritenuto il mandante di un eccidio che è la vergogna dell'Occidente. Di Gaza non parla quasi mai la presidente Giorgia Meloni, impegnata nella corsa al bacio sul deretano di Trump. Ma che fa l'Italia? In occasione della Giornata della ricerca italiana nel mondo 2025, l'Istituto Italiano di Cultura e l'Ambasciata d'Italia a Tel Aviv presentano La scienza del gelato, conferenza e degustazione di gelato, martedì 22 aprile alle 18. La conferenza, tenuta dall'addetto scientifico presso l'Ambasciata d'Italia in Israele, esplorerà la scienza alla base della struttura e della consistenza del gelato. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    La resa dei conti (e delle coscienze) nel ministero di Nordio

    Play Episode Listen Later Apr 14, 2025 1:34


    Nel ministero della Giustizia volano le sedie. Luigi Birritteri, il magistrato con delega agli Affari di giustizia e alle relazioni internazionali, se ne va sbattendo la porta. Ufficialmente chiede il rientro in ruolo, nei fatti prende le distanze da un governo che nella gestione del caso Almasri ha fatto tutto fuorché rispettare le regole. Il torturatore libico arrestato a Torino e riconsegnato al suo Paese con un volo di Stato è oggi libero a Tripoli, mentre i suoi torturati chiedono giustizia nei tribunali italiani. In mezzo, una Corte penale internazionale ignorata, una figuraccia diplomatica, due inchieste in corso e un ministro – Nordio – che non risponde agli atti. Birritteri non è l'ultimo, ma l'ennesimo a mollare via Arenula sotto la reggenza silenziosa ma inflessibile di Giusi Bartolozzi, la vera ministra. Il Viminale zittisce, Palazzo Chigi tace, e intanto il dipartimento incaricato della cooperazione internazionale viene escluso da una vicenda che riguarda la giustizia internazionale. Non è solo una questione di procedure, ma di credibilità. E forse anche di complicità. Perché chi sceglie il silenzio, chi evita di firmare, chi aggira le competenze, non sbaglia per distrazione. Semplicemente, decide. Decide di non disturbare il manovratore libico. Decide di non disturbare l'alleato utile. Decide che la legge, a volte, è un ostacolo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    La destra non è fascista. Però un consigliere FdI vuole una via per Mussolini

    Play Episode Listen Later Apr 11, 2025 1:55


    Il fascismo non esiste, ci dicono. È finito nel 1945, lo ricordiamo il 25 aprile e lo mettiamo a dormire per il resto dell'anno. E se qualcuno lo vede ancora, è perché è troppo ideologico. Peccato che a San Donà, mentre il sindaco cerca di raffreddare il dibattito, un consigliere di Fratelli d'Italia proponga candidamente una via per Benito Mussolini. Perché, dice, “fu un grande statista”. Siamo al paradosso: mentre il fascismo è liquidato come ossessione della sinistra, le strade italiane rischiano di diventare vetrine per la nostalgia nera. Non bastano Ramelli, Gentile, Almirante. Ora si alza l'asticella: Mussolini. E non si tratta di un rigurgito solitario. È il segnale di un'egemonia culturale che marcia sulle gambe della toponomastica, tra revisionismo e normalizzazione. Il sindaco prende le distanze. Ma il danno è fatto. Perché la proposta c'è stata, ha trovato spazio, è entrata nel dibattito pubblico. E soprattutto conferma che questa destra non perde occasione per intonare panegirici sul “grande statista” della dittatura. Intanto Gabriele De Rosa, anche lui di Fratelli d'Italia, rivendica la linea: “Il fascismo va storicizzato”. Come se non fosse stato già giudicato dalla storia, dalla Costituzione, dai corpi dei partigiani uccisi, dai campi di prigionia, dalle leggi razziali, dai roghi dei libri, dai corpi appesi a Piazzale Loreto. Il fascismo non esiste, ma torna in forma di statua, targa, via. A piccoli passi. Perché l'ideologia, quando la neghi troppo, finisce che prende forma nei nomi delle strade. E se ci abiti accanto, diventa normalità. Finché un giorno smetti perfino di chiederti se sia giusto. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Trump paga dazio per i suoi dazi

    Play Episode Listen Later Apr 10, 2025 1:57


    Trump voleva i dazi per vendicarsi del mondo. Li ha avuti. Ora paga il conto. E non è solo quello dei mercati, ma quello ben più spietato dell'opinione pubblica americana. Dopo l'annuncio dei nuovi dazi generalizzati, tre sondaggi post-Liberation Day registrano il declino: -3 punti per Morning Consult, -7 per Navigator Research. Persino Rasmussen, che a Trump ha sempre fatto da ufficio stampa, lo inchioda a -12. Il messaggio è chiaro: l'uomo del “make America great again” ha trovato il modo per renderla più costosa, più isolata e più arrabbiata. Il 59% degli americani dice che l'economia sta peggiorando. Solo il 30% approva i dazi. La percezione è crollata tra tutti i gruppi, inclusi i Repubblicani non trumpiani. Il 55% degli elettori ritiene che le misure commerciali danneggeranno il Paese. E quel 56% che vorrebbe restituire al Congresso il potere di decidere sui dazi racconta un altro tradimento: Trump era l'uomo contro il potere, ora lo vogliono limitare. Qualcuno nei suoi comizi continua a urlare “America first”. Ma ora è un'America prima nei prezzi, prima nei timori di recessione, prima nella confusione strategica. Il resto del mondo osserva, attende, si prepara. L'Europa trattiene il fiato, la Cina si riorganizza, e intanto l'elettore medio americano paga il prezzo. In Italia si continua a raccontare Trump come un Golia senza crepe. Ma negli Stati Uniti c'è un presidente che, dopo 77 giorni, è già il secondo più impopolare di sempre. Battuto solo da sé stesso. Quello del 2017. Forse la lezione è più semplice di quanto sembri: se dichiari guerra al mondo intero, prima o poi sarà il tuo stesso popolo a chiederti la resa. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Un Paese che si spegne in silenzio

    Play Episode Listen Later Apr 9, 2025 1:57


    Si può morire anche da vivi, lentamente, mentre ci si illude di essere ancora in tempo. L'Italia è entrata da anni in una crisi demografica che non ha il fascino delle emergenze e per questo viene lasciata sul fondo della pila. Eppure, i numeri raccolti da Lorenzo Ruffino raccontano un declino costante: nel 2024 siamo scesi a 58,97 milioni di abitanti, il 2,3% in meno rispetto al 2014. In dieci anni abbiamo perso quasi un milione e mezzo di persone. Le nascite non arrivano più. Da oltre sedici anni diminuiscono. Nel 2008 erano 577 mila, nel 2023 solo 379 mila. Nello stesso anno i decessi sono stati 661 mila. Un divario strutturale, non una parentesi. Il tasso di fecondità oggi è 1,2 figli per donna. Servirebbe almeno 2,1 per tenere stabile la popolazione. Intanto l'Italia invecchia. L'età mediana è arrivata a 48,7 anni. Negli anni Sessanta era 31,2. E mentre la popolazione in età lavorativa si assottiglia, gli over 65 sono aumentati del 72% rispetto al 1990. Il futuro è già iniziato, ma nessuno sembra accorgersene. Neanche chi governa. Il dettaglio che pesa di più è la geografia del declino. Il Mezzogiorno ha perso in dieci anni oltre un milione di residenti. I giovani se ne vanno, i vecchi restano. Le scuole chiudono, le nascite crollano, i servizi si svuotano. E nel 2050 metà degli italiani vivrà al Nord. La crisi demografica non è una condanna, ma una scelta. Non si combatte con le crociate sulla natalità, ma con asili, lavoro stabile, diritto alla casa. Invece si taglia proprio lì dove si dovrebbe investire. Così un Paese intero si spegne, in silenzio, nel complice disinteresse di chi avrebbe dovuto tenerlo acceso. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il deputato fantasma che vota per sé

    Play Episode Listen Later Apr 8, 2025 1:54


    Antonio Angelucci alla Camera non c'è mai. O quasi. Ha un tasso di assenza del 99,9%. Ma quando si tratta di votare una sanatoria fiscale che fa risparmiare milioni alle sue aziende, diventa puntuale. È successo con la “rottamazione quater”, quella che secondo Giorgia Meloni avrebbe aiutato i cittadini “in difficoltà”. A raccontarlo, con nomi e cifre, è Domani, nell'inchiesta firmata da Giovanni Tizian e Stefano Vergine. Nel bilancio del gruppo Tosinvest, fondato da Angelucci, si legge che la misura ha permesso un risparmio immediato di 4,2 milioni. Ma non è la prima volta. Già nel 2018 e nel 2019, con altre sanatorie, il gruppo aveva chiuso contenziosi fiscali versando molto meno del dovuto. In tutto, fa oltre 6 milioni di euro risparmiati. Sempre con norme approvate da governi in cui Angelucci sedeva, magari all'opposizione, ma mai fuori dai giochi. Nel frattempo, il suo storico commercialista è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione per collusione con due finanzieri. Secondo i giudici, cercava di ottenere informazioni riservate e condizionare l'esito di verifiche fiscali sulle società del gruppo. I due militari hanno patteggiato. La società non ha risposto alle domande dei giornalisti. Quella che il governo ha venduto come una misura equa e umana ha avuto, tra i suoi effetti, il consolidamento del privilegio. In un Paese dove il Parlamento si svuota, le leggi restano piene di vantaggi. Ma soprattutto per chi le scrive. Assenteisti, furbi, maestri di leggi ad personam, impegnati a usare i giornali per concimare la propaganda. E poi ci si stupisce che la gente non va a votare? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Salvini, il leader senza applausi

    Play Episode Listen Later Apr 7, 2025 1:41


    Matteo Salvini ha celebrato il proprio congresso come si celebra un compleanno malinconico: tanti invitati, zero sorprese, nessun regalo. Anzi, uno c'è stato: la tessera della Lega consegnata a Roberto Vannacci, generale sospeso, populista da best-seller, candidato eterno in cerca di un palco. Lo Statuto è stato cambiato apposta, a dimostrazione che l'unico vero principio sovrano resta la convenienza personale. Il congresso fiorentino è stato una vetrina di retorica identitaria, con Marine Le Pen paragonata a Martin Luther King e Salvini che chiede il Viminale come se bastasse tornare innocenti da un processo per meritarsi un ministero. Le parole d'ordine sono le solite: sovranismo, autonomia, attacchi all'Unione europea, ossessioni antimmigrazione. Ma il quadro è quello di un partito senza visione, che maschera con l'aggressività il vuoto di idee. E tra un videomessaggio di Musk e gli applausi al vittimismo di Le Pen, Salvini ha infilato il vero obiettivo: far traballare Giorgia Meloni. La richiesta esplicita del Viminale, la pretesa sulle regioni del Nord, la sfida aperta sul terreno dell'estrema destra internazionale: è il vecchio gioco del logoramento, con l'applausometro al posto dei numeri. Un congresso travestito da prova di forza, ma cucito come una trappola. Salvini dice di voler rafforzare la coalizione, ma nel frattempo prepara il terreno per far inciampare Meloni. Non è leadership: è la disperazione di chi, senza consenso, cerca potere con il trucco del prestigiatore che ha esaurito gli applausi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Radioterapia, terapia negata

    Play Episode Listen Later Apr 4, 2025 1:33


    Sette persone malate di tumore su dieci dovrebbero ricevere radioterapia. Solo tre ci riescono. Il motivo non è una rivoluzione scientifica che ha superato il trattamento. Il motivo è che in Italia mancano i medici. Manca la volontà politica. Manca un'organizzazione decente. Nel 2024, a fronte di 170 posti disponibili nelle scuole di specializzazione, si sono iscritti solo in 23. I radioterapisti in attività sono poco più di mille, distribuiti male. La materia è relegata a una manciata di ore nei corsi di medicina. I reparti oncologici li coinvolgono tardi, spesso per niente. Nel frattempo, in molti ospedali si celebrano con orgoglio le “eccellenze”, ma si ignorano i vuoti che possono essere letali. Eppure la radioterapia, grazie alla sua precisione millimetrica e alla personalizzazione, ha permesso di curare quasi metà dei tumori guariti. È indicata quando la chirurgia è troppo rischiosa. È efficace contro metastasi selezionate. È un'arma pulita che l'Italia continua a lasciare scarica. Ora sono arrivati gli Stati Generali. Riunioni, relazioni, buone intenzioni. Ma se anche questa volta non seguiranno investimenti concreti nella formazione e nella governance, resterà solo l'ennesimo convegno sulle occasioni perdute. Intanto, aumentano i pazienti candidabili alla radioterapia, ma calano i medici in grado di somministrarla. Un paradosso che grida vendetta. E l'attesa, in oncologia, non è mai neutra. Ogni giorno perso può essere un pezzo di futuro bruciato. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Le celle-container del governo e la Costituzione calpestatata

    Play Episode Listen Later Apr 3, 2025 1:52


    Nel Paese in cui si costruiscono carceri come si montano baracche da cantiere, il governo Meloni presenta l'ennesima trovata: 16 blocchi prefabbricati in cemento armato, 384 posti letto, 32 milioni di euro spesi senza sfiorare l'idea di dignità. Celle da 30 mq per quattro persone, con un bagno di 3 mq incluso. Non si tratta di un errore di progetto, ma di una visione punitiva che si finge riformatrice. A Opera e Voghera i sopralluoghi sono già partiti. Le strutture saranno pronte entro fine anno, recintate con cancellate alte cinque metri, prive di impianti antincendio e con spazi comuni da 30 mq per 24 detenuti. Si risparmia su tutto, tranne che sull'umiliazione. Neppure i canili sarebbero autorizzati a operare in queste condizioni. Il sottosegretario Delmastro si difende con il solito mantra: è tutto regolare. Come se fosse normale comprimere corpi e diritti sotto una colata di cemento. Mentre il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria resta ostaggio delle pressioni di partito, la risposta all'emergenza carceri è una scorciatoia indegna: più gabbie, meno giustizia. I moduli saranno 1.500 in totale, almeno nelle intenzioni, anche se la relazione tecnica non ne fa menzione. Ogni blocco sarà fatto di 12 moduli smontabili, tutti identici, in calcestruzzo: una geometria della reclusione progettata per annientare l'eccezione umana. Ma liberare spazio non vuol dire liberare persone. Vuol dire continuare a trattarle come cose. Le celle-container non risolvono il sovraffollamento: lo organizzano. E nel farlo mostrano l'unica certezza di questo governo sulla giustizia: la punizione, purché sia rapida, economica e disumana. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il lavoro lo ha ucciso. Lo Stato lo ha seppellito

    Play Episode Listen Later Apr 2, 2025 1:54


    Un anno fa Satnam Singh è stato lasciato morire dissanguato, con un braccio amputato e abbandonato su una cassetta della frutta. Ieri è iniziato il processo per omicidio volontario. Ma fuori dal tribunale tutto è rimasto al suo posto. Lo sfruttamento ingrassa nei campi. I caporali non hanno perso il vizio. E lo Stato, ancora una volta, ha voltato lo sguardo. La legge 199 contro il caporalato esiste dal 2016 ma resta inapplicata: le sezioni territoriali previste non sono mai state istituite, i controlli sono insufficienti, le condanne rare. La riforma della Bossi-Fini è promessa da vent'anni. Nel frattempo, le persone migranti continuano a lavorare senza diritti, sotto ricatto, nelle retrovie della legalità. Nel 2023 le richieste per entrare regolarmente in Italia sono state sei volte superiori alle quote fissate dal governo. In provincia di Latina solo il 13% dei braccianti ha ottenuto un permesso. Gli altri finiscono nel nero. Nelle mani di chi può decidere se vivi o morti. Come Satnam. Nel Nord, tra le vigne del Prosecco e le colline del Barolo, lo sfruttamento è lo stesso. Cambiano i marchi, non le condizioni. Il caporalato è diventato strutturale. Una componente del modello produttivo. Un patto scellerato tra profitto e omertà. Dopo la morte di Satnam si è parlato di simbolo. Ma i simboli non bastano. La competizione sfrenata e il profitto a ogni costo hanno normalizzato l'illegalità. La morte è un effetto collaterale previsto. Forse, chissà, il processo farà rumore, forse. Ma senza riforme vere, senza volontà politica, senza giustizia sociale, tra un anno saremo ancora qui. Con un altro nome. E un altro braccio mozzato. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Gli esodati tornano. Perché non sono mai andati via

    Play Episode Listen Later Apr 1, 2025 1:57


    Dal 1° gennaio 2027 oltre 44 mila lavoratrici e lavoratori rischiano di ritrovarsi senza reddito, senza contributi e senza pensione. Avevano aderito a misure di uscita anticipata – isopensione, contratto di espansione, fondi di solidarietà – firmando accordi su date certe di accesso alla pensione. Ora la certezza sparisce. Il requisito per la pensione anticipata salirà a 43 anni e 1 mese di contributi (uno in meno per le donne), mentre la pensione di vecchiaia slitterà a 67 anni e 3 mesi. Tre mesi di vuoto. Tre mesi senza niente. Non per errore. Per scelta. È il solito copione. Chi ha rispettato le regole viene fregato da chi quelle regole le riscrive all'ultimo minuto. L'adeguamento automatico alla speranza di vita diventa la scusa per tagliare ancora. Intanto il 53,5% delle pensioni è sotto i 750 euro. Tra le donne la percentuale sale al 64,1%. Oltre 4 milioni ricevono integrazioni al minimo. Il governo che prometteva il superamento della legge Fornero ha solo azzerato la flessibilità in uscita, tagliato la rivalutazione e peggiorato tutto. Il ritorno degli esodati non è una sorpresa. È un promemoria. In Italia il patto tra Stato e lavoratori vale finché serve a fare cassa. Poi si spezza. E chi resta fuori viene archiviato come danno collaterale, come se il tempo speso a lavorare non contasse più. Intanto si continua a vendere la favola della pensione sostenibile. Ma sostenibile per chi? Non certo per chi lavora. Non certo per chi sperava di avere almeno un diritto intatto al momento di uscire. A chi servono le regole, se non proteggono nessuno quando saltano? A chi serve un sistema, se funziona solo per chi lo governa? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Trump ama la Russia. E non per nostalgia sovietica

    Play Episode Listen Later Mar 31, 2025 1:36


    Donald Trump ama la Russia. Non per ideologia, ma per riconoscenza. Nel 2022, mentre il suo social network Truth Social arrancava e il progetto Trump Media rischiava il collasso, a tenerlo in vita fu un prestito di otto milioni di dollari proveniente da un trust con base a Hollywood, Florida, ma radici finanziarie e politiche ben piantate a San Pietroburgo. Dietro quei fondi, infatti, c'è Anton Postolnikov: russo-americano, co-proprietario di una banca registrata in Dominica, indagato da FBI e Homeland Security per riciclaggio e insider trading. È anche nipote di un fedelissimo di Vladimir Putin. Non un dettaglio da poco, considerando che Trump oggi è tornato alla Casa Bianca, e a Putin continua a fare comodo. Quel denaro, ufficialmente “opaco”, ha permesso al magnate di aggirare le banche americane, troppo riluttanti a finanziare un ex presidente sotto inchiesta. I prestiti arrivarono tramite ES Family Trust, veicolo creato ad hoc, che in cambio ottenne azioni convertibili oggi valutate fino a 40 milioni di dollari. Un salvataggio travestito da investimento. Trump, come sempre, “non sapeva”. Ma oggi blocca gli aiuti all'Ucraina, rallenta la Nato, ostacola Zelensky. Non per strategia, ma per coerenza. Chi gli ha dato una mano, ora riceve il dividendo politico. Altro che Russiagate. È la geopolitica degli affari. Ed è appena iniziata. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Il termostato è rotto, ma nessuno lo dice

    Play Episode Listen Later Mar 28, 2025 1:56


    Secondo il modello termostatico di Wlezien e Soroka, raccontato da Lorenzo Ruffino, l'opinione pubblica funziona come un regolatore automatico: ogni spinta eccessiva da parte del governo genera una reazione in senso opposto. Se un esecutivo accelera troppo su welfare, ambiente o immigrazione, l'elettorato tende a raffreddare il sistema votando l'opposizione. Se invece la politica è troppo fredda o prudente, cerca di scaldarla. Il ciclo si autoregola: il potere agisce, l'elettorato percepisce, valuta, corregge. Funziona, ma solo in un contesto dove il termostato è accessibile e l'impianto reagisce davvero. Negli Stati Uniti, dove si vota spesso e l'alternanza è fisiologica, la teoria regge. In Italia, no. Il termostato è scollegato. Si gira la manopola, ma la temperatura non cambia. Il voto diventa sfogo, non correzione. La democrazia resta formalmente accesa, ma la stanza è fuori controllo. E intanto i governi si succedono senza mai pagare davvero il conto delle loro scelte. Ruffino osserva che a reagire sono solo i moderati. Ma sono pochi e isolati. Il resto dell'elettorato è inchiodato: polarizzato, disilluso o semplicemente stanco. La stanza brucia, ma ci si litiga sulle finestre. Intanto chi è ai margini sopporta in silenzio. E chi dovrebbe ascoltare, preferisce misurare l'umore con sondaggi usa e getta. Il punto non è se il termostato funziona. È: chi può ancora usarlo? Chi ha voce, strumenti, attenzione? Chi è fuori dalla stanza, più che regolare il clima, si abitua. O si spegne. E la politica, intanto, continua a occuparsi della percezione. Il rischio non è solo il caldo o il freddo. È che nessuno si alzi più per cambiare l'aria. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Giovanni Falcone e la bestemmia civile

    Play Episode Listen Later Mar 27, 2025 1:54


    C'è un confine tra la propaganda e la bestemmia civile. Forza Italia lo ha superato il 23 marzo 2025, al Politeama Garibaldi di Palermo, usando la voce di Giovanni Falcone come sottofondo al proprio convegno sulla giustizia. Un partito fondato da un pregiudicato, costruito da un condannato per concorso esterno, che si prende il lusso di evocare Falcone nel salotto dove si riabilita D'Alì e si cita Mangano come “eroe”. Falcone parlava di codice penale, di riforme, di impegno. Parlava da magistrato che conosceva il peso delle parole. Ma chi lo cita oggi lo fa per spingere una riforma – la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri – che lo stesso Falcone temeva. In Cose di Cosa Nostra, nel 1991, spiegava che una tale separazione avrebbe indebolito la lotta alla mafia, spezzando l'unità della magistratura e rendendo più vulnerabile il lavoro delle procure alle pressioni esterne. E mentre Forza Italia si commuove davanti alle sue frasi, ignora il proprio archivio giudiziario: Marcello Dell'Utri, condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; Antonio D'Alì, 6 anni, stessa imputazione; Amedeo Matacena, 3 anni per contiguità con la 'ndrangheta; Nicola Cosentino, 10 anni per concorso esterno con il clan dei Casalesi; Giancarlo Pittelli, 11 anni in primo grado per aver operato a favore della 'ndrangheta; Salvatore Ferrigno, 10 anni in primo grado per voto di scambio politico-mafioso. Falcone non appartiene a un partito. Non può essere brandizzato. Non può essere usato come copertura da chi ha contribuito, anche solo per affinità, a rendere questo Paese meno giusto. Bisogna ricordarsi di ricordare, anche quando non conviene. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Meloni e la geopolitica delle favole

    Play Episode Listen Later Mar 26, 2025 1:50


    Giorgia Meloni ha una capacità sorprendente: con una frase riesce a condensare tutta la sua visione del mondo. «Se andassimo a verificare, ci accorgeremmo che le competenze della Commissione europea sono maggiori di quelle del presidente degli Stati Uniti», ha dichiarato in Senato. Non era una provocazione, non un tentativo di ironia. Era proprio la sua idea. Pagella Politica ha smontato l'affermazione con un'analisi dettagliata: gli Stati Uniti sono uno Stato federale, l'Unione europea una confederazione. Il presidente Usa ha poteri esecutivi che vanno dalla politica estera alla difesa, dalle nomine ai trattati. La Commissione europea, invece, ha competenze delegate dai governi nazionali, limitate dai trattati e condivise con Parlamento e Consiglio. Paragonare i due ruoli non ha senso. Eppure, per Meloni, funziona. Perché nel suo mondo la realtà non è un dato oggettivo ma una costruzione ideologica. Il fine non è comprendere il funzionamento dell'Ue o degli Usa, ma demolire la prima per alimentare l'illusione di una sovranità nazionale che non esiste più. Così la Commissione europea diventa un mostro centralista e il presidente Usa un innocuo burocrate. Un capolavoro di propaganda. Il problema è che questa narrazione ha conseguenze reali. Se chi governa un Paese ha un'idea distorta delle istituzioni internazionali, finirà per prendere decisioni altrettanto distorte. Ed è esattamente quello che sta accadendo: un'Italia isolata, incapace di incidere nelle dinamiche globali, mentre Meloni racconta agli elettori una fiaba in cui l'Ue è il male e gli Stati nazionali sono la soluzione. Governano con l'ignoranza, ecco perché non sopportano cultura e scuola. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Elon Musk e la libertà a intermittenza: censura su richiesta di Erdoğan

    Play Episode Listen Later Mar 25, 2025 1:53


    Elon Musk, il paladino autoproclamato della libertà di parola, ha deciso che il dissenso in Turchia merita di essere silenziato. X, la piattaforma che aveva promesso di essere un faro di libertà espressiva, ha sospeso diversi account di oppositori del regime di Recep Tayyip Erdoğan proprio nel momento in cui la repressione si intensifica. Il pretesto? La solita narrazione della sicurezza nazionale. Dopo l'arresto di Ekrem İmamoğlu, principale rivale politico di Erdoğan, le proteste hanno invaso le piazze e le università turche. Gli account sospesi non erano altro che voci di attivisti che condividevano informazioni sui luoghi delle manifestazioni. Nessun contenuto violento, nessuna incitazione all'odio. Solo il diritto di informare e organizzarsi, quello che Musk diceva di voler difendere. Ma a quanto pare, la libertà di parola è un valore flessibile quando si tratta di proteggere il proprio business da un governo autoritario. Già nel 2023, alla vigilia delle elezioni turche, X aveva accettato di limitare l'accesso a determinati contenuti per evitare di essere bloccato nel paese. La storia si ripete: meglio censurare che rischiare il blackout totale. E Musk, con la sua consueta spavalderia, giustifica il tutto come una scelta obbligata. Nel frattempo, il governo turco rafforza il controllo: arresti di massa, blocco dei social, accuse di incitamento all'odio per chiunque osi sfidare il potere. Musk, da buon libertario di convenienza, esegue senza battere ciglio. La sua piattaforma si piega alle richieste di Ankara. Non è libertà di espressione, è commercio. E in questo mercato, la verità è la prima merce sacrificabile. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.

    Claim Il #Buongiorno di Giulio Cavalli

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