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Benjamin Netanyahu ha smesso di fingere. Ora è ufficiale: Israele si prepara a un'occupazione permanente della Striscia di Gaza. Non è più guerra, non è più rappresaglia. È colonizzazione. E a questo punto la domanda è tanto semplice quanto cruciale: la comunità internazionale intende applicare le stesse sanzioni che ha imposto agli altri invasori del nostro tempo? L'Iraq che occupa il Kuwait? Embargo totale, risoluzioni ONU, operazioni militari autorizzate. La Russia che invade l'Ucraina? Congelamento di riserve valutarie, esclusione dal sistema SWIFT, price cap sul petrolio, sanzioni mirate su migliaia di individui. Israele che occupa Gaza dopo averla devastata, assediata e spopolata? Nulla. Nessuna sanzione. Nessun embargo. Anzi: accordi commerciali privilegiati, rifornimenti militari e scudi politici a ripetizione. Il doppio standard non è più un sospetto. È un dato giuridico. Il diritto internazionale è chiarissimo: un'occupazione non può prevedere trasferimenti forzati, punizioni collettive, distruzioni sistematiche o blocchi umanitari. Eppure tutto questo è già realtà. E il Consiglio di Sicurezza resta paralizzato dai veti statunitensi. Ora che Israele non si nasconde più, neppure l'Occidente potrà farlo. I governi europei e i partiti italiani che hanno invocato le “regole” contro Mosca devono decidere se il diritto vale anche a Gaza. Se non lo faranno, l'eccezionalismo israeliano non sarà più solo tollerato: sarà legittimato. E con esso, il tramonto dell'ordine giuridico internazionale. Del resto ogni genocidio che si rispetti ha bisogno di una moltitudine di canaglie collaborazioniste, indifferenti e servi sciocchi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è fame, sì. Ma non per carestia. Fame indotta, calcolata, prodotta con metodo. Secondo i nuovi dati della FAO, oggi a Gaza resta accessibile e coltivabile appena l'1,5% delle terre agricole. In aprile era il 4%. Nel 2023, prima dell'assedio, Gaza era un cuore agricolo: 10% del PIL, mezzo milione di persone coinvolte, una varietà di colture locali che garantiva autosufficienza e dignità. Oggi è tutto cenere. Dal blocco totale imposto a marzo all'impossibilità di far entrare aiuti, fino al bombardamento sistematico di serre, orti, frutteti e pescherecci: l'agricoltura a Gaza è stata sterminata. E con essa i suoi abitanti. Più dell'86% dei terreni è stato danneggiato. A nord si arriva al 94%. In molti casi, come a Rafah, non si tratta solo di distruzione ma di occupazione: ciò che non è stato raso al suolo è stato reso inaccessibile. «Gaza è sull'orlo della carestia totale», avverte il direttore della FAO Qu Dongyu. Ma è già oltre l'orlo: centinaia di persone sono morte di fame, migliaia uccise mentre cercavano cibo. Michael Fakhri, relatore speciale ONU per il diritto al cibo, è chiarissimo: «Israele ha costruito la più efficiente macchina di fame che si possa immaginare». Si chiama ecocidio, quando la guerra devasta intenzionalmente l'ambiente. E in questo caso ha un solo scopo: rendere la vita impossibile. Distruggere ogni futuro. Affamare come strumento di dominio. Le caratteristiche tipiche del genocidio. Il diritto al cibo è diritto umano. A Gaza è diventato un bersaglio militare. Un altro indizio. Anzi, un'altra prova, l'ennesima, di ciò che accade a Gaza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Netanyahu parla di «conquista totale» di Gaza, ma la realtà lo smentisce ogni giorno. È il paradosso di una guerra che si racconta come già vinta mentre continua a fallire, sotto gli occhi stanchi dei comandi militari e la retorica furiosa di un premier che cerca consenso nel sangue. A nove mesi dall'inizio dell'operazione, Hamas non è stata distrutta, gli ostaggi non sono stati liberati, la Striscia non è sotto controllo. Secondo fonti dell'IDF, «Israele occupa solo una parte minima del territorio» e nei quartieri chiave «Hamas mantiene presenza e servizi civili». Ma Netanyahu insiste. Parla alla pancia della destra messianica, promette sicurezza e vittoria, mentre Rafah è stata divisa dal resto di Gaza con un nuovo corridoio militare – il terzo – e si affonda nel disastro umanitario. Il sistema crolla: ospedali chiusi, aiuti bloccati, blackout imposti come arma. Ma l'unico piano che il governo sembra avere è continuare la guerra. E pazienza se il costo si misura in bambini denutriti, famiglie in fuga e città rase al suolo. Anche la diplomazia è paralizzata, stritolata tra cinismo e propaganda. Intanto i generali si defilano. L'IDF chiede un'uscita strategica, ma il potere politico vuole la resa incondizionata. E mentre gli alleati tacciono, mentre gli ostaggi restano ostaggi, Netanyahu sale sui podi a dichiarare vittorie che non ci sono. Il risultato è una guerra che si perpetua per mantenere il potere e una menzogna che si autoalimenta: la conquista di Gaza come finzione necessaria, perché non c'è alcun progetto per il dopo. Né politico, né umano. Solo un vuoto. Armato. E feroce. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Fanno finta di cadere dal pero, ma è tutto nero su bianco. L'occupazione totale della Striscia da parte di Israele non è un'ipotesi: è un piano. Netanyahu l'ha deciso e lo ha detto, ieri, mentre convocava il gabinetto di sicurezza. Non è la deriva di un fanatico isolato, è l'obiettivo dichiarato di un governo che al fanatismo ha affidato le leve del potere. E non c'è bisogno di leggere tra le righe: i ministri Smotrich e Ben Gvir l'avevano già invocata a ottobre. Oggi ne discutono solo i dettagli. Nel frattempo, Gaza muore. Ieri almeno 74 vittime nei raid. Tre palestinesi sono stati uccisi mentre aspettavano gli aiuti. Altri otto sono morti di fame, secondo il ministero locale della Salute. Si muore per le bombe e per il blocco. Si muore per la fame, ma è la fame d'Israele a uccidere. Una fame di terra, di cancellazione, di dominio. Il finto stupore degli editorialisti, degli analisti, dei diplomatici che si fingono sorpresi è il contorno grottesco di questa pulizia. Fingono di non sapere ciò che Netanyahu e soci vanno ripetendo da mesi: che non esiste Gaza senza Israele, che Hamas è solo un alibi, che gli ostaggi servono solo per procrastinare lo sterminio. Chi si ostina a parlare di soluzione politica mentre si moltiplicano gli eccidi, chi chiede garanzie sul “dopoguerra” mentre Gaza viene polverizzata, è complice. Le dichiarazioni di Ben Gvir, la convocazione del gabinetto militare, gli elogi di Trump, le tensioni con l'Idf: tutto mostra che non c'è alcun interesse per la pace, solo l'ansia di completare la distruzione. Il crimine non è futuro: è in corso. E chi lo scopre oggi, troppo tardi, dovrebbe almeno avere il pudore di tacere. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Ci hanno detto che la guerra finirà quando torneranno a casa gli ostaggi. Ce lo ripetono ogni giorno, come fosse un pegno morale da esigere con le bombe. Ma chiunque segua con onestà i fatti sa che è una menzogna funzionale: la liberazione degli ostaggi non è mai stata il fine. È il pretesto. La linea del governo è chiara, ed è ben più ampia della liberazione degli ostaggi. Il ministro Itamar Ben Gvir lo ha detto senza infingimenti: «Conquistare tutta Gaza, incentivare l'emigrazione volontaria, ricostruire gli insediamenti. Solo così riporteremo gli ostaggi e vinceremo la guerra». Non una liberazione, ma una sostituzione. Netanyahu non si oppone. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, «sta mostrando apertura verso l'idea di incoraggiare la migrazione dei palestinesi da Gaza», sotto pressione della sua ala più estrema. E il suo ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, propone ufficialmente di reinsediare coloni israeliani nella Striscia. Intanto, Gaza muore di fame: 180 vittime accertate per malnutrizione, 93 sono bambini. Le forze israeliane hanno sparato su civili in fila per gli aiuti: 7 morti e 20 feriti solo il 4 agosto, vicino al centro GHF di Gaza City. Hamas – riferisce il Jerusalem Post – ha chiesto almeno 250 camion di aiuti al giorno come precondizione per tornare a trattare. La risposta israeliana è stata più fuoco e più fame. È in questo contesto che oltre 600 ex funzionari del Mossad e dello Shin Bet hanno scritto a Trump: «Hamas non è più una minaccia strategica. Questa guerra non è più giusta». Chi parla ancora solo di ostaggi, mente. O è complice. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
«Sei morti di fame in un solo giorno». Non è una metafora, è il bilancio delle Nazioni Unite per Gaza il 2 agosto 2025. Da metà maggio, solo il 10% degli aiuti umanitari è riuscito a raggiungere i civili. Il resto è rimasto bloccato nei varchi israeliani o fermato dai bombardamenti. Mentre a sud si muore di sete, a nord si alzano le foto dei bambini. Sabato sera, nel cuore di Tel Aviv, centinaia di manifestanti israeliani – attivisti pacifisti, ex soldati, familiari delle vittime del 7 ottobre – hanno marciato mostrando i volti dei piccoli palestinesi uccisi. Hanno rotto il silenzio con un messaggio chiaro: «Non in mio nome». Non è più solo il mondo a chiedere di fermarsi. Ora è una parte della stessa Israele che denuncia. E lo fa pubblicamente, coraggiosamente, senza più fingere che il diritto all'autodifesa coincida con il diritto a bloccare acqua, insulina e ossigeno. Netanyahu non risponde. Il governo tace, come tace davanti ai rapporti dell'UNRWA, davanti ai corpi denutriti, davanti ai silos pieni mentre i bambini svengono. Ma il mondo ha visto. E ora vede anche che c'è un'altra Israele: stanca, lucida, umana. In gioco non c'è solo Gaza. C'è la possibilità di salvare ciò che resta di un'etica pubblica. E la storia, si sa, è più severa degli eserciti. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
L'idea di “mettere i palestinesi a dieta” non è una provocazione, ma una strategia pianificata. Lo diceva già nel 2006 un consigliere dell'allora premier israeliano Ehud Olmert, e oggi lo confermano i numeri ufficiali. Secondo i dati riportati dal Guardian il 31 luglio 2025, Israele ha calcolato scientificamente quanto cibo serve per tenere in vita la popolazione di Gaza. Poi ha smesso di fornirlo. Tra marzo e giugno, Israele ha fatto entrare nella Striscia solo 56.000 tonnellate di cibo, a fronte di un fabbisogno minimo mensile di 62.000. Nello stesso periodo, il mondo ha assistito — impotente e complice — alla trasformazione della fame in carestia. Non per catastrofi naturali. Per scelta politica. La guerra ha reso impossibile l'agricoltura e la pesca. Ogni caloria disponibile a Gaza deve entrare da fuori. Lo sa bene Cogat, l'agenzia militare israeliana che gestisce gli accessi. Eppure, mentre gli esperti ONU certificavano il “peggiore scenario possibile”, il governo israeliano minimizzava, incolpava Hamas, la burocrazia umanitaria, l'ONU, chiunque tranne sé stesso. Ma è tutto scritto. In passato Cogat stimava 2.279 calorie al giorno per persona, equivalenti a 1,8 kg di cibo. Oggi ne entra meno della metà. Anche durante il cessate il fuoco di gennaio e febbraio, bastarono pochi giorni di rifornimenti regolari per invertire il corso della fame. Eppure a maggio, mentre la crisi esplodeva, Netanyahu si è limitato a riaprire i rubinetti a goccia. Ora promette “aiuti minimi”. Per contenere l'indignazione internazionale, non la carestia. Nel frattempo, si lanciano airdrop dal cielo, costosissimi e inefficaci. In due anni di guerra, 104 voli hanno garantito cibo per appena quattro giorni. Una messinscena umanitaria utile solo a mascherare il vero colpevole dietro una cortina di logistica. La fame, in Gaza, non è un fallimento. È un'arma. E Israele ne conosce ogni formula. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Quarantotto civili uccisi nei pressi del valico di Gaza, secondo l'ospedale locale. L'esercito israeliano nega che sia stato fuoco dell'IDF. Una disputa sulle responsabilità che diventa il simbolo di una guerra dove i morti sono veri e le verità sono di parte. Le immagini raccontano corpi stesi a terra, ospedali senza tregua, e un numero di vittime che continua a crescere. A Gaza non esiste più un luogo sicuro. La guerra si è fatta amministrazione quotidiana del dolore. In questo scenario, il Canada annuncia che riconoscerà lo Stato di Palestina all'Assemblea generale dell'ONU di settembre. Non un gesto isolato: anche Regno Unito e Francia si muovono sulla stessa linea. Ma Ottawa mette condizioni severe, dall'esclusione di Hamas dalle elezioni del 2026 alla costruzione di un'autorità statale smilitarizzata. Il governo israeliano grida al «premio al terrorismo». Trump, fedele alla linea di Netanyahu, minaccia ritorsioni commerciali contro i canadesi. Il riconoscimento, così com'è, sembra più un atto di pressione politica che un progetto di pace. Senza cessate il fuoco, senza un corridoio umanitario garantito, senza una strategia per fermare i massacri, ogni iniziativa diplomatica rischia di restare appesa al vuoto. La diplomazia non può essere una cerimonia di parole mentre la gente muore. Il dato politico, però, è evidente. Il blocco internazionale che finora ha protetto Israele comincia a incrinarsi. Si impone una domanda: quanto ancora si potrà fingere che l'occupazione e la violenza siano l'unico linguaggio possibile? La risposta, per ora, arriva dalle fosse comuni di Gaza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Sessantamila morti. Sessantamila. Lo scriviamo tutto in lettere, perché è così che si contano i crimini storici: con parole che restano. La fame – che secondo l'Integrated Food Security Phase Classification sta “già realizzando lo scenario peggiore” – non è un effetto collaterale: è una scelta deliberata. Martedì a Gaza sono morti “per errore” quelli che aspettavano cibo: perché è così che si muore, a Gaza. Non sotto le bombe, ma per una bottiglia d'acqua. Donald Trump, tra una buca e l'altra nel suo nuovo golf club scozzese, promette che “il cibo arriverà presto”. Parole vuote, dette come si parla di forniture di lattine alla Casa Bianca. Nel frattempo, il Regno Unito annuncia che riconoscerà lo Stato di Palestina se Israele non accetta una tregua. E Israele, con una faccia che ha smesso da tempo di vergognarsi, grida che è un premio a Hamas. Come se ogni diritto dei palestinesi dovesse essere sottoposto al permesso del loro carceriere. Due milioni di persone intrappolate, private di tutto. Le Nazioni Unite parlano chiaro: “Il mondo sta guardando un genocidio in tempo reale”. Ma la parola “genocidio” fa paura ai palazzi: preferiscono “crisi umanitaria”. Come se la complicità occidentale non grondasse sangue. E l'Italia? Un sussurro. Tajani balbetta “sconcerto”. Meloni tace. E mentre le agenzie raccontano bambini scheletrici, noi scegliamo di voltare la faccia. Per viltà, per calcolo, per convenienza elettorale. E allora sì: è anche colpa nostra. Ma più ancora di chi tace, è colpa di chi mente. Di chi parla di civiltà mentre finanzia l'assedio. Di chi firma accordi commerciali con le mani sporche di fame. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Netanyahu dice che a Gaza non c'è carestia. Che nessuno muore di fame. È la stessa voce che nega i crimini, che chiama "terroristi" i bambini, che bombarda i convogli dell'UNRWA e poi accusa l'ONU di non fare abbastanza. Ora arriva a negare l'evidenza, con il sangue ancora fresco tra le macerie. Il nuovo rapporto dell'IPC, sostenuto da ONU, WFP e UNICEF, dice l'esatto contrario: il 39% della popolazione di Gaza passa giorni interi senza mangiare. Oltre 500.000 persone vivono condizioni “simil-carestia”. L'intera popolazione sotto i cinque anni, 320.000 bambini, è a rischio di malnutrizione acuta. Bambini che muoiono. Neonati emaciati che non hanno acqua né latte. Famiglie ridotte a nulla che seppelliscono figli senza nemmeno una bara. A Gaza si muore di fame e lo si fa nel silenzio di chi si volta dall'altra parte. Le tre soglie tecniche che definiscono una carestia — consumo di cibo, malnutrizione acuta, decessi correlati — sono tutte superate in alcune aree. Ma Netanyahu dice che va tutto bene. Perché dire la verità significherebbe assumersi la responsabilità del blocco degli aiuti, della distruzione sistematica dei servizi, della guerra che uccide anche senza sparare. E l'Occidente? Sta zitto. Troppo occupato a giustificare l'indifendibile o a giocare a equidistanze impossibili. Intanto 62.000 tonnellate di aiuti restano bloccate ogni mese. Ogni giorno che passa è una condanna a morte per centinaia di innocenti. Chi nega la fame mentre la infligge non è un capo di Stato. È un criminale da tribunale penale internazionale. E chi lo sostiene, chi lo applaude, chi lo finanzia è complice. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è una parola che l'Occidente continua ad aggirare come un ordigno inesploso: genocidio. Eppure il nuovo rapporto di B'Tselem, “Our Genocide”, non lascia più margini all'ambiguità. Non si tratta solo di una campagna militare, ma della sistematica distruzione della società palestinese a Gaza, attuata con l'intento di annientarla “in tutto o in parte”. Dal 7 ottobre 2023, Israele ha trasformato il diritto internazionale in carta straccia: 58.000 morti, ospedali rasi al suolo, fame usata come arma, campi profughi bombardati, bambini mutilati senza anestesia. La Corte internazionale dell'Aia indaga, ma l'indifferenza è già sentenza. Non è un'escalation accidentale: è una politica, costruita in anni di apartheid e impunità, e oggi divenuta esplicita. Le dichiarazioni dei leader israeliani, raccolte e analizzate nel rapporto, non mascherano l'obiettivo: cancellare Gaza. Il crimine non è solo nei numeri, ma nell'intenzionalità. E il dato più atroce è che la società israeliana, nel suo insieme, lo legittima: lo sostiene, lo giustifica, lo ignora. Nel rapporto, B'Tselem documenta anche l'espansione di questa violenza genocidaria in Cisgiordania e in Israele: stessa catena di comando, stesso impianto ideologico, stessi strumenti. Non è un'eccezione: è un modello. Il genocidio non si confina, si propaga. la ripetizione della storia con gli occhi ben chiusi. È un crimine collettivo che si compie con il consenso implicito di chi guarda altrove. B'Tselem ci chiede di guardare. Di non aspettare il verdetto postumo di una corte. Di dire ora ciò che è evidente: questa non è una guerra. È un genocidio. E il silenzio è complicità. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Il teatro dell'orrore si aggiorna: oggi Gaza muore anche di fame. Ma la carestia non è una calamità naturale. È una strategia. È un crimine. Mentre il governo israeliano si affanna a negare la crisi umanitaria, tonnellate di aiuti vengono lasciati marcire al sole e poi seppelliti. Secondo la tv pubblica israeliana, 1.000 camion carichi di cibo sono stati distrutti dall'esercito perché "deteriorati", dopo essere stati trattenuti al valico di Kerem Shalom. Intanto i bambini muoiono di stenti. Le immagini di Zeinab Abu Halib, sei mesi, ridotta a pelle e ossa, raccontano ciò che le dichiarazioni ufficiali tentano di nascondere. Israele spara persino sulla fame: l'ex contractor Anthony Aguilar racconta alla BBC delle esecuzioni sommarie nei pressi dei centri di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, il braccio privato che ha sostituito l'ONU nella distribuzione degli aiuti. Le Nazioni Unite parlano chiaro: per fermare la carestia servirebbero almeno 600 camion al giorno. Ne passano pochi, tra ostacoli burocratici, bombardamenti e lanci aerei tanto scenografici quanto inutili. Eppure, persino due ufficiali dell'esercito israeliano, citati dal New York Times, ammettono che Hamas non ha mai sistematicamente rubato gli aiuti. Una menzogna usata per legittimare un blocco disumano. E quando due italiani tentano di forzarlo a bordo della nave Handala, vengono arrestati in acque internazionali, in silenzio, con le telecamere oscurate e le urla dell'equipaggio come unica cronaca possibile. Non è più questione di opinioni. È una questione di sopravvivenza e di vergogna. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Gaza non è più solo una strage. Gaza è uno specchio. E quello che ci rimanda è insopportabile. Non ci dice solo che stanno morendo dei bambini, ci dice che siamo il tipo di civiltà che guarda un bambino morire di fame e gira la faccia dall'altra parte. Ci dice che siamo capaci di imbastire vertici e risoluzioni, ma non di far passare un camion con sacchi di riso. Non è più il genocidio di Gaza. È il nostro suicidio morale. Le statistiche sono un pugno in pieno volto: almeno 115 morti di fame, secondo le autorità sanitarie locali. L'UNICEF denuncia che l'80% delle vittime da malnutrizione sono bambini. Medici Senza Frontiere ha contato un quarto di bambini e donne incinte malnutriti nelle sue strutture. La stampa internazionale – AP, BBC, AFP, Reuters – ha lanciato un appello congiunto: “fate passare gli aiuti”. E intanto, mentre Gaza agonizza, il governo israeliano si barrica in dichiarazioni ambigue. Un ministro parla di “Gaza tutta ebraica”, Netanyahu finge sconcerto.Macron annuncia che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina, Israele lo accusa di premiare Hamas. E noi? Dov'eravamo, quando i bambini morivano? Dov'eravamo mentre si discuteva di "cessate il fuoco" come fosse un'opzione diplomatica, non un'urgenza umana? La verità è che Gaza morirà anche per colpa nostra. Perché l'unica arma che avremmo avuto era lo scandalo, e l'abbiamo messo via. Gaza morirà e noi resteremo qui, con i nostri silenzi, i nostri distinguo, le nostre frasi passive. Indifendibili. E per la prima volta, avremo ciò che ci meritiamo: il disprezzo dei vivi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è una parola che la comunità internazionale continua a evitare, come se nominarla rompesse un incantesimo: annessione. Eppure è ciò che è appena accaduto. Il parlamento israeliano ha approvato una mozione che proclama Giudea, Samaria e Valle del Giordano “parte inscindibile della patria storica del popolo ebraico” e chiede di estendere su questi territori la sovranità israeliana. In Cisgiordania, insomma, si cambia status: da occupazione a possesso, da disputa a conquista. Un atto gravissimo, che se pronunciato da altri paesi avrebbe provocato sanzioni, convocazioni d'urgenza dell'ONU, aperture dei telegiornali. Invece qui domina il silenzio, interrotto solo da qualche timido appello umanitario. Intanto, a Gaza, si consuma una tragedia senza precedenti: oltre cento organizzazioni denunciano una carestia di massa, con centinaia di bambini morti di fame. Ospedali assediati, aiuti umanitari respinti, giornalisti affamati come i civili che raccontano. Il diritto internazionale è ridotto a una foglia di fico. Israele rigetta ogni parere delle Nazioni Unite e afferma che “gli ebrei non possono essere occupanti nella propria patria”. Un'affermazione che rovescia secoli di diritto e legittima l'apartheid, come denuncia Ramallah. Le parole hanno un peso: e quando si consacra l'ideologia coloniale nella legge, non si è più davanti a una guerra. È un progetto. La fame, l'assedio, l'annessione: tutto grida, ma chi ascolta? L'Europa balbetta, gli Stati Uniti trattano tregue da uno yacht. Intanto, un'intera popolazione viene cancellata dalla mappa. Prima dai territori, poi dal linguaggio. Domani, dai libri. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Non è una guerra. È una catastrofe scientificamente Cento morti di fame. Ma la diplomazia è a cena organizzata. È il genocidio trasmesso in diretta, mentre i governi d'Europa barattano la diplomazia con la viltà e fingono di non vedere le foto dei bambini morti di fame. Centoundici. Centoundici esseri umani morti per fame a Gaza secondo il bilancio di ieri. Dieci solo nelle ultime ventiquattro ore. Una fame che non è frutto di siccità o carestie naturali, ma di un assedio totale imposto da Israele, come conferma Amnesty International. Nessun aiuto entra. Nessuno esce. Neanche i giornalisti, che ora muoiono insieme alle storie che non possono più raccontare. Il governo israeliano bombarda ospedali, campi profughi e famiglie in fila per una razione di pane. Ventuno uccisi nell'ultimo raid. Oltre metà donne e bambini. L'IDF colpisce la sola chiesa cattolica di Gaza, e ora ammette "un errore" e poi prolunga la detenzione del direttore degli ospedali locali. Intanto, secondo Haaretz, più di mille persone sono state ammazzate mentre cercavano cibo. E ieri, a Roma, si è giocata la pantomima della pace: Steve Witkoff, emissario di Trump, incontra Qatar e Israele in un negoziato che sa di lavata di coscienza, mentre a Gaza i corpi si moltiplicano e la verità viene seppellita sotto le macerie. C'è un nome per tutto questo: sterminio. E chi oggi continua a parlare di “conflitto” o “operazioni militari” è complice. Tacere è collaborare. Minimizzare è mentire. Fingere equilibrio è scegliere la parte del carnefice. Il tempo dei giri di parole è finito. A Gaza si muore. Di fame, sotto le bombe, nel silenzio. E chi non lo urla ora, non potrà mai più dire: “Non lo sapevamo”. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Due bambini morti di fame nella stessa mattina. Uno aveva 40 giorni. Nessuno li ha contati tra le vittime ufficiali. All'ospedale Al-Quds di Gaza, altri 118 feriti si erano messi in fila per un aiuto che non è mai arrivato, colpiti mentre aspettavano gli aiuti umanitari. L'AFP lancia un appello disperato: i suoi giornalisti rischiano di morire di stenti. “Non posso più lavorare – scrive Bashar, 30 anni – il mio corpo è troppo magro”. Il fratello è morto di fame. Gli operatori dell'informazione, unici testimoni rimasti, consumati come i civili che raccontano. Il capo dell'IDF annuncia “risultati significativi” nella guerra più complessa mai combattuta. L'obiettivo resta lo “smantellamento di Hamas”. Intanto, l'esercito israeliano uccide civili disarmati in attesa di cibo, bombarda ospedali, vieta ai media internazionali l'accesso alla Striscia. Il fotografo muore di fame, il bambino muore nel sonno, e il mondo continua a parlare d'altro. Ogni giorno che passa segna un passo oltre il confine che separa la guerra dal genocidio. Non è un'accusa: è un dato. Le Nazioni Unite denunciano la carestia indotta, i crimini di guerra, l'annientamento deliberato della popolazione. Gaza è diventata il luogo dove si sperimenta l'impunità in diretta. Nel frattempo, gli Stati Uniti versano milioni per costruire nuove basi militari israeliane, e l'82% degli ebrei israeliani – secondo un sondaggio – sostiene l'espulsione dei palestinesi da Gaza. Anche questo è un fatto. La morte non fa più rumore. La fame, ancora meno. Ma la Storia, quella sì, terrà memoria di ogni omissione. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nel silenzio assordante dei notiziari, mentre a Gaza i bambini muoiono di fame e il mondo si distrae, quasi 500 tonnellate di biscotti salvavita giacciono in un magazzino di Dubai. Destinati a sfamare 1,5 milioni di piccoli in zone di conflitto, verranno inceneriti per ordine dell'amministrazione Trump. Un disprezzo ostentato e metodico: la fame non è più un'emergenza da combattere, ma un effetto collaterale da ignorare. La vicenda, documentata da The Atlantic, non è un incidente. È una politica. Dopo lo scioglimento dell'USAID e il trasferimento dei poteri a un dipartimento governato da Elon Musk, l'assistenza umanitaria americana è entrata in coma farmacologico: ordini fermi, personale ridotto, nessuna consegna. A deciderlo sono uomini come Jeremy Lewin, giovane burocrate senza esperienza, ma con il potere di affamare il mondo. Nel frattempo, i costi del cinismo ricadono sui contribuenti: 130.000 dollari per distruggere il cibo che avrebbe potuto salvare vite. A Gaza, secondo stime interne, quel carico bastava per coprire una settimana di nutrizione di base a ogni bambino affamato. Invece si brucia. Letteralmente. Perché la carità, se non è ideologicamente compatibile, deve sparire. Trump ha congelato gli aiuti anche per Afghanistan, Yemen e Pakistan. Ufficialmente per “non favorire il terrorismo”. Ufficiosamente perché la sofferenza dei poveri non è redditizia, né utile alla propaganda. E mentre i container si svuotano nei forni, l'America si libera anche del proprio alibi morale. Ora si può esportare la fame senza nemmeno fingere il contrario. A Gaza 600mila persone sono a rischio di morte imminente per la fame. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Israele prepara un campo di concentramento a Gaza. Non è una metafora: il progetto, rivelato da Haaretz, prevede di trasferire 600mila palestinesi in un'area recintata a Rafah, sotto controllo militare, con accessi filtrati e libertà azzerata. Lo chiamano “campus umanitario”, ma non ci saranno scuole né ospedali: solo container, torrette di guardia e “regole speciali”. L'obiettivo dichiarato è «spingere la popolazione verso l'Egitto», in violazione palese del diritto internazionale. Il piano è firmato da funzionari del ministero dell'Intelligence e sostenuto dai ministri estremisti del governo Netanyahu. “Una città non sarà”, ha detto lo storico Amos Goldberg, “sarà un campo di concentramento”. Michael Sfard, avvocato per i diritti umani, parla apertamente di crimini contro l'umanità. Il governo, intanto, tace. E così fa buona parte della comunità internazionale. Dopo mesi di bombardamenti, fame, esecuzioni extragiudiziali e torture nei centri di detenzione, ora si normalizza anche la deportazione. È la fase finale di una guerra condotta non solo contro Hamas, ma contro l'intera popolazione civile. Non si chiama sicurezza. Si chiama disumanizzazione sistematica. E chi la guarda in silenzio non è spettatore: è carnefice travestito da codardo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Giorgia Meloni saluta “con grande soddisfazione” l'approvazione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa del loro lavoro. Parole solenni, da capo di governo che onora il mestiere di chi racconta il mondo rischiando la vita. Eppure basta scorrere la cronaca di questi mesi per inciampare nella domanda che spezza la retorica: anche quelli uccisi a Gaza rientrano nella memoria istituzionale della premier Meloni? Dal 7 ottobre 2023, secondo i dati del Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), almeno 238 giornalisti palestinesi sono stati uccisi sotto i bombardamenti israeliani mentre documentavano, fotografavano, testimoniavano. La strage silenziosa che accompagna il genocidio non trova spazio nei comunicati ufficiali del governo. Eppure erano giornalisti, esattamente come quelli celebrati dalla nuova legge italiana. Stavano facendo il loro lavoro. Esattamente come quelli di cui si onora il coraggio. Il dubbio non è retorico, è politico. Dopo il risveglio tardivo di Palazzo Chigi davanti alle bombe sulle chiese cristiane, ci si chiede se davvero ci sarà anche un secondo scatto di coscienza. Sarebbe un miracolo, di questi tempi. Riconoscere il sacrificio dei reporter palestinesi significherebbe smentire l'alleato Netanyahu, rompere la linea dell'equidistanza pavida, spezzare il silenzio complice. Ma la memoria, si sa, è un muscolo politico selettivo. Funziona bene quando non disturba i rapporti internazionali, meno quando nomina i carnefici. Così il governo che celebra i giornalisti uccisi, dovrebbe includere quelli fatti a pezzi dai suoi alleati. Altrimenti il rispetto per il giornalismo resta confinato ai comunicati stampa. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è voluto un missile sulla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, due donne cristiane dilaniate, otto feriti (tra cui il parroco Gabriel Romanelli) e il silenzio imbarazzato del Patriarcato per risvegliare Giorgia Meloni dal coma etico. Dopo mesi di mattanza trasmessa in diretta, la premier ha scoperto che "gli attacchi sui civili" - che stavolta non sono anonimi palestinesi, ma fedeli cristiani con nome, volto e parrocchia - "sono inaccettabili". Ben svegliata, presidente! Ma è tardi. E lei, su quel sonno selettivo, ha già lasciato diverse impronte. Le risoluzioni Onu boicottate, le armi italiane vendute, i silenzi coperti da formule ipocrite ("attacchi inaccettabili") a cui non seguono mai i fatti. La verità è che questo governo ha contribuito, anche con l'indifferenza, a rompere l'argine dell'umanità. E ora non può far finta che i cocci non siano anche suoi. Israele continua a colpire case, scuole, ospedali, tende di sfollati, chiese. La carneficina a Gaza è una routine. Decine di morti solo all'alba di ieri. Famiglie intere polverizzate, quartieri spianati, bambini mutilati. E se qualcuno osava chiamarlo crimine, era accusato di antisemitismo. Poi è arrivato un proiettile sul tabernacolo, e i muscoli della premier si sono contratti. Forse perché la politica estera italiana, in questo governo, è tutta una questione di categoria dell'empatia? I cristiani valgono, i palestinesi si contano? Se oggi si accorge delle vittime, non è perché ha aperto gli occhi che avrebbe potuto aprire 60mile vittime fa. Forse è perché il sangue ha sporcato anche i suoi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nel silenzio assordante delle cancellerie internazionali, continua la strage di civili a Gaza. Nelle ultime ventiquattro ore, i raid israeliani hanno ucciso 94 persone e ferito 252. Il bilancio complessivo dall'inizio della guerra, secondo fonti sanitarie locali, è di 58.573 morti. Numeri che, da soli, disegnano un crimine umanitario. Ma i numeri, da soli, non bastano: sono le storie che mancano, le facce, le vite spezzate. A morire non sono “terroristi”, come si affanna a ripetere la propaganda bellica, ma donne, bambini, anziani. Ieri almeno 19 persone sono state schiacciate in una calca nel tentativo di ottenere un sacchetto di aiuti. E la fame — come denuncia l'UNRWA — è un'altra arma di guerra: la malnutrizione acuta tra i minori sotto i cinque anni è raddoppiata da marzo. Una generazione intera condannata alla fame prima ancora di conoscere la pace. Intanto, a Washington si discute di cessate il fuoco con il Qatar. A Bruxelles, si tergiversa. E in Italia, il governo esprime “preoccupazione”, mentre la presidente Meloni ringrazia i servizi segreti per il lavoro “a Gaza”. Il linguaggio resta opaco, ma l'allineamento è chiaro. Il massacro è sotto gli occhi di tutti, ma la reazione è calibrata sull'elettorato, non sul diritto. Il relatore ONU Francesca Albanese parla apertamente di genocidio e chiede azioni concrete. L'UE, per voce di Borrell, decide di non punire Israele. Un'omissione che pesa quanto la complicità. La storia, quando arriva, non chiede permesso. E questo capitolo, già oggi, si scrive col sangue dei civili e l'inchiostro lavato via dai governi che hanno scelto di guardare altrove. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Dice Netanyahu che dopo la tregua si tornerà ad “assediare Gaza”. Non è una minaccia. È un piano: dividere la popolazione, spingerla a sud, trasformare il nord della Striscia in un campo di battaglia, il sud in un recinto. Ieri l'ennesimo ordine: evacuare immediatamente Gaza City e Jabalia. Un ultimatum lanciato a chi non ha più nulla da evacuare, se non il proprio corpo esausto, se ancora in vita. Nel frattempo, le bombe piovono sui campi profughi. A Shati cinque morti, nel quartiere Remal sei uccisi sotto le tende degli sfollati. Secondo il ministero della Sanità locale, oltre 58 mila le vittime palestinesi da ottobre 2023, più della metà donne e bambini. La cifra viene contestata da Israele, ma è difficile controbattere le immagini dei cadaveri di bambini in fila per l'acqua. L'Egitto parla apertamente di “oltre cento morti al giorno solo per cercare gli aiuti”. L'Europa si mostra “preoccupata”, ma a Gaza continuano a mancare carburante, medicine, cibo. E pace. L'evacuazione forzata e la distruzione sistematica delle infrastrutture civili configurano un intento genocidario sotto gli occhi del mondo. L'Onu parla di "crimini", le chiese cristiane denunciano attacchi dei coloni a Taybeh, una fondazione belga chiede l'arresto di un soldato israeliano. Netanyahu, invece, promette la prosecuzione del conflitto come se fosse un diritto sovrano. Trump riduce Gaza a una trattativa immobiliare: “una soluzione nella prossima settimana”. Le bombe, intanto, non si fermano. Tra le vittime di ieri anche il fratello di un medico palestinese che lavora in Italia: era andato a cercare cibo. Gaza muore e il mondo prende appunti. Sul metodo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Handala è salpata da Siracusa. Non è una notizia di cronaca navale ma un gesto politico. Porta a bordo aiuti umanitari e civili disarmati, non rappresenta governi ma persone. La sua rotta è Gaza, il suo obiettivo è rompere l'assedio. In mare aperto, laddove il diritto internazionale dovrebbe essere sovrano, Israele ha già sequestrato una nave della Freedom Flotilla, la Madleen, deportando l'equipaggio. Oggi si replica. Con lo stesso carico: cibo, medicine, solidarietà. E con lo stesso rischio: essere rapiti, interrogati, maltrattati. È la risposta della società civile dove le istituzioni tacciono. Dopo la rottura del cessate il fuoco del 18 marzo, Israele ha ucciso oltre 6.000 palestinesi e ne ha feriti più di 23.000. Ha lasciato morire centinaia di civili in fila ai punti di distribuzione alimentare, gestiti da contractor sotto supervisione statunitense. La Handala salpa contro tutto questo. Prende il nome da un personaggio a fumetti: un bambino palestinese scalzo, di spalle, che giura di voltarsi solo quando la Palestina sarà libera. È l'infanzia negata che avanza sul mare. È la memoria di Vittorio Arrigoni che torna a respirare tra le onde. Chi sale a bordo – medici, avvocati, giornalisti, attivisti – lo fa in nome dei bambini di Gaza, più della metà della popolazione. Lo fa per i 50.000 tra loro uccisi o feriti dal 2023, per gli sfollati, per gli orfani. La Handala è una nave, ma è anche una domanda: quanti civili devono ancora morire prima che la comunità internazionale smetta di giustificare l'ingiustificabile? Non porta solo aiuti. Porta una verità che galleggia dove gli Stati affondano. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Malfunzionamento tecnico. Così l'esercito israeliano ha spiegato il bombardamento su un punto di distribuzione dell'acqua nel campo profughi di Nuseirat, dove sono morti dieci palestinesi, tra cui sei bambini. Erano in fila per l'acqua. A piedi, con taniche vuote, due chilometri a passo di sete. Non è un'immagine, è un fatto: sei bambini uccisi mentre tentavano di sopravvivere. È lì che Israele ha colpito. E il missile, ci dicono, ha sbagliato bersaglio per un guasto. C'è un dettaglio che stona: l'Istituzione che da mesi bombarda convogli umanitari, ambulanze, ospedali e panifici, si accorge solo ora che qualcosa non ha funzionato. Forse perché i corpi sono troppo piccoli per sostenere la tesi del "danno collaterale"? Forse perché un rubinetto d'acqua, in un campo sotto assedio, è una prova troppo evidente per essere ignorata? Oppure – ed è questa la provocazione – il malfunzionamento è più profondo, più antico, più teologico. Il malfunzionamento non è solo del missile, ma del dio che viene invocato per giustificare il diritto di uccidere. Il dio delle vendette selettive, delle terre promesse a colpi di bomba, delle vittime necessarie, dei bambini "inevitabili". Un dio di precisione chirurgica che sbaglia sempre nei pressi delle scuole, dei mercati, delle cliniche. Un dio armato e fallibile, che autorizza le stragi e si discolpa con un comunicato stampa. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Amnesty International dice le parole che Giorgia Meloni dovrebbe pronunciare, se l'Italia fosse ancora un Paese capace di difendere il diritto internazionale. Davanti alle sanzioni annunciate dagli Stati Uniti contro Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati, la segretaria generale Agnes Callamard è netta: «Sono un'aggressione al diritto internazionale», «una strategia per proteggere il governo israeliano da ogni responsabilità», «un atto intimidatorio che prosegue l'attacco dell'amministrazione Trump contro chi difende i diritti dei palestinesi». Erika Guevara Rosas, direttrice Amnesty per le Americhe, ha definito le sanzioni «un oltraggio alla giustizia internazionale». Parole che andrebbero scolpite nei comunicati ufficiali della Farnesina. E invece, il silenzio. Nessuna dichiarazione del ministro degli Esteri. Nessun accenno alla gravità di un atto che colpisce non solo una cittadina italiana, ma l'idea stessa di diritto sovranazionale. Il segretario di Stato Marco Rubio ha accusato Albanese di «guerra politica ed economica» per aver suggerito un'azione della Corte penale internazionale contro Stati Uniti e Israele. L'ha punita per aver fatto il proprio mestiere, con rigore giuridico e coerenza istituzionale. Nel rapporto che ha preceduto le sanzioni, Albanese ha documentato il coinvolgimento diretto di alcune multinazionali americane nella repressione ai danni dei palestinesi. Ma mentre Amnesty alza la voce, l'Italia scompare. Se un governo non sa difendere i suoi cittadini quando servono la verità, allora non rappresenta una nazione, ma un'assenza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è chi ripete che «i giornalisti possono entrare a Gaza», come se la verità fosse una libera passeggiata tra le macerie. La realtà, invece, si chiama censura militare. Dal 7 ottobre 2023 nessun giornalista può mettere piede nella Striscia senza essere accompagnato dall'IDF. Nessuna inchiesta autonoma, nessuna voce libera. Solo tour guidati dalla propaganda bellica. La Foreign Press Association — che rappresenta oltre 370 reporter internazionali — ha impugnato il divieto davanti alla Corte Suprema israeliana. Ma la risposta è stata una retorica di “rischi” e “circostanze eccezionali”, mentre le udienze vengono rimandate di mese in mese. Intanto, su 139 ingressi autorizzati, tutti sono stati filtrati dall'IDF: senza scorta militare, Gaza è zona proibita. Nel frattempo, l'esercito israeliano decide chi può raccontare la guerra e come. I giornalisti locali sono ammessi più spesso perché parlano agli israeliani, mentre ai corrispondenti stranieri si chiudono le porte, “per motivi di sicurezza”. Il paradosso è evidente: in Ucraina i reporter entrano liberamente, anche al fronte. In Siria, in Iraq, in Afghanistan, i giornalisti si sono assunti i propri rischi. Ma a Gaza no. A Gaza solo silenzio autorizzato. È così che si costruisce l'impunità. Negando l'accesso, si nega la documentazione indipendente. Si nega la possibilità di verificare crimini. Si nasconde la guerra dietro un permesso negato. E chi ha il coraggio di chiamarla censura, viene accusato di ostilità. Chi ripete che “i giornalisti possono entrare” mente. O peggio: legittima la menzogna. Perché l'informazione, quella vera, non viaggia mai con la scorta armata di chi la teme. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nel silenzio globale che avvolge la devastazione della Striscia, c'è chi già immagina il dopoguerra come un'occasione per nuove rendite. Il Financial Times ha scoperchiato le slide di un progetto distopico: trasformare Gaza in una Dubai in miniatura, terminale del corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. È una colonizzazione tecno-finanziaria, senza popolo, senza memoria, senza lutto. Una ricostruzione pensata prima ancora che si fermino le bombe. Un progetto disegnato per chi sopravvive – ma solo se serve. Il Tony Blair Institute si affretta a negare il proprio coinvolgimento, ma lo schema è sempre lo stesso: potenze occidentali, reti di interessi, istituti internazionali e governi che ammiccano mentre la realtà viene sepolta sotto i detriti. Oltre centomila morti stimati – impossibili da contare con precisione perché a Gaza nessuno può più entrare a verificare. Giornalisti e osservatori vengono respinti, i dati oscurati, le testimonianze screditate. Nel frattempo, in Europa e nel Regno Unito chi manifesta contro il genocidio viene schedato, arrestato, accostato al terrorismo. Università e redazioni si adeguano al clima, e il dissenso evapora. Il potere non vuole più nemmeno essere contraddetto. Esiste solo la narrazione ufficiale, imposta a colpi di repressione soft e minacce implicite: chi parla rischia di perdere il lavoro, la cattedra, il microfono. Non è solo complicità, è progettualità. La guerra, ormai, è il braccio armato dell'urbanistica globale. Prima si radono al suolo le città, poi si costruiscono quartieri modello con fibre ottiche e vigilanza integrata. Prima si annientano le identità, poi si ricoprono di smart glass. Gaza è diventata il laboratorio di un futuro senza diritti. E l'Occidente, che si diceva culla della democrazia, è ormai il promotore occulto di un neocolonialismo a circuito chiuso. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Non è più questione di propaganda. È questione di macerie. Di quelle vere, che Jean-Pierre Filiu – storico e politologo francese, professore a Sciences Po e già diplomatico in Siria e Giordania – ha attraversato a piedi nella Striscia di Gaza senza riconoscere più nulla. Nessun punto di riferimento, nessun edificio familiare, nessuna strada rimasta. Un'intera città annientata – sistematicamente, metodicamente – mentre il governo israeliano nega l'accesso ai giornalisti e recinta la verità con il filo spinato della censura. E ora è chiaro il perché. Perché chiunque metta piede lì dentro, ne esce cambiato. Perché vedere Gaza oggi significa vedere la fine dell'etica, la negazione del diritto internazionale, la vittoria della punizione collettiva come strumento di governo. Filiu, che in quella terra è stato decine di volte, oggi scrive di una realtà che non somiglia a una guerra ma a una distruzione scientifica: ospedali bombardati, bambini affamati che dividono cibo con i gatti randagi, orfani tra le rovine. E un messaggio per il futuro: “Gaza è un laboratorio”, scrive. E lo è. Un laboratorio dove si sperimenta cosa può diventare il mondo quando l'impunità si fa strategia, quando la legge viene sospesa e la compassione considerata una debolezza. Israele lo sa. Per questo ha paura delle immagini, non dei razzi. Per questo tiene lontani i giornalisti: non per sicurezza, ma per controllo. Perché una foto – solo una – potrebbe incrinare la retorica della “democrazia assediata” e mostrare al mondo la realtà: non un conflitto tra pari, ma un castigo a cielo aperto. E allora chi guarda non potrà più voltarsi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
«Dal momento in cui ha finito il liceo ha fatto solo quello: combattere. Era esausto. Sono tutti esausti. Mentalmente distrutti. Questo deve finire». A dirlo non è un'attivista pacifista né un'opinionista controversa, ma Alexandra Radia, madre di Niv, sergente dell'IDF ucciso a giugno. La sua voce incrinata in diretta nazionale ha aperto una breccia in un muro di silenzio istituzionale che da mesi nasconde la devastazione umana che attraversa l'esercito israeliano impegnato a Gaza. Haaretz ha raccolto testimonianze di soldati attivi: raccontano di una macchina militare che addestra a sparare e non insegna a sopravvivere alla colpa, al trauma, alla nausea che ti coglie davanti a un piatto di pasta perché ti ricorda l'odore della morte. Le parole che Israele non vuole sentire sono quelle che incrinano la retorica dell'eroismo. Si parla di giovani spezzati che non riescono a fare l'amore, che vomitano in bagno durante una cena di famiglia, che hanno smesso di credere che quella guerra serva a qualcosa. Uno su otto, dice uno studio, è mentalmente inadatto a tornare in servizio. Ma il governo stringe i ranghi e prosegue. «Quanti morti servono per dire basta?», chiede Uri, uno dei soldati. Intanto il premier Netanyahu, in un raro momento di irritazione, ha bollato queste testimonianze come “diffamazione contro l'esercito”. Forse perché la verità che rivelano è insostenibile anche per chi ha voluto questa guerra: non ci sono solo i corpi dei civili palestinesi a chiedere conto delle scelte politiche, ma anche le anime devastate dei suoi stessi figli in divisa. Nessuno tornerà com'era. Nemmeno Israele.. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
«Gaza sta diventando un cimitero per bambini», disse António Guterres il 6 novembre 2023. Fu accusato di esagerazione. Oggi quelle parole pesano come profezia compiuta: 17.121 bambini uccisi nei primi otto mesi di guerra. Mille neonati, cinquemila sotto i cinque anni, migliaia di piccoli con un futuro appena abbozzato, raso al suolo. Non sono numeri. Sono nomi, volti, storie. Awni voleva un milione di follower su YouTube. Youssef guardava i cartoni con suo fratello, con l'aiuto di un impianto solare montato dal padre per superare i blackout. Hind ha implorato aiuto per tre ore, inascoltata. Jumana aveva appena partorito due gemelli, Ayser e Aysal: sono morti a quattro giorni di vita. Ogni infanzia uccisa è un fallimento del mondo adulto. Ma il silenzio che avvolge queste morti è una colpa più grande. Mentre l'attenzione mediatica israeliana – e internazionale – slittava verso la guerra con l'Iran, i corpi dei bambini di Gaza venivano seppelliti sotto le macerie e nell'indifferenza. Il governo israeliano ripete che rispetta il diritto internazionale. Come si spiega allora che quattro fratellini, tre gemelli, un'intera classe d'età vengano sterminati in settimane? Non si tratta di errori isolati. È un sistema di guerra che considera “danno collaterale” la vita più vulnerabile. C'è chi denuncia. C'è chi fotografa. Ma resta una domanda, secca e spietata, che attraversa ogni volto raccontato: cosa resta della nostra umanità, quando smettiamo di guardare? Il mondo ha bisogno di fermarsi. Non per contare le vittime, ma per riconoscerle. Guardarle negli occhi, e non abbassare più lo sguardo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è un mistero che attraversa i camion carichi di aiuti diretti a Gaza: chi paga? La Gaza Humanitarian Foundation, progetto umanitario formalmente sostenuto dagli Stati Uniti, serve a nutrire 1,2 milioni di persone. Ma dietro le scatole di cibo ci sono aziende israeliane che trattano ogni consegna come un'occasione d'affari. Il problema non è solo etico, è contabile: i fondi sono opachi, le responsabilità sfuggenti, i guadagni altissimi. Il parlamento israeliano ha appena spostato 700 milioni di shekel nel bilancio della difesa, cifra identica a quella stimata per l'intera operazione. Ufficialmente nessuno conferma il collegamento, ma il deputato Beliak ha messo a verbale i suoi sospetti. Silenzio. Nel frattempo, ditte come Shaldag, i fratelli Neumann e i Bitan movimentano, impacchettano e rivendono. A Gaza, la fame si misura in polli kosher venduti a 250 shekel al chilo: carne congelata che parte da Israele e arriva filtrata da una catena di profitti. La beffa è doppia. Chi denuncia i rifornimenti viene attaccato dagli estremisti (Tzav 9 dà fuoco ai camion), chi partecipa al business finge di “non sapere nulla”. Il governo lascia fare, anche perché la guerra conviene: a chi la prolunga, a chi la appalta, a chi la monetizza. Si chiama umanitarismo privatizzato, ed è perfettamente compatibile con l'assedio. A Tel Aviv si litiga sulla tregua. I ministri Ben-Gvir e Smotrich vogliono sabotarla, Netanyahu promette ostaggi a chiunque possa garantirgli il potere. Le famiglie dei prigionieri urlano: “Non siete più ebrei”. Ma tutto si tiene:è il capitalismo bellico nella sua forma più sfacciata. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Abd al-Karim al-Kahlut è morto dissanguato per un proiettile che non sarebbe stato letale in nessun altro luogo del mondo. In un ospedale qualunque, bastava una TAC. Ma a Gaza, dopo quasi due anni di assedio e distruzione, anche l'evidenza medica è un privilegio. La sua storia – raccontata con cruda precisione da Haaretz – non è un'eccezione: è la regola spietata di una macchina bellica che ha spento la sanità per logorare la sopravvivenza stessa. Al-Kahlut era un metalmeccanico. Aveva messo da parte i soldi per aprire una piccola officina. Poi è arrivata la guerra, e con essa la fame. Ha provato a ottenere del cibo in uno dei centri di distribuzione dell'agenzia “umanitaria” sponsorizzata da Israele e Stati Uniti, nonostante fosse noto da settimane che i soldati aprono il fuoco anche lì. Ferito ai glutei, non sembrava grave. I medici lo hanno rimandato a casa. Nessuna TAC. Nessun tempo. Nessuna energia. Un giorno dopo, è morto. I centri di distribuzione come quello di Netzarim violano ogni principio umanitario: costringono i civili a spostarsi verso il cibo, esponendoli al fuoco israeliano. Nessuna ONG indipendente avrebbe mai accettato un meccanismo simile. Ma l'Occidente ha firmato in calce. E quando Haaretz ha denunciato i morti attorno agli aiuti, Netanyahu e Gallant hanno parlato di “calunnie”, salvo poi installare nuove recinzioni: confessioni travestite da misure preventive. Oggi a Gaza si muore per fame, per infezioni, per mancanza di diagnosi. Si muore come Abd al-Karim, lasciando due bambine senza padre e un padre cardiopatico senza medicine. A chi resta, non resta che il dolore. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nelle ultime 24 ore sono almeno 48 i palestinesi uccisi sotto i bombardamenti israeliani. Scuole trasformate in rifugi sono diventate bersagli. Ospedali assediati, centri di distribuzione alimentare chiusi, ordini di evacuazione che suonano come sentenze. Il porto di Gaza City è stato colpito con decine di vittime. Nessun luogo è sicuro. Nessuna tregua è reale. Gaza è oggi un campo di sterminio a cielo aperto lo ribadiscono voci trasversali, mentre Antonio Tajani definisce “inaccettabile la carneficina di civili” e lamenta che Israele “non ascolta gli appelli”. Ma chi sono gli interlocutori di questi appelli? Chi li formula senza porre condizioni reali? Guterres denuncia “una violazione continua del diritto internazionale in totale impunità”. E intanto i morti si contano a decine ogni giorno. Il bilancio, che sfiora ormai i 38.000 morti palestinesi, è solo una delle cifre. Altre riguardano i bambini amputati, i giornalisti uccisi – 228 secondo le autorità locali – e i milioni di litri di acqua non potabili. Israele ha appena riorganizzato le vie di accesso agli aiuti umanitari, ma ha anche chiuso il centro di distribuzione a Tel al-Sultan. E nei corridoi della diplomazia si discute di ostaggi e di tregue condizionate, come se questo potesse cancellare le macerie. Intanto, una Corte britannica ha respinto il ricorso contro l'esportazione dei componenti F-35 a Israele, e un fondo norvegese ha deciso di disinvestire dalle aziende coinvolte nella produzione di armamenti. Piccoli segnali, quando servirebbe un crollo morale della complicità occidentale. La distruzione di Gaza non è più “collaterale”. È un metodo. È l'obiettivo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Ogni giorno, a Gaza, si muore per un sacco di farina. Si muore davanti ai centri di distribuzione degli aiuti, sotto i colpi di fucile di soldati che sparano su civili disarmati. Oltre 500 persone sono state uccise in queste “file della fame”, mentre l'attenzione del mondo si spostava altrove, sulle fiammate geopolitiche tra Israele e Iran. L'annientamento sistematico continua, ma lo sdegno si è dissolto. Le cifre parlano da sole. Il Ministero della Sanità di Gaza registra 56.331 vittime, ma secondo un recente studio indipendente le morti violente sarebbero almeno 75.000, con 8.500 decessi per fame, infezioni, collasso del sistema sanitario. I valichi sono chiusi, gli aiuti insufficienti, e la fame è diventata una forma di guerra. Perfino Unicef è costretta a ricordare l'ovvio: non si può chiedere ai civili di entrare in una zona di combattimento e poi ucciderli perché sono in una zona di combattimento. Nel frattempo, l'Occidente applaude in silenzio. Gli Stati Uniti, con l'ambasciatore Mike Huckabee, ormai neppure fingono di credere nella soluzione dei due Stati. L'Unione Europea, pur consapevole che Israele viola l'accordo commerciale con Bruxelles, non muove un dito. Solo Pedro Sánchez, ancora una volta, invoca la sospensione dell'intesa. Il resto è complicità. Benjamin Netanyahu prepara le elezioni. Serve la gloria, non la pace. Serve l'illusione di un successo militare. Nella sua coalizione, la “fase successiva” non è la ricostruzione, ma la rimozione dei palestinesi dalla storia. E intanto, nella Cisgiordania occupata, 943 palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre. Gaza è diventata un modello. Un modello da esportare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è un campo di battaglia dove le armi puntano su chi ha fame. Si chiama Gaza, ma per molti ormai è solo un'eco sbiadita. Secondo un'inchiesta di Haaretz, ufficiali e soldati israeliani hanno ricevuto ordini diretti di aprire il fuoco sui civili palestinesi radunati per ricevere aiuti alimentari. Nessuna minaccia. Nessuna arma. Solo la disperazione di chi vuole portare un sacco di riso a casa. Tra il 27 maggio e il 25 giugno, sono almeno 549 i palestinesi uccisi nei pressi dei centri di distribuzione, istituiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, una creatura opaca legata agli ambienti evangelici statunitensi e al governo Netanyahu. I soldati raccontano di mitragliatrici, mortai e granate usati per “comunicare” con la folla. Si spara al mattino presto, si spara quando la distribuzione è finita, si spara se qualcuno arriva in anticipo. “Non ci sono nemici. Non ci sono armi. È un massacro”, ha detto un soldato. La retorica che disumanizza l'intera popolazione di Gaza ha scavato un solco. “Non esistono civili”, è il mantra che si è fatto regola. Così diventa normale colpire adolescenti che corrono tra i camion degli aiuti. Normale sganciare una granata su chi si avvicina troppo. Normale dire: “Succede”. La giustizia militare israeliana ha aperto un'indagine, ma lo fa per “raffreddare” le pressioni internazionali, non per difendere un'etica. Perché qui l'etica è saltata. Gaza è diventata un luogo dove le vite si pesano a colpi di mortaio. Dove l'umanitario è solo un'arma di guerra travestita. E l'indifferenza, il vero crimine sistematico. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nel giorno in cui Benjamin Netanyahu ha bloccato gli aiuti umanitari a Nord Gaza per compiacere Bezalel Smotrich — il suo ministro delle Finanze con la pistola puntata sul governo — lo stesso Smotrich stringe la morsa su Masafer Yatta. La nuova direttiva militare approvata dal Central Planning Bureau sancisce il rifiuto automatico di tutte le richieste edilizie palestinesi nell'area: fine della finzione legale, inizio della deportazione sistematica. È una strategia esplicita. Nei documenti interni dell'esercito si parla di rendere “sterile” la zona, di usare “tutti gli strumenti disponibili” per evacuare chi resiste. Le case demolite a Khilet Al-Dabe', i pastori aggrediti, le famiglie costrette a tornare nelle grotte: non sono incidenti, sono la prassi. Dietro la foglia di fico del “bisogno militare”, si fa spazio all'annessione de facto e all'espulsione. E mentre Netanyahu promette piani “per impedire che Hamas rubi gli aiuti”, nessuna evidenza prova che i camion siano stati violati dai miliziani. La fame serve alla propaganda e i morti — 74 solo mercoledì, 519 nell'ultimo mese — diventano cifra collaterale di un assedio senza nome. Il video usato per bloccare gli aiuti mostra guardie tribali, non combattenti: ma la verità qui è un ostacolo, non un criterio. Masafer Yatta è lo specchio di Gaza: stesso governo, stessa ideologia, stesso progetto. Non più guerra, ma controllo del territorio attraverso la carestia, la burocrazia e la violenza privata. È apartheid senza cerimonie. Smotrich lo dice chiaro: “Opponiamo all'esistenza palestinese un progetto messianico.” Non si può dire che non ce lo stiano dicendo. Lo stanno facendo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Gaza si continua a morire mentre il mondo si congratula con sé stesso. Venti palestinesi uccisi nel sud della Striscia. Nove morti in fila per ricevere aiuti. Un totale di 41 corpi raccolti dall'alba, secondo le autorità sanitarie locali. Tra loro donne e bambini. Nessun combattente, nessuna "minaccia". Solo fame, attesa e un'esplosione. Israele piange sette soldati morti in un attacco a Khan Younis. Il governo parla di “eroi caduti per battere Hamas”. Nessuna parola per i 56mila palestinesi uccisi da ottobre, secondo i dati aggiornati. Nelle stesse ore in cui Netanyahu proclama “una vittoria storica” e l'esercito israeliano dichiara che “ora l'attenzione torna su Gaza”, i droni continuano a sorvolare i centri abitati e le colonne degli aiuti vengono trasformate in trappole mortali. Donald Trump, che si attribuisce il merito della fragile tregua tra Israele e Iran, annuncia “grandi progressi su Gaza”. Intanto gli USA finanziano con 30 milioni di dollari un gruppo sostenuto da Israele per distribuire cibo nella Striscia. È la stessa “distribuzione umanitaria” che ha già provocato morti. L'ONU denuncia la “militarizzazione del cibo”. Gli aiuti sono usati come esche. L'illusione della pace si costruisce con le bombe, mentre le cancellerie occidentali fingono che le vittime siano un effetto collaterale. “Due popoli, due Stati” dice Giorgia Meloni, ma intanto non condanna lo Stato che sta infierendo su un intero popolo. La tregua tra Israele e Iran tiene. Quella tra Israele e Gaza, mai nemmeno iniziata, continua a scricchiolare sotto il peso dei corpi. Chi finge di non vedere, è già complice. E chi confonde l'umanitario con il militare, non salva: sorveglia. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Quando lo dice Harvard, non è un'opinione: è un fatto. Secondo l'ultimo studio pubblicato nel Dataverse dell'università americana, 377.000 palestinesi risultano “scomparsi” a Gaza. Non evacuati, non dispersi: scomparsi. Mancano all'appello. Il dato emerge da un'analisi incrociata tra le mappe dei cosiddetti “centri umanitari” e le stime aggiornate della popolazione. Prima della guerra: 2.227.000. Adesso: 1.850.000. Ne mancano 377.000. Una voragine demografica che non si spiega né con gli sfollati, né con i sopravvissuti. L'autore dello studio è Yaakov Garb, ricercatore israeliano e docente universitario, non un attivista radicale. Ha elaborato il report per identificare la trasformazione dei presunti centri di distribuzione in strumenti di controllo e sorveglianza. Ma nel lavoro, pubblicato da Harvard Dataverse, salta fuori un dato che gela il sangue: quasi un quinto della popolazione non è più registrabile da nessuna parte. Se metà della popolazione di Gaza sono bambini, significa che oltre 150.000 minori sono spariti, probabilmente morti sotto le macerie, senza tomba, senza nome, senza funerale. Questo dato, in qualsiasi altro contesto, basterebbe a far tremare governi, a convocare commissioni d'inchiesta, a bloccare forniture militari. Invece il mondo tace. I media tacciono. Le istituzioni internazionali balbettano. Chi parla viene isolato. Chi scrive viene delegittimato. La fonte? È pubblica, è Harvard. Eppure non basta. L'orrore oggi ha bisogno di autorizzazione per essere definito tale. È la normalizzazione della catastrofe, la banalità tecnica dell'annientamento. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nel lessico militare israeliano, la parola “evacuazione” è diventata un eufemismo per deportazione forzata. Ogni comunicato dell'IDF inizia con lo stesso refrain ipocrita: “per la vostra sicurezza”. Poi segue la mappa, aggiornata in rosso. Ma quelle aree non tornano mai bianche. Gaza si restringe ogni giorno, e due milioni di persone sono stipate nel 18% del territorio. Le altre zone sono morte civile, marchiate come bersagli. Nel fango di Al-Mawasi o tra le rovine di Gaza City si vive senza spazio, senza acqua, senza pudore. C'è chi dorme tra i rifiuti, chi accende fuochi bruciando plastica, chi ha un solo gabinetto per 200 persone. Le donne smettono di bere per non dover urinare, evitano di partorire, smettono di allattare. Non è sopravvivenza, è umiliazione sistematica. Le Nazioni Unite parlano di emergenza sanitaria. Le testimonianze parlano di dignità ridotta in briciole. “Non tolgo mai il velo, nemmeno per dormire”, dice una donna, “è l'unica cosa che mi resta”. I bambini crescono senza scuola, coperti di punture, bruciati da acqua bollente o dal fuoco. Il sole cuoce le tende. Le zanzare escono di notte, le bombe anche. Non è la “guerra al terrorismo”. È la guerra alla vita. Un assedio che scava nella pelle, nei corpi, nella psiche. E l'Occidente guarda altrove, ancora una volta. Aspetta una tregua che servirà solo a ridisegnare meglio il prossimo inferno. Questo è il piano: svuotare Gaza centimetro per centimetro, fino a che nessuno possa più chiamarla casa. Senza sparare un colpo. Basta stringere il recinto. E poi fingere che non stia succedendo niente. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Gaza si muore così: con le braccia alzate verso un sacco di farina, colpiti alla testa, al petto. Almeno 474 palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano cibo. Sparati, dilaniati, lasciati nelle “zone di distribuzione”, che la Croce Rossa chiama “zone della morte”. È tutto documentato: numeri, feriti, testimonianze. Non è un incidente. È un metodo. La Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Israele e Stati Uniti, ha sostituito l'UNRWA e piazza i punti di raccolta là dove si spara, dove passano i carri armati, dove si bombarda. Si chiama “aiuto”, ma è una trappola. Nel frattempo, Trump ha deciso di farsi valere. Ha ordinato il bombardamento dei siti nucleari iraniani, con i B-2 partiti dal Missouri che hanno sorvolato Israele. L'operazione si chiama “Midnight Hammer”: un nome da videogioco per un'azione reale. Tre impianti colpiti, migliaia di vite appese a un filo, la diplomazia calpestata. Sono stati gli Stati Uniti a farlo, ma con la regia di Tel Aviv. Netanyahu comanda, Trump esegue. E mentre il mondo guarda all'Iran, a Gaza si continua a morire nel silenzio. I colpi arrivano anche lì. I corpi si contano anche lì. Le urla si sentono solo se si vuole ascoltarle. Il Papa all'Angelus ha parlato di “grido di umanità che invoca la pace” e ha avvertito: “Non esistono conflitti lontani”. Ma Trump e Netanyahu, invece di ascoltare, si aggrappano a Dio per giustificare il sangue. Lo usano, lo sventolano, lo invocano. Uno dice “God bless America”, l'altro parla di “terra promessa”. Se Dio c'è, non è con loro. Se Dio c'è, è steso per terra, accanto ai sacchi di farina. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Benjamin Netanyahu ha spostato il matrimonio del figlio a causa della guerra, e ne ha parlato pubblicamente con toni da sacrificio personale: “È un costo per tutta la mia famiglia”, ha detto all'ospedale Soroka, colpito da un missile iraniano. Ha evocato il Blitz su Londra e il dolore di un padre costretto a rinunciare a un evento gioioso. Ma l'indignazione non è esplosa per il rinvio del ricevimento: è esplosa perché mentre Gaza è devastata, mentre il 94% degli ospedali palestinesi è stato distrutto da Israele, Netanyahu pretendeva compassione per il proprio disagio familiare. Lo stesso premier che ha definito “atto terroristico” il colpo iraniano sull'ospedale israeliano – un singolo missile con feriti ma senza vittime – ha autorizzato una campagna militare che ha raso al suolo strutture sanitarie, ambulanze, reparti neonatali, come attestano l'OMS e l'OHCHR. Israele si indigna quando subisce, ma rivendica “necessità militare” quando bombarda. È l'architettura retorica del doppio standard: il diritto internazionale vale solo se protegge se stessi, non se accusa. Così, mentre l'esercito israeliano è accusato da AP e Haaretz di usare “scudi umani” palestinesi in modo sistematico – la cosiddetta “procedura zanzara” – Tel Aviv continua ad accusare Hamas di fare lo stesso, giustificando i propri crimini. Il diritto, la morale, persino la sofferenza diventano strumenti da impugnare solo se servono a rafforzare una narrativa. Ed è questa manipolazione sistematica che mina ogni pretesa di legittimità. Ma a Gaza non ci sono matrimoni da rimandare: ci sono bambini da seppellire e ospedali da scavare sotto le macerie. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Gaza, oggi, sono morti altri diciotto palestinesi. Alcuni erano in fila per ricevere aiuti umanitari, altri dormivano in tenda. L'ospedale Al-Quds ha ricevuto oltre 140 corpi in 24 ore e curato 560 feriti. La rete è ancora isolata nel sud della Striscia per il secondo giorno consecutivo, colpita da un raid mirato all'infrastruttura. Queste notizie, che fino a una settimana fa avrebbero spalancato aperture e indignazione, ora faticano a guadagnare spazio tra le righe dei dispacci, soffocate dalla nuova centralità iraniana. La quotidianità dell'orrore a Gaza non è diminuita. È diventata abitudine. E l'abitudine, si sa, è l'anticamera dell'indifferenza. Nel gioco ottuso delle gerarchie geopolitiche, il massacro a Gaza sembra declassato a “danno collaterale prolungato”, persino mentre Israele estende i bombardamenti su Rafah, Khan Younis, Gaza City. Le stesse zone, gli stessi obiettivi civili, gli stessi corpi mutilati nei sacchi di plastica. Il ragazzo che urla disperato accanto al cadavere del padre ucciso in fila per un pacco alimentare, oggi, non fa più notizia. Il mondo guarda altrove. E così facendo, lo legittima. Legittima la logica per cui una strage, se reiterata abbastanza a lungo, smette di essere una notizia. E diventa routine. Accettare che Gaza resti uno sfondo silenzioso mentre si negozia tra Teheran e Tel Aviv significa accettare che il dolore palestinese valga meno. Gaza non è la scenografia dei potenti del mondo. Gaza non può divenire l'ennesima guerra a bassa intensità mediatica e politica. La normalizzazione dell'orrore è la più subdola delle complicità: quella che si nasconde dietro lo sguardo distolto. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Mentre le sirene suonano a Teheran e i missili infiammano le prime pagine, Gaza scompare. La crisi umanitaria più grave del XXI secolo — 186.000 morti stimati, tra cui decine di migliaia di bambini — è stata scalzata da una guerra “più leggibile”, tra due Stati sovrani, più comoda da raccontare. L'IDF definisce Gaza “fronte secondario”. I media obbediscono. Dall'Angelus di Papa Francesco fino all'ONU, Gaza è stata definita un test morale per l'umanità. Non per retorica, ma perché rivela chi siamo quando gli innocenti muoiono e il mondo volta lo sguardo. Lì si misura la bancarotta dell'ordine legale internazionale, il fallimento della responsabilità di proteggere, la complicità diplomatica dei governi. “Il silenzio è complicità”, dice Bassam Saleh. Nei talk show italiani, Gaza è ormai un'eco. Nei telegiornali, una nota a piè di pagina. Nei quotidiani, la parola “genocidio” è evaporata. C'è addirittura chi ha derubricato il tutto a “conflitto regionale”. Sui social, l'hashtag #Gaza ha ceduto il passo a #Iran, come se la carneficina fosse sospesa, come se il sangue potesse aspettare. Ma Gaza continua a sanguinare. È un laboratorio di disumanizzazione, dice Ahmad Amara: non solo il più grande carcere a cielo aperto del mondo, ma anche il luogo dove testiamo — e perdiamo — la nostra umanità. Ogni giorno che passa senza indignazione è un giorno in cui la brutalità diventa norma, e la dignità un'eccezione. Zack Beauchamp ha scritto che Gaza ci pone una domanda semplice: “Credi che sia giusto far soffrire gli innocenti in questo modo?” Se la risposta è no, allora la responsabilità comincia ora. Se la risposta è sì — o se si tace — allora non si è neutrali. Si è perduti. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Sono tornati a sparare sugli affamati. Ancora. A Khan Yunis, 74 morti e oltre 200 feriti — alcuni in condizioni disperate — mentre aspettavano un carico di aiuti umanitari. Poche ore dopo, le cifre diventano più spaventose: almeno 300 tra uccisi e feriti. Un'altra strage, un altro silenzio internazionale. La distribuzione del cibo è diventata un'arma non solo nella sua scarsità, ma nella sua mappa: quattro centri di distribuzione per oltre due milioni di persone, tutti collocati strategicamente per forzare la popolazione verso sud. Per ricevere aiuti, i palestinesi devono spostarsi chilometri tra macerie e mine, in piena zona militare. E spesso, come ieri, devono morire per un sacco di farina. Il piano è dichiarato: “riceveranno aiuti solo se non torneranno nei luoghi da cui provengono”, ha detto Netanyahu in una riunione riservata della Commissione Esteri e Difesa della Knesset l'11 maggio. L'obiettivo è svuotare il nord di Gaza. E poiché i trasferimenti non stanno funzionando come previsto, l'escalation è la risposta. Bombardare, affamare, sparare: costringere alla fuga. Nel frattempo, si consolidano le cosiddette “zone di concentrazione”: tre porzioni di terra, senza servizi, senza acqua, senza riparo. Se il piano andrà a compimento, 2 milioni di persone saranno stipate nel 40% del territorio della Striscia, con una densità di oltre 15.000 persone per chilometro quadrato. Il termine tecnico è “concentration zones”, usato dallo stesso esercito israeliano. Il nome storico, purtroppo, lo conosciamo: deportazione. La deportazione è già in corso. L'Europa tace, gli Stati Uniti firmano assegni. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Il massacro di Gaza ha minato alle fondamenta la retorica dell'“unica democrazia del Medio Oriente”. Le immagini dei bambini affamati uccisi in fila per il cibo, degli ospedali devastati, delle fosse comuni hanno rotto il patto ipocrita tra Israele e le sue alleanze occidentali. Quando l'indignazione internazionale ha iniziato a farsi pericolosa, Benjamin Netanyahu ha spostato il mirino: non più Gaza, ma Teheran. L'attacco all'Iran non è soltanto un'operazione militare. È una manovra mediatica. Serve a riscrivere la narrazione: da carnefice a vittima, da Stato assediante a Paese aggredito. Così, nel cuore di un'opinione pubblica ormai stanca della complicità, Israele tenta di riprendersi la scena invocando ancora una volta la minaccia esistenziale e il diritto alla difesa. Ma questa volta non basta. La legittimità dell'attacco preventivo, motivato da informazioni di intelligence che nessuno può verificare, ricorda le falsità con cui fu giustificata la guerra in Iraq. Con una differenza: oggi, la credibilità degli Stati Uniti e di Israele è già logorata, e il loro doppio standard – per cui Teheran viola i trattati sul nucleare ma Tel Aviv nemmeno li firma – è diventato insostenibile. Netanyahu non cerca sicurezza, ma consenso. Dentro Israele, ha bisogno di guerra per mantenere il potere. Fuori, ha bisogno di alimentare il caos per sembrare l'unico in grado di governarlo. Ma il Medio Oriente non è un laboratorio per ambizioni personali. È fatto di popoli che esistono, soffrono, reagiscono. E che pagano il prezzo delle guerre usate come propaganda. Come i bambini bombardati ieri nell'ospedale pediatrico di Teheran. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Le bombe israeliane su Teheran hanno già ottenuto il loro obiettivo: non militare, ma mediatico. Gaza è sparita. La strage di civili, i corpi tra le macerie, il buio dell'assedio, tutto evaporato dai titoli e dai vertici diplomatici. L'offensiva “Rising Lion” contro l'Iran è entrata nel ciclo globale delle notizie come emergenza assoluta, mentre a Gaza l'unico blackout che continua è quello dell'informazione. Lo ha detto l'esercito israeliano: “Gaza è un fronte secondario”. Tradotto: ciò che accade lì, compresi i 55.000 morti stimati e l'accusa di genocidio da parte di agenzie ONU, non merita più attenzione. La guerra è stata spostata dove fa comodo. Il governo Netanyahu ha scelto il nemico più spendibile — l'Iran — per ripulire la propria immagine, ricompattare l'opinione pubblica interna, bloccare le pressioni per un cessate il fuoco. E il mondo, obbediente, ha cambiato canale. Gli analisti lo chiamano “diversione strategica”. Un'operazione militare pianificata non solo per colpire, ma per distrarre. Per spegnere Gaza senza spegnere le bombe. Per deviare la condanna internazionale su un nuovo scenario e riscrivere il racconto della guerra. Netanyahu, processato per corruzione e in crollo nei sondaggi, ha bisogno del caos per restare in piedi. E il caos adesso parla persiano. Nel frattempo a Gaza si muore senza testimoni. L'internet è spento, i droni continuano a colpire, i soccorsi non entrano. È la guerra nel buio, mentre fuori la luce delle telecamere illumina altri orrori. Tutti scelti, mai casuali. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Il peacewashing italiano si è buttato a capofitto su Adam, chiamato senza il suo cognome come nelle favole per bambini, sopravvissuto al bombardamento israeliano che ha ucciso i suoi 9 fratelli e anche il padre, Hamdi, morto pochi giorni fa a causa delle ferite. Lo sbarco in Italia insieme alla madre Alaa al-Najjar, pediatra nello sfacelo umanitario di Gaza, è stato una cerimonia con le fanfare che è rimbalzata su tutti i giornali. Il ragazzo sarà operato all'ospedale Niguarda di Milano. Le interviste si moltiplicano, i retroscena, i racconti straziati e strazianti di chi non ha trovato l'inchiostro per raccontare gli altri 16mila bambini uccisi nella Striscia e i 24mila feriti. “Guardate come siamo bravi che ne abbiamo pescato uno tra tanti e abbiamo deciso di salvarlo” è il sottotesto della narrazione. Hanno accolto il bambino coloro che addirittura avevano messo in dubbio la veridicità di quella strage familiare. Una delle molte e quotidiane di Gaza. Hanno accolto il bambino gli stessi che concordano con il governo israeliano che quelli come Adam definisce “non umani” e, nella migliore delle ipotesi, “terroristi”. “Guardate come siamo bravi”, sospirano dal governo gli stessi che continuano a spedire le armi che trucidano i bambini. “Guardate come siamo buoni”, dicono coloro che non alzano un dito per non disturbare Netanyahu. “Guardate come siamo bravi noi italiani”, che nei consessi internazionali ci distinguiamo per vigliaccheria con il nostro governo prono. I giornali che non trovavano lo spazio per scrivere due righe sulla strage continua oggi rovesciano litri di commozione finta, sparpagliata sulle pagine. Questo siamo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Le chiamano “distribuzioni di aiuti”, ma sono esecuzioni pubbliche di affamati. Oggi, l'ennesima: 31 palestinesi uccisi mentre tentavano di ricevere cibo nel corridoio Netzarim, a Gaza. Erano disarmati. Sono stati colpiti da carri armati e droni israeliani, secondo la Protezione civile locale. Oltre 200 feriti. Non è più una guerra: è una mattanza scientifica, fredda, ripetuta. Una trappola dove chi cerca pane trova piombo. I punti di distribuzione degli aiuti sono diventati “zone di uccisione”. Lo dicono i medici, lo confermano i sopravvissuti. Cecchini e droni sparano su civili disarmati. Si colpiscono tende, scuole, ospedali. Un medico giordano è stato ferito in un bombardamento vicino a Khan Younis. Tre paramedici uccisi a Gaza City. È il fronte umanitario trasformato in bersaglio. E mentre il mondo prende posizione, l'Italia tace. Australia, Canada, Nuova Zelanda, Norvegia e Regno Unito hanno imposto sanzioni ai ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich, colpevoli di incitare apertamente alla violenza e all'espulsione dei palestinesi. In Germania, Franziska Brantner, leader dei Verdi, ha chiesto lo stesso. A Roma, invece, regna il silenzio. Meloni finge di non vedere, Tajani balbetta diplomazie da manuale, Piantedosi parla di sicurezza interna mentre in Cisgiordania 17.500 palestinesi — tra cui 1.400 bambini — sono stati arrestati da ottobre. Crosetto è in altre faccende belliche (leggi riarmo) affaccendato. Nessun atto, nessuna parola, nessuna condanna. A Gaza si muore per la fame. Letteralmente. Ma chi in Italia governa, ignora. Del resto come diceva Don Abbondio il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Il governo di Israele, impegnato ad apparire autorevole e potente di fronte al mondo, si è sbriciolato agli occhi del mondo davanti a una piccola barca a vela con dodici attivisti come equipaggio e con beni alimentari come unica arma. Gli strepiti di chi vede terroristi anche su una barca di aiuti umanitari, il dispiegamento piratesco di militari, la simulazione cinematografica dell'offerta di cibo e acqua hanno smascherato il governo del criminale Netanyahu. Quando ci si abitua ad agire da assassini, si diventa incapaci perfino di fingere democrazia. La spedizione della Freedom Flotilla ha però mostrato al mondo anche un altro aspetto: lo Stato di Israele va in tilt ogni volta che qualcuno si avvicina a Gaza, ora mostrificata in un campo di concentramento a cielo aperto. Per fermare il genocidio, i governi non possono offrire commozione. La commozione non sfama i bambini di Gaza, non cura le ferite, non sostituisce l'acqua, non serve per le operazioni chirurgiche né per le ecografie. Per fermare Israele servono i dazi e serve un concreto, tangibile assedio umanitario. Come ha detto ieri la relatrice ONU Francesca Albanese, servirebbe che ogni Stato, subito, inviasse una sua imbarcazione, con medici, operatori e beni umanitari. Immaginate Netanyahu accusare di terrorismo e di antisemitismo i corpi diplomatici e umanitari degli Stati europei. Immaginate l'esercito israeliano all'arrembaggio di imbarcazioni con bandiera tedesca, spagnola, francese, italiana. Immaginate gli occhi del mondo puntati su uno Stato ormai incapace di dialogare senza armi e senza bombe. Un assedio umanitario per rompere l'assedio genocida. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Pirateria di Stato. Così l'esercito israeliano ha sequestrato la Madleen, nave carica di aiuti umanitari per Gaza, catturando il suo equipaggio in acque internazionali. A bordo dodici attivisti, tra cui Greta Thunberg e l'eurodeputata Rima Hassan. Israele non ha alcuna giurisdizione su acque internazionali, ma da mesi il diritto internazionale è stato sistematicamente smantellato sotto gli occhi complici delle cancellerie occidentali. Mentre l'esercito rapiva i volontari, Benjamin Netanyahu sedeva nel tribunale di Tel Aviv come imputato per corruzione: primo premier israeliano processato durante il mandato. Dopo il sequestro, il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato la proiezione di un video delle atrocità di Hamas del 7 ottobre 2023 agli attivisti. I corpi straziati dei bambini di Gaza devono restare invisibili, mentre viene imposto materiale selezionato e sottratto da mesi a qualsiasi verifica indipendente. La censura si alterna alla propaganda in un meccanismo ormai scoperto: piegare la narrazione per giustificare il massacro. È la conferma che la macchina israeliana non può più contare sui fatti, ma solo sulla costruzione artificiale del racconto. È l'unico scudo rimasto per tentare di sfuggire al processo che la storia imporrà. «È giusto che Greta l'antisemita e i suoi amici sostenitori di Hamas vedano chi è Hamas», ha dichiarato Katz. Portare aiuti umanitari è diventato, per Israele, atto di terrorismo. Salvare vite umane è sabotaggio. Fermare la fame, reato. Il progetto è chiaro: non respingere un nemico, ma cancellare una popolazione. E chiunque provi a impedirlo viene classificato come complice del terrorismo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Ora non è più solo un'accusa. È una confessione. Il ministro israeliano della Difesa, Israel Katz, ha ordinato alle forze armate di bloccare la nave Madleen, partita dalla Sicilia per portare aiuti umanitari a Gaza. A bordo ci sono 12 attivisti della Freedom Flotilla Coalition — una rete internazionale che da anni tenta di rompere il blocco navale imposto su Gaza — tra cui l'europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan, l'attivista svedese Greta Thunberg e il brasiliano Thiago Ávila. Non è solo un'operazione militare: è il tassello di una strategia dichiarata. Katz parla di “impedire il trasferimento di armi ad Hamas” ma, sotto la retorica consueta, emerge la vera posta in gioco: impedire ogni spiraglio di vita nella Striscia. La fame come arma. Il blocco navale serve a strangolare un'intera popolazione. Pianificato, scientifico, rivendicato. Chi prova a scalfire questa morsa viene subito bollato come nemico. “All'antisemita Greta e ai suoi amici dico chiaramente: tornate indietro”, ha dichiarato Katz. L'obiettivo non è solo fermare il cibo, è impedire che qualcuno racconti, che ci siano testimoni, che il mondo veda cosa accade davvero. Rima Hassan, a bordo della nave, parla di arresti, di sequestri di telecamere, di oscuramento delle comunicazioni. Israele non vuole spifferi nel suo assedio. La fame diventa un protocollo di guerra, la solidarietà un crimine, la testimonianza un atto sovversivo. Il genocidio per compiersi non deve avere testimoni. Il ministro di Israele sa bene che quando si apriranno gli occhi del mondo lui e i suoi compagni di governo saranno riconosciuto per quel che sono: criminali carnefici. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.