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Scriviamo queste righe dal futuro. È il trentesimo giorno di navigazione e la notte che ci attende può diventare il “giorno zero”: la fregata italiana abbandonerà la scorta per non disturbare un governo che chiude gli occhi sul genocidio a Gaza. Questa notte – per voi che leggete è già ieri – la Flotilla entrerà nella cosiddetta “zona rossa”, dove Israele da anni agisce impunemente contro il diritto internazionale. Il punto non sono le barche, né i pettegolezzi della politica italiana. Il punto è Gaza. Nelle ultime ore almeno 31 persone sono state uccise dai raid israeliani. Il nuovo piano firmato da Trump e Netanyahu parla di ricostruzione e disarmo, ma disegna ancora una prigione a cielo aperto, con il carceriere che decide tempi e modi della sopravvivenza. La Commissione d'inchiesta dell'ONU ha già qualificato le azioni di Israele come genocidio: distruzione sistematica, fame usata come arma, dichiarazioni dei leader che parlano di “spoliazione”. Ogni governo che tace si rende complice. La Global Sumud Flotilla è lo specchio che costringe a guardare questa vergogna. Decine di imbarcazioni da 44 paesi portano aiuti e chiedono libertà di passaggio. L'Italia ha deciso di ritirare la sua fregata a 150 miglia dalla costa, invocando “esaurimento del rischio”. Ma in quelle 150 miglia si gioca il senso della nostra presenza: resistere dove gli altri si voltano, testimoniare ciò che accade nella zona proibita. Se stanotte il mare coprirà le voci di sirene e bombe, almeno resterà questo diario: la prova che qualcuno non ha accettato il silenzio. Domani, se resisteremo, il mondo saprà che c'era chi ha avuto il coraggio di guardare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Global Sumud Flotilla è a trecento miglia dalle acque palestinesi. Dopo quattromila chilometri di navigazione, la distanza residua misura la tensione politica che accompagna la missione. In mare ci sono barche già colpite da due attacchi di droni, danneggiate ma non fermate. A terra ci sono piazze piene, sindacati, studenti e lavoratori che il 22 settembre hanno scioperato in solidarietà con Gaza e con gli equipaggi. Il messaggio dei portuali resta scolpito: «Se toccano la GSF blocchiamo tutto». È l'eco che accompagna la rotta verso Sud e che ricorda lotte capaci di trasformare la solidarietà in forza materiale. La protezione non arriva solo dal mare: passa dalle piazze e dall'attenzione pubblica che obbliga i governi a smettere di fingere neutralità. Domenica 28 settembre la delegazione italiana ha incontrato il ministro Crosetto. Nessun impegno ne è uscito. La portavoce Maria Elena Delia lo ha detto: l'assenza di azioni equivale a complicità con chi perpetua violazioni del diritto internazionale. Mentre l'ONU e la Corte penale parlano di genocidio, l'Italia continua a fornire armi e a mantenere accordi commerciali con Israele. La richiesta è chiara: sanzioni, stop alle forniture militari, iniziative diplomatiche per corridoi umanitari e indagini indipendenti. Non sono parole radicali: sono misure già previste dalle convenzioni sottoscritte dall'Italia. Il giorno 29 della Flotilla è un tempo sospeso: davanti c'è il Mediterraneo orientale, dietro un Paese che deve scegliere se essere spettatore o parte attiva nella difesa dei diritti. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nelle ultime 24 ore almeno 83 palestinesi sono stati uccisi in raid israeliani che hanno colpito aree vicine a ospedali ancora operativi, tra cui Al-Shifa e Al-Ahli. In una sola giornata le aree sanitarie si sono trasformate in zone di morte, con parti effettuati per strada e medici che operano senza strumenti. La morte segna una media di circa 1.500 vittime al mese; tra queste, dal 50 al 70 per cento sono donne e bambini. Le 36 strutture mediche della Striscia sono state colpite almeno 720 volte, con 920 decessi legati direttamente a quegli attacchi. In quasi due anni di conflitto, praticamente ogni ospedale è stato danneggiato o distrutto. Come può fermarsi la Global Sumud Flotilla? Dopo le avarie e gli attacchi con droni che hanno costretto alcune imbarcazioni a fermarsi, le unità rimaste in mare hanno redistribuito gli equipaggi e potenziato i sistemi di navigazione. La rotta è tracciata verso la zona più pericolosa, con nuove barche pronte a unirsi da porti del Mediterraneo. Mancano pochi giorni. A Roma la delegazione italiana ha avuto contatti con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha parlato di “rischi drammatici” nel tentativo di forzare il blocco. Dall'altra parte i partiti di opposizione hanno ricevuto gli attivisti ribadendo che il diritto agli aiuti umanitari non può essere subordinato a calcoli diplomatici. Qualcuno riduce la missione a un'operazione politica. Lo è, certo. Perché non c'è nulla di più politico che pretendere che vengano sfamati gli affamati, curati i malati, liberati gli oppressi. Quando chiedi diritti fondamentali, non fai propaganda: chiedi giustizia. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Sono le stesse imbarcazioni che Giorgia Meloni aveva bollato come un gioco «gratuito, pericoloso e irresponsabile», accusando gli organizzatori di strumentalizzare Gaza e di mettere in difficoltà il suo governo. Quella derisione inaugurale si piega ora al peso politico della missione: chi un tempo derideva quel viaggio adesso cerca di morderne i margini. Ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha avuto una lunga conversazione con Maria Elena Delia, la responsabile della delegazione italiana imbarcata. Tajani ha richiamato i “rischi” di forzare il blocco navale israeliano, suggerendo prudenza e disponendo un'apertura al dialogo su possibili corridoi umanitari. Delia ha ribadito: «Andiamo avanti, ma siamo disponibili a mediazioni». La politica italiana è costretta ora a misurarsi con quella flotta – non come evento simbolico ma come realtà che spinge, domanda e sfida. Le accuse, gli scherni, i riflessi in Aula non bastano più: la flotilla reclama presenza, protezione, rispetto del diritto internazionale. Intanto nelle ultime 24 ore, i raid israeliani su Gaza hanno ucciso almeno 82 palestinesi dall'alba, con 45 vittime a Gaza City. In alcuni casi, interi nuclei familiari sono stati colpiti nella loro abitazione, altri mentre cercavano scampo o accesso ad aiuti. I bombardamenti hanno investito anche zone densamente popolate, magazzini di sfollati, quartieri residenziali sotto assedio. Una proposta di tregua vacilla fra le diplomazie, mentre la carne dei civili – donne, bambini, anziani – continua a essere martoriata. Quello è il punto, lì stanno gli occhi, lì deve spirare il vento. Per le barche, per spegnere il genocidio, per aprire un corridoio umanitario. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Mattarella ha lanciato un imperativo: «consegnate gli aiuti in sicurezza», invitando la Flotilla ad accettare la mediazione del Patriarcato Latino di Gerusalemme per far arrivare il materiale a Gaza. In altri termini, consegnare a Cipro e rinunciare al mare aperto. Ma qui sta il punto: non è questione di modalità o di sicurezza, è questione di cosa stiamo parlando. Si parla ossessivamente delle barche, come se fossero il nocciolo del problema; mai si nomina il massacro sistematico, lo sterminio di una popolazione assediata. L'ossessione diventa quella dell'attraversamento “da non rischiare”, mai quella dell'ecatombe quotidiana. Eppure il diritto internazionale è chiarissimo: la navigazione in acque internazionali non può essere ostacolata, men che meno da attacchi armati. Pretendere che la Flotilla cambi rotta equivale ad ammettere che Israele possa violare la legge senza conseguenze, mentre chi la rispetta deve cedere. Il centro del discorso si sposta così dal genocidio all'“incertezza” del viaggio. È il solito cortocircuito: si discute delle barche per non discutere delle bombe. Intanto a Gaza la morte non concede tregua. Nelle ultime 24 ore ottantacinque persone sono state uccise dai bombardamenti israeliani, tra cui numerosi bambini. A Gaza City un raid ha colpito una casa che ospitava sfollati: almeno diciannove vittime. Decine sono rimaste intrappolate sotto le macerie nei quartieri assediati. Così, mentre i palazzi del potere parlano delle imbarcazioni, sotto quei cieli di fuoco si consuma un massacro silenzioso, una pulizia pianificata. Nessuna esitazione: a vele spiegate, verso il genocidio, è lì che si punta. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Le parole del governo italiano sulla Global Sumud Flotilla continuano a oscillare tra la condanna rituale e il paternalismo. Il ministro Crosetto ha detto che «nessuno può garantire sicurezza fuori dalle acque internazionali» e che gli aiuti «potrebbero essere scaricati a Cipro». Una formula che traduce in pratica l'ignavia: fingere di proteggere, mentre si accetta la riscrittura israeliana del diritto internazionale. Dal mare arriva invece la chiarezza della Flotilla. Ieri Mandla Mandela ha ricordato che «non ci fermeremo finché il genocidio non sarà fermato e gli aiuti non fluiranno liberamente». Yasmin Al-Qadhi, giornalista e attivista yemenita, ha denunciato la fabbrica di menzogne che accompagna ogni aggressione: come nel 2010 con la Mavi Marmara, così oggi Israele diffonde accuse inventate per giustificare la violenza. E l'avvocata palestinese Lamis J. Deek ha ribadito che il blocco di Gaza «non ha alcuna base legale», e che l'intercettazione di navi civili in acque internazionali è un crimine. Le ultime ore da Gaza raccontano l'urgenza di questa missione. Secondo il ministero della salute, i raid israeliani hanno ucciso almeno 17 persone, tra cui 10 bambini, solo nella notte scorsa. Il bilancio complessivo ha ormai superato i 65.400 morti e i 167.000 feriti, con più di 20.000 bambini uccisi dall'inizio dei bombardamenti. In una sola settimana, dal 17 al 24 settembre, si sono aggiunti 357 morti e oltre 1.400 feriti. Il genocidio intanto continua. Il governo di Israele è un governo assassino. L'affidabilità di Israele si misura sul sangue e sulle macerie di Gaza. Queste sono le notizie su cui tenere gli occhi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Nella notte, a sud di Creta, la flotta è stata circondata e colpita da droni: esplosioni in serie, interferenze radio, polveri urticanti. Almeno undici imbarcazioni danneggiate, nessun ferito grave, equipaggi in assetto di sicurezza. È il terzo attacco in poche settimane: la Spectre ha registrato un bagliore netto in mare alle 1.43. La missione ribadisce che proseguirà la rotta verso Gaza. La politica italiana, travolta dai fatti, ha dovuto finalmente esporsi. Guido Crosetto, dopo essersi coordinato con lo Stato Maggiore, ha ordinato alla Marina di dirottare la fregata Fasan nell'area: «assistenza ai cittadini italiani», «condanna più dura» per gli attacchi. È una svolta rispetto ai giorni delle cautele e dei “vedremo”: quando la cronaca bussa con il metallo dei droni, l'ambiguità non regge. Antonio Tajani ha chiesto a Israele «tutela» e «rispetto del diritto internazionale» per chi è a bordo. Giorgia Meloni, che fin qui aveva bollato la traversata come inutile e simbolica, è costretta a inseguire: parla di responsabilità altrui, ma la sola irresponsabilità oggi è quella di chi continua a finanziare e coprire un genocidio. La Flotilla non è una bravata: è un promemoria di legalità sul mare aperto. Intanto, a Gaza, il conto delle ultime 24 ore è l'ennesima ferita aperta: almeno 37 morti aggiunti alla cifra mostruosa che ha superato i 65 mila, ospedali al collasso, corridoi trasformati in reparti. Il mondo discute, le cancellerie sfumano, ma nelle corsie restano bambini senza analgesici e feriti senza ossigeno. È a loro che guardano le barche colpite stanotte. Ed è su di loro che si misurano verità e menzogne della politica.Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flotilla risponde all'ennesimo tentativo di Israele di piegare il diritto internazionale ai propri interessi. La richiesta di “attraccare e trasferire” gli aiuti umanitari al porto di Ashkelon non è una misura logistica, ma parte integrante del blocco illegale. Amnesty e Human Rights Watch hanno condannato pratiche simili come violazioni del diritto umanitario e strumenti per ritardare e negare l'assistenza. Parlare di “sicurezza” è un pretesto per esercitare controllo e trasformare soccorsi civili in merce di scambio. Etichettare la flotta come minaccia significa legittimare l'uso della forza contro chi porta aiuti. Mentre Israele fabbrica cavilli, Gaza continua a contare i morti. Nella notte almeno 37 persone sono state uccise nei raid, altre 17 all'alba, e dodici strutture dell'Unrwa sono state colpite a Gaza City. Gli ospedali senza carburante parlano di “morte certa”. Numeri che non sono statistiche ma volti cancellati: bambini, donne, uomini privati di acqua, cure, cibo. E mentre a Roma si tace, a Madrid il premier Sanchez chiede all'Onu misure immediate per proteggere i civili palestinesi, dimostrando che la responsabilità politica non è un optional. In Italia la voce resta quella delle piazze. Una società civile che ricorda al governo che il silenzio è complicità. La flottiglia naviga, e a terra una rete di mani tiene la rotta. La ciurma di terra protegge. Ricordarselo sempre. Gli occhi sono su Gaza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Le piazze italiane ieri hanno parlato con numeri che non si possono cancellare: centinaia di migliaia di persone, 50mila solo a Roma, 15mila a Napoli, migliaia a Torino, Firenze, Genova, Cagliari, Bari. Dai porti alle scuole, dalle fabbriche alle università, lo sciopero generale ha bloccato pezzi interi del Paese. Non è stata una sommatoria di cortei, è stato un unico corpo che si è alzato in piedi contro il genocidio a Gaza. Ogni bandiera palestinese appesa ai balconi, ogni presidio nelle piazze, ogni linea di produzione ferma, ogni aula occupata è stato un messaggio diretto al governo: le vostre scelte di fiancheggiamento, la complicità con la guerra, non sono la voce dell'Italia. L'Italia rifiuta lo sterminio del popolo palestinese, condanna la vendita di armi a Israele e respinge la solidarietà offerta a soldati che hanno massacrato bambini e civili. Ogni contratto di fornitura firmato in queste settimane è una ferita alla memoria di chi ha combattuto per la libertà. Questo movimento per la pace è l'Italia che si riconosce nell'umanità e urla: «Non in nostro nome». È la promessa di una sopravvivenza collettiva che non è semplice memoria, ma scelta quotidiana di vita. E mentre le piazze gridavano, i politici di governo balbettavano accuse di “violenza”, fingendo di non vedere la loro. Parlano di ordine pubblico quelli che pagano bombe, fiancheggiano un genocidio, ammazzano di fame e di ordigni donne e bambini. Sono gli stessi che stringono le mani insanguinate di Netanyahu. Sono gli stessi che ieri, davanti a mezzo milione di persone, hanno provato a indossare i panni delle maestrine del decoro. La vergogna è tutta loro. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Oggi l'Italia si ferma. Sciopero generale proclamato dai sindacati di base: trasporti, scuole, porti, logistica, taxi. Non è un capriccio di categoria, è un atto politico che riguarda tutti, anche chi si illude di essere estraneo. Perché davanti a un genocidio non esistono spettatori innocenti: l'inerzia è complicità. A Gaza la notte ha portato altri morti. Più di settanta nelle ultime ventiquattr'ore, cinquantasei solo a Gaza City. Gli ospedali non riescono più a curare, l'acqua manca, i medicinali finiscono. Le Nazioni Unite parlano di quasi mezzo milione di sfollati: un'intera città svuotata, un popolo in fuga sotto le bombe. Ogni giorno che passa aggiunge un livello di barbarie che inchioda chi tace. La Global Sumud Flotilla intanto avanza verso Creta. Non l'hanno fermata i droni. Non la sfiorano le malelingue . Israele bolla la flottiglia come “iniziativa jihadista”, ma a bordo ci sono solo civili, attivisti, operatori umanitari. Anche Greta Thunberg, uscita dal comitato direttivo, continua a essere a bordo. Giorno ventuno. Oggi la ciurma di mare prosegue e la ciurma di terra sciopera. È lo stesso fronte: rompere la normalità dell'orrore, spazzare via l'indifferenza. Perché chi oggi non sciopera si rassegna all'idea che il genocidio sia parte della routine. E la routine dell'orrore è già barbarie. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Gaza oggi è un frastuono di macerie. Le forze israeliane spingono dentro la città, demolendo palazzi e gallerie mentre la popolazione cerca vie di fuga che non esistono: 65 mila morti secondo il ministero della Sanità di Gaza, decine solo nelle ultime ore. Perfino gli operatori umanitari ricevono un avviso grottesco: «protetti» solo gli ospedali, tutto il resto può essere colpito. Un modo elegante per dire che la vita civile non conta più niente. Lunedì 22 settembre tocca a noi, sulla terraferma. La chiamano «ciurma di terra» e non è retorica: è la rete di chi sciopera, presidia, impone all'agenda pubblica una verità che i governi nascondono. I sindacati di base hanno proclamato lo sciopero generale: trasporti, scuole, università a rischio. Non per “stare contro”, ma per navigare controvento finché il vento cambia. Dall'altra parte dell'Atlantico, intanto, scricchiola la propaganda. La Casa Bianca spinge un nuovo pacchetto d'armi da 6,4 miliardi di dollari per Israele — elicotteri Apache, veicoli d'assalto, ricambi — mentre anche tra gli elettori MAGA cresce l'idea che i soldi vadano alla pace più che alle armi: il 73% chiede di investire su peacebuilding, non su nuovi ordigni. La fronda non ferma Trump, ma racconta un Paese stanco di finanziare un deserto morale. La Flotilla continua il suo viaggio, e noi con lei. La ciurma di terra serve per quello: soffiare, ostinare, pretendere che l'Europa esca dalle sabbie mobili e che l'Italia smetta di balbettare. Lunedì non è un rito: è la rotta. Portiamo il rumore nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole. Anche da terra, siamo noi il vento che sposta le fronde. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Global Sumud Flotilla è salpata. Nelle acque di Portopalo erano arrivate le 24 barche provenienti dalla Tunisia, tra cui la Familia Medeira e la Alma, riparate dopo l'attacco dei droni. La flotta, che comprende 18 barche italiane, si ricongiungera' con sei barche che si trovano in Grecia per poi proseguire la navigazione verso Gaza. Israele intanto ha scelto la delegittimazione preventiva, bollando i passeggeri come «un manipolo di terroristi travestiti da pacifisti». Un messaggio che prepara l'opinione pubblica a un eventuale intervento muscolare. È qui che la ciurma di terra diventa decisiva. Ogni missione navale è esposta alle onde del mare e alle manovre dei governi, ma quella di oggi si regge soprattutto sulla pressione che cittadini e movimenti sapranno esercitare. Lunedì scatterà il primo banco di prova: lo sciopero proclamato dai sindacati di base. Non è solo una giornata di mobilitazione, è il tentativo di costringere gli Stati a dire l'indicibile, a chiamare per nome lo sterminio in corso. Le provocazioni non mancheranno. L'odore degli editoriali già scritti – quelli che assoceranno le piazze alla violenza, quelli che tenteranno di ribaltare il senso di una protesta – è nell'aria. È un copione noto. Da Gaza intanto arrivano notizie drammatiche: oltre ottanta morti in poche ore, bombardamenti attorno agli ospedali. L'Organizzazione mondiale della sanità avverte che le strutture sanitarie sono sull'orlo del collasso. È da queste macerie che parte il viaggio della Flotilla. Il mare non è mai stato così politico: le vele portano medicine e solidarietà, ma soprattutto la prova che esiste ancora chi rifiuta di voltarsi dall'altra parte. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Le notizie che arrivano da Gaza oggi parlano di una carneficina senza tregua. Dall'alba gli attacchi israeliani hanno colpito persino nei pressi degli ospedali: almeno 83 morti in poche ore. Donne costrette a partorire per strada, operatori umanitari uccisi, ospedali sull'orlo del collasso, blackout totale di internet da due giorni. E mentre la Striscia viene rasa al suolo, i falchi di governo israeliani e i loro partner americani già si spartiscono il bottino. Il ministro ultrà Bezalel Smotrich definisce Gaza «una miniera d'oro immobiliare» e annuncia: «La demolizione è fatta, ora dobbiamo soltanto costruire». Un banchetto sulle macerie, dove si preparano a gettarsi famelici, senza pudore e senza vergogna, trasformando il genocidio in opportunità edilizia e speculativa. In Europa, intanto, i governi arrancano tra dichiarazioni contraddittorie e mezze condanne. Tajani definisce Gaza «una carneficina» e si dice contrario ai trasferimenti forzati. Parole, appunto. Perché mentre parla, il governo italiano continua a mantenere rapporti politici, commerciali e militari con Israele, continuando a lavarsi le mani di fronte all'evidenza di un massacro. Eppure la storia non finisce qui. La Global Sumud Flotilla continua il suo viaggio in acque internazionali, carica di coraggio e disobbedienza civile. E a terra la ciurma non è meno decisiva. Le mobilitazioni crescono, gli scioperi si moltiplicano. Ma non basta. Bisogna unire le forze, fermare il Paese se serve, senza più disperdere l'energia. Più date fanno rumore, ma più insieme può cambiare davvero il corso delle cose. Gaza oggi non ha tempo da perdere. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Gaza City, all'alba, altri 33 morti sotto le macerie. La rete telefonica e internet sono collassate dopo i raid, gli ospedali denunciano il blocco dei rifornimenti di carburante, mentre le organizzazioni umanitarie avvertono che «l'offensiva a Gaza City è estensione della guerra genocida». È l'immagine quotidiana di un massacro che la Commissione ONU ha ormai definito genocidio. Eppure le bombe non si fermano: i quartieri si svuotano, le famiglie restano intrappolate ma le cancellerie guardano altrove. Il 22 settembre la Cgil ha indetto lo sciopero generale per la Palestina. Un segnale forte, ma resta la domanda più amara: Gaza City ci sarà ancora quel giorno? Le piazze italiane si preparano a scendere in strada mentre i raid cancellano interi isolati. La distanza tra chi manifesta e chi muore sotto i bombardamenti è vertiginosa, ma necessaria per spezzare il silenzio. La Global Sumud Flotilla continua a navigare. Le barche partite dalla Tunisia avanzano verso la Striscia. A bordo c'è la consapevolezza che rompere l'assedio significa riaffermare il diritto universale alla vita, come recita la Carta dei Valori della missione: «scegliamo di non restare in silenzio davanti a un genocidio in corso, perché la neutralità equivale alla complicità». La Flotilla ribadisce che le azioni sono «pacifiche, disarmate e trasparenti», ispirate alla disobbedienza civile nonviolenta, che nella storia «ha abbattuto muri e regimi di oppressione». La Flotilla non porta solo cibo e medicine. Porta un messaggio: la solidarietà può essere più forte dei muri, e la nonviolenza, anche oggi, è la risposta etica a chi vorrebbe condannare Gaza al silenzio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Commissione indipendente delle Nazioni Unite ha accusato Israele di genocidio a Gaza, un atto che porta con sé il peso della storia e la forza della parola più estrema che l'umanità si sia data per descrivere l'annientamento di un popolo. Ma non sono le parole a contare: sono i corpi, le vite, le famiglie cancellate. Nella notte più lunga a Gaza City i bombardamenti hanno colpito senza tregua. Fonti locali parlano di almeno 45 morti dall'alba, tra cui bambini e donne. L'Idf ha confermato di controllare già il 40% della città, dopo avere colpito 850 obiettivi in una settimana. La Commissione Onu avverte che 640mila persone sono a rischio carestia entro fine mese. Le voci da Gaza parlano di un inferno senza tregua: raid aerei, blindati telecomandati fatti esplodere nelle strade, ospedali ridotti al silenzio dai blackout, interi quartieri spazzati via. È la distruzione di una città e, con essa, la distruzione di chi la abitava. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scelto di reagire accusando l'atto dell'Onu: «scorretto e grave». È il solito governo che protegge le relazioni con Israele più che le vite civili palestinesi. Una posizione che riduce la denuncia internazionale a un'offesa da respingere, mentre sotto le macerie di Gaza si consuma il crimine di cui parla l'Onu. Intanto, la Global Sumud Flotilla ha superato le acque territoriali ed è entrata in acque internazionali. Le barche continuano la rotta con a bordo viveri e medicinali, cittadini comuni che hanno deciso di rompere l'assedio e di portare la loro presenza come denuncia. Davvero c'è ancora qualcuno che si domanda perché serva la Global Sumud Flotilla? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flotilla, giorno 15. Edificio dopo edificio, Gaza sta svanendo. Ad aprile l'ONU stimava che il 92% delle abitazioni fosse stato distrutto o danneggiato. Oggi la percentuale è ancora più alta. Trenta minuti. Questo è il tempo concesso per lasciare la casa in cui hai vissuto tutta la vita. Trenta minuti per raccogliere ciò che puoi, per fuggire e sperare di non morire. Trenta minuti per voltarti un'ultima volta verso il luogo che custodiva i tuoi ricordi. L'esercito israeliano continua a spingersi oltre ogni limite di crudeltà, forte del silenzio complice che accompagna decenni di occupazione, pulizia etnica e — negli ultimi due anni — genocidio. A Gaza non esiste un posto sicuro. Eppure la popolazione resiste: rimane nella propria città, difende ciò che resta, rifiuta di arrendersi. Le agenzie raccontano l'ennesima notte di sangue: almeno 25 palestinesi uccisi dall'alba, tra loro bambini di sei anni. L'Unrwa denuncia dieci dei propri edifici bombardati in quattro giorni. Israele rivendica l'evacuazione forzata di oltre 320 mila persone da Gaza City. Nelle chiese, i canti vengono interrotti dal fragore delle esplosioni. Dall'esterno giungono solo vertici e dichiarazioni, mentre dentro la Striscia si consuma l'irreparabile. Perfino il presidente Mattarella riferisce di “disumana, ostinata condizione di Gaza” parlando di “un peso di inciviltà insostenibile per la comunità internazionale”. Il tempo per fermare tutto questo è adesso. E in mare le vele della Global Sumud Flotilla sono cinquanta imbarcazioni si muovono verso un punto d'incontro, per mirare a Gaza insieme. Una rotta collettiva per dire no, non in nostro nome. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flotilla, giorno 14. L'ex capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi ha ammesso che oltre il 10% della popolazione è stata uccisa o ferita: più di 200.000 persone, un numero che coincide con le stime del ministero della Sanità di Gaza, sempre liquidate da Israele come “propaganda di Hamas”. Oggi la conta ufficiale parla di 64.871 morti e 164.610 feriti dall'inizio della guerra, con migliaia di corpi ancora sotto le macerie. Le cronache registrano almeno 68 nuove vittime in un solo giorno, colpite a Gaza City, Rafah e Jabalia. Dall'alba i raid hanno distrutto più torri multipiano, inclusi edifici residenziali e l'università islamica della città. L'Unrwa avverte che «nessun luogo è sicuro». Trecentomila persone hanno abbandonato Gaza City nelle ultime ore, secondo le stime dell'Idf. Eppure i numeri non riescono a restituire la devastazione di interi quartieri cancellati, dei bambini uccisi negli ospedali, delle famiglie sepolte nei rifugi. Halevi ha detto senza esitazioni che «abbiamo tolto i guanti dal primo minuto». È il linguaggio di una guerra che non distingue, che cancella il confine tra civili e combattenti, come dimostrano le stesse analisi interne israeliane che stimano l'80% delle vittime tra i civili. In questo scenario si capisce perché in tanti, da decine di Paesi, hanno scelto di salpare verso Gaza. Non c'è eroismo retorico, ma la semplice ostinazione di chi rifiuta il silenzio. È così difficile capire perché dei cittadini non violenti di tutto il mondo hanno deciso di imbarcarsi con viveri e medicinali per aprire un canale umanitario e accendere i riflettori su Gaza? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Global Sumud Flotilla s'è fatta flotta. Tutte le barche sono in mare, ieri le ultime sono salpate da Augusta. È una flotta d'acqua e di terra: in mare navigano le imbarcazioni, nei porti e nelle piazze si muove una ciurma più vasta, diffusa, ugualmente ostinata. Chi governa e i suoi parenti si ostinano a sorridere con sufficienza, a ridurre queste barche a folclore. Non vedono che il coraggio ha già smutandato i governi inerti: la gente comune è entrata in scena e ha spezzato l'inerzia. La cronaca da Gaza, intanto, è quella di una carneficina quotidiana. Fonti mediche parlano di almeno 32 morti in un solo raid su Gaza City, dodici erano bambini. Altri quattro palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano aiuti alimentari in un centro di distribuzione. L'esercito israeliano ha ordinato l'evacuazione di oltre 250mila persone da Gaza City, e nel frattempo ha colpito scuole gestite dall'Unrwa nei campi profughi. Le cifre del ministero della Sanità palestinese restano implacabili: 64.803 morti dal 7 ottobre 2023, un numero che da solo racconta la sproporzione della guerra. Le autorità locali denunciano anche 145 bambini morti di malnutrizione. Mentre qui i ministri confezionano battutine, mentre si ripete la commedia delle condanne omeopatiche, là ogni giorno viene spianata una città, ogni ora porta via un volto e un nome. La missione della Flotilla è una risposta civile e concreta a un crimine che non trova più alibi nelle parole. Per questo i governi sono nervosi: perché cittadini attivi hanno interrotto la complicità del silenzio. Abbiamo una certezza: a Vittorio “Vik” Arrigoni si è acceso un sorriso. Buon vento a noi, in terra e in mare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Gaza oggi è una mappa di sirene. Dall'alba i raid hanno colpito in serie: 35 morti nel primo bilancio, poi 42. L'UNICEF avverte che «450 mila bambini a Gaza City rischiano di morire» per mancanza di cibo e cure. Gli ospedali funzionano a singhiozzo, i convogli umanitari si accalcano ai valichi, interi quartieri vengono evacuati sotto le bombe. Le ore si consumano come conti alla rovescia, e ogni numero che arriva dalle agenzie è una condanna senza appello. Intanto in Italia si consuma l'ennesima recita. La prima pagina de Il Tempo parla di «rete del terrore dietro la Flotilla», l'accusa consunta di essere “amici di Hamas”. È il riflesso automatico di chi preferisce spostare il dibattito dalla catastrofe umanitaria alla caricatura politica. La Federazione nazionale della stampa ha diffuso un comunicato, a cui la Global Sumud Flotilla ha risposto chiarendo finalità, composizione e regole della missione. Tutto legittimo, tutto previsto, tutto secondario rispetto al rumore delle esplosioni che continuano a seppellire case e vite. Mentre l'Europa discute mozioni e il governo italiano balbetta di diplomazia, le immagini da Gaza sono di tende sbriciolate, di famiglie in fuga nella notte, di ambulanze ferme davanti a cancelli chiusi. È la contabilità dell'emergenza che cresce a ogni ora, mentre da questa parte del Mediterraneo ci si accapiglia sulle etichette. Allora la domanda è semplice: cosa vi sembra più importante? I titoli che accusano chi porta aiuti o i nomi che scompaiono ogni giorno a Gaza? Qui continueremo a raccontare la missione e le polemiche, ma l'unico compito che resta è uno: tenere gli occhi su Gaza. Sempre. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La Global Sumud Flotilla è salpata ieri da Siracusa, accompagnata dall'incoraggiamento della folla e dalle parole di Maria Elena Delia, portavoce italiana: «A bordo ci sono medici, giuristi, insegnanti, professionisti che scelgono di non voltarsi dall'altra parte». Non simboli astratti, ma competenze reali. Eppure il governo continua a trattarli come ragazzini da sorvegliare. Antonio Tajani, in Senato, ha ribadito l'«assistenza diplomatica» ai 58 italiani a bordo, come se l'unica cornice possibile fosse quella dei cittadini da riportare a casa illesi . Una riduzione comoda, che evita di nominare l'assedio di Gaza, il blocco navale illegale e la missione politica che la Flotilla rappresenta. Il ministro ha usato la sua arma preferita: il paternalismo. Si preoccupa dei “sogni” palestinesi, come se fosse generoso concederli. Nel frattempo, l'Italia resta silente di fronte a un genocidio documentato, preferendo barcamenarsi tra i diktat atlantici e l'irrilevanza diplomatica. Quelle navi non portano illusioni, ma un atto politico concreto che rivela l'impotenza – o la complicità – di chi governa. Non è un corteo folkloristico in mare, è la dimostrazione che cittadini europei si assumono responsabilità che i governi hanno scelto di abbandonare. La scena è grottesca: da un lato le barche che sfidano il blocco, dall'altro un esecutivo che si limita a mettere timbri mentre a Gaza si contano migliaia di morti ogni settimana. La differenza è tra chi prova a forzare l'illegalità di un embargo e chi, per calcolo politico, si rifugia nella prudenza. La Flotilla è già il promemoria più severo per il governo: non esiste diplomazia credibile quando ci si riduce a custodi del silenzio altrui. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Giorno 10. La Flotilla ha imparato a navigare tra i colpi e le bugie. Dopo la Family, la “Alma” è stata colpita in acque tunisine: a bordo hanno trovato i resti di un ordigno elettronico, nessun ferito, solo l'ennesimo avvertimento a chi osa portare testimonianza verso Gaza. Lo dicono le agenzie, non “gli entusiasti di professione”. Intanto a Gaza la cronaca è una contabilità che non finisce. Dall'alba si contano nuovi morti nei raid e l'esercito israeliano ordina l'evacuazione di quartieri interi di Gaza City: fonti militari parlano di almeno 150mila persone in fuga verso sud, mentre cadono anche le torri simbolo della città. È l'urbanistica ridotta a bersaglio, la popolazione a variabile ignorabile. Qui, a terra, la propaganda tenta l'acrobazia: sminuire gli attacchi, insinuare il complotto, trasformare i sabotaggi in incidenti. L'abbiamo visto, l'abbiamo smontato. E sì: i millantatori che oggi giocano a fare i periti balistici sono gli stessi che ieri derubricavano Gaza a “danno collaterale”. La maschera scivola sempre quando arrivano i fatti. Oggi si parte da Siracusa. Non è una cerimonia, è una promessa mantenuta: unire il mare corto del Mediterraneo alla distanza lunga della responsabilità. Partono barche e parte una rete che ha capito la propria funzione: vigilare, sbugiardare, proteggere. In Parlamento c'è chi chiede protezione diplomatica per gli equipaggi; fuori, c'è una società civile che non accetta più di essere spettatrice pagante. La Flotilla non sposta gli eserciti e non decide i confini. Ma misura il coraggio dei governi. Davanti ai droni che colpiscono imbarcazioni civili e a una striscia di terra stretta tra fame e sirene, si può scegliere: fingere di non vedere, o mettere il proprio nome accanto a chi prova a forzare l'assedio. Oggi tocca a Siracusa dare la rotta. Domani, a tutti gli altri. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Gaza la notte ha portato altri numeri da camera mortuaria: secondo fonti locali almeno 83 civili sono stati uccisi e 223 feriti nelle ultime 24 ore. Dall'alba, i bombardamenti hanno fatto altre 35 vittime. Il genocidio continua a scorrere sotto gli occhi di un mondo che finge di non vedere. Intanto, sulla sponda tunisina, la vicenda della Family si trasforma in una farsa crudele. Il governo tunisino ha parlato di una sigaretta spenta a bordo per spiegare l'incendio, ma il video dell'esplosione — verificato da media internazionali — smentisce clamorosamente quella versione. Non un incidente domestico, ma un attacco che porta la firma dei droni. Una vigliaccheria istituzionale che tenta di coprire la vigliaccheria militare. La rotta della Global Sumud Flotilla, però, non si interrompe. Giovedì 11 settembre salperanno da Siracusa altre imbarcazioni italiane per unirsi alla missione. Un segnale chiaro: ogni colpo subito moltiplica la determinazione. A Roma, ieri, la ciurma da terra è scesa in piazza. È la rete che veglia, sbugiarda, protegge. Che impedisce a governi e istituzioni di continuare a mascherarsi dietro la retorica della “neutralità”. Il viaggio di terra è periglioso come quello di mare: tenere gli occhi su Gaza, non cedere ai millantatori e resistere ai fiancheggiatori del governo criminale di Israele. Anche la delegittimazione è un'arma. Il giorno 9 della Global Sumud Flotilla racconta due scene parallele: a Gaza i cadaveri si accumulano sotto le macerie, nel Mediterraneo le barche continuano a puntare verso sud-est. La resistenza è tutta lì, in mare e a terra, contro chi sperava di spegnere la luce con una sigaretta spenta. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flottilla, giorno 8. A Gaza la notte non passa: almeno venti morti dall'alba sotto i bombardamenti e altri sei decessi per fame nelle ultime 24 ore, dicono i bollettini locali e le agenzie internazionali. La guerra ha superato la soglia della denutrizione dichiarata persino nei tribunali israeliani, dove la Corte suprema ha imposto al governo di garantire cibo sufficiente ai prigionieri palestinesi: una sentenza rara, che fotografa il livello della disumanità diventata amministrazione ordinaria. Gerusalemme si risveglia con un attentato: sei morti e una dozzina di feriti. La risposta è la solita, l'uso politico del terrore. Il terrorismo, per Hamas come per il governo Netanyahu, è ormai governance: serve a consolidare poteri, a disciplinare il dissenso, a tenere il mondo in ostaggio di una retorica di «guerra totale». Nel Mediterraneo intanto la Global Sumud Flottilla approda a Sidi Bou Said, accolta da centinaia di persone. E proprio oggi la Commissione europea ha scelto la via più comoda: «non incoraggiamo operazioni come la Global Sumud Flottilla, aggravano la situazione». Traduzione: la società civile è un problema da disinnescare. Un alito lercio di vigliaccheria. Dicono che «presto» arriverà l'accordo, che «ci sono garanzie significative», che «tutto è sotto controllo». Intanto i droni colpiscono, i numeri dei morti crescono, le famiglie si assottigliano e i bambini restano senza cure. La Flottilla non è la soluzione: è un promemoria. Ricorda a tutti — governi, istituzioni, commentatori di professione — che quando il diritto è sequestrato dalla ragion di Stato, il dovere è provarci lo stesso. Oggi più di ieri. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La notte su Gaza ha il suono sordo dei palazzi che crollano e delle sirene spente: nuovi raid su grattacieli e scuole-rifugio, con almeno 17 morti a Gaza City secondo Al Jazeera; cinque persone, tra cui bambini, sono morte di fame nelle ultime 24 ore, portando il totale a 387. Anche la rete vacilla: tagli ai cavi nel Mar Rosso hanno interrotto l'accesso a internet in parte del Medio Oriente. La Global Sumud Flotilla ripete ciò che dovrebbe essere ovvio nel diritto e nell'umanità: un corridoio umanitario immediato, la protezione integrale di una missione civile e nonviolenta, la fine dell'uso della fame come arma, il riconoscimento dell'illegittimità dell'occupazione. «La nostra è un'iniziativa legale e, in quanto tale, non può essere attaccata né fermata», si legge nella dichiarazione sottoscritta da rappresentanti eletti di 25 Paesi. La Flotilla chiarisce che i training sono selettivi: la lista dei partecipanti sarà definita solo a conclusione della formazione. Fuori dalle carte, c'è la pressione delle piazze. Ieri Roma è scesa di nuovo in strada: l'Ordine dei giornalisti del Lazio ha ricordato i reporter uccisi e chi rischia ogni giorno per raccontare. E non solo Roma: La Spezia ha sfilato per chiedere la pace, Viterbo ha manifestato a sostegno della Flotilla. È la «ciurma di terra» che protegge i naviganti, smonta i calunniatori e costringe i governi a uscire dall'ambiguità. La cronaca del genocidio continua ad aggiornarsi a colpi di cifre e di macerie. La rotta resta semplice: in mare si naviga, a terra si tiene il punto. Non è retorica: è un promemoria per chi ha responsabilità pubbliche e crede di poter temporeggiare. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flottilla, giorno 6. A Gaza oggi hanno raso al suolo un altro grattacielo nel cuore della città, presentato come «punto di osservazione di Hamas». Le autorità locali ribattono: erano torri civili, luoghi di vita dove restavano famiglie che non hanno più dove tornare. Nel frattempo il ministero della Salute segnala almeno 68 morti nelle ultime 24 ore, altri numeri che scivolano su un mondo assuefatto al rumore di fondo della guerra. C'è un dato che buca l'aria: sei persone sono morte di fame tra ieri e oggi. La fame come arma, come assedio, come programma. Regina Rania ha usato parole nette: «Israele sta affamando un intero popolo». Le Nazioni Unite definiscono «unilaterale» la nuova “zona umanitaria” decisa da Israele, geometrie burocratiche che non spostano di un millimetro la realtà sotto le macerie. Save the Children calcola oltre 20.000 bambini uccisi in 23 mesi, più di uno ogni ora. È un totale che si somma al conteggio generale dei morti fornito da Gaza: 64.368 persone dall'inizio dei bombardamenti, un intero registro anagrafico cancellato, casa per casa. Numeri che, per chi vuole, dicono già tutto: sproporzione, punizione collettiva, sfondamento di ogni limite umano e giuridico. Sulla riva del Mediterraneo, l'Europa si specchia e volta lo sguardo. Si discute di ricostruzione mentre si demolisce, si evocano “zone sicure” mentre si prosciugano gli ospedali, si promettono indagini mentre si colpiscono i palazzi. Anche oggi, a Gaza City, a Khan Yunis, a nord e a sud, la cronaca è una lista dei caduti con la firma in calce dell'indifferenza. Per questo gli equipaggi della Global Sumud Flottilla lo ripetono senza enfasi e senza retorica: proprio perché le notizie peggiori non smettono di arrivare, oggi siamo ancora più determinati. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Global Sumud Flottilla, giorno 5. Le barche italiane non partono a caso: si concentrano con quelle che risalgono dalla Spagna e da Tunisi, per salpare insieme. È logistica e buon senso: arrivare alla spicciolata sarebbe un regalo a chi vuole isolare ogni equipaggio. Gli organizzatori indicano la finestra del 7 settembre per l'innesto da Catania e Tunisia, dopo controlli e prove di sicurezza: la flotta cresce a onde, non a colpi di foto. Intanto Gaza sanguina. Nelle ultime 24 ore i raid hanno ucciso almeno 69 persone e ne hanno ferite oltre 400, portando il bilancio complessivo a circa 64.300 morti dall'ottobre 2023. A Gaza City l'offensiva ha raso al suolo un grattacielo nel quartiere Rimal, mentre le sirene corrono tra le tende degli sfollati. La cronaca è una sola: bombardamenti su edifici, famiglie, strade. A Roma la premier risponde a Elly Schlein promettendo «tutela per gli italiani a bordo», invitando però ad «avvalersi dei canali umanitari già attivi» per evitare rischi. I famosi canali umanitari che non incanalano mentre accade lo sterminio. È la solita protezione condizionata: la dignità viene messa a bilancio, come se la legge del mare e il dovere consolare fossero optional. Chi oggi parla di oneri dovrebbe guardare i numeri di Gaza e decidere da che parte stare. Noi, intanto, facciamo ciò che va fatto: proteggere i naviganti, smentire i complottisti, ricordare che le acque di Gaza non sono proprietà privata. La partenza del segmento italiano avverrà con la concentrazione di tutte le barche — dalla Spagna alla Tunisia — perché questa è la forza: un'unica rotta, un'unica notizia, un'unica richiesta agli Stati che tacciono #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La rotta è ripresa, la scia si allunga: dai video di bordo si contano già una dozzina di navi in mare e altre in arrivo, mentre dalla Tunisia si muove una piccola flotta che domenica si aggancerà alla carovana mediterranea. Cresce la presenza pubblica — quattro parlamentari italiani, Emergency, osservatori legali irlandesi — e la piazza italiana si fa sentire da Catania a Genova. C'è anche un necessario chiarimento: la delegazione italiana smentisce la “barca stampa” di Claudio Locatelli. Non è autorizzata a unirsi né a raccogliere fondi a nome della missione. «Non abbiamo bisogno di eroi né di “combattenti”, la nostra unica arma è la nonviolenza», ricorda la portavoce Maria Elena Delia. Le uniche eccezioni ammesse sono il mezzo di Emergency e il team legale della Freedom Flotilla Irlanda. Intanto Gaza sanguina. Dall'alba nuovi bombardamenti hanno ucciso decine di persone, con attacchi che colpiscono case e campi profughi; i morti per fame, indotta dall'assedio, sono saliti a 370, tra cui 131 bambini. Nelle strade mancano proteine e verdura fresca: si raziona, si sopravvive a un pasto al giorno. È qui che entra in scena la “ciurma di terra”, la chiave di tutto. Le mobilitazioni di questa settimana — da Roma alle città di porto — servono a proteggere chi naviga, a smontare i vigliacchi e i millantatori, a ricordare che il diritto internazionale è dalla parte della Flottilla e che le acque di Gaza non sono proprietà di Israele. Servono a pretendere l'apertura di un canale umanitario e politico che, per forza di vergogna, costringa gli Stati a muoversi. Se l'Europa vuole davvero “difendere la legalità”, cominci da qui. Il resto è rumore di fondo.. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
GLobal Sumud Flottilla, giorno tre. Il Mediterraneo è un corridoio nervoso: mare in miglioramento dopo la notte di droni che ha allarmato gli equipaggi in rotta da Barcellona, alcune barche in sosta tecnica alle Baleari/Minorca, altre già ripartite. Sul ponte si contano presenze e responsabilità: dodici rappresentanti eletti chiedono «un corridoio umanitario immediato», delegazioni da 44 Paesi rivendicano la rotta civile, mentre l'esperta ONU Francesca Albanese ricorda che la missione «rispetta pienamente il diritto internazionale». Intorno, la politica misura se stessa. Il ministro israeliano Ben-Gvir propone di classificare come «terroristi» i volontari e detenerli nelle carceri speciali e in Italia l'ANPI prende sul serio quelle minacce e chiede due azioni che chiamano il governo alla prova dei fatti: protezione diplomatica agli equipaggi e sospensione del memorandum con Israele. Dalla Sicilia il quadro si completa: Emergency conferma la partecipazione con la Life Support in funzione di osservazione e supporto medico-logistico, con partenza dall'area di Catania insieme ad altre unità italiane. Dalla sponda sud, Tunisi è hub di raccolta e formazione: moduli su sicurezza, primo soccorso, protocolli legali; finestra di partenza a inizio settembre condizionata da meteo e verifiche, con possibili slittamenti decisi riunione dopo riunione. Il diario, oggi, registra una verità semplice: non è una flotta di slogan. È logistica, diritto e diplomazia esposti alla luce del sole, contro un assedio dichiarato illegale da giuristi e organismi internazionali. Le barche avanzano lente, ma la loro velocità non è la misura del risultato. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La testa della flotta è già in mare dopo la partenza del 1° settembre da Barcellona. La notte è stata dura: mare grosso, apparati in tilt, molte radio mute. Gli attivisti parlano di «tempesta elettromagnetica» che ha costretto alcune barche al rientro, mentre chi è rimasto in rotta ha navigato a vista con quattordici unità. In mattinata il segnale è tornato: i report di bordo dicono che la navigazione prosegue, con danni leggeri e equipaggi in grado di tenere la linea. A terra si muove il resto del mosaico. Le unità che hanno fatto scalo a Genova hanno già lasciato il porto; il concentramento italiano e le partenze sono in Sicilia, in coordinamento con Tunisi. A metà mese l'obiettivo è tagliare la rotta verso Gaza. Sul piano politico la pressione sale di grado. Tel Aviv continua a criminalizzare la missione e ora minaccia l'intera Europa che la sostiene: un avvertimento che fa coincidere la solidarietà civile con la guerra ibrida. Nelle capitali si discute di sicurezza marittima evitando la parola blocco, mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani, incalzato, ha detto l'ovvio: «terroristi a bordo? Non mi risulta». Intanto Gaza resta una ferita aperta. Le cifre dei morti e della fame scivolano via dalle cronache; ogni miglio percorso rimette al centro chi sopravvive dietro il muro e chi prova a raggiungerlo dal mare. È il senso del “sumud”, la testardaggine del restare umani: una flotta di gommoni, pescherecci e persone comuni che trasformano il Mediterraneo in un registro pubblico. Se arriveranno, avremo una prova che la politica può ancora inseguire il diritto. Se verranno fermati, resterà, nitida, la traccia della mano che li ha fermati. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Diario di bordo, giorno uno. La Global Sumud Flottilla lascia Barcellona e Genova con viveri, medici, delegazioni da 44 Paesi su una ventina di barche. Appena l'orizzonte si apre, arrivano le ritorsioni annunciate: il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir promette che gli attivisti «saranno trattati come terroristi». Non una figura retorica: carceri speciali, condizioni punitive, sequestro delle imbarcazioni. La minaccia è un programma politico dichiarato. Dalla Spagna arriva la postura che in Europa dovrebbe essere normale e che invece fa notizia: il ministro degli Esteri José Manuel Albares annuncia «tutta la protezione diplomatica» per i cittadini imbarcati e mette sul tavolo in Ue embargo sulle armi a Israele, sospensione dell'accordo di associazione e nuove sanzioni contro i coloni violenti. La legge internazionale non è un'opinione, ricorda. Che cosa fa l'Italia? Balbetta. Le richieste di tutela arrivano da parlamentari di opposizione; il Pd parla di minacce «da rispedire al mittente», Più Europa chiede sostegno diplomatico, Conte domanda alla premier se intenda difendere i connazionali e quando si deciderà a prendere le distanze dalle parole di Ben-Gvir. Dal governo, silenzio operativo: un vuoto che pesa come una scelta. La portavoce in Italia Maria Elena Delia ricorda che Global Sumud Flottilla opera nella totale legalità. La politica di domani dirà chi, tra Stati membri, ha difeso i suoi cittadini e il diritto internazionale. La Spagna alza la testa. L'Italia, come troppo spesso accade, la china. E quando si china la testa in mare, si rischia di ingoiare acqua. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Gaza City è stata dichiarata «zona di combattimento». Israele rallenta o interrompe gli aiuti al nord e spinge nuove evacuazioni verso sud. La Croce Rossa avverte che un'evacuazione di massa «non può avvenire in modo sicuro e dignitoso». I fatti delle ultime ore: raid e un panificio colpito ad al-Nasr, undici civili uccisi. Dall'alba 44 morti, 66 nelle 24 ore secondo le autorità sanitarie locali. Colpire i forni quando manca il pane è più di un segnale militare: è una scelta politica sulla vita dei civili. L'Europa parla ma resta ferma. «Gaza ha bisogno di meno guerra, non di più», dice Kaja Kallas. Ma non è una guerra quella in cui un esercito trucida civili, donne e bambini, gente in fila per la farina e il pane. Gaza ha bisogno di meno vigliaccheria europea. Solo quello. Fuori dai palazzi la realtà spinge: in cinquemila al Lido di Venezia e, da Genova, la Global Sumud Flottilla prepara oltre 300 tonnellate di aiuti. La società civile misura il vuoto della politica. Intanto Washington restringe il perimetro diplomatico: visti revocati ad Abu Mazen e a funzionari palestinesi a ridosso dell'Assemblea generale. L'Onu chiede chiarimenti. Se “sicurezza” significa bombardare quartieri, ridurre gli aiuti e mettere in strada un milione di persone senza rifugio, allora stiamo descrivendo altro. Lo sanno le agenzie umanitarie, lo vedono le piazze europee. L'unica scelta seria è cessate il fuoco, pieno accesso umanitario, sanzioni efficaci contro chi sabota il diritto internazionale. Chiamare le cose col loro nome non è radicalismo: è la minima igiene della verità. Ora. La storia condannerà chi ha parlato senza agire. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Altro che “terroristi”. A Gaza il fuoco israeliano ha colpito soprattutto i civili: lo dice una banca dati interna dell'intelligence militare, non la “propaganda nemica”. Un'inchiesta di +972 Magazine e Local Call con il Guardian mostra che, allineando il database di Aman con i totali del ministero della Salute di Gaza, almeno l'83% dei palestinesi uccisi fino a maggio erano civili; considerando soltanto i decessi “certi”, la quota supera l'86%. L'esercito ha confermato l'esistenza del database, poi ha provato a ritrattare: lo stesso zig-zag che da due anni accompagna i numeri degli “operativi eliminati”, gonfiati e sgonfiati senza coerenza mentre i numeri crescevano. Persino membri della commissione Esteri e Difesa della Knesset hanno messo in dubbio quei conteggi; l'ex Ombudsman dei soldati, Itzhak Brik, parla di una cultura della menzogna: «mentono senza sosta». Il quadro operativo, intanto, racconta regole di ingaggio slargate: autorizzati più di cento civili uccisi per colpire un comandante di Hamas, fino a venti per un quadro intermedio. È la matematica del “danno collaterale” che diventa politica pubblica, con un rapporto di vittime civili rarissimo nelle guerre contemporanee. Bugie insanguinate: ogni volta che emerge un fatto o un numero, l'ipocrisia genocidiaria si svela da sé. La “guerra chirurgica” era un comunicato con l'ossessione di far tornare le cifre prima che tornasse la verità. Se perfino i dati interni israeliani convergono sul massacro di civili, resta una domanda secca: quante altre smentite serviranno perché si ammetta che la strategia ha preso di mira un popolo più che un esercito? #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
I sindacati europei tornano a fare il loro mestiere: difendere i diritti quando la politica abdica. Confederazioni e federazioni del lavoro chiedono alla Commissione di sospendere l'Accordo di associazione con Israele e di bloccare gli scambi con gli insediamenti nei Territori occupati. È il punto in cui le parole di circostanza hanno esaurito la loro utilità: davanti a Gaza affamata e rasa al suolo, il registro delle “preoccupazioni” è un alibi. Le sanzioni sono uno strumento di diritto, non un tabù. Nel frattempo, un altro fronte civile si è mosso: gli allenatori italiani hanno scritto alla Figc chiedendo di inoltrare a Uefa e Fifa la sospensione temporanea di Israele dalle competizioni internazionali. Niente crociate ideologiche: in ballo c'è un principio semplice, lo sport non può normalizzare l'eccezione permanente. Quando i corpi dei bambini pesano più delle classifiche, l'unico risultato che conta è la pressione per fermare la violenza. La richiesta dell'Aiac è netta e, per una volta, coraggiosa. Matteo Salvini ha risposto che «gli allenatori facciano gli allenatori». Accogliamo il criterio: i ministri facciano i ministri. Chi guida le Infrastrutture garantisca treni puntuali e opere trasparenti, senza usare lo sport come paravento di una linea politica impalpabile. Il governo ripete: «non politicizzate il calcio». Intanto chiede al Paese di abituarsi alla politica che non decide. Se i sindacati europei indicano la strada del diritto e gli allenatori ricordano il peso della coscienza, all'esecutivo resta un compito minimo: prendere atto che la neutralità, oggi, coincide con la complicità. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
A Verona la cartella clinica ha fatto quello che la politica elude: ha riportato i fatti. Osama, 5 anni, il bambino di Gaza bollato come «fake», è stato dimesso dopo due mesi di cure al Borgo Trento. Era arrivato il 12 giugno con un volo umanitario, 9,2 chili di peso, diagnosi di grave malnutrizione e un deficit immunitario moderato; oggi è attorno ai 14 chili, continuerà profilassi e controlli ambulatoriali. È una storia medica, prima che mediatica. Per settimane il suo volto è stato trascinato nel gioco della propaganda. L'unità COGAT e lo stesso Benjamin Netanyahu hanno indicato le foto dei «bambini affamati» come costruzioni, citando il caso e minacciando azioni legali contro chi le pubblicava. «Sono tutte false», ha detto il premier, trasformando un referto in un processo d'intenti. Qui, invece, hanno parlato i medici. «Tra le cause del grave malassorbimento intestinale anche le condizioni imposte dalla guerra», ha spiegato il pediatra che lo ha seguito. Non è un dettaglio: spiega perché un bimbo con comorbidità sia precipitato laddove i farmaci di base, gli enzimi per digerire, il cibo proteico e l'accesso alle cure sono diventati beni rari. Già a maggio Osama era stato fotografato al Nasser Hospital in un ambulatorio per la malnutrizione; e intanto l'ONU registra, solo a luglio, oltre 12 mila casi di malnutrizione acuta sotto i cinque anni, 2.500 gravi. Dati, non slogan. Questa vicenda dice qualcosa di più largo del singolo caso. Quando i corpi diventano argomenti, la prima vittima è la verità. Gli ospedali, in Italia come a Gaza, sono gli unici luoghi dove il dibattito torna misurabile: peso, esami, terapie, esiti. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Gaza non è un'eccezione. Gaza è la sindone del governo di Israele.» La trama si legge nitida aprendo il rapporto di Mediterranea with Palestine su Masafer Yatta: in 129 giorni, 838 violazioni in 27 villaggi; quasi una su due è un'invasione di proprietà (409), poi 51 demolizioni, 110 tra arresti e detenzioni, 12 nuovi o ampliati avamposti. È un metodo: coloni e forze dell'ordine agiscono in sincrono per produrre spossessamento e resa. Il diritto lo dice da tempo. Nel Parere del 19 luglio 2024 la Corte internazionale di giustizia qualifica l'insieme delle pratiche israeliane nei Territori occupati come illegale; impone agli Stati terzi obblighi di non riconoscere, non assistere, cooperare per far cessare la situazione. Non una nota a margine: un vincolo giuridico. I numeri descrivono l'ingegneria demografica: oltre 700.000 coloni in Cisgiordania, avamposti incentivati e poi “legalizzati”; l'invasione della sfera privata come anticamera di aggressioni, incendi, blocchi, confische. La “de-palestinizzazione” è una politica di Stato. C'è poi l'architettura carceraria: corti militari con tassi di condanna fino al 99,7%; detenzioni amministrative senza capi d'accusa rinnovabili; a maggio 2025 i prigionieri palestinesi sono 10.068, con migliaia di persone senza processo. È la normalizzazione dell'arbitrio come strumento di governo. Per questo Gaza è una sindone: imprime sul tessuto del presente l'immagine rovesciata di un sistema che si vede identico, seppure a intensità variabile, da Hebron a Khan Younis. La comunità internazionale non può continuare a contemplare il lenzuolo e fingere di non riconoscere il corpo. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Il genocidio è una politica, non un incidente. Il ciclo è chiaro: mentre in Israele decine di migliaia di persone chiedono un accordo per liberare gli ostaggi, il premier attacca chi protesta, equipara i familiari a «fiancheggiatori di Hamas» e avverte che le piazze «garantiscono un nuovo 7 ottobre». È l'uso del dolore come strumento di governo, funzionale a prolungare la guerra e a schiacciare il dissenso. Sul tavolo, intanto, c'è una nuova proposta di cessate il fuoco mediata da Qatar ed Egitto; le fazioni palestinesi hanno sollecitato Hamas a rispondere. Ma Netanyahu insiste sul pacchetto “tutto in uno”: liberazione completa, resa di Hamas, controllo israeliano su Gaza. Ha ripetuto che le intese parziali «appartengono al passato». Condizioni scritte per non atterrare: l'esito utile non è l'accordo, è il rinvio. A Gaza la politica diventa geografia: ordini di evacuazione interi quartieri, la parrocchia della Sacra Famiglia avvisa che «si distribuiscono tende». È il trasferimento forzato in forma amministrativa, l'urbanistica della precarietà. La fame resta l'arma meno rumorosa. Amnesty parla di una strategia deliberata di affamamento: convogli bloccati, infrastrutture distrutte, bambini denutriti. È la distruzione delle condizioni di vita, non un danno collaterale Chiamare questa sequenza “guerra” oscura la realtà: punizione collettiva, deportazione di fatto, negazione del soccorso. Si può misurare nei corpi e nelle mappe.Finché la comunità internazionale accetterà la semantica dell'emergenza, la politica del genocidio resterà ordinaria amministrazione. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Benjamin Netanyahu sogna una nuova Nakba. È la grammatica della forza, mentre in Israele i familiari delle vittime annunciano scioperi e blocchi per forzare un compromesso. A Gaza l'offensiva non si ferma: vengono colpite anche aree dichiarate “sicure” come Muwasi, i bambini continuano a morire, la fame è diventata struttura, l'acqua è contaminata, le malattie corrono. È il risultato di un assedio che ha trasformato la sopravvivenza in concessione politica. Nel frattempo riemergono le parole dell'ex capo dell'intelligence militare Aharon Haliva: per ogni vita spezzata il 7 ottobre “cinquanta palestinesi devono morire”, “anche se sono bambini”, “serve una Nakba ogni tanto”. Non sono scivoloni: sono la verbalizzazione di una dottrina. Il castigo collettivo come metodo, la morte civile di un popolo come prezzo accettabile. Quando il lessico della vendetta diventa politica, il genocidio smette di essere un'accusa e diventa la logica conseguenza. All'orrore sistemico si affianca una scena che resta negli occhi: il giurista Ghanem Al-Attar cammina alla ricerca d'acqua, vestito con la cura di chi rifiuta di consegnarsi al fango. È la lezione di Primo Levi attraverso il signor Steinlauf: lavarsi nel poco, tenere la schiena dritta, negare il consenso al carnefice. Dignità come ultimo diritto fondamentale. Per questo l'Europa non può più barattare il proprio silenzio con condizionali diplomatici. Servono sanzioni efficaci, embargo sulle armi, riconoscimento giuridico dei crimini in corso. Chiamare genocidio ciò che coincide con i suoi elementi costitutivi non è un abuso del linguaggio: è un dovere. Il resto è fuffa criminale. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Accogliamo i bambini che feriamo. L'Italia apre corridoi umanitari, annuncia l'arrivo di altri 31 piccoli pazienti da Gaza e rivendica di aver già curato più di 180 minori. Bello, giusto, necessario. Ma la foto è incompleta: mentre li abbracciamo sugli aeroporti, continuiamo a oliare i meccanismi che li hanno resi pazienti. Il 31 luglio Cdp Venture Capital, braccio pubblico dell'innovazione, entra nel round di finanziamento della israeliana Classiq (quantum computing). Denaro pubblico italiano che sostiene l'ecosistema tecnologico di Tel Aviv in piena guerra. «Strategico», dicono le note ufficiali. Strategico per chi? Sul versante militare, i flussi non si fermano. Nel 2024 l'Italia ha rilasciato 42 nuove autorizzazioni d'importazione di armamenti da Israele per quasi 155 milioni di euro e ne ha importati fisicamente per oltre 37 milioni. E verso Israele, sempre nel 2024, abbiamo esportato “armi e munizioni” per 5,2 milioni secondo Istat; tra dicembre 2023 e gennaio 2024 sono partite forniture da guerra per oltre 2 milioni, dopo gli 817 mila euro di ottobre-novembre 2023. Tutto mentre il ministro Tajani ripeteva che «dal 7 ottobre abbiamo bloccato i contratti». C'è una parola per questa scena di comodo: «childwashing». Accogliere alcune delle stesse vittime per coprire con sentimento ciò che si continua a finanziare con atti e bonifici. L'Italia che porta i bambini in ospedale è la stessa che investe nell'hi-tech israeliano e mantiene aperti canali d'affari militari. Finché non si tagliano quei flussi, l'abbraccio resta una posa: la carità a valle che serve a rendere accettabile la complicità a monte nella catena del genocidio. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Doppia contabilità italiana: in pubblico «linea critica» su Gaza, in riservato il braccio finanziario del governo compra startup israeliane. Cassa Depositi e Prestiti, fondo sotto il MEF da 4,7 miliardi, ha iniziato a investire in società israeliane, con focus su intelligenza artificiale e quantistica e l'obiettivo di portarne attività in Italia. La notizia è stata rivelata dal quotidiano economico israeliano «Globes». Nel pezzo si ricostruisce l'ingresso di CDP nel round di Classiq insieme a SoftBank (operazione valutata 20–30 milioni di dollari) e la strategia di «decine di milioni» su altre realtà, con la motivazione della «sovranità digitale» e della competitività del Paese. Le parole chiave arrivano dal responsabile degli investimenti diretti di CDP Venture Capital, Alessandro Scortecci, che rivendica il contributo alla competitività italiana «sul palcoscenico globale». Il passaggio politicamente più sensibile è attribuito a «una fonte israeliana di alto livello a conoscenza dell'attività del fondo»: Giorgia Meloni sarebbe «pienamente informata» del dossier e CDP viene considerata «uno strumento importante di politica pubblica», in coerenza con il programma da un miliardo per l'IA. Nel frattempo, il fondo sovrano norvegese avvia dismissioni da società israeliane: due traiettorie opposte nello stesso contesto di guerra e accuse di crimini internazionali. In Italia, su questo, nessuna prima pagina: eppure si tratta di denaro pubblico e politica estera. Palazzo Chigi e MEF riferiscano in Parlamento, rendano pubblici i documenti, aprano il dossier: l'ambizione tecnologica vive solo dentro un perimetro democratico verificabile. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è un punto dirimente per dividere i collaborazionisti dagli analisti: il piano di Netanyahu non ha nulla a che vedere con la sicurezza o con la fine della guerra. È il compimento di una logica dichiarata: terra al posto delle vite. “Land, Not Life” non è un titolo a effetto, è la formula di governo. Prendere Gaza, non salvarla. Contro ogni evidenza strategica, l'esecutivo israeliano punta alla spoliazione civile e alla cancellazione fisica di chi la abita: un milione di persone spinte verso lo sfollamento forzato, in una campagna militare che non distingue più tra obiettivo militare e resistenza all'annientamento. Lo stesso establishment israeliano avverte il rischio di una trappola militare e morale, ma la coalizione al potere è salda: la visione messianica di “Greater Israel” giustifica ogni passo, ogni vittima, ogni rovina. Le vittime palestinesi quindi non sono un “effetto collaterale”. Basta ipocrisia: sono la condizione necessaria del progetto. È questo che rende Gaza il laboratorio di un genocidio visibile, annunciato, documentato giorno per giorno. Eppure, come da mesi, le cancellerie occidentali si rifugiano nelle formule di rito, rimandano, promettono verifiche, si limitano a “monitorare la situazione” mentre il terreno si riempie di fosse comuni e le mappe militari sostituiscono le strade delle città. Quello che a Gaza si consuma oggi non è l'ennesima pagina nera della storia: è un crimine in diretta, permesso dall'immobilismo di chi dovrebbe fermarlo e scelto da chi lo esegue come dottrina di governo. Mentre quelli si lambiccano sui termini stanno sprofondando le persone. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
L'ultimo atto della notte di San Lorenzo, a Gaza, non è stato uno spettacolo di stelle cadenti. È stata la luce livida di un'esplosione a illuminare la tenda di Al Jazeera accanto all'ospedale di al-Shifa, dove Anas al-Sharif e altri cinque membri della redazione sono stati uccisi. Un giornalista che aveva trasformato il suo obiettivo in testimonianza quotidiana del genocidio, e che per questo era stato indicato come “bersaglio” da una campagna diffamatoria dell'esercito israeliano. La sua unica arma era la verità, e l'ha pagata con la vita. Israele sostiene che “si spacciasse per giornalista” e che fosse con Hamas. È la stessa strategia che, da Shireen Abu Akleh in poi, cerca di neutralizzare le voci scomode prima di eliminarle fisicamente. La sequenza è sempre più chiara: prima la delegittimazione, poi il fuoco. La guerra di Benjamin Netanyahu non si limita a radere al suolo Gaza; punta a cancellarne anche la memoria, eliminando chi potrebbe trasmetterla al mondo. Mentre la fame uccide già cento bambini, mentre gli aiuti vengono colpiti e le “zone sicure” bombardate, il premier israeliano annuncia un'operazione ancora più vasta, ringrazia Donald Trump per il sostegno e respinge come “menzogne globali” le accuse di genocidio. In parallelo, dal 31 agosto, la Global Sumud Flotilla salperà con decine di imbarcazioni per rompere il blocco e consegnare aiuti, sostenuta da attivisti di oltre 44 Paesi. In fondo, la morte di Anas e dei suoi colleghi dice già tutto: non è un “effetto collaterale” ma il cuore stesso di una strategia che teme i testimoni più delle armi. Ma noi abbiamo visto già tutto. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
La guerra a Gaza ha consumato ogni brandello di umanità. Le cronache di questi giorni raccontano un orrore ciclico, una devastazione silenziosa che piega corpi e speranze. Il piano di Netanyahu — una conquista totale di Gaza — resta lontano dall'essere realizzato, frenato persino dall'opposizione interna e dalla “cabina di guerra” israeliana che ammonisce sui costi insostenibili, umani e strategici. La pressione internazionale aumenta: sedute d'emergenza all'ONU, parlamenti che si mobilitano. Ma più che a fermare il massacro, sembra si reagisca per salvare l'immagine che ancora si può salvare. E intanto a Gaza, mentre i grandi della politica si confrontano freddi, il dolore si legge negli occhi di chi ha perso tutto. I racconti dal territorio descrivono le infezioni, le ustioni, la cecità imposta dalle bombe e dal silenzio. Lì, ogni cura è un miraggio, ogni farmaco un'utopia. Ogni volto è un grido che il mondo rifiuta di ascoltare. B'Tselem, Amnesty e numerosi studiosi di diritto internazionale parlano ormai chiaramente di un disegno che travalica ogni logica militare per diventare pulizia etnica — o peggio. Ogni giorno 93 persone — tra cui donne e bambini — cadono vittime di un conflitto il cui vero obiettivo sembra essersi sdoppiato: da un lato la resa di Hamas, dall'altro l'annientamento di un'intera popolazione. Eppure, in questo squallido teatro umano, ogni passaggio verso la piena occupazione di Gaza rischia di essere l'anticamera di una guerra eterna. Gaza non è uno spazio neutro da conquistare, ma un popolo da cui partire. Anche ieri Gaza ha urlato, anche ieri il mondo ha taciuto. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Benjamin Netanyahu ha smesso di fingere. Ora è ufficiale: Israele si prepara a un'occupazione permanente della Striscia di Gaza. Non è più guerra, non è più rappresaglia. È colonizzazione. E a questo punto la domanda è tanto semplice quanto cruciale: la comunità internazionale intende applicare le stesse sanzioni che ha imposto agli altri invasori del nostro tempo? L'Iraq che occupa il Kuwait? Embargo totale, risoluzioni ONU, operazioni militari autorizzate. La Russia che invade l'Ucraina? Congelamento di riserve valutarie, esclusione dal sistema SWIFT, price cap sul petrolio, sanzioni mirate su migliaia di individui. Israele che occupa Gaza dopo averla devastata, assediata e spopolata? Nulla. Nessuna sanzione. Nessun embargo. Anzi: accordi commerciali privilegiati, rifornimenti militari e scudi politici a ripetizione. Il doppio standard non è più un sospetto. È un dato giuridico. Il diritto internazionale è chiarissimo: un'occupazione non può prevedere trasferimenti forzati, punizioni collettive, distruzioni sistematiche o blocchi umanitari. Eppure tutto questo è già realtà. E il Consiglio di Sicurezza resta paralizzato dai veti statunitensi. Ora che Israele non si nasconde più, neppure l'Occidente potrà farlo. I governi europei e i partiti italiani che hanno invocato le “regole” contro Mosca devono decidere se il diritto vale anche a Gaza. Se non lo faranno, l'eccezionalismo israeliano non sarà più solo tollerato: sarà legittimato. E con esso, il tramonto dell'ordine giuridico internazionale. Del resto ogni genocidio che si rispetti ha bisogno di una moltitudine di canaglie collaborazioniste, indifferenti e servi sciocchi. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
C'è fame, sì. Ma non per carestia. Fame indotta, calcolata, prodotta con metodo. Secondo i nuovi dati della FAO, oggi a Gaza resta accessibile e coltivabile appena l'1,5% delle terre agricole. In aprile era il 4%. Nel 2023, prima dell'assedio, Gaza era un cuore agricolo: 10% del PIL, mezzo milione di persone coinvolte, una varietà di colture locali che garantiva autosufficienza e dignità. Oggi è tutto cenere. Dal blocco totale imposto a marzo all'impossibilità di far entrare aiuti, fino al bombardamento sistematico di serre, orti, frutteti e pescherecci: l'agricoltura a Gaza è stata sterminata. E con essa i suoi abitanti. Più dell'86% dei terreni è stato danneggiato. A nord si arriva al 94%. In molti casi, come a Rafah, non si tratta solo di distruzione ma di occupazione: ciò che non è stato raso al suolo è stato reso inaccessibile. «Gaza è sull'orlo della carestia totale», avverte il direttore della FAO Qu Dongyu. Ma è già oltre l'orlo: centinaia di persone sono morte di fame, migliaia uccise mentre cercavano cibo. Michael Fakhri, relatore speciale ONU per il diritto al cibo, è chiarissimo: «Israele ha costruito la più efficiente macchina di fame che si possa immaginare». Si chiama ecocidio, quando la guerra devasta intenzionalmente l'ambiente. E in questo caso ha un solo scopo: rendere la vita impossibile. Distruggere ogni futuro. Affamare come strumento di dominio. Le caratteristiche tipiche del genocidio. Il diritto al cibo è diritto umano. A Gaza è diventato un bersaglio militare. Un altro indizio. Anzi, un'altra prova, l'ennesima, di ciò che accade a Gaza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Netanyahu parla di «conquista totale» di Gaza, ma la realtà lo smentisce ogni giorno. È il paradosso di una guerra che si racconta come già vinta mentre continua a fallire, sotto gli occhi stanchi dei comandi militari e la retorica furiosa di un premier che cerca consenso nel sangue. A nove mesi dall'inizio dell'operazione, Hamas non è stata distrutta, gli ostaggi non sono stati liberati, la Striscia non è sotto controllo. Secondo fonti dell'IDF, «Israele occupa solo una parte minima del territorio» e nei quartieri chiave «Hamas mantiene presenza e servizi civili». Ma Netanyahu insiste. Parla alla pancia della destra messianica, promette sicurezza e vittoria, mentre Rafah è stata divisa dal resto di Gaza con un nuovo corridoio militare – il terzo – e si affonda nel disastro umanitario. Il sistema crolla: ospedali chiusi, aiuti bloccati, blackout imposti come arma. Ma l'unico piano che il governo sembra avere è continuare la guerra. E pazienza se il costo si misura in bambini denutriti, famiglie in fuga e città rase al suolo. Anche la diplomazia è paralizzata, stritolata tra cinismo e propaganda. Intanto i generali si defilano. L'IDF chiede un'uscita strategica, ma il potere politico vuole la resa incondizionata. E mentre gli alleati tacciono, mentre gli ostaggi restano ostaggi, Netanyahu sale sui podi a dichiarare vittorie che non ci sono. Il risultato è una guerra che si perpetua per mantenere il potere e una menzogna che si autoalimenta: la conquista di Gaza come finzione necessaria, perché non c'è alcun progetto per il dopo. Né politico, né umano. Solo un vuoto. Armato. E feroce. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Fanno finta di cadere dal pero, ma è tutto nero su bianco. L'occupazione totale della Striscia da parte di Israele non è un'ipotesi: è un piano. Netanyahu l'ha deciso e lo ha detto, ieri, mentre convocava il gabinetto di sicurezza. Non è la deriva di un fanatico isolato, è l'obiettivo dichiarato di un governo che al fanatismo ha affidato le leve del potere. E non c'è bisogno di leggere tra le righe: i ministri Smotrich e Ben Gvir l'avevano già invocata a ottobre. Oggi ne discutono solo i dettagli. Nel frattempo, Gaza muore. Ieri almeno 74 vittime nei raid. Tre palestinesi sono stati uccisi mentre aspettavano gli aiuti. Altri otto sono morti di fame, secondo il ministero locale della Salute. Si muore per le bombe e per il blocco. Si muore per la fame, ma è la fame d'Israele a uccidere. Una fame di terra, di cancellazione, di dominio. Il finto stupore degli editorialisti, degli analisti, dei diplomatici che si fingono sorpresi è il contorno grottesco di questa pulizia. Fingono di non sapere ciò che Netanyahu e soci vanno ripetendo da mesi: che non esiste Gaza senza Israele, che Hamas è solo un alibi, che gli ostaggi servono solo per procrastinare lo sterminio. Chi si ostina a parlare di soluzione politica mentre si moltiplicano gli eccidi, chi chiede garanzie sul “dopoguerra” mentre Gaza viene polverizzata, è complice. Le dichiarazioni di Ben Gvir, la convocazione del gabinetto militare, gli elogi di Trump, le tensioni con l'Idf: tutto mostra che non c'è alcun interesse per la pace, solo l'ansia di completare la distruzione. Il crimine non è futuro: è in corso. E chi lo scopre oggi, troppo tardi, dovrebbe almeno avere il pudore di tacere. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Ci hanno detto che la guerra finirà quando torneranno a casa gli ostaggi. Ce lo ripetono ogni giorno, come fosse un pegno morale da esigere con le bombe. Ma chiunque segua con onestà i fatti sa che è una menzogna funzionale: la liberazione degli ostaggi non è mai stata il fine. È il pretesto. La linea del governo è chiara, ed è ben più ampia della liberazione degli ostaggi. Il ministro Itamar Ben Gvir lo ha detto senza infingimenti: «Conquistare tutta Gaza, incentivare l'emigrazione volontaria, ricostruire gli insediamenti. Solo così riporteremo gli ostaggi e vinceremo la guerra». Non una liberazione, ma una sostituzione. Netanyahu non si oppone. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, «sta mostrando apertura verso l'idea di incoraggiare la migrazione dei palestinesi da Gaza», sotto pressione della sua ala più estrema. E il suo ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, propone ufficialmente di reinsediare coloni israeliani nella Striscia. Intanto, Gaza muore di fame: 180 vittime accertate per malnutrizione, 93 sono bambini. Le forze israeliane hanno sparato su civili in fila per gli aiuti: 7 morti e 20 feriti solo il 4 agosto, vicino al centro GHF di Gaza City. Hamas – riferisce il Jerusalem Post – ha chiesto almeno 250 camion di aiuti al giorno come precondizione per tornare a trattare. La risposta israeliana è stata più fuoco e più fame. È in questo contesto che oltre 600 ex funzionari del Mossad e dello Shin Bet hanno scritto a Trump: «Hamas non è più una minaccia strategica. Questa guerra non è più giusta». Chi parla ancora solo di ostaggi, mente. O è complice. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
«Sei morti di fame in un solo giorno». Non è una metafora, è il bilancio delle Nazioni Unite per Gaza il 2 agosto 2025. Da metà maggio, solo il 10% degli aiuti umanitari è riuscito a raggiungere i civili. Il resto è rimasto bloccato nei varchi israeliani o fermato dai bombardamenti. Mentre a sud si muore di sete, a nord si alzano le foto dei bambini. Sabato sera, nel cuore di Tel Aviv, centinaia di manifestanti israeliani – attivisti pacifisti, ex soldati, familiari delle vittime del 7 ottobre – hanno marciato mostrando i volti dei piccoli palestinesi uccisi. Hanno rotto il silenzio con un messaggio chiaro: «Non in mio nome». Non è più solo il mondo a chiedere di fermarsi. Ora è una parte della stessa Israele che denuncia. E lo fa pubblicamente, coraggiosamente, senza più fingere che il diritto all'autodifesa coincida con il diritto a bloccare acqua, insulina e ossigeno. Netanyahu non risponde. Il governo tace, come tace davanti ai rapporti dell'UNRWA, davanti ai corpi denutriti, davanti ai silos pieni mentre i bambini svengono. Ma il mondo ha visto. E ora vede anche che c'è un'altra Israele: stanca, lucida, umana. In gioco non c'è solo Gaza. C'è la possibilità di salvare ciò che resta di un'etica pubblica. E la storia, si sa, è più severa degli eserciti. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
L'idea di “mettere i palestinesi a dieta” non è una provocazione, ma una strategia pianificata. Lo diceva già nel 2006 un consigliere dell'allora premier israeliano Ehud Olmert, e oggi lo confermano i numeri ufficiali. Secondo i dati riportati dal Guardian il 31 luglio 2025, Israele ha calcolato scientificamente quanto cibo serve per tenere in vita la popolazione di Gaza. Poi ha smesso di fornirlo. Tra marzo e giugno, Israele ha fatto entrare nella Striscia solo 56.000 tonnellate di cibo, a fronte di un fabbisogno minimo mensile di 62.000. Nello stesso periodo, il mondo ha assistito — impotente e complice — alla trasformazione della fame in carestia. Non per catastrofi naturali. Per scelta politica. La guerra ha reso impossibile l'agricoltura e la pesca. Ogni caloria disponibile a Gaza deve entrare da fuori. Lo sa bene Cogat, l'agenzia militare israeliana che gestisce gli accessi. Eppure, mentre gli esperti ONU certificavano il “peggiore scenario possibile”, il governo israeliano minimizzava, incolpava Hamas, la burocrazia umanitaria, l'ONU, chiunque tranne sé stesso. Ma è tutto scritto. In passato Cogat stimava 2.279 calorie al giorno per persona, equivalenti a 1,8 kg di cibo. Oggi ne entra meno della metà. Anche durante il cessate il fuoco di gennaio e febbraio, bastarono pochi giorni di rifornimenti regolari per invertire il corso della fame. Eppure a maggio, mentre la crisi esplodeva, Netanyahu si è limitato a riaprire i rubinetti a goccia. Ora promette “aiuti minimi”. Per contenere l'indignazione internazionale, non la carestia. Nel frattempo, si lanciano airdrop dal cielo, costosissimi e inefficaci. In due anni di guerra, 104 voli hanno garantito cibo per appena quattro giorni. Una messinscena umanitaria utile solo a mascherare il vero colpevole dietro una cortina di logistica. La fame, in Gaza, non è un fallimento. È un'arma. E Israele ne conosce ogni formula. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Quarantotto civili uccisi nei pressi del valico di Gaza, secondo l'ospedale locale. L'esercito israeliano nega che sia stato fuoco dell'IDF. Una disputa sulle responsabilità che diventa il simbolo di una guerra dove i morti sono veri e le verità sono di parte. Le immagini raccontano corpi stesi a terra, ospedali senza tregua, e un numero di vittime che continua a crescere. A Gaza non esiste più un luogo sicuro. La guerra si è fatta amministrazione quotidiana del dolore. In questo scenario, il Canada annuncia che riconoscerà lo Stato di Palestina all'Assemblea generale dell'ONU di settembre. Non un gesto isolato: anche Regno Unito e Francia si muovono sulla stessa linea. Ma Ottawa mette condizioni severe, dall'esclusione di Hamas dalle elezioni del 2026 alla costruzione di un'autorità statale smilitarizzata. Il governo israeliano grida al «premio al terrorismo». Trump, fedele alla linea di Netanyahu, minaccia ritorsioni commerciali contro i canadesi. Il riconoscimento, così com'è, sembra più un atto di pressione politica che un progetto di pace. Senza cessate il fuoco, senza un corridoio umanitario garantito, senza una strategia per fermare i massacri, ogni iniziativa diplomatica rischia di restare appesa al vuoto. La diplomazia non può essere una cerimonia di parole mentre la gente muore. Il dato politico, però, è evidente. Il blocco internazionale che finora ha protetto Israele comincia a incrinarsi. Si impone una domanda: quanto ancora si potrà fingere che l'occupazione e la violenza siano l'unico linguaggio possibile? La risposta, per ora, arriva dalle fosse comuni di Gaza. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
Sessantamila morti. Sessantamila. Lo scriviamo tutto in lettere, perché è così che si contano i crimini storici: con parole che restano. La fame – che secondo l'Integrated Food Security Phase Classification sta “già realizzando lo scenario peggiore” – non è un effetto collaterale: è una scelta deliberata. Martedì a Gaza sono morti “per errore” quelli che aspettavano cibo: perché è così che si muore, a Gaza. Non sotto le bombe, ma per una bottiglia d'acqua. Donald Trump, tra una buca e l'altra nel suo nuovo golf club scozzese, promette che “il cibo arriverà presto”. Parole vuote, dette come si parla di forniture di lattine alla Casa Bianca. Nel frattempo, il Regno Unito annuncia che riconoscerà lo Stato di Palestina se Israele non accetta una tregua. E Israele, con una faccia che ha smesso da tempo di vergognarsi, grida che è un premio a Hamas. Come se ogni diritto dei palestinesi dovesse essere sottoposto al permesso del loro carceriere. Due milioni di persone intrappolate, private di tutto. Le Nazioni Unite parlano chiaro: “Il mondo sta guardando un genocidio in tempo reale”. Ma la parola “genocidio” fa paura ai palazzi: preferiscono “crisi umanitaria”. Come se la complicità occidentale non grondasse sangue. E l'Italia? Un sussurro. Tajani balbetta “sconcerto”. Meloni tace. E mentre le agenzie raccontano bambini scheletrici, noi scegliamo di voltare la faccia. Per viltà, per calcolo, per convenienza elettorale. E allora sì: è anche colpa nostra. Ma più ancora di chi tace, è colpa di chi mente. Di chi parla di civiltà mentre finanzia l'assedio. Di chi firma accordi commerciali con le mani sporche di fame. #LaSveglia per La NotiziaDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.