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1- “ A Gaza, un incubo senza fine “. L'allarme lanciato oggi da Oxfam di fronte ad uno dei momenti più drammatici dal 7 ottobre 2023. ( Paolo Pezzati – OXFAM) 2-” consegnate gli ostaggi, dimettetevi dal potere “ Attacco senza precedenti di Abu Mazen contro la leadership di Hamas. Il presidente dell'ANP ha accusato il movimento islamista di aver dato a Israele il pretesto per radere al suolo la Striscia. ( Laura Silvia Battaglia) 3-Ucraina. Nuove pressioni degli Stati Uniti sul Zelensky. Il punto di Esteri con Lorenzo Cremonesi. 4-Diario americano. L'ennesimo Dietrofront di Donald Trump dopo il crollo dei mercati: ora promette che non licenzierà più il presidente della Federal Reserv Jerome Powell. ( Roberto Festa) 5--Romanzo a fumetti: La forza degli eroi il Graphic novel di David Sala. ( Luisa Nannipieri)
1) Dazi americani: chi vince e chi perde. Trump parla al telefono con Messico e Canada e interrompe per un mese le tariffe sulle esportazioni messicane. Ma la questione è più complessa. (Alfredo Somoza) 2) In Cisgiordania è in corso una pulizia etnica. Abu Mazen denuncia le operazioni militari israeliane nei territori occupati, che in un mese hanno ucciso almeno 70 palestinesi. (Luisa Morgantini - Assopace Palesina) 3) Siria, 15 morti per un attentato nel nord del paese. La questione curda resta uno dei temi più spinosi per il nuovo governo siriano. (Emanuele Valenti) 4) Francia e Algeria ai ferri corti. Il presidente algerino in un'intervista a un quotidiano francese parla di un rischio di "una rottura irreparabile" con Parigi. (Francesco Giorgini) 5) La rivincita di Adele Henel. Il primo processo del Me Too francese si conclude con una condanna al regista Christophe Ruggia, colpevole di aver molestato l'attrice quando era minorenne. (Luisa Nannipieri) 6) La musica country torna black. Beyonce vince il Grammy Award per il miglior album dell'anno con 'Cowboy Carter'. (Claudio Agostoni)
Subito due popoli e due Stati. Perché "senza questa prospettiva ci saranno sempre esplosioni di violenze".
Oggi sciopero del settore metalmeccanico a Bologna e in Emilia-Romagna in seguito all’esplosione dello stabilimento Toyota. Con noi Simone Selmi, segretario provinciale Fiom Cgil. Abu Mazen accusa: “Israele vuole svuotare Gaza”. Ci colleghiamo con Roberto Bongiorni, inviato de Il Sole 24 Ore a Beirut. Inaugurata in Germania il primo impianto europeo di riciclo completo delle batterie per auto elettriche. Sentiamo il nostro Maurizio Melis.
VIDEO: VIDEO: Le atrocità islamiche del 7 ottobre ➜ https://www.informazionecorretta.com/video/urlaepoiilsilenzio.mp4TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7943VOGLIAMO APRIRE GLI OCCHI SU QUELLO CHE I MUSULMANI STANNO FACENDO A ISRAELE? di Stefano MagniQuante dimostrazioni e prove servono prima di "aprire gli occhi" sul Medio Oriente? Il 7 ottobre di un anno fa è uno di quegli eventi che gli inglesi definiscono con un'espressione che in italiano non può essere tradotta mantenendo la stessa sintetica efficacia: eye opener (che permette di aprire gli occhi). Nonostante tutto, siamo ancora qui ad assistere ad un mondo di opinionisti e di influencer che pretenderebbero di farci aprire gli occhi su un "genocidio" che non c'è: quello dei palestinesi a Gaza. La moda-tormentone del "All eyes on Rafah" (tutti gli occhi siano puntati su Rafah) ne è l'esempio più lampante.Su cosa avremmo dovuto aprire gli occhi il 7 ottobre? Sugli obiettivi dichiarati e in parte anche realizzati di Hamas e sul ruolo di complice sia dell'Iran che dell'Autorità Palestinese. Il 7 ottobre, Hamas ha dimostrato che il suo reale obiettivo è solo quello di assassinare ebrei. Lo sfondamento della barriera di confine e la temporanea sconfitta delle guarnigioni di confine erano solo strumentali, un mezzo per raggiungere il fine. Il fine è stata l'uccisione indiscriminata di civili ebrei.Una volta che è stata colta di sorpresa l'IDF, la forza di difesa israeliana, Hamas non ha sfruttato il suo temporaneo successo per conseguire obiettivi militari o politici. Non sono state attaccate basi militari, né obiettivi economici. Non sono stati assassinati politici, né comandanti militari. L'unica cosa a cui i terroristi di Hamas miravano erano i civili. E li hanno uccisi in gran numero, almeno 1.200 secondo le stime più aggiornate. Li hanno assassinati ovunque si trovassero: in auto lungo le strade, nelle loro case, nei loro letti, o quando erano intenti a ballare in un rave party, il luogo in cui, essendo più concentrati, sono stati uccisi più in gran numero in una sola volta.Hamas non si è limitato ad uccidere. Ha voluto far soffrire le sue vittime nel peggiore dei modi. Vedere i video delle torture e delle uccisioni dei civili israeliani può causare un disturbo post traumatico allo spettatore non preparato alla violenza estrema. Quegli israeliani che sono stati uccisi con un colpo di fucile sono stati i più fortunati. Gli altri hanno subito dei supplizi che parevano seppelliti nella memoria delle invasioni degli unni o dei tartari, nelle guerre di religione di quattro secoli fa o nelle peggiori barbarie commesse durante la Seconda Guerra Mondiale. Non stiamo a descriverle, ma chi volesse approfondire l'argomento può leggere o (se ha il coraggio) guardare molto materiale che è stato raccolto il 7 ottobre. Nulla è mai stato nascosto.L'OSTENTAZIONE DELL'ORRORE E LA PARTECIPAZIONE DEI CIVILIE questa è, appunto, la terza lezione che avremmo dovuto apprendere dal 7 ottobre: il pogrom scatenato da Hamas è stato ampiamente documentato dai terroristi stessi che lo hanno commesso. Ognuno di loro aveva la sua body cam con cui riprendeva in tempo reale quel che stava facendo. Anche le torture più crudeli e fantasiose sono state filmate in tempo reale.Poi tutti questi "snuff movies" sono stati mandati subito sul web, affinché la gente sapesse subito tutto quel che era stato fatto. Da questo punto di vista, Hamas si è dimostrato molto diverso dai precedenti persecutori degli ebrei, soprattutto dai nazisti, che facevano di tutto per nascondere i loro crimini.L'altra scena che avrebbe dovuto aprirci gli occhi è stata la parata dei "vincitori" di ritorno a Gaza. Portavano con sé i prigionieri, ridotti in schiavitù, come da tradizione di tutti gli eserciti antichi. Gli ostaggi catturati erano ben 251, un bottino incredibilmente ricco per un gruppo terrorista che ha visto quanto sia disposta a pagare Israele per ogni singolo cittadino o soldato catturato. Il solo caporale Gilad Shalit era stato scambiato con mille prigionieri palestinesi, fra cui lo stesso Yahya Sinwar, capo di Hamas a Gaza, mente del 7 ottobre.Gli ostaggi liberati narrano di altre scene da film dell'orrore, sevizie, torture fisiche e psicologiche, isolamento, fame, peggio che in un lager. Basta vedere dove erano tenuti i sei sfortunati ostaggi che sono stati assassinati in settembre, poco prime che l'IDF arrivasse a liberarli: un tunnel scavato in profondità, basso tanto da non poter neppure rimanere in piedi, buio, senza alcun tipo di igiene (feci nel secchio, urina in bottiglia). Per undici lunghi mesi, fino a un'esecuzione capitale finale: questa è stata la vita dei sei ostaggi assassinati.Non vengono risparmiate sofferenze neppure ai prigionieri musulmani. Kaid Farhan Elkadi, beduino, liberato in un raid dell'esercito israeliano, è stato ferito, operato senza anestesia, nutrito a pane e acqua. Ed ha dovuto assistere all'omicidio di un altro prigioniero.In tutto questo, che ruolo ha avuto la popolazione di Gaza? Dovrebbero esserci rimaste impresse le immagini, appunto, del ritorno dei "vincitori" del 7 ottobre. Un trionfo. La gente festeggiava per strada, mentre i pick up dei terroristi tornavano trasportando gli ostaggi, o i cadaveri orrendamente mutilati degli israeliani che avevano appena ucciso. "Papà, ne ho uccisi con le mie mani!" urlava al telefono un terrorista al padre. E quello: "Che Dio ti protegga! Allah Akhbar!".Questo è l'atteggiamento medio: piena partecipazione, oltre la normale complicità. In giugno, un sondaggio ha rilevato che i due terzi dei palestinesi approvano il pogrom. E le teste mozzate degli israeliani sono state vendute all'asta. Ai confini del cannibalismo.Significativa anche la reazione dell'Autorità Palestinese: nessuna. Quella che viene ormai riconosciuta come la prima pietra del futuro Stato palestinese non ha neppure lamentato il comportamento dei terroristi di Hamas, neppure ha avuto l'ipocrisia di definirli "compagni che sbagliano". Dalle massime cariche palestinesi è giunta solo una tacita approvazione, quando non un'approvazione esplicita. Al massimo Abu Mazen, presidente (ormai eterno) dell'Ap, è giunto a dire che Hamas, così facendo "ha fornito un pretesto" a Israele per attaccare Gaza.IL SOSTEGNO IRANIANO E LA VERA NATURA DEL CONFLITTOIl 7 ottobre dovrebbe anche aprire definitivamente gli occhi anche sull'Iran, che dal giorno uno, ha fornito pieno sostegno politico, propagandistico e militare alla causa di Hamas. L'8 ottobre, a cadaveri ancora caldi, Hezbollah (emanazione del regime di Teheran in Libano) iniziava il suo lancio di razzi contro il nord di Israele. Una settimana dopo, gli Houthi (emanazione del regime di Teheran nello Yemen) davano inizio ad una guerra di pirateria contro le navi che attraversavano il Mar Rosso, per implementare un rudimentale blocco navale contro Israele.L'Iran è direttamente coinvolto nel 7 ottobre, informato dei fatti quasi in tempo reale, come dimostrano le riunioni (per la prima volta documentate anche con foto) a Beirut fra i vertici di Hamas, Hezbollah e della Guardia Rivoluzionaria iraniana. Per non parlare di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, che in Iran era letteralmente di casa. I servizi israeliani lo hanno ucciso... a Teheran.Il 7 ottobre avrebbe dovuto aprirci gli occhi sulla natura del conflitto mediorientale: una guerra combattuta da Israele per la sua sopravvivenza, contro un nemico che vuole gli israeliani morti. Nonostante tutto, a giudicare dai discorsi dei governi occidentali e da quel che leggiamo ogni giorno nelle pagine dei commenti delle maggiori testate europee e nord americane, si parla ancora del vecchio progetto (datato 1947) dei "due popoli in due Stati", spacciato come soluzione magica della guerra.Quale convivenza può essere possibile e quale confine si può tracciare se c'è un popolo che ne vuole annientare un altro? Si parla della questione mediorientale, come se fosse solo mediorientale. Ma l'Iran è coinvolto sin dall'inizio. Soprattutto, si fa pressione su Israele (e solo su Israele) perché accetti una pace di compromesso, pur sapendo ormai che combatte contro nemici che non accetterebbero mai compromessi fino all'annientamento fisico totale del popolo ebraico in Israele.Pur avendo visto di che pasta sono fatti i terroristi di Hamas (dai loro stessi video) diamo ancora per buona la loro versione dei fatti. Sentiamo descrivere la guerra a Gaza come un "genocidio israeliano", abbiamo rilanciato la notizia di carestie che non c'erano, di assedio per fame quando i camion portavano aiuti alimentari, di decine di migliaia di bambini morti che nessuno (se non Hamas e i suoi complici) ha mai potuto contare.Le parole hanno conseguenze e il loro effetto è un progressivo isolamento di Israele, della parte aggredita, della nazione che lotta per la sopravvivenza. Come se il 7 ottobre non fosse mai esistito.
Iniziamo questa puntata tornando sulla crisi in Medio Oriente. Lo facciamo con Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight e ricercatore Ispi.Andiamo poi in Ucraina, a Kharkiv, dal nostro Gigi Donelli che ci aggiorna sulla situazione. In Italia il numero più alto in Ue di morti per mesotelioma. Cerchiamo di capire il perchè con Carlo La Vecchia, Professore Ordinario di statistica medica ed epidemiologia presso l'Università Statale di Milano.In campo la Roma di Juric sfida l'Athletic Bilbao. Ma è anche la giornata di Luna Rossa. Ci aggiorna Giovanni Capuano.
1) “Il mondo intero è responsabile di ciò che succede a Gaza e in Cisgiordania. Abu Mazen parla davanti all'assemblea generale delle nazioni unite e propone un piano per il post guerra. Intanto Israele continua a colpire in libano. Almeno 26 morti nei raid di oggi, 100mila sfollati in una settimana. Netanyahu esclude un cessate il fuoco. (Andrea Monti, Virginia Sarotto - Arcs) 2) Ucraina. Zelensky presenta a Joe Biden il suo “piano per la vittoria”, che prevede più soldi, più armi e l'autorizzazione a colpire in Russia. Ma il vero obiettivo del presidente Ucraino è assicurarsi il sostegno americano prima delle elezioni. (Roberto Festa) 3) Messico, dieci anni fa sparivano gli studenti di Ayotzinapa. Ad oggi i loro corpi non sono ancora stati trovati e la verità non è ancora emersa. (Sara Milanese, Aranzazù Ayala Martìnez) 4) Al G7 agricoltura il focus sarà sull'Africa, ma oltre agli annunci servono misure concrete. (Chiara Garbin, Nicola Morganti - Acra) 5) In Giappone è stato assolto dall'accusa di omicidio un uomo che ha passato mezzo secolo nel braccio della morte. Il suo caso ha fatto molto discutere i giapponesi sulla pratica della pena di morte nel paese. (Elena Brizzi) 6) World Music. "Chain of Light", l'album ritrovato del cantante pakistano Nusrat Fateh Ali Khan. (Marcello Lorrai)
This is a free preview of a paid episode. To hear more, visit zeteo.comThroughout the course of Israel's brutal 10-month assault on Gaza, Ami Ayalon – the former head of Israel's Security Service, Shin-Bet, and the ex-commander of the Israeli Navy – has emerged as one of the Netanyahu government's chief critics, along with several other former Israeli military officials. In this wide-ranging interview for ‘Mehdi Unfiltered,' Ayalon tells Mehdi why he believes Benjamin Netanyahu and Itamar Ben-Gvir are a threat to Israeli democracy, why it is time to “stop the occupation,” and why he would fight against Israel if he were a Palestinian.“[Netanyahu] did everything in order to increase the power of Hamas and to make sure that Abu Mazen and the Palestinian Authority will not be able to create a unified government,” Ayalon says. “I think that too many Israelis do not understand that we shall not have security unless we shall stop the occupation. And we shall not have democracy unless we shall end the occupation.”As reports of Israeli torture and rape against detained Palestinians continue to emerge, Mehdi also confronts Ayalon over allegations of torture against Shin Bet on his watch - and the former security chief admits to Mehdi that he has “many regrets.”Watch the full interview, above, to see Mehdi debate Ayalon on whether or not Israel is committing war crimes in Gaza by bombing civilian targets. Please note that free subscribers can only watch the first ten minutes as a preview.If you're a paid subscriber, join the conversation below - we love hearing what you think!
Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è morto in seguito a un attacco israeliano avvenuto nella notte contro la sua residenza a Teheran. Secondo l'agenzia di stampa saudita Al-Hadath, la residenza è stata colpita da un missile guidato.
Israele è pronto ad entrare a Rafah. L'allarme arriva dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen che dichiara: "Solo gli Usa possono ancora impedirlo".
An Idea: The “United Palestinian Emirates” Sunday, February 18th Member of Knesset Idan Roll and Sharren Haskel hosted dozens of experts at Israel's Knesset to discuss their ideas and suggestions for “The Day after Abu Mazen” (88-year-old Palestinian Authority President Mahmoud Abbas). Enclosed are three responses recorded in English from Dr. Motti Kedar, Col. Grisha Yakubovich and Jerusalem Center for Public Affairs President Dr. Dan Diker. Israel Daily News Roundtable: https://www.patreon.com/shannafuld Support our Wartime News Coverage: https://www.gofundme.com/f/independent-journalist-covering-israels-war Support the show here: https://linktr.ee/israeldailynews Music: Chiribim; Erika Krall https://open.spotify.com/track/2vd8bGN4KG2Vw4CEvIDLMh?si=9OpLCmlBRNubm7bUtg1hFw --- Support this podcast: https://podcasters.spotify.com/pod/show/israeldailynews/support
A cura di Daniele Biacchessi Si allontana il tentativo di intesa tra Israele e Hamas, nonostante l'impegno diplomatico di Qatar, Egitto e dell'amministrazione americana del presidente Joe Biden che ha inviato per l'ennesima volta il segretario di Stato Antony Blinken a colloquio con Benjamin Netanyahu. Il documento di Hamas chiede quattro mesi e mezzo di cessate il fuoco invece che un mese e mezzo. Inoltre le tre fasi per la liberazione degli ostaggi dovrebbero durare 45 giorni ciascuna. Nella prima fase ci sarebbe la liberazione di un primo gruppo di ostaggi formato da donne, bambini e anziani, poi nella seconda parte toccherebbe agli uomini e infine nella terza fase ai corpi senza vita. Lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi non avverrebbe più secondo la proporzione di un israeliano contro tre palestinesi: il gruppo di Gaza chiede la scarcerazione di almeno millecinquecento prigionieri, elencati nome per nome in una lista, e di questi cinquecento sono condannati all'ergastolo per terrorismo. Il premier israeliano definisce deliranti le condizioni poste da Hamas per raggiungere la tregua e il rilascio degli ostaggi. "Cedere porterebbe ad un altro massacro. La guerra finirà solo con la totale distruzione di Hamas". Il messaggio giunge al termine di una giornata in cui Netanyahu ha ricevuto da Blinken una dura e inappellabile critica sulla conduzione del conflitto. "L'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas non offre a Israele la licenza di disumanizzare il nemico". Le posizioni americane e israeliane sono talmente distanti che alla fine non avviene nessuna conferenza stampa congiunta: Netanyahu a Gerusalemme, Blinken a Tel Aviv. Anzi il segretario di Stato incontra poco dopo Abu Mazen e gli conferma di voler proseguire sulla strada del riconoscimento di uno stato palestinese. A questo punto, l'accordo è ancora più lontano: serve un ulteriore sforzo diplomatico e una decisione politica forte da parte degli Stati Uniti che ancora non c'è stata. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
A cura di Daniele Biacchessi Si allontana il tentativo di intesa tra Israele e Hamas, nonostante l'impegno diplomatico di Qatar, Egitto e dell'amministrazione americana del presidente Joe Biden che ha inviato per l'ennesima volta il segretario di Stato Antony Blinken a colloquio con Benjamin Netanyahu. Il documento di Hamas chiede quattro mesi e mezzo di cessate il fuoco invece che un mese e mezzo. Inoltre le tre fasi per la liberazione degli ostaggi dovrebbero durare 45 giorni ciascuna. Nella prima fase ci sarebbe la liberazione di un primo gruppo di ostaggi formato da donne, bambini e anziani, poi nella seconda parte toccherebbe agli uomini e infine nella terza fase ai corpi senza vita. Lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi non avverrebbe più secondo la proporzione di un israeliano contro tre palestinesi: il gruppo di Gaza chiede la scarcerazione di almeno millecinquecento prigionieri, elencati nome per nome in una lista, e di questi cinquecento sono condannati all'ergastolo per terrorismo. Il premier israeliano definisce deliranti le condizioni poste da Hamas per raggiungere la tregua e il rilascio degli ostaggi. "Cedere porterebbe ad un altro massacro. La guerra finirà solo con la totale distruzione di Hamas". Il messaggio giunge al termine di una giornata in cui Netanyahu ha ricevuto da Blinken una dura e inappellabile critica sulla conduzione del conflitto. "L'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas non offre a Israele la licenza di disumanizzare il nemico". Le posizioni americane e israeliane sono talmente distanti che alla fine non avviene nessuna conferenza stampa congiunta: Netanyahu a Gerusalemme, Blinken a Tel Aviv. Anzi il segretario di Stato incontra poco dopo Abu Mazen e gli conferma di voler proseguire sulla strada del riconoscimento di uno stato palestinese. A questo punto, l'accordo è ancora più lontano: serve un ulteriore sforzo diplomatico e una decisione politica forte da parte degli Stati Uniti che ancora non c'è stata. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
Il segretario di stato degli Stati Uniti Antony Blinken è andato a sorpresa a Ramallah, in Cisgiordania, dove ha incontrato il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen. Il leader del principale partito dell'opposizione e altre migliaia di manifestanti sono stati arrestati in seguito alle violenze scoppiate durante le proteste contro il governo.CONLucia Capuzzi, inviata di AvvenireGiuliano Battiston, giornalista, direttore di Lettera 22LINKBlinken: https://www.youtube.com/watch?v=8zTE_gUO-Uw Bangladesh: https://www.youtube.com/watch?v=1yVzZp5YC10Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale. È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un'informazione di qualità. Vai su internazionale.it/podcast Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.Produzione di Claudio Balboni e Vincenzo De Simone.Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.Direzione creativa di Jonathan Zenti.
Estamos de volta. Um mês dessa insanidade. Cerca de 12.000 mortos. Bloco 1 - Resumão dos últimos dias de guerra. Nasrallah fala do bunker e exército israelense entra na cidade de Gaza. Bloco 2 - Gabinete ministerial decide repassar dinheiro confiscado dos palestinos. Hamas diz que não vai aceitar. - Smotritch quer repassar mais 300 milhões para o ensino ultra-ortodoxo, Gantz recusa. - Deputado Amichai aventa possibilida de uso de bomba atômica em Gaza - é "afastado". - Ministro da justiça Yariv Levin convoca comissão para nomeação de juízes. - Khatib Yasin, deputada do Ra'am,faz fala polêmica e se desculpa. - Netanyahu em instrução oficial a jornalistas diz que vai investigar relação entre Hamas e a "deserção" de reservistas voluntários. Bloco 3 - Anthony Blinken se reúne com Abu Mazen para discutir futuro; - Turquia quer ser ator importante no futuro do Oriente Médio. - UE apresenta ideia para o dia depois da guerra. Para quem puder dar aquela força para a gente, esses são os links para as nossas campanhas de financiamento coletivo. Apoio mensal: apoia.se/doladoesquerdodomuro Contribuição única: apoia.se/doladoesquerdometa Nós nas redes: twitter - @doladoesquerdo e @joaokm instagram - @doladoesquerdodomuro Episódio #216 do podcast "Do Lado Esquerdo do Muro", com Marcos Gorinstein e João Miragaya.
Gli Stati Uniti cercano una soluzione al conflitto tra Hamas e Israele. Il segretario di Stato Antony Blinken si è infatti recato in Cisgiordania dove ha incontrato il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas o Abu Mazen. Ne parliamo con Roberto Bongiorni, giornalista del Sole 24Ore ora in Cisgiordania.L’ex presidente Donald Trump è arrivato in tribunale a New York per testimoniare al processo in cui è già stata decretata la sua colpevolezza per frode. Ne parliamo con Mario Del Pero, docente di Storia della politica estera americana a SciencePo.
Gigi Riva è un giornalista e scrittore che conosce bene il Medio Oriente e la striscia di Gaza. In un suo articolo per Domani racconta come anche in Israele ricominci a circolare il nome Marwan Barghouti, 64 anni, che dimostra plasticamente quanto si falsa la teoria della Palestina che “sta con Hamas”. Barghouti nato a Kobar, villaggio nei pressi di Ramallah pagò con un primo arresto la partecipazione a una sommossa nel 1976. Come racconta Riva si iscrisse all'università di Bir Zeit, due lauree, in storia e scienze politiche, un master in relazioni internazionali, fu riarrestato, espulso in Giordania. Rientrato nel 1994 dopo la firma degli Accordi di Oslo, usa la sua riconosciuta capacità oratoria per difendere il processo di pace e viene notato dai vertici, Arafat compreso, che lo inglobano nel Consiglio legislativo e lo spingono alla carica di segretario generale di Fatah per la Cisgiordania. Al processo pubblico in Israele del 2004 si presenta sorridente, le mani incatenate alzate verso l'alto e con il segno della vittoria. Al Washington Post consegna il suo autoritratto: «Non sono un terrorista, non sono neppure un pacifista. Sono semplicemente un normale uomo della strada palestinese che difende la causa che ogni oppresso difende, il diritto di difendermi in assenza di aiuti che potrebbero venire da altre parti». La sentenza è scontata, carcere a vita. Dopo 18 anni di prigionia risulta in testa nei sondaggi sbaragliando il leader di Hamas Ismail Haniyeh sia Abu Mazen. Per Arab Barometer”, istituto demoscopico fondato da Amaney Jamal docente a Stanford a Gaza il 44 per cento dei palestinesi non ha nessuna fiducia in Hamas e il 23 per cento molto poca, il 73 per cento vuole un accordo di pace con Israele. La Striscia non è Hamas. #LaSveglia per La Notizia
di Alessandro Luna | Tra gli argomenti di oggi il coinvolgimento di Abu Mazen nel dopoguerra a Gaza, le operazioni dell'esercito israeliano e la riforma costituzionale di Meloni. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
A cura di Daniele Biacchessi Nel conflitto tra Israele e Hamas, l'Autorità Nazionale Palestinese si trasforma in queste ore in una sorta di "Araba fenice", l'uccello mitologico che ogni cinquecento anni si bruciava da sé per poi rinascere dalle proprie ceneri. Schiacciata dal peso delle operazioni dei fondamentalisti di Hamas dello scorso 7 ottobre e dalla sproporzionata risposta militare di aria, mare e terra di Israele, Anp cerca un ruolo politico a Gaza ed è disposta persino ad accettare il piano americano illustrato dal segretario di Stato Antony Blinken. Abu Mazen ha accettato di svolgere un ruolo di responsabilità nell'amministrazione di Gaza, ma nel quadro di una "soluzione politica complessiva" che includa anche Cisgiordania e Gerusalemme Est. Fino ad oggi, Mazen si è ritagliato un profilo basso, ma importante, evitando l'apertura di un secondo fronte in Cisgiordania, nonostante gli attacchi lanciati da alcuni coloni israeliani. Così ha chiesto un immediato stop della guerra di Israele a Gaza, e sollecitato l'urgente fornitura di aiuti umanitari. Non ha condannato apertamente Hamas, per non compromettere la sua inesistente popolarità tra i palestinesi, ma ha cercato di seguire una linea, diciamo così, di responsabilità. Il piano americano prevede un nuovo ruolo dell'Autorità palestinese: il Governo dell'intera Striscia di Gaza, al termine dell'offensiva militare israeliana. In questo modo, secondo gli americani, Anp colmerebbe il vuoto di potere. Nel ragionamento dell'amministrazione Biden, lo Stato palestinese dovrebbe far parte del pacchetto per il futuro della regione, come hanno ribadito tutti i leader arabi e ripeterà oggi Erdogan. Ma Anp è debole e non può permettersi di tornare a Gaza sulle ali dell'offensiva israeliana. Abu Mazen ha bisogno che riprenda il negoziato di pace e il ritorno avvenga nel quadro della creazione dello Stato palestinese. La sensazione che questa manovra politica sia travolta dagli eventi bellici. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
A cura di Daniele Biacchessi Nel conflitto tra Israele e Hamas, l'Autorità Nazionale Palestinese si trasforma in queste ore in una sorta di "Araba fenice", l'uccello mitologico che ogni cinquecento anni si bruciava da sé per poi rinascere dalle proprie ceneri. Schiacciata dal peso delle operazioni dei fondamentalisti di Hamas dello scorso 7 ottobre e dalla sproporzionata risposta militare di aria, mare e terra di Israele, Anp cerca un ruolo politico a Gaza ed è disposta persino ad accettare il piano americano illustrato dal segretario di Stato Antony Blinken. Abu Mazen ha accettato di svolgere un ruolo di responsabilità nell'amministrazione di Gaza, ma nel quadro di una "soluzione politica complessiva" che includa anche Cisgiordania e Gerusalemme Est. Fino ad oggi, Mazen si è ritagliato un profilo basso, ma importante, evitando l'apertura di un secondo fronte in Cisgiordania, nonostante gli attacchi lanciati da alcuni coloni israeliani. Così ha chiesto un immediato stop della guerra di Israele a Gaza, e sollecitato l'urgente fornitura di aiuti umanitari. Non ha condannato apertamente Hamas, per non compromettere la sua inesistente popolarità tra i palestinesi, ma ha cercato di seguire una linea, diciamo così, di responsabilità. Il piano americano prevede un nuovo ruolo dell'Autorità palestinese: il Governo dell'intera Striscia di Gaza, al termine dell'offensiva militare israeliana. In questo modo, secondo gli americani, Anp colmerebbe il vuoto di potere. Nel ragionamento dell'amministrazione Biden, lo Stato palestinese dovrebbe far parte del pacchetto per il futuro della regione, come hanno ribadito tutti i leader arabi e ripeterà oggi Erdogan. Ma Anp è debole e non può permettersi di tornare a Gaza sulle ali dell'offensiva israeliana. Abu Mazen ha bisogno che riprenda il negoziato di pace e il ritorno avvenga nel quadro della creazione dello Stato palestinese. La sensazione che questa manovra politica sia travolta dagli eventi bellici. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. ___________________________________________________ Ascolta altre produzioni di Giornale Radio sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it
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La missione del presidente americano Joe Biden in Medio Oriente parte nel peggiore dei modi, con una strage di centinaia di civili palestinesi all'ospedale di Gaza, le cui responsabilità non sono state chiarite e naufragano nel classico scaricabarile tra Hamas e esercito israeliano. Si restringe anche il campo dell'azione diplomatica perchè la tappa cruciale in Giordania è stata annullata e Biden non vedrà il presidente palestinese Mahmoud Abbas, il ministero degli Esteri giordano e il presidente egiziano Sisi. Il presidente palestinese Abu Mazen conferma il suo ritorno in Cisgiordania dopo la cancellazione del vertice di Amman dopo il massacro a Gaza, e afferma che i palestinesi "non accetteranno un'altra Nakba del XXI secolo". Senza gli interlocutori arabi, il tentativo di Joe Biden di evitare l'estensione della guerra in corso a Gaza, con conseguenze imprevedibili per l'intera stabilità globale, si trasforma in una missione impossibile.Biden vuole portare a casa almeno le cosiddette “safe zones” nella Striscia dove i civili non verranno attaccati da Israele, e la fornitura degli aiuti umanitari secondo un piano che escluderebbe il controllo di Hamas. Il portavoce militare americano Daniel Hecht, ha già messo le mani avanti: la reazione israeliana alla strage del 7 ottobre potrebbe essere qualcosa di diverso dalla tanto temuta offensiva di terra, capace di devastare Gaza e scatenare la risposta dell'Iran. Biden punta soprattutto a evitare azioni capaci di scatenare un conflitto regionale, che potrebbe andare oltre l'Iran, compromettendo anche le difficili operazioni in Ucraina. Usa e Israele si sono accordati su un piano per far arrivare gli aiuti umanitari senza l'intervento di Hamas. Si tratta ora di vedere se funzionerà, e se l'Egitto aprirà finalmente il valico di Rafah per far entrare l'assistenza. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
La missione del presidente americano Joe Biden in Medio Oriente parte nel peggiore dei modi, con una strage di centinaia di civili palestinesi all'ospedale di Gaza, le cui responsabilità non sono state chiarite e naufragano nel classico scaricabarile tra Hamas e esercito israeliano. Si restringe anche il campo dell'azione diplomatica perchè la tappa cruciale in Giordania è stata annullata e Biden non vedrà il presidente palestinese Mahmoud Abbas, il ministero degli Esteri giordano e il presidente egiziano Sisi. Il presidente palestinese Abu Mazen conferma il suo ritorno in Cisgiordania dopo la cancellazione del vertice di Amman dopo il massacro a Gaza, e afferma che i palestinesi "non accetteranno un'altra Nakba del XXI secolo". Senza gli interlocutori arabi, il tentativo di Joe Biden di evitare l'estensione della guerra in corso a Gaza, con conseguenze imprevedibili per l'intera stabilità globale, si trasforma in una missione impossibile.Biden vuole portare a casa almeno le cosiddette “safe zones” nella Striscia dove i civili non verranno attaccati da Israele, e la fornitura degli aiuti umanitari secondo un piano che escluderebbe il controllo di Hamas. Il portavoce militare americano Daniel Hecht, ha già messo le mani avanti: la reazione israeliana alla strage del 7 ottobre potrebbe essere qualcosa di diverso dalla tanto temuta offensiva di terra, capace di devastare Gaza e scatenare la risposta dell'Iran. Biden punta soprattutto a evitare azioni capaci di scatenare un conflitto regionale, che potrebbe andare oltre l'Iran, compromettendo anche le difficili operazioni in Ucraina. Usa e Israele si sono accordati su un piano per far arrivare gli aiuti umanitari senza l'intervento di Hamas. Si tratta ora di vedere se funzionerà, e se l'Egitto aprirà finalmente il valico di Rafah per far entrare l'assistenza. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
A cura di Ferruccio Bovio Non possiamo certamente dirci sorpresi dalla notizia che Hamas dichiari la sua contrarietà alla predisposizione di corridoi umanitari. I fondamentalisti palestinesi giocano, infatti, tutte le loro carte sul fatto che, a seguito della carneficina di sabato scorso, la reazione israeliana sarà la più dura di sempre e finirà, pertanto, per provocare la morte di un numero spropositato di abitanti della Striscia di Gaza, con particolare predilezione per i bambini. D'altra parte, è una loro tradizionale tecnica quella di usare, senza farsi alcuno scrupolo, la popolazione civile come carne da cannone, in modo da alimentare l'ostilità dell'opinione pubblica mondiale nei confronti di Israele e delle sue reazioni militari che, inevitabilmente, causano sistematicamente numerose vittime anche tra i cosiddetti “scudi umani”. Ecco perché – non a caso - i centri di comando o i depositi di armi di Hamas sono spesso e volentieri collocati in prossimità di una scuola elementare, di un ospedale o di una sede di qualche organizzazione umanitaria...Del resto – per chi ci crede sul serio - che valore può avere la vita terrena di qualche bambino in più o in meno di fronte alla prospettiva messianica di una rinascita palingenetica di tutta l'umanità? Sanno bene i dirigenti di Hamas che se lasciassero libera la popolazione di portare la pelle in salvo, rimanendo da soli a vedersela con l'esercito di Tel Aviv, verrebbero annientati in poche giornate: di conseguenza, è molto più sicuro per se stessi e per la sopravvivenza del loro partito tenere gli sventurati cittadini di Gaza in ostaggio. Non sarebbe, comunque, corretto guardare ad Hamas come ad una sorta di cosca mafiosa che si è imposta con la violenza su una comunità composta da miti fraticelli di Assisi, poiché si tratta, invece, di una forza politica che è al potere per aver vinto regolarmente le ultime elezioni sulla base di uno spietato programma ideologico e militare ben noto a tutti gli elettori. Inoltre, non va dimenticato che, se nella Cisgiordania di Abu Mazen non si vota dal 2006, è proprio perché il vecchio presidente è ben consapevole del fatto che a conquistare la maggioranza parlamentare sarebbe anche lì il partito del terrorismo e del fanatismo religioso. Tuttavia, sebbene sia impossibile sapere quanti degli oltre due milioni di abitanti della Striscia siano ancora oggi favorevoli ad Hamas (e disposti, quindi, ad immolarsi), noi siamo portati a pensare che una parte consistente di essi, se potesse decidere liberamente, opterebbe per la propria salvezza e per quella dei propri cari. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
A cura di Ferruccio Bovio Non possiamo certamente dirci sorpresi dalla notizia che Hamas dichiari la sua contrarietà alla predisposizione di corridoi umanitari. I fondamentalisti palestinesi giocano, infatti, tutte le loro carte sul fatto che, a seguito della carneficina di sabato scorso, la reazione israeliana sarà la più dura di sempre e finirà, pertanto, per provocare la morte di un numero spropositato di abitanti della Striscia di Gaza, con particolare predilezione per i bambini. D'altra parte, è una loro tradizionale tecnica quella di usare, senza farsi alcuno scrupolo, la popolazione civile come carne da cannone, in modo da alimentare l'ostilità dell'opinione pubblica mondiale nei confronti di Israele e delle sue reazioni militari che, inevitabilmente, causano sistematicamente numerose vittime anche tra i cosiddetti “scudi umani”. Ecco perché – non a caso - i centri di comando o i depositi di armi di Hamas sono spesso e volentieri collocati in prossimità di una scuola elementare, di un ospedale o di una sede di qualche organizzazione umanitaria...Del resto – per chi ci crede sul serio - che valore può avere la vita terrena di qualche bambino in più o in meno di fronte alla prospettiva messianica di una rinascita palingenetica di tutta l'umanità? Sanno bene i dirigenti di Hamas che se lasciassero libera la popolazione di portare la pelle in salvo, rimanendo da soli a vedersela con l'esercito di Tel Aviv, verrebbero annientati in poche giornate: di conseguenza, è molto più sicuro per se stessi e per la sopravvivenza del loro partito tenere gli sventurati cittadini di Gaza in ostaggio. Non sarebbe, comunque, corretto guardare ad Hamas come ad una sorta di cosca mafiosa che si è imposta con la violenza su una comunità composta da miti fraticelli di Assisi, poiché si tratta, invece, di una forza politica che è al potere per aver vinto regolarmente le ultime elezioni sulla base di uno spietato programma ideologico e militare ben noto a tutti gli elettori. Inoltre, non va dimenticato che, se nella Cisgiordania di Abu Mazen non si vota dal 2006, è proprio perché il vecchio presidente è ben consapevole del fatto che a conquistare la maggioranza parlamentare sarebbe anche lì il partito del terrorismo e del fanatismo religioso. Tuttavia, sebbene sia impossibile sapere quanti degli oltre due milioni di abitanti della Striscia siano ancora oggi favorevoli ad Hamas (e disposti, quindi, ad immolarsi), noi siamo portati a pensare che una parte consistente di essi, se potesse decidere liberamente, opterebbe per la propria salvezza e per quella dei propri cari. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
A cura di Daniele Biacchessi Come in ogni conflitto nella storia dell'umanità, anche nella guerra ingaggiata da Hamas contro Israele e nella reazione spropositata di Tel Aviv contro i palestinesi, sono sempre le popolazioni civili a contare vittime, feriti, distruzioni di case e interi villaggi. Nuove stime ufficiali segnalano che i morti in Israele per l'attacco di Hamas proveniente da Gaza sono saliti a più di 1200, e i palestinesi rimasti uccisi nei raid aerei israeliani sono 900 e quelli feriti 4500. Chi sono? Quali sono i loro volti? Le testimonianze del massacro di cinque giorni fa riempiono i canali israeliani, sia dal concerto assaltato al mattino che dai kibbutz finiti sotto il controllo di Hamas per quasi un giorno. E i video girati a Gaza dai palestinesi in questi minuti dimostrano che le vittime sono essenzialmente civili, decine di loro minorenni, alcuni piccoli ancora in fasce. Non c'è differenza tra i ragazzi colpiti durante il rave dei pacifisti israeliani nel deserto e i giovani palestinesi trucidati dai raid degli aerei e dell'artiglieria israeliana. Civili uccisi mentre provano a fuggire a piedi o in macchina, un giovane sorpreso nel parcheggio del rave fucilato da membri di Hamas mentre è sdraiato a terra, interi nuclei familiari sterminati dai bombardamenti. Sono tutte vittime innocenti della mancata pacificazione dei territori. Sono il frutto amaro delle scelte politiche sbagliate di Netanyahu e della debolezza della leadership dell'Anp, della corsa agli armamenti degli israeliani e della mancanza di un controllo da parte di Abu Mazen rispetto alle attività terrorstiche delle frange più estreme del fondamentalismo palestinese. Solo con un piano duraturo di pace in Medio oriente, garantito da tutte le istituzioni mondiali, due popoli potranno convivere in due territori. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
A cura di Daniele Biacchessi Come in ogni conflitto nella storia dell'umanità, anche nella guerra ingaggiata da Hamas contro Israele e nella reazione spropositata di Tel Aviv contro i palestinesi, sono sempre le popolazioni civili a contare vittime, feriti, distruzioni di case e interi villaggi. Nuove stime ufficiali segnalano che i morti in Israele per l'attacco di Hamas proveniente da Gaza sono saliti a più di 1200, e i palestinesi rimasti uccisi nei raid aerei israeliani sono 900 e quelli feriti 4500. Chi sono? Quali sono i loro volti? Le testimonianze del massacro di cinque giorni fa riempiono i canali israeliani, sia dal concerto assaltato al mattino che dai kibbutz finiti sotto il controllo di Hamas per quasi un giorno. E i video girati a Gaza dai palestinesi in questi minuti dimostrano che le vittime sono essenzialmente civili, decine di loro minorenni, alcuni piccoli ancora in fasce. Non c'è differenza tra i ragazzi colpiti durante il rave dei pacifisti israeliani nel deserto e i giovani palestinesi trucidati dai raid degli aerei e dell'artiglieria israeliana. Civili uccisi mentre provano a fuggire a piedi o in macchina, un giovane sorpreso nel parcheggio del rave fucilato da membri di Hamas mentre è sdraiato a terra, interi nuclei familiari sterminati dai bombardamenti. Sono tutte vittime innocenti della mancata pacificazione dei territori. Sono il frutto amaro delle scelte politiche sbagliate di Netanyahu e della debolezza della leadership dell'Anp, della corsa agli armamenti degli israeliani e della mancanza di un controllo da parte di Abu Mazen rispetto alle attività terrorstiche delle frange più estreme del fondamentalismo palestinese. Solo con un piano duraturo di pace in Medio oriente, garantito da tutte le istituzioni mondiali, due popoli potranno convivere in due territori. "Il Corsivo" a cura di Daniele Biacchessi non è un editoriale, ma un approfondimento sui fatti di maggiore interesse che i quotidiani spesso non raccontano. Un servizio in punta di penna che analizza con un occhio esperto quell'angolo nascosto delle notizie di politica, economia e cronaca. Per i notiziari sempre aggiornati ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornale_radio_fm/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
Siamo tornati! Dopo una lunga vacanza, ma siamo qui. E riapriamo le danze con classe. Tutti e tre: Emiliano Pirri, Paolo Cannazza e l'Avvocato Saverio Saverio. Cominciamo subito fortissimo con un Carmine Ianniciello in grandissima forma. Ci spiega come “sgamare” i draconiani. Ci parla delle sue avventure mentre va nelle case delle persone a giudicare se i loro mobili siano infestati o no, costringendo poi questi poveri ignari a buttare l'intero pezzo nel caso della presenza di un'anima o ancor peggio un demone. La controcopertina è confezionato dalla signora Anna Maria Giotta che ci racconta le sue avventure ed esperienze sentimentali, spiegando a noi peccatori i nostri errori. Tutto ciò commentato dalle dolci lamentele della La vajassa del duce ™, la mamma dell'avvocato. La naziletana, questa volta, ha deciso di occuparsi di persone di origine africana. Le sue disavventure con il Professor Dottor Djallo (pronunciato Giallo) che gli ha caricato 10 casse di acqua sulla macchina, per la magra mancia di un euro. Ci dice più volte quanto siamo inutili con molti epiteti coloriti e napoletani. Passiamo poi al momento musicale: Kanye West ci delizia con l'esecuzione di alcuni classici della musica italiana. Il momento musicale continua, con il grande ritorno del Maestro Anthony Rock, capolavori insaspettati. Abu Mazen, presidente dell'autorità palestinese, ha anche lui deciso di entrare a gamba tesa nel dibattito pubblico. Secondo quest'alta carica Hitler ce l'aveva con gli ebrei non a causa del suo antisemitismo, ma a causa della tendenza di quest'ultimi a praticare l'usura. Sembra proprio che abbia preso il suo programma politico da la canzone L'Israelita de I Plebei, che riascoltiamo con gusto. Questo focus semita ci ricorda il bellissimo video di YouTube Ebrei che litigano per una mela, leggendo con gusto i commenti più assurdi lasciati sotto. Un altro grande ritorno. Limba Sarda, il più ispanico di tutti i sardi, tenta la difesa di Pablo Escobar, che è stato fatto fuori dalla CIA in quanto politico di centrosinistra, come la Schlein. Concludiamo con il momento sceneggiato de L'Asse, da gustare. Buon Podcast e Viva L'Asse. --- Send in a voice message: https://podcasters.spotify.com/pod/show/lasse-nella-manicas-show/message Support this podcast: https://podcasters.spotify.com/pod/show/lasse-nella-manicas-show/support
Welcome to The Times of Israel's Daily Briefing, your 15-minute audio update on what's happening in Israel, the Middle East and the Jewish world, from Sunday through Thursday. Editor David Horovitz and senior analyst Haviv Rettig Gur join host Amanda Borschel-Dan in today's episode. Following a visit by National Security Minister Itamar Ben Gvir to the Temple Mount yesterday, the US State Department spokesperson Matthew Miller said the US is “concerned by today's provocative visit to the Temple Mount/Haram al-Sharif in Jerusalem and the accompanying inflammatory rhetoric,” adding that, “This holy space should not be used for political purposes, and we call on all parties to respect its sanctity.” Why are Israeli MKs and ministers increasingly ascending the mount? Rettig Gur drills down into the failure of Israeli and ultra-Orthodox to create a self-sustaining haredi culture. He explains how, by caving into haredi leadership's demands in the budget, the coalition is creating an increasingly fractured Israeli society. Last week, the United Nations General Assembly marked Nakba Day for the first time, including a keynote address by Palestinian Authority President Mahmoud Abbas. Horovitz explains what was remarkable about Abu Mazen's speech. Discussed articles include: US flogs Ben Gvir for ‘provocative, inflammatory' tour on tense Temple Mount On the way up to the Temple Mount, Likud is becoming Otzma Yehudit Ad-libbed at the General Assembly, Mahmoud Abbas's full-blown rejectionism Subscribe to The Times of Israel Daily Briefing on iTunes, Spotify, PlayerFM, Google Play, or wherever you get your podcasts. IMAGE: Palestinian Authority President Mahmoud Abbas speaks at a UN event commemorating the Palestinian 'Nakba,' in New York, May 15, 2023. (Screenshot: UN; used in accordance with Clause 27a of the Copyright Law)See omnystudio.com/listener for privacy information.
It's a challenging moment for the Palestinian Authority. INSS researcher and Israeli-Palestinian Research Program Coordinator Noa Shusterman joins IPF Atid Director Shanie Reichman to assess several worrying trends in the West Bank that have weakened the PA, including the rise of new Palestinian militant groups and IDF incursions into Area A. Looking forward, they also discuss the Israeli security establishment's assessment of these trends and consider scenarios for the day after Abu Mazen.Please help us learn about our audience by filling out our podcast listener survey here: ipf.li/surveySupport the show
Editor-in-Chief Yaakov Katz sat down with Lahav Harkov, Khaled Abu Toameh and Seth Frantzman for a conversation about the Post, its significance and how their jobs have changed. To mark The Jerusalem Post's 90th anniversary, Editor-in-Chief Yaakov Katz sat down with Diplomatic Correspondent Lahav Harkov, Palestinian Affairs Correspondent Khaled Abu Toameh and Middle East Affairs Analyst Seth Frantzman for a conversation about the Post, its significance and how their jobs have changed since they became reporters. The full conversation can be heard on The Jerusalem Post Podcast. This is an abbreviated version, edited for style. JPost at 90 Yaakov: Lahav, when you look at 90 years of The Jerusalem Post and where we are and how we've gotten here, what comes to mind? Lahav: So, first of all, if we look more broadly at the 90 years of The Jerusalem Post, we used to have this column that was from the archives. I don't remember if it was every day or every week. If something happened, you'd see how The Jerusalem Post was covering these huge events in Israel's history and in the world's history. And it really gives an idea of how significant this newspaper has been in telling Israel's story to the world. In the past 10 or 12 years, I would say that the thing that has changed the most is how fast everything has become – because of the media environment, more broadly, everything's moving really fast. Everything is on social media. You have to have some information the second something happens. And that's challenging in terms of trying to keep up our accuracy and to try to use the sources that we have that other people reporting in English don't have. But I think that we've kept to that challenge. We've met that challenge impressively. Yaakov: But I think it's also extra sensitive in the diplomatic beat, right? Because of this, the information that you publish really could impact Israel's standing or its ties with a country, or how it's going to be condemned at the UN or not. Lahav: Yes, there are some stories that you can do and they're quick and easy; you know, if a leader has a phone call with another leader. But a lot of the important things on the diplomatic beat are happening behind the scenes, and they take a lot of phone calls and a lot of talking to a lot of different people to try to corroborate things. And they're definitely not instant stories. I used to be on the Knesset beat, and you would have near uniformity of coverage because everything was at the Knesset. You sit in the committee rooms and you might have a different headline, but more or less the same things are happening. But on the diplomatic beat it's very individual because you're really getting stories behind the scenes. Yaakov: Right. It's not just what's happening. Seth, you've traveled the region on behalf of The Jerusalem Post. You look at this 90-year milestone. What's your big takeaway? Seth: I think that one of the fascinating things is if you go back and look at The Jerusalem Post in the 1930s and in the area of the pre-state period especially, it's fascinating to the degree to which the Post had reporters that were actually in the region who were going to places like Lebanon or Egypt, and they were getting stories from people there. And they were actually doing a lot of reporting also on the Arab community and what was then British Mandate. So obviously that shifted in the 1950s or '60s, and then you get to the present day. I think that when you look back at those 90 years, what I found in traveling the region, the fascinating thing is that even countries with which Israel doesn't have any relations, like Iraq, the times that I would travel there and spend time with the Kurds, for instance, a lot of people there are reading The Jerusalem Post. I think in the West, as Lahav said, there is a huge number of media. Everyone's running to get tweets out and stories, and a lot of it kind of looks the same sometimes; but when you're in the region, you see that The Jerusalem Post is regarded as this legacy historic publication that people can rely on and that really matters. I mean, Iranian media is reading The Jerusalem Post every day. And they're re-reporting what we write sometimes in their own weird interpretation of it. Like if we write that Iranian drones are a threat, Iranian media will re-report that and say, ‘Well, you see Israel is afraid of our drones.' Yaakov: The Zionist newspaper, The Jerusalem Post says... Seth: Yes, the Zionist entity or whatever. But they're definitely reading it. And I think it shows the degree to which, even when sometimes we feel in the West that we are one of a huge number of publications, it's hard sometimes to sort yourself out from other Jewish publications and other legacy media. I think one thing that's interesting in the region is the degree to which The Jerusalem Post is definitely one of the go-to places that regimes and people are looking at in terms of, well, what's the normal average thing that's happening in Israel? Here's where we'll go to find out. Yaakov: On that note, Khaled, how are you received on your beat, which is in the Palestinian territories, working with the Palestinian Authority? They know you're coming from The Jerusalem Post. We don't hide our DNA as a pro-Israel newspaper, obviously as a Zionist newspaper. How do they receive you? Khaled: I've been with the Post for nearly 20 years now. I would say that in recent years, or probably in the past 10 or 12 years, the Palestinian attitude toward the Israeli media has changed. It has become much more hostile and less tolerant, and there's actually a boycott of the Israeli media. It's by the Palestinian Journalism Syndicate. It's by my Palestinian colleagues, and it's by the Palestinian Authority. And that makes my job much more difficult to get information from Palestinian officials. As Seth mentioned, The Jerusalem Post was always a source of information about Israel for people around the world. It was also a source of information for the Palestinians for many years. And I believe it still is because the Palestinians do not have a free media, and they rely heavily on the Israeli media. I see a lot of our articles from the Post and news stories translated almost every day in the Palestinian media. Yaakov: They give us credit? Khaled: Yes. They mention The Jerusalem Post. Some say it's the Zionist paper. Some say it's an Israeli right-wing paper. Some people call it Hebrew media. They have all these labels. But how am I personally perceived? Look, I've been there for many years. You know, I don't only work for The Jerusalem Post; I'm also a man of the international media. So that helps me a bit. And I can go there and say, ‘Today I'm not for the JPost, I'm for someone else.' So they would be open. But it is very difficult in our culture, the Arab culture. A journalist is not supposed to hang the dirty laundry out. A journalist is supposed to be loyal to his president, his prime minister, his government, his people, his homeland. And the truth is like, you know, somewhere down there. Khaled: But I still go back to Ramallah almost every day. I'd be much more afraid to show my face in Ramallah if someone stopped me and said, ‘We caught you lying or fabricating.' First of all, most of the criticism I get comes from the Palestinian government, the Palestinian Authority, and it's along the lines of ‘What you reported is true. It's accurate, but please shut up.' And that kind of criticism does not scare me. Is it dangerous? Yes. Some of my colleagues over there have been arrested. Others have been forced out of their jobs. Others have been intimidated. But fortunately for me, I go there and I come back to Jerusalem at the end of the day. I don't sleep there. Yaakov: I've yet to get a call from Abu Mazen complaining about you, but maybe one day. You never know, right? Khaled: He has complained about me, and he even invited me saying, ‘You know what? Do you want to come? If you want an interview, I'll give you an interview.' The thing is that criticism is perceived as some kind of an opposition. There's no tolerance for criticism over there. And they assume that if you criticize them, then you must be on the payroll of the Jewish lobby, or you must be a Zionist agent, or you must be after them for one reason or another. And that hasn't changed, unfortunately, this perception that a journalist has to be loyal to his people and his government. Yaakov: I want to get from each of you a story that highlights your career of being with The Jerusalem Post. So Lahav, let's start with you. Lahav: The last two and almost three years now, I've been on the diplomatic beat. And it's very exciting for me to be able to travel with the prime ministers. I've been to the White House a bunch of times. I've taken that picture in the White House press room, standing there, like CJ from the West Wing, that all the diplomatic reporters take. But there's one story that stands out that actually was when I was still a Knesset reporter, but it wasn't my usual thing. I accompanied Shimon Peres on his last trip as president, and it was to Oslo. He had a royal dinner, like a state dinner, but it was in the palace with the king and queen, and all the journalists were invited. In typical Israeli fashion, most of them did not understand what black tie meant, but we all got as dressed up as we could. And it was just something that I think, unless you're like a royal correspondent in London, it was a once-in-a-career experience to be eating in the royal palace with the king and queen. I sparked a minor diplomatic incident at that dinner because I was seated next to Rabbi Michael Melchior because we were the only people eating kosher food, and I wrote about it in the article because I thought they served it to us really nicely. They served it to us on china dishes, and they tried to make it look as similar to everyone else's food. And then they also gave us wine, and the wine was from the Golan Heights Winery. I didn't even think about it that I mentioned it in the story, but the government got really criticized for it. And they had to release a statement clarifying that they weren't endorsing. Yaakov: From ‘occupied' land? Lahav: Yes. Exactly. Yaakov: Wow. So, Seth, give us a story from your travels around the world with The Jerusalem Post. Seth: I think one of the most memorable ones was in 2015, when there was this huge refugee crisis in Eastern Europe because Angela Merkel had invited a lot of immigrants to come to Germany. Something like a million people were pouring over the borders on boats, mostly from Turkey to Greece, and then they were going from Greece. They had to walk across the borders into what was Macedonia and then Serbia, and then to Hungary. And the countries were trying to close the borders to these people. Hungary was building a fence, so it was kind of imperative to get there. And I was trying to figure out how do you cover a story where you have a million people on the move across 600 or 800 miles of landscape? I decided, well, okay, I can just rent a car, right? I mean, you can just rent cars? Well, no. I went online and found you can rent a car in Greece, but you're not really supposed to drive through all these borders. And if you want to, you have to get all this insurance, which cost a lot of money – but the story was worth it. I flew to Greece, I hired a car, and I ended up sleeping in the car while traveling across the borders with the immigrants. It was a pretty epic story. I ended up on the Hungarian border, when they completed the fence and the day these people were then stopped. And so, it was a huge privilege to do it. It took place over a few days, and it was great to be a reporter, not just for The Jerusalem Post but in general, to be able to cover this story which was a world event. Khaled: Well, unlike Lahav, I'm not invited to join Abu Mazen on any of his visits to royal palaces, not to Washington and not to London or anywhere else because it's the Israeli media, not the Palestinian media. But I can tell you that The Jerusalem Post has really changed my life. Before I was writing for the Post, I did not receive invitations to speak to different people in different places. But thanks to the Post and because of my writings over the past 20 years, I've been meeting diplomats, I've been meeting congressmen, senators, decision makers, from all around the world. I'm invited to different places around the world to speak. And I think that has really been a big step for me. And that shows the power of The Jerusalem Post as being one of the major sources of information on Israel for English-speaking people around the world. Now, of course, I've covered a number of important stories for the Post. One of them was the funeral of Yasser Arafat in Ramallah. As a Jerusalem Post reporter, I remember that many of the foreign journalists who were with me had to rely on my reporting because I was sitting in the Muqata (PA headquarters) back then, reporting on the atmosphere and the responses from the Palestinians. Another big scoop that I had with The Jerusalem Post was an exclusive interview with the mastermind of the “Karin A weapons ship,” who's still in prison. He phoned me from Israeli prison to give me his version and publish in The Jerusalem Post about what had happened. And he was very upset with the Palestinian Authority. He said that they abandoned him and that he was a soldier carrying out orders. I think it showed how many people rely on The Jerusalem Post to get information. And these are stories that I'm proud of because we've been able to prove our credibility. I still get calls from many Palestinians who, because they don't have a free media over there, come to us hoping that we will publish their stories. Yaakov: I find it always amazing, the doors that The Jerusalem Post does open around the world and the leaders of countries who want to talk to us. I recently had an interview with the Taiwanese foreign minister, and we put that online. Within minutes, the Chinese ambassador demanded that we remove the story, and they filed an official complaint with the Foreign Ministry. It became international news. This one thing that we did, which was talk to a foreign minister of a country. And we become sometimes even part of the story. I wonder, Lahav, if we look to the future of media and journalism, what are the big challenges you see as a beat reporter covering the diplomatic beat in the larger scheme of things, when it comes to the industry? Lahav: I do think that the speed is a challenge to accuracy and also to reporting in a way that's not monolithic. I think that an advantage that we have at The Jerusalem Post over other people reporting in English from Israel is that we are Israeli. We live here, we have our families here. We understand what's going on in life here in Israel in a way that someone who's here for two, three years maybe doesn't. And the way to bring that forward in our deeper and more insider understanding of what's happening in Israel is again not as easy, when everything is these quick snippets that need to get onto social media right away. So I think that's one of the challenges. I don't know how much we want to talk about the business model of media, but the business model of media has rapidly changed. Yaakov: Multiple times it has become much more complicated. Seth, what are you thinking about the whole way the media industry has changed, and how do we stay relevant as we move forward? Seth: It is difficult because I think that one thing is social media giants – Facebook and Twitter – where most people are getting their information now. We see all the chaos now on Twitter, but at the end of the day, maybe 80% or 90% of people are going through some platform that is controlled by one or two companies. And so a slight shift in an algorithm can mean that, whereas one day our stories that we were posting on Facebook are being shared thousands of times, and then it can be 30 times or so. It really matters to us, and it matters to us putting out information. I was at the recent Jerusalem terrorist attack scene, and I did some short video, and it got thousands of views very quickly. So I think trying to be able to not only get the relevant stories out there and make sure that we have the sources on the ground, but we also have to make sure that we are in touch with and understand what's going on with these big platforms and how people are getting information. And it's not just a question of always having the story first, but it's making sure that we put it out in the right way. Yaakov: I'm wondering, Khaled, how relevant is the media still, and the role that we play as journalists when it comes to the Israeli-Palestinian conflict, which seems so stuck and not moving forward. Do the stories really make a difference? Because you and I joke occasionally how it's the same stories that we wrote 20 years ago, and now they're happening again 20 years later. Khaled: Sometimes I feel I'm recycling the same story. I've been writing similar stories for the past 35 or 40 years in different places – but you know, this is the topic that we're covering, and everyone is still interested. Many people are really interested in this conflict, and they are hungry for information. And any information you provide them, they will take it. I think that the biggest challenge we are facing in recent years is social media because we have to compete with social media, and that's very difficult. But I think what we do as a newspaper, as mainstream media, is bring stories that are not there already. We have to keep the news relevant and offer the readers a different perspective that they don't have or rarely see on social media. We need to find ways to adapt ourselves to the reality that we are living in right now.
Repubblicani USA sempre piu divisi su Trump. Abu Mazen accusa Israele di Olocausto Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
1- Guerra in Ucraina, il dilemma di Zelensky: negoziare come auspica l'Unione Europea o contribuire a indebolire la Russia come vuole Biden. ( Emanuele valenti) 2-Palestina. Funerali di stato oggi per la giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa ieri da soldati israeliani. Il presidente Abu Mazen porterà il suo caso alla Corte penale internazionale. 3-Il tempo sta scadendo. Il nuovo monito degli scienziati che si occupano di riscaldamento globale. ( Eleonora Panseri) 4-Francia. L'unione della Gauche alla prova dei sondaggi prima delle elezioni politiche. ( Francesco Giorgini) 5-Sri Lanka, la rivolta contro le politiche liberiste. Vietato all'ex premier Rajapaksa di lasciare il Paese a causa delle violenze contro i manifestanti.( Intervista al regista Suranga Katugampala) 5-Stati Uniti. I repubblicani affondano il progetto di legge sul diritto di aborto.( Roberto festa) 6-World Music. Il ritorno di Youssou N'dour, un nuovo album e un tour mondiale. ( Marcello Lorrai)
1- Guerra in Ucraina, il dilemma di Zelensky: negoziare come auspica l'Unione Europea o contribuire a indebolire la Russia come vuole Biden. ( Emanuele valenti) 2-Palestina. Funerali di stato oggi per la giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa ieri da soldati israeliani. Il presidente Abu Mazen porterà il suo caso alla Corte penale internazionale. 3-Il tempo sta scadendo. Il nuovo monito degli scienziati che si occupano di riscaldamento globale. ( Eleonora Panseri) 4-Francia. L'unione della Gauche alla prova dei sondaggi prima delle elezioni politiche. ( Francesco Giorgini) 5-Sri Lanka, la rivolta contro le politiche liberiste. Vietato all'ex premier Rajapaksa di lasciare il Paese a causa delle violenze contro i manifestanti.( Intervista al regista Suranga Katugampala) 5-Stati Uniti. I repubblicani affondano il progetto di legge sul diritto di aborto.( Roberto festa) 6-World Music. Il ritorno di Youssou N'dour, un nuovo album e un tour mondiale. ( Marcello Lorrai)
Tel Aviv. A medio camino entre la invasión a Ucrania y el dilema de condenarla sin perder la amistad con Rusia, Israel afronta el desafío de Irán más otro en curso: la división interna palestina frente al deterioro de salud y avanzada edad de su dirigente, Abu Mazen (86 años)
Último episódio de 2021 está recheado. Um bloco com as principais notícias da semana, entre elas o encontro histórico entre Benny Gantz e Abu Mazen - presidente de Autoridade Palestina - na casa de Gantz e o fim do depoimento do delator Nir Hefetz. E outros dois blocos onde fazemos uma retrospectiva dos principais acontecimentos no ano aqui em Israel. Além do bloco do esporte com o Nelsinho Burd. Do Lado Esquerdo do Muro #118, com Marcos Gorinstein e João Miragaya.
Abu Mazen minaccia di revocare il riconoscimento di Israele se lo Stato ebraico non si ritirerà dai Territori occupati entro un anno. Ma il leader dell'Autorità nazionale palestinese non è giudicato credibile da nessuno, a cominciare dalla sua gente. E Israele ha ignorato i suoi avvertimenti.
CISGIORDANIA. Non si arrestano i cortei di protesta per la morte di Nizar Banat. Anche nei giorni scorsi centinaia di palestinesi hanno sfilato nelle strade di Ramallah per chiedere giustizia e le dimissioni del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen)
Palestinian President Mahmoud Abbas is facing the biggest test of his political career. Resentment from the cancelled elections and years of backchannel dealing was climbing, but reached a climax after Nizar Banat, frequent critic of the Palestinian Authority, was apparently killed in his home by PA security forces last week. Hundreds took to the streets in protest and to demand Abu Mazen step down. This week, Greg is joined by Khaled Elgindy, Senior Fellow and Director of the Program on Palestine and Palestinian-Israeli Affairs at the Middle East Institute for a special episode to discuss these developments. Sadly, we lost Khaled to a bad internet connection towards the end of the call, but Greg finishes the story right where Khaled left off. Read and share the Principles and Practices of PeacemakingSubscribe to the Telos Newsletter for more news analysis and peacemaking resourcesFollow Telos on Instagram @thetelosgroupIf you're enjoying the podcast, become a monthly donor to Telos! --Blind Spot: America and the Palestinians, from Balfour to Trump, by Khaled Elgindy
"Il popolo vuole la caduta del regime". Così scandivano, dopo la morte in detenzione di Nizar Banat, centinaia di palestinesi a Ramallah nella più ampia manifestazione contro il leader dell'Anp Abu Mazen, accusato da una buona porzione della sua gente di aver dato luce verde ai servizi di sicurezza contro oppositori e dissidenti in Cisgiordania. Una crisi che scuote le fondamenta dell'Anp
A terceira rodada de eleições em menos de 11 meses se aproxima e o que temos no menu? Em busca da vitória temos incitação contra a população árabe e a aprovação pelo Supremo Trubinal de Justiça de candidaturas polêmicas. Também temos Abu Mazen, presidente da Autoridade Palestina no Conselho de Segurança da ONU e a liberação pelo Departamento de DIreitos Humanos da ONU de uma lista com 122 empresas Israel, que gerou reações por aqui. Venha com Marcos Gorinstein e João Miragaya nas principais notícias da semana em Israel. E não se esqueçam de curtir e compartilhar. :)
Das ist (vorerst) einmal die letzte Folge mit Drama-Dana aka Zaatar. Und darum tauchen wir auch ein in die Drama-Welt Palästinas (also Theater, nicht Persönliches). Und weil niemand Geringeres als der palästinensische Präsident unseren Podcast hört, müssen wir nochmal mit Thailand aufräumen und sprechen dabei in verschiedenen Dialekten. Und wenn er gerade Zeit hat, dann kommt er sicher mit uns auf den Berg der Samaritaner, um uns im Place of Heaven, dem einzigen Ort mit Alkohol in der Stadt Nablus, ein Bier auszugeben. Prost, habibiz!
bout: Ehud Barak jumps into the ring. Bolton speaks with the Russian minister & PM Netanyahu, out AbuMazen.
Resumen: Ehud salta al ruedo. Bolton habla con el ministro ruso y Nataniau. Los Palestinos bravos.
Deja vu on the southern border a rocket barrage from Gaza, Abba leaves the hospital, and a Russian oligarch makes aliyah. Even for Israel, this has been a strange and stressful week. Join Alan, Mike and Matt as they give insight behind the headlines, and put these stories into context. JerusalemU's The Israel Teachers Lounge Podcast is produced by Matt Lipman. Listen to more episodes, and let us know what you think! We are happy to take topic requests and questions. And please rate and review us on iTunes and stitcher. Check out our Our Website! Join our Facebook page! Contact us with questions and comments!
Formazione del governo: ennesimo appuntamento. I problemi degli schieramenti persistono per cui non siamo neanche ad un accordo di base su un programma. Continua anche la tenacia di Renzi nel tenere in ostaggio l'intero PD facendo naufragare un colloquio con i M5S. Quest'ultimi, intanto, continuano a rifiutare un'intesa con il centro-destra per un governo di intesa a causa della presenza di Berlusconi. L'Italia, però, avrebbe bisogno di un governo che si occupi degli annosi problemi del lavoro, della sanità e dell'economia del nostro paese, senza dover per forza stare sempre ad ascoltare i moniti di Bruxelles.La politica estera ci presenta invece le nuove direttive Israeliane per contrastare il presunto programma nucleare Iraniano, mentre hanno causato sdegno le infelici parole di Abu Mazen che ha descritto l'Olocausto come causa diretta della posizione sociale degli Ebrei prima della guerra.
Formazione del governo: ennesimo appuntamento. I problemi degli schieramenti persistono per cui non siamo neanche ad un accordo di base su un programma. Continua anche la tenacia di Renzi nel tenere in ostaggio l'intero PD facendo naufragare un colloquio con i M5S. Quest'ultimi, intanto, continuano a rifiutare un'intesa con il centro-destra per un governo di intesa a causa della presenza di Berlusconi. L'Italia, però, avrebbe bisogno di un governo che si occupi degli annosi problemi del lavoro, della sanità e dell'economia del nostro paese, senza dover per forza stare sempre ad ascoltare i moniti di Bruxelles.La politica estera ci presenta invece le nuove direttive Israeliane per contrastare il presunto programma nucleare Iraniano, mentre hanno causato sdegno le infelici parole di Abu Mazen che ha descritto l'Olocausto come causa diretta della posizione sociale degli Ebrei prima della guerra.
1-Gerusalemme,capitale di Israele. L'ultima provocazione di Donald Trump rischia di destabilizzare ulteriormente l'intera regione. Secondo fonti palestinesi il presidente statunitense ha già avvisato il presidente Abu Mazen dello spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. ( Eric Salerno)..2-Turchia. Al via i primi processi ai professori universitari turchi accusati di "propaganda terroristica" a favore del Pkk. Nel gennaio 2016 avevano sottoscritto un appello che chiedeva la fine delle ostilità. ( Serena Tarabini) ..3-Catalogna: la corte suprema di Madrid ha revocato il mandato di arresto europeo per Puigdemont. La giustizia belga avrebbe dovuto decidere il 14 dicembre. ( Giulio Maria Piantadosi) ..4-Dublino insiste: status special per l'Ulster o niente accordo sulla Brexit. ( Alessandro Principe) ..5- Honduras: rinviata la proclamazione del vincitore delle presidenziali, nove giorni dopo il voto. ( Gianni Beretta) ..6-Whistleblowing. Aspettando una normativa europea i paesi membri legiferano in ordine sparsi. Il caso Italia. ..( intervista a Guido Scorza)..7-Terre agricole: schiacciati dai debiti migliaia di contadini indiani in piazza contro le banche. ( Marta Gatti)
1-Gerusalemme,capitale di Israele. L’ultima provocazione di Donald Trump rischia di destabilizzare ulteriormente l’intera regione. Secondo fonti palestinesi il presidente statunitense ha già avvisato il presidente Abu Mazen dello spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. ( Eric Salerno)..2-Turchia. Al via i primi processi ai professori universitari turchi accusati di "propaganda terroristica" a favore del Pkk. Nel gennaio 2016 avevano sottoscritto un appello che chiedeva la fine delle ostilità. ( Serena Tarabini) ..3-Catalogna: la corte suprema di Madrid ha revocato il mandato di arresto europeo per Puigdemont. La giustizia belga avrebbe dovuto decidere il 14 dicembre. ( Giulio Maria Piantadosi) ..4-Dublino insiste: status special per l’Ulster o niente accordo sulla Brexit. ( Alessandro Principe) ..5- Honduras: rinviata la proclamazione del vincitore delle presidenziali, nove giorni dopo il voto. ( Gianni Beretta) ..6-Whistleblowing. Aspettando una normativa europea i paesi membri legiferano in ordine sparsi. Il caso Italia. ..( intervista a Guido Scorza)..7-Terre agricole: schiacciati dai debiti migliaia di contadini indiani in piazza contro le banche. ( Marta Gatti)
1-Gerusalemme,capitale di Israele. L’ultima provocazione di Donald Trump rischia di destabilizzare ulteriormente l’intera regione. Secondo fonti palestinesi il presidente statunitense ha già avvisato il presidente Abu Mazen dello spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. ( Eric Salerno)..2-Turchia. Al via i primi processi ai professori universitari turchi accusati di "propaganda terroristica" a favore del Pkk. Nel gennaio 2016 avevano sottoscritto un appello che chiedeva la fine delle ostilità. ( Serena Tarabini) ..3-Catalogna: la corte suprema di Madrid ha revocato il mandato di arresto europeo per Puigdemont. La giustizia belga avrebbe dovuto decidere il 14 dicembre. ( Giulio Maria Piantadosi) ..4-Dublino insiste: status special per l’Ulster o niente accordo sulla Brexit. ( Alessandro Principe) ..5- Honduras: rinviata la proclamazione del vincitore delle presidenziali, nove giorni dopo il voto. ( Gianni Beretta) ..6-Whistleblowing. Aspettando una normativa europea i paesi membri legiferano in ordine sparsi. Il caso Italia. ..( intervista a Guido Scorza)..7-Terre agricole: schiacciati dai debiti migliaia di contadini indiani in piazza contro le banche. ( Marta Gatti)
H.E. Ambassador Maen Areikat, Mr. Matthew Reynolds, Dr. Jim Zogby, Dr. Imad Harb, Dr. Tom Mattair, and Ms. Randa Fahmy at NCUSAR's 2015 Arab-U.S. Policymakers Conference. Visit www.ncusar.org for more information.
Centinaia di migliaia di francesi in piazza a Parigi in una domenica di difesa delle libertà repubblicane, dopo le stragi di Charlie Hebdo e del supermercato Cacher. In testa al corteo, i leader d'Europa a braccetto insieme a Abu Mazen e Netanyahu. «Un evento che ci fa riflettere sull'identità profonda dell'Europa», ha raccontato a Memos lo storico Giovanni De Luna. «Mi ha colpito l'imponenza della manifestazione e la presenza dei 40 capi di stato. Ieri in piazza non c'era l'Europa dell'euro, della Bce, tutta appiattita su un pragmatismo economicistico e che non riesce a parlare alle emozioni della gente». Cosa teneva insieme i 40 capi di governo? «Credo una profonda sensazione di inadeguatezza», dice il professor De Luna. «Tutti loro esprimono un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide che il post '900 ci sta ponendo. La dimensione identitaria o religiosa che assumono i conflitti in questo post '900 è un qualcosa che sfugge ai giochi tradizionali tra le grandi potenze. Certo – conclude De Luna - esisterà sempre il problema delle risorse, delle materie prime, del petrolio così come sarà difficile da smaltire completamente il problema dell'imperialismo e del colonialismo, ma non saranno più questi i problemi centrali. Ne esistono degli altri rispetto ai quali siamo smarriti, lo siamo noi come opinione pubblica e lo sono soprattutto i nostri governi». Ospite di Memos oggi anche Massimo D'Antoni, economista dell'Università di Siena. «Non vedo una contrapposizione tra un paradigma economicistico e i valori, come sosteneva De Luna. Semmai – dice D'Antoni - bisognerebbe chiedersi di quale economia e di quali valori è espressione oggi l'Europa. Dovremmo chiederci se le scelte economiche che sono state compiute non siano scelte che vanno in contrasto con alcuni valori fondanti dell'Europa. Nella piazza parigina di ieri c'è stata una forte affermazione del valore della libertà, però non dobbiamo dimenticare il valore dell'uguaglianza e della fratellanza».
Centinaia di migliaia di francesi in piazza a Parigi in una domenica di difesa delle libertà repubblicane, dopo le stragi di Charlie Hebdo e del supermercato Cacher. In testa al corteo, i leader d'Europa a braccetto insieme a Abu Mazen e Netanyahu. «Un evento che ci fa riflettere sull'identità profonda dell'Europa», ha raccontato a Memos lo storico Giovanni De Luna. «Mi ha colpito l'imponenza della manifestazione e la presenza dei 40 capi di stato. Ieri in piazza non c'era l'Europa dell'euro, della Bce, tutta appiattita su un pragmatismo economicistico e che non riesce a parlare alle emozioni della gente». Cosa teneva insieme i 40 capi di governo? «Credo una profonda sensazione di inadeguatezza», dice il professor De Luna. «Tutti loro esprimono un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide che il post '900 ci sta ponendo. La dimensione identitaria o religiosa che assumono i conflitti in questo post '900 è un qualcosa che sfugge ai giochi tradizionali tra le grandi potenze. Certo – conclude De Luna - esisterà sempre il problema delle risorse, delle materie prime, del petrolio così come sarà difficile da smaltire completamente il problema dell'imperialismo e del colonialismo, ma non saranno più questi i problemi centrali. Ne esistono degli altri rispetto ai quali siamo smarriti, lo siamo noi come opinione pubblica e lo sono soprattutto i nostri governi». Ospite di Memos oggi anche Massimo D'Antoni, economista dell'Università di Siena. «Non vedo una contrapposizione tra un paradigma economicistico e i valori, come sosteneva De Luna. Semmai – dice D'Antoni - bisognerebbe chiedersi di quale economia e di quali valori è espressione oggi l'Europa. Dovremmo chiederci se le scelte economiche che sono state compiute non siano scelte che vanno in contrasto con alcuni valori fondanti dell'Europa. Nella piazza parigina di ieri c'è stata una forte affermazione del valore della libertà, però non dobbiamo dimenticare il valore dell'uguaglianza e della fratellanza».
Centinaia di migliaia di francesi in piazza a Parigi in una domenica di difesa delle libertà repubblicane, dopo le stragi di Charlie Hebdo e del supermercato Cacher. In testa al corteo, i leader d'Europa a braccetto insieme a Abu Mazen e Netanyahu. «Un evento che ci fa riflettere sull'identità profonda dell'Europa», ha raccontato a Memos lo storico Giovanni De Luna. «Mi ha colpito l'imponenza della manifestazione e la presenza dei 40 capi di stato. Ieri in piazza non c'era l'Europa dell'euro, della Bce, tutta appiattita su un pragmatismo economicistico e che non riesce a parlare alle emozioni della gente». Cosa teneva insieme i 40 capi di governo? «Credo una profonda sensazione di inadeguatezza», dice il professor De Luna. «Tutti loro esprimono un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide che il post '900 ci sta ponendo. La dimensione identitaria o religiosa che assumono i conflitti in questo post '900 è un qualcosa che sfugge ai giochi tradizionali tra le grandi potenze. Certo – conclude De Luna - esisterà sempre il problema delle risorse, delle materie prime, del petrolio così come sarà difficile da smaltire completamente il problema dell'imperialismo e del colonialismo, ma non saranno più questi i problemi centrali. Ne esistono degli altri rispetto ai quali siamo smarriti, lo siamo noi come opinione pubblica e lo sono soprattutto i nostri governi». Ospite di Memos oggi anche Massimo D'Antoni, economista dell'Università di Siena. «Non vedo una contrapposizione tra un paradigma economicistico e i valori, come sosteneva De Luna. Semmai – dice D'Antoni - bisognerebbe chiedersi di quale economia e di quali valori è espressione oggi l'Europa. Dovremmo chiederci se le scelte economiche che sono state compiute non siano scelte che vanno in contrasto con alcuni valori fondanti dell'Europa. Nella piazza parigina di ieri c'è stata una forte affermazione del valore della libertà, però non dobbiamo dimenticare il valore dell'uguaglianza e della fratellanza».
Dr. Tom Mattair, H.E. Ambassador Maen Areikat, Ms. Karen Koning AbuZayd, Mr. Bill Corcoran, Mr. Matthew Reynolds, and Mr. Yousef Munayyer at NCUSAR's 2014 Arab-U.S. Policymakers Conference. Visit www.ncusar.org to learn more.
Intervista a Moni Ovadia attore scrittore e compositore ; Giorgia Pradolin collaboratrice de Il Gazzettino di Venezia ; Prof. Marco Bologna ordinario di zoologia all'universita' Roma 3.
MK Benny Begin discusses the concessions Israel has made toward negotiations with the Palestinians, including turning over almost all of Judea and Samaria and a building freeze, all which were refused by Palestinian Authority leader Abu Mazen as insufficient. He calls for international pressure to move toward direct negotiations without preconditions. Furthermore, Begin emphasizes that a prime difficulty in the peace process is that the Fatah charter fails to recognize a Jewish right to live in the State of Israel and calls for armed resistance against the "Zionist entity".
And the anti-Israel anti-Jewish incitement goes on...Plus...Even the Arabs are losing faith in "The Cause"...The plight of the poor palestinians, viewed in the Arab press...When will Israel's government and the western countries catch on as well?...Also...Fatah "moderate" security forces of Abu Mazen steal the PA high school matriculation exam test papers...All this and more on "The Marty Roberts Show"...