Il Commento e il Vangelo del giorno
Monastero di S.Vincenzo Martire - Bassano Romano (VT)
Non lascia indifferente quando ci troviamo in mano il passo del Cantico dei cantici, un poema che inneggia l'amore di uno sposo per la sua sposa. E questo amore è così profondo da non temere il confronto con le più grandi e tremende forze della realtà: la morte, gli inferi, le grandi acque, perché esso è "una fiamma del Signore, un fuoco che viene da Dio". Il racconto della visitazione del Vangelo di oggi, non descrive semplicemente un gesto di carità zelante di Maria nei confronti di Elisabetta, sua cugina in dolce attesa. Dice il testo: "In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta". Se facciamo un piccolo parallelismo, Elisabetta accolse sua cugina Maria come il popolo di Dio accolse l'arca della presenza di Dio. Ma anche Maria mettendosi in cammino verso la casa di Elisabetta sembra avesse percorso la stessa strada dall'arca dell'alleanza. Allo stesso tempo pensiamo che questa premura sia egoistica, ma assolutamente al contrario sia una premura di donazione, di necessità profonda di mettersi a servizio. Infatti ogni autentica vocazione, ogni autentico amore, non ha come obiettivo innanzitutto riempire un mio vuoto, ma tentare di poter far qualcosa per qualcuno, per la felicità di qualcuno. Se ogni cammino di maturazione umana non arriva fino al dono di sé allora rimaniamo in trappola di forme di egoismo e di narcisismo dove gli altri ci servono solo per stare bene noi. "Quando la nostra vita riempie di gioia gli altri e sblocca la gioia in noi, così come capiterà a Maria nel Magnificat, allora questa è la prova che siamo giunti a una qualità di amore degno di questo nome". Maria insegnaci anche noi a donarci totalmente per il bene degli altri. Amen!
Partendo dalla prima lettura, il passo di Isaia, alla luce della figura del re Acaz, pone un grave problema di teologia della storia. Infatti il re Acaz non vuole chiedere un segno dal Signore per non metterlo alla prova. Quindi deve il cristiano pretendere che sia la fede a dettargli le risposte a problemi di tipo socio-politico o non deve piuttosto in questi casi far funzionare esclusivamente la ragione? Dio non vuole certo che l’uomo abdichi alla sua ragione, ma ci sono circostanze in cui Dio dà degli orientamenti precisi che l’uomo è tenuto a seguire e che spesso risultano, alla resa dei conti, i più adeguati, anche alla luce di strategie puramente umane. Dice il salmista nel salmo 23: “Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti”. Quindi Dio è la risposta ultima al perché vivere, o meglio è lui che dà senso alla nostra esistenza. Cercare il suo volto è cercare risposte alle domande antropologiche di fondo, a cui nessuno è in grado di rispondere. Troppa gente nel contesto attuale sembra rifiutare di porsi domande e si arrende allo scetticismo. Mai dimenticare che siamo una domanda vivente: val la pena vivere? Gesù, il Dio-con-noi, è il luogo in cui trovare la risposta. La pagina dell’annunciazione rimane come un capolavoro che non si smette di ammirare. La venuta di Gesù nel grembo di Maria è il coronamento di un lungo itinerario di preparazione che ha attraversato l’intero primo testamento. Nel Vangelo di oggi ci sono tanti dettagli su cui riflettere però a me colpisce la piena e totale disponibilità di Maria. Infatti Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». L’ eccomi di Maria è davvero un “sia fatta la tua volontà” che recitiamo nel padre nostro e che si rinnova nella vita di ogni credente. Penso che ogni volta che si dica di sì a Dio, qualcosa cambia in noi, ma sempre in meglio. Ma anche il miglior uso che possiamo fare della nostra libertà è quello di metterla a disposizione della volontà di Dio. Scrisse il grande Dante: “E ’n la sua volontate è nostra pace”. Amen!
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.
Il genere delle annunciazioni vuole sottolineare il carattere eccezionale del personaggio che nascerà, in quanto puro dono di Dio. Effettivamente, come emerge sia nella prima lettura che nel Vangelo, il Signore manifesta la sua onnipotenza agendo in situazioni umanamente disperate e utilizzando strumenti deboli. Questo ci fa capire come Dio guida la storia della salvezza da protagonista; anche quando tutto sembra perduto, egli è in grado di trovare vie d’uscite e questo per pura grazia. Ma Dio chiede anche la partecipazione fattiva dell’uomo alla realizzazione del suo disegno. Diceva Sant’Agostino: Dio, che ci ha creato senza di noi, non ci può salvare senza di noi. Nel salmo odierno leggiamo come Dio è una roccia, un baluardo, una fortezza, qualcuno si potrebbe chiedere: ma dov’è questa forza di Dio oggi, come ieri? La nostra fede è messa spesso alla prova: di fronte a tante sconfitte subite, non è facile riconoscere che Dio compie meraviglie. Esattamente come appare nel Vangelo di oggi con la vicenda della coppia del Sacerdote Zaccaria ed Elisabetta, gente buona e giusta ma che nonostante questo dettaglio, essi in realtà vivono la grande sofferenza di non essere riusciti ad avere un figlio. Colpisce che sia proprio a partire da questa sofferenza che Dio fa qualcosa di inaspettato, motivo per cui manda l’angelo Gabriele ad annunciare: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni». Quella che sembrava una buona notizia, in realtà crea in Zaccaria timore e incredulità, e credo che sia assolutamente molto umano reagire così, specie dopo che si è passati un’intera vita ad attendere qualcosa che non è accaduto e che adesso sembra davvero improbabile: «come potrò mai conoscere questo?». Ed evidente che qui Zaccaria oppone la sua vecchiaia, il suo limite, alla Parola del Signore, dimenticando che nulla è impossibile a Dio. “Dopo quei giorni, Elisabetta sua moglie, concepì”. Il senso profondo del Natale penso sia proprio quello di mettere basi lì dove non si può più nulla. Vieni o Emmanuele e non tardare! Amen.
Quarta domenica di Avvento, ormai il traguardo è vicino. Partendo dalla prima lettura, Acaz non vuole abbandonare le sue strategie umane di salvezza e quindi rifiuta a mettere Dio alla prova, chiedendo un segno. Ma nonostante la sua resistenza, il segno divino verrà dato e questo segno è l’Emmanuele. Quel che ci offre il vangelo di Matteo di oggi vuole mettere in evidenza la figura di Giuseppe. Infatti Maria era fidanzata con Giuseppe. Nella cultura del tempo il fidanzamento aveva gli stessi effetti giuridici del matrimonio. Quindi deve essere stato difficile per quest’uomo dover accettare di trovarsi davanti alla gravidanza della donna che amava, vedendo in un solo istante crollato ogni suo progetto. E nonostante questo continuare ad avere preoccupazione per Maria, affinché non la uccidessero. Giuseppe è davvero un uomo giusto. Diceva il nostro professore: “Ma per essere santi non basta essere giusti, bisogna superare la giustizia, bisogna entrare nel territorio più esigente della fiducia in Dio e non nel semplice buon senso o buon cuore”. Giuseppe, quando non capiva cosa stava succedendo, dormiva. È un sogno che capovolge tutto, un angelo del Signore gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. Come ci si può fidare di un semplice sogno? Eppure Giuseppe, uomo giusto, si fida. Giuseppe ci insegna di fidarci di Dio anche quando il mondo sembra crollarci a doso. “La cosa che conta è seguire ciò che sai essere vero, anche se ti conduce per strade e vie che non conosci e che non avevi calcolato”. Giuseppe ha fatto così. E quindi, davanti all’evidenza della fede, si arrende, prende la responsabilità di ciò che gli è capitato e comincia a seguire ciò che sente essere vero, nonostante tutto e tutti. “Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie”. In questo dettaglio penso ci sia tutto il cristianesimo che crediamo: svegliarsi e prendersi la responsabilità di quello che ti sta accadendo, bello o brutto che sia. Affidiamoci all’intercessione di Giuseppe e impariamo da lui. Amen.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Partendo dalla prima lettura, la Parola di oggi risuona come un incoraggiamento. Infatti dice il profeta Isaia: “coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi… Penso anche il Vangelo si inserisce nella stessa logica e che appunto ha come protagonista un paralitico: “Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: «Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi»”. Alla luce del brano di oggi, Gesù ci fa capire che il peccato è peggiore della malattia, che la paràlisi del corpo potrebbe essere determina da quella dell’anima. Ecco perché la prima preoccupazione di Gesù è di liberare quell’uomo dal peccato. Fortunatamente questo paralitico aveva amici creativi che con una manovra abbastanza difficile lo calarono dal tetto. Questo gesto può essere interpretato come una sorte di intercessione presso Gesù da parte degli amici. È proprio vedendo la loro determinazione che Gesù interrompe la discussione e fa ciò che lo caratterizza principalmente: perdona e guarisce. Questo perdono donato, invece di suscitare gratitudine in coloro che fino a un minuto prima discutevano con Lui, provoca indignazione: “Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: «Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?»”. Si chiede il Salmista: se il Signore considera le nostre colpe chi sussisterà? Dio è ricco di perdono. Infatti il perdono risana il rapporto con Dio troncato dal peccato. Questo tempo di Avvento è una grande opportunità per ciascuno di noi per rinnovare la propria relazione con Dio, perché Egli viene a salvarci. Amen!
Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza. Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?». Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire "Ti sono perdonati i tuoi peccati", oppure dire "Àlzati e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te - disse al paralitico •: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio. Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».
Il Vangelo di questa seconda domenica di avvento ci consenta di riflettere sulla figura di Giovanni il Battista. Infatti, Giovanni predica la conversione e opera un battesimo che prepari la gente ad accogliere il Signore. E tutta la scena si gioca nel deserto. Il deserto, lo sappiamo, è un luogo molto pericoloso ma ha anche dei pregi. Infatti è uno luogo di solitudine quindi molto favorevole per l'incontro con Dio nella preghiera. Ecco perché proprio nel deserto Giovanni invita alla conversione perché il regno dei cieli è vicino. Giovanni, con tanta umiltà, si definisce voce di uno che è Parola: Gesù. Uno su cui, come dice il profeta Isaia nella prima lettura, si poserà lo spirito del Signore, lo spirito di sapienza e intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. E uno che viene a ristabilire l’ordine primordiale… ecco perché la stessa profezia diceva che il lupo dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto… Giovanni, nella sua missione però non si limita solo a quest’invito alla conversione, ma la sua stessa vita vissuta nell’ascesi radicale fa emergere tale cammino di conversione. Infatti, il suo vestito, il suo mangiare, evoca una persona che vive la dimensione che il deserto stesso offre. Proprio grazie a questo, e non solo, Giovanni ispirava fiducia. Ecco perché la gente veniva da lui in gran numero per farsi battezzare. Nella sua missione Giovanni non guardava nessuno in faccia ecco perché non aveva paura di scagliarsi contro i farisei e i sadducei, cioè i potenti del tempo, perché si sentivano al sicuro. Quindi questo messaggio di Giovanni è anche valido per noi. La conversione non è altra cosa che vivere nella verità e nella trasparenza, cambiare vita, lasciando da parte tutto quello che ci può allontanare da Dio. Quindi in questa seconda domenica di Avvento, Giovanni ci invita a svegliarci da ogni sonno e a prendere sul serio la nostra vita di fede. Amen!
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: "Abbiamo Abramo per padre!". Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Il brano del Vangelo di oggi ci descrive un Gesù in pieno esercizio della sua missione, un Gesù missionario che stava toccando con mano i bisogni reali delle persone…, e ne ebbe compassione. Ecco perché disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe!». Questa richiesta di operai del vangelo emerge, direi, a partire dallo sguardo di compassione che Gesù ebbe nei confronti delle folle sfinite. Quindi la nostra chiamata non dovrebbe essere fine a se stessa. Infatti, alla luce del Vangelo di oggi, Gesù ci chiede, nella realizzazione della nostra vocazione, di essere per… gli altri, prendendo sul serio le loro ansie, le loro paure e i loro bisogni. Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di questa rivoluzione della compassione. Aver compassione vuole dire semplicemente soffrire con chi soffre, condividere la sofferenza dell’altro… La mia vocazione di cristiano non è finalizzata alla mia soddisfazione ma anche al bene di chi mi sta intorno. “Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro il potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattie e ogni infermità”. Il contenuto della loro missione non è diverso da quello della missione di Gesù, ch’è quello dell’annuncio dell’avvicinarsi del regno di Dio. E tutto il resto, cioè guarigioni, risuscitare i morti… è proprio la conseguenza di questa missione. Infatti il potere che loro hanno ricevuto da Gesù è un potere che ha come scopo la liberazione e la guarigione da tutto ciò che blocca la vita. Quindi approfittiamo di questo tempo di Avvento per rinnovare la nostra fiducia negli operai del vangelo che purtroppo (la fiducia) sembra scemare nel contesto attuale. Amen!
In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Questa scena che ci propone il Vangelo di oggi sembra inconcepibile : “Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi»”. Infatti qualcuno si potrebbe chiedere come mai due ciechi riescono seguirlo? Tuttavia questo dettaglio è di grande consolazione per ognuno di noi perché si sta per compiere la profezia del profeta Isaia che leggiamo nella prima lettura. Infatti l’aveva predetto, “certo ancora un po’ e udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno”. In realtà siamo tutti dei ciechi a causa dei nostri peccati quindi più che cecità fisica è una cecità spirituale. “Credete che io possa fare questo?” Anzitutto Gesù gli chiede la fede, e la fede non è altro che l’incontro personale con la persona di Gesù. Quindi il primo miracolo è proprio accorgersi di essere cieco come quelli di cui ci parla la pericope di oggi. È la cecità di chi cerca, una via d’uscita, una luce nuova attraverso cui vedere se stesso e gli altri. Con il ritornello del salmo ci fa ripetere: il Signore è mia luce e mia salvezza. Diceva il professore di Cristologia che: “Gesù dona questa luce nuova, ma non attraverso illuminazioni strane, bensì cambiando i nostri occhi. Il cristianesimo non è ricevere cose nuove, ma vedere in maniera nuova le stesse cose, perché ciò che è cambiato, che è guarito è il nostro sguardo. Chi ha questo tipo di guarigione vede esattamente come vede Cristo, diversamente è ostaggio del buio delle proprie paure, delle proprie ferite, dei giudizi che gli suscita l’Accusatore nel cuore.” Anche noi, in questo tempo di Avvento, impariamo da questi due ciechi che hanno avuto coscienza della loro infermità ed è proprio per questo che gridarono a Gesù di donargli la vista. “Figlio di Davide, abbi pietà di noi”. Amen!
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
Nel vangelo di oggi spicca il tema della testimonianza dei cristiani. Gesù si rivolge ad una comunità che subirà persecuzioni di ogni sorta perciò vuol infondere coraggio e fiducia nei cuori che potrebbero vacillare di fronte alle difficoltà che essa dovrà affrontare. La vita delle prime comunità cristiane ci riporta numerosi esempi di testimonianze vere e coraggiose, il più delle volte pagate con il prezzo della propria vita offerta con gioia. Potremo essere portati a credere che il martirio sia per pochi e la vera via alla santità è privilegio per anime ben temprate. A noi non rimane che vivere in una quotidianità sempre uguale a se stessa, nella quale possiamo solo sperare nella misericordia di Dio. La fede in Dio misericordioso è l'anima della vera speranza cristiana che guarda in Cristo la salvezza incarnata e realizzata nel Mistero Pasquale. In questa realtà dovremo porre la nostra vita, nelle sue difficoltà quotidiane, per trovare una via di riscatto che ci faccia avanzare verso l'amore di Cristo. Scopriamo che la via alla santità non è per una piccola schiera di eletti ma per tutti noi, scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al cospetto di Dio nella carità. E' nell'amore e nella carità che possiamo dare la vera testimonianza di essere figli di Dio. Lo stesso Gesù ha detto ai discepoli che dovranno distinguersi in modo assoluto da come ci si ama a vicenda. Gesù è la fonte del nostro amore e l'unico vero modello. La vera testimonianza di Gesù è nella nostra vita; così come rinneghiamo Gesù quando non lo poniamo al centro della nostra esistenza.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».
Dinanzi ad una moltitudine di persone, che si accalcava attorno a lui per ascoltarlo, Gesù si rivolse anzitutto ai discepoli: "guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia". Le parole di incoraggiamento di Cristo sono inquadrate in un contesto di persecuzione e di ostilità, in cui saranno situati i discepoli. Essi sono incoraggiati a non fare come i farisei, le cui parole non corrispondono a ciò che pensano. Essi sono chiamati a testimoniare la loro fede, costi quel che costi, perché "non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato". Gesù è venuto a togliere all'uomo i veli della menzogna e ha restituirlo alla sua verità di figlio, infinitamente amato dalla misericordia del Padre. Certo i credenti, come uomini, provano timore di fronte al pericolo della persecuzione, di una testimonianza difficile. Comunque una sola perdita è irreparabile: "temete colui che dopo aver già ucciso, ha il potere di gettarvi pure nella Geenna". L'atteggiamento fondamentale dei credenti non è fondato sul timore. C'è chi vigila, per difenderli. Dio si prende cura perfino dei passeri. A maggior ragione non dimenticherà i discepoli. "Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati". Questo vuol dire che viviamo in un mondo d'amore e di fiducia. Dio ci ama, ci sostiene con la sua mano forte, come sostenne Gesù sulla terra. Perciò l'ultima parola è sempre il "non abbiate timore".
In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».
Il Vangelo riporta le due ultime invettive di Gesù contro gli scribi. Costoro, non contenti di imporre agli altri obblighi che essi non osservano, mantengono lo stesso atteggiamento di quelli che in tempi passati non ascoltarono i profeti e li uccisero. "Guai a voi che costruite i sepolcri dei profeti". Sarebbe un onore costruire sepolcri a persone da venerare, ma nelle parole di Gesù c'è un pizzico di ironia. Se i loro padri hanno ucciso i profeti per non convertirsi, ora loro, invece di essere testimoni della sapienza di Dio, portano a consumazione il mistero di iniquità come i loro padri, soffocando la Parola ascoltata. "Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli e ne uccideranno e ne perseguiteranno". La sapienza di Dio da sempre sa di essere perseguitata e uccisa: è la sapienza della croce. "Guai a voi, dottori della legge che avete presa la chiave della scienza! Voi non siete entrati e l'avete impedito a quelli che volevano entrarvi". La chiave è la conoscenza di quel Dio che è misericordia in Gesù, che ora si manifesta loro. Essi non ci sono entrati, perché hanno e danno l'immagine di un Dio senza misericordia. Perciò: "sarà domandato conto del sangue dei profeti". Questa espressione sottolinea come alla generazione di Gesù, verrà chiesto conto del sangue di tutti i giusti di tutti i tempi. Infatti il mistero del male si consuma nell'ora della sua passione. Questa è l'opera del Signore. "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno", voce che si fa voce nello Spirito di tutti i profeti, consegnati all'estrema testimonianza. Infatti la Divina Provvidenza dispose di non limitare la sua bontà al suo Figlio diletto, ma di espanderla, per mezzo di lui, a molte altre creature, perché lo adorassero e lo lodassero per l'eternità insieme a tutti i fratelli. Questa è la chiave che ci è stata riconsegnata.
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.
Gesù, nel suo annuncio del Regno, non ha mai taciuto l'ipocrisia dei suoi ascoltatori. I farisei e i dottori della legge sono tra i suoi riferimenti più frequenti. Dal brano del vangelo di oggi possiamo capire perché talvolta le parole di Gesù suonano dure. Leggiamo oggi che Gesù non vuole che la Legge, che Dio aveva affidato a Mosè, fosse trascurata, anzi il contrario! Oggi sembra che Gesù si rivolga a coloro che conoscono molto bene questa Legge. Gesù si rivolge direttamente ai farisei chiedendo ad essi di scoprire il vero fondamento della Legge di Mosè. I farisei sono pronti al rispetto delle norme esteriori e trascurano la giustizia e l'amore di Dio. In questo insegnamento capiamo l'invito di Gesù a comprendere in profondità la legge. La Legge di Dio è sempre per il bene dell'uomo che si trova nell'amore e nella giustizia. Trascurare questo significa comunque non osservare la Legge di Mosè. I farisei, o almeno quei farisei ai quali si rivolge Gesù, pensano di poter vivere una superficialità religiosa fatta di norme e precetti. I dottori della legge invece sembra che siano colpevoli di un altro atteggiamento. Gesù riconosce loro la conoscenza della Legge, con tutte le norme e i precetti da applicare, ma solo per altri. Gli stessi dottori si sentono dei privilegiati e quindi già giusti quasi per diritto e non bisognosi di aderire a nessuna norma. Si fanno norma a se stessi e pretendono per gli altri un rigore asfissiante. Due atteggiamenti, quello dei farisei e quello dei dottori della legge, che potremo vedere, forse in misura diversa, anche presso di noi. Dovremo chiederci ad esempio se la nostra partecipazione all'Eucaristia domenicale non sia un semplice tacitare la nostra coscienza, ritenendoci dei buoni cristiani o sia - piuttosto - una celebrazione da vivere come momento privilegiato di incontro con il Signore. O ancora: se il nostro battesimo, dono gratuito di Cristo, non ci sembri essere una garanzia sufficiente per la nostra vita che, quindi non richiede ulteriori adesioni o scelte nelle nostre giornate...
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l'amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero. Gesù è diretto a Gerusalemme e attraversa la Samaria. Entrato nel territorio giudaico, da lui si presentano dieci lebbrosi. Essi si tengono a distanza, come prescriveva la legge di allora, data la virulenza del contagio di una malattia ancora oggi così terribile ma soprattutto per paura dei farisei che li segregavano nei campi chiusi. Nonostante queste limitazioni, i dieci lebbrosi riescono ad attirare attenzione di Gesù, con la loro invocazione di aiuto. Gesù li sana tutti e dieci, invitandoli a presentarsi ai sacerdoti. Questo invito di Gesù, all'immediata prossimità della sua Passione, ha due significati ben precisi. Da un lato è il riconoscimento del sacerdozio allora in vigore e dall'altro è il donare ai dieci malati una nuova vita civile-religiosa. I dieci uomini guariti sono soddisfatti di quanto operato da Gesù ma quasi tutti non sentono neanche la necessità di ritornare, per ringraziare lo stesso Gesù. Uno solo di loro, un samaritano - appartenente ad un territorio considerato pagano - torna a lodare Dio in Gesù. Nel ringraziare il Signore, il samaritano mostra una vera fede; una fede sincera. Gli altri nove, anche se giudei invece, non mostrano la stessa fede. L'atto di fede del samaritano è lodato dallo stesso Gesù; il samaritano torna, proprio per questo suo atto di fede, non solo sanato nel corpo - come gli altri nove, ma anche salvato nell'anima. L'episodio della liturgia di oggi è fonte di alcune riflessioni importanti per la nostra vita. Vi è un primo invito a liberare il nostro cuore da qualsiasi pregiudizio. Gli atti più belli e più puri possono venire da persone che noi giudichiamo inferiori. Già questo porterebbe un motivo sufficiente per alimentare la nostra preghiera personale. Possiamo, però chiederci - nelle nostre preghiere - cosa domandiamo a Gesù? Siamo interessati alla nostra conversione con la salvezza o pensiamo soltanto al nostro corpo? La sollecitudine di Gesù ad esaudire i dieci lebbrosi dimostra quanto sia importante la guarigione fisica, soprattutto se con questa si ridona una dignità civile. Quanto più importante, però è la salvezza dell'anima, quella che ci fa rinascere ad una vera vita nuova? Anche questo interrogativo ci interpella nel profondo del cuore nell'invito a riconoscere le vere priorità della nostra vita. Ancora però possiamo chiederci quante volte "torniamo" a ringraziare Gesù per i suoi doni? Quante volte riconosciamo il suo intervento nella nostra vita? O Piuttosto crediamo che tutto ci debba essere come dovuto di diritto...? Non esiste una preghiera più bella di quella del rendimento di grazie...
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".
La Vergine Madre, nel suo canto di lode e di ringraziamento al Signore, per la sua prodigiosa maternità, con accenti profetici, esclama: «Tutte le generazioni mi proclameranno beata». L'angelo che le reca l'annunzio dice di lei: «Benedetta tu fra tutte le donne». San Giovanni, nel libro dell'Apocalisse, la vede come la donna vestita di sole con, ai suoi piedi, dodici stelle. Elisabetta la definisce Madre del mio Signore. Oggi è una voce anonima di una donna, che sgorga dalla folla e grida: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Comincia già ad avverarsi la profezia della Madre di Cristo. Egli però ha da proclamare una più ampia e universale beatitudine: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». È una evidente conferma alle parole profetiche della Madre sua. Lei per prima ha ascoltato, accolto e messo in pratica la parola del Signore, che le è stata proclamata dall'Arcangelo Gabriele. Maria è quindi beata, non solo perché ha avuto il singolare e sublime privilegio di accogliere e generare il Verbo di Dio nella sua carne mortale, ma ancor più perché si è mostrata docile alla volontà divina e, come il suo dilettissimo Figlio, ha accettato il piano divino fino al Calvario, condividendo con lui la passione. Quanto Maria ha fatto, come umile e docile discepola, anche noi siamo chiamati a farlo con tutta la nostra vita. Su ciascuno di noi il buon Dio ha un piano di salvezza, che egli ci rivela nel tempo e nelle circostanze di ogni giorno. Possiamo essere beati se conformiamo la nostra volontà a quella del Signore. Dobbiamo perciò essere ascoltatori attenti della sua parola. Dobbiamo avere Cristo e la sua Madre come nostri modelli. Occorre riscoprire l'umiltà del cuore e la sincerità con noi stessi per diventare avidi della parola di Dio, bisognosi della sua verità e della sua grazia e infine capaci di operare il bene. Il Signore ce lo conceda.
Emergono ai nostri giorni due tendenze sostanzialmente opposte in merito al demonio: alcuni lo vedono ovunque e ne moltiplicano le presenze e i malèfici influssi, altri lo misconoscono completamente, fino a negarne perfino l'esistenza. Il vangelo di oggi ci illumina. Gesù ne parla ripetutamente e la sua opera è anche quella di scacciare satana dai corpi e dagli spiriti degli uomini. Il suo annuncio è liberazione dal male, da ogni male; affiderà ai suoi la stessa missione. Egli stesso si è sottoposto alle tentazioni di satana, dopo i quaranta giorni di deserto e le ha superate con la forza della verità rivelata. Satana invece è il menzognero fin dal principio e il tentatore che si è accanito e si accanisce ancora contro l'uomo per distoglierlo dal bene e indurlo al male in tutte le sue manifestazioni. Si mostra astuto e maléfico, si insinua nell'intimo dell'uomo e lo tormenta nel corpo e nello spirito. Soccombe però dinanzi a Cristo, che in tono imperativo comanda di uscire dall'uomo e di lasciarlo libero. Talvolta ancora ai nostri giorni appaiono evidenti le sue trame, soprattutto quando riesce a penetrare, non in un solo uomo, ma in intere collettività, creando correnti di pensiero e relativi comportamenti, chiaramente contro Dio e in modo più subdolo anche contro gli uomini. Dove Dio è assente o ancor peggio, respinto e odiato, lì satana trova facile acceso e terreno per lui fertile. Lì cerca di instaurare il suo regno per dominare e soggiogare. La nostra invincibile corazza, che ci protegge dal male, è Cristo Gesù, è la sua vivificante presenza in noi, è la sua verità accolta e vissuta, è il suo corpo che si santifica e identifica con la sua stessa persona. Armiamoci di armi spirituali, e il primo è il santo Rosario che oggi ci viene ricordato, per non permettere che il suo regno di tenebre dilaghi sempre più. Il Rosario è l'arma potente della quale il nemico ha tanta paura... Santa Maria, prega per noi.
Se la preghiera è essenzialmente comunione di amore con Dio, non possiamo mai e poi mai desistere dal praticarla, resteremmo privi di ciò che è essenziale per il nostro esistere e vivere. Alcuni si interrogano come mai dobbiamo reiterare le nostre richieste al Signore, se lui tutto vede e tutto conosce. La risposta è ìnsita nella nostra natura umana, corrotta dal peccato: dobbiamo colmare con la preghiera la distanza che noi, colpevolmente, abbiamo stabilito dal nostro Padre celeste, lasciando la casa paterna per vagare nell'illusione della libertà, sperperando tutti i nostri beni più preziosi. Nel dialogo possiamo stabilire la comunione, nell'umiltà della preghiera, possiamo manifestare a Lui le nostre debolezze e implorare la su forza. Non possiamo dimenticare poi la nostra fragilità e il bisogno estremo di conoscere la volontà di Dio, il suo piano di salvezza per tutti noi. Noi, istintivamente aneliamo al bene, ma non siamo più capaci né di conoscerlo, né di amarlo, né di praticarlo. Bisogna allora chiedere, cercare, bussare affinché il nostro cuore si riapra a Dio e il suo al nostro. Così rinasce l'amore, così riscopriamo il vero bene, così, pregando senza stancarci mai, impariamo l'arte sublime della preghiera. L'approdo a cui la preghiera ci conduce è la certezza di essere amati e di essere capaci di amare come Dio vuole. Scopriamo di essere suoi figli, di essere fratelli, di dover seguire le sue vie, di essere finalmente capaci di comprendere i valori della vita presente e quelli della vita futura. Rientriamo in sintonia con il nostro Padre celeste, con i nostri simili, con noi stessi. Impariamo a vivere dei beni semplici ed umili della vita, senza lasciarci soffocare dagli affanni e dalle eccessive preoccupazioni. Impariamo ad elevarci varcando senza fatica la soglia del tempo. Diventiamo cittadini del cielo ed eredi dei beni di Dio. È la più grande conquista che possiamo realizzare con la nostra fugace esistenza.
Esiste un vincolo inscindibile tra noi e il nostro Creatore e Signore. È stato lui stesso a stabilirlo sin dal momento della creazione, alitando il suo spirito in noi e facendoci simili a Lui. È vero che abbiamo deturpato quella primordiale immagine con l'arroganza del peccato, mai però si è completamento spento in noi l'innato desiderio di riunirci in qualche modo al nostro Dio e Padre. La preghiera è perciò un desiderio spontaneo in ogni essere umano, è la necessità urgente di dialogo con Colui che nel suo amore ci ha generati. Non è facile però immergersi nell'invisibile e nell'infinitamente grande; da quando ci siamo prostrati sulle cose della terra è diventata ardua la via del cielo. Gli stessi apostoli, testimoni oculari delle intense preghiere del loro maestro, sentono la necessita di chiedere: «Signore, insegnaci a pregare». È pronta la risposta di Gesù. Egli, perfetto nella natura divina e umana, sa come rivolgersi al Padre, come unirsi in intima comunione con Lui. E intona la sua splendida preghiera: «Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno». La paternità è per Lui connaturale e intima, ma vuole, anticipando i frutti della redenzione, che anche noi ci rivolgiamo a Dio con gli stessi accenti. Ci invita a riscoprire le meraviglie del suo amore. Egli vuole che chiamandolo Padre, riscopriamo la nostra figliolanza, gustiamo come il figlio prodigo l'abbraccio amoroso che ci ridona in pienezza la primitiva dignità, sentiamo in noi la gioia di Dio per il nostro ritorno a lui. La preghiera di Gesù ci risuona come l'inno iniziale di una grande festa, come l'avvento del suo regno in noi. Sentiamo che è davvero salutare per noi che si compia, non la volontà degli uomini, vittima di mille inquinamenti, ma quella del nostro Padre che è alimentata solo dal suo infinito amore. È sulla scia di questa meravigliosa scoperta che con fiducia chiediamo poi quanto ci occorre, affinché ognuno possa vivere dignitosamente e possa progredire nella sua grazia e nella vera fraternità. Riscopriamo così la forza sanante del perdono e della riconciliazione, riscopriamo quell'aiuto soprannaturale di grazia che ci rende forti dinanzi alle tentazioni e liberi da ogni male. Riscopriamo infine un nuovo programma di vita da realizzare pregando: siamo suoi figli e opera delle sue mani, siamo tutti fratelli in Cristo, tutti da lui riconciliati con il Padre, tutti peccatori, ma capaci di riconciliazione e di perdono. Tutti affamati, ma tutti partecipi nella solidarietà e nella condivisione, dell'unica mensa del pane di Dio.
Per ricordare il grande Santo di oggi, San Francesco d'Assisi, la liturgia ci offre una fervente preghiera di Gesù. Egli, con accenti filiali, si rivolge al Padre e lo loda e benedice perché ha tenuto nascosto i misteri del Regno ai sapienti e agli intelligenti del mondo per manifestarli ai "piccoli". I piccoli, nel linguaggio evangelico, sono coloro che vengono proclamati beati perché poveri in spirito, puri di cuore e semplici come bambini. Leggiamo questo brano evidentemente riferito alla povertà di Francesco. Il vangelo ci vuole far comprendere, -tessendone il miglior elogio-, che non si vuole tanto porre l'accento sulla povertà materiale del poverello d'Assisi, ma piuttosto sulla sua piccolezza, sulla sua umiltà, sull'essersi spogliato di tutti i suoi beni: materiali e spirituali, per conquistare Cristo ed assimilarsi a Lui, umile e povero. Lo scopriamo così adorno della primitiva innocenza, in piena armonia con tutto il creato e soprattutto, in piena comunione di vita con Cristo e con i fratelli. La comprensione delle "cose" di Dio lo hanno letteralmente innamorato del Crocifisso, fino a poter sperimentare nell'anima e nel corpo i segni della passione. Con quei segni ha potuto adempiere la missione di restauratore della Chiesa di Dio. Con quella sapienza ha poi creato la schiera dei seguaci, incaricati di espandere nel mondo la sua bella spiritualità. Egli ci viene proposto ed additàto come nostro patrono: ciò deve significare per noi, Italiani non solo di diventare suoi ammiratori, ma anche e soprattutto suoi imitatori. San Francesco ci può essere di grande aiuto per riscoprire le cose semplici e pulite della vita. Possiamo con lui diventare ecologi dello spirito e della natura che ci circonda, per ritrovare equilibrio spirituale e armonia nel creato. La sua semplicità evangelica ci sollecita a guardare, con umile attenzione quel mondo, non ancora del tutto nascosto, fatto di cose chiare e di cordiale onestà. Oggi, più che mai, egli è in preghiera per la nostra Italia: forse la prima intenzione di preghiera riguarderà i nostri governanti e viene da supporre che chieda per loro saggezza, onesta e lealtà. San Francesco, prega per noi!
La parabola riportata nella liturgia odierna chiarisce il pensiero di Gesù sull'amore al prossimo. Lo scriba aveva chiesto chi fosse il suo prossimo. Gesù risponde capovolgendo la questione. Non è quanto gli altri sono prossimi a noi, cioè il cosiddetto prossimo, il vicino a vari titoli, ma quanto noi siamo prossimi, quanto noi ci facciamo prossimi, premurosi verso gli altri. In che modo lo siamo? Il racconto parabolico non presenta interesse se lo sfortunato incappato nei briganti sia o no il nostro prossimo. La domanda di Gesù allo scriba è significativa: “Chi di questi tre ti sembra che sia stato il prossimo, l'interessato di colui che è incappato nei ladroni?” E' il samaritano, il nemico giurato dei Giudei, che si è dimostrato prossimo all'infortunato. E' la risposta a cui giunge lo scriba. Infatti un samaritano, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione. In questa piccola ma rivoluzionaria frase è svelata, con grandissima evidenza, la qualità propria dello sguardo cristiano. E' la compassione di chi si prende cura di lui, lasciando per il momento i propri affari, il proprio viaggio. E' la compassione che tira fuori di tasca due denari e li da all'albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui, il resto te lo rifonderò al mio ritorno”. Sappiamo bene che il buon Samaritano è Gesù, quando venne e ci vide, ebbe tanta compassione di noi da condurre avanti il grande disegno del Padre suo che era proprio quello di dare la vita per i fratelli. Ora anche lo scriba, che chiedeva ambiguamente: “chi è il mio prossimo?” sa chi è, e Gesù lo conferma: “va' e anche tu fa' lo stesso”. E' questa è anche la nostra missione...
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
La Liturgia della Parola di questa domenica inizia con un grido di dolore verso Dio, da parte del profeta Abacuc, perché all'interno del popolo d'Israele dilagano violenze e contese, la legge è trasgredita, il diritto non rispettato. La prima risposta di Dio, non riportata dal testo di oggi, è l'annuncio che verranno i Caldei a punire gli empi (Ab 1,6). A tale risposta il profeta si àgita ancora di più, chiedendo conto a Dio del suo operato; sì, Giuda ha peccato ma perché Dio ha scelto un popolo malvagio, pagano, che governa, opprimendo e seminando morte, per esercitare la sua vendetta? In fondo Giuda rimane sempre un giusto che ama l'unico Dio. Abacuc attende con impazienza che il Signore dia una spiegazione a tutti i suoi "perché" e intervenga per porre fine all'oppressione caldea. Gli interrogativi del profeta sono anche i nostri, gli interrogativi di tutti coloro che odiano la violenza e l'ingiustizia. L'ansia di Abucuc si placa nella risposta di Dio: «Ecco soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede (Ab 2,4). E' un invito alla pazienza, alla fiducia, a credere che il giusto non sarà dimenticato, ma sopravvivrà mentre l'empio soccomberà. Jahve si impegna a realizzare questa sua promessa, l'uomo da parte sua deve camminare umilmente con il suo Dio, obbedire alle sue leggi, essergli fedele nella certezza che Dio non può ingannarlo. Il giusto non è colui che non pecca mai, ma è colui che, dopo aver peccato, appoggiandosi alla misericordia di Dio, si rialza riprendendo il cammino, giustificato, perdonato, salvato. Nessuno può salvarsi da solo, nessuno può risolvere il problema del male, se non in Gesù Cristo che in sé ha distrutto tutto ciò che per noi è fardello pesante che ci schiaccia; questa è la giustizia di Dio, che ci rende giusti: la misericordia. Viviamo dunque di fede, gettando in Dio ogni nostro affanno e accogliamo l'invito del salmista a vivere la vita come una festa, anche quando siamo nel buio, perché Cristo ha già vinto la morte. Solo così, ben radicati in Cristo, possiamo accogliere l'esortazione dell'Apostolo Paolo a soffrire per il Vangelo; la fedeltà alla vocazione, al Vangelo, spesso porta con sé rinunce, sofferenze, insuccessi. Poiché però ogni carisma è un dono di Dio non bisogna viverlo ansiosamente come se tutto dipendesse da noi, né trascurarlo, come se tutto dipendesse da Dio ma alimentarlo come fuoco sempre vivo, credendo fermamente che lo Spirito Santo sarà capace di trasformare la nostra debolezza in forza, amore, saggezza a servizio del bene della comunità. A questo punto come agli apostoli, anche a noi viene spontaneo chiedere al Signore di aumentare la nostra fede, non certo per sradicare gli alberi e piantarli nel mare ma perché la sua Parola, seminata nei nostri cuori, nel cuore di ogni uomo, possa far nascere e crescere il frutto buono che è Gesù nostro Signore e perché altri possano gustarne la dolcezza. Nasce quindi, spontanea nel nostro cuore una sincera gratitudine perché attraverso la nostra inadeguatezza e inefficacia Gesù continua a camminare nella storia, portando a maturazione i semi di santità da Lui piantati, e preoccupandosi incessantemente di risvegliare in noi stessi la fede, di difenderla e di aumentarla. Sì, Lui sta in mezzo a noi come colui che serve e per noi non c'è avventura più bella che essere come lui: servi che non appartengono più a se stessi ma al proprio Signore che per noi ha donato la vita. Il Signore doni a tutti la gioia di dimenticarci, di non avanzar nessun diritto nei suoi confronti e di cercare solo la sua gloria e il suo Regno, secondo quanto afferma Sant'Agostino: «Noi, fratelli, se viviamo col continuo desiderio di appartenere a Lui e perseveriamo in esso fino alla fine, giungeremo alla visione e saremo ricolmi di gioia».
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: "Accresci in noi la fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"".
A te cantiamo, Signore, davanti ai tuoi angeli. E noi, in questa festa dei santi Arcangeli vogliamo fare proprio quel che fanno le schiere angeliche, le schiere celesti. Vogliamo dare gloria a Lui, gloria a Dio. Nella liturgia gli angeli vengono chiamati cooperatori, cooperatori del disegno di salvezza, sono al servizio di Dio e del Figlio dell'uomo, di Cristo. Non sappiamo molto degli angeli, anche se la Bibbia spesso ci presenta questi amici di Dio. Daniele nella prima lettura parla degli angeli in forma misteriosa. Nella profezia sul Figlio d'uomo Daniele dice: "Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a Lui, mille migliaia lo servivano e dieci mila miriadi lo assistevano". Il profeta non nomina gli angeli, parla di fuoco, parla di miriadi, parla veramente con un linguaggio misterioso... Noi spesso rappresentiamo gli angeli come uomini, uomini dal viso dolce, soave... Nella Scrittura invece loro appaiono come esseri terribili, esseri che incutono timore, perché sono la manifestazione della Potenza di Dio, della Santità di Dio. Dobbiamo però notare una cosa importante, una cosa che spesso ci sfugge. Abbiamo parlato degli Angeli nella profezia di Daniele. Ma se la rileggiamo bene, ci accorgiamo che in quel brano, non sono gli Angeli gli esseri più importanti... Dopo la Epifania di Dio, la manifestazione di Dio vediamo "uno, simile ad un figlio d'uomo". Ed è proprio lui e non gli Angeli ad essere introdotto fino al trono di Dio. È a lui che il Vegliardo "da' il potere, la gloria e il regno", è "a lui che tutti i popoli serviranno". L cosa simile osserviamo anche nel brano evangelico di oggi... "Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire a scendere sul Figlio d'uomo". Anche qui gli angeli sono al servizio del Figlio d'uomo, di Gesù Cristo. Vediamo allora come la liturgia purifica il nostro culto, il nostro servizio. La nostra lode, la nostra adorazione non è rivolta ai santi, nemmeno quando si tratta degli angeli o arcangeli. La nostra lode e il nostro culto va indirizzato solo a Dio e al Figlio di Dio. Gli angeli sono solo servitori suoi che Dio, nella sua immensa bontà, mette anche al nostro servizio. Che cos'è che ci insegna questa festa di oggi, che cos'è che impariamo oggi dai santi Arcangeli? San Michele ci insegna il "Chi se non Dio!"... Come far significare nella/colla nostra vita che solo Dio importa, che solo Lui è il Signore della nostra vita, a Lui solo vogliamo dar la nostra gloria. San Gabriele, il grande annunciatore della volontà di Dio, del progetto di Dio. Egli ci dice come riconoscere il progetto divino nella nostra vita, come accettarlo... San Raffaele, colui che guida, colui che accompagna, conduce il mondo, noi verso il Signore... Chiediamo al Signore perché ci faccia veramente comprendere la sua santità, maestà, potenza perché possiamo dargli gloria, reverenza in mezzo ai suoi Angeli.
In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l'albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo».
Il "mestiere" di seguire Gesù è molto impegnativo: non consente distrazioni; è un'occupazione a tempo pieno. Il Cristo è un maestro diverso dagli altri: l'aderire al Signore non è come un sedersi ad una càttedra, ma è un camminare dietro: un instancabile protendersi in avanti. Bisogna seguirlo e diventare suoi discepoli con prontezza e decisività: è una via difficile, qualche volta di disagio, di povertà, di stenti, ma anche la via sicura, quella che consente di pensare e credere di spendere la vita nel modo migliore possibile. Non possiamo mai dimenticare chi è colui che chiama, chi seguiamo, dove egli vuole condurci, quali strumenti di grazia egli ci offre per renderci possibile la sequela. I veri discepoli di Cristo ci affàscinano per la loro vita, per i loro esempi, per la loro pace profonda. Anche oggi sono molti i chiamati, pochi coloro che hanno il coraggio di rispondere con generosità e sollecitudine. Sia questo vangelo motivo di preghiera per tutti coloro che sentono il bussare del Signore nel loro cuore e non hanno forza di rispondergli.
In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Le ascensioni che piacciono a noi sono quelle che conducono verso il successo, verso la gloria, verso il benessere. L'ascensione di Gesù verso Gerusalemme, del vangelo di oggi, significa andare incontro alla morte, verso la disfatta totale. È difficile rassegnarsi alla morte sempre e comunque. Per i discepoli, per i seguaci di Cristo, quegli annunci reiterati, li hanno gettati nello sbigottimento. Non possono e non vogliono credere che il seguire Gesù possa significare un fallimento totale delle loro aspettative e dei loro sogni di grandezza. Non si rassegnano all'idea che il Figlio di Dio, che compie prodigi e risùscita i morti, debba poi lui stesso soccombere alle trame degli uomini. Al rifiuto degli apostoli segue quello degli abitanti di un villaggio, dove sono giunti i discepoli, come messaggeri, per preparare la venuta del Cristo. «Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme». Il motivo del rifiuto è lo stesso che scandalizza gli apostoli. È lo scandalo della croce che, prima ancora di essere innalzata, già sconvolge le menti dei deboli. Ci vuole fede grande e fortezza incrollabile per comprendere il piano divino di salvezza. L'iter della croce ha in sé una sua radicalità perché sgorga da un amore misericordioso infinito, non accessibile a menti umane. Il ritorno a Dio attraverso la croce è non solo la missione di Cristo redentore ma, da quel primo tragitto, è diventata la via di salvezza per ogni uomo, che sa identificarsi con lui. Dobbiamo doverosamente «aggiungere» quello che nella nostra carne manca ai patimenti di Cristo, la nostra libera e gioiosa partecipazione ai suoi dolori e alla sua passione. Ora ci appare del tutto ingiustificata e perfino assurda la reazione violenta di Giacomo e Giovanni: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Il rimprovero di Gesù è per loro e per tutti noi, che spesso non siamo capaci di seguirlo sulla via del calvario e diventiamo poi intransigenti verso coloro che sperimentano le stesse nostre difficoltà. Amare il fratello vuol dire anche saperlo comprendere, specialmente lì dove ha difficoltà in qualunque sequela.
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Gesù quando vuole rendere più incisivo il suo insegnamento, ricorre spesso a segni e parabole, con l'intento di smuovere gli ascoltatori a riflessioni più profonde e ad un confronto più efficace. Alla disputa dei suoi apostoli su chi di loro fosse il più grande, il Signore risponde con una efficacissima gestualità. Prende un fanciullo, se lo mette vicino e poi pronunzia il suo insegnamento: «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande». La grandezza Gesù la identifica con la semplicità e l'innocenza di un bambino e con la capacità di accoglierlo. È davvero sconvolgente per noi, spesso affascinati da manìe di grandezza, sentirci dire che «il più piccolo» è davvero grande agli occhi di Dio. Bisogna allora dotarsi della virtù dell'umiltà, che ci rende semplici come bambini. Nell'ultima cena Gesù offrì un luminoso esempio di grandezza ai suoi discepoli: vi ricordate, si prostrò dinanzi a tutti per lavare loro i piedi, come fa lo schiavo con il suo padrone. Poi pronunciò la sua sentenza: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi». In altra occasione ci darà la misura più sublime dell'amore che è il dono della vita. L'umiltà del cuore e la semplicità dei bambini ci lìberano anche da assurde gelosie, come quella che nutre Giovanni nei confronti di quell'anonimo, che scaccia i demòni nel nome di Cristo, senza appartenere alla schiera dei discepoli. Gesù conclude: «non glielo impedite, perché chi non è contro di voi è per voi». Probabilmente quell'esorcista aveva solo ascoltato e preso sul serio quanto Gesù aveva affermato: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome, il Padre celeste ve lo concederà».
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
Gesù ci pone sempre davanti a due realtà, a due atteggiamenti, a due proposte di vita tra le quali poter scegliere. Nella parabola sono presentati due personaggi uno povero e mendicante e un ricco. La differenza che sottolinea Gesù, non è nella loro posizione sociale ma nel diverso approccio verso la vita. Per prima vi è il ricco che pensa a trascorrere le giornate solo a banchettare ed a soddisfare i propri desideri. Non si cura degli altri che gli stanno intorno e neanche pensa alle loro necessità e ai loro bisogni. Egli pensa solo a se stesso. Poi arriva il mendicante che è uno escluso dal consenso sociale: è trattato peggio dei cagnolini; è un emarginato non ha di che sostenersi. A questi due atteggiamenti poi corrispondono due realtà che tra loro sono incomunicabili: il paradiso e l'inferno. Sono la rappresentazione della nostra scelta di vita: quanto interviene Dio nella nostra vita? Come lo dimostriamo, nella carità nella nostra fede? La risposta a queste domande non è il castigo di un Dio giudice e senza misericordia ma è la conseguenza della nostra scelta di vita, attuata in piena libertà e che Dio poi rispetta. Dio ci offre continuamente la possibilità di salvezza e la stessa parabola ne parla. È Dio che «aveva già parlato nei tempi antichi molte volte ed in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» come dice l'autore della Lettera agli Ebrei; ed ha anche mandato il suo Figlio, è l'accenno finale della parabola si riferisce proprio alla redenzione che si compie attraverso la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Noi non abbiamo scusanti per la nostra negligenza e abbiamo il dovere di annunciare questo messaggio di salvezza a chi non lo ha ancora recepito perché Gesù ci dice: «quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti».
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"".
San Luca pone il secondo annuncio della sua Passione dopo l'episodio centrale della trasfigurazione e della guarigione dell'epilettico. Dopo la gloria del Tàbor, ecco che Gesù ripropone il suo mistero della Croce. È un insegnamento forte e di difficile comprensione da parte dei discepoli. Lo «scandalo della Croce», che ci propone San Paolo nei suoi scritti si associa alla glorificazione del Figlio dell'uomo che troviamo nel Vangelo di San Giovanni. I discepoli, non possono ancora comprendere questi misteri; si trovano di fronte all'impossibilità di accettare la sofferenza del giusto: in questo passaggio troviamo il cambiamento dall'Antico al Nuovo testamento. Troviamo nella predicazione profetica (Isaia) e nell'esperienza sapienziale (Giobbe) già dei tentativi per affrontare questo aspetto che, invece, ci introduce direttamente nella missione redentrice di Gesù, il vero ed unico Giusto, e ci aiuta a comprendere i misteri del Padre nelle strade tortuose di questo mondo; ciò però non è sufficiente per i discepoli che rifiutano ancora apertamente la passione di Cristo. Vi è un profondo motivo religioso in ciò proprio per l'inconciliabilità, nella loro mentalità, della figura del Messia con la passione appena annunciata. Nella missione della Chiesa, e nella nostra vita quotidiana vi è l'esortazione a riconoscere il vero Gesù, il Cristo mandato dal Padre, nel Mistero della sua morte e Risurrezione, per affidare a Lui le nostre sofferenze ed i nostri dolori che ci dice: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime».
In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Gesù, oggi ripropone la questione centrale per il cristiano «Chi è Gesù per noi?» e che abbiamo già visto - con intenti completamente diversi nel commento di ieri - in Erode. Gesù stesso sollecita questo interrogativo, proprio perché tutti noi lo dobbiamo affrontare in modo serio e decisivo. Importante è anche vedere in che occasione e in che modo Gesù pone la questione. Egli ha mandato gli apostoli in missione ad annunciare il regno ed al ritorno pone loro la domanda: prima in modo indiretto: «Chi sono io secondo la gente?» e poi in modo diretto è rivolto agli apostoli. Gesù vuol ancora far capire loro che i successi che gli apostoli hanno avuto nel loro apostolato dipendono senz'altro dalla loro generosità e donazione ma soprattutto dalla fedeltà al mandato ricevuto e dal riconoscere che lo stesso Gesù è il vero mandante, la fonte inesauribile di tutte le grazie. Il contesto nel quale Gesù rivolge la sua domanda è quindi nella missione della Chiesa dell'annuncio del Regno. È questa la cornice, ma Gesù comincia a tratteggiare anche il quadro che sarà completato poi con il suo mistero pasquale. L'annuncio del regno non può essere dissociato dal mistero della Morte-Resurrezione-Ascensione e mandato pentecostale di Gesù Cristo. È difficile adesso accettare per i discepoli questo disegno: e - a ben pensare - lo è ancora oggi per tutti i cristiani che sentono in modo autentico la responsabilità completa del mandato di Gesù stesso «se qualcuno vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
L'episodio riportato dal Vangelo di oggi ci propone una essenziale considerazione sul nostro rapporto, personale e profondo, con il Signore Gesù. Egli rispose a chi gli annunciava la presenza gelosa dei suoi familiari: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Con queste parole Gesù non rinnega affatto i legami che egli aveva con le persone che lo cercavano e tanto meno con sua madre. Tuttavia non sfugga una indispensabile constatazione. I suoi parenti si avvicinano a lui, ma per incontrarlo non basta essere dei suoi. C'è una folla che lo separa da lui, la folla degli estranei, che sta con lui per ascoltarlo e seguirlo. I parenti quindi - chi si crede vicino - se vogliono incontrarlo devono entrare in quella folla di discepoli, che per loro sono estranei, ma che in realtà sono i veri parenti, perché lo ascoltano e gli obbediscono. Si contrappone una parentela "secondo lo Spirito" ad una "secondo la carne". Questa è una buona notizia per tutti gli 'estranei', i quali sono chiamati a essere di casa con Dio nella sua misericordia. Ascolto, accoglienza, terra, casa hanno in comune una caratteristica materna, la capacità di ricevere Cristo, parola seminata nei nostri cuori dall'annuncio”. Pur essendo noi generati dalla Parola, in qualche modo la generiamo: diamo a lei una dimora, una tenda dove abitare. Come Maria accolse la Parola e la generò al mondo, così il nostro ascolto le da spazio e caratteristiche personali. Mettiamo a disposizione, come Maria, tutto il nostro essere tutto il nostro operare “ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua Parola”. L'azione di Dio è sempre molteplice e creatrice di relazioni. E qui ha origine la nostra fraternità, perché l'ascolto dell'unica parola di misericordia del Padre che è nei cieli, ci rende tutti figli suoi, fratelli di Gesù e tra di noi. “Così voi non siete più stranieri, ne ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”.
In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: "Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti". Ma egli rispose loro: "Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
Il cristiano, il discepolo di Gesù, è tenuto a rendere testimonianza del messaggio di salvezza; Gesù lo paragona alla lampada che deve essere posta sul lampadario. Due annotazioni in questa immagine. Da un lato è un invito a rendere sempre, con le nostre azioni, con le nostre parole, con i nostri sentimenti, testimonianza della luce. Il cristiano è tale sempre: non è un impegno a «part-time» - come si direbbe oggi, dove la provvisorietà sembra essere una caratteristica della società post-industriale. Nella famiglia, sul lavoro, nelle mia attività, nel volontariato, anche nei momenti di svago e di riposo riesco sempre a far brillare questa luce? Un'altra considerazione, che è fonte non solo di consolazione ma di forza per noi. Noi non siamo la luce, ma la trasmettiamo. La luce, la Luce quella vera, non proviene da noi; se dovessimo solo affidarci alle nostre forze e alle nostre capacità, la luce con quale intensità potrebbe brillare? Noi dobbiamo renderci trasparenti a questa luce, che è la forza dello Spirito Santo che agisce in noi e che accogliamo, come dice lo stesso Gesù in un altro brano, con «cuore buono e sincero». L'opera di Dio deve brillare in noi; Gesù stesso ci insegna a come attuare questo proponimento «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».