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Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Il Signore Gesù, pur di rendere comprensibili i suoi messaggi di salvezza, ricorre anche al paradosso. Nel Vangelo di oggi viene lodata l’astuzia di un autentico imbroglione che, vistosi scoperto nella sua infedeltà verso il padrone e prossimo al licenziamento dal suo incarico, cerca con abilità e scaltrezza di accaparrarsi la benevolenza dei creditori, per poi sperare di godere della loro protezione. È fin troppo evidente che il Signore non vuole che imitiamo l’astuzia e ancor meno la disonestà dell’amministratore infedele; vuole invece che, come figli della luce, ci adoperiamo alacremente, da veri sapienti, per conseguire i beni migliori che Egli stesso desidera donarci. Egli ci ha avvertiti che stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita. Per passare per una porta stretta occorre chinarsi e farsi piccoli, diventare umili; per poter percorrere una strada angusta occorrono abilità, destrezza e prudenza. Ecco allora le virtù e la sapienza che Gesù vuole siano praticate dai suoi seguaci. Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. La violenza praticabile dal cristiano è il diuturno sacrificio con cui affronta gli ostacoli della vita, è l’abbraccio volontario della propria croce, è la salita faticosa verso il monte dei risorti. Abbiamo il conforto dello Spirito Santo di Dio che ci illumina e ci fortifica, ci rende astuti e sapienti, coraggiosi e intrepidi. Se tanta pusillanimità ancora serpeggia nel mondo dei cristiani, ciò dipende dalla mancanza di fede e di fiducia nel Signore, dalla mancanza di preghiera e dalla perenne tentazione dell’autosufficienza. Tutto questo ci rende deboli e paurosi, rischia di riportare la Chiesa nel buio delle catacombe e soprattutto di farla cadere nei facili compromessi con il mondo. Forse è ancora vero che i figli di questo mondo, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce.
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In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta". Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
"Vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione". È la gioia di Dio e di tutto il paradiso che oggi viene solennemente proclamata. Peccato che tale gioia non sia sempre condivisa dagli uomini! Ciò accade forse perché noi, nei confronti degli altri esigiamo la giustizia e per noi stessi invece la misericordia. L'intensità della gioia di ritrovare ciò che era perduto è proporzionata all'amore che abbiamo per ciò che si è perso. Ciò si può sperimentare anche nelle nostre esperienze umane. Esulta il pastore che ritrova la pecora smarrita e vuole rendere partecipi del suo gaudio anche gli amici. Dio ci ama di un amore immenso ed incontenibile. Tutta la storia della salvezza ne è una chiarissima e splendida dimostrazione. Dal momento del peccato il Signore si è messo alla ricerca dell'uomo, nudo, spaurito e fuori del paradiso terrestre. In Gesù l'opera divina ha trovato il suo culmine quando per ritrovare l'uomo e redimerlo dal peccato ha immolato se stesso sulla croce. La gioia poi è diventata perenne, sicura e garantita nella risurrezione sua e nostra. È diventata la gioia pasquale!
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
È duro il linguaggio che Gesù usa per invitare i suoi e tutti noi a seguirlo in modo totale: egli esige un superamento radicale da ogni legame terreno, anche dagli affetti più spontanei. Arriva a dirci che dobbiamo avere una interiore disposizione a dare perfino la nostra vita, se questa ci viene richiesta, come testimonianza di fedeltà a lui. Per nostra fortuna abbiamo esempi luminosissimi ed innumerevoli di sante e di santi, di martiri e di eroi, che con tutta la loro vita hanno testimoniato la loro completa dedizione al Signore. Possiamo dunque dedurre alla luce della storia che la radicalità evangelica, per quanto difficile, è comunque praticabile con la forza della fede, l'intensità dell'amore a Dio e soprattutto con la sua grazia. Sono ancora tanti e tante a lasciare tutto per seguire Cristo ed affermare concretamente il suo primato. Nonostante la crisi di vocazioni religiose e sacerdotali, sono ancora migliaia e migliaia nel mondo le persone che, sulla scìa dei primi discepoli e sull'esempio di Cristo, obbediente, povero e casto, lasciano tutto, ma veramente tutto, per dare la vita a lui. Il materialismo, il consumismo, la brama dei beni terreni, distolgono ai nostri giorni dalla sequela del Signore: ci vogliono fede e coraggio non comuni per lasciare tutto ciò che il mondo può offrire, cedere volontariamente ad una povertà totale e sperare solo nei beni futuri. Il mondo ha comunque urgentissimo bisogno di esempi chiari di distacco dalle cose materiali e di una visione più spirituale della vita. È il ruolo a cui il Signore ha chiamato i monaci e tutta la schiera dei consacrati.
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Sono ancora tantissimi i cosiddetti fedeli chi si dichiarano talmente affaccendati al punto di non avere più tempo da dedicare al Signore e ai propri doveri religiosi. C'è da credere invece che l'invito è di primaria importanza, è un invito a partecipare all'intimità con Dio, è un invito alle nozze con Cristo; è lui lo sposo tanto atteso e desiderato e ora misconosciuto e rifiutato. Le scuse che ancora oggi vengono addotte per giustificarsi non sono sostanzialmente diverse da quelle degli invitati alle nozze del vangelo di oggi; cambiano i mestieri e il tipo di occupazione, ma tutti sono ugualmente presi e coinvolti dalle mille faccende della vita presente. Il loro tempo e stracolmo di impegni per le "cose" da fare, per cui non c'è più spazio per il Signore. Così molti posti rimangono vuoti: perché gli invitati hanno ben altro da fare! Così accade che i prediletti rimangono nelle strade del mondo e al loro posto vengono invitati ciechi, storpi e zoppi. Il Signore non si rassegna mai ai rifiuti degli uomini. Proprio dal rifiuto degli "eletti" la fede è giunta fino a noi. Ora comprendiamo meglio la frase evangelica "gli ultimi saranno i primi"! Anche noi eravamo tra gli ultimi. Oggi siamo Figli di Dio.
Pascal Denault - Psaume 44.1-27 RÉSUMÉ: Le Psaume 44 est une complainte du peuple d'alliance qui, au souvenir des grandes délivrances passées, n'arrive pas à comprendre les grandes souffrances présentes qui lui sont infligées alors qu'il est demeuré fidèle. Tantôt le psalmiste parle au singulier comme chef et représentant de son peuple, tantôt c'est tout le peuple qui parle en tant que reste fidèle qui souffre au côté de son roi. L'application que l'apôtre Paul fait de ce psaume en Romains 8 nous donne le cadre théologique dans lequel nous devons comprendre sa portée, mais nous débuterons notre réflexion en cherchant le contexte original derrière ce psaume. PLAN: 1. Dieu a opéré notre salut passé (v.1-9) 2. Dieu nous laisse souffrir présentement (v.10-22) 3. Dieu se lèvera encore pour nous (v.23-27) QUESTIONS: 1. Dans quel contexte devons-nous comprendre le Psaume 44? 2. Quels liens y a-t-il entre la Conquête et la rédemption? 3. Que devons-nous conclure concernant le rapport entre Dieu et la souffrance de son peuple? 4. En quoi le verset 23 nous donne-t-il une clé pour comprendre la souffrance? 5. Que pouvons-nous remarquer du cri final du psalmiste? Lectures complémentaires: Psaumes 89 ; Romains 8.17-39
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Gesù sarà il Giudice glorioso di tutti gli uomini. Le immagini della parabola presentate da questa liturgia, sono tipiche dei discorsi profetici sul "tempo della fine", tempo insieme nostro e di Gesù che si rivela qui in due inaudite identificazioni, se pur su due piani diversi: lui e Dio, lui e i "poveri". Questa "parabola del giudizio" ha la funzione di mettere i credenti sull'avviso: il discernere o no questa equazione a tre termini, già fin d'ora giudica la tua esistenza. La speranza dei credenti è indirizzata verso l'incontro definitivo con Dio, come invito a una comunione piena, quella comunione alla quale già ci introduce, come a primizia, l'adesione a Cristo, e massimamente la partecipazione alla sua Eucaristia. Ma lui nella sua presenza e nella sua sembianza, nei poveri, nei piccoli, chiamerà i suoi fratelli ad una fede in una presenza diversa da quella eucaristica, ma sicuramente non meno vera ed impegnativa. È in questa prospettiva di fede che oggi facciamo memoria di tutti i fedeli defunti, pensando a loro ancora in attesa dell'incontro finale con Cristo nella beatitudine eterna. Preghiamo per le anime purganti, quelle che, nella luce dello Spirito, non si sentono ancora degne di accedere alla perfetta visione di Dio nel suo Regno di amore e di perfezione. Quello che compiamo in questo giorno non è un semplice gesto di pietà, non è la solita visita ai cimiteri e alle tombe dei nostri defunti a deporre fiori o a ravvivare in noi la loro memoria, è piuttosto una manifestazione di fede e di autentica carità cristiana, mossi dalla certezza che le nostre preghiere, i nostri suffragi, le indulgenze che possiamo lucrare a loro favore, concorrono ad affrettare l'ingresso nel Regno di Dio, nella beatitudine eterna. Possiamo considerare anche utilitaristicamente i nostri suffragi a favore delle anime purganti nel senso che abbiamo la certezza di poter poi godere della loro preghiera per noi quando avranno raggiunto la pienezza della gioia nell'eternità di Dio.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
La festa di Tutti i Santi è una giornata di gioia, di speranza, di fede. Noi viviamo per tutto l’anno la comunione dei santi: li sentiamo a noi vicini, ci sono proposti e li riconosciamo come modelli di vita, li invochiamo come nostri intercessori, li festeggiamo nel giorno della loro nascita al Cielo. I loro nomi sono indicati nel calendario liturgico, ma ne ricordiamo solo una minima parte, alcuni dei tanti e tante che sono stati canonizzati dalla Chiesa. Oggi si unisce a noi e noi a essa quella schiera che nessuno sa contare e che è immersa ormai nella luce di Dio, che ha raggiunto la mèta e ci ha preceduto nel regno dei beati: li celebriamo tutti in un’unica festa e ritroviamo così anche i nostri cari, anche quei santi nascosti agli occhi degli uomini, ma luminosi a quelli del Signore. La qualifica che li accomuna tutti è la fedeltà, anche eroica, testimoniata a Dio e ai fratelli: fedeltà a Gesù Cristo, fedeltà al suo Vangelo, fedeltà alle promesse battesimali, fedeltà alla Chiesa. Tutti hanno fatto esperienza dell’amore di Dio, tutti sono stati lavati e mondati dalla sua misericordia, tutti hanno vissuto le beatitudini evangeliche e non si sono lasciati sedurre dalle attrattive del mondo e dalle seduzioni del maligno. Hanno combattuto la buona battaglia, hanno terminato la corsa, hanno conservato la fede: ora è riservata loro una corona di gloria. Mirabilmente, la storia degli uomini, i percorsi umani, l’agire e il pensare di ognuno si fondono con il volere di Dio, e così sgorga la santità, così si adempie un progetto di amore pensato, proposto e vissuto. È giusto, vero e salutare che tutto questo diventi motivo di festa e di gioia per noi: tocchiamo con mano la “pienezza”, la “verità”, il culmine oltre il quale non siamo in grado di aspirare e di salire. Sentiamo più vicino l’approdo, la meta già percorsa da tanti; la sentiamo faticosa, ma accessibile. “Se tanti e tante, perché non io?” diceva Sant’Agostino. Aspirare alla santità è proprio di ogni cristiano: ognuno di noi ha il dovere di realizzare il progetto che Dio ha su di sé. Tutti dobbiamo adempiere il precetto di Gesù: “Siate perfetti come perfetto è il Padre mio che è nei cieli” e il comandamento divino: “Siate santi, perché Io sono Santo”. I festeggiati di oggi sono i nostri alleati, i nostri collaboratori e ci infondono fiducia.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
«Chi di voi, se un figlio o un bue gli cadesse in un pozzo, non lo tirerebbe subito fuori in giorno di sabato?» Suona bruciante la domanda posta da Dio nel cuore della nostra esistenza, continuamente tentata dall’incredulità e sempre bisognosa di risposte. Ha forse paura oggi la Chiesa di Cristo di guarire in giorno di sabato, di trasmettere la beatificante realtà liberatrice dell’uomo, di farsi credibile sacramento dell’amore smisurato di Dio? La contestazione dell’agire di Dio, del Figlio suo Gesù Cristo o della sua Chiesa scaturisce quasi sempre da ottusa presunzione, da grettezza mentale o dall’aver assunto atteggiamenti di mera esteriorità, estranei alla Verità. Dio è più grande del “sabato”, è più grande di ogni umana grandezza, trascende ogni logica e i suoi disegni vanno oltre i confini della ragione umana senza umiliarla, se illuminata dalla sua stessa grazia. Impariamo oggi che ogni momento è buono per fare del bene, a tutti. Prendiamo esempio da Cristo, che il bene lo fa sempre, anche, o forse proprio, nel giorno di festa.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Il linguaggio di Gesù è spesso permeato di sottili allegorie, anche se per noi non sempre di immediata comprensione, poiché non siamo assuefatti a quello stile, come nel Vangelo di oggi. Erode, che sta tramando contro di Lui, viene definito “una volpe” per indicare la sua astuzia malvagia. Gesù dichiara poi che, nonostante le minacce e il reale pericolo, deve compiere la sua missione e ha bisogno di tre giorni. Anche qui il Signore allude a ciò che avverrà dopo la sua morte: Egli risorgerà dopo tre giorni, il tempo che intercorre tra la morte e la vita. Sta compiendo miracoli e prodigi che anticipano quell’evento. Non dimentico, però, del clima ostile che respira nella città santa, Gerusalemme, Gesù ci fa ascoltare il suo lamento accorato nei confronti di quella città e dei suoi abitanti: «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa vi viene lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». C’è un contrasto terribile tra le cure riservate a quella città e l’ingratitudine e la violenza con cui ha risposto agli inviati del Signore. È sempre grave il peccato, in ogni sua forma, ma quello dell’ingratitudine verso un amore di predilezione è particolarmente doloroso: è il peccato dei prediletti, di un popolo e di una città che, per scelta divina, dovevano brillare di luce e di grazia e avrebbero dovuto accogliere l’Atteso delle genti come il dono più grande che si potesse desiderare. Invece, anche dinanzi al Figlio di Dio, continua l’ostilità e già si tramano progetti di morte. Siamo invitati a un attento esame di coscienza, per non cadere nel tremendo errore di ricambiare con l’ingratitudine l’infinito amore che è stato riversato nei nostri cuori.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme". Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"».
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
La vita di ogni uomo, il percorso di ritorno a Dio di tutta l’umanità, è paragonabile a un duro e incerto incedere nel deserto, dove tutto è arido e la segnaletica quasi inesistente. Tutto ci è già stato descritto nella narrazione biblica dell’Esodo. Oggi Gesù, interpellato sul numero di coloro che si salvano, ci parla della porta stretta. Vuole ricordarci che bisogna farsi piccoli e umili per entrarvi, bisogna faticare duramente ed essere perseveranti e puntuali all’appuntamento, per evitare il gravissimo rischio di arrivare in ritardo e trovare la porta chiusa. Accadde anche alle vergini stolte, rimaste senza olio. Nessuno allora potrà accampare scuse dinanzi al giusto giudizio di Dio; a nulla varrà il vanto di pretese intimità con Lui non suffragate dalla verità e dall’autenticità dei nostri comportamenti. Ci sentiremo dire con sgomento: «In verità vi dico, non vi conosco». Quando la fede si spegne o licenziamo Dio dalla nostra vita, non solo smarriamo la via del Regno, ma la rendiamo colpevolmente inaccessibile a noi stessi e ci ritroviamo fuori, proprio come accadde ai nostri progenitori dopo l’esperienza del primo peccato. Gesù, però, ancora una volta ci conforta: Egli si definisce la porta. «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Chiediamolo con tutto il cuore.
Jean-Michel Juste - Éphésiens 5.22-33 ➡️ RÉSUMÉ: Aujourd’hui, nous allons parler d’amour dans le mariage. Comment vivre ce sentiment fort, comment le comprendre alors que nous avons tellement de mal à le définir? Comment comprendre les bonheurs et les malheurs qu’il nous fait vivre? Est-ce que la Parole nous guide dans ce processus d’aimer l’autre. PLAN: 1. Au féminin (v.22-24) 2. Au masculin (v.25-30) 3. Le mystère (v.31-33) Lectures complémentaires: Colossiens 3.1-4.5 ; Ép 5.31-32 (Cène)
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
In un'unica festa celebriamo oggi due dei dodici apostoli. Leggiamo i loro nome nell'elenco che l'Evangelista Luca riporta. Ciò è sufficiente per noi per ricordare che sono stati scelti da Cristo per condividere con Lui i tre anni della sua vita terrena per poi, irrorati e fortificati dallo Spirito Santo, essere inviati nel mondo ad annunciare il suo Regno e ad essere testimoni della sua risurrezione. In altra parte della liturgia possiamo ricordare le scarne ed incerte notizie sui due apostoli di oggi. A noi serve piuttosto ricordare la loro interiore fortificazione, operata da Cristo per opera dello Spirito Santo. Serve per attingere coraggio ricordare che uomini deboli ed insicuri come molti di noi, sono stati capaci di adempiere una missione che supera sicuramente le forze umane. Celebriamo perciò in loro la potenza di Dio, la sua indefettibile fedeltà, l'ulteriore conferma che Egli sceglie gli ultimi e i meno adatti secondo le umane valutazioni, per realizzare i suoi più arditi progetti. Non a caso proprio uno dei due, Giuda (da non confondere con l'Iscariota il traditore), chiede a Gesù "Come accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?". È un interrogativo che ogni apostolo si pone, che potrebbe far proprio ogni cristiano. Serve a riconoscere ancora una volta l'assoluta gratuità dei doni divini e le misteriose vie che il Signore percorre nel fare le sue scelte. Possiamo dire soltanto che egli tutto opera con infinita sapienza e amore e ciò deve indurci alla migliore riconoscenza anche per la fede che è giunta a noi per mezzo degli Apostoli. Quando li ricordiamo e festeggiamo, come facciamo quest'oggi, dovremmo con più intensità e fervore pregare per la chiesa, per il Papa, per tutti gli apostoli di oggi, che dovrebbero trarre i migliori esempi dai primi, scelti direttamente da Cristo.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C'era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Genera sconforto e irritazione il comportamento assurdo del capo della sinagoga, che si indigna nel vedere Gesù imporre le mani e guarire, di sabato, una povera donna afflitta da diciotto anni da un terribile male. Egli la proclama libera dalla sua infermità e le impone le mani. La reazione della donna, “raddrizzata” miracolosamente, è quella di glorificare Dio; la reazione del capo della sinagoga è invece una critica assurda e cieca nei confronti del Cristo. Nella sua ottusità e grettezza, citando a sproposito la Scrittura sacra, dichiara che ci sono sei giorni in cui si deve lavorare e non in giorno di “shabbàth”. Il Signore definisce ipocrita tale comportamento e tale giudizio. Quanto Gesù ha fatto non può essere paragonato al lavoro umano: Egli sta rivelando, ancora una volta, la centralità della sua missione nei confronti dell’uomo infermo e peccatore. Egli è colui che guarisce e colui che salva. Lo dichiarerà più esplicitamente in altre occasioni: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera”, e altrove dice: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”. Capita ancora di sentire e leggere critiche assurde e talvolta blasfeme nei confronti di Cristo, della Chiesa, dei suoi ministri e dei suoi fedeli: molto spesso si constata che il lucignolo della ragione umana vorrebbe giudicare e condannare la Luce stessa di Dio. La ragione umana, invece, si spiega e si comprende solo nella Luce di Dio.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Il modo di pregare ha radici profonde nella nostra religiosità: anche pregando diciamo con la bocca ciò che sentiamo nel cuore. Esistono quindi modi molto diversi di rapportarsi a Dio. La parabola di questa domenica, attraverso i due protagonisti • il fariseo, scrupoloso osservante della legge, e il pubblicano, che prende coscienza dei propri peccati per chiederne il perdono • rappresenta due figure emblematiche di una schiera molto più numerosa, entro cui ognuno di noi può ritrovarsi. Il fariseo, più che pregare, sale al tempio per vantarsi della propria presunta giustizia e convincersene ulteriormente. Si sente giusto, osservante e migliore degli altri, da cui sembra voler prendere le distanze. Il pubblicano, invece, non osa avvicinarsi troppo al Signore: sa di dover rispettare una distanza che solo Dio può colmare. La sua è una preghiera autentica, che cerca la misericordia e la pietà divina; sa di essere peccatore, si batte il petto e si ritiene unico responsabile del suo male, ma è animato dalla fiducia in Dio e gli implora pietà. La parabola conclude con una sentenza chiara: il pubblicano «tornò a casa giustificato», mentre il superbo fariseo ha aggiunto ancora un peccato di presunzione a quelli già commessi. E viene enunciata una verità inconfutabile: «Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Questa è una caratteristica che mai dobbiamo separare dalla nostra preghiera: l’umiltà del cuore, splendida virtù che ci fa sperare nella bontà di Dio e a Lui attribuire il vero merito del bene che riusciamo a fare. Ricordiamo le parole di Maria Santissima nel suo Magnificat: Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva».
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Abbiamo ascoltato, nel Vangelo di ieri, il rimprovero di Gesù perché non sappiamo leggere i segni dei tempi alla luce della fede. Oggi il Signore ci invita a riflettere su fatti di cronaca, accaduti allora ma che continuano a succedere nella storia degli uomini. I credenti di quel tempo pensavano che ogni disgrazia fosse un castigo divino per i peccati commessi. Gesù corregge questa idea: chi subisce disastri non muore per un castigo di Dio, ma questi eventi devono essere un monito per convertirsi e cambiare vita, ricordando quanto l’uomo sia fragile. Questo insegnamento è molto chiaro anche oggi. La parabola del fico sterile conferma quanto Gesù ci ha già detto: se non ascoltiamo gli appelli di Dio e non mettiamo in pratica una vera conversione che renda la nostra vita fruttuosa, rischiamo di essere respinti dal Signore. Questa triste conseguenza nasce più da una nostra autocondanna che da un castigo divino.
Rob Mongeau - Matthieu 5.13-16 ➡️ RÉSUMÉ: Dans un monde qui a perdu ses repères et qui est en quête d’identité. Il est critique que le chrétien sache qui il est et ce à quoi il est appelé, afin de ne pas s’engouffrer dans la confusion du monde. PLAN: 1. L’identité des influenceurs (13-14a) 2. Le danger de perdre son caractère distinctif (13b, 14b-15) 3. Le but de l’influence divine (16) Lectures complémentaires: Actes 17 ; Philippiens 2.12-18 Prédicateur: Rob Mongeau
Pascal Denault - Psaume 43.1-5 RÉSUMÉ: Ce psaume termine la prière de David commencée au Psaume 42 et dans laquelle il exprime sa tristesse d'être éloigné du sanctuaire de l'Éternel lorsqu'il dut fuir Jérusalem. Dans cette deuxième partie, il adresse deux demandes à Dieu: (1) Être défendu contre la nation infidèle qui a suivi son fils Absalom dans sa révolte. (2) Être soutenu par Dieu afin qu'il le ramène dans son sanctuaire. David, toujours en fuite, conclut avec l'assurance que Dieu l'exaucera. PLAN: 1. Rends-moi justice (v.1-2) 2. Conduis-moi à ta maison (v.3-4) 3. Élève-toi mon âme (v.5) QUESTIONS: 1. Comment le Psaume 43 marque-t-il un tournant par rapport au Psaume 42? 2. Qu'est-ce qu'une nation infidèle et comment nous faut-il réagir? 3. Quelle est la destination de David et que lui faut-il pour son voyage? 4. Qu'est-ce que la répétition du refrain nous indique? 5. Quelles applications du Psaume 43 devons-nous faire? Lectures complémentaires: 2 Samuel 18.1-18 ; Hébreux 13.8–16 (Cène)
Pascal Denault - Psaume 42 RÉSUMÉ: Le Psaume 42 trouve un écho dans le coeur de chaque croyant qui se sent ici-bas dans une sorte d'exil loin de Dieu. Nous voyons néanmoins que la foi et l'espérance triomphent de toutes les souffrances qui affligent l'âme qui s'est attachée aux promesses divines. Ce psaume nous ouvre une fenêtre sur la vie de David par laquelle nous contemplerons Christ et tirerons des applications pour notre propre pèlerinage. PLAN: Introduction: a. Au livre 2 des Psaumes b. Au Psaume 42 (v.1) 1. Les soupirs de David (v.2-6) a. La soif de Dieu (v.2-3a) b. L'éloignement de Dieu (v.3b-5) c. L'espérance en Dieu (v.6) 2. L'exil de David (v.7-12) a. Les flots de la détresse (v.7-8) b. L'oppression et la tristesse (v.9-11) c. La consolation dans la faiblesse (v.12) 3. Remarques et applications du Psaume 42 a. Pour Christ b. Pour nous QUESTIONS: 1. Que peut-on noter sur le livre 2 des Psaumes? 2. Qui a écrit le Psaume 42? 3. Comment comprendre la soif de Dieu décrite par le psalmiste? 4. À quoi réfèrent les mentions géographiques dans la deuxième strophe? 5. Comment ce psaume s'applique-t-il à Christ? 6. Comment ce psaume s'applique-t-il à nous? Lectures complémentaires: 2 Samuel 6.12–19 ; 15.13–30 ; Lamentations 3.19–26
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Nel nostro mondo, chi si mette sotto la protezione di un potente è certo di trarne vantaggi di ogni genere; chi segue un “capo” sa o prevede di ottenerne dei profitti. Non è così nel caso di Cristo. Egli, al discepolo che esprime il desiderio convinto di seguirlo, dice: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.” Cristo vuole indicare al suo interlocutore che, per mettersi alla sua sequela, bisogna essere disposti a lasciare tutto, scegliendo con piena libertà di seguire strade completamente diverse da quelle che il mondo offre e propone. Ricordiamo che, in un episodio simile a questo, il giovane ricco non ha la forza e il coraggio di staccarsi dalle ricchezze che possedeva e rinuncia di conseguenza al seguire Gesù. Egli stesso, a tutti i suoi seguaci, ricorda la necessità di passare per la “porta stretta” e arriva a dire che “chi ama suo padre o sua madre più di Me non è degno di Me”. Il Signore non accetta di averci a mezzo servizio: la nostra adesione a Lui deve essere piena e incondizionata. Forse proprio da tale esigenza divina di radicale distacco e completa dedizione deriva la crisi odierna delle vocazioni sacerdotali e religiose.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Nonostante il “cordiale” disprezzo reciproco tra gli abitanti della Samarìa e quelli di Gerusalemme e della Giudea, Luca ci fa capire che l’ammonimento del Vangelo è la mitezza, la pazienza, che non si sostituisce a Dio giudicando e condannando. Dio, infatti, mostra sempre una pazienza senza limiti verso ciascuno di noi, attendendo con amore il nostro cammino di conversione. La sua pazienza è la porta aperta che ci permette di ricominciare ogni volta, senza paura del rifiuto. Invocare il fuoco, chiedere la consumazione e la distruzione è spontaneo, ma non è secondo lo Spirito di Cristo. Del resto, siamo tutti oggetto dell’infinita bontà di Dio. Ai nostri giorni sono frequenti le occasioni che vorrebbero indurci al disprezzo e alla condanna di tante persone che non la pensano come noi, persone che offendono la nostra sensibilità umana e religiosa, che ci appaiono o sono realmente contrari a noi e a Cristo. Lo stesso Signore ci invita ad accogliere tutti e a offrire a tutti la testimonianza della fede e delle opere nella carità, non nel furore e nel falso zelo.
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A te cantiamo, Signore, davanti ai tuoi angeli. E noi, in questa festa dei santi Arcangeli vogliamo fare proprio quel che fanno le schiere angeliche, le schiere celesti. Vogliamo dare gloria a Lui, gloria a Dio. Nella liturgia gli angeli vengono chiamati cooperatori, cooperatori del disegno di salvezza, sono al servizio di Dio e del Figlio dell'uomo, di Cristo. Non sappiamo molto degli angeli, anche se la Bibbia spesso ci presenta questi amici di Dio. Daniele nella prima lettura parla degli angeli in forma misteriosa. Nella profezia sul Figlio d'uomo Daniele dice: "Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a Lui, mille migliaia lo servivano e dieci mila miriadi lo assistevano". Il profeta non nomina gli angeli, parla di fuoco, parla di miriadi, parla veramente con un linguaggio misterioso... Noi spesso rappresentiamo gli angeli come uomini, uomini dal viso dolce, soave... Nella Scrittura invece loro appaiono come esseri terribili, esseri che incutono timore, perché sono la manifestazione della Potenza di Dio, della Santità di Dio. Dobbiamo però notare una cosa importante, una cosa che spesso ci sfugge. Abbiamo parlato degli Angeli nella profezia di Daniele. Ma se la rileggiamo bene, ci accorgiamo che in quel brano, non sono gli Angeli gli esseri più importanti... Dopo la Epifania di Dio, la manifestazione di Dio vediamo "uno, simile ad un figlio d'uomo". Ed è proprio lui e non gli Angeli ad essere introdotto fino al trono di Dio. È a lui che il Vegliardo "da' il potere, la gloria e il regno", è "a lui che tutti i popoli serviranno". L cosa simile osserviamo anche nel brano evangelico di oggi... "Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio salire a scendere sul Figlio d'uomo". Anche qui gli angeli sono al servizio del Figlio d'uomo, di Gesù Cristo. Vediamo allora come la liturgia purifica il nostro culto, il nostro servizio. La nostra lode, la nostra adorazione non è rivolta ai santi, nemmeno quando si tratta degli angeli o arcangeli. La nostra lode e il nostro culto va indirizzato solo a Dio e al Figlio di Dio. Gli angeli sono solo servitori suoi che Dio, nella sua immensa bontà, mette anche al nostro servizio. Che cos'è che ci insegna questa festa di oggi, che cos'è che impariamo oggi dai santi Arcangeli? San Michele ci insegna il "Chi se non Dio!"... Come far significare nella/colla nostra vita che solo Dio importa, che solo Lui è il Signore della nostra vita, a Lui solo vogliamo dar la nostra gloria. San Gabriele, il grande annunciatore della volontà di Dio, del progetto di Dio. Egli ci dice come riconoscere il progetto divino nella nostra vita, come accettarlo... San Raffaele, colui che guida, colui che accompagna, conduce il mondo, noi verso il Signore... Chiediamo al Signore perché ci faccia veramente comprendere la sua santità, maestà, potenza perché possiamo dargli gloria, reverenza in mezzo ai suoi Angeli.
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“In vita tu hai ricevuto beni e Lazzaro mali; ora lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.” Una parabola molto nota, quella che ci propone la liturgia odierna. Per la sua chiarezza, una sua semplice lettura ci indica già un profondo insegnamento di Gesù. L’attenzione è oggi rivolta verso l’uso delle ricchezze, rimproverando un loro utilizzo non generoso. L’esortazione è rivolta a chi tende semplicemente a costruire un regno terreno fatto solo di beni materiali, con il rischio di perdere anche i veri valori umani. L’esortazione di Gesù è infatti a considerare i poveri che ci stanno vicino. Certamente Egli parla della povertà materiale. Una povertà che oggi è diffusa e che si sta diffondendo, anche perché • con gli strumenti di comunicazione di massa sempre più efficienti • i nostri “vicini” appartengono sempre di più a vaste aree della terra. Nella figura di Lazzaro, però, possiamo trovare tutti coloro che chiedono il nostro aiuto, materiale ma anche spirituale. La povertà che sempre di più spaventa nel cosiddetto “mondo ricco” è quella della solitudine, dell’abbandono, della malattia che nessuno vuol guarire. Gesù ci invita a non nasconderci dietro un perbenismo che in realtà erige steccati fondati su giudizi o pregiudizi. Quanti “Lazzaro” incontriamo, e a quanti prestiamo veramente soccorso? Può essere interessante guardare anche alla figura del ricco. Gesù ce la presenta come un gaudente, dedito solo allo svago quotidiano, in un’esistenza assolutamente frivola. A prima vista, ci sembra che questo ricco sia lontano dalla nostra mentalità. Chi può dire di avere tante ricchezze e chi può permettersi il lusso quotidiano come il ricco della parabola? Una analisi più attenta, soprattutto in riferimento alla mentalità dell’epoca, ci fa scorgere, in quest’atteggiamento del ricco, qualcosa che può riguardare anche noi. La ricchezza era considerata benedizione di Dio e quindi poteva essere giusto spenderla come si riteneva più opportuno, senza molti rimorsi di coscienza. Gesù non specifica come quest’uomo, il protagonista della parabola, sia diventato ricco. Non possiamo presumere che ci sia stato un arricchimento illecito; potrebbe essere dovuta a ricchezze familiari, al conseguimento di un’eredità o al frutto di un lavoro onesto. Vestire in modo ricercato e mangiare con gli amici, di per sé, non può essere definito come un’azione cattiva. Da come Gesù ci presenta la parabola, la povertà di Lazzaro non è imputabile al ricco e neanche le sue sofferenze sono una causa diretta del suo agire. Qual è, allora, la vera colpa che Gesù imputa a questo ricco? Semplicemente, che nell’ordinarietà della sua esistenza non si è accorto di qualcuno che chiedeva il suo aiuto. Può essere questo il nostro caso? Possiamo sentirci soddisfatti di ciò che abbiamo legittimamente raggiunto e, con diritto, ne godiamo con chi riteniamo giusto. Il diritto sociale giustificherebbe, quindi • in questa prospettiva • qualsiasi nostra disattenzione, anche se non volontaria. La vigilanza evangelica, in questa parabola, si incarna nella necessità di avere occhi e cuore pronti per chi chiede il nostro aiuto.
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Continuiamo con la domanda di questi giorni: chi è Gesù? La sua identità viene svelata completamente oggi, non solo come maestro e profeta, ma come il Figlio di Dio che si offre liberamente per amore dell’umanità. In questo momento si manifesta la verità più profonda sul suo essere: non si tratta di un leader terreno in cerca di potere o di riconoscimento, ma di Colui che è venuto per servire e donare la vita in riscatto per molti. Gesù si presenta come il Messia che realizza la salvezza non attraverso la forza, ma attraverso il sacrificio e la dedizione totale. Deve essere consegnato nelle mani degli uomini... Gesù rivela ai suoi discepoli la verità sulla sua missione. Non è una previsione di gloria, ma il preannuncio di un futuro difficile. I discepoli non riescono ancora a capire questa nuova prospettiva: la glorificazione della Croce, e vogliono allontanare questi pensieri di morte, persecuzione e dolore. La giustizia, per loro, non può avvalersi della morte di un innocente. Il futuro, per loro, sembra buio e tenebroso; non tutti saranno in grado di accettare questa nuova missione. È difficile adattare le proprie aspirazioni ai desideri del Signore; anche a noi sarà capitato tante volte di sperimentare la crudezza di questa realtà. La possibilità di salvezza sta proprio nel saper accettare il passaggio della nostra croce quotidiana.
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Vi ricordate il Vangelo di ieri? Ora è lo stesso Gesù che vuole provocare una reazione sulla sua persona; Egli non è interessato a verificare la sua “fama popolare”, come oggi diremmo. Gesù si rivolge personalmente ai suoi discepoli. In questo atteggiamento, Gesù dimostra un doppio intento. Per prima cosa, Egli è interessato a tutti, come comunità, e a ognuno in particolare. La folla, per Gesù, non è mai anonima; anche la folla più numerosa è sempre formata da persone. La folla è viva perché unisce tanti uomini e donne, che portano ognuno il bagaglio della propria vita, della propria storia. Gesù è attento a tutti e a ognuno. Egli vuole suscitare la fede in tutta la sua comunità di discepoli e anche in ognuno di loro individualmente. Gesù vuole far capire ai suoi discepoli una cosa molto importante e, per essere afferrata nel cuore di ognuno, deve contenere un messaggio personale. Vuole dire a tutti, indistintamente, che l’incontro con Lui deve essere vissuto sempre nella fede per la vera conversione di cuore. Non si può essere discepoli di Gesù senza prescindere dalla fede; una fede da vivere e da far maturare nella vita. Analizziamo allora il dialogo tra Pietro e Gesù, letto alla luce della fede. Pietro parla certamente a nome della comunità ed esprime quindi la fede che stava nascendo nella stessa comunità dei discepoli. Pietro parla però anche a livello personale e instaura con Gesù un dialogo personalissimo e molto stretto. Gesù allora completa la risposta di Pietro, annunciando la sua morte e la sua resurrezione. Gesù accoglie la fede che ha dimostrato Pietro, ma vuole subito che questa sia incarnata nella vita. La fede in Gesù non è un trattato, ma è la fede in una persona; è una fede che vive e respira dei sentimenti dello stesso Gesù. Chiediamo oggi a Gesù questa fede vera e autentica, che sia vissuta con coerenza nella nostra vita.
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Chi è Gesù? La domanda è ormai sulla bocca di tutti... Il Vangelo odierno parla dei dubbi che affliggono Erode sulla stessa figura di Gesù. Egli prende ad esempio l'aspettativa del popolo giudaico, chiedendosi se Gesù non fosse in realtà l’atteso Elia. Il ricordo degli antichi profeti, però, non basta a definire la figura di questo Messia, che si proclama il Figlio di Dio. Insoddisfatto di questa risposta, Erode allora cerca di paragonare Gesù con un’esperienza che egli stesso ha vissuto in prima persona. Il ricordo va subito a quel Giovanni Battista che egli stesso ha fatto decapitare, ma del quale aveva un insondabile rispetto. Il confronto, anche con personalità moralmente ineccepibili come san Giovanni Battista, non riesce a rispondere in modo adeguato all’interrogativo dal quale è partito Erode. Non sono bastati gli innumerevoli miracoli compiuti da Gesù, che si è dimostrato padrone assoluto degli elementi naturali; non è servito il suo saper guarire tutte le malattie e il riconoscere in Lui un profondo conoscitore dell’animo umano, di tutti gli uomini. C’è qualcosa che sfugge ancora e che si riferisce proprio alla qualità di questo Regno che Egli sta annunciando. Gesù non si presenta con le stesse caratteristiche messianiche a quel popolo giudaico che pure lo sta aspettando. Il Mistero di Gesù sfugge completamente a Erode; non riesce a inserirlo in nessuna delle categorie che ha a disposizione; Gesù non si adatta completamente alla cultura giudaica dalla quale trae origine e non si sottomette del tutto alla storia degli uomini. Per noi, oggi, vi è l’invito a non credere che il messaggio di Gesù si adatti alle nostre esigenze; siamo noi che dobbiamo purificare il nostro cuore con l’incontro con lo stesso Gesù.
Levi Loewen - Jean 6.52-58 ➡️ RÉSUMÉ: Le peuple de Dieu est uni au Christ par la foi, et il doit consommer le Christ comme il consomme la nourriture pour la vie éternelle. La Cène est le signe et le sceau de cette union spirituelle que nous avons avec le Christ par le ministère du Saint-Esprit qui fortifie et nourrit nos âmes lorsque nous y participons. PLAN: 1. La véritable nourriture du Christ 2. La vie promise par le Christ 3. Le repas qui confirme notre foi Lectures complémentaires: Colossiens 3 ; Galates 2.15-21
Levi Loewen - Jean 6.52-58 ➡️ RÉSUMÉ: Le peuple de Dieu est uni au Christ par la foi, et il doit consommer le Christ comme il consomme la nourriture pour la vie éternelle. La Cène est le signe et le sceau de cette union spirituelle que nous avons avec le Christ par le ministère du Saint-Esprit qui fortifie et nourrit nos âmes lorsque nous y participons. PLAN: 1. La véritable nourriture du Christ 2. La vie promise par le Christ 3. Le repas qui confirme notre foi Lectures complémentaires: Colossiens 3 ; Galates 2.15-21
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In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c'è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».
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Con la parabola della lampada e del lampadario, Gesù si rivolge a tutte le folle che lo seguono. Il messaggio del Vangelo odierno non è destinato a un piccolo gruppo di prescelti; non è esclusivo per gli eletti ai quali sono state affidate delle precise responsabilità. Nel rivolgersi alle folle, Gesù indica che questo messaggio è destinato a tutto il popolo credente. Siamo allora tutti coinvolti in questa doppia parabola della luce e del lampadario, tutti in maniera indiscriminata, ognuno nel proprio ruolo. Proprio per l’universalità di questo messaggio siamo invitati a scoprirne il vero significato. Questa parabola può essere letta guardando soprattutto alla luce, che è Cristo. Noi siamo raffigurati come i lampadari, coloro che devono portare, trasmettere questa luce. Il messaggio di Gesù diventa allora l’invito alla testimonianza, nella nostra vita, di una fede genuina, vera, concreta e coerentemente vissuta. La domanda, però, è: come possiamo diventare lampadari, portatori di luce? Come realizzare questa testimonianza? La fede nella vera luce, come dono di grazia gratuito, indipendente dai nostri meriti, è assolutamente indispensabile. L’invito di Gesù è nel saper accogliere questo dono nell’ascolto vero della Parola. Dall’ascolto vero deriva poi la possibilità di realizzare il piano di amore che Dio ha prescelto per noi. Dall’ascolto deriva la purificazione del cuore per una vera conversione. Dall’ascolto noi diventiamo testimoni del Signore, nella vita e con la proclamazione della Parola. L’annuncio della Parola di Dio spetta, in forme diverse, a tutti noi. La nostra realtà di figli di Dio ci rende annunciatori della Parola e del messaggio di salvezza. Con la vita, innanzitutto, possiamo proclamarci figli nel Figlio. La vita cristiana e dei cristiani dovrebbe essere sempre testimonianza viva e coerente del messaggio di Gesù.
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A volte è la nostra mentalità umana, che cerca una razionalità capace di spiegare tutto, a rischiare di indebolire la forza del messaggio di Gesù. Non possiamo troppo investigare sulla moralità, che ai nostri occhi appare dubbia, dell’amministratore della parabola: voler rinchiudere ogni cosa entro i nostri schemi rischia di soffocare l’elemento davvero innovativo e salvifico dell’annuncio evangelico. Talvolta corriamo il rischio di osservare Gesù solo sotto la lente di ingrandimento, analizzando minuziosamente i dettagli e smarrendo la visione d’insieme. La giustizia sociale, giusto anelito della società odierna, non viene sminuita dalla parabola: Gesù, con il suo Vangelo dei poveri, è lontano sia dalla mentalità giudaica del suo tempo sia da certe deformazioni presenti ancora oggi nel cristianesimo. La ricchezza non è segno della benevolenza di Dio e la povertà non è castigo: ciò che conta è l’uso che facciamo dei beni. La frase conclusiva del Vangelo è la chiave: non si può servire Dio e "mammona". Qui sta la scelta fondamentale della vita: cosa rappresenta mammona per noi? Denaro, successo, potere? Molte volte ci illudiamo di servire noi stessi, ma in realtà ci pieghiamo al culto di un idolo che chiede sacrifici totali. L’accumulo non porta vera ricchezza; arricchirsi davvero significa riconoscere i bisogni autentici e saper condividere con chi ha meno. Gesù ammonisce contro lo sperpero e invita a un uso sapiente dei beni, come dono di Dio da amministrare con responsabilità. È in questa fedeltà che si apre la possibilità di compiere il progetto divino. Ogni vita ha la sua storia e le sue responsabilità: in esse siamo chiamati a collocare la nostra scelta di servire Dio. I beni materiali, anche quelli guadagnati con fatica, restano dono da condividere e non possesso assoluto. La vera ricchezza, quella che non tramonta, è nei beni spirituali che superano ogni bene terreno. Ecco il significato del “poco” e del “molto” indicato da Gesù: fedeltà nelle cose di quaggiù per ricevere in eredità i beni del cielo. Per questo preghiamo: perché la nostra società, troppo attratta dall’effimero, riscopra il valore dei beni spirituali, e perché noi stessi sappiamo accoglierli con gratitudine nei sacramenti.
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Chi ha visto almeno una volta il gesto solenne e misurato del seminatore • il suo incedere tra i solchi con passo cadenzato, la mano che affonda nel sacco e sparge il seme a pioggia • comprende bene quanto quell’immagine si addica al buon Dio. Egli è il Seminatore della vita, la sorgente di ogni energia, Colui che feconda il seme. Quel seme divino scende nel campo dell’anima umana, dove il Signore stesso ha posto il terreno migliore, e lì attende con paterna pazienza che germogli e porti frutto. Il grande problema, però, è la condizione del terreno su cui cade il seme: lo stato del nostro spirito, la nostra capacità di accogliere o, purtroppo, di rifiutare. Sassi, spine, strada: sono immagini eloquenti delle nostre situazioni, specchio della nostra religiosità e della nostra comunione con Dio attraverso la Parola. Ci richiamano anche i tranelli della vita e le false valutazioni che spesso facciamo dei valori autentici. Solo al tempo del raccolto si può vedere con chiarezza il risultato: allora si misura la perdita dovuta a una preparazione cattiva, o si gioisce del frutto abbondante. Quanti rimpianti per le occasioni mancate! Quante amarezze per rifiuti stolti! Ma il terreno buono rimane sempre possibile: è lo spirito umile e docile che accoglie la Parola con amore, la custodisce e la trasforma in gratitudine e opere di bontà.
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È di primaria importanza il ruolo che le donne svolgono nella vita di Gesù. Sappiamo tutti della Madre sua, la Vergine Maria; quello delle altre donne è meno appariscente rispetto a quello degli Apostoli e dei Discepoli, ma non per questo meno incisivo. Cristo godette dell’amicizia di alcune di loro, come Marta e Maria, sorelle di Lazzaro; più volte si ritirava con i discepoli nella casa di Betània e in quelle circostanze vediamo lo zelo di Marta e il fervore di Maria, assetata della Parola del Signore. A loro restituì vivo il fratello, che da tre giorni era nel sepolcro. Oggi l’evangelista Luca ne menziona altre, che erano state beneficate da Gesù: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni». È significativa la sottolineatura che Luca fa nel riferire l’origine e la storia di quelle donne: alcune di loro sarebbero state considerate di cattiva fama e appartenenti a categorie disprezzate dai giudei. Gesù, invece, accoglie e sceglie con criteri diversi: accettando la loro preziosa collaborazione e includendole nella sua grande famiglia, sottolinea ancora una volta che i prediletti del suo cuore sono i lontani che ritornano, i peccatori e le peccatrici convertite. La storia conferma che spesso i più ardenti di amore, di gratitudine e di zelo apostolico sono stati e sono ancora coloro che, dopo aver sperimentato la lontananza dal Signore, hanno gustato l’abbraccio della misericordia, si sono visti rivestiti di dignità nuova e ammessi dal Padre celeste al banchetto festoso della casa paterna. È lo stile di Dio, così diverso dalle nostre umane considerazioni. Quelle prime donne segnarono la storia con l’eroico coraggio di seguire Gesù fino al Calvario, mentre gli apostoli fuggivano terrorizzati dagli eventi, e aprirono la strada a una schiera innumerevole di donne che, nei secoli, si sono consacrate in modo totale ed esclusivo al Signore.
RÉSUMÉ: Jésus lui-même a fondé l'Église sur la terre et a donné des instructions pour le fonctionnement de chaque assemblée locale. Dans ce message nous revisiterons un texte clé qui sert de constitution à l'Église. PLAN: 1. La nature de l'Église 2. La discipline de l'Église 3. Le pouvoir de l'Église QUESTIONS: 1. Qu’est-ce que le mot ecclésia nous indique à propos de l’Église et de sa nature? 2. Quelles sont les étapes à suivre dans l’exercice de la discipline d’Église? 3. Qu’est-ce que les clés du royaume? 4. Quels sont les éléments importants concernant l’exercice du pouvoir de l’Église? 5. Quelle promesse est-elle faite à une Église qui exerce fidèlement le pouvoir des clés? Lectures complémentaires: 1 Corinthiens 5 ; Actes 2.41-47 Prédicateur: Pascal Denault
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
Chiunque ascolta la Parola di Gesù dovrebbe sentire nel cuore un forte richiamo, un invito alla conversione vera. Le sue parole di vita eterna dovrebbero risuonare nei nostri cuori in modo incisivo e potente. Gesù non si accontenta di una religiosità esteriore né di un agire che giustifica qualsiasi nostro atteggiamento o decisione. Troppo spesso, con la scusa di una giustizia “fai da te”, siamo propensi a imporre il nostro modo di vedere per i presunti torti subiti, e quante volte usiamo perfino la Parola di Dio per giustificare le nostre azioni! La rivoluzione del cuore che chiede Gesù si traduce invece nel saper riconoscere nell’altro sempre il suo volto. L’invito è ad assumere in noi lo stesso atteggiamento di Dio, che ci guarda con bontà e misericordia. L’insegnamento di Gesù vuole toccare in profondità il nostro essere, perché il nostro agire ne sia conseguenza coerente. Egli non si riferisce più alla legge del taglione che, con “occhio per occhio e dente per dente”, propone un equilibrio apparente ma che in realtà non risolve il problema e accentua i contrasti. La rivoluzione del cuore di Gesù ci invita a non fermarci allo sguardo sugli altri, ma a fissare il volto di Cristo per riconoscerlo in coloro che ci stanno accanto. Infatti, se non conosciamo il volto di Cristo, come potremo mai riconoscerlo nei fratelli? Scopriamo allora la misericordia e il perdono, evitiamo i giudizi, doniamo con generosità, amiamo sinceramente tutti come ha fatto Gesù, e scopriremo con gioia infinita il suo volto nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
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Gesù, subito dopo la scelta dei Dodici apostoli e dopo aver guarito e sanato molte persone nell’annuncio del Regno, si rivolge ai suoi discepoli. Il suo atteggiamento rivela una scelta ben precisa. Il messaggio delle beatitudini, chiamate la Magna Carta del cristianesimo, si inserisce con forza nella novità assoluta del discepolato. I veri beati sono i discepoli di Gesù, dei quali ci è fornita una precisa identità. La lettura completa del brano delle beatitudini impedisce un doppio rischio, che sembra porsi in forma alternativa. Alzando gli occhi ai discepoli, Gesù quasi compie una seconda creazione, operata nel solco della redenzione. Il discepolo è, nella nuova creazione, figlio di Dio, creato ad immagine e somiglianza dello stesso Gesù, vero uomo e vero Dio. La proclamazione delle beatitudini non è la nuova edizione di un manuale di morale pratica e spicciola: Gesù tratteggia il suo volto nella nuova identità dei discepoli. Essere discepolo è opera di Dio, deriva dalla missione del Figlio. Il dono del discepolato, che riceviamo dall’Incarnazione e ci rende partecipi del mistero pasquale, non può essere vissuto passivamente ma richiede la nostra collaborazione. Ciò è evidente perché, sempre rivolgendosi ai discepoli, Gesù completa le beatitudini con i “guai” corrispondenti. Egli non divide i “buoni”, i discepoli, dai “cattivi”, gli altri: tutti sono chiamati e invitati a percorrere la via che le beatitudini tracciano. Il discepolato è un dono da vivere nella nostra quotidianità, non uno stato statico ma un percorso che invita tutti alla conversione vera del cuore. La gratuità dell’agire di Dio non implica inattività, ma accoglienza docile della voce dello Spirito. Con le beatitudini siamo invitati a riscoprire il dono della grazia del battesimo, che ci rende figli di Dio, e a viverlo con coerenza e sincerità.
RÉSUMÉ: Le repas du Seigneur est une double communion : verticale avec le Christ (v.16) et horizontale avec l’Église (v.17). Dans ce message, nous allons approfondir cet aspect horizontal et ses implications ecclésiologiques. De même que le baptême est indissociable de l’Église (1 Co 12.13), le repas du Seigneur est inséparable de l’appartenance au corps visible du Christ. PLAN: 1. La réalité de la communion 2. L'ecclésialité de la communion QUESTIONS: 1. Que se passe-t-il lorsque nous prenons le Repas du Seigneur? 2. Qu'est-ce qui différencie le point de vue mémorialiste et celui de la présence réelle? 3. Que signifient les deux angles de la communion? 4. Qu'est-ce que l'ecclésialité de la sainte cène? 5. Qui peut prendre la sainte cène? 6. Comment la communion et la membriété sont-elles reliées? Lectures complémentaires: 1 Corinthiens 11 ; Actes 2.41-47 Prédicateur: Pascal Denault
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La scelta dei dodici apostoli è un momento importante nella missione di Gesù. Egli comincia a formare la sua futura Chiesa con il discepolato, da cui poi sceglie i dodici apostoli. Sul monte, dopo una notte in preghiera, Gesù compie questa elezione, affidando loro un compito particolare. Il momento è solenne e insieme semplice, e la preghiera solitaria di un’intera notte ne manifesta il valore fondamentale e fondativo. Nel Vangelo di san Luca il monte appare come luogo privilegiato della preghiera di Gesù, e ora su quel monte ci sono anche i discepoli. Si coglie allora che la notte in preghiera di Gesù è anche fonte del mandato ecclesiale: possiamo già considerarlo un punto fondativo della Chiesa, che nasce dalla preghiera di Cristo e ha bisogno della preghiera come spina dorsale che veicola la linfa vitale della grazia. Rivolgiamo però la nostra attenzione alla preghiera di Gesù: essa non è e non può essere come le nostre, non è un chiedere lumi al Padre per compiere un discernimento difficile e delicato, ma sottolinea la profonda unione e comunione tra il Padre e il Figlio. I discepoli, presenti sul monte, partecipano a questa comunione, e la scelta dei dodici significa che il mandato che Gesù affida alla sua Chiesa rende sempre efficace la grazia infinita donata dal Figlio nel compimento del suo mistero pasquale. Sul monte si prefigura questo mandato nel segno della missione trinitaria che si realizza in Gesù, vero uomo e vero Dio. La nostra preghiera dovrebbe avere sempre questo respiro ecclesiale e trinitario, anche quando è personale, perché celebrata nella Chiesa. Lo scopo della nostra preghiera è di ritrovarci sul monte della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo, per renderci disponibili al progetto di amore del Padre per noi.
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Alla data della nostra nascita siamo soliti scambiarci gli auguri di buon compleanno. Dovremmo oggi farlo nei confronti della nostra Madre celeste, celebriamo infatti la sua natività. I Vangeli non parlano di questo lieto evento né ci rivelano i nomi dei genitori della Vergine; ci li rivelano invece i vangeli apocrifi. Per noi però la festa di oggi più che celebrare una data o una semplice ricorrenza, vuole ricordarci che la futura Madre del Signore è stata concepita senza ombra di peccato, preservata dal peccato originale, che tutti ci ha coinvolti. Vuole ancora dirci che è lei la donna che schiaccerà il capo al serpente, preannunciata sin dal principio, e ancora che quella fanciulla, nata da Gioacchino ed Anna, sarà poi la prescelta da Dio per diventare la Madre di Cristo. Maria viene così in modo prodigioso innestata nel mistero della redenzione di tutto il genere umano. In questa luce noi vediamo e celebriamo le feste della Vergine Maria. La nascita della fanciulla di Nazaret diventa quindi "la pienezza dei tempi", quando cioè i disegni di Dio trovano il loro compimento nella storia e i diversi protagonisti assumono i compiti previsti e preannunciati dallo stesso Signore. Così gli eventi umani si legano indissolubilmente ai disegni divini, così anche noi dovremmo impostare e vivere le nostra storia quotidiana per farla diventare storia sacra, la storia del Dio con noi. Potremmo così realizzare l'ideale principale della nostra esistenza quello di fare del nostro tempo, dei nostri eventi, una celebrazione di salvezza, un approdo alla meta finale, dove vivremo senza tempo, nell'eternità di Dio. Ci sgorghi una preghiera particolare in questo giorno: chiediamo alla Beata Vergine una particolare protezione per tutti coloro che si affacciano alla vita in questo giorno, per tutti i bimbi e le bimbe del mondo, spessi minacciati dalle cattiverie degli adulti.
Liturgia della Settimana - Il Commento e il Vangelo del giorno
La torre, presentata nel brano evangelico di oggi, richiama l’esperienza biblica di Babele. Nella costruzione della torre di Babele troviamo il segno della presunzione umana, che pretende di arrivare a Dio solo con i propri mezzi. Gesù usa proprio il simbolo della torre come elevazione dell’uomo verso Dio, e interessante è come colloca questa immagine insieme a quella del re che si muove alla guerra. Nel brano del Vangelo queste due parabole sono inserite tra due affermazioni significative sul discepolato di Gesù. All’inizio vi è il riferimento alla croce: pensiamo alla Croce di Cristo, strumento di redenzione ed elevazione che permette all’uomo quell’unione con Dio significata dalla costruzione della torre. Pensiamo alle nostre croci personali: quante volte queste croci possono abbatterci e portarci alla disperazione. Portiamo la nostra croce, ma seguiamo Cristo. In Lui troviamo la Croce, mistero di amore e di salvezza. La Croce di Cristo è la vera torre che, innalzata verso il cielo, abbraccia il mondo intero per elevarlo al Padre. La croce, anche quella quotidiana, è lo strumento che Dio ci ha dato perché possiamo realizzare questa torre. Alla fine, Gesù parla dell’abbandono dei beni terreni come condizione essenziale per essere suoi veri discepoli. Il riferimento assume ora una fisionomia più precisa: l’uomo che si siede a fare i conti per verificare la fattibilità dell’opera non rappresenta la presunzione umana che tutto vuole predisporre, ma il discepolo di Gesù che, abbandonata ogni prospettiva terrena, si affida completamente a Dio. La rinuncia del cristiano non è mortificazione fine a se stessa; l’ascesi cristiana è la possibilità di scoprire il nostro essere veri uomini come discepoli di Cristo. È il ricercatore che, trovata la perla, vende tutto per poterla possedere. Nel discepolato di Cristo, che sembra esigente, troviamo il senso profondo del nostro esistere, perché scopriamo in Lui il nostro unico e vero bene. Possiamo allora chiederci quali siano gli strumenti per realizzare questa torre: nella preghiera, elevazione dell’anima a Dio, e nella nostra vita di amore e misericordia troveremo la risposta.
Levi Loewen - Jean 6.41-51 ➡️ RÉSUMÉ: Le salut appartient au capitaine de notre salut. Toute gloire et tout honneur reviennent à Christ seul. Dans notre rébellion, nous refusons sa personne et ses enseignements, mais il nous attire à lui en nous révélant le Père et en régénérant nos cœurs, afin que nous venions librement et volontairement à lui pour recevoir le pain de vie. En toutes choses, nous sommes entièrement dépendants du Christ. PLAN: 1. Le scandale du Christ (v. 41-43) 2. Le salut est à lui seul (v. 44) 3. Christ révèle le Père (v. 45-47) 4. Le pain qui donne la vie (v. 48-51) Lectures complémentaires: Jean 3 ; Tite 3.4-7
Pascal Denault - Psaume 40 RÉSUMÉ: Pour bien comprendre le Psaume 40, nous utiliserons 1 Samuel 15 comme arrière-plan historique : l’échec de Saül, roi désobéissant, met en lumière le besoin d’un roi fidèle, pleinement soumis à la volonté de Dieu. Ce contexte prépare l’entrée de David, figure du Messie à venir. Ce psaume trouve son plein accomplissement en Jésus-Christ, comme le souligne Hébreux 10 : il est le roi obéissant, le prêtre parfait qui s’offre lui-même en sacrifice, et le prophète qui proclame la justice de Dieu dans l’assemblée. Le Psaume 40 nous présente ainsi le Christ dans ses trois offices, à travers une dynamique de gloire et d’humiliation : - Comme roi, il règne par l’obéissance et conduit son peuple hors du gouffre vers le roc (v.1-3). - Comme prêtre, il offre son propre corps, accomplissant la volonté de Dieu à la place des sacrifices d’animaux (v.6-8). - Comme prophète, il proclame la justice et la vérité de Dieu devant la grande assemblée (v.9-10). Enfin, nous chercherons les applications de ce psaume pour les croyants unis à Christ, appelés à marcher à sa suite dans l’obéissance. PLAN: 1. Le Christ glorifié (v.1-6) 2. Le Christ Roi, Sacrificateur et Prophète (v.7-12) 3. Le Christ humilié (v.13-18) QUESTIONS: 1. Comment l'arrière-plan de ce psaume vient-il éclairer notre compréhension? 2. De quelle façon la gloire de Christ est-elle présentée dans les versets 1-6? 3. Quel est l'effet de la délivrance obtenue par Christ parmi les hommes? 4. Comment les versets 7-9 s'appliquent-ils à David? 5. Comment l'Épître aux Hébreux applique-t-elle ces versets à Christ? 6. De quelle façon l'office prophétique de Christ est-il présenté? 7. Comment faut-il comprendre le renversement de la dernière strophe? 8. Qu'en est-il des ennemis et des amis de Christ? 9. Quelles applications pouvons-nous faire de ce psaume? Lectures complémentaires: 1 Samuel 15 ; Hébreux 10.1-18
Levi Loewen - Jean 6.26-33 ➡️ Après avoir nourri les 5 000, Jésus s’adresse à la foule afin d’examiner leurs motivations et de clarifier ce qu’il vient leur offrir. Certains, guidés par leur appétit, viennent à lui comme on irait vers un simple boulanger ; d’autres le perçoivent comme un symbole politique. Mais qui est-il en réalité ? Il est essentiel que les chrétiens aient une compréhension juste de la personne et du ministère de Jésus, car nous devons venir à lui pour ce qu’il est véritablement : le pain de vie descendu du ciel. Plan 1. Des motifs erronés (v. 26) 2. L'invitation gracieuse (v. 27-29) 3. Le pain du ciel révélé (v. 30-33) Textes complémentaires: - Avant le culte : Ex. 16 - Temps de prière : Jean 4.7-14
Pascal Denault - Psaume 39 RÉSUMÉ: Dans le psaume 39, David poursuit sa réflexion amorcée au psaume 37 concernant l'irritation que le juste peut vivre face au méchant. La prière du psalmiste nous rappelle à la fois les plaintes de Job et les réflexions de l'Ecclésiaste face aux souffrances de l'homme sous le soleil et à la vanité de son existence. Cependant, David n'est pas un amer ou désespéré, au contraire, il accepte le sort que Dieu lui réserve tout en espérant en l'Éternel pour un salut au-delà de cette présente existence. PLAN: 1. Silence face au monde (v.1-4) 2. Abaissement devant Dieu (v.5-6) 3. Souffrance sous la providence (v.7-12) 4. Espérance hors du monde (v.13-14) QUESTIONS: 1. Comment le Psaume 39 est-il structuré? 2. Pourquoi David reste-t-il en silence? 3. Quel est le lien entre l'irritation de David et sa prière? 4. Comment David présente-t-il la vanité de l'existence? 5. Comment se comparent l'espérance des méchants et celle des justes? 6. Qu'est-ce que la fin de ce psaume nous enseigne concernant la vie comme pèlerin? 7. Quelles applications pouvons-nous faire du psaume 39? Textes complémentaires: Job 14 ; Psaume 90 (repas du Seigneur)
Pascal Denault - Psaume 38 RÉSUMÉ: Dans cette prédication nous examinerons deux fois le Psaume 38. Nous méditerons d'abord sur les effets destructeurs du péché dans la vie du pécheur. Puis nous verrons comment Jésus-Christ a pleinement assumé ces souffrances à notre place, pour nous en délivrer. PLAN: A. Les souffrances du pécheur 1. Le péché amène la colère de Dieu (v.2-3) 2. Le péché engendre la mort du corps et de l'âme (v.4-11) 3. Le péché isole socialement (v.12-13) 4. Le péché rend muet et sans excuse (v.14-15) 5. Le péché n'a qu'un seul remède (v.16-23) B. Les souffrances du Sauveur 1. Christ a pris sur lui le péché et a subi la colère de Dieu (v.2-3) 2. Christ a enduré la mort dans son corps et son âme (v.4-11) 3. Christ a été abandonné et persécuté (v.12-13) 4. Christ a accepté ce châtiment sans se défendre (v.14-15) 5. Christ a été abandonné puis secouru (v.16-23) QUESTIONS: 1. Le péché est-il sans conséquence pour nous puisque Jésus a porté toutes les conséquences? 2. Quel est le lien entre la colère de Dieu et la conviction de péché? 3. Quelles sont les différentes souffrances causées par le péché? 4. Comment le Psaume 38 peut-il s'appliquer à Christ? 5. Quelles applications peut-on faire du Psaume 38? Textes complémentaires: Deutéronome 28.15-68 ; Ésaïe 53