È un magazine di approfondimento dell’attualità politica, culturale, sociale. Interviene sulla stretta attualità di giornata, solo in casi particolari, di grande rilevanza. Dà spazio anche a tematiche di interesse pubblico o a quante vengono trascurate dai grandi media. Il taglio è storico–sociologi…
RSI - Radiotelevisione svizzera
Il 16 settembre 2024 un gruppo di 8 studenti e studentesse delle scuole superiori, anziché presentarsi all'ingresso delle loro rispettive scuole, si sono caricati lo zaino sulle spalle ed hanno cominciato a camminare. Assieme a tre professori-guide e ad altri che si sono aggiunti per alcuni periodi, hanno attraversato l'Italia dal Mediterraneo alle Alpi. A fare da aula i boschi, i sentieri, i borghi dove un'umanità variegata li ha accolti ed ospitati. Si tratta di Strade Maestre, un progetto educativo mai realizzato prima in Italia, e forse anche nel mondo, che si propone di fare scuola in maniera alternativa, attingendo al territorio e alle relazioni. Lungo il percorso l'insegnamento e l'apprendimento sono avvenuti in maniera formale e informale, unendo la teoria e la pratica, lo studio e il confronto. Si è parlato di geologia sui pendii dell'Etna e ai Campi Flegrei, di chimica e biologia lungo un sentiero o in uno stabilimento industriale, di italiano all'interno della casa di Dante, di storia sulla Linea Gotica. Laser di oggi racconta un pezzo di strada fatto insieme, raccogliendo le motivazioni, i desideri, le gioie e le fatiche e scoprendo il potenziale incredibile di una scuola in cammino.
Ogni anno migliaia di giovani etiopi, somali ed eritrei affrontano la “Eastern Migration Route”, una delle rotte migratorie più battute e meno raccontate del mondo. Dal cuore dell'Etiopia fino alle coste del Golfo di Aden, passando per Somaliland e Puntland, inseguono il miraggio dell'Arabia Saudita, meta finale di un viaggio pieno di sofferenze, inganni e pericoli.Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione, IOM, almeno 96.670 persone sono passate dal Corno d'Africa allo Yemen nel corso del 2023, circa un terzo in più rispetto al 2022. Circa il 95% di questi migranti proveniva dall'Etiopia.In questo reportage realizzato sul campo, ascoltiamo le voci dei migranti, dei familiari rimasti a casa, degli attivisti e degli operatori umanitari. Cerchiamo di capire quali sono le ragioni che spingono tutti questi giovani a partire e come i trafficanti sfruttano il fenomeno. Un viaggio segnato da illusioni, sofferenze, abusi e dalle celle sovraffollate delle prigioni saudite dove molti finiscono per poi essere rimpatriati.
Trentanove persone persero la vita allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool.Quarant'anni fa, il momento più tragico della storia del calcio cambiò per sempre la nostra percezione e la passione per quella disciplina sportiva. L'evento segnò centinaia di famiglie in tutta Europa (i feriti furono oltre seicento), i giocatori in campo, gli spettatori davanti alla televisione, i giornalisti presenti allo stadio, chiamati a raccontare una vicenda che ancora oggi lascia increduli e impotenti.undefinedEsiste un “prima” e un “dopo” Heysel. Lo sport ha provato a rimuovere quella vicenda (il sito della UEFA dedicato alla Champions' League non riporta nulla di quel match se non il tabellino con giocatori, marcatori e ammoniti, perfino lo stadio viene chiamato con il nome assegnato in seguito, ovvero “Re Baldovino”), l'arte e la letteratura invece non hanno dimenticato, e ancora oggi si interrogano sulle conseguenze di quell'evento. Per la nostra società civile, per la storia e per tutti noi.undefinedCon Massimo Raffaeli, saggista, critico letterario traduttore del lavoro “Le gradinate dell'Heysel” del saggista e critico belga Pol Vandromme. Alberto Cerruti, decano dei giornalisti sportivi e commentatore del Corriere del Ticino, e il contributo delle Teche RSI, con interviste al calciatore Paolo Rossi, al regista Tullio Emilio Giordana e a Gabriele Albertini, commentatore televisivo della RSI presente alla partita. Tenemmo la Coppa, il sangue era nostroundefined
In ogni epoca umana ci sono mestieri che nascono e mestieri che muoiono. La trasformazione del tessuto sociale porta inevitabilmente con sé una continua trasformazione del tessuto economico. Oggi ci sembrerebbe strano avere a che fare con una fiammiferaia come quella della favola, ad esempio. O con un acquaiolo: colui che vendeva acqua da bere agli angoli delle strade. Allo stesso modo una persona del 19mo secolo non avrebbe saputo che pesci pigliare, se si fosse trovata davanti a un informatico, o a un tiktoker. Ma c'è una piccola categoria di mestieri, spesso antichi, che sebbene non rivestano più un'importanza economica, hanno resistito al cambiamento dei tempi. Sono quei mestieri che ci riconnettono con le nostre radici. Spesso mestieri artigiani, o contadini, che raccontano una storia; una sapienza nascosta tra le rughe delle mani. Mestieri che vengono riscoperti, che perdono il loro carattere di necessità per diventare hobby, passioni, se non addirittura forme di meditazione. Uno di questi è il cestaio, che negli ultimi anni sta vivendo un aumento di popolarità grazie anche ai tanti corsi che si tengono in ogni forma, per poterne imparare le basi. Il protagonista del nostro Laser di oggi ha imparato così. Marco Pagani lo ha incontrato.
L'Occidente ignora la Storia, Putin è pronto a tutto“Perché i russi non si ribellano?” È una domanda che si è sentita spesso fin dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Ma è davvero possibile parlare di una responsabilità collettiva — in questo caso della società russa — di fronte alla guerra in Ucraina e al regime autoritario di Vladimir Putin? Oppure, come accade nel diritto penale, esiste solo una responsabilità individuale? E quanto costa essere liberi in un regime autoritario come quello russo? È questo il tema della puntata di Laser, che parte dalle testimonianze raccolte a Ginevra, a margine dell'ultimo Summit for Human Rights and Democracy, di due tra i maggiori dissidenti russi: Vladimir Kara-Murza e Garri Kasparov. Vladimir Kara-Murza è stato liberato nell'agosto 2024 nell'ambito di uno scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia. Era detenuto in isolamento in una colonia penale siberiana, dove stava scontando una condanna a 25 anni per aver criticato il Cremlino e la guerra in Ucraina. Garri Kasparov, uno dei più grandi scacchisti della storia e tra i più noti oppositori di Putin, vive in esilio dal 2013. Secondo Kara-Murza e sua moglie, Evgenia Kara-Murza, attivista per i diritti umani, nonostante la repressione e la propaganda, una parte consistente della società russa condanna la guerra e non si riconosce nel regime. Per Garri Kasparov, invece, la responsabilità della guerra in Ucraina non può ricadere solo su Putin, perché milioni di cittadini contribuiscono, in vari modi, al funzionamento della macchina bellica.Una riflessione sulla società russa di oggi, alla luce della storia, è offerta in questa puntata anche da Giovanni Savino, storico specialista di Russia e Europa orientale, docente all'Università Federico II di Napoli, e Maria Chiara Franceschelli, ricercatrice della Scuola Normale Superiore di Pisa, esperta di società civile e movimenti sociali nella Russia contemporanea.undefined
La famiglia dei compositori Strauss – Johann Strauss padre, Johann Strauss figlio, Josef e Eduard – ha dominato l'Ottocento viennese ed è riuscita poi a conquistare il mondo, grazie anche al Concerto di Capodanno, che dal Musikverein di Vienna ogni primo gennaio raggiunge milioni di appassionati.Soprattutto Johann Strauss figlio ci ha lasciato centinaia di opere di successo, prime fra tutte il valzer Sul bel Danubio blu e l'operetta Il Pipistrello. Ma chi era quel figlio d'arte, nato nel 1825 e morto nel 1899? E com'era la Vienna del suo tempo? Come fu che il valzer diventò uno dei balli più amati? E quali sono gli ingredienti alla base della sua fama, che già ai suoi tempi era internazionale?Nell'anno del bicentenario della nascita di Johann Strauss figlio, che a Vienna vede un gran numero di eventi a lui dedicati, Flavia Foradini si è messa sulle sue tracce. Con l'aiuto del musicologo Thomas Aigner, della storica Lisa Noggler-Gürtler e della divulgatrice Clara Kaufmann delinea lo sfondo storico della capitale asburgica nel diciannovesimo secolo, da cui emerse il fenomeno Strauss, e disegna un ritratto di un artista che seppe essere un'icona della musica viennese e una vera e propria popstar ante litteram.undefined
La famiglia dei compositori Strauss – Johann Strauss padre, Johann Strauss figlio, Josef e Eduard – ha dominato l'Ottocento viennese ed è riuscita poi a conquistare il mondo, grazie anche al Concerto di Capodanno, che dal Musikverein di Vienna ogni primo gennaio raggiunge milioni di appassionati.Soprattutto Johann Strauss figlio ci ha lasciato centinaia di opere di successo, prime fra tutte il valzer Sul bel Danubio blu e l'operetta Il Pipistrello. Ma chi era quel figlio d'arte, nato nel 1825 e morto nel 1899? E com'era la Vienna del suo tempo? Come fu che il valzer diventò uno dei balli più amati? E quali sono gli ingredienti alla base della sua fama, che già ai suoi tempi era internazionale?Nell'anno del bicentenario della nascita di Johann Strauss figlio, che a Vienna vede un gran numero di eventi a lui dedicati, Flavia Foradini si è messa sulle sue tracce. Con l'aiuto del musicologo Thomas Aigner, della storica Lisa Noggler-Gürtler e della divulgatrice Clara Kaufmann delinea lo sfondo storico della capitale asburgica nel diciannovesimo secolo, da cui emerse il fenomeno Strauss, e disegna un ritratto di un artista che seppe essere un'icona della musica viennese e una vera e propria popstar ante litteram.undefined
Astrid Lindgren la inventò un po' per caso, per svagare la figlioletta costretta a letto da una polmonite. E da quando, ottant'anni fa esatti, fece la sua comparsa sulle pagine di un libro, Pippi Calzelunghe non ha mai smesso di trascinare con la propria forza e la propria voce lettori di tutte le età. Ma che cosa succede, oggi, provando a leggere a cinque bambine di prima elementare le avventure fatte di scimmiette con la giacca e cavalli in giardino, di valigie piene di monete e bugie rivendicate con fierezza? Un modo per chiedersi che cosa cerchiamo nelle storie, che cosa ci faccia crescere nelle letture, che tipo di gesto sia, oggi, quello di aprire un libro. Alla vigilia della giornata per la lettura ad alta voce, che torna domani, 21 maggio, ad animare biblioteche, scuole, librerie, musei e luoghi privati in tutta la Svizzera, Rachele Bianchi Porro ne ha parlato con Maria Polita, studiosa e divulgatrice di letteratura per l'infanzia, ideatrice del sito Scaffale Basso.
Questo documentario interroga la questione della migrazione attraverso la lente della salute mentale, restituendo un racconto polifonico fatto di voci professionali e testimonianze dirette.Con l'etnologopedista Francine Rosenbaum, esploriamo del linguaggio della lingua materna, mentre la psicoterapeuta Elia Carenzio Sala – laureata in etnopsichiatria che anche lei ha lavorato per oltre trent'anni nelle strutture pubbliche del Canton Ticino – riflette sulle sfide dell'accoglienza terapeutica in contesti multiculturali.Ad affiancarle, le parole di don Giusto, parroco di Rebbio a Como che collabora con le associazioni del Ticino che da assistenza a persone migranti tutti i giorni. Un viaggio tra psiche e confini, per ascoltare ciò che spesso rimane inascoltato.
«La vulcanologia non è fisica, non è matematica. Non può fare previsioni» è quanto ammette uno degli scienziati intervistati, il giorno dopo l'ennesimo sciame sismico che ha scosso i Campi Flegrei, tutta Napoli e il suo golfo. Un paradiso dove emergono meraviglie come Capri, Ischia e Procida, ma che sovrasta una grande conca ribollente che, oltre a generare terremoti continui, potrebbe dare vita ad un altro Vesuvio con altre Pompei e Ercolano. Con conseguenze ancora più catastrofiche sulle persone e le sue case, concentrate cento volte di più di quanto fosse duemila anni fa. Insomma, un paradiso che può trasformarsi in inferno.
In America sono state decrittate le carte relative all'assassinio di Kennedy. I segreti si costruiscono e si mantengono. Ma non durano per sempre. Qual è il posto del segreto nella società contemporanea? Quali sono le responsabilità di chi custodisce i segreti? Intorno ai segreti si creano alleanze e gruppi sociali, si definiscono pratiche di esclusione e inclusione.Ma il segreto riguarda anche le persone comuni. Non solo le spie e le organizzazioni mafiose e criminali, ma anche le famiglie, gli amanti clandestini, i pettegolezzi mobilitano il segreto. Nell'era digitale la caccia ai segreti costituisce una delle pratiche più diffuse e la dietrologia ritiene che proprio sul segreto si costituiscano le società. In più oggi conta sempre meno la verità e il segreto può risultare a sua volta una costruzione, una pratica diffamatoria, un modo per distruggere una carriera o un'identità.Nel corso della trasmissione il segreto verrà affrontato da più punti di vista: la storia della cultura, la tecnologia, la psicologia e la pedagogia.
L'audio documentario si interessa alla relazione e alle divergenze tra collezione, archivio e memoria. Si è scelto di trattare il tema dell'archiviazione e della memoria sotto una lente in particolare: quella sportiva. Si è osservato dunque sia il rapporto che ciascuno intesse con le proprie tracce intime, biografiche, ereditate in sorte, sia con la medesima operazione febbrile di chi ama vertiginosamente archiviare e collezionare. Partendo da una storia personale, si è scelto di esplorare la testimonianza concreta di diverse voci, osservando come biografie connesse siano in grado di mescolarsi e di proseguire - apparentemente - la medesima storia. Si è voluto raggiungere la storia di Giuseppe Panini, fondatore della casa editrice e del mitico album di figurine, di cui ricorrono peraltro quest'anno i 100 anni dalla nascita, attraverso la voce del figlio Antonio; la testimonianza di Paolo Gandolfi, che dispone di una collezione mastodontica e al tempo stesso amatoriale nell'ambito delle cartoline e delle fotografie sportive; la storia di Anna e del suo diario su Gilles Villeneuve, depositato all'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, che racconta come la memoria sportiva si muova spontaneamente dall'infanzia all'età adulta; la voce esperta del giornalista e documentarista Renato Rinaldi sul rapporto tra archivio, eredità e memoria; la voce di Anna Stefi, psicanalista, vicedirettrice della rivista online Doppiozero e insegnante, acuta osservatrice della passione del collezionismo da un punto di vista psicanalitico, storico e culturale.
La città di Lugano ha deciso di intitolare una via ai poeti e patrioti lettoni Rainis e Aspasija, che hanno soggiornato per circa quindici anni a Castagnola.Fuggiti nel 1905 dalla loro terra d'origine, la Lettonia, dove avevano sostenuto i movimenti indipendentisti contro la dittatura zarista, repressi nel sangue, Rainis e Aspasija raggiunsero la Svizzera per recarsi in Italia, ma giunti a Lugano si innamorarono del luogo e si stabilirono a Castagnola. Tutte le opere principali sono state scritte nella Svizzera italiana, e divennero rapidamente il punto di riferimento dell'identità culturale e dei programmi di democrazia e libertà del Paese baltico. Due giorni fa la città di Lugano, a Castagnola, ha dedicato una strada ai due poeti e patrioti lettoni, contemporaneamente all'intitolazione di una via a Castagnola nella città di Julmala, dove Rainis e Aspasija vissero una volta rientrati in patria nel 1920.Con il Consigliere federale Ignazio Cassis, la ministra della cultura della Lettonia Agnese Lāce, lo storico Antonio Gili, l'artista Liga Liedskalnina, il vicesindaco di Lugano Roberto Badaracco, il direttore della divisione cultura della città di Lugano Luigi Di Corato e Vita Začesta, presidente dell'Associazione dei Lettoni d'Italia e Svizzera.
Anche se ha subito un inevitabile contraccolpo economico e diplomatico dalla guerra a Gaza e dalla crisi in Siria, la Giordania resta un'isola di stabilità in un Medio Oriente turbolento. Legata a Israele da un trattato di pace sottoscritto nel 1994, ha oltre il 60 percento di cittadini di origine palestinese su una popolazione di undici milioni di persone, gran parte delle quali stanno vivendo in prima persona il massacro in corso a Gaza. Nell'ultimo anno e mezzo la monarchia hashemita guidata da re Abdallah II di Giordania si è mossa in una situazione molto difficile, da un lato condannando Israele e facilitando l'accesso agli aiuti a Gaza, dall'altro ha lasciato però intatti i rapporti con Tel Aviv e Washington fondati su accordi politico-militari di lunga data.Alla fine di gennaio Amman ha sottoscritto anche un nuovo partenariato strategico con l'Unione Europea, un accordo che conferma, una volta di più, che il Paese sulla sponda orientale del fiume Giordano è il partner più affidabile di Bruxelles in Medio Oriente. In questo reportage che ci ha portati dalla capitale Amman all'entità economica autonoma di Aqaba, affacciata sul Mar Rosso, abbiamo cercato di comprendere come ha fatto la Giordania a mantenere una stabilità invidiabile e una buona condizione economica interna considerando che confina con aree di grande crisi come la Siria, il Libano, l'Iraq e la Palestina.
Tra poche ore i cardinali entreranno in conclave per eleggere il nuovo papa. Dei 133 aventi diritto, solo 53 sono europei. 23 provengono dall'Asia, 18 dall'Africa, 16 dall'America del Nord.Il “peso” di questi continenti diventa sempre più marcato, e il pontefice precedente, Francesco, aveva intuito la forza delle realtà emergenti, il ruolo che possono giocare nel presente e nel futuro della Chiesa cattolica. Perché guardare verso il Sud del mondo può davvero aiutare il Nord a ritrovare la “fede perduta” in Europa. Gli edifici religiosi si svuotano, i seminari sono quasi deserti, si assiste ad un curioso mix di neo paganesimo, disinteresse, rassegnazione, quando si parla di Chiesa. Il nuovo pontefice avrà anche il compito di comprendere lo sviluppo delle nuove forme di comunicazione religiosa e imparare dai continenti storicamente lontani da Roma come portare avanti fede, tradizione, identità e storia della Chiesa.Con Gerolamo Fazzini, saggista, consulente di direzione del settimanale “Credere” e coautore con il fratello Antonio della biografia del cardinale filippino Luis Antonio Tagle, Padre Giuseppe Cavallini, direttore di “Nigrizia” e il Prof. Vincenzo Pace, docente di sociologia delle religioni all'Università di Padova.
L'UNESCO lo ha definito uno tra i dieci Festival più importanti al mondo, anche e soprattutto per la sua capacità di promuovere la pace. Dal 1994 infatti, in un pianeta costellato da muri, frontiere e barriere, il Festival di Musica Sacra dal Mondo di Fès, in Marocco, resta un luogo magico dove l'incrocio di culture fluisce naturalmente. L'edizione di quest'anno, la 28esima, che si terrà dal 16 al 24 maggio, è ispirata al tema del “Rinascimento”. Sono attesi più di 200 artisti provenienti da 15 Paesi. “Da oriente a occidente, alla ricerca dello spirito andaluso” era invece il tema del Festival del 2024. Sul palco e ai nostri microfoni si sono esibiti maestri e allievi della Schola Cantorum di Basilea e i musicisti della musica tradizionale galiziana. Ma anche i corni delle Alpi del gruppo svizzero tedesco Treibhorn insieme alla virtuosa dello yodel, Franziska Wigger. Un paesaggio musicale sorprendente a cui si sono aggiunti i suoni del maestro del flamenco, Vicente Amigo, insieme alla diva della musica amazigh, Cherifa Kersit. Ad ogni primavera, Fès si rinnova e diventa una caleidoscopica città-mondo, dove la musica apre nuove suggestive strade.
Sempre più il dibattito intorno all'intelligenza artificiale si polarizza tra entusiasti e pessimisti, adepti e catastrofisti; un dibattito in cui intervengono fisici, matematici, informatici, ma anche sociologi e filosofi. La rivoluzione innescata dalle nuove tecnologie ha un impatto sull'organizzazione del lavoro e sulla democrazia ma investe anche una facoltà propriamente umana: il pensiero. L'ideologia dei BigData sta riducendo la vita collettiva e individuale a un flusso continuo di numeri e dati che dovrebbero dare conto del reale. Ma affidarsi alle megamacchine che cosa implica per la nostra libertà cognitiva? Quello che viene definito il capitalismo di piattaforma e della sorveglianza è una prospettiva inevitabile, o si può modificare il corso del progresso tecnologico? A che cosa stiamo rinunciando quando ci affidiamo all'efficienza dell'intelligenza artificiale? Sono interrogativi che abbiamo posto a un sociologo che da anni si occupa di tecnologia e di capitalismo e dei loro impatti su società e individuo, a una giurista esperta di tecnologia, diritti umani e democrazia, a un ricercatore di filosofia che riflette sul potere degli algoritmi nell'attuale società del controllo partendo dal pensiero di Michel Foucault.
È stato il papa degli ultimi, davanti alla sua tomba, a Santa Maria Maggiore a Roma, le code dei fedeli per rendergli omaggio sono chilometriche. Il pontefice deceduto il 21 aprile ha segnato il cuore di moltissimi fedeli e non praticanti, ha centrato in pieno con il linguaggio semplice ed efficace, ha affrontato temi difficili da declinare nei corridoi dei palazzi vaticani, tanto da essere addirittura etichettato come “papa comunista”, e, sia da cardinale in Argentina sia da Papa a Roma, ha sempre mantenuto un forte impegno politico.Cosa resterà del percorso unico e inedito per la Chiesa cattolica (fin dal nome scelto una volta eletto) di Papa Francesco? Numerosi cardinali, in questi giorni, si sono spinti a fare presente che Bergoglio ha superato il punto di non ritorno, che la Chiesa non sarà più la stessa dopo il suo mandato, che l'eredità di Francesco durerà a lungo. Ma i papi cercano sempre di imporre una propria strada, di disegnare nuove rotte navigabili nel mare della Cristianità, non di copiare i predecessori. Con l'On. Rosy Bindi, azione cattolica e partito democratico, Il Prof. Loris Zanatta, autore di Bergoglio una biografia politica (Laterza) e il decano della facoltà di comunicazione, cultura e società dell'USI, Prof. Matthew Hibberd.undefined
Siamo discendenti di ibridazioni tra specie umane differenti, figli di immigrazioni e spostamenti di popolazioni, nipoti di comunità sopravvissute a cambiamenti climatici e atroci sfide con la natura ed altri animali.Se oggi siamo quello che siamo, lo dobbiamo ad una serie di casualità, colpi di fortuna, vittorie su esemplari della megafauna dovute a intelligenza, solidarietà, attitudine alla comunicazione, eccetera.Solo 40 mila anni fa le specie umane differenti presenti sul pianeta erano almeno cinque e in numerose occasioni abbiamo rischiato l'estinzione. Perché siamo rimasti, allora, l'unica specie umana sul pianeta? Due tra i migliori scrittori di scienza italiani, un evoluzionista e un medico, ci illustrano le scoperte degli ultimi anni, gli enormi progressi sulla nostra storia, le conseguenze delle nostre azioni passate e presenti e perché siamo di nuovo, drammaticamente a rischio estinzione.
«Quel che accadde realmente quel primo pomeriggio del 29 aprile 1925 forse lo sanno solo i boschi di betulle che attorniano la Picheta, piccolo monte poco sotto Gola di Lago in Capriasca. In realtà questa storia è stata dimenticata. In pochi possiedono ancora qualche frammento. E nonostante l'ordine che ho cercato di fare, ognuno ha il suo sguardo. È come se una volta finita l'esplosione, che ha portato titoli in prima pagina e scandalo, tutto sia stato volutamente chiuso a chiave in un cassetto. E la chiave ormai non si sa più dov'è finita. A me non interessa la verità, voglio solo capire cosa sia accaduto e come dopo cento anni la memoria sopravviva e identifichi, o abbia identificato, un pezzo di territorio. I fatti? Scrive la Gazzetta ticinese il 30 aprile 1925».«Oggi alle 14 un drammaticissimo fatto metteva a soqquadro la vita della tranquilla Capriasca. Certo Deluigi Bernardo, con un colpo di rivoltella alla testa, freddava il notissimo conduttore d'Alpe Rovelli Pietro di Lelgio, soprannominato Pinin, suo zio.»L'oggi era il giorno precedente. Il 29 aprile. Già da subito in questa storia iniziano a crearsi incongruenze tra la realtà dei fatti e la loro narrazione.Musiche di Andrea Manzoni.
Erik Davis è uno dei lettori più acuti della cultura americana contemporanea. Giornalista, scrittore e storico delle religioni, Davis studia da quarant'anni i fenomeni più bizzarri sorti negli Stati Uniti dal secondo dopoguerra a oggi: dall'uso intensivo di psichedelici negli anni Sessanta alla nascita di nuove forme di spiritualità, dai rapimenti alieni al sorgere di comunità virtuali. La cultura pop, per Davis, è una piattaforma da cui osservare le correnti alternative che invadono il canone dominante – uno spazio dove il pensiero mistico e magico si intreccia a quello tecnico e razionale. La tecnologia, per Davis, è il più importante mezzo di espressione di queste spinte contrastanti ma compresenti. Dagli Stati Uniti di Donald Trump, in cui il discorso politico è sempre più irrazionale, Erik Davis ci guida attraverso il labirinto della contemporaneità. In un mondo in cui internet ci permette di fare praticamente qualsiasi cosa e l'intelligenza artificiale neuronale è ormai un dato di fatto, Davis cerca di rispondere a una domanda: cosa vuol dire essere umani oggi? Ne parliamo con Erik Davis ad Ascona, dove è ospite degli Eventi letterari Monte Verità, quest'anno a tema “Psicogeografie” in occasione del 150° anniversario della nascita di Carl Gustav Jung. L'ha incontrato per Rete Due Laura Piccina.
Quest'anno ricorrono i cento anni dalla nascita di Gino Terreni (Tartagliana di Empoli 1925 – Empoli 2015). È stato uno dei più significativi rappresentanti della corrente espressionista del secondo Novecento. Pittore, scultore, xilografo, docente, uomo della Resistenza col nome di battaglia di “Ricciolo”, la guerra lo portò a toccare con mano i veri orrori e la crudeltà dei conflitti, a prescindere da qualsiasi credo politico, ma soprattutto ne comprese l'inutilità. Fu per questo un convinto uomo di pace, impegnato nella trasmissione della Memoria, soprattutto ai giovani. Le sue opere si caratterizzano per la loro dolorosa intensità di sentimenti umani, religiosi, mistici, che rendono il suo espressionismo veramente originale rispetto alle correnti nordiche, elevandolo fino alle soglie di una valenza europea. Forte fu il rapporto emotivo con la campagna toscana e con quel mondo millenario che stava scomparendo per l'abbandono dei campi. Amato, studiato, rivisitato in quasi ottanta anni di attività artistica, ha lasciato una traccia indelebile soprattutto attraverso moltissime opere pubbliche, nelle piazze, nelle chiese e nei musei. Con: Leonardo e Sabrina Terreni, Cristina Acidini Presidente Accademia arti e disegno di Firenze, e gli storici Gabriella Gentilini, Marco Gamannossi, e Luigi Viti pittore ex allievo di Gino Terreni.
Serhij Žadan è molto più di una voce letteraria di spicco in Ucraina e sulla scena internazionale. Dalle sue radici nell'Ucraina orientale, ci offre uno sguardo crudo e autentico su realtà spesso trascurate, diventando un vero e proprio cronista del suo tempo. Ma Žadan è anche una figura molto attiva nella società civile ucraina: sin dal 2014 è stato in prima linea nel fornire aiuti umanitari nelle zone colpite dal conflitto scatenato dai russi in Donbass. La sua importanza culturale e il suo impegno civile sono stati riconosciuti con numerosi premi. E oggi, in un momento cruciale per il suo paese, Žadan ha scelto di arruolarsi nella Guardia Nazionale ucraina, unendosi alla brigata “Khartia” per difendere la sua patria.
La preparazione artigianale del sapone è una tradizione di lunga data in Sierra Leone. Ad inizio anni Novanta viene abbandonata la vecchia ricetta che prevedeva l'utilizzo di ingredienti naturali in favore dell'utilizzo della soda caustica. Nasce in quel momento l'Africana Soap che allo stato liquido si presenta trasparente come l'acqua e in quello solido, sotto forma di polvere bianca, esattamente uguale a zucchero e sale. La possibilità di essere confuso è un rischio concreto che progressivamente diviene una vera e propria piaga sociale. Ad oggi, sono migliaia le persone che ingerendo l'Africana Soap, non possono più alimentarsi normalmente per il resto della vita. Soprattutto i piccoli pazienti in età neonatale e infantile, che vengono chiamati “bambini soda”. Per continuare a mangiare, nel migliore dei casi sono costretti a continue dilatazioni dell'esofago per via endoscopica, nel peggiore e più frequente, possono alimentarsi unicamente con un tubo da gastrostomia che si immette direttamente nello stomaco. L'unico luogo dell'intero paese dove è possibile intervenire è l'ospedale di Emergency di Goderich, centro nazionale di riferimento sia per le ustioni all'esofago causate dall'ingestione di soda caustica che per la traumatologia. Le storie dell'Africana Soap dalla realizzazione alla vendita, dalla cura all'assistenza, dallo stigma della disabilità fino ad una geniale resilienza, sono raccontate da donne e uomini sia fuori che dentro il nosocomio presente in Sierra Leone dal 2001.
L'amore è sempre un impegno, c'è sempre qualcosa che dobbiamo perdere per andare incontro all'altroProviamo a tracciare un bilancio del pontificato di Francesco. Il Papa venuto “dalla fine del mondo”, così si era presentato dodici anni fa appena eletto, ha davvero dato una scossa ad una istituzione, quella della Chiesa cattolica, profondamente divisa e in grande difficoltà di comunicazione e immagine? In effetti il significato dell'affermazione “dalla fine del mondo” può essere compreso rovesciando la prospettiva della Chiesa. Ovvero guardando la realtà dalla parte degli ultimi, degli umili, dei dimenticati. Papa Francesco non li ha mai dimenticati, anzi li ha esaltati, dato che da sempre è uno di loro. Fino alla fine. Ogni sua affermazione, ogni suo testo ricordano quella prospettiva, comprese le encicliche. Almeno due: “Fratelli tutti” e “Laudato sì”, messaggi chiari di un impegno soprattutto politico e sociale che ha sempre caratterizzato il suo mandato, ancora prima di arrivare in Vaticano.Con l'imam della moschea di Milano e vicepresidente del Co.Re.Is (Comunità Religiosa islamica italiana) Yahya Pallavicini, l'Alto Commissario ONU per i rifugiati Filippo Grandi e il direttore della rivista argentina di ispirazione cattolica Criterio José Maria Poirier.undefined
È tra le più affermate scrittrici francofone, vincitrice di numerosi riconoscimenti in Francia e nel resto del mondo.Scholastique Mukasonga è ruandese di origine tutsi scampata al genocidio del 1994 solo perché due anni prima era riuscita a fuggire dal suo paese e a trasferirsi in Francia. Ha deciso di scrivere per conservare una memoria fino ad allora tramandata oralmente come avviene in Ruanda e in molte zone dell'Africa. Le esperienze vissute non dovevano in nessun modo perdersi, non potevano essere affidate solo al ricordo, destinato inevitabilmente a svanire con il tempo. Ma come raccontare ciò che era successo a lei e a centinaia di migliaia di persone della sua etnia, come provare a riconciliarsi con se stessi grazie ad un foglio e a una penna, muti e in grado di raccogliere le confidenze, le sofferenze, i pensieri. Ecco allora la scrittura. Per evitare che il suo popolo e altre realtà nel mondo non commettano gli stessi errori, non vivano ciò che la comunità tutsi ha vissuto solo trent'anni fa.I lavori di Scholastique Mukasonga sono pubblicati in italiano dalla casa editrice Utopia e in francese da Gallimard.
In Ticino se ne contano ben 54. Monumentali, bellissime, segni sul territorio che definiscono storia e identità. Le vie crucis sono parte integrante del paesaggio e del presente delle comunità. E nella Settimana Santa vale la pena perdersi lungo sentieri percorsi da secoli, davanti a stazioni che raccontano il Calvario di Cristo, ed anche come sia cambiato nel tempo il messaggio che quei tragitti indicano. Tra le soste obbligate, le processioni storiche di Mendrisio, patrimonio immateriale dell'umanità UNESCO e simboli potentissimo della tradizione e della vita della Svizzera italiana.
Dormiamo sempre meno e sempre peggio. Non è una semplice percezione, a indicarlo con certezza sono i dati: secondo l'indagine sulla salute in Svizzera 1997-2022, nell'arco di venticinque anni i disturbi del sonno di media entità e quelli patologici sono aumentati del 5%, e a soffrire di insonnia è ormai uno svizzero su tre. Un problema che colpisce anche i giovani, confrontati con livelli sempre maggiori di ansia. Ma come mai si sta verificando quella che gli esperti definiscono una “riduzione del sonno globale”? Ha a che fare con quelle luci azzurre che ciascuno di noi porta in tasca, e che può accendere non appena viene colto da un risveglio notturno? O con lo spirito performativo della nostra società? E soprattutto: cosa si può fare davvero per curare un disturbo del sonno? Diario personale - semiserio ma mai serioso - di due giornaliste che si sono messe alla prova. Con Anna Castelnovo, capoclinica in medicina del sonno all'EOC, e con Mauro Manconi, viceprimario del servizio di medicina del sonno dell'Istituto di Neuroscienze cliniche della Svizzera italiana.
La Svizzera è diventata negli ultimi anni una delle mete più ambite per le persone Lgbt+ in fuga dalle politiche omofobe e repressive del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Rifugiate e rifugiati inseguono il loro sogno di libertà seguendo la rotta balcanica, nascoste nel retro di un camion o marciando per giorni tra alte barriere di filo spinato, sentieri impervi nella foresta, ronde della polizia di frontiera, bande di trafficanti, abusi e respingimenti violenti. In questo audio documentario raccontano come sono arrivate in Svizzera e cosa si sono lasciate alle spalle, mentre le trame delle loro storie si intrecciano con quella di un viaggio tra Basilea, Ginevra, Delémont, Baden e tutti i luoghi dove hanno trovato rifugio e ora - tra non poche difficoltà e la paura di essere di nuovo costrette alla fuga - stanno cercando di costruirsi una nuova vita, finalmente libere di essere sé stesse.
Sono a torto chiamati “secoli oscuri”, ovvero il periodo che va dall'ottavo al 15esimo secolo. E invece per l'Africa si tratta di un periodo di storia ricchissima, come conferma il Prof. François-Xavier Fauvelle, storico, archeologo, professore di storia e archeologia dei mondi africani al Collège de France di Parigi.Simbolo di quell'epoca è un rinoceronte d'oro, rinvenuto in una tomba in Sudafrica e che anche il nome ad un saggio del professore, edito da Einaudi. Il rinoceronte è il simbolo degli scambi commerciali e delle contaminazioni tra popoli africani e asiatici, anche se lascia molte domande in sospeso. Così come i tentativi di raccontare la storia dell'impero più ricco di sempre, ritrovato nel Mali tra il XII e il XIII secolo. E si potrebbe continuare a lungo, dal Ghana alla Tanzania, dallo Zimbabwe al Congo. Insomma, la storia dell'Africa non si ferma con gli Egizi e non riprende con la colonizzazione europea e con la tratta degli schiavi. È molto di più anche se moltissimo deve ancora essere scoperto.
Lo splendore delle civiltà precolombiane e le efferatezze perpetrate dai conquistadores hanno occupato a lungo l'immaginario occidentale, ritardando una conoscenza più approfondita di quanto era accaduto nei secoli precedenti. Per fortuna le campagne di scavo condotte negli ultimi decenni stanno lentamente portando alla luce civiltà degne di rivaleggiare con la magnificenza di inca, maya e aztechi. Nel 2006 suscitò molto clamore la pubblicazione sulla rivista National Geographic di un articolo che rivelava una sensazionale scoperta compiuta nel nord del Perù. Uno studioso originario di Cusco, il professor Régulo Franco, aveva portato alla luce la tomba della Signora di Cao. Perché una scoperta che avveniva in una zona periferica del Paese e che per di più non aggiungeva una nuova tessera alla conoscenza degli Inca, in quanto si riferiva all'ignota civiltà Moche, aveva mobilitato la più famosa rivista americana di natura e di viaggi? L'archeologo peruviano Régulo Franco sarà ospite di Laser per raccontarci in prima persona come giunse a quel sensazionale ritrovamento. Ci spiegherà anche come è cambiata grazie ad esso la nostra idea dei mondi precolombiani. La Signora di Cao ha infatti rivoluzionato la comprensione del ruolo della donna nelle civiltà dell'America prima degli spagnoli, avvalorando le teorie di Maria Gimbutas e Riane Eisle sulle civiltà antiche, che ci inviano un messaggio potente e attualissimo di inclusività e parità, sfidando le idee tradizionali sul potere maschile. Ospiti della trasmissione saranno anche due donne archeologhe. Jenny Alva, che assisté Walter Alva nella scoperta del Signore di Sipàn, l'altro ritrovamento che ha segnato una tappa nelle ricerche in Perù, ha collaborato per oltre dieci anni con il Museo de América di Madrid, dedicandosi alla ricerca e alla divulgazione delle culture precolombiane. A lei si affiancherà un'altra esperta di archeologia sudamericana, Carolina Orsini, Conservatore delle Raccolte Archeologiche e Etnografiche del Museo delle Culture (Mudec) di Milano
®In questi giorni in Svizzera e nella Svizzera italiana si discute sul concetto di prescrizione giudiziaria. L'occasione è fornita da una sentenza su fatti avvenuti a Brescia, in Piazza della Loggia, 51 anni fa. Un attentato terroristico durante una manifestazione antifascista provocò la morte di otto persone, oltre cento furono i feriti.Pochi giorni fa – in prima istanza – un cittadino naturalizzato svizzero di 67 anni è stato riconosciuto come l'esecutore materiale della strage. Non può essere estradato e per la legge della Confederazione, quel reato è oramai prescritto. Laser si sofferma sul concetto di prescrizione. Non su quella giudiziaria ma su quella del dolore. Realizzato in occasione delle commemorazioni per i quarant'anni dell'attentato, si cerca di comprendere quale siano le conseguenze di un gesto dettato da motivi ideologici e le ripercussioni per i singoli individui e per l'intera comunità, nella condivisione della memoria, di una memoria inevitabilmente destinata a sfilacciarsi con il tempo.Prima emissione: 29 maggio 2014
Quello degli allevatori di bestiame che a un certo punto non riescono più, emotivamente, a trarre il loro sostentamento dallo sfruttamento dei loro animali, è un fenomeno statisticamente ancora minuscolo, ma in crescita costante. Soprattutto in luoghi come la Svizzera: dove l'alto numero di piccoli allevatori - che hanno quindi un rapporto diretto con i loro animali - si unisce a una sensibilità etica e ambientale sempre più presente. Tra l'allevatore e la mucca si crea inevitabilmente un rapporto. Un legame che spesso è affettivo. E quindi quella violenza - che inizia con l'inseminazione artificiale, prosegue con la separazione del vitello dalla madre, con lo sfruttamento del latte e infine con la macellazione - tutta quella violenza, necessaria al funzionamento dell'azienda, giustificata con il “si è sempre fatto così”, alla fine scava un buco. E per alcuni allevatori quel buco, alla fine, diventa insostenibile. Dentro di loro si rompe qualcosa. O forse qualcosa si sveglia.E non possono fare altro che cambiare vita. Marco Pagani ha incontrato uno di loro: un giovane agricoltore-allevatore della Val di Blenio. Eric Beretta, titolare dell'azienda agricola Il Cardo. Che ha deciso di raccontare quello che gli è accaduto.
Questo reportage racconta la drammatica realtà delle donne congolesi impiegate nel settore minerario artigianale, in un Paese segnato da guerre, sfruttamento e profonde disuguaglianze di genere.Nel Nord e Sud Kivu, regioni ricche di minerali preziosi, il gruppo armato M23 ha preso il controllo di importanti città, mentre il settore minerario continua a essere teatro di abusi. Dopo la chiusura della compagnia nazionale SOMINKI nel 1996, molte donne sono entrate nel settore artigianale, svolgendo lavori durissimi e pericolosi, spesso senza alternative.Tra queste c'è Furaha Myamungo, una “mama twangaise” di Kamituga, che racconta le condizioni disumane del lavoro: giornate interminabili, discriminazione, malattie respiratorie e HIV contratti per la polvere di quarzo e la miseria che spinge alla prostituzione.Nonostante tutto, emergono storie di resistenza e cambiamento. Emilienne Intongwa, minatrice e vedova, è riuscita a ottenere un proprio sito minerario e ha fondato l'associazione KOKA per tutelare le lavoratrici. Angelique Nyirasafari, ex operatrice umanitaria, è oggi una delle poche donne membro attivo di una cooperativa mineraria, impegnata a dare più diritti alle minatrici.Sebbene il sistema sia ancora profondamente maschilista e corrotto, mostra anche segnali di una lenta emancipazione femminile, fondamentale per cambiare il volto dell'industria mineraria in Congo.
Abbiamo perso la voglia di capire il mondo? Sembrerebbe di sì, almeno a giudicare dai tanti, troppi, confusi stimoli che piombano ogni giorno nelle vite di ciascuno di noi, strillati da social, titoli di giornali e notifiche del cellulare. Un'insalata di parole in cui la crisi economica viene raccontata (e scrollata velocemente) dopo l'ultimo tutorial di makeup, in cui gli influencer pretendono di spiegarci la vita e nemmeno i politici e le personalità che dovrebbero fungere da guida sembrano immuni dalla tendenza a spararla grossa. E forse in questo non c'è nulla di casuale: Paolo Guenzi, docente di marketing all'Università Bocconi di Milano, non ha nessun dubbio, la mala educazione è diventata un prodotto richiestissimo. E, a tal proposito, ha pubblicato un saggio, intitolato proprio Il marketing dell'ignoranza. Cosa comporta vivere in una società simile? Quali sono i virus a cui ci esponiamo, più o meno consapevolmente?E cosa pensa, di tutto questo, la maggiore imputata, ovvero la tecnologia - e nella fattispecie l'intelligenza artificiale? Una conversazione a più voci (umane e virtuali) su un tema di grande attualità, che deve farci rimanere vigili.
In Myanmar, Paese strategico del sud est asiatico incastonato tra l'India e la Cina, è in corso un conflitto civile che in tre anni ha provocato oltre 55mila vittime e più di 2,6 milioni di sfollati. Conflitto che non si è fermato nemmeno con il devastante terremoto che ha interessato il paese.La guerra è esplosa dopo che il primo febbraio del 2021 i militari birmani hanno preso il potere con un colpo di stato instaurando uno dei regimi più brutali e repressivi del nostro presente, interrompendo la breve vita della democrazia che, seppur imperfetta, ha permesso alle nuove generazioni di aprirsi al mondo e comprendere il significato di parole come libertà e diritti. In questo momento il conflitto in Myanmar vede da un lato le forze della giunta, supportate da Mosca, Pechino e Nuova Dehli e dall'altro quella della resistenza, che hanno il controllo di oltre il 50% del Paese, composte principalmente da giovani che hanno lasciato le città, abbandonando le loro vite, e si sono recati sulle montagne dove hanno iniziato una lotta contro la dittatura con l'obiettivo di abbattere l'esecutivo dei militari e ripristinare il governo democraticamente eletto che era in carica prima del golpe. Oltre il 75% dei 55 milioni di birmani vivono oggi in condizioni di disagio economico, con 13,3 milioni di individui prossimi alla fame. Il Myanmar, dopo il colpo di stato, è divenuto uno degli stati più inaccessibili al mondo per la stampa e il solo modo per poter andare a raccontare la lotta per la democrazia della gioventù birmana, è farlo clandestinamente, attraversando la giungla che separa la Birmania dalla Thailandia e testimoniare una guerra lontana dai riflettori dei media.
Per lungo tempo, le antiche meraviglie della Siria hanno attirato studiosi e archeologi occidentali, intenzionati a dare lustro a monumenti risalenti a civiltà, da cui si vantavano di risalire. Poi è arrivata la guerra. Bombe, proiettili e le mani spietate dell'ISIS hanno distrutto siti, statue e manufatti secolari. È stato in quel momento che Maamoun Abdulkarim, ex Direttore generale per le antichità e i musei, nonostante gli immensi pericoli e le pesanti accuse di collaborare con il regime, decise di rimanere in Siria, per provare a salvare centinaia di migliaia di manufatti a rischio, sparsi per tutto il Paese. L'8 dicembre 2024 le forze di opposizione hanno liberato la Siria dalla dittatura e da allora il popolo siriano sta cautamente cercando di dare risposte nuove a domande centrali per la propria identità. Un quesito che aleggia ovunque è: il patrimonio culturale può essere solo pietre e rovine? O è qualcosa di più?Eva Zeidan, ex archeologa, ricercatrice e attivista, sostiene che la vera eredità della Siria risieda nelle conoscenze tramandate e nella saggezza popolare. La giornalista Zeina Shahla le fa eco, documentando le tante storie comuni a comunità diverse che il regime e la guerra hanno provato in tutti i modi ad allontanare. Così, mentre la Siria lotta per ridefinire sé stessa, il suo passato non è più una reliquia ma un campo di battaglia per l'identità, la memoria e il futuro.
La memoria audiovisiva racconta la storia del nostro Paese da una prospettiva insolita, quella degli ultimi due secoli, quando la tecnologia ci ha permesso di realizzare video o fotografie e di registrare i suoni. Naturalmente numerosi documenti sono già conservati in archivi pubblici, biblioteche e musei. Ma molto resta ancora da scoprire, magari nascosto in cantine e solai, dunque esposto al rischio di andare perduto. Per questo l'associazione Memoriav, diretta da Cécile Vilas, ha promosso un Censimento del patrimonio audiovisivo in collaborazione con i diversi Cantoni, per scoprire, proteggere e valorizzare nuovi fondi. La risposta del Canton Ticino, come spiega Roland Hochstrasser, capo dell'Ufficio dell'analisi e del patrimonio culturale digitale, è stata entusiasta, con centinaia di segnalazioni da parte di enti pubblici, aziende e privati. Restando nell'ambito della memoria audiovisiva, ricordiamo poi che a Lugano ha sede anche la Fonoteca Nazionale Svizzera, l'archivio sonoro della Confederazione; il direttore Günther Giovannoni ci guida nell'ascolto dei suoni più interessanti conservati nei loro archivi.
Fino a pochi anni fa non li conosceva nessuno. Adesso sono sulla bocca di tutti. Ma per capire quanto gli Houthi dello Yemen siano stati sottostimati, tra le milizie sciite del Medio Oriente, basta frequentare il viale al-Sabaeen della capitale Sana'a alle tre del pomeriggio di ogni venerdì, quando migliaia di miliziani invadono la strada a sei corsie e la piazza accanto alla moschea fatta costruire venti anni prima dal presidente Ali Abdullah Saleh. Tra i sostenitori prevale un misto di orgoglio identitario, rabbia repressa e indignazione per le ingerenze degli Stati Uniti in Medio Oriente: una storia molto lunga, che parte da prima della Rivoluzione islamica iraniana del 1979. La rammentano persone comuni, miliziani, ministri, a ogni contatto e intervista: adesso, il rafforzamento dell'immagine del nemico esterno nella guerra tra Israele e Gaza ha dato agli Houthi l'opportunità di mostrarsi al mondo, con le incursioni navali sul golfo di Aden e sul Mar Rosso, e ha consentito di coagulare attorno a loro il consenso della popolazione yemenita ridotta alla fame. In un'esclusiva opportunità di accesso allo Yemen del Nord, nelle città di Sana'a e al porto di Hodeida, RSI vi racconta chi sono gli Houthi che si definiscono “i partigiani di Allah”. Senza dimenticare tutti gli yemeniti che vivono sotto questo regime: pescatori costretti alla fame che vanno a pescare in acque internazionali per guadagnare di più ma vengono arrestati e torturati dai sauditi per il timore che si tratti di miliziani Houthi; mendicanti che vivono in condizioni ai limiti della dignità; ospedali affollatissimi dove i medici vengono fisicamente assaltati dai pazienti solo per firmare una ricetta mentre duecento persone al giorno si presentano all'accettazione con il colera. In questo quadro, il blocco dei beni, le sanzioni al regime yemenita del Nord e il ritiro degli Stati Uniti dal sistema degli aiuti umanitari internazionali fanno ancora dello Yemen la peggiore crisi umanitaria al mondo, a dieci anni esatti dall'inizio della guerra.
L'autore ha trascorso quasi un mese immerso nella realtà cilena, esplorando non solo i suoi luoghi, ma anche la sua storia e identità.Incontri speciali con Maria Fernanda García Iribarren, direttrice del Museo della Memoria di Santiago e Cristina Digiorgio, direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura, hanno offerto nuove prospettive sulla complessa evoluzione del paese.Un territorio segnato da dittature e trasformazioni profonde, dove il passato continua a dialogare con il presente attraverso l'arte e la cultura.Un'esperienza di viaggio che diventa scoperta, un'immersione in una nazione che custodisce con forza la propria memoria, trasformandola in strumento di racconto e resistenza.
Siamo nel Canton Vallese, arriviamo ai piedi del Ghiacciao del Trient dopo una camminata di circa quarantacinque minuti su un sentiero di montagna che parte dal Col de la Forclaz. Siamo con Paul Gay-Crosier, consigliere comunale del comune di Trient, con cui facciamo il percorso che è anche un viaggio dentro la storia della valle dove nel XIX secolo blocchi di ghiaccio venivano estratti dal ghiacciaio per essere trasportarti con il treno nelle città francesi. Trient, paese dov'è nato Paul Gay-Crosier, è quasi nascosto nell'omonima valle ai piedi del massiccio del Monte Bianco e del Ghiacciaio del Trient, al confine con la Francia. Ai piedi del ghiacciaio si trova la “Buvette du Glacier du Trient” che non è solo un punto di ristoro per gli escursionisti ma è anche un luogo che custodisce la memoria del ghiacciaio, dentro sono esposte numerose fotografie in bianco e nero, conservati articoli di giornale, faldoni con grafici: immagini e dati che raccontano la lenta scomparsa del ghiacciaio, come racconta Anne Maysonnave, responsabile della Buvette. Da qui vediamo a occhio nudo la fine del ghiacciaio, che resta solamente sulla cima, come in un'estrema resistenza. Il ghiacciaio che si scioglie si porta via tante storie che per persone come Paul Gay-Crosier sono legate all'infanzia: intorno al ghiacciaio la comunità ha costruito la sua identità. Cosa significa, infatti, vivere vicino a un ghiacciaio, se e come definisce l'identità di una comunità? Benjamin Buchan, dottorando in geoscienze dell'Università di Friburgo, ha scelto di indagare l'aspetto culturale, umano, partendo dalle Alpi, anche attraverso l'analisi delle fotografie dei ghiacciai. Lo incontriamo davanti al Ghiacciaio del Trient dov'è venuto per una giornata di studio.
Domani sabato 22 marzo 2025, dalle 9:30, l'accademia Dimitri apre le porte con corsi per il pubblico, in una giornata interamente dedicata all'arte e al teatro.Un compleanno importante, dalla sua fondazione nel 1975, la scuola voluta da Dimitri e sua moglie Gunda è diventata un'accademia reputata in tutta Europa, integrata nellla Supsi, una scuola universitaria professionale, che offre agli studenti un percorso unico nelle arti performative, con una formula fedele alla filosofia del grande clown e attore, che aveva voluto unire le arti circensi, il teatro, la danza e la musica. Un approccio originale che ancora oggi si basa una preparazione fisica di alto livello e l'acquisizione di competenze teoriche e pratiche che riguardano più tecniche performative. Abbiamo trascorso una giornata insieme agli studenti, seguendo le lezioni e le prove, tra le sedi di Verscio e Avegno. Scoprendo la passione che anima un luogo di grande libertà espressiva. Sentirete le voci di Tim, Martina, Adriana, Francesco, Elisa, Anna e Emerson, dei loro docenti Alexej e Pavel, di Veronica Provenzale, direttrice operativa dell'Accademia Teatro Dimitri, di Anna Gromanova direttrice artistica e di Susanna Lotz, responsabile della comunicazione e anche la nostra guida. Un reportage a cura di Emanuela Burgazzoli.undefined