Blu Notte - Misteri Italiani

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Trasposizione in formato audio degli episodi della celebre trasmissione Blu Notte, andata in onda dal 1998 al 2012. Carlo Lucarelli racconta in modo avvincente e pieno di retroscena controversi i casi più oscuri della storia italiana. Raccolta non ufficiale a scopo divulgativo delle puntate più famo…

Curato da: Michele D’Innella

  • Mar 2, 2021 LATEST EPISODE
  • weekly NEW EPISODES
  • 1h 9m AVG DURATION
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La Saponificatrice di Correggio - Storia della serial killer Leonarda Cianciulli

Play Episode Listen Later Mar 2, 2021 43:37


Leonarda Cianciulli è stata una serial killer italiana, passata alla storia come "la saponificatrice di Correggio" per aver ucciso, tra il 1939 e il 1940, tre donne e averne occultato i cadaveri facendole a pezzi e sciogliendole nella soda caustica. Leonarda Cianciulli nasce a Montella, nella provincia campana di Avellino, il 14 aprile 1894. Le cronache di allora la raccontano come una donna socievole che aveva avuto una vita difficile: l’infanzia povera in un paese dell’Irpinia, qualche piccola truffa per sopravvivere, tre aborti, dieci figli morti in fasce e una madre che aveva osteggiato il suo matrimonio ed in punto di morte aveva maledetto lei e tutta la sua prole.  Il 23 luglio del 1930 un violento terremoto colpisce l’Irpinia e Leonarda Cianciulli si trasferisce con il marito Raffaele Pansardi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove si guadagna un discreto benessere e una certa fama commerciando in abiti e mobili usati, leggendo le carte e preparando amuleti e pozioni per donne del paese che frequentano numerose la sua casa. A far scattare la follia omicida è, come scrive lei stessa nel suo lungo memoriale, la defunta madre Emilia che le appare in sogno minacciosa e terribile; per Leonarda Cianciulli è un segnale evidente: uno dei suoi figli sta per perdere la vita. Nella sua mente malata si fa strada un’unica soluzione possibile: compiere sacrifici umani per placare il demone della madre. Rinchiusa in carcere in attesa del processo, scrive le sue memorie in cui racconta minuziosamente i delitti, di come aveva sezionato i corpi, la bollitura nella cucina di casa per fare sparire ogni traccia, e ripete che la sua unica intenzione era di fare sacrifici umani propiziatori per salvare i figli dalla maledizione della madre. Con la fine della guerra, il caso della Saponificatrice di Correggio occupa le prime pagine dei giornali nazionali e internazionali, il fatto è clamoroso e il 12 giugno 1946, in un clima di grande attesa, molte persone affollano l’aula della Corte d’Assise di Reggio Emilia per il processo dell’anno. La donna, con un colpo di teatro, si addossa tutta la responsabilità degli omicidi e chiede l’allontanamento del figlio Giuseppe dalla gabbia degli imputati. L’accusa insiste con l’omicidio a scopo di rapina ma si oppone la difesa che chiede l’infermità mentale. La Cianciulli per tutti gli interrogatori non smetterà mai di affermare che lei non ha ucciso per interesse ma per allontanare l’incubo della morte dai suoi figli. Il dibattimento del caso Cianciulli dura una decina di udienze e si conclude il 20 luglio 1946: 30 anni per la saponificatrice con il beneficio della semi-infermità mentale, e assoluzione per Giuseppe Pansardi, per insufficienza di prove. Sentenza confermata poi in Cassazione. Leonarda Cianciulli passerà il resto della la sua vita nei manicomi criminali di Aversa, Perugia e Pozzuoli, dove farà sempre di tutto per rimanere. Continuerà a cucinare dolci prelibati che nessuno assaggerà, a leggere le carte e a predire il futuro alle detenute come aveva fatto nella sua casa di Correggio e a scrivere lunghe lettere agli amatissimi figli. A 76 anni, il 15 ottobre del 1970, Leonarda Cianciulli muore per un’emorragia cerebrale ed il suo cadavere viene sepolto in una fossa comune del cimitero di Pozzuoli. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

Antonino Gioè - Il boss della Mafia che si tolse la vita

Play Episode Listen Later Feb 23, 2021 53:30


Era la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993 quando il boss di Altofonte Antonino Gioè venne ritrovato impiccato con i lacci delle scarpe nella cella in cui trascorreva la detenzione nel carcere di Rebibbia. Erano trascorse appena poche ore dalle bombe delle stragi di via Palestro a Milano e delle due basiliche di Roma. Le indagini ufficiali bollano il fatto come un suicidio. Secondo gli inquirenti di allora con quel gesto il capomafia, che si trovava a Punta Raisi il giorno della strage di Capaci, si sarebbe tolto la vita prima che fosse la stessa Cosa Nostra ad intervenire. C'erano intercettazioni in cui il boss aveva parlato dell' “Attentatuni” ed anche altri riferimenti su possibili attentati al Palazzo di Giustizia di Palermo o contro gli agenti di polizia penitenziaria in servizio a Pianosa. E nella conversazione intercettata dalla Dia c'è anche un riferimento al suo “padrino”, Leoluca Bagarella: “Ma ' stu Bagarella cu cazzu si senti? Oh, lo dico per scherzare, ah” disse al telefono. Ma queste non sono prove schiaccianti sulla morte, e quei fatti non hanno mai convinto troppo. Vi fu anche un'indagine giudiziaria a carico di tre agenti penitenziari che furono indagati per istigazione al suicidio di Gioè, ma vennero prosciolti senza chiarire i dubbi. C’è poi la pista alternativa secondo la quale la morte di Gioè non fu un suicidio: nelle foto scattate in quella notte nella cella i segni della corda sul collo non vanno verso l'alto, come sarebbe lecito aspettarsi se si fosse appeso alla grata, ma verso il basso il che fa pensare più ad una corda tirata da qualcuno. Anche l'autopsia fornisce diversi elementi che andrebbero chiariti. Gioè aveva la sesta e la settima costole di destra fratturate “a causa del massaggio cardiaco praticato su di esso”. Singolare che queste siano le ultime due costole della gabbia toracica mentre il massaggio cardiaco si esegue ben più in altro ad altezza del plesso solare. Sul tavolo della cella furono ritrovati anche tre lettere scritte a mano da Gioè: “Stasera ho ritrovato la pace e la serenità che avevo perduto 17 anni fa” aveva scritto il boss. Per gli inquirenti un semplice ultimo addio. Per chi vuole leggere tra le righe, forse, la possibilità di una futura collaborazione con la giustizia. Del resto Gioè è stato anche uno degli uomini chiave della trattativa Stato-mafia, non solo perché a lui si era rivolto il cugino Francesco Di Carlo dopo un incontro “con agenti segreti che parlavano inglese e italiano”, ma anche per quegli incontri con Paolo Bellini, estremista di destra, depistatore, nonché esperto d'arte. Vent'anni dopo dubbi e misteri su quel suicidio tornano a galla. Ed è forse ora di fare veramente luce su questi fatti. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

Il caso Nada Cella - La segretaria massacrata in ufficio

Play Episode Listen Later Feb 16, 2021 54:13


6 maggio 1996, Chiavari. Sono da poco passate le 9.00 quando Nada Cella, impiegata ventiquattrenne, viene ritrovata barbaramente uccisa nell’ufficio del suo datore di lavoro, il commercialista Marco Soracco. La ragazza aveva appena aperto l’ufficio e acceso il computer. Presumibilmente, il suo assassino ha suonato alla porta e Nada, tranquilla, lo ha fatto entrare: la ragazza viene trovata con la testa fracassata da un oggetto contundente che, come spesso accade nei delitti di difficile soluzione, non sarà  mai trovato. E’ lo stesso Soracco a trovare la ragazza in fin di vita. La corsa al reparto rianimazione dell’ospedale San Martino è inutile: Nada muore sei ore più tardi. Sono i medici che soccorrono Nada a stabilire che la ragazza è stata vittima di una aggressione e non di un incidente, come inizialmente sembrava: scattano le indagini, ma nel frattempo la scena del delitto è stata irrimediabilmente inquinata: le tracce di sangue sulle scale del palazzo sono state lavate, così come quelle lasciate nell’ufficio. Le indagini si concentrano sul più facile dei sospettabili, cioè proprio il datore di lavoro di Nada, Marco Soracco. Il commercialista ha 34 anni, è laureato in economia e commercio e da qualche anno ha aperto a Chiavari uno studio molto avviato. Riservato, educato, scapolo e cattolico, vive con la madre e la zia nello stesso caseggiato dove si trova l’ufficio, al piano superiore. Il padre, scomparso due anni prima, era stato direttore del dazio e quindi responsabile dell’ufficio anagrafe del Comune di Chiavari. Il 7 maggio Marco Soracco viene sottoposto ad un estenuante interrogatorio di ben 14 ore. Per lui inizia un calvario destinato a concludersi più di un anno dopo. Insieme alla sua, vengono analizzate scrupolosamente le posizioni della madre e della zia. L’opinione pubblica e la famiglia di Nada sospettano che il movente possa essere passionale e molti vedono nel timido e riservato commercialista il possibile colpevole. Il tempo passa, ma senza che le indagini registrino alcuna novità. Tutte le piste sono fredde, o meglio non esiste alcuna pista per l’omicidio di Nada Cella. Il 18 luglio 1997 la posizione di Marco Soracco viene archiviata. Il 10 settembre 1998 i genitori di Nada, già da tempo critici sull’operato della polizia, denunciano presunti occultamenti e silenzi nel piccolo mondo di provincia della cittadina di levante e rivolgono un appello al Papa in visita a Chiavari. Nel novembre dello stesso anno le indagini si avventurano sulla pista di Sergio Truglio, l’assassino di una prostituta, basandosi su un labilissmo indizio: Truglio conosceva Nada. Ancora una volta, però, le indagini si arenano. L’omicidio di Nada Cella è tuttora un delitto irrisolto. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

Luigi Bezzi - Il delitto del Pescatore

Play Episode Listen Later Feb 9, 2021 43:34


27 agosto 1998, Sant’Alberto. Quattro colpi secchi nell’aria torrida di un mattino di fine estate nella placida campagna della provincia di Ravenna. Quattro colpi di pistola che uccidono Luigi Bezzi, settantenne pensionato. Un uomo tranquillo con una sola passione: la pesca dei cefali. Quello di Ragù, soprannome con cui tutti lo conoscevano a Sant’Alberto, la cittadina dove viveva, è rimasto un mistero e già allora le cronache locali misero in luce alcuni grossolani errori degli investigatori. Chi è stato ad uccidere Luigi Bezzi, sull’argine del canale Destra Reno, in pieno giorno e senza nessun motivo apparente? Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Se anche tu sei un/una podcaster ed hai voglia di confrontarti e interagire con me e con altri creatori di contenuti audio, ti invito ad unirti alla community che ho creato su LinkedIn: https://www.linkedin.com/groups/9022370 Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

Mauro de Mauro - Il mistero dietro la scomparsa del giornalista

Play Episode Listen Later Feb 2, 2021 103:55


Il 16 settembre 1970 il giornalista Mauro de Mauro fu sequestrato da Cosa Nostra di fronte ai suoi familiari e non fu mai più ritrovato. Tra le varie ipotesi formulate sulle ragioni della sua sparizione figura anche quella relativa all'inchiesta sulla morte, secondo De Mauro dovuta a omicidio e non a incidente, del presidente dell'ENI Enrico Mattei, una trama che si è intrecciata con altri affaire italiani quali il golpe Borghese. Cronista di ottimo livello, nonostante un passato da soldato fascista nella famosa Decima Mais, sul finire degli anni Cinquanta De Mauro viene assunto dal quotidiano di sinistra “L’Ora”, dove si specializza nelle inchieste più scottanti sui fatti di mafia. Ma prima di scomparire il giornalista sta attraversando un momento professionalmente difficile. Da un paio d’anni non si occupa più di mafia. Ha cercato di trasferirsi a Roma, a “Paese Sera”, ma senza riuscirci. Forse è anche per questo che nei giorni precedenti la sua fine il giornalista a più di una persona dice di aver per le mani “qualcosa di grosso” che lo rilancerà... Quel “qualcosa” riguarda le sue indagini sugli ultimi due di vita di Enrico Mattei. Lo riferisce all’editore e libraio Fausto Fiaccovio, lo confida a un’amica architetto, ne accenna alla figlia Junia, ne parla con il collega dell’ANSA Lucio Galluzzo a cui dice che si sta occupando “di un soggetto per un film di Rosi”. E poi aggiunge: “E’ una cosa grossa, molto grossa. Roba da far tremare l’Italia”. Le piste sulla scomparsa di De Mauro che carabinieri e polizia seguono sono assolutamente divergenti; è singolare che delle indagini si interessino tre investigatori di primo piano che verranno tutti uccisi tra il 1979 e il 1982: il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, il commissario della mobile Boris Giuliano e il comandante della legione dell’Arma Carlo Alberto dalla Chiesa. Secondo i carabinieri, il giornalista nel suo lavoro sarebbe incappato in un grosso traffico di droga e per questo sarebbe stato eliminato dalla mafia. Ed è questa l’ipotesi sostenuta di recente anche dal pentito Gaspare Mutolo, il quale ha riferito ai magistrati che De Mauro venne strangolato da killer di Stefano Bontate, il capo della “mafia perdente”, ucciso dai Corleonesi di Totò Riina nel corso della “guerra di mafia” esplosa agli inizi degli anni Ottanta. La polizia punta invece, anche se con molta prudenza, sulla “pista Mattei”. Ci sono infatti tre sparizioni tra il materiale che il giornalista conservava per il suo lavoro che appaiono allarmanti: nel cassetto della sua scrivania in redazione, che appare forzato, non si trovano più il nastro magnetico con la registrazione della manifestazione di Gagliano cui Mattei partecipò, mentre dal bloc-notes con gli appunti sono state strappate due pagine e mancano anche altri fogli di appunti più recenti, quelli che riguardano gli incontri avuti nella preparazione dei lavoro per Rosi. C’è un sospetto forte, un’ipotesi che non sarà mai approfondita. In quel nastro e in quei fogli di appunti spariti potrebbe esserci la soluzione di due gialli: la morte di Mattei e la stessa scomparsa di De Mauro... Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Se anche tu sei un/una podcaster ed hai voglia di confrontarti e interagire con me e con altri creatori di contenuti audio, ti invito ad unirti alla community che ho creato su LinkedIn: https://www.linkedin.com/groups/9022370 Inoltre, se desideri approfondire tutti i retroscena più oscuri dietro le menti dei più famosi serial killer italiani, da oggi puoi farlo! Ascolta subito la puntata di “No Pasa Noche” sul profilo psichiatrico di Annamaria Franzoni: https://open.spotify.com/episode/5jwK1B9JGSTFwcd8kvGodC?si=F5jf-d0OQqqrEbxlhcPPrg

La Grotta della Croara - L’omicidio irrisolto di Lea Polvani

Play Episode Listen Later Jan 26, 2021 49:33


È il 29 novembre 1983 quando la ventottenne Leonarda Polvani parcheggia la sua Fiat 126 nel garage di casa, in via Serenari a Casalecchio di Reno, comune dell’hinterland bolognese, dopo aver salutato un’amica. Sono le 8 di sera e dovrebbe fare solo pochi passi per raggiungere l’androne dell’edificio in cui vive e salire nel suo appartamento, dove l’attende il marito, il quale, non vedendola rientrare, contatta i carabinieri che iniziano subito le ricerche. A ritrovarla saranno però due guardacaccia, qualche giorno più tardi. È il 3 dicembre e il luogo è quasi diametralmente opposto a quello della sparizione. Stavolta si è infatti alla Croara, un complesso carsico fatto di valli cieche e grotte chiuse con cancelli e catenacci per evitare che diventino rifugio di sbandati e trafficanti. Uno di questi cancelli è stato aperto e la catena tagliata: all’ingresso ci sono una borsa da donna dentro e i documenti di Leonarda. I carabinieri, una volta addentratisi nella grotta, ritroveranno prima gli effetti personali della donna e successivamente il suo cadavere: è riversa con il viso a terra, ha la biancheria strappata, il maglione e la giacca sollevati sulla testa e infilati in un solo braccio. Sul collo tracce di strangolamento. Sembra l’epilogo di una violenza, ma a ucciderla è stato un colpo di pistola, calibro 6.35, sparato a pochi cm dal cuore. Il denaro che la donna aveva con sé è ancora nel portafogli e i gioielli indossati come l’ultima volta che era stata vista. Come avviene in questi casi, la vita della donna viene passata al setaccio. Ma Leonarda Polvani non nasconde ombre. È sposata da un anno e mezzo, non è infedele, il suo tempo si divide tra il lavoro in gioielleria e la casa. L’università non la frequenta, ci va solo per dare gli esami. Con chiunque si parli, la descrizione è sempre quella: seria, posata, gentile, semmai qualche volta la si può sorprendere un po’ triste. Ma niente di più. Per due anni l’indagine è a un punto morto. Riprende vigore quando uno spacciatore, dopo l’arresto, dichiara di sapere chi ha ucciso Leonarda e indica tre uomini, tutti con precedenti penali per droga. Sequestrare la donna aveva lo scopo di farsi aiutare a mettere a segno una rapina nella gioielleria. I riscontri però evidenziano incongruenze: la grotta non è la stessa, i riferimenti sembrano quelli di un altro omicidio avvenuto in zona e i pregiudicati, intanto finiti sotto processo, vengono assolti. Può darsi che ci fosse chi voleva rapinare il luogo in cui Lea lavorava e allora potrebbe aver cercato di agganciare la ragazza per farne una basista all’interno; oppure, più semplicemente, è possibile che chi puntasse alla rapina volesse solo la borsa della donna, dove ci stavano anche le chiavi del luogo in cui lavorava, e che poi si sia disfatto di una potenziale testimone scomoda. Il corpo abbandonato in una cava, coi vestiti scomposti, rappresenta l'ultimo atto di una tragedia inutile: la simulazione di una violenza. I rapitori hanno probabilmente cercato di dissimulare i veri motivi della sparizione e della fine di Lea, la ragazza che amava scrivere e disegnare. La ragazza che ad oggi non ha ancora avuto giustizia. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Se anche tu, come Paolo, desideri sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share Inoltre, se ti è piaciuta la bellissima illustrazione realizzata dall’artista Veronica Comin come cover art di questa puntata, puoi trovare tanti altri contenuti simili sulla sua pagina Instagram: instagram.com/veronicocco

Il delitto Wilma Montesi - Il lato oscuro della Roma anni ‘50

Play Episode Listen Later Jan 19, 2021 52:48


Sabato 11 aprile 1953, vigilia di Pasqua: il corpo senza vita di Wilma Montesi, una giovane ragazza romana di 21 anni, viene trovato sulla spiaggia di Torvajanica, in località Capocotta, una zona balneare non distante da Roma. Il corpo non presenta segni di violenza ed è completamente vestito (se non fosse per la mancanza di un reggicalze, delle calze e delle scarpe). Le cause della morte non sono chiare: l’autopsia parla, genericamente di una sincope dovuta ad un pediluvio. Il ritrovamento pare quindi essere destinato ad una rapida archiviazione: un semplice malore, un incidente, forse un suicidio. Ma se già l’ipotesi dell’incidente l’incidente appare poco credibile, anche il suicidio è da escludere: di famiglia modesta, ma tranquilla, Wilma Montesi era fidanzata e stava preparandosi al matrimonio. Trascorrono alcuni mesi, la vicenda è quasi dimenticata quando un piccolo settimanale scandalistico asserisce l’ipotesi che Wilma Montesi sarebbe morta, forse per overdose di droga, forse per un semplice malore, durante un’orgia, in una villa del marchese Ugo Montagna, alla quale avrebbe preso parte il musicista Piero Piccioni, figlio di un importante notabile democristiano, il già ministro degli Esteri Attilio Piccioni, destinato ad ereditare da Alcide De Gasperi la leadership della Democrazia Cristiana, il più importante partito di governo. Da questo momento il caso Montesi non è più un caso giudiziario, ma diventa un affare politico: dietro la morte della ragazza si scatena la più grande faida mediatico-politica per la conquista del potere interno alla DC. Gli sviluppi della vicenda sono quanto mai intricati, anche perché sulla scena, a sostegno delle tesi accusatorie di Muto, spunta una donna: è Anna Maria Moneta Caglio, detta (per il suo lungo collo) Il “Cigno Nero”, ex amante, delusa, del marchese Montagna. La donna conferma: nella villa di Capocotta, che è vicina a luogo dove il corpo della Montesi è stato ritrovato, si svolgevano festini. Montagna e Piccioni, spaventati dal malore della giovane donna, si sono disfatti del corpo di Wilma, abbandonandolo, forse ancora vivo, sulla spiaggia di Torvajanica. Lo scandalo assume dimensioni gigantesche e anche il questore di Roma, Saverio Polito, viene accusato di aver cercato di insabbiare tutto, per questioni, ovviamente, politiche. Il processo si trascinerà per oltre quattro anni. Fino al 27 maggio 1957, quando il Tribunale di Venezia manderà assolti con formula piena Piccioni, Montagna, Polito e altri nove imputati minori, rinviati a giudizio nel giugno 1955. Ancora oggi la morte di Wilma Montesi resta un mistero. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

Il caso Enrico Mattei - L’uomo che voleva rendere grande l’Italia

Play Episode Listen Later Jan 12, 2021 48:37


Sabato, 27 ottobre 1962, ore 18.57 e 10 secondi. La torre di controllo dell’aeroporto di Linate perde i contatti con un piccolo bireattore, un “Morane Saulnier”, registrato con la sigla I-Snap, di proprietà dell’ENI, l’ente petrolifero di stato. A bordo del velivolo si trovano il presidente della società Enrico Mattei, un giornalista inglese, William McHale e il pilota Irnerio Bertuzzi. L’aereo è decollato dall’aeroporto di Catania alle 16.57, dopo una visita lampo di Mattei nella Sicilia meridionale. Di lì a pochi giorni, il 6 novembre, il presidente dell’ENI, il più potente manager di stato italiano, si sarebbe dovuto recare in Algeria per firmare un accordo sulla produzione di petrolio, un accordo molto scomodo per le “sette sorelle” del cartello mondiale. I resti del “Morane Saulnier” vengono trovati in un campo in località Bascapè, una frazione del comune di Landriano in provincia di Pavia, a pochi minuti in linea d’aria dallo scalo di Linate. Dei tre occupanti del velivolo resta solo un sacco contenente 40 chili di carne ed ossa. Tra i pochi testimoni della tragedia un contadino, Mario Ronchi, proprietario del terreno. Ai primi giornalisti che lo intervistano descrive la caduta dell’aereo come se lo stesso fosse esploso in volo. Poi cambierà versione, aggiustandola e cambiandola più volte, fino a descrivere, quella che sulle prime gli era sembrata un’esplosione in volo, come un tragico incidente... La scomparsa di Enrico Mattei: incidente o delitto? Fatalità o sabotaggio? Disgrazia o complotto? Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast Inoltre, se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share

La strage di Via Caravaggio - Il massacro della famiglia Santangelo

Play Episode Listen Later Jan 5, 2021 44:28


La strage di via Caravaggio è stato un triplice omicidio avvenuto a Napoli nel 1975 e rimasto irrisolto. Secondo la ricostruzione la strage avvenne nella notte tra giovedì 30 e venerdì 31 ottobre 1975 (ma il fatto venne scoperto solo il successivo 8 novembre), all'incirca tra le ore 23:00-23:30 e le 5 del mattino, al quarto piano del n. 78 di via Michelangelo da Caravaggio, nella parte alta del quartiere Fuorigrotta nell'abitazione delle vittime. Furono uccisi, prima colpiti alla testa con un oggetto contundente mai identificato e, successivamente, feriti alla gola con un coltello da cucina, Domenico Santangelo, 54 anni, rappresentante di vendita, ex capitano di lungo corso ed ex amministratore condominiale, la sua seconda moglie Gemma Cenname, 50 anni, ostetrica ed ex insegnante, e la figlia di lui, Angela Santangelo, 19 anni, impiegata dell'INAM, nonché il loro cane Yorkshire terrier, di nome Dick, soffocato con una coperta. I corpi di Domenico Santangelo e di Gemma Cenname furono depositati, assieme al cagnolino Dick, nella vasca del bagno padronale; il corpo di Angela fu avvolto in un lenzuolo e adagiato sul letto matrimoniale. L'assassino rubò denaro dalla borsetta della Cenname e portò via anche la pistola di Santangelo, mai ritrovata. Nell'appartamento, oltre a impronte di scarpa (numero 41-42) impresse nel sangue sui pavimenti di alcune stanze e del corridoio, furono rinvenute impronte digitali su una bottiglia di whisky e una di brandy poggiate su un mobile-radio dello studio di Domenico Santangelo. Era impossibile per la polizia scientifica dell'epoca rilevare, ricostruire e identificare tracce biologiche lasciate dall'assassino sui reperti della scena del delitto. Le impronte di scarpa e le impronte digitali risultarono incompatibili con quelle del principale indiziato, Domenico Zarrelli, figlio di un giudice presidente di corte d'appello deceduto e fratello dell'avvocato Mario Zarrelli (che scoprì i corpi), nonché nipote di Gemma Cenname; venne comunque arrestato il 25 marzo 1976 e poi condannato all'ergastolo in primo grado il 9 maggio 1978 per l'accusa d'aver compiuto la strage perché in preda a un raptus dopo essersi visto rifiutare la richiesta di un prestito di denaro dalla zia Gemma. In carcere studiò giurisprudenza e divenne egli stesso avvocato penalista. Zarrelli, che aveva dichiarato di non essere mai stato quel giorno a casa della zia, venne successivamente assolto in appello dopo aver passato cinque anni di prigione nel 1981 (per insufficienza di prove). Dopo l'annullamento della sentenza da parte della corte di cassazione, fu nuovamente assolto, con formula piena, dalla Corte di Assise di Appello, sentenza confermata dalla Cassazione il 18 marzo 1985, nonché nel 2006 risarcito dallo Stato per danni morali e materiali con un milione e quattrocentomila euro. Tuttora il coltello da cucina usato nel delitto e la coperta utilizzata per soffocare il cane della famiglia sono custoditi nell'Ufficio Reperti del Tribunale di Napoli dell'ex Tribunale di Castel Capuano e nel 2013 sono stati esposti per la prima volta al pubblico nell'esposizione temporanea, allestita all'interno del Tribunale, "Corpi di reato", divenendo così inutilizzabili per successive indagini scientifiche. Se vuoi sostenere il podcast e dare un contributo essenziale per aumentare la qualità dell’audio, visita la lista lista dei desideri che ho creato su Amazon: https://www.amazon.it/hz/wishlist/ls/16XLE7ST4CEG4?ref_=wl_share Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

I rapporti segreti tra Stati Uniti e Italia - OSS, CIA, Gladio

Play Episode Listen Later Dec 29, 2020 102:40


La storia controversa dei rapporti segreti fra Italia e Stati Uniti viene raccontata a partire da tre episodi apparentemente slegati fra loro: il 4 luglio 1978, giorno in cui il commissario capo Graziano Gori muore vittima di un incidente frontale; il 15 febbraio 1975, giorno in cui Ronald Stark (sotto lo pseudonimo Terence Abbot), trovato in possesso di una valigetta contenente valuta straniera, stupefacenti, documenti e chiavi di una cassetta di sicurezza di Roma, viene arrestato a Bologna; il 3 febbraio 1998, giorno del tragico incidente della funivia del Cermis, in Val di Fiemme, in cui un aereo militare statunitense tranciò il cavo della funivia uccidendone i 20 passeggeri. Ho recentemente rilasciato la mia prima intervista in esclusiva su Twitch. Puoi recuperarla qui (il mio intervento inizia dopo un’ora e 5 minuti di video): https://www.twitch.tv/videos/851996665 Se anche tu sei un creator di contenuti, gestisci un podcast o un talk show, oppure vuoi semplicemente rimanere aggiornato sulle novità riguardanti di Blu Notte puoi contattarmi sui canali Instagram, Twitter e Telegram del podcast cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

La Villa dei Misteri - Il caso di Vincenzo Mosa

Play Episode Listen Later Dec 22, 2020 49:00


Vincenzo Mosa venne assassinato il 2 febbraio 1998 con un colpo di arma da fuoco alla schiena nella sua abitazione estiva a Sabaudia. Era l'avvocato che assisteva come parte civile le vittime dell’usura e del racket della banda della Magliana e di altre pericolose organizzazioni criminali. Rappresentava i più deboli nei tribunali per rendere loro giustizia. Quella sera era andato a prendere i due cani che teneva in giardino per portarli nell' abitazione romana, dove aveva anche un altro studio. Il corpo del professionista venne ritrovato dagli investigatori esterno del villino in Via dello Scorpione. L'arma utilizzata per l'esecuzione, degna di un agguato in perfetto stile malavitoso, fu un fucile a pompa calibro 12 utlizzato per la caccia al cinghiale o dai rapinatori per assaltare i furgoni blindati. Nessun testimone a quell'ora e nemmeno immagini di telecamere di videosorveglianza che all' epoca non erano ancora diffuse per i costi elevatissimi di acquisto e di installazione. La ricostruzione fatta dai carabinieri sulla base di alcune tracce trovate nella casa vicina a quella dove venne ucciso Mosa appurò che lo sparo partì proprio dal confine della casa adiacente divisa da quella del delitto da una siepe. Le piste battute dai detective pontini non approdarono a nulla, se non ad iscrivere nel registro degli indagati un canoista del posto, Mauro Chiostri. L' uomo, che subì due gradi di giudizio, venne assolto definitivamente da ogni  accusa nel 2002. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Pier Paolo Pasolini - Luci ed ombre sul massacro del poeta

Play Episode Listen Later Dec 15, 2020 45:41


Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia, località del comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6:30 circa; sarà l'amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell'omicidio fu incolpato Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, già noto alla polizia come ladro di auto e "ragazzo di vita", fermato la notte stessa alla guida dell'auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura (un'Alfa Romeo 2000 GT Veloce) dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo una cena offerta dallo scrittore nella trattoria Biondo Tevere nei pressi della basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane venne minacciato con un bastone, del quale poi si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi Pelosi salì a bordo dell'auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976, con la sentenza della Corte d'Appello che, pur confermando la condanna dell'unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell'omicidio. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Il velo della Madonna - Delitto ad alta quota

Play Episode Listen Later Dec 8, 2020 48:12


È il giorno dopo ferragosto del 1990 quando Maria Luisa De Cia, 28 anni, decide di andare a fare una passeggiata in alta montagna da sola. L’indomani, venerdì 17 agosto 1990, un gruppo di escursionisti trova Maria Luisa nel bosco a pochi passi dal Velo della Madonna. Lo spettacolo è di quelli che fanno tremare vene e polsi: la ragazza è distesa priva di vita su un giaciglio fatto con i suoi vestiti. Nuda dalla vita in giù, ha un filo di nastro adesivo nero che le solca la faccia attraversandole la bocca. Sulla tempia sinistra, invece, un foro di un proiettile spiega cosa le è accaduto. È un’estate maledetta quella di San Martino di Castrozza, un’estate di sospetti e paure. In un primo momento, infatti, tra gli abitanti de paesini sulle montagne del Trentino si diffonde la voce che l’orrore del 16 agosto sia stato opera di un maniaco, il serial killer dei boschi, il mostro delle Dolomiti. Ma la verità è un’altra: spunta fuori un nome credibile ed è quello di un imprenditore locale, un uomo sorprendentemente somigliante all’identikit che ne fecero nel ’90 e che vive in una baita a pochi passi dal luogo dove Maria Luisa è stata trovata morta. Un personaggio descritto come uomo violento e sadico, in grado, peraltro, di modificare le armi come è suo hobby fare. A fare la differenza, stavolta, c’è il il test del DNA, che ha permesso di risolvere casi come quello dell’Olgiata e di Elisa Claps. La svolta è vicina, la Procura è convinta che quello sia il suo uomo, ma i test, eseguiti su campioni danneggiati dalla pioggia di quei giorni, danno esito negativo. Quello di Maria Luisa De Cia resta, e probabilmente rimarrà, uno dei tanti delitti irrisolti degli anni Novanta... Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Elisa & Patrizio - Il duplice omicidio dei fidanzatini di Cori

Play Episode Listen Later Dec 1, 2020 50:58


Il 9 marzo 1997, in un’abitazione di Cori, in provincia di Latina, vennero ritrovati intorno alle 23:30 i cadaveri dell'operaio ventitreenne Patrizio Bovi, appassionato di musica leggera e con piccoli precedenti per spaccio di droga, e della sua fidanzata, la studentessa diciassettenne Elisa Marafini. A scoprire i cadaveri furono il fratello quindicenne e il padre di lei, Angelo Marafini, maresciallo dei carabinieri in pensione, e Massimiliano Placidi, amico degli assassinati. Le vittime furono uccise tramite un accoltellamento impressionante: 51 coltellate furono sferrate su Patrizio Bovi e 124 su Elisa Marafini. Come arma del delitto fu usato un coltello da cucina che i carabinieri trovarono qualche giorno dopo in quella casa ripulito dalle impronte. Secondo la testimonianza dei vicini di casa, durante il delitto, tra le 20:30 e le 21:00, l'assassino aveva alzato la musica dello stereo a tutto volume per non far sentire le grida delle vittime. Le forze dell'ordine che indagavano sul delitto, escludendo l'ipotesi dell'omicidio-suicidio per mano di Patrizio Bovi, si concentrarono su due piste: lo spaccio di droga e il delitto passionale. Alcuni giorni prima al Bovi erano stati venduti 200 grammi di cocaina che venduta al dettaglio, avrebbe fruttato 40 milioni di lire. Ad un amico della coppia uccisa, il trentenne Marco Canale, operaio di Cisterna, che mesi prima aveva abitato nello stesso appartamento del delitto, all'indomani dell’omicidio furono sequestrati i pantaloni, sui quali vennero trovate tracce ematiche compatibili con quelle delle due vittime: il 26 aprile 1997 venne arrestato. A sorpresa durante il processo l’imputato Marco Canale dichiarò di essere stato due volte nell'appartamento di Via della Fortuna a metà pomeriggio di quel 9 marzo: la prima volta non entrò, più tardi, trovando aperta la porta, lo fece e vide Patrizio Bovi ed Elisa Marafini già morti, poi scappò via senza avvisare nessuno, ma ben 7 testimoni lo smentirono, dichiarando di aver visto le due vittime camminare in Piazza Signina a Cori Monte verso le 19:30. Più di qualche testimone dichiarò inoltre di aver visto un uomo dell'altezza di Marco Canale gettare un sacco dei rifiuti in un cassonetto vicino Via della Fortuna il pomeriggio del 9 marzo intorno alle ore 18:20, cioè quando l'imputato sosteneva di essere a Cisterna. A causa delle prove schiaccianti (le macchie di sangue sui pantaloni e le testimonianze) Marco Canale venne condannato in Primo Grado di giudizio a 30 anni di reclusione nel dicembre 1998 con risarcimento di 250 milioni di lire alla parte civile, rappresentata dalla famiglia di Elisa Marafini. La pena venne confermata dalla Corte d’Appello e da quella di Cassazione. Nel 2019, dopo oltre 22 anni di reclusione, Marco Canale esce dal carcere definitivamente, grazie ad uno sconto di pena per l'indulto e per buona condotta. Se ti è piaciuta la bellissima illustrazione realizzata dall’artista @timanchetu come cover art di questa puntata, puoi trovare tanti altri contenuti simili sulla sua pagina Instagram: instagram.com/timanchetu Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

La Banda della Uno Bianca

Play Episode Listen Later Nov 24, 2020 57:34


Attiva soprattutto in Emilia-Romagna tra il 1987 e il 1994, la banda deve il nome col quale divenne celebre all’abitudine di utilizzare delle Fiat Uno, modello all’epoca molto diffuso (quindi facile da trovare, rubare e ideale per passare inosservati) che finì per diventare una sorta di firma delle loro azioni criminali. Ma il dato più eclatante è che il gruppo era quasi interamente composto da membri della polizia di Stato, uomini che per anni condussero una doppia vita: tutori della legge a lungo insospettabili da un lato, dall’altro delinquenti autori di colpi che si distinguevano per la spietata efferatezza. Cuore della banda erano i tre fratelli Savi. Roberto, il maggiore, poliziotto alla Questura di Bologna dove, quando fu arrestato, aveva il grado di assistente capo e ricopriva il servizio di operatore radio nella centrale operativa. Fabio, detto “il lungo” per via della statura, unico membro della banda a non essere nelle forze dell’ordine, perché da giovane la sua domanda per entrare in polizia fu bocciata per via di un difetto alla vista. Alberto, il minore, di carattere debole e succube dei due fratelli. A loro si aggiungono altri 3 colleghi poliziotti: Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.   L’esordio è il 19 giugno 1987: viene rapinato un casello autostradale di Pesaro. I caselli sono i principali obbiettivi della banda in questa prima fase, ne rapinano dodici in due mesi. Sono colpi modesti, dove l’impiego della violenza è ancora moderato: basti pensare che si conta solo un ferito in questa prima serie di rapine. Ma le cose cambieranno presto. Sempre nel 1987 mettono in atto un tentativo di estorsione nei confronti di un venditore d’auto di Rimini, il quale finge di cedere al ricatto ma avverte la polizia. Ne scaturisce un conflitto a fuoco nei pressi di Cesena, luogo scelto dagli estorsori per la consegna del denaro, durante il quale resta ferito il sovrintendente Antonio Mosca, che morirà dopo una lunga agonia. È il primo della lunga serie di vittime della Banda della Uno bianca: i morti inizieranno a moltiplicarsi già nei mesi successivi. Dal 1990 si verifica un’altra evoluzione significativa. Alle rapine si aggiungono altri tipi di azioni criminali: veri e propri attentati di matrice razzista. All’incirca dello stesso periodo sono anche altri dei più efferati delitti della banda. Il 15 gennaio 1990, durante una rapina, fanno esplodere nell’ufficio postale in via Emilia Levante, affollato di anziani in coda per la pensione, due bombe. Ne risultano 45 feriti e un morto. Del 4 gennaio 1991 è invece quella che verrà ricordata come “la strage del Pilastro”. La banda si trovava nel quartiere di Bologna per caso quando la loro auto viene superata da una pattuglia dell’Arma. Credendo si tratti di un tentativo di registrare il numero di targa i criminali decidono di eliminare i carabinieri. Ne segue uno scontro armato dove i banditi sfoderano una potenza di fuoco impressionante, che non lascia scampo ai 3 giovani militari.   Negli anni che seguono continueranno le rapine e continueranno le morti. Le sanguinose vicende della Uno bianca si concluderanno solo nel novembre del 1994, quando i membri vengono arrestati grazie soprattutto a due poliziotti della Questura di Rimini: Luciano Baglioni e Pietro Costanza. È la fine di una lunga serie di indagini macchiate dal sospetto del silenzio e del depistaggio. Ma questa è un’altra storia. Quella della banda si conclude così: con tutti e cinque i componenti in manette e alle spalle un bilancio di 103 azioni criminali, 102 feriti e 24 morti. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Tra Brigate Rosse e Camorra - L’omicidio del vicequestore Ammaturo

Play Episode Listen Later Nov 17, 2020 47:27


L'omicidio di Antonio Ammaturo, un poliziotto italiano, venne commesso a Napoli il 15 luglio 1982. Fu ucciso dalle Brigate Rosse sotto casa sua, in piazza Nicola Amore, insieme all'agente Pasquale Paola. Quel giorno era appena uscito dalla propria abitazione per recarsi in questura con l’auto di servizio guidata dall’agente scelto Pasquale Paola quando due uomini, scesi da una vettura, aprirono il fuoco contro l’auto, assassinandone gli occupanti. Gli autori del fatto risultarono appartenere alle Brigate Rosse. I membri del commando ed esecutori dell'omicidio furono i brigatisti Vincenzo Stoccoro, Emilio Manna, Stefano Scarabello, Vittorio Bolognesi e Marina Sarnelli, i quali verranno poi condannati all'ergastolo. Dietro il suo omicidio si cela una storia di intrighi legati al rapimento e al rilascio misterioso del politico Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse, un rilascio che vide la partecipazione di Raffaele Cutolo, dei servizi segreti e di personaggi politici. I mandanti dell'omicidio invece non sono mai stati identificati con chiarezza. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Lo Strano Caso dei Pesciolini Rossi

Play Episode Listen Later Nov 10, 2020 48:03


A Rimini il 19 marzo 1997 Massimiliano Iorio, impiegato comunale di 38 anni, muore nella sua abitazione di vicolo Santa Chiara. Il suo corpo viene ritrovato la sera del giorno dopo. La scena che si presenta agli investigatori è terribile quanto sconcertante: Max non aveva mai fatto mistero di essere gay, ma mai in vita sua si era travestito da donna. Invece qualcuno lo aveva fatto ritrovare con indumenti femminili indossati evidentemente a forza, compreso un paio di scarpe con tacchi a spillo di tre numeri più piccole. Le indagini vanno avanti a stento. Max è un ragazzo tranquillo, conosciuto e ben voluto da tutti, senza un nemico al mondo. L’ampia cerchia di amici viene setacciata, ma non emerge nulla. Passano due anni e un nuovo magistrato inizia a sospettare di un ragazzo, fratello di un’amica di Max, uno che invece per i tacchi a spillo aveva una vera passione. Ma è un’altra pista morta: è vero, quella passione è un po’ eccessiva, ma nulla di più, niente che la ricolleghi al delitto. Bisogna arrivare al 2011, quando il sostituto procuratore Paolo Gengarelli pensa di passare al vaglio i reperti con le nuove tecnologie del dna, che nel frattempo hanno fatto passi da gigante. Fra questi reperti ci sono delle gocce di sangue trovate sul mobiletto dello stereo, che è anche l’unico oggetto mancante dalla casa. E poi cinque sigarette che giacevano nel portacenere. C’erano anche tre bicchieri portati all’epoca alla Polizia Scientifica di Bologna, ma non c’è più modo di rintracciarli. Si prelevano dunque campioni di dna a nove persone, quelle che in un primo tempo erano state vagliate più a fondo. Ma il responso chiude ancora una volta tutte le porte: il dna non è di nessuno di loro. Si riesce ad appurare solo delle cinque sigarette, tre sono state fumate da Iorio, una da uno sconosciuto e la quinta da entrambi. L’assassino è proprio quello sconosciuto, perché suo è anche il dna della goccia di sangue. Sembra che l’omicidio di Max debba finire fra quelli irrisolti. E invece il 23 gennaio del 2012 arriva il colpo di scena: l’assassino è Zoran Ahmetovic, bosniaco di 37 anni. È detenuto  per altri reati ed ha confessato. Ma come si è arrivati a lui?  La Procura di Rimini aveva le perizie della polizia scientifica al Ris di Parma, dove ci si è resi conto che uno di quei profili genetici poteva essere attribuibile a nomadi della famiglia Ahmetovic, all’epoca dei fatti era presenti a Rimini. Andando per esclusione si è arrivati a Zoran. Quella sera lui e Max avevano avuto in incontro occasionale. Max lo aveva anche presentato al suo ex fidanzato come “Michele”. E Michele era uno dei tanti nomi usati dall’Ahmetovic. Questi racconta di una serata folle, con alcol e droga, alla fine della quale sarebbe stato colto da una sorta di raptus. Zoran aveva strangolato Max, infierito su di lui con sei coltellate, colpito con il vaso dei pesci rossi buttato all’aria la casa. Non voleva nemmeno rubare, si era portato via solo quello stereo, lasciando cadere una sua gocciolina di sangue sul mobiletto. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Michele Sindona - L’uomo che vendette l’anima al Diavolo

Play Episode Listen Later Nov 3, 2020 46:28


Michele Sindona è stato un faccendiere, banchiere e criminale italiano. Membro illustre della loggia P2 di Licio Gelli, ha avuto chiare associazioni con Cosa nostra e con la famiglia Gambino negli Stati Uniti. Originario di Patti (Messina), Sindona diventa, nel corso degli anni Sessanta, uno dei più aggressivi banchieri del mondo; secondo Giulio Andreotti, addirittura “il salvatore della Lira”. La sua abilità? Legare in un nodo inestricabile di affari quattro pilastri della società italiana: politica, Vaticano, massoneria e mafia. Sindona arriverà ad estendere il suo dominio su un numero incalcolabile di banche e società finanziarie ed a controllare la metà dei titoli quotati a Piazza Affari. Il suo impero personale comincia a scricchiolare nel 1974, con il fallimento della Franklin Bank e con l’accusa di bancarotta mossagli dal governo americano. Fuggito in Sicilia nel 1979, dove resterà per 75 giorni per evitare l’arresto ed accusato di essere il mandante dell’omicidio Ambrosoli, il liquidatore di uno dei suoi istituti, ricompare poi negli Stati Uniti inscenando un finto sequestro e con una ferita ad una gamba. Condannato e poi estradato in Italia, morirà nel supercarcere di Voghera (dove è guardato a vista giorno e notte), sorseggiando un caffè al cianuro. Suicidio od omicidio? Ma chi è stato veramente Michele Sindona? In Sicilia, in quella lontana estate, cerca alleanze e protezioni oppure è solo un prigioniero in ostaggio? Come mai, indagando proprio su Sindona, la magistratura, questa volta milanese, arriverà a scoprire la loggia P2 di Licio Gelli? Che legame esiste tra i due misteriosi “suicidi” di Michele Sindona e Roberto Calvi? I segreti della mafia moderna, i misteri dei delitti politici degli anni Ottanta, gli enigmi delle stragi mafiose degli anni Novanta nascono da qui. Dal mistero Sindona. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Il Delitto della Camera Chiusa - Mara Calisti

Play Episode Listen Later Oct 27, 2020 48:45


Quello di Mara Calisti è un esempio di “delitto a camera chiusa”: Mara era sola in casa con il padre la sera in cui venne uccisa. Alle 3.30 di notte entra nella stanza del genitore, ha il tempo di dire “Babbo, guarda cosa mi hanno fatto” per poi accasciarsi e morire a causa una ferita di coltello o cacciavite che le ha tranciato l'aorta. Un colpo per il medico legale non sembra inferto per uccidere, ma sferrato in un momento di ira. Le indagini non sono mai riuscite a fare chiarezza su questo delitto. Non è mai stato identificato l’autore della telefonata allo studio dell'avvocato presso il quale la donna lavorava. Nella telefonata si diceva di indagare tra i corsisti dell’università della terza età. Prima di essere uccisa Mara Calisti aveva frequentato un giovane, originario di Terni, con precedenti penali, si diceva, ma questa persona non è mai stata trovata. Come resta un mistero l’asserito aborto pochi giorni prima di essere uccisa. Mara e il padre si trovavano nel vecchio appartamento di Todi, mentre il resto della famiglia nella nuova abitazione. I carabinieri accorrono sul posto e trovano l’uomo con il corpo della figlia in braccio. I vicini sono sgomenti. Le porte e le finestre sono chiuse e non ci sono segni di effrazione. Chi ha ucciso aveva le chiavi o è stato fatto entrare. Forse anche per questo le indagini si indirizzano verso il padre, l’unica persona a trovarsi in casa con la ragazza. Pochi minuti dopo le 3.30, a delitto compiuto, un vicino sente il rumore del portone, pesante, che si chiude sbattendo. Forse è l’assassino che fugge. Un’altra inquilina dice ai carabinieri di aver sentito suonare il campanello, per errore visto che cercava il pulsante dell’illuminazione, di una delle abitazioni poco prima che le urla del signor Calisti svegliassero tutto il palazzo. Per il medico legale è impossibile, vista la ferita, che la giovane sia riuscita a camminare dalla sua stanza a quella del padre: sarebbe morta prima o è stata pugnalato nella seconda stanza. Nella cassetta degli attrezzi del padre della giovane viene trovata una goccia di sangue di Mara. Le tracce di sangue, però, portano dalla camera della ragazza a quella del genitore. Sula scia di sangue, però, non ci sono le impronte dei piedi della vittima. Si ipotizza anche la presenza di un ladro che aveva visto fare parte del trasloco e pensava di trovare la casa vuota. Viene sospettato un professionista, forse amante della giovane, ma la sera del delitto ha un alibi: era con la moglie e degli amici. L'omicidio di Mara Calisti è irrisolto dal 14 luglio 1993. Il colpevole non è stato mai trovato. Il primo a finire sotto accusa è il padre Mario che viveva con lei, ma viene prosciolto una prima volta. Inquisito di nuovo nel gennaio del 1998, è definitivamente prosciolto da ogni accusa "per non aver commesso il fatto" il 5 marzo 2001. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

Imprenditori contro il Racket - Storie di piccoli Grandi Eroi

Play Episode Listen Later Oct 20, 2020 105:27


Libero Grassi (Catania, 19 luglio 1924) è stato un imprenditore italiano, ucciso da Cosa Nostra dopo essersi opposto a una richiesta di pizzo. È divenuto simbolo della lotta alla criminalità. Dopo aver avuto alcuni problemi con la fabbrica di famiglia, la Sigma, Libero Grassi ha il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia e di uscire allo scoperto, con grande esposizione mediatica. L'imprenditore denuncia gli estorsori (i fratelli Avitabile, arrestati il 19 marzo 1991 assieme a un complice), e rifiuta l'offerta di una scorta personale. Nel gennaio 1991 il Giornale di Sicilia aveva pubblicato una sua lettera sul rifiuto di cedere ai ricatti della mafia. La stessa Sicindustria gli volta le spalle. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 30 aprile 1991 afferma che «l'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana» e definisce "scandalosa" la decisione del giudice catanese Luigi Russo (del 4 aprile 1991) in cui si afferma che non è reato pagare la "protezione" ai boss mafiosi. Il 29 agosto del 1991, alle sette e mezza di mattina, viene ucciso a Palermo con quattro colpi di pistola mentre si reca a piedi al lavoro. Una grande folla prende parte al suo funerale, tra cui l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il figlio Davide sorprende tutti alzando le dita in segno di vittoria mentre porta la bara del padre. Non mancano le polemiche, tra chi sostiene fin dall'inizio la battaglia dell'imprenditore, come i Verdi e il Centro Peppino Impastato (dedicato ad un'altra vittima della mafia) e chi non ha preso le sue difese, come Assindustria. Qualche mese dopo la morte di Grassi, è varato il decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l'istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione. La vedova Pina Maisano Grassi, nonostante minacce e intimidazioni, prosegue la lotta per la legalità in nome del marito, all'interno delle istituzioni e al fianco della società civile in sostegno delle tante associazioni anti-racket sorte dal 1991 in Sicilia e nel resto d'Italia. Nel 1992 è eletta senatrice nelle file dei Verdi, fino al 1994. A Libero Grassi è stato intitolato un istituto tecnico commerciale di Palermo. Entra a far parte della nostra community seguendo Blu Notte su Instagram e Twitter e iscriviti al canale Telegram per rimanere sempre aggiornato sulle prossime puntate cliccando su questi link: • Twitter: http://twitter.com/BluNottePodcast • Instagram: instagram.com/blu.notte.podcast • Telegram: https://t.me/BluNottePodcast

La Bottiglia di Rosolio - ll brutale assassinio di Clotilde Fossati

Play Episode Listen Later Oct 13, 2020 43:02


È il 1988 e nella «Milano da bere», slogan coniato per la pubblicità di un noto amaro poi divenuto il manifesto di un'epoca, si vive bene ma si può morire male. Assassinati. Come Clotilde Fossati, per tutti Tilde. Da quando è nata, inizio secolo, Tilde ha sempre vissuto nello stesso appartamento, al 36 di corso di Porta Nuova; prima con i genitori, poi col marito, infine sola. Ultima abitante di quell'edificio ormai desolato, vive barricata dal giorno in cui in sua assenza qualcuno entra in casa e le sottrae 300mila lire. Tilde fa sprangare le finestre con assi di legno e non dimentica mai di chiudere a chiave la doppia porta: la prima blindata, la seconda a vetri. Una fortezza inespugnabile, dove entrano poche persone: la sorella Maria, la nipote Marisa, la donna delle pulizie. Neppure le ragazze e i ragazzi ai quali impartisce lezioni di piano sono autorizzati. È lei a recarsi da loro. A ottant'anni suonati è ancora vitale e attiva, le basterebbe la pensione del marito ma continua a insegnare musica con la passione di sempre. Allegra e affabile ha un unico tarlo: la paura di perdere casa. Paura divenuta forse rassegnazione quando fissa un appuntamento con un agente immobiliare per visitare un appartamento non lontano dal 36 di corso di Porta Nuova. A quell'appuntamento non andrà mai. La mattina di venerdì 10 giugno Tilde è in casa. Con lei la donna delle pulizie. Alle 11 riceve la telefonata di un'amica, alle 12.55 è al telefono col suo avvocato, circostanza confermata dalla deposizione della geometra della società immobiliare proprietaria dello stabile, che alla stessa ora aveva chiamato la Fossati trovando occupato. Alle 13 la geometra riprova: libero, nessuno risponde. Chiama anche la nipote Marisa, ma l'apparecchio squilla a vuoto. Tilde aveva in agenda una lezione di piano, ma non si presenta. Il motivo se lo chiede anche Marisa non riuscendo a spiegarsi perché la zia ormai irreperibile non abbia disdetto il suo impegno. Chiama i pompieri e va a casa di Tilde. È la tarda sera di sabato. I vigili del fuoco giungono sul pianerottolo e scoprono che la porta blindata è aperta. L'altra, quella a vetri, socchiusa. Marisa non entra, temendo qualcosa che i suoi occhi non vogliono vedere. Il corpo senza vita di Tilde giace supino in una pozza di sangue nel salotto. Ha il cranio sfondato, il torace e l'addome trafitti da almeno dieci coltellate. Sul suo corpo nessuna traccia di violenza e sul pavimento le armi del delitto: un coltello da cucina con lama da 16 centimetri e la pesante bottiglia di liquore in vetro, con cui il killer ha colpito al volto la vittima, sfigurandola.

Delitto al Castello - Tra politica, ricatti e gelosia

Play Episode Listen Later Oct 6, 2020 47:48


Christian Waldner (Bolzano, 8 ottobre 1959) è stato un politico italiano, esponente dell'autonomismo sudtirolese. Il 17 febbraio 1997 a Castel Guncina, due funzionari della DIGOS trovano il suo corpo assassinato da 5 colpi d'arma da fuoco. Verrà incriminato come autore dell'omicidio l'amico Peter Paul Rainer. Rainer, amico di adolescenza di Waldner, non aveva mai passato l'esame di maturità. Waldner gli aveva fornito un diploma contraffatto, grazie al quale Rainer aveva potuto laurearsi ad Innsbruck ed essere addirittura assunto all'Università di Innsbruck come professore. Rainer aveva ultimamente rifiutato di seguire Waldner nella Lega Nord Alto Adige-Südtirol, ed era stato per questo ricattato da Waldner. Da ciò derivò l'omicidio. Seguirono vari tentativi di depistaggio tra cui un goffa falsificazione di una relazione del SISMI su carta da anni non più in uso al SISMI per tentare di attribuire l'omicidio a terzi in una storia di affari con la mafia dell'est... Entra a far parte della nostra community seguendo su Twitter l’account ufficiale di @BluNottePodcast o in alternativa fai click su questo link: http://twitter.com/BluNottePodcast

Grazie.

Play Episode Listen Later Oct 5, 2020 2:41


Per la prima (e forse ultima) volta il Curatore del podcast parla pubblicamente per annunciare una comunicazione importante e per ringraziare di cuore tutti gli ascoltatori del Podcast di Blu Notte. Entra a far parte della nostra community seguendo su Twitter l’account ufficiale di @BluNottePodcast o in alternativa fai click su questo link: http://twitter.com/BluNottePodcast

Agata Bornino - Da promessa del Porno a vittima di un misterioso omicidio

Play Episode Listen Later Sep 29, 2020 41:06


In provincia di Brescia, sulle rive del fiume emerge dalle acque il cadavere di una giovane donna: la scoperta è stata fatta a Collo di Vobarno, un paese ai piedi della Valsabbia, a pochi chilometri dal Garda. A scorgere per primo il corpo esanime sulla sabbia è stato un pescatore. La ragazza aveva indosso fuseaux bianchi, camicetta e scarpe da tennis. I capelli raccolti in piccole trecce trattenute da perline colorate e i guasti dell' acqua avevano fatto pensare ad una nordafricana. Invece si trattava di un'italiana, Agata Bornino, ballerina ed astro nascente dell’industria dei film porno. Agli esordi aveva ottenuto alcune scritture come "cubista" in varie discoteche a Roma e Firenze, poi la sua carriera aveva virato sul porno: partecipazioni in pellicole a luci rosse, servizi fotografici senza veli su riviste per soli uomini. Infine la decisione di tornare al Nord, dapprima a Verona e poi a Roé Volciano per lavorare nei night della zona gardesana. A seguire la carriera della giovane stellina era il suo attuale compagno, conosciuto in una discoteca romana e che l' aveva seguita nelle sue peregrinazioni nei locali del Nord Italia. È stato lui a dare il primo allarme: Agata era uscita di casa lunedì alle 22 e da allora non aveva più dato notizie. Nemmeno l’autopsia è stata mai in grado di chiarire se la ragazza sia scivolata nel torrente per un tragico incidente o vi sia stata spinta...

La Mafia in Politica

Play Episode Listen Later Sep 22, 2020 91:36


Il rapporto tra la mafia e il mondo politico si concretizzò all'indomani del secondo conflitto mondiale, con l'infiltrazione di rappresentanti delle cosche mafiose nel potere locale e in seguito anche nazionale. In quegli anni la mafia visse un'ulteriore trasformazione, diventando un'organizzazione ramificata ed efficiente: oltre a controllare un ampio serbatoio elettorale, utilizzato per ottenere dai politici locali e nazionali attenzioni e favori, estese la propria sfera d'influenza ad altre attività, come appalti e concessioni edilizie, usura, mercato di manodopera, consorzi, dopo che in tempo di guerra aveva monopolizzato il contrabbando e la gestione delle forniture militari. Un intreccio, quello tra mafia e politica italiana, che si allenta e si stringe a seconda della convenienza e del momento storico, cambia forma, a volte più evidente a un occhio attento, a volte sommerso e difficile da dimostrare, ma che attraversa il tempo, oltrepassa i decenni. Un intreccio che muta, si indebolisce per poi rinvigorirsi, si nasconde, ma non si scioglie. Ci sono tanti nomi che tornano in questo lungo percorso: uno è quello del giudice Carnevale: assolto in primo grado, condannato in appello, scagionato dalle Sezioni Unite della Cassazione, era accusato di aver “aggiustato” le sentenze di condanna dei mafiosi. Un altro è quello di Giulio Andreotti, prescritto e non assolto dall’accusa di aver avuto rapporti con la mafia fino al 1980. E, ancora, c’è il nome di Marcello Dell’Utri, senatore di Forza Italia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, uscito dal carcere da qualche mese perché ha finito di scontare la pena. Uno stralcio di sentenza spiega quello che sarebbe successo tra il 1993 e il 1994: “In concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia, voluto da Silvio Berlusconi e creato con il determinante contributo organizzativo di Marcello Dell’Utri, all’interno di Cosa nostra maturò la decisione di votare per la nuova formazione, così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo”. C’è un prima e un dopo nella storia della lotta alla mafia in Italia. Il punto di cesura è il 1992, l’anno del “duplice attacco al cuore della democrazia”, dell’omicidio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino e delle loro scorte; fu chiaro fin da subito (in un caso e nell’altro) che la ferocia criminale rispondeva anche a un disegno politico di Cosa Nostra. Disegno che trovò ancora più evidente realizzazione con le stragi che seguirono nel 1993 a Firenze, Milano e Roma. Quello che successe subito dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino è storia: la rabbia dell’opinione pubblica, la risposta dello Stato, l’applicazione del 41 bis ai mafiosi e, ancora, l’arresto di Totò Riina, l’aumento dei collaboratori di giustizia, uomini che accettavano di allontanarsi dalla mafia e di raccontarne i segreti allo Stato. Ma per i magistrati non fu tutto in discesa. Al contrario: Caselli e Lo Forte raccontano bene gli anni dei tentativi, plateali, di legittimazione dei magistrati antimafia. Operazioni, anche mediatiche, che hanno reso più difficile il loro lavoro. A quasi 30 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, la mafia è mutata, ha cambiato volto. È diventata “liquida”: salvo che in poche zone d’Italia, ha rinunciato alla violenza, ha imbracciato l’arma della finanza, del business, dei traffici illeciti e su larga scala. C’è una frase intercettata in uno scambio tra due malavitosi che rende l’idea di quella che sia la mafia dei giorni nostri: “Non mi interessano quelli che fanno bambam per le strade, ma quelli che fanno pin pin sulla tastiera”. L’anatomia della mafia 3.0 è tutta qui. E da questa consapevolezza bisogna partire partire per combatterla. A tutti i livelli. Non solo in Italia.

I Misteri di Alleghe

Play Episode Listen Later Sep 15, 2020 44:32


I misteri di Alleghe riguardano una serie di efferati omicidi commessi dal 1933 al 1946 nei pressi dell'omonimo lago e all'interno di un albergo del vicino paese. Il caso divenne noto dopo la pubblicazione di un omonimo libro scritto dal giornalista Sergio Saviane nel 1964 in seguito alla cui inchiesta giornalistica scaturì un'indagine investigativa condotta dai carabinieri che si concluse con l'arresto e la successiva condanna dei responsabili. Una mattina di maggio del 1933, Emma De Ventura, cameriera diciannovenne dell'Albergo Centrale di Alleghe, tranquillo paesino della provincia di Belluno, fu trovata senza vita nella propria camera da letto. Per il medico condotto si tratta di suicidio. Ma sin dall’inizio tale ipotesi non apparve convincente: il corpo della ragazza presentava un profondo taglio alla gola, era riverso sul pavimento ed il rasoio che avrebbe usato per ammazzarsi era riposto ordinatamente sul comodino, lontano qualche metro. La mattina del 4 dicembre dello stesso anno, due ragazzini scorsero il cadavere di Carolina Finazzer, moglie di Aldo Da Tos, il figlio del proprietario dell'Albergo, nel lago del paese. La versione ufficiale fornita dalla famiglia Da Tos vuole che la giovane donna, presa da un raptus di sonnambulismo, si fosse annegata per sbaglio. Ma in paese cominciano a serpeggiare altre voci... Infine, in una notte del 1946, i coniugi Luigi Del Monego e Luigia De Toni, detta "la balena", vengono freddati mentre tornano a casa dopo una festa. Gli abitanti del paesino, da sempre un placido borgo arroccato sulle Dolomiti, erano allo stesso tempo terrorizzati e desiderosi di conoscere la verità sui delitti di Alleghe: si vociferava che i 4 omicidi siano collegati e che siano opera della stessa mano, ma all’epoca nessuno, per molto tempo, trovò il coraggio di indagare...

Annamaria Franzoni - Il Delitto di Cogne

Play Episode Listen Later Sep 8, 2020 39:29


Alle 8:28 del 30 gennaio 2002 il centralino valdostano del 118 riceve una telefonata da Cogne, una frazione del paesino di Montroz. All’altro capo del telefono c’è Annamaria Franzoni, una madre che chiede l'intervento di soccorsi sanitari avendo appena trovato il figlio Samuele, di tre anni, che "vomita sangue" nel proprio letto. La Franzoni aveva già contattato pure il medico di famiglia, dottoressa Satragni. Questa intervenne per prima ed ipotizzò una causa naturale (aneurisma cerebrale) sostenendo a lungo questa ricostruzione affermando che il pianto disperato del bambino, scopertosi solo in casa, avrebbe potuto provocare "l'apertura della testa". La vittima infatti mostrava una profonda ferita al capo con fuoruscita di materia grigia. La dottoressa inoltre lavò il volto e il capo del piccolo e lo spostò fuori casa - nonostante il freddo intenso - su una barella improvvisata. Queste azioni, motivate dall'urgenza della rianimazione, compromisero tuttavia la scena del delitto e le condizioni della vittima. Le ipotesi iniziali (aneurisma, convulsioni, traumi da caduta e rianimazione troppo violenta) sono rimaste senza una risposta definitiva. I soccorritori sopraggiunti in elicottero constatarono che le ferite sul corpo della vittima erano frutto di un atto violento e avvisarono i carabinieri, che effettuarono i primi sopralluoghi. Il piccolo fu dichiarato morto alle ore 9:55. L'autopsia stabilì come causa del decesso almeno diciassette colpi sferrati con un'arma contundente. Sul capo della vittima furono rinvenute microtracce di rame, facendo supporre l'uso di un mestolo ornamentale o oggetti composti da tale metallo. Lievi ferite sulle mani fecero supporre a un estremo tentativo di difesa. Quaranta giorni dopo il delitto la madre fu iscritta nel registro delle notizie di reato con l'accusa di omicidio e il 14 marzo 2002 venne arrestata con l'accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela, ma il Tribunale del Riesame di Torino il 30 marzo ordinò la sua scarcerazione per carenza di indizi. Il 19 luglio 2004 Annamaria Franzoni viene condannata in primo grado con rito abbreviato a 30 anni di reclusione. Nel processo d'appello, conclusosi il 27 aprile 2007, presso la Corte d'Assise d'appello di Torino viene confermata la sua colpevolezza, ma la pena è ridotta a 16 anni per la concessione delle attenuanti generiche. Il 21 maggio 2008 la Corte Suprema di Cassazione conferma la sentenza d'appello. La sera stessa Annamaria Franzoni viene arrestata dai carabinieri e condotta in carcere. Da settembre 2018, grazie all’indulto e a sconti di pena, Annamaria torna in libertà. Annamaria, il marito Stefano e i loro due figli Davide e Gioele, non vivono più a Cogne, si sono trasferiti a Montecauto Vallese in Emilia Romagna. Qui, riposa anche il piccolo Samuele Lorenzi, protetto da una tomba di marmo bianco, senza nome, senza data, senza lumini e fiori freschi.

La Nave dei Veleni

Play Episode Listen Later Sep 1, 2020 56:11


Natale De Grazia era un ufficiale di 38 anni, capitano di fregata che lavorava nel pool investigativo della Procura di Reggio per un’inchiesta sul traffico di rifiuti tossici con il magistrato Francesco Neri. Dotato di un eccellente intuito investigativo e voglioso di arrivare a verità certe, Natale De Grazia nel maggio del 1995 aveva perquisito la casa di Giorgio Comerio, ingegnere di Busto Arsizio, a San Boviso di Garlasco. Comerio è la figura chiave di tante storie oscure dell’Italia a cavallo degli anni ’80 e ’90. L’imprenditore di Busto Arsizio che nel corso della sua vita ha anche ospitato il Gran Maestro della P2 Licio Gelli, allora latitante, è l’ideatore della ODM – Ocean Disposal Management – società che si occupava dello smaltimento di rifiuti radioattivi. Lo smaltimento avveniva tramite il progetto DODOS – Deep Ocean Data Operating System – a sua volta trafugato all’Euratom di ISPRA, che prevedeva il lancio sui fondali marini di “penetratori”, una sorta di siluri, di scorie radioattive. Una pratica realizzata in certe zone africane e nel Nord Europa in violazione della “Convenzione di Londra”. La documentazione relativa a questa procedura veniva trovata in quelle cartelle di cui si accennava poc’anzi da Natale De Grazia. E costituivano una controprova rispetto alle indagini svolte dal Corpo forestale di Brescia relative al possibile affondamento di una nave a Capo Spartivento. Un mese dopo Natale De Grazia, che aveva ufficialmente la delega per indagare sulla Nave dei Veleni, parte alla volta di La Spezia (con tappa a Massa Carrara), per incontrare una non meglio specificata fonte confidenziale. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. Sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Nocera, dopo aver sostato e mangiato all’autogrill, il capitano muore. Il medico legale, la dottoressa Simona Del Vecchio, firma il referto in cui è scritto: “Morte improvvisa dell’adulto”. La Procura di Nocera archivia il caso nel 1996. Natale De Grazia è morto per cause naturali. Il 15 dicembre, due giorni dopo la morte del capitano, la nave Latvia parte da La Spezia. Dopo la scomparsa di De Grazia, il pool che indagava sui rifiuti si scioglie. E solo l’alba del nuovo millennio, con le denunce di associazioni e comitati cittadini, con le dichiarazioni sui rifiuti dei pentiti Carmine Schiavone e Francesco Fonti, ha saputo rilanciare la voglia di ottenere la verità ancor prima della giustizia.

La Strage della Stazione di Bologna

Play Episode Listen Later Aug 25, 2020 56:27


2 Agosto 1980: alle ore 10.25 nella sala d'aspetto della seconda classe della stazione di Bologna Centrale esplode un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200. È uno degli atti terroristici più gravi del secondo dopoguerra. L'esplosione, che si sente nel raggio di molti chilometri, causa il crollo di un'ala intera della stazione, investendo in pieno il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario e il parcheggio dei taxi antistante. Si giunge a una sentenza definitiva di Cassazione solo il 23 novembre 1995: sono condannati all'ergastolo quali esecutori dell'attentato i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vengono condannati per il depistaggio delle indagini. Il 9 giugno 2000 la Corte d'Assise di Bologna emette nuove condanne per depistaggio. I mandanti della strage non sono mai stati identificati. È in corso il processo contro l'ex terrorista dei NAR Gilberto Cavallini, condannato in primo grado a gennaio 2020 per concorso nella strage di Bologna. Nuovi scenari potrebbero aprirsi sulla strage del 2 agosto 1980...

Giornalisti nel mirino della Mafia

Play Episode Listen Later Aug 18, 2020 98:58


Cosimo Cristina iniziò la propria carriera di giornalista nel 1955 a vent'anni. Successivamente fondò e diresse a Palermo il periodico «Prospettive Siciliane». Giovane e ambizioso, con il periodico da lui fondato seguiva con particolare attenzione la cronaca nera, il fenomeno mafioso e le sue ramificazioni nei territori di Termini Imerese e della vicina Caccamo. Tali attività di cronaca gli costarono la condanna a morte da parte di alcune famiglie mafiose. Le circostanze dell'assassinio furono studiate per far apparire tutto come se si fosse trattato di un suicidio. Infatti venne trovato in un primo tempo morto sui binari delle ferrovie all'interno della galleria Fossola vicino Termini Imerese, e questo fece concludere agli inquirenti che si fosse trattato di un suicidio. A sollevare la questione e a far notare alcuni particolari furono prima i parenti, poi i colleghi de L'Ora di Palermo, quindi il coraggioso giornalista Mario Francese (anch'egli successivamente vittima di mafia), ma si dovettero attendere ben sei anni perché il caso venisse riaperto. Nel 1966 si effettuò l'autopsia sul corpo del giornalista: i periti Marco Stassi e Ideale Del Carpio esclusero la tesi dell'omicidio e confermarono quella del suicidio. Da quel momento sulla figura di Cosimo Cristina calò l'oblio e il cronista venne del tutto dimenticato.

La Banda degli Uomini d’Oro

Play Episode Listen Later Aug 11, 2020 48:03


Giuliano Guerzoni ed Enrico Ughini erano due degli "Uomini d'oro", la banda che eseguì un colpo alle Poste di Torino il 26 giugno 1992. Durante il colpo vennero trafugati due miliardi e mezzo di lire e i due persero la vita, probabilmente assassinati dai loro stessi complici... Corre l’anno 1996. È la mattina del 27 giugno quando alla direzione delle Poste si accorgono che i sacchi, regolarmente chiusi (e non regolarmente piombati, ma quello inizialmente sfugge) provenienti da varie filiali degli uffici postali, contengono pagine di fumetti di Topolino tagliati a misura di banconote e un pezzo di busta paga di un dipendente. Un errore o una firma lasciata per troppa sicurezza? A casa della persona indicata sulla busta paga, Giuliano Guerzoni, autista dei furgoni che trasportano quei sacchi, gli inquirenti trovano un curioso oggetto, una sveglia trafitta da un coltello. Se sia un messaggio o altro, non si saprà mai. Il bottino del furto ammonta a qualcosa come otto miliardi, di cui in contanti poco più di due miliardi ‒ che se facciamo due conti nel secolo scorso erano una bella cifra. A parziale discolpa della poca attenzione relativamente alle punzonature, va detto che solo due giorni prima, il 25, sempre a Torino, polizia e carabinieri hanno sventato una rapina da un miliardo e mezzo in contanti ad un altro ufficio postale: le probabilità di un bis sono l’ultima cosa a cui può pensare. Le indagini ‒ nonostante si abbia la certezza di almeno un nome ‒ si rivelano più complicate del previsto. Il Guerzoni è scomparso. Letteralmente dissolto nel nulla. Nel frattempo gli inquirenti ipotizzano complici e modalità del furto. ll 14 luglio, un colpo di scena del tutto inaspettato cambierà tute le carte in tavola…

Poliziotti allo sbaraglio - Le morti senza giustizia degli agenti Agostino e Piazza

Play Episode Listen Later Aug 4, 2020 42:33


Il 5 agosto 1989 Antonino Agostino, poliziotto e agente segreto italiano, specializzato nella cattura dei latitanti, era a Villagrazia di Carini con la moglie Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima ed incinta di due mesi. Mentre entravano nella villa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella di lui, un gruppo di sicari in motocicletta arrivò all'improvviso e cominciò a sparare sui due. Agostino venne colpito da vari proiettili, mentre la Castelluccio venne raggiunta da un solo colpo e cominciò a strisciare per terra per avvicinarsi al marito morente. I genitori di Agostino, uditi gli spari, andarono a soccorrere il figlio e la nuora ma non c'era più niente da fare: erano entrambi già morti. Quel giorno, Agostino non portava armi addosso. La squadra mobile di Palermo seguì inutilmente per mesi un'improbabile "pista passionale"...

Il delitto dell’Università Cattolica

Play Episode Listen Later Jul 28, 2020 47:03


Il delitto della Cattolica è un caso di omicidio commesso il 24 luglio 1971 all'interno dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove una giovane donna, Simonetta Ferrero, venne uccisa. Il caso è rimasto irrisolto. Nata a Serravalle Sesia nel 1945 da famiglia benestante piemontese, Simonetta Ferrero risiedeva con la famiglia a Milano, dove il padre lavorava presso la Montedison. Laureata nel 1969 in Scienze politiche alla Cattolica di Milano, dietro raccomandazione di suo padre era stata assunta alla direzione del personale della stessa Montedison presso la sede di piazzale Luigi Cadorna. Sabato 24 luglio 1971 era impegnata con alcune commissioni in quanto la sera stessa sarebbe dovuta partire con i genitori per recarsi in vacanza all'estero. La mattina di lunedì 26 luglio, alle ore 9 circa, un seminarista ventunenne di Mogliano Veneto, frequentante Filosofia nell'ateneo cattolico, Mario Toso (oggi vescovo e docente universitario), dopo aver partecipato in università alla messa delle 8 stava recandosi alla segreteria degli istituti religiosi tramite le scale del blocco G, il più distante dall'entrata di largo Gemelli. La sua attenzione fu richiamata dallo scrosciare ininterrotto dell'acqua proveniente dal bagno delle donne. Toso riferì agli inquirenti che la circostanza lo aveva contrariato in quanto - deputato alla gestione dell'ordine dei bagni e delle camerate nel suo seminario - vedeva la cosa come uno spreco e ciò l'indusse quindi a entrare nel locale bagno per chiudere il rubinetto. Una volta entrato scoprì il corpo pugnalato di Simonetta Ferrero. La salma, il cui riconoscimento fu affidato a due lontani parenti, perché il padre della ragazza fu colpito da due infarti e la madre ebbe un collasso una volta appresa la notizia, presentava 33 ferite di arma da taglio e sette di esse furono ritenute mortali. Dodici coltellate avevano colpito ventre, collo o volto. Il corpo era vestito, privo di segni che indicassero violenza sessuale e con ferite sulle mani che suggerivano disperati tentativi di difesa messi in atto dalla vittima. Le indagini sulla vita della ragazza non trovano nulla di particolare; non ha fidanzati, è una ragazza seria e precisa e vive ancora con i suoi; da poco lavorava all'ufficio selezione del personale della Montedison. Si ipotizza che magari potrebbe essere stato qualcuno respinto a un colloquio di lavoro. Il movente della rapina venne escluso perché venne ritrovata la borsa con i soldi e aveva ancora un anello d'oro al dito. Si indaga anche su alcuni personaggi sospetti che importunano le studentesse ma anche questa pista non porta a nulla. La risonanza mediatica del caso genera anche mitomani che si accusano del delitto; dopo centinaia di interrogatori non si riesce a trovare ne' testimoni e neanche un movente.

Uomini di Stato

Play Episode Listen Later Jul 21, 2020 96:02


Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, segue la traccia dei flussi di denaro e arriva a scoprire i meccanismi del traffico internazionale di stupefacenti di Cosa Nostra • Il Maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre, collaborando con l’avvocato Giorgio Ambrosoli, riesce ad incastrare il finanziere Michele Sindona • Il commissario Pasquale Juliano arriva molto vicino alla verità sulla “strategia della tensione” prima che scoppi la bomba di piazza Fontana a Milano, ma viene fermato. Storie di servitori dello Stato abili e onesti, che nella lotta contro la criminalità hanno perso la vita o sono stati traditi e abbandonati alla peggiore delle condanne, l’indifferenza e la rimozione dalla memoria collettiva.

Il misterioso caso del Professor Klinger

Play Episode Listen Later Jul 14, 2020 41:28


Il professor Roberto Klinger venne ucciso il 18 febbraio 1992 da tre colpi di pistola mentre andava al lavoro. L'unico indiziato viene scarcerato. Solo dopo l'archiviazione un anonimo scrive: "So chi è l'assassino". Nove faldoni impolverati racchiudono il mistero di via Muratori. Raccontano, senza riuscire a spiegare, la morte di un uomo amato e stimato. Aprono squarci inquietanti sulla vita dell'unico indagato per quei tre colpi di arma da fuoco sparati un martedì mattina di diciotto anni fa, a distanza ravvicinata, contro un medico di 67 anni, appena uscito di casa per andare a lavoro. Nessuna ombra nell'esistenza di Roberto Klinger: diabetologo, medico famoso della clinica Pio X, consulente di società sportive e vip, ma pronto a curare gratis i bisognosi. Patriarca, a suo modo, di una famiglia molto unita. Quella mattina, è il 18 febbraio del 1992, quando si diffonde la notizia della sua morte nessuno riesce a crederci. Sarà stata una rapina, o un errore, pensano tutti. Senza testimoni, senza un indizio preciso, senza una direzione da imboccare nelle prime 48 ore, la soluzione di un delitto diventa molto difficile. Questo spiegano gli investigatori, questo è quello che dimostra il caso del medico ucciso. Un percorso che trova nuovi, definitivi ostacoli quando entra in gioco l'uomo che farà di tutto per confondere le acque, sovrapporre opacità a falsi alibi. Per ora, nella stessa mattina in cui i giornali danno notizia dell'arresto di Mario Chiesa, gli agenti della Omicidi si trovano di fronte a una Panda celeste, parcheggiata sul marciapiede. La portiera del lato guidatore è aperta, spunta un piede poggiato per terra. Roberto Klinger era uscito di casa come ogni mattina alle 7 con il suo cane. Dopo un quarto d'ora era rientrato, per riuscire poco dopo per andare in clinica. Il tempo appena di entrare in auto, poi quei colpi in rapida sequenza, nessuna possibilità di difendersi. Tre proiettili calibro 7,65  -  il dubbio irrisolto è che siano partiti da una Molgora, una pistola a salve modificata  - sparati a distanza ravvicinata. L'assassino ha puntato al volto, uno dei proiettili ha raggiunto il midollo spinale, Klinger è morto subito.

La Storia della ‘Ndrangheta

Play Episode Listen Later Jul 7, 2020 90:05


La 'Ndrangheta è un'organizzazione criminale italiana di connotazione mafiosa originaria della Calabria, inserita esplicitamente dal 30 marzo 2010 nell'articolo 416-bis del codice penale e riconosciuta come organizzazione criminale unitaria e con un vertice collegiale nel processo Crimine dalla corte di cassazione il 18 giugno 2016. È l'unica mafia presente in tutti i cinque continenti del mondo e secondo una indagine di Demoskopika del 2013, ha a livello globale un giro d'affari di 53 miliardi di euro. In Calabria vi sarebbero 166 cosche con almeno 4000 affiliati. Secondo altre stime invece la 'ndrangheta sarebbe attiva in 30 nazioni con 400 cosche e 60 000 affiliati di cui la maggior parte in Calabria. In Calabria svolge un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro, quest'attività permise così di controllare ampi settori dell'economia dall'impresa al commercio e all'agricoltura, spesso con una forte connivenza di aree della pubblica amministrazione a livello locale e regionale di tutti gli schieramenti politici. La relazione della Commissione parlamentare antimafia del 20 febbraio 2008 afferma che la 'ndrangheta «ha una struttura tentacolare priva di direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica» e la paragona alla struttura del movimento terroristico islamico al-Qaida. Dal 2013, la 'ndrangheta è considerata tra le più pericolose organizzazioni criminali del mondo con un fatturato che si aggira intorno ai 53 miliardi di euro, con numerose ramificazioni all'estero (dal Canada all'Australia e nei paesi europei meta dell'emigrazione calabrese).

Gioia Tauro - La strage dimenticata

Play Episode Listen Later Jun 30, 2020 43:30


La strage di Gioia Tauro venne causata dal deragliamento del treno direttissimo Palermo-Torino del 22 luglio del 1970, avvenuto a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. La sentenza della corte di Assise di Palmi n 3/96 del 27/2/2001 individua come responsabili tre esponenti di Avanguardia Nazionale: Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella. Le cause non vennero mai accertate, ma nelle conclusioni della relazione del giudice istruttore del tribunale di Palmi si legge che l'attentato dinamitardo sia l'ipotesi più probabile. Con una direttiva del 22 aprile 2014, tutti i fascicoli relativi a questa strage non sono più coperti dal segreto di Stato e sono perciò liberamente consultabili.

La Vedova Nera del Pavese - Milena Quaglini

Play Episode Listen Later Jun 23, 2020 43:24


In Italia sono poche le donne che a causa dei crimini commessi sono annoverabili nel “girone” dei serial killer: una di queste è proprio Milena Quaglini. Ha trascorso una vita intera sottomessa dagli uomini che le sono stati accanto: prima il padre, violento e dispotico, poi i mariti e i compagni che si sono alternati con la promessa di una vita felice ma che infine si sono smascherati con una realtà fatta soltanto di botte e abusi. Una condizione di forzata subordinazione contro la quale bisognava lottare, anche con altrettanta violenza...

Nicola Calipari - L’eroe di Baghdad

Play Episode Listen Later Jun 16, 2020 67:01


La sera del 4 marzo 2005 un'autovettura dei servizi segreti italiani con a bordo Giuliana Sgrena, l'autista Andrea Carpani e Nicola Calipari, giunta nei pressi dell'aeroporto di Baghdad, transita sulla Route Irish in direzione di un posto di blocco statunitense. La giornalista è stata appena rilasciata dai rapitori, a conclusione di una lunga trattativa condotta da Calipari, che aveva comunicato telefonicamente agli uffici del governo di Roma il felice esito dell'operazione, informando anche l'ambasciata. La Route Irish è presidiata a causa delle frequenti azioni ostili nella zona (135 da novembre a marzo, per la maggior parte fra le 19 e le 21: ora in cui transitava l'auto del SISMI), e anche per il previsto passaggio dell'allora ambasciatore statunitense in Iraq John Negroponte. Approssimandosi alla zona vigilata, il veicolo è oggetto di numerosi colpi d'arma da fuoco; Calipari si protende per fare scudo col suo corpo alla giornalista e rimane ucciso da una pallottola alla testa. Anche la giornalista e l'autista del mezzo rimangono feriti. A sparare è Mario Lozano (New York, Bronx, 1969), addetto alla mitragliatrice al posto di blocco, appartenente alla 42ª divisione della New York Army National Guard. Altri soldati sono stati sospettati di aver partecipato alla sparatoria.

La Mattanza - Dai silenzi sulla Mafia al silenzio della Mafia

Play Episode Listen Later Jun 9, 2020 115:37


Salvatore Riina, detto Totò (Corleone, 16 novembre 1930 – Parma, 17 novembre 2017), è stato un mafioso italiano, boss di Cosa Nostra e considerato il capo dell'organizzazione dal 1982 fino al suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Secondo molti, fu il mafioso più potente, pericoloso e sanguinario di tutta Cosa Nostra in quegli anni, talvolta menzionato come "Il capo dei capi". Veniva indicato anche con i soprannomi: û curtu, per via della sua bassa statura e La Belva, per indicare la sua brutalità sanguinaria.

Duplice Omicidio in Somalia - Il Caso Irrisolto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Play Episode Listen Later Jun 1, 2020 119:01


Mogadiscio, 20 marzo 1994. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, giornalista e fotoreporter del TG3 vengono trovati assassinati. Ha inizio così una serie infinita di depistaggi e di misteri che coinvolgono il traffico internazionale di rifiuti tossici, la CIA ed i servizi segreti italiani. Una storia forse legata alla tragedia del Moby Prince. Alpi e Hrovatin furono uccisi in prossimità dell'ambasciata italiana a Mogadiscio, a pochi metri dall'hotel Hamana, nel quartiere Shibis; in particolare, in corrispondenza dell'incrocio tra via Alto Giuba e corso Somalia (nota anche come strada Jamhuriyada, corso Repubblica). La giornalista e il suo operatore erano di ritorno da Bosaso, città del nord della Somalia: qui Ilaria Alpi aveva avuto modo di intervistare il cosiddetto sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni ottanta. La giornalista salì poi a bordo di alcuni pescherecci, ormeggiati presso la banchina del porto di Bosaso, sospettati di essere al centro di traffici illeciti di rifiuti e di armi: si trattava di navi che inizialmente facevano capo ad una società di diritto pubblico somalo e che, dopo la caduta di Barre, erano illegittimamente divenute di proprietà personale di un imprenditore italo-somalo. Tornati a Mogadiscio, Alpi e Hrovatin non trovarono il loro autista personale, mentre si presentò Ali Abdi, che li accompagnò all'hotel Sahafi, vicino all'aeroporto, e poi all'hotel Hamana, nelle vicinanze del quale avvenne il duplice delitto. A bordo del mezzo si trovava altresì Nur Aden, con funzioni di scorta armata. Sulla scena del crimine arrivarono subito dopo gli unici altri due giornalisti italiani presenti a Mogadiscio, Giovanni Porzio e Gabriella Simoni. Una troupe americana (un freelance che lavorava per un network americano) arrivò mentre i colleghi italiani spostavano i corpi dall'auto in cui erano stati uccisi a quella di un imprenditore italiano con cui successivamente vennero portati al Porto vecchio. Una troupe della Svizzera italiana si trovava invece all'Hotel Sahafi (dall'altra parte della linea verde) e filmò su richiesta di Gabriella Simoni - perché ci fosse un documento video - le stanze di Miran e Ilaria e gli oggetti che vennero raccolti.

Renato Vallanzasca - Milano Calibro 9

Play Episode Listen Later May 26, 2020 89:30


Renato Vallanzasca (Milano, 4 maggio 1950) è un criminale italiano, autore di numerosi sequestri. A metà degli anni '70 stringe alleanze con il boss cirotano Mario Trifini e con Pasquale Ventura che gli permetteranno di soggiornare durante la latitanza in Calabria tra Cirò Marina e Isola Capo Rizzuto. È stato condannato, complessivamente, a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione.

Matteo Messina Denaro - Il Boss in Latitanza

Play Episode Listen Later May 19, 2020 94:00


Matteo Messina Denaro (Castelvetrano, 26 aprile 1962) è un mafioso italiano, legato a Cosa nostra, considerato tra i latitanti più ricercati e pericolosi al mondo. Capo del mandamento di Castelvetrano e rappresentante indiscusso della mafia in provincia di Trapani, risulta essere attualmente uno dei boss più potenti di tutta Cosa nostra, arrivando a esercitare il proprio potere ben oltre i confini della propria provincia, come in quelle di Agrigento e addirittura Palermo. Per quanto tradizionalmente il potere assoluto sull'intera organizzazione non possa essere concentrato nelle mani di un padrino estraneo a Palermo, e sebbene dopo la morte di Salvatore Riina non vi siano più state prove di un'organizzazione piramidale di Cosa nostra, alcuni inquirenti si sono esplicitamente riferiti al latitante castelvetranese come all'attuale capo assoluto. Altre fonti, attualmente più realistiche, vedono il boss ormai esclusivamente alle prese con la propria latitanza, forse anche lontano dalla Sicilia, formalmente solo con il ruolo di referente mafioso della provincia di Trapani ma senza un ruolo attivo all'interno di Cosa Nostra. Era soprannominato 'U siccu («il magro»), a causa della sua costituzione fisica, o anche Diabolik.

La Morte sul Lavoro

Play Episode Listen Later May 12, 2020 68:58


Carlo Lucarelli indaga sulle ragioni profonde degli incidenti, sui problemi della sicurezza sul lavoro, quanto è stato fatto per difenderla e quanto ancora resta da fare per impedire che il lavoro, fondamento nella nostra Repubblica e della nostra Costituzione, che dovrebbe portar vita e magari la possibilità di esprimere il proprio talento, porti così spesso la morte.

Il G8 di Genova - Documentario sulle tre giornate di terrore

Play Episode Listen Later May 5, 2020 111:15


Il summit G8 più noto resta probabilmente quello di Genova del 19-21 luglio 2001. Esso venne pesantemente contestato da migliaia di no global provenienti da ogni parte del mondo. Tra i manifestanti pacifici si mischiò un numero imprecisato di appartenenti al black block, fautori di azioni violente e teppistiche a danno di quelli che venivano visti come i simboli del sistema capitalistico e globalizzato, quali banche e società di lavoro interinale. Le forze dell'ordine intervennero caricando duramente anche i cortei pacifici. Durante gli scontri che ne seguirono, il 20 luglio, seconda giornata dei lavori, mentre una camionetta dei carabinieri era assaltata in piazza Alimonda, un Carabiniere di leva sparò ad altezza d'uomo uccidendo un ragazzo, Carlo Giuliani, che a circa 4 metri dalla camionetta aveva sollevato un estintore con l'intenzione di lanciarlo verso il mezzo. Il carabiniere, Mario Placanica, fu poi prosciolto dalle accuse a suo carico per aver agito in stato di legittima difesa. Rimane da chiarire l'effettiva dinamica di molti degli episodi di quei giorni, che arrecarono danni alla città e in cui molti manifestanti pacifici furono duramente colpiti dalle forze dell'ordine e rimasero feriti. In particolare resta un episodio oscuro: la violenta perquisizione da parte delle forze dell'ordine nella scuola Diaz e la successiva traduzione degli occupanti della scuola nella caserma di Bolzaneto, fatti in cui molti degli occupanti della scuola furono feriti e maltrattati. L'episodio ha destato l'attenzione di autorevoli osservatori quali Amnesty International a causa delle torture per motivi abietti subite dai reclusi nella caserma del reparto celere di Bolzaneto.

Ladri di Futuro - Storia delle Ecomafie

Play Episode Listen Later Apr 28, 2020 70:25


Il termine ecomafia, nella lingua italiana, è un neologismo coniato dall'associazione ambientalista Legambiente per indicare le attività illegali delle organizzazioni criminali, di tipo mafioso, che arrecano danni all'ambiente. In particolare sono generalmente definite ecomafie le associazioni criminali dedite al traffico e allo smaltimento illegale dei rifiuti.

Il Mostro di Merano - Ferdinand Gamper

Play Episode Listen Later Apr 21, 2020 45:37


Il primo marzo 1996 la polizia e la Criminalpol sono schierate davanti alla porta di un maso, tipica abitazione del Trentino Alto Adige. All’interno si è barricato un uomo dopo aver sparato in faccia a un maresciallo. Quell’uomo è Ferdinand Gamper e ha ucciso sei persone a Merano con un colpo in testa di calibro 22. L’unico movente degli omicidi sembra essere quello dell’odio verso gli italiani, testimoniato anche da un messaggio lasciato dal killer accanto a una delle ultime vittime. Naturalmente le cose non sono così semplici come sembrano: scavando sotto la superficie della cronaca, emergono i tratti della personalità dell’assassino e la sua tormentata storia familiare.

La Sacra Corona Unita

Play Episode Listen Later Apr 14, 2020 96:53


La Sacra Corona Unita è un'organizzazione criminale italiana di connotazione mafiosa che ha il suo centro in Puglia, prevalentemente attiva nel Salento e che ha trovato degli accordi criminali con organizzazioni criminali dell'est europeo. Per la sua specificità emerge e si distacca dalle altre mafie italiane. Ha raggiunto il suo apice tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta del XX secolo. Successivamente all'intervento dello Stato, e a un gran numero di arresti, è stata indebolita e marginalizzata, per poi perseguire a partire agli anni dieci del XXI secolo, una strategia di mimetizzazione e di infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, alla ricerca del massimo consenso in tutti gli strati della società, come denunciato più volte da Cataldo Motta, procuratore capo della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Lecce.

La silenziosa Guerra di Spie tra Italia, Libia, Palestina ed Israele

Play Episode Listen Later Apr 7, 2020 102:34


Storia della guerra di spie tra Libia, Israele e Palestina che coinvolse l'Italia tra gli anni 70 ed 80. Una storia intricata tra Libia e gli omicidi dei dissidenti libici in Italia, il terrorismo palestinese, il sequestro dell'Achille Lauro, la Guerra in Libano e la scomparsa di due giornalisti italiani.

Il segreto di Paolo Borsellino

Play Episode Listen Later Mar 31, 2020 66:53


Paolo Borsellino è stato un magistrato italiano, vittima di Cosa Nostra nella strage di via D'Amelio assieme ai cinque agenti della sua scorta. Assieme al collega e amico Giovanni Falcone, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un'intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.

Il Bandito Giuliano

Play Episode Listen Later Mar 24, 2020 50:53


Salvatore Giuliano, noto come il bandito Giuliano è stato un brigante italiano. A capo di una banda armata, per alcuni mesi sfruttò la copertura dell'EVIS, il braccio armato del Movimento Indipendentista Siciliano attivo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ma il suo nome resta principalmente legato alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947), in cui morirono undici persone e altre ventisette rimasero ferite. Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni e il segreto di stato fino al 2016. Alcuni, come il ricercatore storico Giuseppe Casarrubea, addirittura sostengono che il Giuliano morto in Sicilia fosse un sosia, e che il vero Salvatore fu fatto fuggire all'estero oppure divenne latitante e fu ucciso solo alcuni anni più tardi, in un bar di Napoli, con un caffè al cianuro. Secondo un'ultima ipotesi, al posto del bandito fu ucciso, forse intenzionalmente, un suo sosia, per essere poi tumulato al suo posto. Per queste ragioni lo studioso Giuseppe Casarrubea ha chiesto alla Procura di Palermo di riaprire la bara tumulata nella cappella della famiglia Giuliano a Montelepre per accertarne l'identità. La riesumazione è avvenuta il 28 ottobre 2010 ma l'esame del DNA e gli accertamenti medico-legali hanno confermato che i resti sepolti nella tomba della famiglia Giuliano appartengono realmente al bandito e quindi l'inchiesta è stata archiviata.

Claim Blu Notte - Misteri Italiani

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