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Il 17 giugno 1983, alle 4.30 del mattino, i carabinieri bussarono alla porta di una stanza dell'Hotel Plaza, a Roma, in via del Corso. Iniziò così una delle vicende di cronaca più incredibili della storia d'Italia. Enzo Tortora, giornalista televisivo famosissimo, conduttore di una trasmissione che andava in onda Rai2 il venerdì sera ed era seguita da oltre 20 milioni di spettatori, venne arrestato con l'accusa di far parte della camorra e di essere uno spacciatore di droga, amico e complice dei più celebri capi della criminalità organizzata degli anni Ottanta.Contro di lui c'erano i racconti di due pentiti, Pasquale Barra detto o'animale, e Giovanni Pandico, chiamato o' pazzo.La storia del caso Tortora è la storia di indagini che non vennero fatte, di pentiti che si giurarono vendetta e morte l'un l'altro, di elastici di slip che si ruppero e costringendo una donna ad appartarsi e vedere, disse poi lei, cosa non avrebbe dovuto vedere. Ma anche di centrini da tavola realizzati all'uncinetto da un carcerato, di serate al derby club di Milano, di elezioni europee, di soldi del terremoto del 1980, di giornali che inventarono di tutto e di quattro anni di una vicenda giudiziaria che oggi, a raccontarla, pare davvero impossibile che sia potuta realmente accadere.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.
Il 17 giugno 1983, alle 4.30 del mattino, i carabinieri bussarono alla porta di una stanza dell'Hotel Plaza, a Roma, in via del Corso. Iniziò così una delle vicende di cronaca più incredibili della storia d'Italia. Enzo Tortora, giornalista televisivo famosissimo, conduttore di una trasmissione che andava in onda Rai2 il venerdì sera ed era seguita da oltre 20 milioni di spettatori, venne arrestato con l'accusa di far parte della camorra e di essere uno spacciatore di droga, amico e complice dei più celebri capi della criminalità organizzata degli anni Ottanta.Contro di lui c'erano i racconti di due pentiti, Pasquale Barra detto o'animale, e Giovanni Pandico, chiamato o' pazzo.La storia del caso Tortora è la storia di indagini che non vennero fatte, di pentiti che si giurarono vendetta e morte l'un l'altro, di elastici di slip che si ruppero e costringendo una donna ad appartarsi e vedere, disse poi lei, cosa non avrebbe dovuto vedere. Ma anche di centrini da tavola realizzati all'uncinetto da un carcerato, di serate al derby club di Milano, di elezioni europee, di soldi del terremoto del 1980, di giornali che inventarono di tutto e di quattro anni di una vicenda giudiziaria che oggi, a raccontarla, pare davvero impossibile che sia potuta realmente accadere.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.
Inizieremo la prima parte del nostro programma con alcune notizie da prima pagina di questa settimana. In primo luogo, parleremo dell'incontro annuale del World Economic Forum tenutosi tra il 16 e il 20 gennaio a Davos, in Svizzera. Successivamente, commenteremo il verificarsi di un calo della popolazione cinese, il primo in 60 anni, con il tasso di natalità nazionale che ha toccato un minimo storico. In seguito, nella parte scientifica del programma, discuteremo di un recente articolo, pubblicato su The Guardian, sulla ricerca condotta dal paleogenetista Svante Pääbo, Premio Nobel 2022. Infine, parleremo del rifiuto, da parte dell'Assemblea nazionale francese, di un disegno di legge proposto per ripristinare le uniformi scolastiche obbligatorie Parleremo innanzitutto della scomparsa di uno dei calciatori italiani più forti della Serie A degli anni Ottanta e Novanta, nonché un personaggio sportivo molto amato e rispettato: Gianluca Vialli. Parleremo infine di una notizia che riguarda il Parco Archeologico di Pompei: è stata riaperta al pubblico la Casa dei Vettii, un'antica dimora di epoca romana, rimasta chiusa per 20 anni a causa di un travagliato processo di recupero. - Il World Economic Forum di Davos sta perdendo importanza? - La popolazione cinese in calo per la prima volta in 60 anni - I geni di Neanderthal sono legati a condizioni mediche dell'uomo moderno - La Francia respinge la proposta di uniformi scolastiche obbligatorie - È morto l'ex calciatore Gianluca Vialli - Pompei, riapre al pubblico dopo 20 anni la Casa dei Vettii
Valentina ha iniziato a fumare eroina a 13 anni. Era il 2002. Nessuno pensava che l'eroina fosse ancora una minaccia, si diceva che a farsi erano ormai solo i tossicomani sopravvissuti agli anni Ottanta, simbolo di un passato da dimenticare. Oggi Valentina ha 33 anni, è entrata e uscita da dodici comunità terapeutiche, solo per finire in carcere. Parte da qui, dalla vicenda di una ragazza come tante, il percorso di ricerca di Vanessa Roghi sul mondo delle cosiddette «droghe pesanti». Una storia che inizia alla fine dell'Ottocento, quando i derivati dell'oppio furono salutati come i rimedi definitivi contro il dolore, prima che se ne conoscesse il risvolto dell'assuefazione e della dipendenza, e arriva ai giorni nostri, quando nel 2019, poco prima dello scoppio della pandemia di Covid-19, si è verificata una nuova impennata nel consumo di eroina, dopo quindici anni di calo costante. Passando dalla costruzione socioculturale della figura del «tossico» ai corsi e ricorsi della «guerra alla droga», fino alla responsabilità delle case farmaceutiche nella nuova crisi degli oppioidi. Sullo sfondo di questo scenario, l'autrice si interroga sulla possibilità di una soluzione diversa, sia dalla politica punitiva adottata da molti Paesi europei, fra cui l'Italia, il cui risultato è che su 850.000 detenuti il 18 percento è recluso per uso o possesso di droghe, sia da quella delle comunità terapeutiche, dove l'imperativo è rinunciare di colpo e per sempre alle sostanze. Questa «terza via» si chiama riduzione del danno ed è l'ammissione che, per alcuni, smettere di assumere stupefacenti non è un'opzione praticabile. È un'alternativa che deve declinarsi sul singolo e soprattutto rinunciare alla stigmatizzazione del soggetto, che serve solo a emarginarlo e condannarlo a una morte «civile». Una ricerca appassionata e documentata, che ci porta nell'inferno della dipendenza dalle droghe. Perché «grazie a una vera e propria epica dei narcos, paradossalmente, del sistema mondiale della droga sappiamo senza dubbio molto di più di quanto sappiamo del “drogato” vicino a noi».
Alberto CasiraghyEdizioni Pulcinoelefante“Il Pulcinoelefante è un ossimoro. Combina in sé cose apparentemente opposte: arte ed editoria, poesia e intrapresa economica, locale e globale. Anche l'editore-artista Alberto Casiraghy è una contraddizione. Ma a noi lettori piace così. Ci piace pensare che mentre dormiamo, mangiamo, leggiamo, facciamo l'amore, a Osnago, nel cuore della Brianza, c'è un mago che stampa con generosità libri inimitabili; li fa con i gesti che sono insieme di grande concentrazione e grande dissipazione. I suoi libri vanno in giro per il mondo con parole e segni che una volta stampati diventano unici. Nessuno potrà mai averli tutti. Non è favoloso?" (Marco Belpoliti)Alberto Casiraghi, in arte Casiraghy (“per un piccolo vezzo”, ama dire lui), “è nato con piacere a Osnago” – così inizia la sua biografia pubblicata sulla quarta dei suoi libri – nel 1952. È poeta ma soprattutto pensatore, pittore, ex liutaio, violinista e fondatore della casa editrice Pulcinoelefante, unica nel realizzare libri stampati esclusivamente a caratteri mobili, piccole opere d'arte che in sole quattro pagine svelano la profondità di aforismi, poesie, corredate di incisioni o acquerelli. Dal 1982, la Pucinoelefante ha pubblicato più di 8.000 opere, stampate su una pregiatissima carta prodotta in Germania, la Hahnemuhle, con l'antica pressa in piombo che Casiraghy, negli anni Ottanta, ha acquistato in liquidazione dalla tipografia Same di Milano, dove lavorava come apprendista compositore stampando i più importanti quotidiani di quegli anni, da Il Giornale di Montanelli all'Avanti!. Da quel momento, l'abitazione di Casiraghy a Osnago, nel Lecchese, diventa la “stamperia” Pulcinoelefante, un'accogliente villetta a due piani in cui ogni stanza ha funzione editoriale, dalla cucina-rilegatoria alle camere-archivio, con i tavoli, le pareti, i mobili imbottiti di carta, luogo prediletto in cui scrittori, pittori, intellettuali, amici si incontrano, chiacchierano, creano e bevono come in un café francese dell'Ottocento.Il nome che Casiraghy ha scelto per la sua casa editrice è metafora dell'associazione tra gli autori di oggi, spesso esordienti, e i grandi poeti del Novecento, da Campana a Gadda, da Pasolini a Penna, da Luzi a Pound, le cui opere sono accompagnate da illustrazioni di artisti del calibro di Munari, Baj, Tadini, Paladino, Mainolfi, Parmiggiani, Della Casa, Nespolo e molti altri.IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it
Fulvio Ferrari"Breve è la vita di tutto quel che arde"Stig DagermanIperborea https://iperborea.comPer la prima volta tradotta in italiano, un'antologia che dà conto di circa dieci anni di attività poetica di Stig Dagerman. «Un giorno all'anno si dovrebbe immaginare / la morte chiusa in una scatoletta bianca. / A nessuna illusione si dovrebbe rinunciare, / nessuno morrebbe per quattro dollari in banca. // (…) Nessuno vien bruciato all'improvviso / e nessuno per strada ha da crepare. / Certo, è menzogna, son del vostro avviso. / Dico soltanto: Possiamo immaginare.» Stig Dagerman espresse anche in versi la vicinanza agli ultimi e l'umanesimo dolente che in una continua tensione tra speranza e disincanto attraversano la sua multiforme opera in prosa. Negli anni 1944-47 e 1950-54, fino al giorno prima di morire, scrisse per il giornale anarchico Arbetaren oltre 1300 dagsedlar, poesie satiriche a commento della cronaca politica e sociale che con il loro tono diretto contribuirono a fare di Dagerman un riferimento identitario per i giovani libertari della sua generazione. Il metro è per lo più tradizionale, quasi da filastrocca, ma la giocosità della rima e del ritmo potenzia per contrasto la durezza dei contenuti: gli accordi della «democratica» Svezia con la Spagna di Franco, i senzatetto di Stoccolma lasciati al freddo, i bambini armati per combattere le guerre dei grandi. Ai brevi componimenti di denuncia, questo volume affianca una scelta di versi in cui la forma irregolare insieme alla riflessione sulla condizione umana, pur sempre intrecciata all'impegno politico, avvicina l'autore alle avanguardie internazionali e ben accoglie simboli e metafore della sua narrativa. Una lettura toccante che aggiunge un tassello significativo al ritratto di uno sperimentatore instancabile al quale ancora oggi s'ispirano scrittori, giornalisti e musicisti di tutta Europa.Fulvio Ferrari (Milano, 1955), professore ordinario di Filologia germanica all'Università di Trento, è traduttore dal tedesco, dalle lingue scandinave (svedese, norvegese, danese e islandese) e dal nederlandese dagli anni Ottanta. Laureato in Lettere moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Torino, ha frequentato corsi di Lingua nederlandese e Lingue e Letterature scandinave all'Università degli Studi di Milano. Collabora con diverse case editrici, per le quali ha tradotto classici e premi Nobel, come pure voci di punta della narrativa contemporanea, tra cui – oltre a Stig Dagerman – Pär Lagerkvist, Cees Nooteboom, Knut Hamsun, Hans Christian Branner, Torgny Lindgren, Göran Tunström, Fredrik Sjöberg, Gerard Reve e le antiche saghe islandesi. Nel giugno 2016 gli è stato assegnato il Premio Gregor von Rezzori per la migliore opera di traduzione italiana.Stig DagermanAnarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell'inviolabilità dell'individuo, Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il nostro bisogno di consolazione, Il viaggiatore, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell'impossibile, Autunno tedesco e Il serpente.IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it
Senigallia, Spazio Autogestito Arvultùra, 12 aprile 2012. Incontro pubblico con Renato Curcio, ex br, saggista, già cofondatore della cooperativa editoriale «Sensibili alle foglie».Tra i temi trattati: a) l'idea di precarietà negli ultimi decenni; b) i tre «passaggi» per inquadrare storicamente il fenomeno; c) il «trend» di crescita negli anni Sessanta. La precarietà come «momento interlocutorio» tra disoccupazione e occupazione; d) il «mito» del lavoro stabile; e) oltre i confini nazionali. La «svolta» industriale degli anni Settanta e Ottanta; f) la «mondializzazione» del capitale; g) il nuovo diritto del lavoro. Le multinazionali attive nella grande distribuzione; h) la «fine» dell'idea di classe; i) il progressivo superamento del capitalismo industriale; l) le grandi società industriali-finanziarie; m) il capitalismo finanziario. Esempi; n) il caso dei call center; o) la precarizzazione come «condizione della tenuta del mercato»; p) il caso «Foxconn». Il problema del superlavoro; q) il tema delle «stampelle chimiche» per aumentare la produttività
Definito per molto tempo da Spielberg il suo film più personale, ET racconta, come ha scritto Wired, ‘la storia di un bambino solo e triste che nasconde quello che sostanzialmente è un clandestino spaziale'. Clamoroso successo al botteghino, il film è la rilettura dell'amico immaginario dell'infanzia aggiornato alla solitudine suburbana dell'America degli anni Ottanta. Solo tre Oscar tecnici per quello che secondo Attenborough, che quell'anno ne vinse otto con Gandhi, avrebbe meritato di più.
Ilide Carmignani"Notturno cileno" di Roberto BolañoAdelphihttps://www.adelphi.it/Traduzione di Ilide Carmignani.«Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all'improvviso le cose sono emerse». L'uomo che in una notte di agonia e delirio decide di ripercorrere la propria esistenza è stato un sacerdote, un membro dell'Opus Dei, e anche un poeta e un autorevole critico letterario. Ma soprattutto ha sempre badato a tenersi al riparo da ogni rischio, e per riuscirci si è piegato a molti compromessi, ha chiuso gli occhi dinanzi a molte nefandezze, si è macchiato di molte viltà. Ha accettato e svolto coscienziosamente incarichi bizzarri, come dare lezioni di marxismo a Pinochet e ai membri della sua giunta, e ha preso parte a squisite serate letterarie in una sontuosa villa, alla periferia di Santiago, nei cui sotterranei venivano torturati gli oppositori politici al regime. E adesso che le cose e i volti del suo passato gli turbinano davanti come sospinti da un soffio infernale, «si scatena la tempesta di merda».Roberto BolañoScrittore cileno (Santiago del Cile 1953 - Barcellona 2003). Messicano di adozione, ha dato vita al movimento poetico d'avanguardia infrarealista (insieme con M. S. Papasquiaro), in opposizione all'establishment letterario messicano. In seguito si è trasferito in Spagna, pubblicando diversi romanzi e raccolte di racconti tra cui Estrella distante (1996; trad. it. 1999), Llamadas telefónicas (1997; trad. it. 2000), Los detectives salvajes (1998; trad. it. 2003), Nocturno de Chile (2000; trad. it. 2003), Amuleto (1999; trad. it. 2001), Una novelita lumpen (2002; trad. it. Un romanzetto lumpen, 2013). Gli eroi picareschi tipici della sua produzione traggono spunto dalle esperienze giovanili e in particolare dalla militanza in movimenti d'avanguardia non solo letteraria, ma anche politica (nel 1973, di ritorno in Cile, è stato incarcerato perché in opposizione con il regime di A. Pinochet). La recente riscoperta dell'opera di B. ha portato alla pubblicazione postuma di diverse opere, anche in Italia: si ricordano El tercer Reich (1989; trad. it. 2010); 2666 (2004; trad. it. 2007), la raccolta di versi La universidad desconocida (2007; trad. it. 2020) e Los sinsabores del verdadero policía (2011; trad. it. 2012). Nel 2016 è stato pubblicato il romanzo inedito El espíritu de la ciencia-ficción (trad. it. 2018), scritto da B. agli inizi degli anni Ottanta, mentre è del 2018 Sepulcros de vaqueros (trad. it. 2020).IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Andrea Tomasetig"Maria Mulas"Milano, ritratti di fine '900Palazzo Reale, Milanofino all'8 gennaio 2023Le sale dell'Appartamento dei Principi di Palazzo Reale a Milano ospitano - fino all'8 gennaio 2023 - la mostra Maria Mulas. Milano, ritratti di fine '900, promossa dal Comune di Milano – Cultura prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dall'Archivio Maria Mulas, con la curatela di Andrea Tomasetig. L'archivio fotografico contiene, oltre a reportage e lavori di ricerca, anche un numero imponente di ritratti – oltre 500 – di personaggi di primo piano delle arti e della cultura. In mostra ve ne sono un centinaio, giunti da una lunga esposizione al Museo Nazionale Slovacco promossa dall'Istituto Italiano di Cultura di Bratislava e frutto di una selezione che documenta lo stretto rapporto della fotografa con Milano e i suoi protagonisti nel trentennio che conclude il Novecento.Milano in quegli anni sta affermandosi come la capitale del design, della moda, dell'editoria, e non solo. È il luogo intorno a cui ruota un universo di talenti nativi o d'adozione, giunti da tutta Italia e dal mondo. Maria, arrivata poco più che ventenne nel lontano 1956 dalla natia Manerba del Garda sulla scia del fratello, li ritrae nei posti giusti e nei momenti giusti e ce li restituisce con una freschezza e intensità senza eguali, degna erede del fratello maggiore Ugo scomparso prematuramente nel 1973. Gli anni Settanta, Ottanta e Novanta sono per lei una girandola di incontri, Biennali veneziane e Kassel, allestimenti e inaugurazioni di mostre, presentazioni letterarie, feste e reportage in giro per il mondo. Ma il luogo d'osservazione privilegiato è sempre Milano che, come un magnete, accoglie e integra le varie provenienze regionali e straniere, ed è in quegli anni uno straordinario laboratorio di creatività e modernità che poi ritrasmette in Italia e nel mondo. Facendo della città il proprio epicentro, Maria Mulas ha mostrato come nessun altro il volto del mondo artistico e culturale milanese, italiano e internazionale.Sono centinaia e centinaia coloro che sono stati ritratti da lei: artisti, galleristi, critici, designer, architetti, scrittori, editori, giornalisti, stilisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori, amici. Un elenco dettagliato ne riporta ben 539, dalla “A” di Claudio Abbado alla “Z” di Franco Zeffirelli. Non meraviglia che il Comune le abbia dedicato nel 1998 una grande mostra sempre a Palazzo Reale, consacrandola come “l'occhio di Milano”, e che oggi la celebri nuovamente come la fotografa che - pur appartata rispetto al circuito delle gallerie e del mercato dell'arte - ha colto l'anima profonda, vera di Milano, che è una città non in posa, ma dinamica, al lavoro, la città delle arti e delle professioni e dell'imprenditoria più avanzata.Per facilitare il percorso del visitatore l'esposizione è suddivisa in sei sezioni: Architettura e Design; Arte; Letteratura e Editoria; Moda; Arti dello Spettacolo; Milano cosmopolita e Maria nel mondo. È evidente che, dato lo spazio a disposizione, non ci possono essere tutti i nomi importanti che ha ritratto, né Maria Mulas poteva allora fotografare tutti quelli che noi oggi riteniamo importanti. Ma dal suo formidabile archivio emerge una sequenza altamente rappresentativa di personalità che incarnano molta parte della cultura italiana e del made in Italy. Alcuni nomi: Giorgio Armani, Gae Aulenti, Joseph Beuys, Giorgio Bocca, Roberto Calasso, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dario Fo, Carla Fracci, Allen Ginsberg, Krizia, Vico Magistretti, Enzo Mari, Marcello Mastroianni, Ottavio Missoni, Bruno Munari, Fernanda Pivano, Gio Ponti, Miuccia Prada, Ettore Sottsass, Giorgio Strehler, Ornella Vanoni, Lea Vergine, Luigi Veronesi, Gianni Versace, Andy Warhol.La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato dall'editore Umberto Allemandi, con scritti di Andrea Tomasetig, Paolo Fallai, Stefano Salis e Patrizia Zappa Mulas.https://www.allemandi.com/IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Fortunato D'Amato"Aldo Pallanza""Al femminile" a cura di Fortunato D'Amico MyOwnGallery – SuperStudioVia Tortona 27 - Milanofino al 27 novembre 2022 MyOwnGallery di via Tortona a Milano ospita fino al 27 novembre, con la curatela di Fortunato D'Amico, la prima personale milanese di Aldo Pallanza, dal titolo “Al femminile” che celebra e riscopre, in occasione del centenario dalla sua nascita, la maestria di un artista originale e straordinario che ha portato nel mondo l'eccellenza italiana dell'industria artigiana calzaturiera.Nato nel 1922 in una famiglia di calzolai a Vigevano, già da bambino Pallanza mostra un grande talento per il disegno e, in generale, per i lavori artistici. Nelle vacanze estive aiuta i decoratori locali dai quali acquisisce le tecniche e le capacità lavorative. Si diploma con il professor Luigi Barni, all'Istituto Arti e Mestieri Roncalli vincendo anche un premio, che gli avrebbe garantito l'accesso all'Accademia di Brera che però non frequenta perché il padre gli impone di iniziare a lavorare nell'azienda di famiglia. In breve, diventa un apprezzatissimo “designer” della calzatura, anche se nell'Italia di allora alla sua professione si attribuiva il titolo di “modellista”. Per decenni lavora con passione alla creazione di scarpe che verranno indossate da migliaia di donne in tutto il mondo, tra queste l'icona della bellezza italiana, Sophia Loren.Fin dai primi anni di attività, già agli inizi del dopoguerra, Pallanza dimostra le sue ampie capacità espressive e di rappresentazione mettendo a disposizione dell'industria calzaturiera la sua inventiva, la sua abilità tecnica, la sua continua ricerca di soluzioni originali che hanno portato un grande contributo alla promozione del prodotto Made in Italy nel mondo. Un inventore di moda che ha lasciato un'impronta estetica influenzando gli stili di vita e i prodotti di altri settori produttivi, dai tessuti, alle tappezzerie, ad altri capi di abbigliamento. La sua creatività era sempre ispirata, al punto da inventare, oltre ai modelli di calzatura, tessuti e simil-pellami utilizzati per il loro ornamento, elaborati in modo originale, ottenuti da un'attenta e particolare lavorazione dei materiali.Aldo Pallanza non era solo un disegnatore di stile ma un tecnico completo, chiamato a sviluppare il progetto di industrializzazione del prodotto in tutta la sua filiera, anche quella di programmatore dei macchinari e delle attività lavorative. Insomma, era un vero designer a disposizione dell'industria dell'abbigliamento femminile con il compito di trasformare la scarpa in un accessorio prezioso e fondamentale nello stile di una donna.L'esposizione milanese vuole essere un tributo alla sua capacità artistica e alla sua profonda ricerca sperimentale: in mostra oltre quaranta opere che ripercorrono il percorso di crescita di Pallanza, da progettista di calzature di lusso a progettista di arte astratta con l'utilizzo di tecniche e materiali originali e mai prima ad ora utilizzati nell'arte.Opere scultoree più che quadri pittorici che evidenziano le sue fini qualità di “progettista di arte”, suddivise in cicli che il curatore Fortunato D'Amico ha individuato in una produzione vasta e articolata dal 1946 al 2013: la città, il fantastico, il mito, la luce, la natura, l'astrattismo geometrico e materico, la pittura tridimensionale. A queste si aggiunge un'attenzione particolare dedicata al femminile che entra con vigore nell'arte di Pallanza a partire dagli anni Novanta: è la stessa donna elegante e sfuggente per la quale inventa raffinate calzature, quella che appare e scompare nelle sue opere pittoriche. Un essere delicato, misterioso e inarrivabile, simbolo della sua personale ricerca della bellezza e dell'armonia.Le sue figure femminili sono, al passo con i cambiamenti culturali in atto nel mondo contemporaneo, sensibili ad una lettura sulla condizione della donna e del suo ruolo nella società moderna, periodicamente segnalata lungo il percorso che negli anni accompagna l'evoluzione politica e giuridica dei popoli.Centrali e ricorrenti nelle sue opere la sua città natale, Vigevano, la luce, l'universo femminile dal quale estrapola “l'anima del sentire” e dell'emozione che lo accompagna in tutta la sua lunga vita artistica. L'agilità e la spontaneità del tratto, il rispetto delle proporzioni e delle prospettive, le associazioni cromatiche, la capacità di creare immagini dalla sua memoria visiva sono i tratti distintivi delle sue opere scultoree. Nelle opere esposte in mostra e dedicate a Vigevano, Pallanza evidenzia le sue grandi capacità di controllo dello spazio architettonico e degli equilibri dei colori, dei pesi visivi e dei profili che danno vita e volto ai luoghi della sua città.Il Fantastico e il mito attraversano le opere di Pallanza dalla fine degli anni '80. La Torre del Bramante si trasforma in un'architettura orientaleggiante e la fitta pavimentazione della piazza in una maglia di fogliame colorato. Il Mito, inteso come richiamo al passato è per Pallanza il presupposto per segnalare la decadenza etica del suo tempo, tormentato da due guerre mondiali e dall'esplosione, in seguito, del consumismo che ha alterato in modo irreversibile la scala dei valori nella quale credeva l'artista.La Luce è un altro elemento importantissimo per l'artista: nelle sue opere la luce acquista materialità, è un fluido in costante movimento tra i tessuti e le loro aperture. La Natura è indagata attraverso un'ottica di osservazione minuziosa con segni e colori che restituiscono una rappresentazione artistica trasbordante di dettagli.L'astrattismo geometrico e materico presente in numerose opere è un richiamo al mondo della decorazione applicata alla produzione industriale, con forme generate per dare identità e consistenza ai supporti utilizzati per le lavorazioni della scarpa, come pelli, tessuti, plastiche. La pittura tridimensionale è sperimentata dall'artista negli ultimi anni della sua attività artistica: la trasfigurazione del quadro avviene per più piani di lettura con metamorfosi e nuovi equilibri geometrici che “tradiscono” l'ideale astratto per trasformarsi in una nuova forma d'arte. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Editoriale Giorgio Mondadori contenente testi introduttivi a firma del curatore Fortunato D'Amico, della figlia Federica, dei nipoti Giorgio e Filippo e di altri testimoni amici dell'artista.Ulteriori informazioni sul sito https://aldopallanza.com/ Aldo PallanzaNasce nel 1922 a Vigevano, dove frequenta la Scuola di Disegno e Decorazione presso l'Istituto Roncalli con Luigi Barni. Designer calzaturiero di successo, affianca al lavoro la grande passione per la pittura, per lungo tempo figurativa e in seguito, dalla seconda metà degli anni Ottanta fino alle ultime produzioni del 2014, a carattere astratto-figurativo. Il graduale allontanamento dall'attività professionale coincide con un rinnovato impegno nel settore artistico. Non esita a rivisitare le opere del passato, di vari periodi, per dare loro nuova originalità con slancio creativo. Nel 1989 la partecipazione al primo concorso, a Vigevano, cui seguono numerose mostre collettive. Tra le personali si ricordano, a metà anni Novanta, quelle alla Galleria Sincron di Brescia, l'antologica di Palazzo Roncalli a Vigevano nel 1996 e altre ad Abbiategrasso, Mortara, Corbetta, Milano. Nel 2006, la personale ospitata nella Sala dell'Affresco del Castello di Vigevano. Sue opere sono esposte allo Sharjah Art Museum (Emirati Arabi), al MoMa di New York e alla Galleria Graphica di Caracas. Pallanza muore a Tromello nel 2017.IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
WikiLixi Podcast - Intercettazioni su finanza e investimenti
In questo episodio, Matteo e Lorenzo hanno analizzato come gli italiani hanno investito i loro risparmi negli anni Ottanta e come tanti di questi "miti" hanno resistito fino ad oggi, nonostante non siano più buoni investimenti. Oltre a cosa non fare, hanno poi fornito qualche consiglio pratico su come investire in modo moderno ed efficiente.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7222IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE RICORDA IL MALE DEL COMUNISMO di Roberto De MatteiIn occasione del Giorno della Libertà, istituito dal Parlamento, per il 9 novembre, data in cui nel 1989 fu abbattuto il Muro di Berlino, il ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, tramite i dirigenti scolastici, ha inviato a tutti gli studenti italiani una lettera in cui invita i ragazzi a riflettere sull'anniversario di questo evento che «gli storici hanno molto studiato e continueranno a studiare», ma che merita di essere giudicato anche da chi frequenta le aule scolastiche. La lettera del Ministro non è lunga ed ecco il suo testo integrale.TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL MINISTRO"Care ragazze e cari ragazzi, la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l'evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell'Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo - al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese - ne dimostra tuttavia l'esito drammaticamente fallimentare e ne determina l'espulsione dal Vecchio Continente.Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l'immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l'umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l'utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto - umanità, giustizia, libertà, verità - sia subordinato all'obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l'intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della Rivoluzione russa: «L'uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l'angelo fa la bestia».Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l'Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell'impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa.Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell'utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com'è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l'unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile."LE REAZIONICon questa lettera Valditara assolve a un compito educativo che è proprio del Ministero di cui ha la responsabilità: istruire e formare le giovani generazioni. Le parole del Ministro si limitano a ricordare ciò che è avvenuto nei Paesi governati dai comunisti, ma la sinistra italiana ha inscenato una pretestuosa polemica contro la sua lettera. Il Partito Democratico ha accusato il ministro di "fare propaganda politica", mentre il segretario di Sinistra Italiana Fratoianni ha affermato che "oggi tocca al titolare dell'Istruzione ergersi sulle macerie del Muro di Berlino, per dare una lezione quanto mai stantia sul comunismo".Però in questo mese di ottobre, in occasione del centenario della Marcia su Roma sono usciti una caterva di libri e di articoli rievocando e condannando, giustamente il fascismo, senza che negli ultimi trent'anni, si sia mai sentita qualsiasi condanna del comunismo. Del comunismo possono parlare solo i comunisti, i post-comunisti, i neo-comunisti, ma agli anticomunisti è interdetta la parola. Il vizio ideologico della sinistra è ancora quello che il filosofo Augusto Del Noce denunciava negli anni Ottanta del Novecento: considerare non il comunismo, ma il fascismo, il male assoluto del secolo, e su questo principio costruire una strategia di demonizzazione dei propri avversari politici. Ma mentre il fascismo è storicamente tramontato, il comunismo è ufficialmente professato dalla Cina, ed è ancora esaltato in Russia. Chi, come la sinistra italiana e internazionale, celebra l'antifascismo, ma nega il diritto di condannare pubblicamente il comunismo, dimostra con questo atteggiamento che il comunismo non è morto. Il che conferma quanto sia stata opportuna la lettera del ministro Valditara.
Incontro con Alberto Capatti. Presentano Gianna Buongiorno e Emiliano Buffo Alberto Capatti – tra i più noti e autorevoli storici della gastronomia a livello internazionale – sembra aver attinto dal negozio di un antiquario una moderna "stanza delle meraviglie" gastronomiche. Ottanta schede-racconto riportano in vita cibi e ricette del Novecento (apparentemente?) scomparsi. Con anche una dedica alle nonne, attraverso i ricettari che le vedono protagoniste, prime custodi nell'immaginario popolare di una cucina preziosa, di cui va conservata memoria. Edizione 2022 www.pordenonelegge.it
L'inverno si avvicina, il caro gas impatterà sui bilanci familiari e i condomini si organizzano. Noi siamo andati a vedere tra i condomini in bolletta: c'è chi riduce l'orario di accensione dei termosifoni e chi si interroga sul futuro. Nel quartiere San Giovanni, la cooperativa Case tranvieri, 925 alloggi e una sessantina di locali commerciali disseminati tra l'Appio e la Prenestina, ha fatto un sondaggio fra i proprietari: il 75% per la prima volta ha detto sì a ridurre l'accessione a 5 ore e mezza al giorno. "Riscaldarci un po' meno ma riscaldarci tutti" è il nostro slogan. La bolletta energetica sale anche nei condomini dei quartieri un tempo a costo zero, come Torrino e Mezzocamino, dove l'Acea, società partecipata dal Comune di Roma, gestisce dagli anni Ottanta il teleriscaldamento, un progetto pensato per abbattere spese e inquinamento. "Nell'ultimo anno le bollette sono esplose", racconta il presidente del Comitato di Quartiere Torrino-Decima, Genesio Pino. A Torrino Mezzamino, aggiunge il presidente del Comitato di quartiere, Francesco Aurea "ci si ritrova a fare i conti anche con le dispersioni di calore e non possiamo neppure cambiare operatore".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7203COME HOLLYWOOD CI IMPONE IL PENSIERO UNICO di Rino CammilleriSpippolando sui siti di film mi sono imbattuto in un'opera di nessuna importanza ma di cui mi ha però colpito una cosa. Se ci fate caso, solo le grandi majors possono permettersi di sparare subito la prima scena riservandosi di mettere i titoli, il cast e i crediti in un secondo momento o addirittura in fondo dopo il the end (classica sigla americana che nessuno ormai usa più). Le altre, prima di cominciare con la storia, si producono in un'interminabile e snervante serie di produzioni, produttori esecutivi, case di distribuzione, patrocini, ringraziamenti e avvisi che i cavalli degli indiani stramazzati per terra erano una finta. E finalmente, dopo una pirotecnia di sigle e slogan e logo, lo spettatore può ottenere ciò per cui ha pagato. Lo spettatore comune, intendo, perché la pirotecnia anzidetta interessa solo i quattro gatti dei cinefili che poi recensiranno dottamente e gratis.Ebbene, dicevo che mi sono imbattuto. E proprio nella pirotecnia di cui sopra ho notato il seguente slogan sotto a un logo e una sigla che non ricordo. Diceva testuale: «Cambiare il mondo una storia alla volta». Esatto, qualcuno finalmente ha fatto outing. Infatti, forse non ci rendiamo conto di quanto i film e telefilm e fiction incidano sul costume e sulle mentalità. Una storia alla volta. Ora, poiché in questo campo la padrona indiscussa è Hollywood, e Hollywood è in mano alla sinistra americana, ecco fatto. E non si tratta tanto di film in grado di lanciare mode. Esempio: gli anni Ottanta furono dominati da La febbre del sabato sera che addirittura coniò un modo di dire e di essere, il «travoltismo». Tra parentesi, è istruttivo guardare in internet la villa faraonica di John Travolta con ben due hangar, uno per un Boeing e uno per un Gulfstream. O il conto in banca dei Bee Gees che ispirò una canzone dei Gatti del Vicolo Miracoli.La cosa è di vecchia data: Rodolfo Valentino divenne già negli anni Venti un modo di indicare i bellocci. La rivoluzione sessuale? Senza il cinema nulla avrebbero potuto i cortei di femministe a dita unite negli anni Settanta. Già nel 1962, più di dieci anni prima, James Bond andava a letto con la sconosciuta come se fosse la cosa più normale del mondo. Ormai sono vecchio, ma rammento nitidamente mia nonna che vietava alle sue numerose figlie la lettura dei fotoromanzi. Eggià, saggezza antica: quelle storie romantiche «guastavano la testa», letterale. Inducevano cioè, subdolamente, a scambiare l'infatuazione per «amore». Cioè, a usare lo stomaco al posto del cervello nella scelta del compagno di vita. Eh, una storia deve per forza di cose insistere sull'emotività, sennò non vende.Pensiamo a un regista americano dichiaratamente di destra, Clint Eastwood. Vinse l'unico Oscar con un film sull'eutanasia (a favore de), Million dollar baby. Aveva fatto di meglio nella sua carriera. Ma Hollywood ha una filosofia precisa, che è quella di Kamala Harris, Nancy Pelosi, Obama, Biden, Ocasio Cortes. Ebbene, se uno guarda quel film scopre che è, per forza di narrazione, congegnato in modo da provocare questo effetto emotivo: al posto del protagonista avresti fatto lo stesso. Infatti, le storie presentano, e devono farlo, dei casi-limite che poi la panza dello spettatore si incaricherà di generalizzare quando sarà ora di votare. A Pannella, malgrado i finanziamenti pubblici, mancò il cinema. Avrebbe fatto prima. Tenetelo presente: «Cambiare il mondo una storia alla volta».
Emilia Bersabea Cirillo"Azzurro amianto"Le Plurali Editricehttps://lepluralieditrice.net/Con la scrittura raffinata di Emilia Bersabea Cirillo, Azzurro amianto trasporta chi legge in una vicenda insieme sociale, politica e intima, sullo sfondo di un territorio ferito, attraversato dal desiderio di riscatto delle sue protagoniste e anche della sua autrice.Anni duemila, una città del sud Italia, che sonnecchia su un'area industriale abbandonata. Due donne si rifugiano proprio lì, in cerca di giustizia. Un comitato di signore borghesi che vogliono fare del bene, ma senza sporcarsi le mani. Un quartiere periferico, un parroco e un ex sindacalista che lottano contro le conseguenze di una fabbrica contaminata, dove negli anni Ottanta giovani operai iniziarono a scoibentare amianto per gli interessi di industriali senza scrupoli. In questo scenario che pare immobile, piomba Beatrice, fuggita da quella città tanti anni prima e imprigionata dai sensi di colpa per aver lasciato sua figlia Bianca, affetta da un disturbo dello sviluppo, alle cure di mani non sue. Nell'aiutare le due donne e una comunità ferita, Beatrice, senza eroismi, troverà poco alla volta il coraggio di affrontare e di accogliere una maternità travagliata. Emilia Bersabea Cirillo, architetta, è nata ad Atripalda (Av) e vive ad Avellino. Ha pubblicato Il pane e l'argilla. Viaggio in Irpinia (Filema, Napoli 1999), i racconti Fuori misura (Diabasis, Reggio Emilia 2001) con cui ha vinto il Premio Chiara 2002, i romanzi L'ordine dell'addio (Diabasis, Reggio Emilia 2005), Una terra spaccata (Edizioni San Paolo, Milano 2010), vincitore del Premio Prata, e i racconti Gli incendi del tempo (et al. edizioni, Milano 2013). Con L'Iguana editrice ha pubblicato il romanzo Non smetto di aver freddo nel 2016, vincitore del Premio Minerva 2016 e del Premio Di Lascia 2017, e la raccolta Potrebbe trattarsi di ali, nel 2017. Ha fondato l'Associazione “Paroletranoileggere” per la promozione della lettura e la valorizzazione dei saperi femminili del territorio irpino (e non solo).IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Antonio Prete"Millanta facce" di Piero ManniRacconti dal Salentohttps://www.mannieditori.it/Con scritti di Carlo D'Amicis e Antonio Prete«Ma lei sa qualcosa di Lecce, sa almeno dove si trova?»«In Puglia credo, o in Calabria, comunque nel regno di Terronia, in partibus infidelium borbonicorum», risposi con indifferenza. "L'investimento di Piero Manni sulla parola come strumento non solo di narrazione, ma anche di dialogo, di partecipazione, di protesta è convinto ed estremamente fiducioso. Più sarà ricco il nostro vocabolario, sembra dire, più ricca sarà la nostra vita".Carlo D'Amicis "La prosa narrativa di Piero Manni dà allo sguardo antropologico una leggerezza e un'ironia affabulatoria, e commisura lo sguardo politico con il bizzarro, l'imprevedibile, l'irrisolto che abita i caratteri degli individui e le loro relazioni".Antonio Prete Millanta facce sono quelle che Piero Manni racconta della sua terra, il Salento: la civiltà contadina del dopoguerra, le feste patronali e le tarantate, l'emigrazione; la speculazione degli anni Settanta e Ottanta, la Sacra Corona Unita, gli sbarchi dei migranti dai Novanta, e l'esplosione del turismo nei Duemila, quando il Salento diventa the place to be, la tradizione si trasforma in una moda e il paesaggio viene sfruttato senza lungimiranza.Il libro riunisce racconti scritti dal 1983 al 2020 con sguardo appassionato e lucido su un lembo del Sud sineddoche dell'Italia tutta, luogo di una crescita non sempre sana, in cui guardare alle radici aiuta a comprendere storture e ricchezze dell'oggi. I diritti provenienti dalle vendite di questo libro saranno devoluti al Comitato provinciale ANPI di Lecce.IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
"Italo Disco: The sparkling sound of the 80s" racconta in un documentario la musica disco degli anni Ottanta che dall'Italia conquistò il mondo. Il film è in programma all'Antenna Documentary Film Festival di Sydney.
Tommaso Ariemma"Festival dei Luoghi Comuni"https://www.festivaldeiluoghicomuni.it/Festival dei Luoghi Comuni, Cuneo11 ottobre ore 18.30Le città come personaggio in più nelle nuove narrazioni seriali: da Hawkins (Strangers Things) a Milano (Bang Bang Baby), passando per Napoli (L'Amica Geniale).Tommaso AriemmaAlessandro MariIn collaborazione con Scuola HoldenLe abbiamo sempre considerate eterne, oppure come puro sfondo delle narrazioni. Immobili o semplicemente passive. Ma le città sono creature viventi, che vivono e che muoiono, e che soprattutto cambiano. A volte si tratta di un cambiamento repentino, come quello di Hawkins, città immaginaria della serie cult Stranger Things. Un cambiamento che fa da innesco alla storia. Altre volte si tratta di un cambiamento lento, che segue la trasformazione dei personaggi, come accade al Rione Luttazzi nella Napoli della serie L'amica geniale. La capacità di oltrepassare alcune sue zone sancisce, addirittura, la maturazione delle inseparabili amiche protagoniste. Altre volte, ancora, la città diventa una vera e propria macchina del tempo per differenti generazioni di spettatori e specchio della loro stessa trasformazione, come accade nella Milano degli anni Ottanta di Bang Bang Baby, con il suo immaginario pop (e come accade del resto anche nella Hawkins di Stranger Things). Le nuove serie tv, capaci di sfruttare al meglio la dimensione del tempo e la trasformazione dei personaggi, si rivelano particolarmente efficaci nel restituire vita alle città e alle loro sfaccettature nell'epoca dell'omologazione urbana, delle smart city apparentemente tutte uguali e connesse. Dialogheranno su un'esperienza urbana e narrativa tutta da riscoprire Tommaso Ariemma, filosofo esperto di serie tv e studioso degli anni Ottanta e lo scrittore Alessandro Mari, narratore e direttore delle produzioni creative di Scuola Holden.Tommaso Ariemma è docente di Estetica e di Sociologia dell'arte presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce. I suoi interessi si concentrano prevalentemente sui fenomeni della cultura di massa come nuovi media e serie tv. A queste ultime ha dedicato numerosi volumi, tra cui La filosofia spiegata con le serie tv, (Mondadori 2017), Platone Showrunner. Regole filosofiche per scrivere la serialità (Dino Audino 2022) e Dark media. Cultura visuale e nuovi media (Meltemi 2022).IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2971IL VERO SAN FRANCESCONel Sessantotto fu ridotto a rivoluzionario, contestatore e pauperista, negli anni Ottanta pacifista, oggi ce lo ritroviamo ecologista e animalista, domani chissà, forse nudista...di Rino CammilleriChi era davvero San Francesco? Se uno si alza e, come Paolo Villaggio a proposito della Corazzata Potemkin, dice che di san Francesco non se ne può più, potete immaginare da soli la reazione unanime e nazionale. In realtà, quel che l'incauto intende dire è che ne ha le tasche piene del Francesco ridotto a icona come Che Guevara e Marilyn Monroe. Per nostra fortuna non era bello, sennò ce lo ritroveremmo sui portacenere, le magliette, i poster.Nel ventennio fascista "il più italiano dei santi" fu incensato come nazionalista e crociato. Nel Sessantotto ce lo ritrovammo, naturalmente, come rivoluzionario e contestatore del potere clericale, nonché come pauperista e "operaio". Negli anni Ottanta diventò pacifista e arcobaleno, tanto che alle marce forzate di Assisi ci andavano pure i comunisti. Ora è vegano, ecologista e animalista (salutista e palestrato no, sarebbe troppo). Ovviamente, i ridicoli sono solo quelli che lo tirano per il saio, chi di qua e chi di là, a seconda di come soffia il vento mondano. Ma è per questo che ormai, al solo sentir parlare di Francesco e Assisi, la mano, come quella di Goebbels, corre alla fondina.Sì, perché, oltre ai convegni e ai Cortili-passerella di intellettuali atei che espongono a spese dell'otto per mille (cioè, dei cattolici) il loro stantio pensiero ottocentesco, ci tocca sorbirci i concerti di artisti decotti o agnostici cui non par vero di andare in tivù. Certo, lo stesso accade per Padre Pio, francescano pure lui, ma lui almeno è morto l'altro ieri e non ha ancora avuto il tempo per manipolazioni d'immagine: molti di quelli che l'hanno conosciuto sono ancora vivi e possono raccontare chi era davvero.Non così, ahimè, per san Francesco, e a poco serve spiegare che il suo Cantico delle creature elenca tutto l'esistente tranne gli animali. Che quelli di Gubbio ricorsero a lui solo perché il lupo non riuscivano ad ammazzarlo (e lui costrinse la belva a ripagare il male fatto). Che non aveva affatto amore zuccheroso per tutti ma detestava (sì, detestava) gli eretici catari che infestavano il Norditalia e quella Provenza da cui veniva la sua adorata mammà. Proprio contro i catari, che odiavano la creazione, scrisse il Cantico. E contro di loro mandò non a caso il suo uomo migliore, sant'Antonio di Padova. Contro i musulmani, che già gli avevano lapidato i cinque Protomartiri, andò lui stesso, e non a dialogare, bensì a confutare la loro dottrina (e se il sultano non gli fece la pelle fu solo perché a un passo c'erano i crociati armati fino ai denti). Odiava (sì, odiava) i denigratori, e comandò al suo vice, Pietro Cattani, di farli punire dal "pugile di Firenze" (fra Giovanni fiorentino, che aveva fatto quel mestiere).Ora, può accadere che l'ammirazione per un santo cattolico spinga a cercare di imitarlo. Ma ciò non autorizza a scegliere tra i suoi molteplici aspetti solo quelli che godono del plauso generale (tra l'altro, mutevole a seconda delle stagioni ideologiche). Non solo: si dimentica che il santo, a sua volta, imitava qualcun altro, Cristo.E' questa l'unica Imitazione consentita (giusto il titolo dell'opera immortale di Tommaso da Kempis, che non a caso insegna l'imitatio Christi e non quella di qualsivoglia santo), anche perché il santo imita a modo suo, un modo che varia da santo a santo giacché ognuno ha la sua personalità. Certo, se un santo diventa "icona" e gli altri no, un motivo ci deve essere.Infatti, c'è. Francesco fu veramente alter Christus e ha seguito la sorte "iconica" del suo Maestro. Nessun dispregiatore del cattolicesimo ha mai osato parlar male di Gesù, perché la sua figura è veramente inattaccabile. Per questo la si aggira dicendo che è stata, semmai, la Chiesa a tradire il suo vero messaggio. Il quale messaggio, poi, ce lo spiega il Dan Brown di turno. Così è per Francesco, il più amato dagli italiani, ormai sepolto - e perciò reso irriconoscibile - dalle fiction (continuamente aggiornate per riguardo ai tempi: la sola Liliana Cavani ha dovuto farne addirittura due), dalle marce, dai concerti, dai convegni, dai libri.Mai una volta, però, che lo si invochi, magari con una semplice processione, perché si ricordi di essere Patrono d'Italia e di darci una buona volta dei capi degni di questo nome al posto di quei chiacchieroni inconcludenti che i nostri peccati collettivi da decenni hanno addensato sulle nostre teste.
Francesca Peliti"Paolo Dall'Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa"Effatà Editricehttps://editrice.effata.it/Nei lontani anni Ottanta un giovane Paolo Dall'Oglio si imbatte per caso in un antico monastero sperduto fra le montagne nel Qalamun siriano a circa 1500 metri di altitudine, a metà strada fra Damasco e Homs. Quel luogo e la spiritualità che ne emana diventano la missione del giovane gesuita che ha, oltre alla vocazione, l'idea di un punto di incontro fisico e simbolico fra Oriente e Occidente.Nel corso di lunghi anni la visione teologica e spirituale di padre Paolo ha coinvolto un gran numero di persone, le ha colpite, cambiando il corso delle loro esistenze. Dal 1982 il monastero di Mar Musa al-Habashi, ovvero di San Mosè l'Abissino, è diventato un saldo punto di riferimento per il dialogo islamo-cristiano ed è passato attraverso numerose trasformazioni, sopravvivendo alla guerra, alla minaccia dell'Isis e al rapimento del suo fondatore avvenuto a Raqqa il 29 luglio 2013. Da allora, di lui non si hanno più notizie.Questo libro ne racconta la storia attraverso la voce dei protagonisti. Ciascuna di queste testimonianze narra un viaggio nel cuore della fede, dell'accoglienza e dell'amore verso l'Islam. È un viaggio carico di umanità spesso difficile e sofferto ma sempre accompagnato da una profonda comunione spirituale all'interno della Comunità e guidato dalla fede.È un viaggio iniziato per mano di padre Paolo, ma che non è finito con la sua scomparsa. Al contrario. In questi scritti la Comunità rinnova un voto di fede che trascende le vicende storiche per rimettere al centro il pensiero del suo fondatore. Oltre le testimonianze dei monaci, delle monache e dei laici che a vario titolo hanno fatto parte di questa storia, dodici lettere di padre Paolo accompagnano il racconto.Questo libro ci racconta e ci spiega molte cose, dando giustamente lo spazio principale alle testimonianze personali di tutti i membri della Comunità che ne fanno parte finora, o di altri che hanno partecipato più profondamente al suo cammino nel corso degli anni. Paolo è presentissimo, come origine, guida e ispiratore di questa straordinaria avventura, e anche con le sue lettere. Ma non c'è solo lui. Ed è proprio per questo che la Comunità c'è ancora.Padre Federico Lombardi s.j.Francesca Peliti ha lavorato per quindici anni nell'azienda tipografica di famiglia, quindi dal 1990 al 2014 si è occupata di editoria e comunicazione con il fratello Mario (Peliti Associati). Oggi collabora con il marito Federico Castellucci nell'azienda agricola nelle Marche, studia teologia e si adopera con altri amici per dare sostegno alla Comunità di Deir Mar Musa.IL POSTO DELLE PAROLEAscoltare fa Pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7128TUTTI I FALLIMENTI DI GORBACIOV di Stefano MagniGli articoli e gli editoriali sulla morte di Gorbaciov, in questi due giorni dopo la sua morte, sono tutti più o meno celebrativi. L'ultimo presidente sovietico fu l'uomo che pose fine alla guerra fredda, dunque viene ricordato soprattutto per il suo ruolo di pace. Ma non si comprende come mai in patria, sia in Russia che nelle altre repubbliche ex sovietiche, sia ricordato con estrema ostilità. Benché rispettato dal nuovo regime, Putin stesso gli ha reso omaggio, non ha ottenuto funerali di Stato. È una figura, ormai storica, divisiva e impopolare. Perché?Si fa presto ad affermare che Gorbaciov sia odiato dai nostalgici dell'Urss, che con Putin sono tornati in auge. Certamente, questa fu l'opposizione più visibile ed anche più violenta. Nel periodo dal 1985 al 1989, il Kgb era ben consapevole dei limiti economici, militari e strutturali dell'Unione Sovietica. Fu il Kgb a incoraggiare la promozione di Gorbaciov a Segretario Generale, dopo la morte di Chernenko, approvata poi dal Comitato Centrale con voto unanime. Gorbaciov era già uomo di fiducia di Andropov, storico direttore del Kgb e poi segretario generale dell'Urss dal 1982 al 1984. Gorbaciov venne selezionato perché relativamente "giovane" (54 anni nel 1985) e aperto di mente, ma fedele al sistema comunista. Il Kgb stesso promosse e in un certo senso incoraggiò l'abbandono dei regimi dell'Est europeo, con quella che venne informalmente chiamata la "dottrina Sinatra": ciascuno per la sua strada. Tuttavia, l'atmosfera cambiò repentinamente quando nei regimi ex comunisti le elezioni vennero vinte da partiti non comunisti, a partire dalla Polonia.Esercito e Kgb si coalizzarono per impedire che la disgregazione del blocco orientale divenisse disgregazione anche della stessa Urss. E pretesero che Gorbaciov imponesse l'ordine alle repubbliche secessioniste, anche proclamando lo stato d'emergenza. Il segretario generale usò la forza (contro Kazakistan, Georgia, Azerbaigian, Lituania e Lettonia), ma rifiutò il cambio di passo preteso da militari e servizi. Fu questo rifiuto che portò al tentativo di golpe contro di lui, nell'agosto del 1991. Il resto è noto: il golpe fallì, Gorbaciov ottenne una vittoria apparente, ma di fatto aveva già perso il potere. Eltsin, il presidente della Repubblica Socialista Federativa Russa, si oppose in prima persona ai militari e divenne lui il leader politico carismatico della nuova stagione russa che portò alla disgregazione dell'Urss. Dopo il collasso sovietico, esercito, ex servizi segreti, burocrazia statale, non perdonarono mai a Gorbaciov di aver causato il "crollo" dell'impero, di essersi lasciato sfuggire di mano il processo di riforme e decentramento che loro stessi avevano avviato.LE REPRESSIONI FINITE NEL SANGUENelle repubbliche ex sovietiche, al contrario, non perdonano a Gorbaciov quelle ultime repressioni della stagione di sangue del 1986-91, volte a tenere assieme un'Urss in piena frammentazione. In Kazakistan ricordano gli oltre 200 morti civili del massacro di Alma Ata del dicembre 1986. Quando Gorbaciov sostituì il segretario generale locale Dinmukhamed Kunaev con il russo Gennadij Kolbin, i kazaki inscenarono proteste che vennero schiacciate con la forza delle armi. Gli armeni non perdonano a Gorbaciov di aver permesso (o non ostacolato abbastanza) i primi massacri compiuti dagli azeri nel Nagorno Karabakh nel 1988 e 1989. Gli azeri, al contrario, non dimenticheranno mai il massacro di Baku, il "gennaio nero" del 1990, quando le forze regolare e le truppe speciali del KGB entrarono nella capitale azera per stroncare sul nascere il locale Fronte Popolare (indipendentista e anti-armeno), uccidendo da 130 a 170 persone, in gran parte civili, fra il 19 e il 20 gennaio. I lituani non dimenticano la "domenica di sangue", culmine di tre giorni di intervento militare sovietico (11-13 gennaio 1991) contro la repubblica baltica, dopo la sua proclamazione di indipendenza. Mentre il mondo era distratto dalla Guerra del Golfo, che sta appena iniziando, i sovietici nella notte fra il sabato 12 e la domenica 13 gennaio 1991, tentarono di occupare la capitale lituana, a partire dalla conquista della sede della televisione. La folla inerme oppose resistenza, vi furono meno morti rispetto ai precedenti massacri (14 le vittime), ma fu comunque traumatico, il tutto ripreso quasi in diretta dai media locali e internazionali. Contemporaneamente, e per lo stesso motivo, i carri sovietici entravano anche a Riga, ma dopo dieci giorni di confronto fra manifestanti (protetti da numerose barricate in cemento) ed esercito, l'Armata si ritirò. Non prima di aver fatto altri 6 morti, fra cui due poliziotti lettoni.I DISSIDENTI RUSSISe nelle repubbliche ex sovietiche vedono in Gorbaciov l'ultimo dei dittatori occupanti, non meno repressivo dei suoi predecessori, anche i dissidenti russi tendono a considerarlo come uno storico bluff. Significativa la reazione di Kasparov, campione di scacchi e poi dissidente: al momento della morte dell'ultimo leader sovietico ha twittato "Come giovane campione del mondo sovietico e beneficiario della perestrojka e della glasnost, ho spinto ogni muro della repressione per testare i limiti improvvisamente mutevoli. Era un periodo di confusione e di opportunità. Il tentativo di Gorbaciov di creare un 'socialismo dal volto umano' fallì, e grazie a Dio". Le pagine più drammatiche di denuncia, le scrisse un altro dissidente, Vladimir Bukovskij, nel suo Gli Archivi Segreti di Mosca: "Per quanto ci affannassimo a spiegare che il sistema sovietico non era una monarchia e che il segretario generale non era uno zar, chi in quel momento non avrebbe comunque augurato il successo al nuovo zar-riformatore? Delle centinaia di migliaia di politici, giornalisti e accademici, solo un minuscolo gruppetto conservò una sufficiente lucidità per non cedere alla seduzione, e un gruppo ancor più sparuto di esprimere apertamente i suoi dubbi".La repressione del dissenso interno non finì affatto con l'ascesa al potere di Gorbaciov. Come documenta Bukovskij, dai files presi negli archivi del Cremlino, ancora nel 1987, il KGB organizzava campagne per arrestare i dissidenti, far fallire le iniziative a favore dei diritti umani, impedire l'ingresso di intellettuali e attivisti stranieri. Il tutto era ordinato da Chebrikov, direttore dei servizi segreti, con il pieno appoggio di Gorbaciov. Nella sua monumentale opera Gulag, la storica Anne Applebaum, ci ricorda come gli ultimi campi di concentramento vennero chiusi nel 1992, l'anno dopo la fine dell'Urss. "Tipica di quel periodo è la vicenda di Bohdan Klimchak - scrive la Applebaum - un tecnico ucraino arrestato per aver tentato di lasciare l'Unione Sovietica. Nel 1978, temendo di essere arrestato con l'accusa di nazionalismo ucraino, aveva varcato la frontiera sovietica con l'Iran e chiesto asilo politico, ma gli iraniani lo avevano rimandato indietro. Nell'aprile 1990 era ancora detenuto nella prigione di Perm. Un gruppo di congressisti americani riuscì a fargli visita e scoprì che, in pratica, a Perm la situazione rimaneva immutata. I prigionieri si lamentavano ancora per il freddo che dovevano patire e venivano rinchiusi nelle celle di rigore per 'reati' come il rifiuto di allacciare l'ultimo bottone dell'uniforme".LE MALDESTRE RIFORME ECONOMICHETuttavia fu un altro prigioniero politico ucraino, Anatolij Marchenko, che determinò un primo grande cambiamento nel sistema concentrazionario sovietico. Per protesta contro le orribili condizioni degli internati nei campi, intraprese lo sciopero della fame e fu lasciato morire l'8 dicembre 1986. La vicenda fece scalpore anche all'estero e Gorbaciov si decise ad approvare un'amnistia generale. Non fu, appunto, la fine del sistema dei campi in quanto tale (che come abbiamo visto chiuse solo nel 1992), ma la fine del Gulag come metodo statale repressivo. Il Kgb accettò, sia secondo la Applebaum, che secondo voci dissidenti come quella di Bukovskij, perché l'amnistia ormai "costava" poco al regime. Non si doveva fare alcuna retromarcia ideologica: i prigionieri, graziati, dovevano comunque firmare delle dichiarazioni di pentimento. E giunti alla fine degli anni Ottanta, la dissidenza, ridotta allo stremo, non era considerata più un pericolo per il regime, come si legge dai documenti di allora.I dissidenti sono, appunto, una minoranza. La maggioranza dei russi ha pessimi ricordi di Gorbaciov per le sue maldestre riforme economiche. "Mi trovai ben presto - ricorda l'allora ambasciatore Sergio Romano al Corriere - ad osservare criticamente gli avvenimenti. Rimproveravo a Mikhail Sergeevic (Gorbaciov, ndr) di non avere un vero programma economico. Va bene concedere più libertà: tutti erano giustamente contenti. Ma cosa fare del sistema di produzione collettivo? Lui parlò della creazione di una 'industria sociale': ma non spiegò mai in cosa consistesse".Gli anni di Gorbaciov furono anni di ristrettezze. E anche di proibizionismo dell'alcool, che aggiunse ulteriore disperazione ad uno scenario lugubre di suo, con code per il pane e razionamenti. Particolarmente catastrofica fu la "riforma monetaria" del 22 gennaio 1991. A sorpresa, nottetempo, per stroncare i proventi del lavoro nero e del contrabbando, vennero confiscate tutte le banconote da 50 e 100 rubli. La procedura di sequestro permise di ritirare dalla circolazione 14 miliardi di rubli in contanti, ma bruciò i risparmi di decine di milioni di sovietici, soprattutto quelli più benestanti.
Ottanta milioni per i bus elettrici. Per agevolare gli investimenti di piccole e medie imprese della componentistica nella realizzazione e sviluppo di una filiera nazionale degli autobus elettrici, diventa operativa una nuova linea di intervento del Ministero dello sviluppo economico che riserva una parte dei 300 milioni stanziati dal Pnrr per il settore.abr/gsl
Giorgio Enrico Bena"Sulle ossa del mondo"Neos Edizionihttp://www.neosedizioni.it/"Sulle ossa del mondo"A cura di Giorgio Enrico BenaRacconti di: Donatella Actis, Franco Ballatore, Ludovico De Maistre, Paolo Calvino, Paolo Camera, Pierangelo Chiolero, Emilia Coppola, Fernanda De Giorgi, Giorgio Enrico Bena, Maddalena Fortunati, Guido Montanari, Giampiero Pani, Vincenzo Perri, Laura Remondino, Franca Rizzi Martini, Caterina Schiavon, Raffaele Tomasulo, Teodora Trevisan, Maria Vassallo.Fotografie di: Vittorio Sella, Ada Brunazzi, Luca Cagnasso, Chiara Enrico Bena, Silvia Maria Ramasso.Sulla Terra è disteso uno scheletro di pietra; si erge con potenza dalle pianure, come un fossile antico affiora dalla distesa del mare o delle foreste che lo ricoprono. Lungo i suoi fianchi rocciosi, l'umanità da sempre – per imprese ardimentose o per una stentata sussistenza – si confronta con una natura dura e maestosa che ispira meraviglia e sacralità e al tempo stesso sfida.Dalle valli dell'arco alpino ai monti siciliani e calabresi, dall'Everest all'Ecuador e all'Afghanistan fino al sentiero degli Incas, ai monti della Cina e ai Virunga ugandesi, queste pagine ci offrono un avvincente viaggio “in quota”, ricco di storie, di personaggi e di situazioni. Un catalogo vario e a volte bizzarro di viaggiatori e viaggiatrici si inoltra fra le valli, s'inerpica sulle cime, segue percorsi di memoria, di scoperta, di avventura, incontra paesaggi indimenticabili, antiche civiltà, comunità singolari e anche la follia dell'uomo.A regalare ulteriore suggestione, ai diciannove racconti dell'antologia si alternano quattro portfolio fotografici.Introducono il libro, le splendide immagini storiche realizzate da Vittorio Sella a cavallo fra '800 e '900, gentilmente concesse dalla Fondazione Sella.Le montagne raccontate nel libro: Salar de Uyuni, Ande boliviane; Alpi Cozie, Piemonte; Bamiyan, Hindukush afghano; Monti Sicani, Sicilia; Tepui Roraima, Venezuela; Valli di Lanzo, Piemonte; Retempio, Valle d'Aosta; Valle di Susa, Piemonte; Rorà, Val Pellice, Piemonte; Everest, Tibet; Himalaya, Buthan; Monte Heng, Monti Sacri, Cina; Gorges du Verdon, Francia; Dolomiti; Majella, Abruzzo; Sila, Calabria; Virunga, Uganda; Cuzco, Perù; Taita Imbabura, Ecuador; Durmitor, Montenegro.Giorgio Enrico Bena nasce nel 1957 a Torino dove vive e lavora in ambito scientifico. Fin dagli anni Ottanta siinteressa a tutto ciò che riguarda il fumetto, l'illustrazione e le avanguardie artistiche del ‘900, colleziona ingombranti volumi nelle lingue più disparate e disegna. Passioni. Come quelle per il viaggio e per la fotografia naturalistica.Ha al suo attivo numerose esposizioni di disegno e fotografia. Fra queste, una collettiva del 2009 sulla caduta del muro di Berlino con artisti italiani e tedeschi, di cui è stato il curatore, e una personale di fotografia nel 2007 a Millicent (Australia).IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Maria Rita Masci"Premio Mario Lattes per la Traduzione""Il dizionario di Maqiao" di Han Shaogong - Einaudi Editorehttps://www.einaudi.it/https://fondazionebottarilattes.it/Fine anni Sessanta, è la Rivoluzione culturale: milioni di studenti vengono trasferiti dalle città alle campagne per lavorare la terra spalla a spalla con i contadini. L'esperienza li trasforma, mettendoli a contatto con una vita dura e povera, e con una cultura eterodossa e semiprimitiva. Il viaggio di uno di loro, il «giovane istruito» Han Shaogong, si fa fonte inesauribile di riflessioni e suggestioni. I personaggi e le storie che poco per volta si uniscono a formare un unico affresco sono dei piú vari: il nullafacente Ma Ming, un taoista che vive al di fuori della società; il cantante dongiovanni che si scopre, alla sua morte, essere privo degli organi genitali; la «donna-sogno», considerata veggente perché in grado di indovinare i numeri della lotteria; la mucca Padron Hong, ritenuta la reincarnazione di un latifondista; un cane giallo; la pioggia. Il mondo con cui l'autore deve fare i conti è spesso percepito come spiazzante, perché il suo linguaggio si contrappone alla lingua ufficiale. Molti termini hanno significati diversi o addirittura contrari: «sveglio» significa «stupido», «addormentato» è sinonimo di «intelligente» e chiamare qualcuno «scienziato» equivale a dargli dello «scansafatiche». Man mano che le vicende si affastellano, anche lo sguardo dell'autore subisce una metamorfosi: lo straniero, il giovane intellettuale pieno di pregiudizi, finisce per diventare un memorialista nostalgico, determinato a risalire alla fonte dell'essenza culturale del suo popolo per gettare nuova luce sulla tradizione e sull'identità nazionale. Dalla voce di uno dei piú importanti narratori cinesi contemporanei, un romanzo dalla struttura originalissima che è insieme entusiasmante esperimento formale e riflessione poetica sulla lingua; considerazione filosofica sull'impossibilità di creare un linguaggio normalizzato e universale; e infine memoria storica di culture e popoli ormai scomparsi attraverso il loro modo di comunicare.Han Shaogong è nato a Changsha nel 1953 e vive sull'isola di Hainan. Negli anni Ottanta è stato protagonista della rinascita della letteratura del dopo-Mao in quanto iniziatore e teorico della tendenza detta della «ricerca delle radici», cui appartiene anche il premio Nobel Mo Yan. Nel 2011 ha ricevuto il premio Newman per la letteratura cinese. In italiano è stato pubblicato Pa pa pa (Theoria 1992) e La storia e le storie (Hoepli 2009). Per Einaudi ha pubblicato Ill dizionario di Maqiao (2021).IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Cosa resterà degli anni '80? Una grande voglia di riviverli nel 2022, dal cinema, alle serie TV, passando per la musica, la moda e lo stile. Viaggio nel tempo, come in “Ritorno al futuro”, per ripercorrere le atmosfere sbarbate dei mitici 80s (un bel gancio per affrontare il caso di Gillette, il brand di Procter and Gamble)Per "Geniale!": la campagna lancio di "Stranger Things 4" promossa da Netflix che ha riportato Milano nell'era di paninari, punk, taxi gialli e cabine telefoniche.Per "Contaminazioni": la DeLorean Evolved, l'iconica auto degli anni '80 diventa elettrica https://it.motor1.com/news/583694/delorean-evolved-elettrica-dettagli-teaser/
Non solo stambecchi, camosci e marmotte. Il più antico Parco Nazionale d'Italia è anche un'eccellenza a livello scientifico: i suoi ricercatori collaborano con università statunitensi, canadesi, svizzere e inglesi. Studiando il cambiamento climatico dai lontani anni Ottanta. Ecco cosa hanno scoperto.
Puntata leggera. Mi piace l'idea di segnalare esposizioni d'arte. Mi e' arrivato un comunicato, ve lo giro con uno stile particolarmente scanzonato...“BANKSY È CHI BANKSY FA!”, RECORD DI VISITATORI SUL LAGO DI GARDA Primi bilanci ad oltre un mese dall'apertura. Migliaia di spettatori, i curatori moltiplicano le visite guidate per star dietro alle richieste del pubblico. Prossimo appuntamento l'11 giugno Le opere di Banksy sono sbarcate sul Lago di Garda domenica 10 aprile con l'inaugurazione della mostra “Banksy è chi Banksy Fa! An unconventional Street Art Exhibition”, ospitata al Castello di Desenzano del Garda (nel Bresciano) e curata da Michele Ciolino e Matteo Vanzan. Ebbene, è tempo per i primi bilanci di un evento senza precedenti, che ha già portato oltre cinquemila persone a visitare la mostra, un record per gli spazi espositivi che si affacciano sulla cittadina: e manca ancora un mese e mezzo alla chiusura. Non solo, sono andati sold out anche gli incontri previsti coi curatori. Per questo, è stato deciso di aprire una nuova finestra per la visita guidata, il prossimo 11 giugno alle ore 11.30. In programma collaterale all'esposizione sarà possibile, infatti, previa prenotazione e al costo di 3 euro a persona per gruppi di minimo 20 persone, partecipare alle visite guidate e agli incontri con il curatore. La mostra “Banksy è chi Banksy fa! An unconventional Street Art Exhibition”, visitabile fino al 17 luglio 2022, sarà aperta al pubblico, con biglietto d'ingresso intero di 10 euro, dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 18.30. Organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Desenzano del Garda e prodotta dall'agenzia MV Eventi di Vicenza e sostenuta dal media partner Arte In, la mostra non presenterà solamente il celebre artista di Bristol, ma anche alcuni dei principali protagonisti della scena Street Art internazionale come Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Obey, Space Invader, Ron English, Anthony Lister, Mason Storm, Mark Dean Veca, Martin Whatson, Donald Baechler, Paul Kostabi, D*Face, KayOne, MR. Wany, Sandra Chevrier, Icy and sot, Hama Woods, Vhils, Ben Eine, Solomostry, Thetan One, Slog 175, Skaione, Cizerocentodieci, Evyrein. Circa 50 opere, tra cui alcune esposte alla Biennale di Venezia, provenienti da collezioni private italiane e dagli stessi artisti in un'alternanza di lavori su tela, legno, carta, scultura, serigrafie firmate, poster e memorabilia selezionati dopo oltre due anni di ricerca. "La mostra" spiega Matteo Vanzan di MV Eventi "è strutturata per essere una riflessione sul fenomeno Banksy, più che essere una mostra di Banksy. Vogliamo porre al visitatore una serie di interrogativi non solo attraverso le opere esposte, ma soprattutto lungo un percorso didattico ed emozionale fatto di filmati, gigantografie e testi critici. La Street Art è indomabile, affascinante, misteriosa e per molti versi ancora avvolta nel mistero. È arte senza confini ed estesa in ogni angolo del pianeta per raccogliere le voci di un'umanità in continua emergenza espressiva.” Con contenuti sempre nuovi, forme in mutazione continua, la Street Art è affascinate e sexy, alternativa e allo stesso tempo mainstream diventando, dagli anni Ottanta, linguaggio istituzionalizzato proprio grazie ad un sistema dell'arte che tutto fagocita. Le più rinomate gallerie newyorkesi iniziarono ad interessarsi a quelli che, ancora, non erano considerati artisti, ma che ben presto e grazie ai sistemi di promozione culturale, divennero a tutti gli effetti delle vere e proprie star, in primis Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. L'artista di Bristol rappresenta la punta di un iceberg le cui origini iniziano nelle metropolitane degli Stati Uniti verso la prima metà degli anni Sessanta per espandersi sempre di più nei pieni Settanta. Fu grazie alle contestazioni studentesche e sociali del '68 che si sancì la nascita di quella controcultura sintomo del rinnovamento di stili, linguaggi e forme espressive dal Post-Minimalismo alla Street Art. Quello scolpito sui muri è un messaggio necessario per esprimere il proprio dissenso, per riappropriarsi di quegli spazi, definiti non-luoghi, la cui genuinità non deve sopportare i vincoli dei circuiti ufficiali. Ecco nascere, in tutto il mondo, un coro generazionale che, parlando direttamente al pubblico, riporta l'arte ad una nuova dimensione di significato: lo crea senza mai subirlo. Quello rappresentato in questa esposizione è un luogo del mistero e dell'invisibilità, consapevoli che non c'è più tempo per definizioni o accademismi ma che la Street Art è oggi linguaggio universale della nostra società. “Questa mostra vuole chiedersi, oggi, cosa sia la Street Art: dove nasca, chi ne siano i principali protagonisti giunti alla ribalta internazionale e quale sia oggi la potenza del muro” conclude Matteo Vanzan “un supporto concreto e tangibile su cui gli artisti di tutto il pianeta tessono messaggi sociali che giungono con forza inaudita sino a noi. Il tempo del mondo metropolitano tanto caro a Taki 183 sembra essere finito, ma non quello del mondo underground e dei circuiti alternativi. Come la pittura a buon fresco, anche i lavori su muro oggi assumono un significato allegorico che va contestualizzato con la società contemporanea senza dimenticarsi mai che, come Banksy ci ricorda, “l'invisibilità è un superpotere.” Dal 4 giugno al 03 luglio 2022, inoltre, presso la Galleria Civica Gian Battista Bosio sarà presentata “Alethéia: la ricerca della verità attraverso la conoscenza”, esposizione trasversale che presenterà le opere di sette artisti contemporanei: Guido Airoldi, Angelo Alessandrini, Giorgio Dalla Costa, Daniele Nalin, Manlio Onorato, Donatella Pasin e Maurizio Taioli. Le opere di questi artisti rappresentano uno spaccato della pittura italiana che, dall'estasi dell'espressionismo astratto fino ai silenzi dell'introspezione psichica, ci conducono a riflettere sul significato più profondo dell'essere artista oggi. Le opere degli artisti selezionati sono state esposte in Musei italiani e stranieri di rinomata importanza culturale come il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, la Galleria d'arte moderna di Torino e, nell'appuntamento di Desenzano del Garda, presenteranno opere di pittura e scultura. MAGGIORI INFORMAZIONICastello di Desenzano del Garda (Bs) - Via Castello, 63 ORARI DI APERTURADal martedì alla domenica 10.00 - 18.30. Chiuso lunedì BIGLIETTIIntero 10 euro / Ridotto 8 euro / Gratuito minori di 10 anni VISITE GUIDATEVisita guidata al costo di 3 euro a persona (gruppo minimo di 20 persone) CONTATTI E PRENOTAZIONIUfficio Cultura: 030/9994161 / Castello: 335/6960209Mail: cultura@comune.desenzano.brescia.it / desenzanocastello@gmail.com MV EVENTIwww.mveventi.com / info@mveventi.com
Sette anni dopo l'inizio del più grande processo contro la ‘ndrangheta nel Nord Italia, si è concluso Aemilia: il 7 maggio 2022 la Corte di Cassazione ha messo la parola "fine" sul troncone principale del maxiprocesso alla 'ndrangheta emiliana. Per capire l'ultima sentenza bisogna andare indietro nel tempo, al 28 gennaio del 2015 - giorno dell'operazione Aemilia - e ancora prima, fino agli anni Ottanta, attraversando faide interne e un radicamento sempre più profondo nel tessuto economico, imprenditoriale e culturale dell'Emilia-Romagna: un radicamento che prosegue ancora oggi.Il nuovo episodio di Sentiti Libera a cura di Sofia Nardacchione, con la voce di Enza Rando, responsabile dell'ufficio legale di Libera.
Pino Arlacchi"Giovanni e io"In prima linea con Falcone Contro Andreotti, Cosa Nostra e la Mafia di StatoChiareletterehttps://www.chiarelettere.it/“Potrei fare a meno di molte persone ma mai di Pino Arlacchi.”Giovanni Falcone“I miei giorni si sono intrecciati con quelli di un uomo eccezionale, pieno di vita, che sentiva l'approssimarsi della fine e continuava ostinato a navigare nella tempesta.”Pino Arlacchi Com'era collaborare con Giovanni Falcone? Quali erano le sue riflessioni più private? Come si svolgeva il suo lavoro investigativo? In un crescendo appassionato e pieno di dettagli inediti, Pino Arlacchi racconta per la prima volta la storia della sua amicizia con Falcone dal 1980 fino a Capaci, gli incontri privati nella casa del giudice in via Notarbartolo a Palermo, l'eccezionale impresa conoscitiva e giudiziaria che porterà al maxiprocesso, i viaggi comuni negli Usa per decifrare con gli inquirenti americani le trafile del grande traffico di eroina tra la Sicilia e gli Stati Uniti, la scoperta del riciclaggio nei paradisi fiscali, i retroscena dell'incontro con Tommaso Buscetta e quelli dell'arrivo di Falcone a Roma, al ministero di Grazia e Giustizia, e del mancato pentimento di Tano Badalamenti. Il tutto all'ombra della grande sfida con Giulio Andreotti e la mafia di Stato.Sono tante le storie mai raccontate prima, che restituiscono con nettezza il profilo di un professionista e di un lavoratore instancabile, ben diverso da quello dell'eroe solitario e votato alla sconfitta depositatosi nella memoria collettiva dopo la sua tragica morte. Falcone non è morto solo e non è morto invano. Queste pagine colpiscono perché mostrano in presa diretta il lavoro sul campo di un grande magistrato, in costante intesa con un ricercatore sociale “che fabbrica cartucce che gli consentono di sparare più lontano”. Un amico fraterno che lo aiuta a valorizzare la sua intelligenza, la sua determinazione, il suo ineguagliabile senso della giustizia.Sullo sfondo c'è l'Italia degli ultimi tre decenni del secolo scorso, tratteggiata con maestria dall'autore: la strategia della tensione, la Guerra fredda e l'alleanza asimmetrica con gli Stati Uniti. Una parte importante è dedicata al racconto dell'influenza degli apparati d'intelligence americani nelle storie italiane, compresa la grande stagione della lotta allamafia. Questo libro riempie un vuoto e rappresenta un contributo essenziale per conoscere le opere e i giorni di Giovanni Falcone.Pino Arlacchi è una delle massime autorità mondiali in tema di sicurezza umana, ed è noto per i suoi libri, tradotti in molte lingue, e per la sua attività pubblica contro i poteri criminali. Professore ordinario di Sociologia, ex vicesegretario generale e direttore esecutivo del programma antidroga e anticrimine dell'Onu, è stato collaboratore e amico dei giudici Chinnici, Falcone e Borsellino. Deputato e senatore, parlamentare europeo, è stato tra i maggiori architetti della strategia antimafia italiana negli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. Ha redatto il progetto esecutivo della Dia, la Direzione investigativa antimafia, e ha fatto parte del comitato internazionale di tre esperti costituito dalla Repubblica popolare cinese per la sicurezza dei Giochi olimpici del 2008.Il maggior risultato ottenuto da Arlacchi durante il suo mandato alle Nazioni unite è stato l'approvazione da parte dei paesi membri del Trattato mondiale contro la criminalità organizzata transnazionale, il sogno di Giovanni Falcone.È presidente del Forum internazionale di criminologia e diritto penale, un'associazione di studiosi d'eccellenza provenienti da 50 paesi, con sede a Pechino.Tra i suoi libri: Gli uomini del disonore (Mondadori 1992), Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani (Rizzoli 1999), La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell'inferno (il Saggiatore 2007), L'inganno e la paura. Il mito del caos globale (il Saggiatore 2009), I padroni della finanza mondiale. Lo strapotere che ci minaccia e i contromovimenti che lo combattono (Chiarelettere 2018).IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
A partire dagli anni Ottanta un gruppo di antropologi, tra cui l’insigne James Clifford, impresse una svolta fondamentale al modo di narrare le altre culture. Se fino a quel momento la ricerca antropologica era stata uno sguardo dell’Occidente sugli altri, espresso in libri e articoli scritti con un taglio “oggettivo”, ora un tale atteggiamento non era più possibile. Il mondo stava cambiando, la lotta per la decolonizzazione era in pieno corso, gli indigeni diventavano a loro volta antropologi. Di qui l’idea di abbandonare la pretesa di oggettività e dare un’impronta più narrativa ai testi antropologici, che dovevano contenere anche il racconto dell’esperienza del ricercatore. La svolta impressa da Clifford, e dai suoi colleghi ha cambiato il nostro modo di raccontare le altre culture, non più l’Altro visto da Noi, ma Noi insieme agli Altri. Dove stiamo andando, tutti insieme e separatamente? In questi tempi confusi, secondo Clifford, uno dei più autorevoli antropologi contemporanei, proprio una sensibilità “decentrata” può aiutarci a proporre narrazioni storiche adeguate. Taduzione consecutiva a cura di Marina Astrologo.
Chiara Tozzi"La scintilla necessaria"Mondadori Editorehttps://www.mondadori.it/A Nicola, uomo di successo che ama guerreggiare e che non ha paura di niente, manca coraggio solo in amore. Quando scopre che Sara, la donna affascinante e imprevedibile che ha amato fin da bambino, è scomparsa, decide di cercarla, mettendo a repentaglio la professione e un sereno ménage coniugale. Ha inizio così un inseguimento amoroso che si snoda nel tempo e nello spazio, dalle prime scintille del loro amore negli anni Sessanta fino a oggi, in Italia e nel mondo, in un intreccio di personaggi ed eventi che hanno segnato la nostra Storia: il Sessantotto, il terrorismo, l'euforia degli anni Ottanta, le speranze dei Novanta, il nuovo secolo e l'attacco alle Twin Towers, l'elezione di Barack Obama, la diffusione di un morbo misterioso che mette il mondo in ginocchio.Chiara Tozzi è abilissima nell'evocare la figura di Sara in assenza, nel ricostruire la vicenda di una donna istintiva e fedele a se stessa attraverso lo sguardo e i ricordi di un uomo.Un ipnotico viaggio nei sentimenti, un ritratto forte e al contempo struggente di un uomo che ha il coraggio di mettere a nudo la propria fragilità e di una donna capace di mantenersi viva, leggera, libera.Una storia d'amore ricca di ritmo e colpi di scena, con un finale emozionante e imprevedibile.Chiara Tozzi affianca l'attività di scrittrice a quella clinica di psicologa analista e a quella di docente di sceneggiatura. È autrice di racconti, romanzi, e soggetti e sceneggiature per cinema, teatro, radio e televisione. Nel 2008 ha pubblicato con Feltrinelli il romanzo Quasi una vita.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Spazio Woody di Massimo Giomi per una puntata dedicata alla musica Indie con nomi della musica british ed autori italiani. Movimento indipendente nato nei primi anni Ottanta con radici che affondano nel post-punk e con la nascita delle etichette indipendenti, che ne caratterizzano i musicisti e gli stili. In studio con Alessandra Faggiano e Sarah Orlandi.
Speravamo fosse una cosa anni Ottanta, e invece si sono perpetuati - e perpetrati - fino a oggi. Appuntamenti al buio vs. millennials: a volte gridi al miracolo, a volte gridi e basta. Lieti fini, pochi, incontri allucinogeni e folli, molti. Soprattutto con quelli che ti mandano una foto scattata vent'anni fa dicendoti che l'hanno fatta mezz'ora fa. Poi li incontri live e… che fai?A discettarne, come sempre, Vee Tridente, vestale del Disagio, supportata da Veronique e da Mattia Piagneri aka AntiChristina, Sibilla delle stelle. E, ovviamente, dalle tragistorie della Community. Che questa volta ascoltiamo dalla voce vera dei suoi correntisti…
Peter SteinGianluigi Fogacci"Un'altra prospettiva"La vita e il teatro di un MaestroManni Editorihttps://www.mannieditori.it/"Io non voglio vedere su un palcoscenico ciò che posso vedere per strada, o sul mio pc, io voglio vedere una cosa diversa, voglio essere trasportato in un sistema di pensiero differente, non in quello dell'oggi in cui sono immerso; io voglio che il teatro mi regali un'altra prospettiva". Peter Stein, nato nel 1937 a Berlino, è uno dei registi teatrali più importanti e innovativi del teatro contemporaneo.In questo dialogo con Gianluigi Fogacci per la prima volta si racconta, e racconta una vita straordinaria e intensa che attraversa il Novecento fino ai giorni nostri: il lavoro, il privato, la politica.L'infanzia durante la Seconda guerra mondiale, il rapporto con il padre e con la generazione del nazismo, gli studi di letteratura e storia dell'arte per crearsi una “biblioteca interna”, il Sessantotto in Germania, la Schaubühne – esperimento di teatro collettivo nella Berlino Ovest degli anni Settanta e Ottanta –, i maestosi spettacoli portati in giro per il mondo, l'arrivo in Italia nel 1987 e l'approdo alla lirica. E poi le relazioni con il potere e le istituzioni, i tragici greci e Shakespeare e Checov, la visione del teatro che è visione dell'arte e della società e dell'esistenza.Un libro che racconta come il teatro sia imprenditoria, sia letteratura, sia tecnica, sia impegno civile, sia prospettiva. Una storia personale che si intreccia con quella collettiva, in cui Stein si mette a nudo, e rivela uno dei grandi maestri della nostra epoca.Peter SteinNato nel 1937 a Berlino, è uno dei maggiori registi contemporanei. Vive in Italia, tra San Pancrazio in Umbria e Roma.Gianluigi FogacciÈ nato a Bologna nel 1966. Attore e regista, si è formato alla Bottega teatrale di Vittorio Gassman e ha lavorato con i maggiori registi teatrali italiani, oltre che con Peter Stein. Ha partecipato anche a produzioni cinematografiche e televisive. Svolge attività di insegnamento in varie scuole di teatro.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
A Varano, tre giorni di ASI MotoShow che la pioggia ha provato a rovinare. Ma tanti appassionati sono arrivati comunque e poche ore di sole hanno innescato la festa. In questi eventi si respira nel paddock l'atmosfera degli anni Settanta e Ottanta
L'insolita vicenda dei video disc, ossia film e concerti su vinile, prodotto in voga negli anni Ottanta, ritirato molto presto dal mercato e diventato un pilastro del modernariato e del collezionismo audio/video. Occhio al «suono surreale» delle bestie da spiaggia costruite da Theo Jansen.
La strana storia di Capitan Mezzanotte, il primo “hacker” a prendere il controllo di un satellite negli anni Ottanta con un movente incredibilmente bizzarro, rivela un punto debole inaspettato dei satelliti per telecomunicazione che vale ancora oggi: un esperimento recente lo ha confermato. Non occorre essere supercattivi da film di James Bond, ma non provateci a casa!I testi di questa puntata, con i link e le fonti di riferimento, sono disponibili sul blog di Attivissimo.
La strana storia di Capitan Mezzanotte, il primo “hacker” a prendere il controllo di un satellite negli anni Ottanta con un movente incredibilmente bizzarro, rivela un punto debole inaspettato dei satelliti per telecomunicazione che vale ancora oggi: un esperimento recente lo ha confermato. Non occorre essere supercattivi da film di James Bond, ma non provateci a casa!I testi di questa puntata, con i link e le fonti di riferimento, sono disponibili sul blog di Attivissimo.
Letizia Battaglia, la fotografa della mafia, è morta il 13 aprile all'età di 87 anni. Luciano del Castillo ha iniziato la sua carriera con lei al Laboratorio d'IF (Informazione Fotografica) che lavorava per il giornale L'Ora di Palermo. Il fotografo ANSA racconta in questo podcast di Cecilia Ferrara il periodo esaltante e terribile del lavoro del gruppo di Letizia Battaglia negli anni Ottanta e Novanta a Palermo, l'epoca della battaglia dei Corleonesi.Musica Blue Dot Sessions - Warm Fingers
Ci sono stati anni in cui il librogame era un oggetto veramente magico, che ci poteva trasportare in posti fantasy, fantascientifici, noir, e permetterci di vivere un'avventura a portata di pollice (che teneva irrimediabilmente l'ultima pagina visitata). Poi i videogiochi hanno deciso che quel tempo di fasti era finito, ma l'oblio non è stato totale e negli ultimi anni, per fortuna, il librogame è tornato alla ribalta, fino ad abbracciare proprio quel videogioco che sembrava essere il suo acerrimo nemico. Orfano di Andrea Peduzzi, Davide Moretto è coadiuvato dall'uomo dei due mondi Francesco Tanzillo nell'intervistare Mauro Longo e Lorenzo Fantoni, che ci parlano di Press Start, un bellissimo progetto in cui i videogiochi degli anni Ottanta diventano librogame di cui fruire con gettoni, vite e boss di fine livello. Cosa vuol dire creare un librogame nel 2022? E come si è riusciti a far entrare in un mondo cartaceo tutte le meccaniche di un videgioco d'azione? Ma soprattutto, perché il tizio di fianco a me vuole finirmi il livello? Le risposte a questi e ad altri numerosissimi quesiti nel nuovissimo appuntamento con Le interviste del Tentacolo Viola!!! Il crowdfunding al progetto Press Start è disponibile cliccando qui.
Nicoletta Bortolotti"Disegnavo pappagalli verdi alla fermata del metrò"La storia di Ahmed MalisGiunti Editorehttps://www.giunti.it/Una storia di riscatto, solidarietà e tenacia: perché solo quando ci crediamo fino in fondo, i sogni possono diventare realtà. Ahmed Malis, un ragazzo di origine egiziana, figlio di genitori immigrati a Milano negli anni Ottanta, ama disegnare ed è un vero prodigio autodidatta. La sua famiglia, però, non ha abbastanza disponibilità economica per mandarlo all'Accademia d'arte e sogna per lui un futuro solido, non certo da artista. Ahmed frequenta insieme ai suoi fratelli il centro di aggregazione giovanile CDE Creta, molto attivo nel quartiere milanese del Giambellino. Proprio qui, grazie all'iniziativa di un educatore che più di tutto vuole dare una chance a questi adolescenti spesso allo sbando, Ahmed riesce a pubblicare i suoi disegni sul Corriere.it e a realizzare il suo sogno. I disegni della copertina e degli interni sono di Ahmed Malis.Nicoletta Bortolotti nasce in Svizzera, ma vive in Italia. Laureata in pedagogia, redattrice Mondadori, autrice per ragazzi e per adulti, incontra studenti nelle scuole di tutta Italia e della Svizzera. Ha pubblicato per Sperling & Kupfer Il filo di Cloe ed E qualcosa rimane (premio Carver e Leonforte); per Mondadori Sulle onde della libertà; per Einaudi ragazzi In piedi nella neve (premio Gigante delle Langhe e premio Cento), Oskar Schindler Il Giusto e La bugia che salvò il mondo. Per Harper & Collins Chiamami sottovoce (premio Alvaro Bigiaretti e Giuditta), grazie al quale è stato girato un docufilm per Rai 3.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
Ad essere sottoposte alle analisi saranno principalmente persone residenti in alcune zone collinari di Trissino vecchia e persone che hanno frequentato l'asilo parrocchiale dal 1963 agli anni Ottanta.
In occasione dell'80esima puntata di Radio Gombl8 si è tornati a raccontare la vera verità: guardiani alieni che stanno evitando l'escalation di una guerra nucleare, la "volpe a 9 code" è di nuovo tra noi, e la storia del criptide Re dei ratti.
Francesca Serafini"Una serata dedicata a Fabrizio De André"Laboratorio di Resistenza PermanenteFondazione E. di MirafioreVia Alba 15, 12050 Serralunga d'Alba, Cuneohttps://www.fondazionemirafiore.it/ Sabato 19 febbraio ore 18.30Una serata dedicata a Fabrizio De Andrécon Dori Ghezzi, Francesca Serafini, GiuaDopo quella dedicata a Lucio Battisti, la Fondazione Mirafiore dedica una serata ad un altro cantautore che ha segnato la musica italiana, Fabrizio De André. Protagoniste della serata sono Dori Ghezzi e la sceneggiatrice e scrittrice Francesca Serafini che, sabato 19 febbraio alle ore 18:30, rendono omaggio all'uomo, all'intellettuale e al poeta, ma anche al valore letterario delle sue canzoni, dei testi sparsi, agli appunti che ci ha lasciato e al quale la Nave di Teseo, in collaborazione con la Fondazione De André Onlus, ha dedicato 'I libri di Fabrizio De André', una preziosa nuova collana che ha come obiettivo quello di diffondere la conoscenza delle opere del cantautore e di mantenere attivo lo studio e l'analisi delle sue creazione. Le canzoni di Faber sono lo sguardo di un intellettuale sul mondo in divenire, raccontano i cambiamenti della società italiana, accompagnano o anticipano le sue rivoluzioni. Ma sono anche parole in versi, frammenti di un discorso letterario che non conosce confini di genere e di epoca. Francesca Serafini è una grande conoscitrice del personaggio storico, che è stato il soggetto della sua sceneggiatura per “Fabrizio De Andrè - Principe Libero” e del suo libro “Lui, io, noi” e porterà tutta la sua conoscenza e la sua prospettiva per aiutare a delineare al meglio la figura di De Andrè, insieme ai ricordi, più intimi e di moglie, di Dori Ghezzi. Alle due ospiti si affianca, con la sua chitarra e la sua bella voce, una terza donna: Maria Pierantoni “Giua” che con De Andrè ha una certa confidenza e pure una certa assiduità avendo partecipato all'omaggio che Neri Marcorè ha portato in giro per tanti teatri italiani. Sarà bello riascoltare alcune delle più belle canzoni di Faber, reinterpretate da una voce femminile. L'evento ha inizio alle ore 18:30 e la partecipazione è gratuita previa prenotazione sul sito www.fondazionemirafiore.it Al momento l'incontro è sold out ma ci si può iscrivere alla lista d'attesa. Per chi non potesse partecipare, l'incontro si potrà seguire anche in diretta streaming."Lui, io, noi"Dori Ghezzi, Francesca Serafini, Giordano MeacciEinaudi Editorehttps://www.einaudi.it/L'infanzia di Dori e quella di «Bicio», che mostra come la storia sia sempre stata una sola, anche quando loro non si conoscevano. Il primo incontro, a un premio musicale vinto da entrambi, durante il quale non smettevano di guardarsi. La nascita della figlia Luvi e la quotidianità campestre in Gallura. I mesi del sequestro, in cui a sostenerli fu proprio quel legame «fermo, limpido e accecante» che sarebbe continuato oltre il tempo. Un tempo sempre scandito dalla magia degli incontri: da Marco Ferreri a Lucio Battisti, da Cesare Zavattini a Fernanda Pivano. Tra bambine che chiacchierano con Arturo Toscanini e bambini che bevono cognac sotto i bombardamenti. Tra cuccioli di tigre allevati in salotto e un viaggio in nave con un toro limousine. Scritto assieme agli sceneggiatori di Principe libero, il film tv sul cantautore, Lui, io, noi è una storia privata che s'intreccia con quella pubblica di chi, da sessant'anni, ascolta De André. Soprattutto è il racconto intimo, commovente, a tratti perfino buffo, di un grande amore.«Ci guardiamo, e a tutt'e tre viene da pensare, istintivamente, a un giorno non troppo lontano degli anni Ottanta, magari; o a una notte di primavera dei Novanta. Con Fabrizio che s'aggira sospettoso sulle sue, di clarks, perché gli è sembrato di sentire un brusio in camera da letto di cui ora ha perso le tracce; e per un attimo, un attimo soltanto, ha avuto l'impressione di un qualche futuro sghembo di cui gli sembrava di aver avvertito l'eco: fluttuante, e incerta, come tutte le voci lontane quando ci chiamano da lunga distanza»IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/