L'appuntamento quotidiano (dal lunedì al venerdì) dedicato ai principali temi d’attualità, che vengono analizzati, approfonditi e contestualizzati principalmente attraverso l’apporto ed il confronto di ospiti in diretta.
RSI - Radiotelevisione svizzera

Solitamente, in Argentina, le elezioni di metà legislatura non suscitano molto interesse a livello internazionale. Quest'anno però si sono trasformate in una sorta di referendum, a favore del presidente in carica Milei, con la conquista di 64 deputati (contro i 31 dei progressisti). Un risultato che sorprende rispetto i sondaggi della vigilia, che avevano pronosticato un testa a testa tra la Libertà Avanza e la coalizione di sinistra Fuerza Patria.Economista di professione e ultra-liberista per vocazione, Milei è in carica da quasi due anni e aveva ripreso un Paese sull'orlo del tracolo, anche a causa di corruzione e clientelismo. Appena arrivato al potere il neo-presidente non ha perso tempo nell'utilizzare soprattutto l'arma dei tagli. Ha ridotto le pensioni, fermato parecchi cantieri pubblici, diminuito i fondi per scuole e ospedali. E ha spinto sul pedale delle privatizzazioni. Tutto questo sta però avendo importanti conseguenze a livello sociale, basti dire che un cittadino su tre vive al di sotto della soglia di povertà. E che i mercati non sembrano dargli molta fiducia, proprio in questi giorni ci è voluto un intervento di Donald Trump in persona, e delle finanze USA, per perlomeno rallentare la perdita di valore del peso, la moneta nazionale.Dove sta andando l'Argentina di Milei? Cosa dire dei due volti della sua politica economica e finanziaria, che riduce l'inflazione ma accresce la crisi sociale? E quale il ruolo degli Stati Uniti, e anche della Cina, in questo Paese dell'America Latina fin troppo abituato a convivere con il rischio della bancarotta?Ne discuteremo conElena Basso, collaboratrice RSI dal Sudamerica Antonella Mori, docente di economia politica dei Paesi dell'America latina, alla Bocconi di Milano

In questi giorni la quotazione dell'oro ha sorpassato i 4'000 dollari l'oncia, un livello mai visto. Un'evoluzione che piace sicuramente a chi ha investito nel metallo prezioso. Certi osservatori invece, vedono in questo record un segnale di fuga verso beni rifugio e perciò di preoccupazione per quanto sta accadendo sui mercati finanziari e nell'economia reale.Da una parte investitori pessimisti preoccupati per una bolla azionaria gonfiata dalle aspettative legate all'intelligenza artificiale e per il debito pubblico di molti paesi, dall'altra gli ottimisti che vedono un'economia globale in crescita nonostante i dazi imposti dagli Stati Uniti, mentre il potenziale dell'intelligenza artificiale comincia appena a venire sfruttato. Per aiutarci a capire le scelte degli investitori e gli intrecci fra economia reale, geopolitica e finanza sono ospiti di Modem:Elena Guglielmin, analista economica di UBSEdoardo Beretta, professore di Macroeconomia internazionale all'USI di Lugano

Gli assistenti di Intelligenza Artificiale (IA) come Copilot, Perplexity, Gemini o ChatGPT non sono ancora un modo affidabile per accedere alle notizie e informarsi sui fatti del mondo, ma un numero sempre maggiore di utenti si fida della loro accuratezza. Lo si legge in uno studio realizzato dalla BBC in collaborazione con l'Unione europea di radio-televisione (EBU) secondo il quale oltre un terzo delle risposte fornite dall'IA presenta problemi considerati “significativi”. Quali i rischi? Quali le prospettive, anche dal punto di vista occupazionale per chi lavoro in questo ambito? E quali, più in generale, le conseguenze di questo stato di cose per la tenuta della democrazia? Ne discutiamo con: Ruben Razzante, Docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma Francesco Veri, politologo, ricercatore senior presso il Centro per gli studi democratici di Aarau, affiliato all'Università di Zurigo Domenico Talia, professore di informatica all'Università della Calabria, autore del libro “Giornalisti robot? L'IA generativa e il futuro dell'informazione”

Insulti, diffamazioni, minacce anche di morte, attacchi verbali ma pure fisici, vandalismi. Manifestazioni di ostilità - se non di odio - che per quasi tutti i parlamentari attivi a livello federale e per tre quarti dei membri dei legislativi cantonali sono ormai la quotidianità. Uno studio realizzato dall'Università di Zurigo, su mandato del Dipartimento federale di giustizia e polizia, mette per la prima volta in evidenza tutta l'ampiezza del fenomeno e le conseguenze. Ad essere presi di mira in particolare sono gli esponenti dei Verdi e dell'UDC. A livello comunale invece i bersagli sono più spesso le donne, i politici di sinistra e le minoranze sociali, religiose, etniche o sessuali. Categorie, queste ultime, che tendono poi ad evitare l'esposizione mediatica, a limitare la loro visibilità e i loro interventi, con ripercussioni sulla partecipazione e la loro rappresentatività politica.E' un “rischio del mestiere” che bisogna mettere in conto? Oppure vanno messi dei limiti? E quali? Ne discuteremo conNara Valsangiacomo, granconsigliera dei Verdi Diego Baratti, vicepresidente UDC TI, vicesindaco di Ponte Capriasca Nenad Stojanovic, politologo dell'Università di Ginevra Con un'intervista registrata all'autrice dello studio Lea Stahel.

È una lunga maratona europea quella con cui è confrontato il nostro Paese, chiamato nei prossimi due o tre anni a prendere posizione sul nuovo pacchetto di accordi tra Svizzera e Unione europea. Dall'anno prossimo toccherà al Parlamento discuterne, poi si andrà alle urne, forse nel 2027 o forse un anno più tardi, dopo le prossime elezioni federali. Un pacchetto gigantesco, da quasi 1900 pagine, che grazie ad un referendum (che sia volontario obbligatorio o sui generis) verrà sicuramente sottoposto anche al vaglio delle urne. Resta da capire il modo in cui questa votazione verrà organizzata: basterà la semplice maggioranza del popolo o ci vorrà anche quella dei cantoni. Un quesito centrale in questa vicenda e su cui il Parlamento avrà l'ultima parola. Un interrogativo che sottoporremo ai nostri ospiti, per capire e approfondire le ragioni degli uni e degli altri in questa partita dal valore epocale per il nostro Paese. A discuterne avremo con noi:Greta Gysin, consigliera nazionale del Verdi/TIAnna Giacometti, consigliera nazionale PLR/GRPiero Marchesi, consigliere nazionale UDC/TIFabio Regazzi, consigliere agli Stati Centro/TI

Venerdì scorso l'incontro fra il presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymir Zelensky non ha portato praticamente a nulla. Zelensky sperava in un appoggio militare americano – leggasi la consegna di missili a lunga gittata Tomahawk – che non è arrivato. Donald Trump guarda già al possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest: un incontro che potrebbe tenersi nelle prossime settimane e che però potrebbe rivelarsi – nuovamente, come accaduto ad Anchorage, in Alaska del 15 agosto scorso - un semplice atto simbolico. Nel frattempo, l'Europa osserva con preoccupazione, temendo di essere marginalizzata in un gioco diplomatico dominato da Washington e Mosca. A Modem facciamo il punto della situazione sui due paesi tutt'ora in conflitto con Bettina Müller, responsabile attualità estera Radio - RSI, appena rientrata dall'UcrainaDavide Maria De Luca, collaboratore RSI da KievAlberto Zanconato, collaboratore RSI da Mosca

Le realtà alpestri e contadine ticinesi considerano a rischio il futuro di molti alpeggi in Ticino e delle attività economiche legate agli alpeggi (per esempio la produzione di formaggio). Domani manifestano a Bellinzona per chiedere un sostegno finanziario migliore e, soprattutto, l'abbattimento di un maggior numero di esemplari. In Ticino ci sono sette branchi, per un totale di circa 40 esemplari, ai quali vanno aggiunti i lupi in transito sul territorio cantonale. Da inizio anno e fino al 30 settembre 184 animali sono morti a causa del lupo, un numero in aumento rispetto al 2024.Un reportage di Roberto Porta ci farà conoscere due diverse aziende agricole - una in valle Maggia, l'altra in valle di Blenio - che affrontano i rischi legati alle predazioni in modo completamente diverso. Metteremo poi a confronto mondo agricolo e Cantone con: - Omar Pedrini, allevatore e presidente dell'Unione Contadini Ticinesi - Alex Farinelli, consigliere nazionale e presidente della Società Ticinese di Economia Alpestre - Tiziano Putelli, capo Ufficio Caccia e Pesca del Canton Ticino - Stefano Rizzi, direttore Divisione Economia del Canton Ticino

La protesta dei nati tra la fine degli anni Novanta e la prima decade del Duemila dilaga nei Paesi a basso reddito. A spingere i giovani sono rivendicazioni sociali e politiche. Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati di smartphone e di una rabbia dai tratti ricorrenti, e ci spingono a chiederci se non siamo di fronte ad una mobilitazione che unisce i continenti. La generazione Z protesta contro la corruzione, le disparità e l'inettitudine delle classi politiche. Rivendicano lavoro, diritti, dignità. Non ci sono vertici: strategie e luoghi di incontro si condividono online su TikTok, Instagram, Discord, Telegram. Stessi simboli, slogan e codici circolano in Paesi distanti geograficamente fra loro, ma non a caso in latitudini dove l'età media è inferiore ai 30 anni.E in alcuni di questi Paesi la Gen Z già riuscita – con le sue proteste – a far cadere i governi, nella speranza di un cambiamento. A Modem ne parliamo con:· Alessandra Polidori, sociologa e ricercatrice presso il Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione di Neuchâtel.· Chiara Reid, collaboratrice RSI dall'India· Freddie Del Curatolo, collaboratore RSI dall'Africa

L'ex acciaieria Monteforno va in scena al Teatro Sociale di Bellinzona. Il libro intitolato “Quaderno della Monteforno. Un racconto di fabbrica” di Sara Rossi Guidicelli è diventato uno spettacolo teatrale. Nella puntata di domani partiremo da qui, da quello che è stata tra il 1946 e il 1995 la Monteforno per gli operai, per la Bassa Leventina, per il Ticino. Parleremo di quello che ha portato e che ha lasciato nel mondo del lavoro, e in un settore – quello dell'acciaio- oggi in crisi. Lo faremo con Sara Rossi Guidicelli, giornalista e scrittrice, autrice di “Quaderno della Monteforno” Franco Romerio, storico ed economista, municipale di Giornico Nicola Tettamanti, presidente di Swissmechanic e imprenditore

Tra settembre e novembre 2025 sette regioni italiane —Toscana, Campania, Puglia, Veneto, Marche, Calabria e Valle d'Aosta — sono chiamate alle urne per eleggere Presidenti e Consigli regionali, in quello che parrebbe essere un momento politico cruciale per misurare la forza dei principali schieramenti (centrodestra, centrosinistra, “campo largo”) in vista delle prossime scadenze nazionali. A metà di questa tornata elettorale (ieri era la volta della Toscana, dopo i verdetti di Valle D'Aosta, Calabria e Marche) a Modem poniamo la lente su questo appuntamento elettorale: Cosa ci dicono dunque queste elezioni regionali italiane? Che conclusioni potremo trarre a voto avvenuto e in prospettiva della scadenza del 2027 con il rinnovo dei poteri politici nazionali? E in via più generale come stanno l'Italia e il Governo Meloni? Ne parliamo a Modem con: Marco Valbruzzi, professore di Scienze Politiche all'Università Federico II di NapoliElisa Volpi, professoressa assistente di Politica comparata alla Franklin University di LuganoFrancesca Torrani, corrispondente RSI da Roma

Donald Trump è in viaggio verso il Vicino Oriente per raccogliere i frutti di quello che finora potrebbe diventare il suo maggior successo in politica estera, vale a dire la fine degli scontri armati a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Cosa dire invece della situazione negli stessi Stati Uniti ad appena nove mesi dall'inizio del secondo mandato presidenziale di Trump. Il paese si trova infatti in uno “shutdown”, con le attività governative ferme per la mancanza di un accordo sul bilancio statale al Congresso. L'amministrazione repubblicana si è fatta notare per il suo voler mettere in riga i vari poteri dello stato, pensiamo solo all'esercito e al Dipartimento di Giustizia. Senza poi dimenticare gli attacchi ad altre istituzioni dalla Federal Reserve alle Università fino ai media. Un approccio che solleva interrogativi: si tratta di una normale dinamica della politica americana, oppure siamo di fronte a una deriva autoritaria verso una democrazia illiberale, sul modello di Turchia o Ungheria? Mattia Ferraresi, giornalista di “Domani” Stefano Luconi, Professore di Storia degli Stati Uniti d'America all'Università di Padova Andrea Vosti, corrispondente RSI da Washington

«Abbiamo atteso tutti troppo a lungo questo momento. Ora dobbiamo far sì che conti davvero». Queste parole del segretario generale dell'Onu Antonio Guterres riassumono quello che è il sentimento di tutti coloro che da mesi e mesi chiedevano la fine dell'azione militare israeliana a Gaza. Perché l'accordo tra Israele e Hamas, raggiunto la scorsa notte e relativo alla prima fase del processo di pace promosso dall'amministrazione statunitense, deve passare dalle parole, ai fatti. E le incognite non sono poche. Nell'attesa di capire se e come il cosiddetto “Piano Trump” – che peraltro assomiglia molto alla proposta egiziana di qualche mese fa, elaborata in collaborazione con Giordania e Qatar e approvata dalla Lega Araba – verrà attuato, a Modem vedremo di capire quali sono le dinamiche, le diverse visioni e i diversi obiettivi da parte israeliana e palestinese. Perché non c'è una sola Hamas, e non c'è solo Hamas, e perché il governo israeliano ha al suo interno figure che i palestinesi vogliono eliminarli e basta e che questo accordo non lo sosterranno, senza dimenticare che lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu è stato convinto “con veemenza” dall'alleato americano, che questa è l'unica via percorribile. Ne parliamo con:MICHELE GIORGIO, giornalista, collabora con la RSI da Gerusalemme (quicklink)PAOLA CARIDI, giornalista e saggista, storica di Hamas (quicklink)CLAUDIA DE MARTINO, docente di storia contemporanea Università del Lussemburgo, esperta di Israele (quicklink)

E' arrivata la notizia che tutti attendavamo. E' stato raggiunto un accordo di pace per la Striscia di Gaza: Israele e Hamas attueranno una prima fase del piano di pace in venti punti, che il presidente statunitense Donald Trump ha reso pubblico pochi giorni fa. Una prima fase che dovrebbe portare presto alla fine dei combattimenti. Una conferma è arrivata anche da Hamas, che nei prossimi giorni libererà tutti i venti ostaggi ancora in vita, in cambio dei prigionieri palestinesi. Solo allora l'esercito israeliano inizierà a ritirarsi da gran parte del territorio della Striscia. E cosa ancora più importante, per la stremata popolazione di Gaza, gli aiuti umanitari potranno entrare senza limitazioni. Alcuni dei punti più controversi, come il disarmo di Hamas, dovranno essere negoziati in seguito.Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato di un grande giorno per Israele. Ma questo primo passo quanto è significativo? E' davvero in arrivo una pace duratura e stabile?Ne discuteremo con- Rossella Tercatin, giornalista di Times of Israel a Gerusalemme-Francesca Caferri, giornalista di Repubblica, esperta di Paesi del Golfo-Emiliano Bos, giornalista inviato della RSI

Domenica scorsa si sono svolte in Siria le prime elezioni legislative del “dopo-Assad”: le prime dopo oltre 13 anni di guerra civile. Elezioni tutte particolari, indirette, con 1'500 candidati prescelti da una speciale commissione e un numero molto ristretto di elettori anch'essi prescelti: circa 6'000 su una popolazione di 24 milioni. Elezioni quindi molto poco democratiche, ma che per le nuove autorità di Damasco rappresentano un primo passo verso “una maggiore partecipazione politica”. Intanto, in questo paese ancora tutto da ricostruire, gli scontri avvenuti la scorsa notte ad Aleppo ci ricordano l'estrema fragilità. Come sta allora la Siria d'oggi? Quali le sue prospettive in un Medio Oriente in subbuglio? E quale il significato di queste elezioni? Ne discutiamo con: Lorenzo Trombetta, giornalista e saggista, esperto di SiriaValeria Giannotta, docente universitaria e direttrice scientifica dell'osservatorio Turchia del CESPI (Centro Studi di Politica Internazionale)Da Aleppo la testimonianza di Jean-François Thiry, supervisore dell'Ong Pro Terra Sancta

Ieri il Presidente francese ha chiesto al premier dimissionario Sébastien Lecornu di fare un nuovo tentativo per arrivare a formare un Governo. Ma da quel pasticciaccio brutto, iniziato dopo le elezioni parlamentari anticipate dell'estate dello scorso anno, la Francia non riesce a trovare una via d'uscita. Con un parlamento diviso in tre fronti fra sinistra, centrodestra ed estrema destra i tentativi di arrivare ad un Governo in grado di far passare almeno una legge di bilancio falliscono regolarmente. In poco più di un anno si sono passati la carica quattro primi ministri. Ora sono in molti a chiedere, nuovamente, elezioni parlamentari. Addirittura, c'è pure chi chiede le dimissioni del Presidente Macron.Di questo momento delicato per la Francia ne discutono a Modem:Annalisa Cappellini, collaboratrice RSI da ParigiMichele Marchi, prof. Storia contemporanea Uni BolognaPaolo Modugno, docente a Sciences Po a Parigi

Sì (condizionato) al Piano per Gaza di Donald Trump. E adesso cosa succederà? S'intravvede uno spiraglio di pace o si tratta dell'ennesima illusione visto che i bombardamenti su Gaza stanno proseguendo? Il piano per Gaza di Donald Trump è davvero realizzabile? E se sì a quale prezzo in termini politici per il premier israeliano Netanyahu, per Hamas e per i paesi in prima fila che appoggiano queste negoziazioni? Ne parliamo a Modem con: Marina Calculli, politologa, docente di relazioni internazionali all'Università di LeidenClaudia De Martino, storica, ricercatrice in storia sociale e storia del medio oriente all'Università del Lussemburgo Michele Giorgio, giornalista, collabora con la RSI da Gerusalemme

Il suo nome è Tilly Norwood, si presenta come un'attrice esordiente che – lo dice la sua promotrice – è già super richiesta dalle case di produzione e ha un'agenzia di talenti pronta a rappresentarla.… È una novità nel panorama cinematografico mondiale, che è stata presentata al Festival del Cinema di Zurigo lo scorso finesettimana… Con le reazioni – da tutto il mondo – che non si sono fatte attendereE non sono tutte positive, anzi! Perché Tilly Norwood non esiste, è stata creata dall'intelligenza artificiale… . In realtà non è la prima attrice virtuale, ma il suo aspetto è talmente realistico, da passare per una persona vera. L'intelligenza artificiale viene già impiegata nella produzione cinematografica, ma è la prima volta che si parla – seriamente - dell'ipotesi di usare un'attrice finta per recitare i più disparati ruoli. L'occasione per noi per parlare della relazione fra intelligenza artificiale e cinema, una relazione peraltro già avviata da tempo, ma che pone tutta una serie di interrogativi…Con noi tre ospiti - Frédéric Maire, ex direttore della Cineteca CH, fino al 30.9.2025 e del Film festival di Locarno- Elettra Fiumi, Cineasta, produttrice, regista e montatrice, specializzata nell'utilizzo dell'Intelligenza artificiale nei film- Alessandro Bertoglio, giornalista RSI della redazione culturale

Le finanze cantonali del Ticino rappresentano da decenni un punto critico. Gli sforzi per contenere il disavanzo sono stati vanificati da una serie di decisioni popolari: dalla nota riforma del finanziamento del sistema sanitario (EFAS), alle ultime votazioni cantonali su sgravi fiscali e sussidi legati alla cassa malati, fino alla decisione federale sull'abolizione del valore locativo. A complicare ulteriormente il quadro si aggiungono i programmi di risparmio della Confederazione, che avranno ripercussioni anche sui bilanci cantonali. Se il preventivo 2026 prevede un disavanzo di 97 milioni di franchi – in linea con gli anni precedenti, le proiezioni per gli esercizi seguenti sono allarmanti: il deficit annuo potrebbe superare i 700 milioni. Una situazione che spinge il Consiglio di Stato a valutare sia tagli alla spesa, sia misure per aumentare le entrate. Ora tocca al Gran Consiglio e ai partiti affrontare questa emergenza. Saranno loro a dover trovare i necessari compromessi, nonostante le attuali posizioni divergenti e i veti incrociati. A Modem, ne discuteranno i rappresentanti dei partiti di governo: Laura Riget, copresidente PSMaurizio Agustoni, capogruppo del Centro in Gran ConsiglioDaniele Piccaluga, coordinatore Lega dei Ticinesi Alessandro Speziali, presidente PLR

Mentre c'è attesa per la risposta di Hamas al Piano di pace per Gaza proposto da Donald Trump e accettato da Benjamin Netanyahu, le prossime 24ore potrebbero essere cruciali per la Global Sumud Flotilla. La flotta di imbarcazioni civili sta infatti cercando di forzare il blocco israeliano per portare aiuti alla popolazione stremata della Striscia. L'obiettivo in termini di miglia si avvicina ma difficilmente la flottiglia riuscirà a superare il blocco israeliano e già si parla di possibile blitz dell'IDF a contrasto di questa azione pacifica. Ne parliamo a Modem cercando di stabilire un collegamento con gli attivisti ticinesi presenti sulla Flottiglia ma affronteremo anche gli aspetti legali e giuridici dell'intervento in mare qualora si dovesse effettivamente verificare. Non mancheremo poi di analizzare gli aspetti più critici dell'attività della Global Sumud Flotilla che ha contribuito a scuotere e risvegliare le coscienze della società civile ma che qualcuno ha definito inutili e irresponsabili. Ne parliamo con Fabrizio Ceppi, skipper di una delle imbarcazioni svizzere della Global Sumud Flotilla Seline Trevisanut, docente di diritto internazionale all'Università di Utrecht ed esperta di Diritto del mareFederico Zuolo, docente di Filosofia politica all'Università di Genova, autore di “Disobbedire, se, come, quando”Federica D'Alessio, giornalista, direttrice del portale online Kritica.it

La scorsa settimana il Consiglio Federale ha messo in consultazione la regola che più scotta tra quelle pensate per evitare un nuovo disastro come quello che fece scomparire il Credit Suisse: i requisiti in capitale proprio per le banche di rilevanza sistemica con filiali all'estero. Questa regola, di fatto, interessa solo UBS, tant'è vero che già si parla di una “Lex UBS”. E UBS si è già fatta sentire: ha detto che quella regola è troppo severa, troppo distante dagli standard internazionali e che penalizza esageratamente la sua competitività con i concorrenti all'estero.La prima banca elvetica ha però anche in qualche modo lasciato capire, pur affermando il suo attaccamento per il Paese, che nell'assenza di passi indietro di Berna potrebbe anche essere costretta a lasciare la Svizzera e trasferire la sua sede centrale altrove, forse negli Stati Uniti. Ma quanto è credibile questa possibilità? Quanto sarebbe opportuna per una banca che neanche tanti anni fa fu salvata da Berna e che ha poi ricevuto per una cifra considerata irrisoria l'ex concorrente Credit Suisse? Quali conseguenze avrebbe una simile decisione per la piazza finanziaria ed economica svizzera? E per UBS andarsene sarebbe davvero un vantaggio? Ne discutiamo con: · Alberto Petruzzella, Presidente dell'Associazione bancaria ticinese· Carlo Lombardini, avvocato, professore di diritto bancario all'Università di Losanna, siede in alcuni Consigli d'amministrazione di banche· Sergio Rossi, professore di macroeconomia e economia monetaria all'Università di Friburgo

Tanto tuonò che piovve… Il risultato delle votazioni cantonali sui premi di cassa malati è andato al di là delle aspettative. Accolta a chiara maggioranza sia l'iniziativa popolare della Lega dei Ticinesi denominata “Basta spennare il cittadino, cassa malati deducibile integralmente!”. Come pure quella lanciata dal Partito Socialista dal titolo “Esplosione dei premi di cassa malati: ora basta!” che farà sì che nessuno paghi più del 10% del reddito disponibile per il premio dell'assicurazione malattia. Ora la questione è: come andare avanti? Nella puntata l'analisi del risultato del voto per cercare di comprenderne le ragioni e gli effetti.Lo facciamo con:Daniel Ritzer, direttore laRegioneTicino Gianni Righinetti, vicedirettore Corriere del Ticino Christian Romelli, responsabile attualità regionale RSI

In questi giorni a farne le spese è stata soprattutto la Danimarca, con diversi aeroporti colpiti nel giro di 48 ore dalla presenza di misteriosi droni che hanno provocato la chiusura temporanea degli scali e messo in allarme le autorità del Paese scandinavo, membro dell'Alleanza atlantica. Per il ministro della difesa Troels Lund Poulsen questi attacchi possono mettere il pericolo la sicurezza e la libertà. Al momento rimane ancora da chiarire l'origine di questi droni, le autorità danesi non escludono che si possa trattare di velivoli russi. In allarme è entrata anche la Nato, già confrontata nelle scorse settimane con diverse incursioni di droni e di caccia russi nei cieli di Polonia, Norvegia, Romania e Estonia. Di cosa si tratta e quanto queste continue azioni di disturbo rappresentano davvero un pericolo per la sicurezza di tutto il fronte orientale dell'Unione europea? Cosa vuol dire tutto ciò per la Nato? E quanto queste incursioni ci dicono dell'attuale forza militare della Russia? Argomenti e interrogativi che discutiamo con:- Orietta Moscatelli, analista geo-politica e esperta di Russia- Beda Romano, corrispondente europeo del Sole 24 ore- Alessandro Colombo, professore di relazioni internazionali alla Statale di MilanoE questo in un momento in cui il presidente statunitense sembra voler sostenere apertamente l'Ucraina. Dopo un incontro con Zelensky, a margine dell'Assemblea generale dell'ONU a New York, Trump ha affermato che “l'Ucraina potrebbe riconquistare tutto il suo territorio e andare anche oltre” e questo perché la Russia è ormai soltanto “una tigre di carta”.

Venerdì a Palazzo di vetro si esprimerà il premier israeliano Benjamin Netanyahu, mentre il presidente USA Donald Trump mercoledì ha già bollato come una “ricompensa per Hamas” il riconoscimento formale della Palestina da parte di una decina di paesi in occasione dell'80esima Assemblea Generale dell'ONU in corso a New York. Tra questi, alcuni storicamente vicini a Israele come Francia, Regno Unito, Canada e Australia. L'iniziativa, promossa da Francia e Arabia Saudita, continua a sollevare interrogativi e dibattito. Gesto opportuno per mantenere in vita una soluzione politica al conflitto israelo-palestinese, quella dei “due stati”, che sta rischiando di venire definitivamente affossata? O gesto maldestro che potrebbe addirittura indurre Israele ad annettere la Cisgiordania e che si rivelerà comunque incapace di fermare l'orrore nella Striscia di Gaza? Ne discutiamo con: · Gilles Kepel, politologo e arabista, professore presso l'Université de Paris Sciences et Lettres-École Normale Supérieure e l'Università della Svizzera italiana· Triestino Mariniello, giurista, Professore Associato alla Liverpool John Moores University e membro del team di rappresentanza delle vittime di Gaza davanti alla Corte Penale Internazionale· Francesca Caferri, inviata della Repubblica a Tel Aviv

Un folle referendum che getta la Svizzera nel panico… d'ora in avanti il nostro Paese plurilingue ne parlerà una sola: il francese!!! Erano queste le premesse del film svizzero Bonjour Ticino campione d'incassi due estati fa; e oggi il tema delle lingue torna più che mai d'attualità dopo le recenti decisioni di alcuni cantoni di accantonare lo studio precoce alle elementari proprio del francese! Anche sotto la cupola di Palazzo federale è arrivata l'eco delle decisioni di Cantoni Zurigo e San Gallo che hanno approvato il posticipo dell'insegnamento di una seconda lingua nazionale alle scuole medie in favore dell'inglese. Decisioni che non hanno mancato di fare discutere anche nella Berna federale - nella settimana tra l'altro dedicata al plurilinguismo - tra atti parlamentari e intervento del Consiglio federale. I Cantoni manterranno anche in futuro la propria autonomia quanto all'insegnamento delle lingue nelle scuole dell'obbligo? Ne parliamo dal Centro Media di Palazzo federale con Alex Farinelli, consigliere nazionale PLR, membro dell'intergruppo parlamentare per il PlurilinguismoMonica Sanesi, deputata del gran consiglio zurighese per il partito Verde Liberalee con interviste registrate a Nina Fehr Düsel, consigliera nazionale UDC/ZHBaptiste Hurni, consigliere agli stati PS/NE

25 anni fa erano 6 milioni e mezzo… oggi sono più di 9 milioni. Parliamo degli abitanti residenti permanenti in Svizzera.Svizzera che pur essendo un Paese piccolo, ha registrato un aumento della sua popolazione del 25 per cento in 25 anni. Dieci volte la velocità di crescita della popolazione tedesca, sette quella dell'ItaliaUn aumento che non è dovuto alla crescita naturale – non si fanno, cioè, improvvisamente più figli - ma all'arrivo di persone dall'estero: dei quasi due milioni di nuovi abitanti dal 2000, nove su dieci sono infatti stranieri, soprattutto provenienti dai Paesi europeiPer l'Udc questa immigrazione è però eccessiva, e le conseguenze di questa rapida crescita della popolazione stanno ormai diventando insopportabili. Per l'ambiente, per le infrastrutture, per la qualità di vita della popolazione e per le finanze pubbliche.Ecco perché ha promosso l'Iniziativa popolare “No a una Svizzera da 10 milioni! (Iniziativa per la sostenibilità)”, sulla quale è iniziata oggi la discussione al Consiglio nazionale. L'iniziativa prevede varie misure che scatterebbero se la popolazione dovesse superare i 10 milioni prima del 2050. Secondo le proiezioni statistiche questo limite sarà superato nel 2040Ma a sostenere il testo democentrista, ci sono solo i democentristi: il rischio – per i contrari - è che l'accettazione di questa iniziativa metta in pericolo il benessere della Svizzera e gli accordi con l'Unione europea, visto che prevede la loro disdetta se non si riesce a limitare il numero di abitanti in altro modoA Modem discutiamo del “perché sì” o del “perché no” a questa iniziativa o dell'ipotesi di un'eventuale terza via… Con noi: PIERO MARCHESI, consigliere nazionale dell'UDCJON PULT, consigliere nazionale del Partito socialistaGIORGIO FONIO, consigliere nazionale del Centro

Fra politica e religione funerali quasi di stato per Charlie Kirk, l'attivista di destra e fedelissimo di Donald Trump ucciso in un attentato lo scorso 10 settembre. Fra le reazioni alla sua morte da parte dell'attuale amministrazione repubblicana al potere a Washington, bordate contro chi simpatizzava con l'assassino, ma anche verso chi non condivide le idee di Charlie Kirk.Una deriva dovuta alla commozione per la sua morte o una vera minaccia per la libertà di espressione e l'operato dei media negli Stati Uniti? Un paese in cui la violenza politica non è nuova e che sembra avviato verso un accentuarsi della polarizzazione. A Modem ne discutono:Mario Del Pero, professore di Storia degli Stati Uniti e Storia della politica estera americana a Sciences Po, ParigiMattia Ferraresi, giornalista di “Domani”Andrea Vosti, corrispondente RSI da Washington

A Gaza City l'offensiva di terra avviata lunedì notte dall'esercito israeliano è accompagnata, giorno dopo giorno, da notizie di pesanti bombardamenti, di numerose vittime, di ospedali vicini al collasso, di centinaia di migliaia di persone in fuga. Secondo il ministero della sanità di Gaza, gestito da Hamas, i morti nella Striscia dopo quasi 2 anni di conflitto sono oltre 65 mila, per lo più civili, mentre si sommano le testimonianze di una popolazione in assoluta difficolta, in emergenza umanitaria, addirittura minacciata dalla carestia. In un rapporto pubblicato martedì, un team di esperti indipendenti, incaricato dal Consiglio Onu per i diritti umani, ha concluso che Israele è responsabile di atti di genocidio nella Striscia di Gaza. Tel Aviv ha reagito screditando quel rapporto e giudicandolo antisemita. Intanto l'impiego di quella parola, “genocidio”, continua a fare discutere. Quanto è corretta? Quanto opportuna? Quanto abusata o strumentalizzata? Ne discutiamo domani con: Marcello Flores, storico, studioso di genocidiGabriele Nissim, presidente di Gariwo, la foresta dei GiustiMarco Sassòli, professore onorario di diritto internazionale, Università di Ginevra

L'esercito e il futuro delle sue forze aeree è al centro dei dibattiti politici da ormai un paio di mesi, da quando il Consiglio federale ha dovuto comunicare che il prezzo d'acquisto dei nuovi caccia F-35 non è un prezzo fisso ma variabile, con possibili aumenti stimati tra i 650 milioni di franchi e il miliardo e 300 milioni. A nulla sono valse le trattative che il neo-ministro della difesa Martin Schmid ha condotto durante l'estate con gli Stati Uniti, Paese di produzione di questi aerei. I primi velivoli dovrebbero essere consegnati nel 2027 ma a livello politico si è ormai aperta una stagione di polemiche e di critiche, anche per capire se questa nuova salata fattura andrà sottoposta al parere del popolo con il lancio di un referendum. Un caso che per molti versi ricorda lo scandalo dei Mirage, scoppiato negli anni '60. Se ne discute in un faccia a faccia tra:– Carlo Sommaruga, consigliere agli Stati PS/GE- Fabio Regazzi, consigliere agli Stati Centro/TI

Consiglio federale e parlamento sono convinti della necessità di disporre di una possibilità per identificarsi elettronicamente nel mondo virtuale. Per questo è stata sviluppata una proposta ben diversa rispetto a quella bocciata alle urne nel 2021. Ora è previsto che l'identificazione elettronica verrà fornita dalla Confederazione e non dai privati. Inoltre è stata migliorata la sicurezza dei dati, che saranno custoditi in modo decentralizzato sui telefonini degli utenti. Nonostante l'ampio consenso trovato in parlamento, contro la legge sul mezzo d'identificazione elettronica è stato lanciato con successo un referendum. Per i favorevoli, contano il fatto che il sistema è statale, perciò sottoposto a controllo democratico, e che permette in modo sicuro ed efficace di identificarsi quando si svolgono operazioni su internet. Per i contrari, la protezione dei dati rimane insufficiente e si teme un'accresciuta sorveglianza non solo da parte dei grandi gruppi tecnologici, ma anche da parte dello stato. Altro punto conteso: quanto l'identificazione elettronica è e rimarrà facoltativa. Partecipano al dibattito:Anastassiya Fellmann, vicepresidente giovani UDC TicinoSilvio Barandun, vicepresidente giovani PLR Ticino

Il 2024 è stato una sorta di “annus horribilis” per la democrazia diretta svizzera, e questo perché a partire dall'autunno sono emersi diversi casi di falsificazioni di firme, nella raccolta di sottoscrizioni per iniziative e referendum. Casi a quanto pare gravi, a tal punto che la Cancelleria federale ha inoltrato tre denunce penali, che sono andate ad aggiungersi ad una prima denuncia presentata nel 2022. Un sospetto di falsificazione che ruota attorno ad alcune agenzie specializzate, attive in particolare in Romandia, che hanno professionalizzato la raccolta delle firme, assumendo personale a pagamento. Tutto regolare, se non fosse che in alcuni casi sono emersi possibili sospetti e brogli, in nome di un'equazione piuttosto semplice: più firme raccolgo e meglio guadagno. Una spina nel fianco per la nostra democrazia diretta, che chiama in causa anche il Parlamento, chiamato ad affrontare una serie di proposte per far fronte a questo problema. In un contesto in cui la Cancelleria federale ha comunque già adottato una serie di misure per far fronte a possibili abusi.A Modem se ne discute con:- Greta Gysin, consigliera nazionale del Verdi- Giorgio Fonio, consigliere nazionale del Centro- Bruno Storni, consigliere nazionale del Partito socialista

Un argomento che scalda gli elettori, soprattutto a ridosso di una votazione, ancora di più se questa avviene in contemporanea con l'annuncio delle nuove tariffe per il 2026: come pagare i premi di cassa malati, come arrivare agevolmente a fine mese, come far fronte ai continui aumenti e continuare a disporre di sufficiente potere d'acquisto per vivere bene!? In risposta alle preoccupazioni su come rendere più economicamente accettabile il pagamento dei premi di cassa malati, la politica ticinese ha avanzato due proposte in votazione il prossimo 28 settembre. Plafonare le spese per l'assicurazione malattia al 10% del reddito disponibile è la proposta del Partito Socialista (di cui abbiamo discusso a Modem la scorsa settimana) oppure dedurre integralmente i premi di cassa malati dalle imposte, e questa è la proposta della Lega dei Ticinesi su cui ci concentriamo questa mattina. Lo facciamo con due ospiti:Gianmaria Frapolli, vice coordinatore della Lega dei TicinesiSara Beretta Piccoli, granconsigliera Verdi liberali undefined

Il 12 settembre 2025 non sarà un giorno come un altro a Bondo e in tutta la valle Bregaglia. È una data destinata a rimanere nella storia di questa località, perché segna la fine dei lavori con cui sono stati realizzate le nuove strutture di protezione. Un investimento di 52 milioni di franchi, per accrescere la sicurezza ai piedi della Val Bondasca, dopo l'immensa frana che aveva colpito la regione il 23 agosto del 2017, provocando la morte di otto escursionisti e ingenti danni materiali. Da allora sono trascorsi otto anni, la valle è pronta a ripartire anche se, dal punto di vista giudiziario, rimane ancora aperta una procedura penale a carico di cinque persone, accusate di non aver chiuso preventivamente gli accessi alla valle, poi colpita dalla frana staccatasi dal Pizzo Cengalo.Modem in trasferta per parlare di Bondo e della sua ripartenza, lo faremo con diversi ospiti:- Fernando Giovanoli, sindaco di Bregaglia- Anna Giacometti, consigliere nazionale grigionese e sindaca di Bregaglia dal 2010 al 2020- Ueli Weber, vice-sindaco di Bregaglia- Paola Rossotti, assistente di direzione presso l'Ufficio turistico di Bregaglia- Bruno Clalüna, titolare di una falegnameria a Bondo- Maurizio Michael, Granconsigliere grigionese - Luca della Bitta, sindaco di Chiavenna- Marcello Negrini, guida alpina

Modem Fri, 12 Sep 2025 06:30:00 GMT RSI - Radiotelevisione svizzera false

Da inizio agosto il tema svizzero che tiene banco è quello dei dazi imposti da Washington. Dazi che per il nostro paese sono fra i più alti fra quelli annunciati dal presidente Donald Trump. Anche se le conseguenze dei dazi non dovrebbero far deragliare l'economia elvetica, per alcuni settori e regioni sarà un duro colpo. Dopo la visita della scorsa settimana a Washington del consigliere federale Guy Parmelin, titolare del dipartimento dell'economia, resta la speranza di riuscire a limitare i danni entro ottobre con nuove concessioni, ma resta anche l'incertezza.Se da sinistra si chiede un avvicinamento all'Europa, a destra si dà la priorità ai negoziati del Consiglio federale per arrivare ad un accordo con Washington. A modem ne discutono:· Paolo Pamini, consigliere nazionale UDC· Fabio Regazzi, consigliere agli stati del Centro· Intervista registrata con Cédric Wermuth, copresidente del PS svizzero

Un attacco aereo israeliano contro un gruppo di alti dirigenti di Hamas, avvenuto in un Paese del Golfo, il Qatar. Israele si muove dunque lontano dai suoi confini nazionali, a 1800 chilometri di distanza, lo fa con i suoi caccia da combattimento, per colpire e indebolire i vertici di Hamas, l'organizzazione responsabile degli attacchi del 7 ottobre e contro cui l'esercito israeliano combatte a Gaza. Uno scenario di guerra mai visto prima, che coinvolge la piccola monarchia del Golfo, un Paese che in questi anni si è ritagliato il ruolo di mediatore, pur ospitando da tempo la dirigenza politica di Hamas. Israele colpisce dunque dentro i confini nazionali di uno Stato arabo che dal 7 ottobre in poi si è impegnato per creare le condizioni di un cessate-il fuoco a Gaza. Un emirato che ha anche strette relazioni con gli Stati Uniti, Stati Uniti che a loro volta sono i principali alleati di Israele. L'attacco di ieri è stato condannato da più parti, a cominciare dalle Nazioni Unite, che denunciano la grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele. Cosa vuol dire tutto questo per il conflitto israelo-palestinese e più in generale per tutto il Medioriente? Si apre ora una nuova dimensione, un nuovo scenario, per Israele e per l'intera regione? Ne parliamo con tre ospitiNaima Chicherio, giornalista RSI, più volte inviata in MediorienteFrancesca Caferri, giornalista de La Repubblica, esperta di Paesi del GolfoDaniel Bettini, capo redattore esteri del quotidiano israeliano Yediot Aharonot

Aveva chiesto la fiducia sulla sua politica generale, convocando una seduta straordinaria del parlamento, in vista di una legge di bilancio “lacrime e sangue”, così è stata definita, da 44 miliardi di euro tra tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse.Lo ha fatto sapendo che avrebbe rischiato grosso – lo ha detto anche lui – per salvare e ricostruire la FranciaMa al primo ministro francese François Bayrou l'azzardo, così come d'altronde previsto già nei giorni precedenti, non è riuscito. Anzi, ieri si è assistito ad una vera e propria sfiducia da parte del parlamento, che lo ha duramente criticato (avete sentito alcune voci nella copertina)In meno di due anni questo è il quarto Governo in Francia che cadeIl contesto: un debito pubblico fuori controllo e una crisi politica senza sbocco, e quindi impossibilitata a trovare soluzioni.Cosa succede ora? C'è chi come la leader del Rassemblement national, Marine Le Pen, chiede elezioni anticipate, chi come la sinistra radicale diFrance Insoumise, vuole anche la testa del presidente Emmanuel Macron, chi come i socialisti, vuole guidare il nuovo Governo…In attesa di capire le mosse proprio del capo dell'Eliseo, che ha annunciato l'intenzione di nominare a breve un nuovo primo ministro, discutiamo di quanto accaduto a Parigi con due ospitiYVES MENY politologo e autore, tra gli altri, di due volumi: « Le vie della democrazia » e «Sulla legittimità »ANNALISA CAPPELLINI, giornalista, nostra collaboratrice da Parigi

Un problema, tante possibili soluzioni. La cassa malati, o meglio come pagare i premi della cassa malati, rappresenta secondo diverse inchieste la prima preoccupazione per le famiglie ticinesi. Premi che ogni settembre aumentano, sono raddoppiati negli ultimi vent'anni, con una vera esplosione nell'ultimo triennio. E con ogni probabilità lo faranno anche quest'anno. La politica quindi si interroga e prova ad arginare questi aumenti. Ora, nello specifico, ci sono due proposte concrete sul tavolo e su cui il popolo dovrà esprimersi il prossimo 28 settembre. Oggi discutiamo di una delle due, quella targata Partito Socialista e che chiede che il premio della cassa malati non superi il 10% del reddito disponibile di un'economia domestica. Ospiti in studio Danilo Forini, granconsigliere PS, favorevole Alessandra Gianella, granconsigliera PLR, contrariaundefined

Continua a salire il bilancio delle vittime del devastante terremoto che ha colpito domenica sera l'est dell'Afghanistan. Secondo l'ultimo aggiornamento diffuso giovedì dal governo talebano, sono almeno 2'205 i morti accertati e 3'640 i feriti. Ma il numero delle vittime potrebbe essere ben più alto, considerato che non sono ancora state raggiunte tutte le zone colpite e tenuto conto delle difficoltà nel raccogliere dati precisi in un territorio segnato da instabilità politica e infrastrutture fragili. Partiamo da qui, dal terremoto di qualche giorno fa, per tornare a parlare di Afghanistan, Paese che sparisce regolarmente dai radar dell'attenzione mediatica e che tra qualche giorno sarà di nuovo “dimenticato”. Sono quattro anni che Kabul è tornata in mano ai Talebani e la situazione della popolazione – il 70 per cento vive al di sotto della soglia di povertà – non fa che peggiorare. Vedremo allora cos'è cambiato in questi 4 anni e cosa ci si può aspettare per il futuro. Lo facciamo con:Claudio Miglietta - Capomissione MSF AfghanistanRiccardo Redaelli - professore ordinario di ‘Storia e istituzioni dell'Asia' all'Università Cattolica del S. Cuore di Milano, e docente di ‘Geopolitica' e di ‘Post Confict e gestione delle emergenze'.Giuliano Battiston - giornalista e ricercatore che da anni si occupa di Afghanistan

In questi giorni la Cina ha accolto decine di capi di stato e di governo, prima per il vertice dell'Organizzazione di cooperazione di Shanghai (SCO) poi per la grande parata militare in occasione dell'ottantesimo anniversario della vittoria cinese sul Giappone e la fine della Seconda guerra mondiale in Asia. Eventi che hanno permesso a Pechino di mettersi al centro della politica globale riunendo vari paesi in conflitto con quelli Occidentali. Fra loro autocrazie, come la Russia, interessate a cambiare gli equilibri globali attraverso nuove organizzazioni internazionali o la riforma di quelle esistenti. Una tendenza che si è rafforzata dopo l'invasione russa dell'Ucraina e con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Trump che con le sue politiche commerciali ha scontentato alleati e antagonisti spingendo paesi come l'India a riavvicinarsi alla Cina. Raffaella Baritono, Professoressa ordinaria di Storia e politica degli Stati Uniti all'Università di Bologna Lorenzo Lamperti, collaboratore RSI dall'Asia Orientale Ulrich Schmid, Professore di studi Sull'Europa Orientale all'Università di San Gallo

Servirà la doppia maggioranza di Popolo e Cantoni per decidere se mantenere o meno questo reddito (fittizio) che fa aumentare l'imposizione fiscale dei proprietari di case. Per i favorevoli alla sua abolizione si tratta di una misura fiscale ingiusta, vecchia di quasi 100 anni, che penalizza chi, con i propri risparmi, è riuscito a comprarsi una casa. Chi si oppone, difende il sistema come lo conosciamo oggi, costruito per garantire una parità di trattamento tra inquilini (che non possono dedurre il loro affitto dalle imposte) e proprietari che sì, pagano il valore locativo, ma possono, ad esempio, dedurre gli interessi ipotecari e le spese per i lavori di ristrutturazioneSullo sfondo, le incognite sul peso che questa riforma potrebbe avere sulle casse della confederazione. Per evitare perdite fiscali troppo importanti (la stima è di quasi 2 miliardi), il parlamento ha deciso di dare la possibilità ai Cantoni d'introdurre un'imposta sulle residenze secondarie. Per i favorevoli, un buon compromesso, per i contrari, un paracadute bucato, difficile da introdurre e che in ogni caso non compenserà le perdite per la collettività Ne dibattono Per il Sì, Paolo Pamini, Consigliere nazionale UDCPer il NO, Greta Gysin, Consigliera nazionale dei Verdiundefined

Discuteremo della decisione di FFS Cargo di ripensare il trasporto delle merci su rotaia in Svizzera, FFS Cargo che abbandonerà diversi terminal del traffico combinato (due in Ticino) e sopprimerà entro fine anno 65 posti di lavoro (40 in Ticino). L'annuncio, della scorsa primavera, aveva provocato l'indignazione di sindacati e di Pro Alps (l'ex Iniziativa delle Alpi) che si sono fatti nuovamente sentire lo scorso venerdì con una manifestazione di protesta indetta a Mendrisio. Nel frattempo, FFS Cargo ha precisato le sue intenzioni: ha garantito che i 40 posti soppressi in Ticino non si tradurranno in licenziamenti e che almeno uno dei due terminal che si intendeva abbandonare (quello di Cadenazzo) resterà in funzione, ma sarà gestito dalla Posta. Resta però una perdita annuale di 80 milioni di franchi che FFS Cargo deve in qualche modo affrontare e resta la domanda: quale futuro immaginare per un trasferimento delle merci dalla strada alla rotaia che la popolazione elvetica continua a chiedere, che FFS Cargo giudica in seria difficoltà (almeno per quanto concerne il traffico interno nazionale) e di cui Pro Alps e sindacati ci dicono che lo si sta in qualche modo smantellando? Ne discutiamo con: Roberta Cattaneo, direttrice regionale FFS Regione SudThomas Giedemann, segretario sindacale SEVNara Valsangiacomo, presidente Pro Alps e gran consigliera in Ticino per i VerdiBruno Storni, consigliere nazionale PS, membro della commissione dei trasporti del Consiglio nazionale

Dopo diversi altri cantoni svizzeri, anche il Ticino riapre le sue scuole. Un ritorno tra i banchi su cui pesa un fenomeno che sta sempre più prendendo piede, quello dell'assenteismo scolastico. Allieve e allievi che per vari motivi non riescono più a recarsi a scuola per un periodo prolungato. Un tema che ha spinto “Lehrer Schweiz”, l‘associazione mantello degli insegnanti della Svizzera tedesca, a lanciare un allarme, all'inizio del mese di agosto: occorrono misure coordinate per aiutare questi ragazzi a tornare a scuola. In Ticino il Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport ha condotto un monitoraggio su oltre 80mila allievi, ed è giunto alla conclusione che negli anni successivi alla pandemia c'è stato un incremento di queste assenze, nel corso del 2024 è stata raggiunta e superata la soglia del 5%. Un dato che preoccupa i responsabili della scuola ticinese e di cui discuteremo con:· Tiziana Zaninelli, responsabile dell'insegnamento nelle scuole medie in Ticino· Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute nella Svizzera italiana· Ilan Gheiler, responsabile terapeutico presso la Comunità Arco di Riva San Vitale