L'appuntamento quotidiano (dal lunedì al venerdì) dedicato ai principali temi d’attualità, che vengono analizzati, approfonditi e contestualizzati principalmente attraverso l’apporto ed il confronto di ospiti in diretta.
RSI - Radiotelevisione svizzera

La difesa, un settore che al momento non conosce crisi. La situazione geopolitica, soprattutto in Europa ma pure in Asia, spinge al rialzo le spese militari dei governi. Ad approfittarne sono sicuramente i 100 maggiori produttori di armi, che secondo le cifre pubblicate ieri dal SIPRI, l'istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace, hanno visto il fatturato salire di quasi il 6% a 679 miliardi di dollari nel 2024. Mercato delle armi dominato da alcuni paesi. Sono nettamente in testa alla classifica gli Stati Uniti che sfiorano la metà del totale con il 49%, mentre seguono staccati Cina 13%, Regno Unito 8%, Russia 5% e Francia 4%. Delle particolarità del settore della difesa e delle trappole che possono scattare a causa del riarmo parleranno a Modem:Luca Baccelli, professore ordinario di filosofia del diritto all'Università di Camerino Pietro Batacchi, direttore Rivista Italiana Difesa Lorenzo Scarazzato, ricercatore SIPRI e fra gli autori del rapporto sui maggiori produttori di armi

È uno scandalo che ha raggiunto il cuore del potere ucraino quello che ruota attorno ad un'indagine nel settore energetico, con sospetti di corruzione per una cifra totale che si avvicina ai cento milioni di euro. Questo almeno quello che ritengono le due agenzie anti-corruzione del Paese, che nei giorni scorsi hanno perquisito l'abitazione e l'ufficio di Andrij Yermak, l'uomo più vicino e fidato del presidente Zelensky. Tanto vicino da essere considerato una sorta di vice-presidente, una pedina onnipresente che lo stesso Zelensky ha giocato anche sul tavolo dei negoziati in corso per raggiungere perlomeno una tregua nella guerra scatenata dalla Russia ormai da quasi quattro anni. Yermak non ha potuto far altro che rassegnare le dimissioni, per il presidente era diventata una presenza troppo ingombrante. Ora in Ucraina si apre una nuova fase, con l'opposizione che chiede a gran voce un governo di unità nazionale e con le truppe al fronte sempre più in difficoltà. Lo scandalo della corruzione mette in cattiva luce l'Ucraina anche agli occhi degli alleati europei. C'è però anche un risvolto positivo: i casi di corruzione sono emersi grazie a lavoro di due agenzie dello stato. Ciò significa che la lotta contro questo fenomeno può portare pure a risultati significativi, e questo anche in Ucraina. Ne discutiamo con: Davide Maria De Luca, collaboratore RSI dall'UcrainaSimone Bellezza, professore di storia contemporanea all'Università del Piemonte orientale, esperto di Ucraina e di Europa orientaleJean Patrick Villeneuve, docente all'Usi di Lugano e direttore del Gruppo di ricerca sull'integrità pubblica

Il trasferimento di trattamenti al settore ambulatoriale, la collaborazione in evoluzione fra ospedali sempre più coinvolti in reti sanitarie e la digitalizzazione si fanno sentire sulle strategie degli ospedali elvetici. Ospedali che devono fare i conti con una situazione finanziaria già delicata e che sta peggiorando, mentre sono confrontati con la carenza di personale specializzato. Per fare il punto sulla situazione l'associazione degli ospedali svizzeri H+ ha commissionato uno studio su una possibile trasformazione sostenibile delle attuali strutture. Le sfide sono molte e vanno affrontate per tempo, ma necessitano l'appoggio di Confederazione e Cantoni, chiamati a migliorare ed estendere la loro collaborazione in un settore, quello ospedaliero, che rappresenta circa il 36 percento dei costi sanitari. Ne discutiamo con: Alessandro Bressan, Membro di Comitato H+, e direttore dell'Ospedale regionale di Bellinzona e ValliChristian Camponovo, Direttore della Clinica MoncuccoCarlo De Pietro, esperto in gestione sanitaria e Professore al Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI

È terminata in sordina, come era iniziata, a Belem in Brasile, la trentesima conferenza Onu sul clima. Lo scorso week-end i lavori si sono chiusi con qualche nuova promessa, ma non con quel passaggio all'azione che il presidente brasiliano Lula aveva auspicato. E soprattutto, anche a Belem è fallito l'ennesimo tentativo di tracciare una strada, un calendario, per l'abbandono delle energie fossili. Anzi, da qualche anno l' “oil & gas” sembra aver trovato un nuovo vigore. Che ruolo giocano le compagnie petrolifere in una transizione energetica tanto ineluttabile quanto incapace di seguire il ritmo dettato dalla crisi climatica? Ne discutiamo con : Demostenes Floros, ricercatore senior al Centro Europa Ricerche di Roma, economista, si occupa di geopolitica dell'energia Laura Greco, presidente dell'Ong “A Sud”, ha partecipato alla Cop30 Antonio Bontempi, ricercatore all'Università autonoma di Barcellona, ingegnere e geografo, si occupa di economia ambientale

È appena partita la prima campagna nazionale di prevenzione e sensibilizzazione contro la violenza domestica, sessuale e di genere, e nell'odierna Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne Modem dedica la puntata a questo tema. A fare da sfondo, i 21'127 reati di violenza domestica registrati in Svizzera nel 2024, in crescita rispetto all'anno precedente, o i 27 femminicidi già perpetrati quest'anno, anch'essi in crescita. Violenza di genere che può essere fisica, sessuale, psicologica, anche economica. Una piaga sociale che colpisce perlopiù le donne, ma non solo, e si manifesta con preoccupante frequenza anche all'interno della famiglia, dell'economia domestica o di un rapporto di coppia esistente o sciolto. Intervengono: Giorgia Bazzuri, Responsabile della comunicazione per la Svizzera Italiana della campagna “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere”Mia Wojcik, avvocata e nel Comitato dell'Associazione Consultorio e Casa delle DonneMarco Castoldi, Capo del Servizio Violenza Domestica della Polizia Cantonale Ticinese

Pace o Resa? Titolavano più o meno così i giornali e i portali di mezzo mondo all'indomani delle indiscrezioni sui contenuti del piano in 28 punti messo sul tavolo da Donald Trump per porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina. Un accordo che prevede in particolare che l'Ucraina ceda il controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk, comprese le aree non ancora occupate dai russi, e rinunci alla Crimea, che dimezzi il proprio esercito e rinunci alle armi a lungo raggio e soprattutto alle ambizioni di adesione alla Nato e questo in cambio a garanzie di sicurezza da parte americana.Un piano di pace che a Kiev è risuonato un po' come un ultimatum e a cui fa da sfondo un'altra cruciale domanda: continuare la guerra a costo di ulteriori perdite umane o accettare un accordo controverso, che cede territori ma offre accordi di sicurezza e sostegno economico? E in tutto questo che ruolo può o potrebbe/dovrebbe giocare l'Europa? Ne parliamo conDavide Maria De Luca, collaboratore RSI da KievEleonora Tafuro, analista dell'Osservatorio Russia, Caucaso e Asia centrale dell'Istituto per gli studi di politica internazionaleAntonio Missiroli, docente di Sicurezza europea a Sciences Po Parigi, già assistente del Segretario generale della NATO

Dopo esserci occupati dell'Iniziativa per il futuro, diamo spazio all'altro oggetto in votazione a livello federale a fine mese: l'iniziativa popolare denominata “Per una Svizzera che si impegna” (l'Iniziativa Servizio civico). Il testo propone una vera e proprio riforma: introdurre un obbligo di servire per tutti, uomini e donne, un servizio di milizia riconosciuto sul modello di quello militare, da svolgere non necessariamente nell'esercito, ma a favore della collettività, in ambito sociale, sanitario o ambientale per esempio. In questo modo si favorirebbe la coesione sociale e si garantirebbe un'uguaglianza di trattamento, di doveri e di opportunità a donne e uomini. All'esercito e alla protezione civile verrebbero comunque garantiti gli effettivi necessari per funzionare. E' un'iniziativa promossa da numerosi politici provenienti da praticamente tutti i partiti, anche da donne di sinistra, e ha il sostegno anche di militari, oltre che di rappresentanti della società civile. Ma per il Consiglio federale e per la maggioranza del Parlamento va troppo oltre. Ne risulterebbero soprattutto costi elevati per la Confederazione e i Cantoni, e anche l'economia ne risentirebbe in modo significativo. Un servizio civico promuove veramente l'uguaglianza o penalizza ulteriormente le donne? Indebolisce l'esercito o militarizza la società? Favorisce l'impegno di ognuno a favore della collettività oppure introduce un volontariato forzato in ambiti già mal retribuiti?Ne discuteremo conJonathan Binaghi, ufficiale ed ex guardia pontificia, del Comitato d'iniziativa Barbara Di Marco Christoffel, del collettivo “Io l'8”Michele Moor, presidente della Società svizzera degli ufficiali, membro dell'Alleanza sicurezza svizzeraCamilla Tartaglia, dei giovani Verdi liberali

Dopo esserci occupati dell'Iniziativa per il futuro, diamo spazio all'altro oggetto in votazione a livello federale a fine mese: l'iniziativa popolare denominata “Per una Svizzera che si impegna” (l'Iniziativa Servizio civico). Il testo propone una vera e proprio riforma: introdurre un obbligo di servire per tutti, uomini e donne, un servizio di milizia riconosciuto sul modello di quello militare, da svolgere non necessariamente nell'esercito, ma a favore della collettività, in ambito sociale, sanitario o ambientale per esempio. In questo modo si favorirebbe la coesione sociale e si garantirebbe un'uguaglianza di trattamento, di doveri e di opportunità a donne e uomini. All'esercito e alla protezione civile verrebbero comunque garantiti gli effettivi necessari per funzionare. E' un'iniziativa promossa da numerosi politici provenienti da praticamente tutti i partiti, anche da donne di sinistra, e ha il sostegno anche di militari, oltre che di rappresentanti della società civile. Ma per il Consiglio federale e per la maggioranza del Parlamento va troppo oltre. Ne risulterebbero soprattutto costi elevati per la Confederazione e i Cantoni, e anche l'economia ne risentirebbe in modo significativo. Un servizio civico promuove veramente l'uguaglianza o penalizza ulteriormente le donne? Indebolisce l'esercito o militarizza la società? Favorisce l'impegno di ognuno a favore della collettività oppure introduce un volontariato forzato in ambiti già mal retribuiti?Ne discuteremo conJonathan Binaghi, ufficiale ed ex guardia pontificia, del Comitato d'iniziativa Barbara Di Marco Christoffel, del collettivo “Io l'8”Michele Moor, presidente della Società svizzera degli ufficiali, membro dell'Alleanza sicurezza svizzeraCamilla Tartaglia, dei giovani Verdi liberali

L'annuncio della morte di Francisco Franco il 20 novembre di 50 anni fa è uno spartiacque per la Spagna. Il regime franchista, al potere dalla fine della guerra civile, si avvia al tramonto dopo quasi quarant'anni al potere. Il paese torna una monarchia e dopo le prime elezioni si arriva nel 1978 alla nuova costituzione. La Spagna, per decenni ai margini del continente comincia così il suo avvicinamento all'Europa, che culmina nell'adesione alla Comunità europea nel 1986. Dopo mezzo secolo, il paese continua ad interrogarsi su quanto la transizione democratica e la riconciliazione nazionale siano stati un successo, e su quanto pesi ancora sulle vittime la giustizia negata. Una discussione che a pochi anni dall'introduzione di una nuova Legge sulla “Memoria Democratica” coinvolge anche la politica. A Modem intervengono:Giulia Danieli, giornalista collaboratrice RSI dalla SpagnaGiulia Quaggio, professoressa di Storia culturale, Università Complutense di MadridSteven Forti, professore di Storia contemporanea, Università Autonoma di Barcellona

Bassi salari in Ticino e le sue conseguenze, che si chiamano anche aumento della povertà e delle spese statali. L'argomento è tornato sui banchi del Gran Consiglio, chiamato a pronunciarsi su un'iniziativa popolare Mps, insieme ad altri atti parlamentari, che chiedeva maggiori controlli per contenere il fenomeno del dumping salariale. Sull'iniziativa dovrà comunque esprimersi la popolazione ticinese, verosimilmente il prossimo 8 marzo. A fare da sfondo, alcune domande: a cosa serve un'economia fatta anche di stipendi che impongono il ricorso agli aiuti statali? Il mercato del lavoro in Ticino è davvero diventato un “Far West”? Un aumento dei controlli servirebbe a qualcosa? Ne discutiamo con: Pino Sergi, granconsigliere Mps, promotore dell'iniziativaStefano Modenini, direttore Aiti

Confrontato con la peggior siccità degli ultimi 50 anni, l'Iran le sta provando tutte: dalla preghiera in massa perché piova, al razionamento dell'acqua, fino a provare a fare Dio, inseminando le nuvole per indurre artificialmente precipitazioni. Le autorità di Teheran hanno reso noto che domenica la Repubblica islamica ha effettuato un volo di inseminazione delle nuvole nel bacino del lago Urmia”, il più grande dell'Iran situato nel nord-ovest del Paese, in gran parte prosciugato e trasformato in un vasto letto di sale a causa della siccità.L'Iran l'anno scorso aveva annunciato di aver sviluppato una propria tecnologia per questa pratica, ora si spera che faccia effetto, visto che se non piove entro la fine dell'anno, la capitale Teheran dovrà essere evacuata, così ha detto lo stesso presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Si parla di oltre 10 milioni di abitanti. Ma cosa sta succedendo in Iran? Cosa comporta per la stabilità interna del Paese questa emergenza idrica? Ma cosa sta succedendo in Iran? Cosa comporta per la stabilità interna del Paese questa emergenza idrica? L'inseminazione o “bombardamento” delle nuvole – in inglese il “cloud seeding” - è efficace? A quali conseguenze può portare? E, ancora, in quali modi l'uomo prova ad intervenire su tempo e clima immettendo sostanze nelle nuvole?Ne parliamo oggi a Modem in una puntata che partirà, quindi dalla situazione iraniana, per poi estendersi ad aspetti prettamente scientificiCon noi tre ospiti:Raffaele Mauriello, storico dell'Università Allameh Tabataba'i di Teheran e della Sapienza di RomaVincenzo Levizzani, fisico dell'atmosfera e climatologo, autore di vari scritti, tra i quali “Il libro delle nuvole”Gabriel Chiodo, ricercatore, si occupa di dinamica del clima e interazioni chimica-clima

Un obbligo (per l'autorità ecclesiastica) di denuncia al Ministero pubblico dei reati commessi da membri del clero. Oggi in Ticino nella Legge sulla Chiesa cattolica questo obbligo non c'è e lo si vuole introdurre. E' una proposta di revisione della Legge – di cui si occupa lunedì il Gran Consiglio - che parte da un'iniziativa parlamentare del 2024 di Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, deputati del Movimento per il socialismo. Proposta nata come reazione a uno dei casi più gravi di abuso emersi in questi anni in Ticino, quello che ha coinvolto l'ex docente e cappellano del collegio Papio di Ascona. Un caso che ha fatto parlare molto anche perché dal momento in cui la Curia era venuta a conoscenza dei fatti al momento della denuncia al Ministero pubblico sono passati anni. La necessità di introdurre nella Legge sulla Chiesa l'obbligo di denuncia nasce per evitare ritardi di questo tipo. Ma nel suo iter il testo dell'iniziativa è stato cambiato. Prima dal Governo e poi dalla Commissione parlamentare Costituzione e leggi. Oggi la Commissione propone al Gran Consiglio una versione che si scontra per certi aspetti – secondo la Diocesi – con il diritto canonico (che pure prevede un obbligo di denuncia) e con i diritti costituzionali fondamentali, come risulta dal rapporto della stessa Commissione (pp 22-23 https://www4.ti.ch/fileadmin/POTERI/GC/allegati/rapporti/29495_8570%20R.pdf). La modifica di Legge porta quindi a riflettere sul rapporto tra il quadro normativo ecclesiastico e il diritto soprattutto penale, e più in generale sui rapporti tra Chiesa e Stato.Ne discuteremo con:· Mons. Alain De Raemy, Amministratore apostolico della diocesi di Lugano · Simona Genini, granconsigliera PLR, che fa parte della Commissione Costituzione e leggi · Vincenzo Pacillo, professore di diritto ecclesiastico e canonico all'Università di Modena (ha insegnato anche a Lugano), autore del libro “Stato e Chiesa cattolica nella Repubblica e Cantone Ticino. Profili giuridici comparati”

Un obbligo (per l'autorità ecclesiastica) di denuncia al Ministero pubblico dei reati commessi da membri del clero. Oggi in Ticino nella Legge sulla Chiesa cattolica questo obbligo non c'è e lo si vuole introdurre. E' una proposta di revisione della Legge – di cui si occupa lunedì il Gran Consiglio - che parte da un'iniziativa parlamentare del 2024 di Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini, deputati del Movimento per il socialismo. Proposta nata come reazione a uno dei casi più gravi di abuso emersi in questi anni in Ticino, quello che ha coinvolto l'ex docente e cappellano del collegio Papio di Ascona. Un caso che ha fatto parlare molto anche perché dal momento in cui la Curia era venuta a conoscenza dei fatti al momento della denuncia al Ministero pubblico sono passati anni. La necessità di introdurre nella Legge sulla Chiesa l'obbligo di denuncia nasce per evitare ritardi di questo tipo. Ma nel suo iter il testo dell'iniziativa è stato cambiato. Prima dal Governo e poi dalla Commissione parlamentare Costituzione e leggi. Oggi la Commissione propone al Gran Consiglio una versione che si scontra per certi aspetti – secondo la Diocesi – con il diritto canonico (che pure prevede un obbligo di denuncia) e con i diritti costituzionali fondamentali. La modifica di Legge porta quindi a riflettere sul rapporto tra il quadro normativo ecclesiastico e il diritto soprattutto penale, e più in generale sui rapporti tra Chiesa e Stato.Ne discuteremo con:· Mons. Alain De Raemy, Amministratore apostolico della diocesi di Lugano · Simona Genini, granconsigliera PLR, che fa parte della Commissione Costituzione e leggi · Vincenzo Pacillo, professore di diritto ecclesiastico e canonico all'Università di Modena (ha insegnato anche a Lugano), autore del libro “Stato e Chiesa cattolica nella Repubblica e Cantone Ticino. Profili giuridici comparati”

Bambini e ragazzi con bisogni educativi particolari, disturbi dell'apprendimento, alta sensibilità o ancora deficit dell'attenzione. Sigle e definizioni che fino a dieci, quindici anni fa erano forse confinate in ambiti specialistici, oggi sono entrate nel linguaggio comune, nelle aule scolastiche, nelle conversazioni tra genitori. I numeri parlano chiaro: nell'ultimo decennio abbiamo assistito a un'impennata delle segnalazioni e delle diagnosi. E di fronte a questo dato, la domanda che aleggia, quasi come una provocazione, è inevitabile: “Siamo diventati tutti un po' più neurodivergenti?” Proprio ieri in Ticino si sono festeggiati i primi 50 anni della Scuola speciale cantonale. Nel 1975 si avviavano i primi passi nella direzione dell'inclusione e dell'integrazione delle diversità nella scuola; noi vogliamo concentraci sull'evoluzione della didattica inclusiva che oggi comprende anche una serie di disturbi, o forse meglio dire “neurodivergenze”, che vengono sempre più diagnosticate. E la domanda di fondo è: “siamo di fronte ad un'epidemia di disturbi del neurosviluppo, magari accentuata dallo stile di vita contemporaneo, oppure stiamo imparando a dare un nome a differenze nel funzionamento del cervello che sono in fondo sempre esistite?” Ne parliamo con tre ospiti:Mattia Mengoni, capo sezione della pedagogia speciale del Canton TicinoFabiano Frigerio, capo gruppo del sostegno pedagogico per le scuole medie, regione MendrisiottoGiuseppe Foderaro, Responsabile dell'unità operativa di neuropsicologia di Rete Operativa

Il 30 novembre si vota sull' “Iniziativa per il futuro”, proposta dalla Gioventù socialista. Nel testo si chiede di finanziare la lotta al cambiamento climatico con una nuova imposta federale sulle eredità e le donazioni, applicando alla parte che supera i 50 milioni di franchi un'aliquota del 50 percento .Per i promotori, questa imposta frutterebbe 6 miliardi di franchi all'anno, vincolati a misure per ridurre le emissioni di gas serra. A essere toccati sarebbero i più ricchi, ritenuti responsabili di un impatto ambientale maggiore. Inoltre, l'imposta ridurrebbe la disuguaglianza dei patrimoni .Secondo i contrari una simile imposta porterà invece alla partenza di persone facoltose dalla Svizzera e metterà in pericolo il futuro di molte aziende familiari, tanto che le entrate fiscali diminuiranno invece di aumentare. La Svizzera sarebbe poi meno attrattiva per attirare persone e investimenti dall'estero.A Modem ne discutono:Giovanna Pedroni, presidente Giovani del Centro TicinoYannick Demaria, membro di comitato Gioventù Socialista Ticino undefined

Era il 13 novembre 2015, a Parigi, l'incubo durò 5 ore: un commando armato di terroristi colpì allo Stade de France, nei bistrot, per finire con la terribile carneficina del Bataclan, la sala dove 90 persone furono uccise mentre assistevano a un concerto rock. Dopodomani la Francia si fermerà per ricordare il peggiore attentato di matrice islamista in Francia, che costò la vita in totale a 130 persone, centinaia furono i feriti. Tra i terroristi l'unico sopravvissuto fu Salah Abdeslam, processato e condannato all'ergastolo senza possibilità di sconti di pena. Nella puntata di Modem andremo allora in Francia, per vedere come il Paese si prepara a ricordare i fatti di 10 anni fa, ma cercheremo anche di capire se e com'è cambiata la minaccia terroristica di matrice islamica in Francia, e in tutta Europa, Svizzera inclusa. Un dato fra tutti che emerge: la radicalizzazione è sempre più giovane e viaggia sempre più sui social…Ne parliamo con:ANNALISA CAPPELLINI, giornalista, collaboratrice RSI dalla FranciaLORENZO VIDINO, direttore del Programma sull'Estremismo presso la George Washington UniversityCHIARA SULMONI, analista e presidente di Start Insight di Lugano, think tank che si occupa di radicalizzazione

Per assicurare il ricambio generazionale occorre una media di 2.1 figli per donna, livello che per la Svizzera si allontana sempre più. Secondo i dati definitivi per il 2024, diffusi ieri dall'Ufficio federale di statistica, è stato registrato un nuovo minimo storico con 1.29 figli per donna. Sempre meno figli con genitori sempre meno giovani, aumenta invece il numero di chi non desidera avere figli. Una situazione da inverno demografico che colpisce praticamente tutta l'Europa. Alla radice del fenomeno un complesso intreccio di fattori economici, sociali e culturali che rendono difficile rovesciare un'evoluzione in corso da anni. Evoluzione che a sua volta si fa sentire su economia società e cultura. Per facilitare la genitorialità esistono varie iniziative a livello pubblico e di aziende, iniziative che non sembrano finora in grado di rovesciare il calo delle nascite. Intervengono sul tema: Tiziana Marcon, pedagogista e Responsabile di “Progetto genitori” associazione attiva in Ticino a livello cantonale Giuseppe Cappellari, economista di Demografik, centro studi e consulenze sui cambiamenti demografici a Basilea Ivano Dandrea, membro di comitato di Coscienza Svizzera e CEO del Gruppo Multi

In Brasile si apre oggi la 30esima conferenza Onu sul clima. Si svolge a Belem, in Amazzonia, “polmone del mondo”; giunge a 30 anni dal Vertice della Terra di Rio che diede inizio alla lotta internazionale contro il riscaldamento climatico e a 10 anni dall'accordo di Parigi che tracciò la via per affrontare il problema. Insomma, luogo e anniversari avrebbero potuto farne un appuntamento importante; verosimilmente ancora una volta non lo sarà: la comunità internazionale resta distratta da altre priorità. Cosa aspettarsi allora da questo vertice? E che cosa dire di una transizione energetica certamente avviata e che ha raggiunto risultati importanti, ma anche confrontata con mille ostacoli e rallentata da numerosi fattori, ultimo in data il ritorno alla Casa Bianca del “negazionista climatico” Trump? Ne discutiamo con: Emiliano Guanella, giornalista in Brasile Emanuele Bompan, geografo, direttore responsabile della rivista Materia Rinnovabile Barbara Antonioli Mantegazzini, economista, professoressa USI e SUPSI, vicedirettrice dell'Istituto di ricerche economiche

In Brasile si apre oggi la 30esima conferenza Onu sul clima. Si svolge a Belem, in Amazzonia, “polmone del mondo”; giunge a 30 anni dal Vertice della Terra di Rio che diede inizio alla lotta internazionale contro il riscaldamento climatico e a 10 anni dall'accordo di Parigi che tracciò la via per affrontare il problema. Insomma, luogo e anniversari avrebbero potuto farne un appuntamento importante; verosimilmente ancora una volta non lo sarà: la comunità internazionale resta distratta da altre priorità. Cosa aspettarsi allora da questo vertice? E che cosa dire di una transizione energetica certamente avviata e che ha raggiunto risultati importanti, ma anche confrontata con mille ostacoli e rallentata da numerosi fattori, ultimo in data il ritorno alla Casa Bianca del “negazionista climatico” Trump? Ne discutiamo con: Emiliano Guanella, giornalista in Brasile Emanuele Bompan, geografo, direttore responsabile della rivista Materia Rinnovabile Barbara Antonioli Mantegazzini, economista, professoressa USI e Supsi, vicedirettrice dell'Istituto di ricerche economiche

La vita e l'esperienza di due alti funzionari dell'amministrazione pubblica ticinese, da poco in pensione. Roland David e Giovanni Maria Zanini, per anni responsabile della sezione forestale, il primo, e farmacista cantonale, il secondo. A loro modo si sono presi cura dei cittadini del canton Ticino e del loro territorio, uno nell'ambito sanitario e l'altro in quello ambientale. Un doppio incontro per ripercorrere la loro carriera e per scoprire anche i punti in comune tra queste due professioni. Non per nulla Zanini e David si erano ritrovati alla fine degli anni 70' sugli stessi banchi, durante la loro formazione universitaria: chi studia farmacia segue gli stessi corsi – botanica e biologia esempio - di chi studia ingegneria forestale. Da entrambi gli ospiti un messaggio anche per chi sta per scegliere il proprio futuro formativo e professionale: “abbiamo svolto il lavoro più bello del mondo”.

Una cifra che fa discutere quel 34% di morti in più sulle strade svizzere registrato negli ultimi 5 anni (250 i decessi in seguito a incidenti stradali nel 2024). L'aumento è segnalato dall'Upi, l'Ufficio per la prevenzione degli infortuni, che parla di una Svizzera in controtendenza sul piano europeo e chiede alla politica maggiore incisività.Le misure efficaci ci sono – afferma l'Upi – la volontà politica di applicarle c'è forse meno; e l'obiettivo, fissato a Berna, di ridurre a 100 entro il 2030 i morti sulle strade del Paese rischia di mai concretizzarsi. Se guardiamo ai decessi sulle strade in rapporto alla popolazione o ai chilometri percorsi, la Svizzera resta un buon allievo in Europa, ma qualcosa apparentemente ancora non va. Cosa? Quali le sfide? Dove non si agisce abbastanza? O forse tutto sommato va bene così? Ne discutiamo con: · Emanuele Giovannacci, consulente tecnica del traffico UPI (quicklink)· Renato Pizolli, servizio comunicazione, media e prevenzione Polizia Cantonale (telefono)· Bruno Storni, presidente Ata sezione Ticino, consigliere nazionale PS (quicklink?)· Simone Gianini, presidente Acs, consigliere nazionale Plr (studio)

Il 111esimo sindaco di New York è un uomo di 34 anni, musulmano chiita, di origine indiana, nato in Uganda e politicamente un socialista, in corsa per il partito democratico. È lui il nuovo sindaco della capitale finanziaria del mondo, Zohran Mamdani, il suo nome. Si è imposto con un programma che in gran parte mira a ridurre l'impatto del costo della vita e a migliorare i servizi pubblici. Alle urne non si è andati solo a New York. Si è votato in diverse altre città e soprattutto lo si è fatto anche in due Stati, la Virginia e il New Jersey. E anche qui si imposto il partito democratico, ad imporsi due donne, dal profilo più centrista rispetto al nuovo sindaco di New York, saranno loro le nuove governatrici di questi due stati della Costa Est del paese. E anche questa non è una buona notizia per Donald Trump, al suo primo test elettorale, un anno dopo la sua vittoria su Kamala Harris e il suo ritorno alla Casa Bianca. Ne discuteremo con:Elisa Volpi, docente di scienze politiche alla Franklin University di Lugano Mattia Diletti, professore di sociologia all'Università della Sapienza di Roma, specialista di politica statunitense Andrew Spannaus, giornalista e analista, docente di storia economica degli Stati Uniti alla Cattolica di Milano

Grande festa, naturalmente faraonica, per l'inaugurazione del Grand Egyptian Museum, il nuovo museo egizio del Cairo. Un'opera attesa da decenni e chiamata a simboleggiare una nuova fase della storia egiziana. Questo, mentre l'Egitto deve fare i conti con difficoltà economiche, sociali e politiche. L'Egitto rimane la principale nazione araba con 119 milioni di abitanti, ma la sua influenza internazionale sembra essersi ridotta dopo che le proteste di piazza del 2011 avevano fatto cadere l'allora presidente Hosni Mubarak. Il potere era in seguito passato ai fratelli musulmani di Mohamed Morsi e poi, dopo un colpo di stato, all'attuale presidente Abdel Fattah Al Sisi, in carica dal 2014. Il suo governo ha garantito stabilità al paese, ma al prezzo di una repressione politica ed una stagnazione economica. A Modem ne discutiamo con:Costanza Spocci, giornalista di Radio3 Mondo e già corrispondente dal CairoGiuseppe Dentice, analista dell'Osservatorio sul Mediterraneo di Roma

Navi schierate, tensione alle stelle, sanzioni, crisi umanitaria, accuse di narcotraffico, petrolio. Al centro di questa tempesta perfetta il Venezuela, paese di immense ricchezze naturali protagonista di un intenso braccio di ferro geopolitico con gli Stati Uniti di Donald Trump. Con il pretesto della lotta alla droga, gli Stati Uniti hanno condotto negli ultimi mesi una serie di attacchi letali a navi venezuelane accusate di trasportare stupefacenti e di farlo sotto il controllo del presidente venezuelano Nicolas Maduro in persona, considerato dal presidente americano un “narcoterrorista”. E la prossima settimana dovrebbe giungere nel mar dei Caraibi anche la USS Gerald Ford, la più grande portaerei della marina statunitense con annesse altre navi da guerra e armi da rivolgere contro lo stato sudamericano. Si parla del più grande dispiegamento navale nella regione dalla crisi missilistica di Cuba nel 1962. Uno schieramento ritenuto sproporzionato per la guerra al narcotraffico e ci si chiede se dietro questa retorica non ci sia piuttosto la volontà statunitense di riprendere le redini del cosiddetto “Cortile di casa”. Con quale impatto sul popolo venezuelano e sull'intero equilibrio nel Sud America? Ne parleremo con:Emiliano Guanella, collaboratore RSI dal Sud America Marco Mariano, professore di Storia del Nord America all'Università di Torino Vincenzo Musacchio, criminologo associato a due istituti di ricerca negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che si occupano di criminalità organizzata e anticorruzione

Oltre cento morti, quasi la metà bambini, molte donne… Martedì sera Israele ha sferzato un violento attacco contro la striscia di Gaza. Una rappresaglia contro le azioni di Hamas, accusata da Tel Aviv di aver ucciso un soldato e di barare sulla restituzione dei cadaveri degli ostaggi. Una rappresaglia che non significa – hanno tenuto a sottolineare soprattutto gli americani, promotori della tregua in vigore da inizio ottobre - che la guerra è ricominciata. Il presidente degli Stati uniti Donald Trump ha in persona ha precisato che, dopo l'attacco, il cessate il fuoco nella regione è ora tornato in vigore. Ma Trump ha anche affermato che Israele aveva il diritto di rispondere, dopo l'uccisione di un suo soldato da parte di Hamas. Ma Hamas ha preso le distanze da quanto accaduto, sostenendo di non avere contatti né controllo delle cellule nel sud. Cioè: “Non siamo stati noi”. E se – se, precisiamo - non è stato Hamas, allora è stato qualcun altro. Ma quindi, quanto è forte la presa di Hamas sulla Striscia? Chi sono i gruppi armati antagonisti di Hamas con i quali, da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, è iniziato da parte della stessa Hamas, un regolamento di conti? Chi li sostiene, chi ha interesse che si rafforzino? Ma, anche: come si sta oggi a Gaza? Cosa significa per la popolazione un attacco così devastante come quello di alcuni giorni fa? E gli aiuti che Israele aveva promesso di far entrare, arrivano? Insomma, qual è la situazione dentro a Gaza?Ne parliamo con:Naima Chicherio – giornalista RSIGiorgio Monti - medico di Emergency, attivo a GazaFrancesca Caferri – giornalista de La Repubblica da Israele

L'ultimo loro incontro risale a sei anni fa, quando Donald Trump era al suo primo mandato alla Casa Bianca. Domani il presidente cinese Xi Jinping e l'omologo statunitense si riparleranno in Corea del Sud, a margine del vertice Apec. Un momento chiave nelle relazioni tra le due prime economie e potenze mondiali. La domanda di molti è se metterà un termine a una guerra commerciale che da mesi semina disordine a livello globale. Sia da Washington che da Pechino giungono segnali moderatamente incoraggianti. Ne parliamo con: Michelangelo Cocco, giornalista e analista, da Shangai Mario del Pero, professore di Storia internazionale e storia degli Stati Uniti a Sciences Po, ParigiRoberta Rabellotti, professoressa di economia all'università di Pavia, esperta di innovazione e sviluppo economico

È uno dei più importanti progetti per il futuro della città di Bellinzona. Importante sia per l'ampiezza e gli investimenti che si vogliono fare, sia per le sfide di pianificazione, di riqualifica e di bonifica che pone. Stiamo parlando del Nuovo Quartiere Officine. Quartiere dove da fine ‘800 sorge lo storico stabilimento industriale costruito per le riparazioni dei treni, e dove in futuro troveranno spazio attività di tutt'altro tipo: attività tecnologiche e di ricerca, scolastiche e formative, aggregative e culturali. Ma vi troveranno spazio anche nuovi alloggi e negozi. Un progetto, con tre attori coinvolti, la Città di Bellinzona, il Cantone e le FFS, progetto che ora deve fare i conti con una brusca frenata imposta dal Tribunale amministrativo cantonale. Il TRAM ha accolto parzialmente due ricorsi contro il Piano particolareggiato. Secondo il tribunale, il legislativo comunale ha dato il suo ok senza cognizione di causa, perché sono state omesse informazioni fondamentali, come il calcolo dei costi di bonifica dei terreni. Tutto è tornato così alla casella di partenza: il Municipio praticamente deve preparare un nuovo messaggio di pianificazione da proporre al Consiglio Comunale. Il sindaco di Bellinzona ha già ammesso che sarà difficile. Quali ostacoli ci sono nella realizzazione del Quartiere Officine e come superarli?Ne abbiamo discusso con:Mario Branda, sindaco di BellinzonaSara Nisi, consigliera comunale dei VerdiAndrea Cereda, consigliere comunale del PLRCon anche un'intervista registrata con l'avvocato Filippo Gianoni, tra i ricorrenti e una brevissima presa di posizione delle FFS

Troppi aiuti sociali agli stranieri penalizzano i ticinesi? Non sarebbe il caso di analizzare compiutamente la situazione? È questo il contenuto di una mozione a firma leghista depositata il 22 gennaio del 2024 e attorno alla quale si sarebbe dovuto discutere nella serata di ieri in Gran Consiglio a Bellinzona... Ma non sempre le cose vanno come prestabilito, i dibattiti precedenti hanno preso tempo e la trattanda è quindi stata rimandata a novembre... Tant'è, il tema rimane di attualità anche guardando alle possibili voci di risparmio per far quadrare i conti dello stato, tanto più che a questa mozione se n'è di recente aggiunta un'altra a firma UDC LEGA e PLR che chiede una revisione totale della Legge cantonale sulle prestazioni sociali, la LAPS, in vigore da vent'anni.Ne parliamo a Modem con Alessandro Mazzoleni, vice coordinatore della Lega dei Ticinesi, mozionanteGiulia Petralli, deputata in Gran Consiglio per i Verdi, co-relatrice di minoranza

Solitamente, in Argentina, le elezioni di metà legislatura non suscitano molto interesse a livello internazionale. Quest'anno però si sono trasformate in una sorta di referendum, a favore del presidente in carica Milei, con la conquista di 64 deputati (contro i 31 dei progressisti). Un risultato che sorprende rispetto i sondaggi della vigilia, che avevano pronosticato un testa a testa tra la Libertà Avanza e la coalizione di sinistra Fuerza Patria.Economista di professione e ultra-liberista per vocazione, Milei è in carica da quasi due anni e aveva ripreso un Paese sull'orlo del tracolo, anche a causa di corruzione e clientelismo. Appena arrivato al potere il neo-presidente non ha perso tempo nell'utilizzare soprattutto l'arma dei tagli. Ha ridotto le pensioni, fermato parecchi cantieri pubblici, diminuito i fondi per scuole e ospedali. E ha spinto sul pedale delle privatizzazioni. Tutto questo sta però avendo importanti conseguenze a livello sociale, basti dire che un cittadino su tre vive al di sotto della soglia di povertà. E che i mercati non sembrano dargli molta fiducia, proprio in questi giorni ci è voluto un intervento di Donald Trump in persona, e delle finanze USA, per perlomeno rallentare la perdita di valore del peso, la moneta nazionale.Dove sta andando l'Argentina di Milei? Cosa dire dei due volti della sua politica economica e finanziaria, che riduce l'inflazione ma accresce la crisi sociale? E quale il ruolo degli Stati Uniti, e anche della Cina, in questo Paese dell'America Latina fin troppo abituato a convivere con il rischio della bancarotta?Ne discuteremo conElena Basso, collaboratrice RSI dal Sudamerica Antonella Mori, docente di economia politica dei Paesi dell'America latina, alla Bocconi di Milano

In questi giorni la quotazione dell'oro ha sorpassato i 4'000 dollari l'oncia, un livello mai visto. Un'evoluzione che piace sicuramente a chi ha investito nel metallo prezioso. Certi osservatori invece, vedono in questo record un segnale di fuga verso beni rifugio e perciò di preoccupazione per quanto sta accadendo sui mercati finanziari e nell'economia reale.Da una parte investitori pessimisti preoccupati per una bolla azionaria gonfiata dalle aspettative legate all'intelligenza artificiale e per il debito pubblico di molti paesi, dall'altra gli ottimisti che vedono un'economia globale in crescita nonostante i dazi imposti dagli Stati Uniti, mentre il potenziale dell'intelligenza artificiale comincia appena a venire sfruttato. Per aiutarci a capire le scelte degli investitori e gli intrecci fra economia reale, geopolitica e finanza sono ospiti di Modem:Elena Guglielmin, analista economica di UBSEdoardo Beretta, professore di Macroeconomia internazionale all'USI di Lugano

Gli assistenti di Intelligenza Artificiale (IA) come Copilot, Perplexity, Gemini o ChatGPT non sono ancora un modo affidabile per accedere alle notizie e informarsi sui fatti del mondo, ma un numero sempre maggiore di utenti si fida della loro accuratezza. Lo si legge in uno studio realizzato dalla BBC in collaborazione con l'Unione europea di radio-televisione (EBU) secondo il quale oltre un terzo delle risposte fornite dall'IA presenta problemi considerati “significativi”. Quali i rischi? Quali le prospettive, anche dal punto di vista occupazionale per chi lavoro in questo ambito? E quali, più in generale, le conseguenze di questo stato di cose per la tenuta della democrazia? Ne discutiamo con: Ruben Razzante, Docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma Francesco Veri, politologo, ricercatore senior presso il Centro per gli studi democratici di Aarau, affiliato all'Università di Zurigo Domenico Talia, professore di informatica all'Università della Calabria, autore del libro “Giornalisti robot? L'IA generativa e il futuro dell'informazione”

Insulti, diffamazioni, minacce anche di morte, attacchi verbali ma pure fisici, vandalismi. Manifestazioni di ostilità - se non di odio - che per quasi tutti i parlamentari attivi a livello federale e per tre quarti dei membri dei legislativi cantonali sono ormai la quotidianità. Uno studio realizzato dall'Università di Zurigo, su mandato del Dipartimento federale di giustizia e polizia, mette per la prima volta in evidenza tutta l'ampiezza del fenomeno e le conseguenze. Ad essere presi di mira in particolare sono gli esponenti dei Verdi e dell'UDC. A livello comunale invece i bersagli sono più spesso le donne, i politici di sinistra e le minoranze sociali, religiose, etniche o sessuali. Categorie, queste ultime, che tendono poi ad evitare l'esposizione mediatica, a limitare la loro visibilità e i loro interventi, con ripercussioni sulla partecipazione e la loro rappresentatività politica.E' un “rischio del mestiere” che bisogna mettere in conto? Oppure vanno messi dei limiti? E quali? Ne discuteremo conNara Valsangiacomo, granconsigliera dei Verdi Diego Baratti, vicepresidente UDC TI, vicesindaco di Ponte Capriasca Nenad Stojanovic, politologo dell'Università di Ginevra Con un'intervista registrata all'autrice dello studio Lea Stahel.

È una lunga maratona europea quella con cui è confrontato il nostro Paese, chiamato nei prossimi due o tre anni a prendere posizione sul nuovo pacchetto di accordi tra Svizzera e Unione europea. Dall'anno prossimo toccherà al Parlamento discuterne, poi si andrà alle urne, forse nel 2027 o forse un anno più tardi, dopo le prossime elezioni federali. Un pacchetto gigantesco, da quasi 1900 pagine, che grazie ad un referendum (che sia volontario obbligatorio o sui generis) verrà sicuramente sottoposto anche al vaglio delle urne. Resta da capire il modo in cui questa votazione verrà organizzata: basterà la semplice maggioranza del popolo o ci vorrà anche quella dei cantoni. Un quesito centrale in questa vicenda e su cui il Parlamento avrà l'ultima parola. Un interrogativo che sottoporremo ai nostri ospiti, per capire e approfondire le ragioni degli uni e degli altri in questa partita dal valore epocale per il nostro Paese. A discuterne avremo con noi:Greta Gysin, consigliera nazionale del Verdi/TIAnna Giacometti, consigliera nazionale PLR/GRPiero Marchesi, consigliere nazionale UDC/TIFabio Regazzi, consigliere agli Stati Centro/TI

Venerdì scorso l'incontro fra il presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymir Zelensky non ha portato praticamente a nulla. Zelensky sperava in un appoggio militare americano – leggasi la consegna di missili a lunga gittata Tomahawk – che non è arrivato. Donald Trump guarda già al possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest: un incontro che potrebbe tenersi nelle prossime settimane e che però potrebbe rivelarsi – nuovamente, come accaduto ad Anchorage, in Alaska del 15 agosto scorso - un semplice atto simbolico. Nel frattempo, l'Europa osserva con preoccupazione, temendo di essere marginalizzata in un gioco diplomatico dominato da Washington e Mosca. A Modem facciamo il punto della situazione sui due paesi tutt'ora in conflitto con Bettina Müller, responsabile attualità estera Radio - RSI, appena rientrata dall'UcrainaDavide Maria De Luca, collaboratore RSI da KievAlberto Zanconato, collaboratore RSI da Mosca

Le realtà alpestri e contadine ticinesi considerano a rischio il futuro di molti alpeggi in Ticino e delle attività economiche legate agli alpeggi (per esempio la produzione di formaggio). Domani manifestano a Bellinzona per chiedere un sostegno finanziario migliore e, soprattutto, l'abbattimento di un maggior numero di esemplari. In Ticino ci sono sette branchi, per un totale di circa 40 esemplari, ai quali vanno aggiunti i lupi in transito sul territorio cantonale. Da inizio anno e fino al 30 settembre 184 animali sono morti a causa del lupo, un numero in aumento rispetto al 2024.Un reportage di Roberto Porta ci farà conoscere due diverse aziende agricole - una in valle Maggia, l'altra in valle di Blenio - che affrontano i rischi legati alle predazioni in modo completamente diverso. Metteremo poi a confronto mondo agricolo e Cantone con: - Omar Pedrini, allevatore e presidente dell'Unione Contadini Ticinesi - Alex Farinelli, consigliere nazionale e presidente della Società Ticinese di Economia Alpestre - Tiziano Putelli, capo Ufficio Caccia e Pesca del Canton Ticino - Stefano Rizzi, direttore Divisione Economia del Canton Ticino

La protesta dei nati tra la fine degli anni Novanta e la prima decade del Duemila dilaga nei Paesi a basso reddito. A spingere i giovani sono rivendicazioni sociali e politiche. Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati di smartphone e di una rabbia dai tratti ricorrenti, e ci spingono a chiederci se non siamo di fronte ad una mobilitazione che unisce i continenti. La generazione Z protesta contro la corruzione, le disparità e l'inettitudine delle classi politiche. Rivendicano lavoro, diritti, dignità. Non ci sono vertici: strategie e luoghi di incontro si condividono online su TikTok, Instagram, Discord, Telegram. Stessi simboli, slogan e codici circolano in Paesi distanti geograficamente fra loro, ma non a caso in latitudini dove l'età media è inferiore ai 30 anni.E in alcuni di questi Paesi la Gen Z già riuscita – con le sue proteste – a far cadere i governi, nella speranza di un cambiamento. A Modem ne parliamo con:· Alessandra Polidori, sociologa e ricercatrice presso il Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione di Neuchâtel.· Chiara Reid, collaboratrice RSI dall'India· Freddie Del Curatolo, collaboratore RSI dall'Africa

L'ex acciaieria Monteforno va in scena al Teatro Sociale di Bellinzona. Il libro intitolato “Quaderno della Monteforno. Un racconto di fabbrica” di Sara Rossi Guidicelli è diventato uno spettacolo teatrale. Nella puntata di domani partiremo da qui, da quello che è stata tra il 1946 e il 1995 la Monteforno per gli operai, per la Bassa Leventina, per il Ticino. Parleremo di quello che ha portato e che ha lasciato nel mondo del lavoro, e in un settore – quello dell'acciaio- oggi in crisi. Lo faremo con Sara Rossi Guidicelli, giornalista e scrittrice, autrice di “Quaderno della Monteforno” Franco Romerio, storico ed economista, municipale di Giornico Nicola Tettamanti, presidente di Swissmechanic e imprenditore

Tra settembre e novembre 2025 sette regioni italiane —Toscana, Campania, Puglia, Veneto, Marche, Calabria e Valle d'Aosta — sono chiamate alle urne per eleggere Presidenti e Consigli regionali, in quello che parrebbe essere un momento politico cruciale per misurare la forza dei principali schieramenti (centrodestra, centrosinistra, “campo largo”) in vista delle prossime scadenze nazionali. A metà di questa tornata elettorale (ieri era la volta della Toscana, dopo i verdetti di Valle D'Aosta, Calabria e Marche) a Modem poniamo la lente su questo appuntamento elettorale: Cosa ci dicono dunque queste elezioni regionali italiane? Che conclusioni potremo trarre a voto avvenuto e in prospettiva della scadenza del 2027 con il rinnovo dei poteri politici nazionali? E in via più generale come stanno l'Italia e il Governo Meloni? Ne parliamo a Modem con: Marco Valbruzzi, professore di Scienze Politiche all'Università Federico II di NapoliElisa Volpi, professoressa assistente di Politica comparata alla Franklin University di LuganoFrancesca Torrani, corrispondente RSI da Roma

Donald Trump è in viaggio verso il Vicino Oriente per raccogliere i frutti di quello che finora potrebbe diventare il suo maggior successo in politica estera, vale a dire la fine degli scontri armati a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Cosa dire invece della situazione negli stessi Stati Uniti ad appena nove mesi dall'inizio del secondo mandato presidenziale di Trump. Il paese si trova infatti in uno “shutdown”, con le attività governative ferme per la mancanza di un accordo sul bilancio statale al Congresso. L'amministrazione repubblicana si è fatta notare per il suo voler mettere in riga i vari poteri dello stato, pensiamo solo all'esercito e al Dipartimento di Giustizia. Senza poi dimenticare gli attacchi ad altre istituzioni dalla Federal Reserve alle Università fino ai media. Un approccio che solleva interrogativi: si tratta di una normale dinamica della politica americana, oppure siamo di fronte a una deriva autoritaria verso una democrazia illiberale, sul modello di Turchia o Ungheria? Mattia Ferraresi, giornalista di “Domani” Stefano Luconi, Professore di Storia degli Stati Uniti d'America all'Università di Padova Andrea Vosti, corrispondente RSI da Washington

«Abbiamo atteso tutti troppo a lungo questo momento. Ora dobbiamo far sì che conti davvero». Queste parole del segretario generale dell'Onu Antonio Guterres riassumono quello che è il sentimento di tutti coloro che da mesi e mesi chiedevano la fine dell'azione militare israeliana a Gaza. Perché l'accordo tra Israele e Hamas, raggiunto la scorsa notte e relativo alla prima fase del processo di pace promosso dall'amministrazione statunitense, deve passare dalle parole, ai fatti. E le incognite non sono poche. Nell'attesa di capire se e come il cosiddetto “Piano Trump” – che peraltro assomiglia molto alla proposta egiziana di qualche mese fa, elaborata in collaborazione con Giordania e Qatar e approvata dalla Lega Araba – verrà attuato, a Modem vedremo di capire quali sono le dinamiche, le diverse visioni e i diversi obiettivi da parte israeliana e palestinese. Perché non c'è una sola Hamas, e non c'è solo Hamas, e perché il governo israeliano ha al suo interno figure che i palestinesi vogliono eliminarli e basta e che questo accordo non lo sosterranno, senza dimenticare che lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu è stato convinto “con veemenza” dall'alleato americano, che questa è l'unica via percorribile. Ne parliamo con:MICHELE GIORGIO, giornalista, collabora con la RSI da Gerusalemme (quicklink)PAOLA CARIDI, giornalista e saggista, storica di Hamas (quicklink)CLAUDIA DE MARTINO, docente di storia contemporanea Università del Lussemburgo, esperta di Israele (quicklink)

E' arrivata la notizia che tutti attendavamo. E' stato raggiunto un accordo di pace per la Striscia di Gaza: Israele e Hamas attueranno una prima fase del piano di pace in venti punti, che il presidente statunitense Donald Trump ha reso pubblico pochi giorni fa. Una prima fase che dovrebbe portare presto alla fine dei combattimenti. Una conferma è arrivata anche da Hamas, che nei prossimi giorni libererà tutti i venti ostaggi ancora in vita, in cambio dei prigionieri palestinesi. Solo allora l'esercito israeliano inizierà a ritirarsi da gran parte del territorio della Striscia. E cosa ancora più importante, per la stremata popolazione di Gaza, gli aiuti umanitari potranno entrare senza limitazioni. Alcuni dei punti più controversi, come il disarmo di Hamas, dovranno essere negoziati in seguito.Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato di un grande giorno per Israele. Ma questo primo passo quanto è significativo? E' davvero in arrivo una pace duratura e stabile?Ne discuteremo con- Rossella Tercatin, giornalista di Times of Israel a Gerusalemme-Francesca Caferri, giornalista di Repubblica, esperta di Paesi del Golfo-Emiliano Bos, giornalista inviato della RSI

Domenica scorsa si sono svolte in Siria le prime elezioni legislative del “dopo-Assad”: le prime dopo oltre 13 anni di guerra civile. Elezioni tutte particolari, indirette, con 1'500 candidati prescelti da una speciale commissione e un numero molto ristretto di elettori anch'essi prescelti: circa 6'000 su una popolazione di 24 milioni. Elezioni quindi molto poco democratiche, ma che per le nuove autorità di Damasco rappresentano un primo passo verso “una maggiore partecipazione politica”. Intanto, in questo paese ancora tutto da ricostruire, gli scontri avvenuti la scorsa notte ad Aleppo ci ricordano l'estrema fragilità. Come sta allora la Siria d'oggi? Quali le sue prospettive in un Medio Oriente in subbuglio? E quale il significato di queste elezioni? Ne discutiamo con: Lorenzo Trombetta, giornalista e saggista, esperto di SiriaValeria Giannotta, docente universitaria e direttrice scientifica dell'osservatorio Turchia del CESPI (Centro Studi di Politica Internazionale)Da Aleppo la testimonianza di Jean-François Thiry, supervisore dell'Ong Pro Terra Sancta