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Vedi libro: https://www.libri.it/anna-dei-miracoli La difficile infanzia di una bambina sordocieca e l'incontro con la sua "fata madrina", l'istitutrice che le insegnerà il linguaggio dei segni restituendole la gioia di conoscere, di imparare e di vivere. Una versione audio gratuita dei libri #logosedizioni, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti all'integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
vedi libro: https://www.libri.it/denti-di-ferro “Fate attenzione, non andate nel bosco! Là vive la strega Denti di ferro, che si mangia i bambini” dice la mamma ai tre figlioletti che trascorrono le giornate a bighellonare in strada. Ma sappiamo tutti che sarà proprio nel bosco che i tre fratellini si dirigeranno alla prima occasione, in cerca di nuove avventure! Al grande e al mediano le streghe non fanno paura – figurarsi! – e il più piccolo, l’unico rispettoso degli avvertimenti della mamma, viene subito schernito per la sua prudenza (“Bel fifone!”). Così i tre si avviano di nascosto, e cammina cammina, si addentrano sempre più nel bosco scuro e misterioso… Finché cala la sera e, con il vento che sibila sempre più forte e le ombre che si fanno sempre più lunghe, i tre capiscono di essersi persi. Il grande e il mediano iniziano ad aver paura, così il più piccolo sale su un albero per cercare la via del ritorno… ma finisce per avvistare la casa della strega. Ed è proprio là che vuole andare l’imprudente fratello maggiore! “Venite, bambini, non abbiate paura” li accoglie una vecchina dai capelli candidi con la promessa di un pasto caldo e un letto confortevole, “domani vi riaccompagnerò a casa”. Stanchi e affamati, i due grandi vengono subito tratti in inganno, ma il più piccolo non si fida, perché entrando ha visto chiaramente una grossa gabbia, e al calar della notte i suoi dubbi sono confermati dalla vista del famigerato muro d’ossa di bambini… Il personaggio della strega divoratrice di bambini che vive in una casetta in mezzo al bosco è parte della tradizione orale di molti Paesi (Turchia, Russia, Germania…) e ha svariati antecedenti letterari, a partire dalla celebre fiaba di Hänsel e Gretel. Nelle storie e nei racconti le paure più tipiche dei bambini prendono vita, spesso assumendo le sembianze di soggetti umani oltremodo malvagi. Cosa c’è, quindi, di meglio che ascoltare racconti i cui protagonisti trionfano su questi esseri orripilanti per acquisire maggiore fiducia e superare ogni timore? È proprio quello che succede con Denti di ferro, la cui trama combina elementi narrativi tratti da racconti popolari turchi e russi. Il tutto, accompagnato dalle efficaci immagini di Maurizio A.C. Quarello, che fanno un uso sapiente delle ombre e del chiaroscuro, trasportandoci dapprima in un bosco oscuro dove la casa della strega svetta simile al volto di un diavolo minaccioso, con le narici che fremono e le corna puntate verso il cielo plumbeo, per poi condurci al suo interno, dove le ombre sono lunghe e incombenti e i dettagli spesso raccapriccianti: ragni e scarafaggi, coltellacci sporchi e rane parlanti, pozzi senza fondo e una strega insolitamente espressiva che, pur caratterizzata dal classico naso adunco e da unghie e denti aguzzi, ha un insolito ombretto azzurro (e baffetti e peli del naso più ispidi di quelli dei nonni!) e sfoggia una capigliatura a cono e una gamma di espressioni dal disgustato all’impaziente che ruberanno un sorriso ai lettori più adulti... Valentina Vignoli
vedi libro: https://www.libri.it/una-storia-piena-di-lupi C’era una volta una storia piena di lupi. C’erano lupi grandi e lupi piccini. Lupi dormiglioni e lupi furbacchioni. Lupi appena nati… e lupi stagionati. Così comincia questa storia. Ed è davvero una storia piena di lupi! Se ne trovano dappertutto, nelle sgargianti immagini realizzate da Roger Olmos con la tecnica a olio. Già i colori scelti ce li fanno apparire un po’ diversi dai classici animali cattivi delle fiabe che tutti conosciamo: ci sono lupi azzurri, lupi verdi, lupi arancioni, viola e perfino lupi rosa! Alcuni sono neri ma non fanno troppa paura: vi spaventereste davanti a un lupo che indossa un paio di grossi occhiali da sole con le lenti rosse, o un altro che saltella con in testa un buffo cappello? In un panorama urbano surreale e coloratissimo, una sorta di gigantesco parco giochi dove piattaforme, case, ponti, fontane e sculture si incastrano come in un puzzle, si sono magicamente riuniti i lupi di tutte le favole del mondo: eccone uno giallo con un paio di occhiali viola che sale una scala aiutandosi con un bastone, eccone uno verde che prende il volo a bordo di un razzo, uno viola che si lancia col paracadute, un altro che guarda la TV con in mano il telecomando, ecco un lupo vigile urbano, tre lupi muratori… non si sa proprio dove guardare, ce ne sono ovunque! E non mancano neppure oggetti ed elementi architettonici a forma di lupo; ad esempio il portone in copertina che, con le zanne aguzze in bella in mostra, potrebbe sembrare minaccioso, non fosse per le fioriere che lo affiancano e il timido lupetto che fa capolino dal suo interno scostando una tenda. Basta sfogliare poche pagine per trovare poi una fontana con sculture di lupi che versano acqua dalla bocca, un orologio con un lupo che muove le zampe come fossero lancette e addirittura un lupo-dirigibile! Ma cosa succede di preciso in questa strana città? Qual è la storia che si racconta in questo libro? Tutto comincia con un grasso lupo azzurro che, con in mano un megafono e al collo un bavaglino da neonato, esclama: “Urca che fame! Voglio cenare!”. Lupo Ghiottone (mai nome fu più azzeccato!) rimane tutto solo a pagina 9, così prova a addentare le lettere del libro mentre gli altri lupi vanno in cerca di cibo. Non riuscendoci, salta alla pagina successiva, piena di scivoli e ottovolanti, e prova a divorare le parole. Ma non gli piacciono perché sono dure e sanno di tintura, così le sputa subito. Intanto gli altri lupi, che hanno perlustrato la città in lungo e in largo, tornano mestamente a pagina 13 senza aver trovato niente di buono... Francesca del Moro
Un giorno alla fattoria viene recapitato un pacco contenente un uovo. Nessuno degli animali è disposto a occuparsene, così tocca a Cane improvvisarsi papà della misteriosa creaturina che presto verrà alla luce. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti l’integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
vedi libo: BESTIARIO UNIVERSALE DEL PROFESSOR REVILLOD Tutto è cominciato con la scoperta del ciprifante nella giungla di Sumatra. Come? Non avete mai sentito parlare del ciprifante? Si tratta naturalmente del “volubile esemplare dall’incedere maestoso delle selve dell’India” che possiamo ammirare già in copertina, mentre soffia bollicine circondato dalle rigogliose piante della sua terra. Basta sfogliare un paio di pagine per ritrovare un magnifico esemplare di questo pachiderma dal muso di pesce con il dorso ricoperto da un drappo indiano su cui siede il Professor Revillod, vestito di tutto punto e con in mano una bandierina. Illustre accademico e uomo dal multiforme ingegno, il professore ha attraversato i cinque continenti per regalarci il Bestiario universale, questa “maraviglia bibliografica della moderna zoologia” redatta dall’Istituto che da lui prende il nome sulla base delle sue annotazioni. Le raffinate incisioni in bianco e nero dal fine tratteggio eseguite dall’artista Javier Sáez Castán, accompagnate dalle didascalie di Miguel Murugarren, svelano al lettore l’aspetto e i principali comportamenti di ben 4096 specie animali di cui nessuno, se non fosse stato per il lavoro infaticabile del professore, avrebbe mai saputo nulla. Attraversando terre e mari ignoti, risalendo vette sconosciute ed esplorando gli abissi più profondi, calcando strade ferrate e librandosi su palloni aerostatici, il Professor Revillod ci ha consegnato un patrimonio di conoscenze inestimabili. Guidato dalla sua inalterabile stella polare – la frase contenuta nell’emblema dell’Università di Bratislava, La Scienco, torco kaj grido da Homaro, che in esperanto significa “la Scienza, fiaccola e guida dell’Umano genere” – l’esimio studioso ed esploratore ha viaggiato ovunque nel mondo per svelarcene la magnificenza: eccolo dunque intento a osservare il kifariano, “bizzarro piumato dall’incedere maestoso della regione siberiana” o a studiare il cermanca, un “pesce primitivo di costumi notturni delle giungle malesi”, e ancora alle prese con la temibile tilce del gadillo, “feroce animale dalla puntura tenace del bacino dell’Orinoco”. In Nuova Zelanda, ha potuto ascoltare l’inconfondibile verso del colaca, un rumoroso piumato dal corpo adiposo, nel deserto del Gobi si è intrattenuto a giocare con l’hucello, un socievole canide dalla spessa pelle, e si è spinto con coraggio a sondare le profondità oceaniche alla ricerca del cewinto, un “pesce primitivo di abitudini notturne dei fondali abissali”... continua Francesca Del Moro
Tra i regali che Giulietta riceve per il suo compleanno, c'è anche un nuovo amico: Giacinto, un esserino buffo e birichino, un po' insetto e un po' bambino. I due diventano inseparabili ma quando nasce Santiaguito, il fratellino di Giulietta, le cose cambiano e Giacinto, geloso, comincia a combinare guai. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti all'integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
La straordinaria storia di Maria Sibylla Merian (Francoforte sul Meno, 2 aprile 1647 – Amsterdam, 13 gennaio 1717), che fu artista, naturalista e avventuriera, in un’epoca in cui alle donne era ancora preclusa la libertà di studiare, viaggiare e dedicarsi alle proprie passioni. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti all'integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
Dall’orto al piatto il passo è breve! Frutta e verdura diventano protagoniste di fatti di cronaca nera raccontati attraverso esilaranti filastrocche horror. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti all'integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
Cosa succede quando una bambola vuole un figlio? Una fiaba moderna e divertente per raccontare le origini del souvenir russo per eccellenza. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti l’integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
Direttamente dal Perù, la storia del volpacchiotto più bello del mondo e della sua prima volta in città... quando sua mamma rischiò di perderlo per sempre. Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti l’integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
vedi libro: STIGMATE Edito per la prima volta nel 1999 nella collana Stile Libero di Einaudi, Stigmate viene oggi ripubblicato da #logosedizioni come seconda tappa di un progetto editoriale che ripercorre l’evoluzione artistica del Lorenzo Mattotti fumettista. Preceduta nel 2017 dalla pubblicazione di Ghirlanda, opera vincitrice del Gran Guinigi 2017 che ha segnato il ritorno di Mattotti al fumetto dopo quasi quindici anni, la collana è stata inaugurata lo scorso marzo con l’uscita del volume L’uomo alla finestra. Stigmate inizia con un sogno, motivo da sempre particolarmente caro a Mattotti. Nella visione onirica, un misterioso bambino promette a un uomo la prossima fine della sua vita disgraziata. Al suo risveglio, l’uomo sanguina copiosamente dalle palme delle mani. È l’inizio di un incubo: i medici sono convinti che sia un mitomane che si ferisce da solo, il suo datore di lavoro lo guarda con ribrezzo, i clienti del bar dove è impiegato si lamentano delle macchie di sangue che lascia sui bicchieri. Per contro, schiere di adoratori gli fanno visita con offerte votive pregandolo di guarire i propri mali e quelli dei propri cari. Ma lui li scaccia e non vuol sentir parlare né di miracoli né di stigmate. Del resto, cosa può avere in comune un uomo come lui con i santi? Non è altro che un quarantenne balordo, collerico e puzzolente di alcol, che si mantiene lavorando in un bar dove vende sottobanco sigarette di contrabbando e di tanto in tanto si accoppia bestialmente con donne che vivono allo sbando come lui. Per di più quello che ha ricevuto è tutt’altro che un dono: ben presto le stigmate lo porteranno alla rovina. Viene infatti licenziato e lascia il bar non prima di aver fracassato ogni cosa e aver tramortito il suo datore di lavoro. Nel frattempo la sua casa brucia, incendiata da uno dei ceri lasciati dai suoi devoti. Così alla fine l’uomo si ritrova in mezzo alla strada, senza più un lavoro né un posto dove stare. “Perché Dio ha deciso di farmi impazzire?” si domanda, e conclude sconsolatamente che “siamo robaccia destinata a marcire”. Inizia così a condividere il destino dei senzatetto e di altri emarginati in una città sempre più minacciosa e ostile, finché la violenza che lo circonda raggiunge il culmine quando un gruppo di delinquenti dà fuoco a un migrante. È il momento di lasciarsi alle spalle tutto questo, così l’uomo decide di mettersi in cammino per andare a chiedere aiuto a uno zio giostraio. Dopo molte ricerche, scopre che lo zio è in carcere ma la compagnia di giostrai con cui lavorava gli offre comunque un impiego come uomo di fatica. Tra i suoi nuovi colleghi trova l’amore, una ragazza dolce e fragile di nome Lorena che diventerà sua moglie, e decide di mettere a frutto il suo ‘dono’, trasformandosi in una specie di santone che promette guarigioni in cambio di denaro. Sembra dunque profilarsi un lieto fine per questa vicenda, finché la situazione si ribalta nuovamente: le ferite cominciano a richiudersi, i giostrai divengono ostili nei suoi confronti ritenendolo responsabile di una perquisizione della polizia e infine compare il suo ex datore di lavoro in compagnia di un paio di sgherri per prendersi la sua vendetta. Gli sgherri violentano Lorena sotto gli occhi del marito mentre il suo vecchio capo lo riempie di botte e infine spezza il braccio alla donna. Convinta di aver ricevuto la giusta punizione per i suoi peccati, quest’ultima si chiude in sé stessa e sviluppa una forma ossessiva di devozione religiosa... continua Francesca Del Moro
FRANCES episodio 3 Ed eccoci giunti alla conclusione della trilogia di Frances, graphic novel in cui l’autrice, la svedese Joanna Hellgren, racconta una piccola epopea familiare accanto a una storia di formazione personale. Siamo alla resa dei conti. In questo episodio dal finale apertissimo si svela il mistero della morte di August, si comprende il motivo delle scelte di Ada e vediamo scene di una Frances ormai undicenne, alle prese con la sua vita da adolescente, alternate a scene di una Frances bambina che vive con il padre. Se il secondo volume era incentrato sul tema della maternità in tutte le sue accezioni, questo terzo e ultimo capitolo è decisamente declinato al maschile. Conosciamo un po’ meglio la figura del nonno oltre a quella di August, e il motivo del dissidio tra lui e il padre autoritario. Comprendiamo le ragioni del suo inquieto girovagare, alla perenne ricerca di un lavoro, il suo rapporto con la figlia, le altre donne, i colleghi, fino alla sua tragica morte. Viene ripreso inoltre, anche se solo accennato in chiusura, il tema della maternità che qui assume una sfumatura nuova: in un confronto con una maternità conformista o semplicemente subìta, assistiamo alla metamorfosi di una donna che affronterà forse la dimensione del materno con una nuova consapevolezza e maturità... continua su https://www.libri.it/frances-3 Rossella Botti
FRANCES episodio 2 Torniamo a parlare del graphic novel Frances, del secondo episodio della trilogia della svedese Joanna Hellgren. Ricordiamo l’ambientazione in una Svezia atopica e in un tempo indeterminato, in un continuo sovrapporsi del passato al presente… Accolta, in seguito alla morte del padre, dalla zia Ada, Frances è portatrice di misteri e domande. Bambina in cerca di verità, Frances cresce inventandosi storie che l’aiutano a colmare le lacune della sua giovane esistenza. In questo libro tutti i personaggi lottano, ciascuno alla sua maniera, per affermare la propria libertà e identità, liberandosi del peso delle convenzioni sociali e familiari. Questo secondo episodio è incentrato sul tema fortissimo della maternità, potremmo forse dire della maternità imperfetta. Ada e Frances sono accomunate proprio dall’assenza della madre e da un padre morto o moribondo, anche se assumono ruoli diversi nei confronti del materno. Mentre nel volume precedente si avvicendavano vari temi importanti (famiglia, amore, amicizia, pregiudizi…) in questo episodio la maternità è esplorata in tutte le sue declinazioni: fisica o immaginativa; biologica o spirituale; imposta, subita, negata; rifiutata, ma anche accettata, indagata, ricercata, desiderata fino al sorprendente epilogo, fino a un insolito padre che si fa progressivamente carico del ruolo di madre (a livello immaginativo, emotivo e sentimentale ma anche molto concreto e perfino istintivo). Nella grande casa, non compare, questa volta, la zia Anna, madre algida e apparentemente impeccabile, dura e conformista al contempo, mentre Ada si fa incarnazione di un materno positivo e accogliente, per quanto non biologico. Ada sembra aver raggiunto una stabilità sentimentale e Louise una realizzazione professionale a tratti ambivalente: in loro Frances ha trovato una famiglia anticonformista ma accogliente e rassicurante... continua su https://www.libri.it/frances-2 Rossella Botti
FRANCES episodio 1 Frances è un graphic novel in tre episodi, in cui l’autrice, Joanna Hellgren, racconta la storia di una bambina di 7 anni rimasta orfana del padre e senza madre, e degli adulti che la circondano. La narrazione procede in modo non lineare tra numerosi flash back a delineare una piccola epopea familiare accanto a una storia di formazione personale. Una storia che parla di famiglia, sentimenti, pregiudizi e immaginazione. L’azione è ambientata in una non meglio specificata città della Svezia, in un’epoca altrettanto indeterminata; possiamo presumere che si tratti degli anni ’30 dagli abiti e dagli elementi architettonici ma anche dal più generale contesto psicologico e sociale che emerge dalla storia. In questo primo volume vengono introdotti temi importanti come il peso della famiglia e la durezza di certi legami di sangue, i pregiudizi che limitano le persone, la condizione femminile e la difficoltà di vivere appieno e compiere liberamente le proprie scelte... continua su https://www.libri.it/frances-1 Rossella Botti
LETTERE DA UN TEMPO LONTANO Sei brevi storie accomunate da alcuni temi ricorrenti nella produzione di Lorenzo Mattotti, come il ricordo, il sogno, l’esplorazione dei rapporti umani. Sei lettere spedite rispettivamente da una donna al suo compagno lontano, da una ragazza al bisnonno fumettista e, rivolgendosi idealmente a noi che leggiamo, da un pittore che non riesce più a ritrarre l’amata, da un personaggio indefinito che segue lo strano viaggio di una statuetta, da una donna che torna alla propria terra di origine, da due persone che si incontrano fugacemente separate da un vetro. Sei storie attraversate dalle altre due parole chiave del titolo: il tempo, che qui è soprattutto il futuro, e la lontananza. Il tema del futuro viene introdotto in due tavole contenute nel primo episodio, “Dopo il diluvio”, in cui la protagonista immagina due diverse versioni della fine del mondo: nella prima una notte scura avvolge la terra inghiottendo ogni speranza di luce, nella seconda gli animali aggrediscono l’umanità fino a determinarne l’estinzione. Lo stesso tema diventa protagonista del quarto episodio, “Lettera da un tempo lontano”, un viaggio a bordo di un futuristico treno lanciato a tutta velocità attraverso una stramba Venezia quasi completamente allagata. Questa storia era stata realizzata nel 1992 per un libro dal titolo Quel fantastico treno – fumetti d’autore sulla ferrovia, edito da Adnkronos che, oltre a quello di Mattotti, raccoglieva i contributi di Guido Crepax, Cinzia Leone, Hugo Pratt e José Muñoz e Carlos Sampayo, con la prefazione di Omar Calabrese. Si trattava di un volume celebrativo delle Ferrovie dello Stato, con il tema del tempo come filo conduttore. A Mattotti era stata chiesta una storia originale sul “treno del futuro” e a tal fine aveva attinto alle proprie letture e inserito alcuni elementi di invenzione. In una società in cui i rapporti umani sono perlopiù filtrati da dispositivi artificiali, le persone hanno la possibilità di isolarsi completamente dall’ambiente circostante applicando alle cuffie acustiche particolari meccanismi sonori e possono vedere ingranditi i particolari del paesaggio attraversato dal treno... continua su https://www.libri.it/lettere-da-un-tempo-lontano Francesca Del Moro
THEO All’alba di una giornata livida che promette burrasca, Rebecca siede pensosa sui sacchi di sabbia di una trincea in riva al mare. Ovunque intorno a lei incombe la minaccia della guerra: le navi muovono verso la costa, i sottomarini corazzati affiorano tra le onde e il cielo è solcato da cupe processioni di Zeppelin. Ma non è questo a preoccupare la ragazza, che rimugina sulle parole pronunciate da Giona al termine dell’episodio precedente della saga delle “Scienze inesatte”. Non riesce a credere che il suo amato voglia davvero proseguire i folli esperimenti di Balthazar Zendak, l’anatomopatologo vissuto molto tempo prima nella casa sulla scogliera dove la coppia di giovani si è da poco trasferita. Qui Rebecca sperava di poter costruire il loro nido d’amore ma a partire dal ritrovamento del diario di Zendak la situazione è precipitata. Giona è sempre più scontroso e incostante e tratta la sua compagna con gelida indifferenza quando non con aperta aggressività. Incalzato da Rachel, lo spettro della figlia dell’anatomista rimasto intrappolato ad aggirarsi in quelle stanze, Giona ha allestito una wunderkammer e sta andando incontro al destino dal quale lo aveva messo in guardia l’amico Lazzaro: la camera delle meraviglie lo ha ormai asservito a sé trasformandolo in un mero strumento di raccolta. Ma a terrorizzare Rebecca è soprattutto l’intenzione, da lui espressamente dichiarata, di fabbricare un homunculus seguendo la ricetta contenuta nel nefasto diario. La ragazza tenta invano di farlo ragionare ma, facendo leva sul suo desiderio di maternità, Giona la convince a prendere parte all’impresa, aiutandolo a creare, dal suo seme mischiato a poltiglia di mandragola, una creatura artificiale a cui viene dato il nome di Theo. Da questo momento in poi, in un crescendo di humour nero e tensione, la vicenda di Giona, Rebecca e Rachel si avvia verso una conclusione mozzafiato che non manca di profilare nuove avventure all’orizzonte... continua su https://www.libri.it/theo Francesca Del Moro
MARIA SIBYLLA MERIAN. LA MAGIA DELLA CRISALIDE Artista, scienziata, imprenditrice, insegnante e intrepida viaggiatrice, Maria Sibylla Merian era una donna dotata di un’indole anticonformista e di un’irrefrenabile curiosità per il mondo naturale, temperata da disciplina, metodo e fervore religioso. In un’epoca in cui libertà e istruzione non erano considerate cose per donne, visse una vita straordinaria e fuori dagli schemi. Nelle immagini poetiche e rarefatte di Anna Paolini rivivono alcuni scorci dell’infanzia di questa donna del XVII secolo, soffermandosi su una piccola storia familiare che racchiude in sé in potenza tutto ciò che ne sarebbe scaturito: Maria Sibylla ebbe la forza di conquistarsi la libertà di viaggiare, studiare e coltivare le proprie passioni, nonostante i tempi e la società in cui visse... continua su https://www.libri.it/maria-sibylla-merian Rossella Botti
vedi libro: BUONANOTTE CIPOLLINA Una limpida notte stellata è scesa sulla città, avvolgendola nel suo manto blu. Uno spicchio di luna pende placido nel cielo. Tutte le finestre delle case sono chiuse: soltanto una rivela una stanza con la luce accesa e una sagoma corpulenta. È la finestra della camera di Cipollina, che è già a letto ma non vuol proprio saperne di dormire! Tiene stretta la sua piccola rapa di peluche e prega il papà di raccontarle una storia. Ma non una storia qualunque: una storia di paura! Perché Cipollina è una bambina coraggiosa, non teme nulla e soprattutto… non piange mai! Anzi, per rendere l’atmosfera ancora più spaventosa chiede al papà di spegnere la luce e di leggere usando la torcia. Il papà non sa proprio dire di no alla sua piccolina e, come ogni sera, prende il libro dal comodino e, per intonarsi all’atmosfera, veste i panni di un pirata il cui viso contratto in una smorfia risulta ancora più minaccioso alla luce della torcia. Comincia dunque a sfogliare un volume dall’aspetto pregevole e vetusto intitolato Brividi nell’orto... continua su https://www.libri.it/buonanotte-cipollina Francesca Del Moro
BATATA L’incontro tra Giulietta e un simpatico cagnolino bianco, che per restare a vivere nella sua casa senza far arrabbiare la mamma dovrà diventare molto, ma moooolto educato… Una versione audio gratuita dei libri della biblioteca della Ciopi, per consentirne la fruizione anche ai bambini ciechi e ipovedenti. Nel tentativo di creare la condivisione della lettura dei libri illustrati, abbiamo tradotto le illustrazioni in parole, grazie alla consulenza e la supervisione della dott.ssa Paola Gamberini, esperta di problematiche inerenti l’integrazione scolastica di bambini e ragazzi con disabilità visive. La voce è dell’attrice professionista Grazia Minarelli.
vedi libro: www.libri.it/anna-dei-miracoli Dopo Blind di Lorenzo Mattotti e Lucia di Roger Olmos, Anna dei miracoli è il terzo volume della collana CBM #logosedizioni, nata con il preciso scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della disabilità visiva, utilizzando un linguaggio universale, quello dell’illustrazione, per creare empatia a partire dal principio di inclusione. È una collana rivolta ai bambini, e non solo, che vuole mostrare realtà sensibili per e con i loro occhi. A tal proposito, il tema dello sguardo e della visione attraversa e struttura ogni pagina di questo libro, che racconta una storia vera. Helen Keller rimase sordocieca all’età di due anni in seguito a una misteriosa malattia. Per rappresentare graficamente la sua condizione, Ana Juan immagina un nugolo di farfalle nere che ricoprono gli occhi e le orecchie della bambina, le cingono il capo, ottundendole i sensi. In questo tremendo isolamento, Helen sviluppò un carattere irascibile e difficile. Grandi occhi la osservano da lontano, a volte tristi, a volte preoccupati ma sempre vigili e presenti: è lo sguardo amorevole dei genitori che non abbandonava mai la piccola, pur nell’impossibilità di stabilire un contatto comunicativo con lei. Dal nord arriva un’istitutrice, novella Mary Poppins, indossando spessi occhiali scuri: Anne Sullivan era ipovedente e conosceva bene il tema della disabilità visiva che viveva sulla sua pelle. La cronaca è nota: mentre Kate Keller, madre di Helen Keller, era alla ricerca di una soluzione per poter educare la figlia sordocieca, venne a conoscenza del caso di Laura Bridgman dalle pagine di America di Charles Dickens. Così decise di assumere un’insegnante che avesse studiato alla stessa scuola, l’istituto per ciechi Perkins, e le venne assegnata Anne Sullivan. Anne insegnò l’alfabeto manuale a Helen, che divenne un caso molto celebre nella formazione delle persone affette da cecità e sordità. Tra Helen e Anne inizia una durissima lotta corpo a corpo che diventerà finalmente una relazione e un dialogo: oltre alle immagini che ritraggono la fisicità di questa difficile relazione, la simbologia della luce (il colore dorato) che prevale lentamente sul buio (il colore nero) diventa presto un’immagine del trionfo della conoscenza. Quando Anne riuscì a infrangere la campana di vetro che isolava Helen dal mondo, insegnandole il linguaggio dei segni, si risvegliò nella bambina un’insaziabile sete di conoscenza, che la portò a diventare la prima persona sordocieca a laurearsi nel 1904. Helen divenne poi un avvocato impegnato della difesa della pace e dei diritti delle donne e dei disabili. Anne le fu sempre accanto, fino alla sua morte, avvenuta nel 1936. Al di là del dialogo tra il nero e l’oro, tra il buio e la luce, un unico tocco di colore blu viene impiegato per rappresentare l’acqua, nell’episodio cruciale (e per questo anche assai famoso) che cambiò per sempre la vita della protagonista. ‘Acqua’ fu la prima parola che, tramite il linguaggio dei segni, Helen riuscì finalmente ad associare a qualcosa di concreto, imparando così che era possibile dare un nome a tutte le cose. Il libro si chiude con un breve approfondimento, semplice e accessibile anche ai bambini, sulla vita delle due protagoniste e sul linguaggio dei segni, che fu lo strumento di emancipazione di Helen rispetto alla sua cecità, e con una postfazione di Massimo Maggio, direttore di CBM Italia Onlus... continua Rossella Botti
vedi libro: www.libri.it/lungo-e-il-cammino Cosa si fa quando in un Paese arriva una nuova, forte, ondata migratoria? Come si reagisce? C’è chi semplicemente la ignora, chi si chiude in sé stesso, chi si lascia andare a paure irrazionali… E c’è chi, invece, sceglie di andare incontro alla nuova comunità, sfidandone le eventuali resistenze e la naturale ritrosia con la propria curiosità. In particolare se la nuova comunità è portatrice di una cultura millenaria, una delle culture più ricche e affascinanti del pianeta. È così che è nato Lungo è il cammino: dall’interesse di Nicolás Arispe per la comunità cinese di Buenos Aires. Nel 2005 in Argentina arrivò una forte ondata migratoria dalla Cina, in particolare dalla provincia rurale del Fujian, molto povera. La maggior parte di queste persone si stanziò nella città di Buenos Aires o nelle zone più densamente abitate della sua provincia (l’area comunemente chiamata Gran Buenos Aires). Naturalmente, in Argentina erano già presenti comunità di cinesi (e taiwanesi), ma questa ondata portò con sé un fenomeno nuovo, che oggi è sotto gli occhi di tutti: i supermercati cinesi. Quelli che non chiudono mai, quelli aperti dal lunedì al lunedì, in genere gestiti da famiglie di tre o quattro persone che si occupano di tutto e dove tutti lavorano, senza eccezioni. È una vita dura e piena di sacrifici. Fu allora che Arispe iniziò a chiedersi: “Come riesce a sopravvivere la loro cultura così lontano dal luogo di origine? In quali tratti emerge? Cosa si può imparare sulla Cina osservando queste persone?”. Per quanto, infatti, la cultura cinese lo affascinasse da sempre, vide in quel fenomeno nuovo l’occasione per ripensarla e osservarla da un punto di vista molto diverso da quello tradizionale. Non si trattava, infatti, di approcciare la grande tradizione cinese, né tantomeno l’epica nata in seguito alla rivoluzione maoista, quanto piuttosto di osservarla attraverso la lente degli sforzi quotidiani della gente qualunque. Partendo da questi interrogativi, iniziò quindi a frequentare i supermercati cinesi, facendo schizzi e disegni e prendendo nota di quello che succedeva. Col tempo riuscì a farsi amici alcuni dei gestori di quei negozi, con cui parlava della vita in Argentina e dei motivi per cui se ne erano dovuti andare dal loro Paese. Discutevano di politica e di religione. Non fu facile: la comunità cinese è molto chiusa. In parallelo, si dedicò allo studio della letteratura e della storia cinesi, muovendo in direzione contraria a ogni percorso di studio tradizionale: iniziando dall’attualità per risalire al passato. Così, immerso nella (sconfinata) cultura cinese, Nicolás Arispe iniziò a sentire il bisogno di ricavare un libro illustrato da tutto quello che stava leggendo: Lungo è il cammino. Prima il testo, e poi le illustrazioni. In una certa maniera, il libro è il prodotto di un interesse personale per la letteratura aforistica dell’I ching, ma anche dei racconti popolari, delle fiabe con la morale e il finale a sorpresa. Più, ovviamente, un po’ di filosofia... continua Valentina Vignoli
vedi libro: www.libri.it/bestiario-verticale È il 1924 e sono trascorsi oltre trent’anni dalla pubblicazione dell’acclamato Bestiario universale del Professor Revillod, la strampalata e al tempo stesso rigorosissima raccolta delle indagini condotte dal Professor Revillod in tutto il globo terracqueo, che annunciava al grande pubblico la sensazionale scoperta del ciprifante nella giungla di Sumatra, oltre all’ormai nota cattura del coribù nella Siberia Orientale. Ma la strenua ricerca della Verità non conosce requie, e invece di sprofondare nei loro polverosi scranni accademici, gli scienziati dell’Istituto Revillod hanno continuato a indagare la natura della fauna mondiale. Siamo nei ruggenti anni Venti, gli anni del jazz e dei night club, del cinematografo e dei mezzi di comunicazione di massa. Sono gli anni in cui i grattacieli invadono le metropoli e i grammofoni si diffondono nelle abitazioni. In cui le donne si sbarazzano dei corsetti, si tagliano i capelli a caschetto, fumano sigarette e guidano automobili, reclamando il diritto di voto e una maggiore libertà dei costumi. Il Futurismo da oltre un decennio inneggia alla velocità, al dinamismo e alle macchine, e aerei e torri puntano alla conquista dei cieli. Il mondo si va modernizzando – siamo nel SECOLO VERTICALE! – e anche gli animali partecipano a questo fermento, nello sforzo evolutivo di assumere una posizione eretta! L’Istituto Revillod non può che mantenersi al passo con i tempi. L’anelito al sapere non confligge certo con il sacrosanto diritto all’evasione, e il Professore (altresì detto “il Neo Noè”) ha scelto di mostrare le sue scoperte non più sulle pagine di un grigio almanacco ma in uno scoppiettante spettacolo di varietà: il Revillorama! Ed è così che lo vediamo trasformato in un elegante illusionista in frac e papillon, mentre taglia a metà una soubrette dalle zampe di gallina, dandoci il benvenuto sulla pista in cui vedremo sfilare centinaia – ma che dico, migliaia! – di animali su due zampe. O pinne. O tentacoli…! Accolti dalla gentile signorina Wanda, ci lasciamo trasportare nel cuore della rappresentazione, dove ci attendono la polliffa (portentoso cefalopode di indole irritabile che si riunisce in piccoli consessi all’imbrunire) e il gafatua (impenitente pappagallo dall’incedere maestoso e dal verso indecoroso), la xiliggine (crostaceo da compagnia dal volo elettrizzante e dalle carni sostanziose con proprietà medicinali) e l’elerbiforo (arcana entità marina di indole diffidente delle selve dell’India). Allegata al programma di sala dello spettacolo (contenente appunto la galleria dei personaggi) troviamo una copia gratuita de Il Neo Noè, il bollettino informativo sulle attività dell’Istituto Revillod, contenente anche l’attesissima anteprima del catalogo Dollivendita, con tutta la gamma dei prodotti dell’azienda Dolliver, messi a disposizione dal Professore e già visti sfilare sulla pista con gli animali. Opere comunemente associate al Medioevo, i bestiari sono testi riccamente illustrati che fin dall’antichità raccolgono e descrivono gli animali con vari scopi: educativi (animali reali), moraleggianti (allegorie e interpretazioni basate su riferimenti biblici) o ludici (creature fantastiche, mostri, mirabilia). Ispirandosi a questi antichi volumi e alle incisioni ottocentesche raffiguranti animali, Javier Sáez Castán, vincitore nel 2016 del Premio nazionale di illustrazione conferito dal Ministero della Cultura spagnolo, ha iniziato a ideare fin da molto giovane un gioco combinatorio che, a partire da animali reali, consentisse di creare un numero infinito di creature fantastiche... continua Valentina Vignoli
vedi libro: www.libri.it/piruli La volpe Roberta ha tutto pronto per la nascita del suo volpacchiotto, e attende il grande momento con trepidazione. Quando finalmente il cucciolo nasce, lei e il suo compagno Renato scelgono di chiamarlo Pirulì e organizzano una grande festa per il battesimo, invitando tutti gli animali del bosco. Gli anni passano, e crescendo Pirulì diventa ogni giorno più bello: i suoi occhi sono color del miele, il suo pelo è soffice come velluto, la punta della sua coda è candida come una nuvola… o almeno così appare agli occhi della sua mamma! I suoi genitori sono molto apprensivi, e non gli permettono di giocare con gli altri volpacchiotti, per paura che si sporchi la lucente pelliccia o che gli capiti qualche incidente. Un giorno, il cucciolo chiede alla mamma di portarlo con sé nella grande città di cui ha tanto sentito parlare. Roberta è molto spaventata all’idea di esporre il figlio ai pericoli della città ma, d’accordo con Renato, acconsente, per evitare che a forza di piangere Pirulì si rovini gli occhi scintillanti e le splendide ciglia. Giunti in città, Pirulì contempla estasiato le meraviglie che lo circondano: alberi, negozi, fontane, fiori… e basta un attimo di distrazione di Roberta perché il piccolo sparisca nel nulla. In preda al panico, la volpe attraversa tutta la città chiedendo a ogni animale che incontra se ha visto il suo meraviglioso cucciolo, ma nessuno sembra averlo incrociato: né l’aquila dalla vista infallibile, né il gufo dallo sguardo che fende la notte, e neppure la saggia tartaruga centenaria… dipenderà forse dal modo in cui Roberta lo descrive? La storia di Pirulì nasce dalla penna dell’amatissima scrittrice peruviana Isabel Córdova Rosas. Con semplicità e delicatezza, l’autrice ironizza sul modo in cui l’affetto che proviamo per i nostri cari ce li fa apparire sotto una luce a volte forse troppo lusinghiera. Lungi dall’incarnare lo stereotipo della furbizia, la famiglia di volpi ci intenerisce per il candore e l’ingenuità. La scelta della volpe come protagonista di questa storia non è casuale: si tratta infatti di un animale che appare spesso nella tradizione orale andina e nella mitologia quechua. Il volpacchiotto simboleggia allora il legame con la madrepatria della scrittrice, che vive e lavora in Spagna dal 1986 ma ha conservato un forte senso di appartenenza alla propria terra, dove si reca di frequente. Il nome del protagonista deriva invece da quello di una torre per le telecomunicazioni di Madrid, chiamata Torrespaña o, appunto, Pirulì (che in spagnolo significa “lecca-lecca”) per la sua particolare forma. Non a caso Roberta descrive il figlio dicendo che “Il suo muso è tanto fiero e appuntito quanto la torre più alta della città”! Autrice di moltissimi libri per ragazzi e adulti tradotti in tutto il mondo, Isabel Córdova Rosas è stata anche insegnante e considera i libri una componente fondamentale della crescita dei bambini: “La lettura permette ai bambini di sviluppare l’immaginazione e le loro capacità di comprensione e, di conseguenza, potenziare al massimo la loro intelligenza. Inoltre consente loro di ampliare i propri orizzonti ed entrare in contatto con diverse culture. Le buone letture stimolano la creatività e lo sviluppo di un atteggiamento critico. E in tutto il processo di apprendimento della lettura, genitori e insegnanti giocano un ruolo fondamentale. I genitori dovrebbero leggere o raccontare storie ai loro figli fin da piccoli perché, come disse l’illustre scrittore José María Arguedas in una delle sue conferenze: ‘Gli uomini e le donne devono chinarsi sui libri da bambini, per non inginocchiarsi davanti ad altri esseri umani da adulti’”... continua Mirta Cimmino
vedi libro: www.libri.it/matrioska Nata dalla penna dell’amatissimo scrittore bulgaro Dimiter Inkiow, Matrioska è una fiaba moderna dedicata al souvenir russo per antonomasia: la matrioska, per l’appunto, famosa in tutto il mondo per la peculiare caratteristica di aprirsi a metà e contenere al proprio interno altre bambole apribili di dimensioni decrescenti, fino ad arrivare alla più piccola, di legno pieno. La genesi di questa bambola tradizionale si perde nei meandri della storia e della geografia: c’è chi dice che sarebbe nata in Giappone, sull’isola di Honshu, come derivazione delle bambole di legno Kokeshi, per essere poi importata in Russia nel XIX secolo dalla moglie del collezionista d’arte Savva Mamontov, chi afferma che fu creata da un monaco russo e chi ne individua l’origine nelle scatole cinesi, anch’esse di grandezza crescente e inserite le une all’interno delle altre. Sappiamo però con certezza che è stato l’artista Sergej Maljutin a creare l’iconografia classica della matrioska come la conosciamo oggi: una contadinella dalla faccia rotonda, le guance rosee e gli occhi luminosi, che indossa il sarafan, lo sgargiante abito tradizionale russo, e porta sulla testa un fazzoletto a fiori dai colori vivaci, da cui spuntano ciuffi di capelli pettinati con cura. Qualunque sia la sua origine, la matrioska è indubbiamente un oggetto dal forte valore simbolico, a partire dal nome, che non a caso include la radice latina di mater. ‘Madre’ viene definita infatti la matrioska più grande, al cui interno sono contenute tutte le altre, in una riproduzione del grembo materno che reca in sé un corpo più piccolo. Simbolo di maternità e fertilità, la matrioska evoca anche l’idea dell’inesauribile ciclicità della vita; non a caso, se la più grande è detta ‘madre’, quella più piccola è chiamata ‘seme’ e rappresenta la parte più pura e invisibile, che può essere scovata solo se si ha la pazienza di andare in profondità. In una prospettiva ambivalente e a doppio senso, la ‘madre’ e il ‘seme’ sembrano condividere la facoltà di generare tutti gli altri strati; così, in questo oggetto all’apparenza così semplice, l’uno e il molteplice, il principio e la fine si incontrano e si confondono in una feconda coincidenza degli opposti. In un esempio quanto mai concreto di mise en abyme, teoricamente ogni matrioska può contenere al proprio interno infinite altre matrioske, e allo stesso tempo può essere contenuta all’interno di altre infinite volte; ed è proprio su questo susseguirsi potenzialmente infinito di bambole concentriche che si gioca la narrazione di Dimiter Inkiow. La storia narra di un falegname la cui specialità è scolpire bellissime bambole di legno, tutte allegre e variopinte. Un giorno, l’uomo crea una bambola talmente bella che decide di non venderla e la tiene per sé dandole il nome di Matrioska. Una bella mattina la bambola sembra magicamente prendere vita e gli dice di sentirsi triste e sola, e che vorrebbe avere un figlio. Il falegname, incredulo, sulle prime sospetta di aver bevuto troppa vodka ma quando, il giorno dopo, Matrioska gli chiede di nuovo un figlio, al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla. Così si mette al lavoro e crea Trioska, la figlia di Matrioska, identica a lei ma più piccola. Matrioska è felicissima, ma poi gli chiede di metterle la figlia nella pancia, e al pover’uomo non rimane altra scelta che accontentarla; tuttavia, dopo poco, anche Trioska gli chiede un figlio da tenere nella pancia, e anche la figlia di Trioska fa lo stesso… Il povero falegname si vede già condannato per l’eternità a creare bamboline sempre più piccole, ma per fortuna grazie a uno stratagemma riesce a spezzare la catena... continua Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/glimt Glimt, albo illustrato di Rikke Bakman, narra una piccola storia che ha come protagonista Rikke, una bambina danese di sei anni in vacanza con la sua famiglia sul Mare del Nord. Rikke è un alter ego nemmeno troppo dissimulato dell’autrice stessa che, oltre a condividere il taglio di capelli con la piccola protagonista, attinge a piene mani alla sua esperienza personale. Glimt si presenta come un album di ricordi che inanella una successione di istantanee e fissa per sempre nella memoria una giornata di vacanza, di cui è stata protagonista l’autrice stessa. Una giornata di vacanza sulla costa danese, che affiora vivida dagli anni ’80, portando con sé tutta l’atmosfera di quel decennio, nel linguaggio, nelle canzoni, nei marchi allora in voga. Una giornata al mare, come tante altre, fatta di piccole grandi avventure ma soprattutto di dettagli familiari che ci ricordano anche la nostra infanzia… Ecco spiegato il significato di un titolo misterioso per il lettore di lingua italiana: Glimt, significa infatti ‘scorci’, quindi ‘istantanee’, visioni che luccicano sotto il sole che indora le onde del mare del Nord. Quando si è bambini, si sa, le giornate non finiscono mai e alla fine ci si addormenta come sassi dopo mille emozioni: nelle tavole della Bakman seguiamo dunque le emozioni e le peripezie di una bambina tra avventure in mezzo a dune, che appaiono sconfinate e pericolose, scoperte misteriose e situazioni di vita familiare, dalle relazioni con altri bambini al comportamento degli adulti, che appare talvolta drammatico e misterioso… tutti piccoli scorci di una vacanza che insieme formano un ricordo. È l’autrice stessa a fornirci, in un’intervista, una chiave di lettura: “Volevo rappresentare il ritmo di una giornata d’estate dal punto di vista di un bambino, quando sei in vacanza con i genitori, e ti sembra che i giorni siano lunghissimi e che tutto possa succedere. Ciò che volevo evocare erano proprio le sensazioni di quando si è bambini: un vero e proprio tuffo nei ricordi, in quelli più piccoli, poiché da bambini siamo molto più sensibili rispetto a tutto ciò che ci succede intorno”. Disponendo una sola tavola per ogni pagina, per una lettura lenta, che si sofferma sui dettagli, l’autrice consapevolmente alterna immagini d’azione e paesaggi dipinti con cieli tempestosi che scandiscono il trascorrere del tempo, dalla mattina alla sera. I disegni a matita colorati con pastelli a cera evidenziano uno stile naïf, apparentemente ingenuo, un tratto infantile grazie al quale forma e contenuto diventano tutt’uno e viene pienamente rappresentato il punto di vista della piccola protagonista. La sensazione infantile è enfatizzata dalla mancanza di prospettiva e proporzione – gli oggetti distanti possono essere grandi quanto quelli vicini, e le teste delle persone appaiono troppo grandi, i piedi troppo piccoli, i denti o le labbra troppo sporgenti. Racconta l’autrice: “Ho provato molti materiali diversi, e le matite mi sono semplicemente sembrate la scelta più adatta e naturale. Dopo aver visto il libro, molte persone hanno notato il legame con l’infanzia, poiché è lo stesso tipo di materiale che userebbero anche i bambini, o che è usato di frequente anche per i libri per ragazzi. … Anche per quanto riguarda le prospettive innaturali, si tratta del mio modo naturale di disegnare”... continua Rossella Botti
vedi libro: www.libri.it/piccolo-vampiro-3 Il vampirello più simpatico di sempre torna in libreria e si prepara ad approdare sul grande schermo! In questo terzo volume dedicato a Piccolo Vampiro, #logosedizioni riunisce i tre albi della nuova saga di Petit Vampire, iniziata nel 2017 e il cui terzo capitolo, ancora inedito, uscirà contemporaneamente in Italia e in Francia. Più di dieci anni separano questa nuova serie dall’uscita dell’ultimo episodio della prima, nel 2006. Interrogato sulle ragioni di questa lunga pausa, l’autore risponde: “Per dieci anni mi sono occupato di cinema, lavorando soprattutto su argomenti per adulti. E poi Piccolo Vampiro è tornato a parlarmi! Sapete, tutti i giorni mi metto davanti al foglio bianco e lì comincia una specie di seduta spiritica, in cui ascolto le voci dei miei personaggi. Piccolo Vampiro mi mancava molto, perché in questo periodo ho un grande bisogno di fantasia, sogni e avventure. Ho bisogno di disegnare mostri, pirati e altre cose meravigliose!”. Tuttavia, invece di riprendere la narrazione dal punto in cui si era interrotta nel 2006, Joann Sfar ricomincia a raccontare la storia dall’inizio, riscrivendola insieme all’ex moglie nonché assidua collaboratrice Sandrina Jardel (la cui omonimia con la compagna di classe di Michele non è certo casuale). Questa scelta risponde in primo luogo alla necessità di andare incontro ai lettori più giovani, che potrebbero non conoscere la serie uscita in Francia a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila. Ma c’è stata anche la volontà di regalare a Piccolo Vampiro una storia più epica e di più ampio respiro, nel solco di capolavori come I Goonies e Star Wars. I sette episodi autoconclusivi della prima serie erano abbastanza brevi, con 30 pagine per albo; ognuno dei 3 volumi della nuova saga si aggira invece intorno alle 60 pagine e racconta un capitolo di un’unica, lunga storia. Questa operazione rivela l’ambizione di trasformare Piccolo Vampiro da fumetto per bambini a graphic novel d’avventura per tutti, e serve da punto di partenza per la realizzazione di un lungometraggio animato, la cui uscita è prevista in Francia per la fine del 2019. Il carattere più epico (ma sempre esilarante) di questa serie si avverte già dalle primissime pagine, in cui gli autori fanno un passo indietro di circa trecento anni per raccontarci le origini di Piccolo Vampiro e della sua bizzarra famiglia. Scopriamo così in che modo lui e sua mamma sono diventati vampiri, assistiamo al colpo di fulmine tra la Signora Pandora e il Capitano dei Morti e facciamo la conoscenza del Gibboso, un nemico spietato e rancoroso che cerca di annientare Piccolo Vampiro e i suoi genitori, costringendoli a nascondersi nella casa infestata, al riparo di una potente e invisibile barriera protettiva. Esaurito questo antefatto, la narrazione ci riporta al presente. Pandora e il Capitano hanno cancellato ogni ricordo del losco persecutore dalla memoria del protagonista e la vita della famiglia spettrale sembra scorrere serena e spensierata. Ignaro del tremendo pericolo, Piccolo Vampiro non capisce perché gli sia vietato uscire e scalpita per andare in città e fare amicizia con i bambini “della sua età”… cioè dieci anni, perché tanti ne aveva all’epoca della trasformazione, quando la sua esistenza si è cristallizzata per sempre. Così, con la complicità degli amici mostri, il vampirello approfitta delle serate cineforum nella casa infestata per sgattaiolare via insieme a Pomodoro e volare fino alla scuola… dove, come i lettori di Sfar già sanno, farà amicizia con Michele. Piccolo Vampiro è al settimo cielo: finalmente ha un amico! Ma purtroppo le sue scappatelle non sono passate inosservate, e la minaccia del vecchio nemico torna a incombere sugli abitanti della casa infestata… e persino su Michele! Chi ha letto il primissimo episodio di Piccolo Vampiro potrà apprezzare questa nuova versione dei fat
vedi libro: www.libri.it/nell-acqua “In questa bolla di mare, mi sento libero di amarti senza riserve, senza intrusioni. Fuso nel tuo corpo e nell’acqua.” Così recita uno dei brevi testi che intervallano le tavole di questo libro in cui Lorenzo Mattotti affronta ancora una volta il tema dell’intimità tra due amanti. Qui, come in Stanze e La stanza, un uomo e una donna si isolano dal mondo, si perdono l’uno nell’altra lasciando da parte tutto il resto della propria vita; ma stavolta il luogo, o meglio il non luogo che li accoglie e protegge il loro amore da qualsiasi interferenza esterna è l’acqua, nella quale i due corpi, uniti, si fondono come gocce. In uno spazio-tempo indefinito, gli amanti si avvicinano e si allontanano in una danza piena di grazia e armonia in cui sono le onde e la corrente a dettare la coreografia, delineando una “grammatica dei gesti amorosi” diversa da quella minuziosamente esplorata negli altri due volumi sul tema. Anche qui l’inquadratura è stretta sugli amanti ma l’ambiente appare maggiormente caratterizzato accogliendo dettagli del paesaggio, con l’acqua a giganteggiare comprimendo il cielo e la terraferma in una striscia sottile che corre lungo il margine superiore della pagina. Pur in uno spazio così ridotto, l’artista riesce a variare sapientemente i motivi focalizzandosi di volta in volta sulla spiaggia, sulle dune, sui cespugli, lasciando svettare le scogliere oppure profilando un’isola al largo. Anche il minuscolo lembo di cielo si presta a numerose variazioni, tingendosi di diverse sfumature a seconda del momento della giornata, dispiegandosi limpido e vuoto oppure velandosi di nebbia, screziandosi di nubi. Al di sotto di queste geografie simboliche, si spalanca la massa liquida in cui il nostro sguardo si tuffa lasciandosi sedurre dal colore. Pagina dopo pagina, come in una sequenza cinematografica, ammiriamo i movimenti degli amanti sospesi e condividiamo le loro emozioni e sensazioni, veicolate dalla tecnica via via scelta dall’artista. Questo “diario di vacanza dei due innamorati”, così come Mattotti lo definisce nel testo conclusivo del libro, inizia con due corpi fluttuanti in uno spazio azzurro astratto che potrebbe essere il mare, un lago, un fiume oppure il cielo. Gli amanti sono in piena luce e le loro forme appaiono morbide, esaltate nella loro plasticità da un sapiente utilizzo del chiaroscuro, mentre i volti rimangono in ombra e tali resteranno quasi sempre fino all’ultima tavola, forse per lasciare che a trasmettere le emozioni siano soltanto le scelte stilistiche dell’artista e i movimenti dei corpi in relazione reciproca e con l’acqua, senza alcuna interferenza da parte delle espressioni facciali. Già nella seconda tavola, l’azzurro si fa più chiaro e pastoso e la scena si allarga includendo la riva e un frammento di cielo arrossato dal tramonto. Mentre gli innamorati appaiono presi unicamente da sé stessi, la natura che li attornia si manifesta in tutta la sua mutevole bellezza. I colori dell’acqua sono potenzialmente infiniti e se inizialmente si alternano differenti tonalità di azzurro, blu e verde, più avanti qualsiasi intento realistico-mimetico viene meno lasciando il posto a scenari onirici in cui la superficie dell’acqua si infrange in rapidi tratti di matita che, riconducibili inizialmente all’essenzialità della Stanza, si fanno ben presto più nervosi, si infittiscono e attorcigliano in foreste di rovi e filo spinato nello stile, ad esempio, di Stigmate. Imperiosa e a tratti opprimente, la passione si chiude come una prigione intorno ai due corpi che continuano a esplorarsi senza apparent
vedi libro: https://www.libri.it/jesus-betz Parole e immagini toccanti danno vita a una storia di formazione, amicizia, avventura e amore decisamente fuori dagli schemi. Jésus Betz nasce il 24 dicembre 1894 a mezzanotte. È senza braccia e senza gambe ma ha una voce celestiale e una memoria infallibile. Attraverso 33 date memorabili (33 come gli anni di Cristo), Jésus ci narra in prima persona la sua vita in parallelo con gli eventi storici della sua epoca (inizio del XX secolo) sotto forma di lettera alla madre. Dopo essere stato attaccato all’albero di una baleniera come vedetta e poi esibito come fenomeno da baraccone, Jésus diviene un artista circense e, grazie alla sua memoria infallibile, trova lavoro e dignità finché la sua voce prodigiosa lo porta a conoscere anche l’amore. Quello delineato nel libro è un viaggio iniziatico, il cammino simbolico di un individuo alla ricerca della sua identità e della sua dimensione, un viaggio anche interiore che alla fine fa emergere un nuovo ‘io’ inserito in un mondo che ormai domina, senza esserne in balìa. Non è più un freak, un mostro, ma un individuo che può disporre di sé e vivere ogni esperienza con pienezza. La vita di Jésus è costellata da peripezie e avventure mirabolanti ma non sempre edificanti, ed è resa meno dura dall’amore di tre donne (altro numero altamente simbolico, come la Trinità): la madre, che per necessità deve liberarsi di lui e del suo peso e lasciarlo andare incontro al proprio destino; un surrogato del materno, nella persona della dolce Mamanita (un vezzeggiativo che rimanda alla parola ‘madre’), che lo consola nei momenti più bui; e la bella trapezista, il cui nome ricorda un’isola esotica, lontana e affascinante, Suma Katra, che diviene la sua compagna nella vita come sulla scena. Alla fine di un lungo periplo che lo porta per cinque anni in giro per gli oceani, da Nantucket alla banchina del Phare-Ouest (nome francese che, notiamo, si pronuncia “far-west”, dove arriva con la “pelle rossa come un indiano d’America”), a bordo di una nave comandata da un uomo dal nome dantesco di Stige, Jésus affronta le avversità del mondo dei ‘normali’ senza mai perdere la speranza. Da quanto detto sin qui emergono già il potente simbolismo e la ricchezza di riferimenti stilistici e culturali che caratterizzano il testo. Gli autori lavorano molto sulla scelta dei nomi dei personaggi che fanno riferimento alla religione (Jésus, Lilith) o alla mitologia (Hadès, Thémis, Andronic, Styx, Pollux). Impossibile non notare che Jésus nasce il 24 dicembre, di lui la madre dice “è puro Amore come il nostro Cristo” e alla fine del libro risorge a nuova vita dopo una lunga via crucis. L’idea della rinascita è annunciata dal sorgere del sole accennato nei toni rosati che riscaldano l’ultima pagina del volume. Le illustrazioni di François Roca sono di grande impatto e giocano un ruolo fondamentale nel progetto narrativo. Tecnica pittorica, formato, proporzioni, stile dei caratteri, nonché il posizionamento dei motivi all’interno della pagina sono tutti elementi che concorrono alla poesia del racconto. L’artista utilizza spesso due o tre colori dominanti e le loro declinazioni, in una palette sobria e uniforme. La scelta dei colori ci fornisce preziose indicazioni sullo stato emotivo dei personaggi (cielo blu e toni luminosi per la felicità e la speranza; toni scuri, opachi per tradurre la paura, la sofferenza o l’atmosfera angosciante delle prime pagine; ocra e toni caldi per il calore degli affetti) così come sulla natura dello spazio in cui si muovono: ne percepiamo la minacciosità o la bellezza a seconda della modulazione dei toni e della trama dei contrasti tra luce e ombra, soprattutto grazie alla presenza della luce come elemento (spesso salvifico) dotato di una funzione drammatica e narrativa cruciale. Si noti il frequente ricorso a un gioco di contrasti e opposizioni, tra grande/piccolo, chiaro/scuro, visione d’insieme/dettaglio, oppure a certe
vedi libro: https://www.libri.it/un-gatto-sullalbero Per sfuggire a un cane, il gatto della signora Gina sale sull’albero più alto del paese. Per un po’ se ne stanno così: il cane aspetta che il gatto scenda, e il gatto aspetta che il cane si stufi e se ne vada. Ma quando finalmente il cane desiste e si allontana, il gatto si accorge di essersi avventurato davvero in alto e di avere paura di scendere! Così inizia a miagolare nella speranza che qualcuno lo tiri giù. Molti valorosi si lanciano senza indugi nell’impresa di salvarlo: la figlia della signora Gina, suo padre nonché marito della signora Gina e persino un’intera squadra di pompieri… ma per colpa di una scala fifona rimangono tutti bloccati in cima al povero albero, al quale non resterà che adoperarsi per trovare una soluzione prima di spezzarsi sotto il peso e gli schiamazzi di tutta quella gente! Ma niente paura: grazie all’intervento della natura, il lieto fine è assicurato. Scaturito dalla penna del cantastorie spagnolo Pablo Albo, questo racconto semplice e divertente sfrutta un’ambientazione realistica condendola di deliziosi dettagli quotidiani ed esilaranti tocchi surreali. Da Un gatto sull’albero è stato tratto anche un cortometraggio realizzato da OQO Filmes con la regia di David Gautier, selezionato per il Festival internazionale del film d’animazione di Annecy nel 2010. Nato ad Alicante nel 1971, Pablo Albo è un domatore di parole e un cercatore di storie. Dal 1994 si è messo anche a raccontarle ad alta voce, usando le parole e i gesti. Sa che le storie non hanno età ma che ogni età ha le sue storie, e le sceglie con cura associandole per temi, colori, emozioni. Ha partecipato a quasi tutti i festival di narrazione orale, portando le sue storie in giro per il mondo; ha pubblicato quasi una quarantina di libri per l’infanzia, alcuni dei quali tradotti in inglese, tedesco, francese, italiano e portoghese, e collabora con alcune emittenti radiofoniche. Tiene anche dei corsi di narrazione orale per genitori, insegnanti e aspiranti cantastorie, per aiutarli a scoprire il narratore che si nasconde in ciascuno di loro. Al testo di Pablo Albo Un gatto sull’albero affianca le simpatiche immagini dell’illustratrice francese Géraldine Alibeu. Qui l’artista lavora combinando pittura e collage, gioca con una gamma di colori omogenea, lontana dai colori primari, e predilige l’uso di fondali piatti, con pochi elementi secondari, per far sì che l’attenzione si concentri sui personaggi e sulle loro peripezie. L’albero, grande protagonista silenzioso, prolunga i suoi rami oltre il bordo della pagina e si presta ai giochi di prospettiva messi in atto dall’illustratrice, che sposta costantemente il punto di vista dal cane al gatto, alla bambina, e così via. Questo permette ai lettori, e specialmente ai più giovani, di entrare nel vivo della scena e mettersi nei panni dei protagonisti. Géraldine Alibeu è nata nel 1978 a Échirolles, una piccola città sulle Alpi francesi. Già negli anni in cui frequenta la scuola elementare scrive e disegna le avventure a fumetti della sua maestra e qualche tempo dopo inizia a studiare illustrazione a Strasburgo. Dal 2001 si dedica a illustrare libri per ragazzi, di cui talvolta è anche autrice. Grazie alla progressiva accumulazione di eventi e personaggi, al ritmo incalzante, alle frasi ripetute e a una buona dose di humour, Un gatto sull’albero è una storia perfetta per essere raccontata a voce alta, per il divertimento di tutta la famiglia. Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/frida L’arte può aiutarci a sopravvivere al dolore, alla paura e alla perdita: ecco la grande lezione di questo libro, una lezione che nessuno è troppo giovane per imparare e che Frida Kahlo può insegnare alla perfezione. Frida ebbe una vita tragica ma anche incredibilmente ricca e piena. Jonah Winter e Ana Juan catturano il suo spirito e i mondi che accoglieva in lei e a cui dava vita sulla tela in questa splendida biografia illustrata per giovani lettori, un libro di grande bellezza che anche gli adulti sapranno apprezzare. Ana Juan abbandona per un momento la sua iconografia oscura e tormentata per creare illustrazioni solari e incredibilmente colorate. La tematica trattata, questa volta con leggerezza e piglio positivo, enfatizza gli elementi che possono essere di esempio e ispirazione in un’esistenza segnata dal dolore fisico e spirituale. Il testo scarno, lirico e ispirato di Jonah Winter, scritto al presente storico, offre al lettore immediatezza e vicinanza al soggetto e tocca i momenti salienti dell’infanzia e della giovinezza della pittrice: la sua solitudine e la poliomielite che la costrinse al letto per mesi, l’incidente in autobus a 18 anni che quasi la uccise. E mostra come, ogni volta, l’arte ha aiutato Frida a superare le sue ferite e a trasfondere nei suoi quadri una visione del mondo magica e surrealista (“Ancora oggi, nei musei, la gente li guarda e piange, si commuove e sorride”). La sua forza enorme e la strenua volontà di vivere e creare sono pienamente rappresentate. Ana Juan riprende i motivi e simboli della cultura indio-messicana e dell’iconografia devozionale del cristianesimo popolare, che permisero a Frida Kahlo di elaborare una versione originalissima e personale del genere ritratto (ed è forse un autoritratto quello che Juan, giocando con il suo soggetto, dissimula a pagina 1, nell’immagine del sole con le inconfondibili sopracciglia di Frida Kahlo?). La produzione pittorica dell’artista messicana, quasi del tutto incentrata sull’auto-raffigurazione, si propone di portare alla luce i contenuti più profondi della sua sofferta esistenza. André Breton, teorico del surrealismo, definì un giorno la sua arte come “un nastro intorno a una bomba”. Sovente associata al surrealismo, Frida Kahlo rifiutava tuttavia ogni etichetta per la sua arte che risentiva moltissimo del contesto culturale in cui era immersa e rifulgeva dei colori del suo Paese e dei motivi tradizionali dell’arte popolare. E così anche le tavole di Ana Juan si riempiono di colori saturi e di scheletri, animali esotici (spesso raffigurati negli autoritratti della pittrice), gonne dai motivi sgargianti e altri elementi originali. Figure sospese, creature fantastiche e corpi celesti con i tratti umani attraversano queste pagine. Ana Juan trasforma Frida stessa in una solenne bambina dal volto di luna con le inconfondibili sopracciglia e in una donna i cui tratti marcati, scarni e spigolosi accennano sia alla sua forza sia al suo tormento interiore. Per quanto solare, questa storia non evita infatti di affrontare la malattia, l’incidente né i lunghi periodi in cui l’artista fu costretta a letto... continua Rossella Botti
vedi libro: https://www.libri.it/lisola Il guardiano del faro e la sua famiglia sono gli unici abitanti di un’isola altrimenti deserta. Per sopravvivere a questa angosciante solitudine, l’uomo si rifugia nell’alcol e finisce per innamorarsi perdutamente di una seducente creatura frutto delle sue allucinazioni etiliche. Nuda, eterea ed evanescente come un soffio di fumo, la sensuale intrusa si insinua nella quotidianità della famiglia per stravolgerla con la sua inquietante presenza. Ogni sforzo di conservare la lucidità per amore della moglie e dei figli si rivela vano: l’uomo finisce irrimediabilmente irretito nelle diafane braccia di questa creatura, perso nel dedalo dei suoi capelli lucenti e fluttuanti. Ossessionato da quel corpo voluttuoso e ormai schiavo dell’imperioso e infuocato sguardo dell’amata, l’uomo si abbandona ciecamente al proprio desiderio, condannando l’intera famiglia alla catastrofe, finché un giorno anche la misteriosa donna sparisce “dalla sua vita e dai suoi sogni”, sprofondandolo in una solitudine ancora più totale. In un’atmosfera ricca di elementi gotici – il faro, la natura sferzata dal vento e dalla pioggia, il mare in tempesta, gli uccelli neri – Ana Juan e Matz Mainka mettono in scena i deliri di un uomo solo, condannato a una perdizione senza speranza di redenzione. Ana e Matz si incontrano a Tokyo a metà degli anni Novanta e non si separano più, diventando una coppia nella vita e nel lavoro. Come Promesse e Sorelle, degli stessi autori, anche L’isola è ambientato sulle coste del Mare del Nord, in Germania. Questa “trilogia del Mare del Nord” nasce in realtà come gioco metaletterario: l’autore tedesco e l’illustratrice spagnola si sono lanciati in una sorta di ricerca immaginaria di storie dimenticate da riportare alla luce, cimentandosi nel ruolo di “Fratelli Grimm del XXI secolo”, come sono stati poi definiti dalla stampa iberica. Tuttavia, diversamente dai loro illustri predecessori, Ana e Matz non hanno viaggiato attraverso villaggi e contrade per ascoltare e trascrivere racconti della tradizione orale, ma si sono invece addentrati nei meandri dell’animo umano per estrarne i motivi più oscuri, ossessivi e opprimenti. Ambientate in uno scenario gotico e tenebroso, queste storie hanno l’aria di antiche leggende strappate alle nebbie dell’oblio, in cui realtà e finzione, perturbanti elementi sovrannaturali e spietate verità si mescolano e s’intrecciano fino a confondersi. Impietose e implacabili come il testo, le illustrazioni di Ana Juan sono dominate da toni cupi e presenze inquietanti: stormi di uccelli neri e frotte di conigli dagli occhi rossi invadono le pagine come oscuri presagi. Ana seleziona accuratamente una palette cromatica ristretta per puntare sulla funzione narrativa del colore: nel grigiore pressoché uniforme delle tavole spiccano dettagli intensamente simbolici, come il rosso infuocato e folle che ritroviamo negli occhi dei conigli e in quelli della misteriosa ammaliatrice, o il vivace giallo di un canarino che simboleggia la vita della moglie dell’uomo: lo vediamo passare da una gabbia alle mani della povera donna, e infine spiccare il volo per poi sparire inghiottito da un corvo nero. Giocando con forti contrasti tra luci e ombre, la narrazione per immagini si sviluppa attraverso pochi elementi cruciali, liberandosi del superfluo per catalizzare l’attenzione sulle figure umane, che si impongono sulla pagina con plasticità quasi scultorea e fanno pensare ai ritratti di Tamara de Lempicka. Secondo volume della collana “Spaccacuore”, L’isola è una fiaba gotica che ci proietta in un luogo desolato e fuori dal temp
vedi libro: https://www.libri.it/demeter Ana Juan propone al lettore un’avventura gotica, un viaggio nell’inquietante che inizia con alcune pagine nere carbone. Le interpretazioni date, nel corso dei secoli, a Dracula di Bram Stoker sono innumerevoli. Ma partiamo dai fatti: mentre il giovane notaio inglese, Jonathan Harker, si reca in Romania per affari, in Inghilterra la sua fidanzata Mina Murray è ospite della bella e frivola amica Lucy Westenra. Le due donne si recano in vacanza a Whitby dove, in una notte di tempesta, approda un brigantino proveniente da Varna. Sulla nave non c’è nessuno, fatta eccezione per il cadavere del capitano legato alla ruota del timone. Il giornale di bordo rivela la sinistra presenza di un mostro che ha assassinato l’intero equipaggio. Queste vicende, note ai più grazie al cinema e alla letteratura, proseguono tra oscuri presagi e macabri colpi di scena, ma è su di esse che Ana Juan ha scelto di soffermarsi: Demeter è il nome della nave fatale che trasporta il vampiro dalla Romania all’Inghilterra in cerca della sua amata. E Dracula è il vampiro per antonomasia, un personaggio complesso che, nelle pagine di Stoker, sfugge a un’analisi esauriente. E se il romanzo vittoriano mira a dimostrare la superiorità della congregazione umana, unita contro l’ignoto e guidata dal lume della scienza, non si può negare la sua forte componente eversiva: il vampiro, alla fine, è annientato, e Lucy, la ragazza che non sa resistere alla seduzione del male, viene punita, ma per noi moderni sono loro le figure più affascinanti del libro. Anche Ana Juan subisce il fascino oscuro del conte e lo raffigura in molteplici modi nel suo tipico stile illustrativo: un nemico di forma cangiante che diventa spettro, scheletro, demone, insetto, ragno, ombra, bestia feroce, ma soprattutto sguardo, occhi che fissano Mina, che sorvegliano il capitano e perseguitano i marinai come l’osservatore. Con riferimento ad alcune delle sue opere, Ana Juan ha dichiarato: “L’oscurità è fatta dalla luce, non dalla sua assenza. L’oscurità è il mistero che risveglia la tua fantasia. Ad ogni modo … collegherei il mio lavoro al romanticismo e a pittori e scrittori come Shelley e Byron. L’atmosfera delle loro storie, l’illimitato amore che dura anche dopo la morte, tempeste spaventose, fantasmi e anime perdute”. Ecco descritto in poche righe l’intero universo di Demeter. L’oscurità è tutta nel nero del carboncino, della matita e dell’acquerello che intride la pagina e da cui emergono a stento le figure spettrali. Tutto è nero come la notte e la tempesta, con la sola eccezione di una scia insanguinata che collega Varna a Whitby sulla cartina in apertura e chiusura del volume. Tutto è oscurità, tutto è tenebra e non c’è nessuna luce di speranza per le anime perdute del Demeter. Il diario di bordo scritto dal capitano della nave costituisce il filo narrativo che raccoglie, con il passare dei giorni, il disagio dell’equipaggio, l’avvistamento di ombre inquietanti e la sequela di sparizioni, fino al tragico epilogo, narrato non più dal capitano ma attraverso l’elaborazione grafica di alcune pagine di quotidiani dell’epoca: alcuni estratti del Dailygraph annunciano il naufragio del Demeter sulle coste di Whitby, accanto ad altre notizie come la guerra tra inglesi e Zulu in Africa. In questo l’illustratrice resta fedele alla struttura tipicamente vittoriana del romanzo che alterna stralci di diario, lettere e articoli di giornale. Accanto alla trama che conduce il lettore attraverso le pagine del libro, la chiave del lavoro di Ana Juan sta nella magnificenza de
vedi libro: https://www.libri.it/fumo Come dire l’indicibile? Come spiegare una delle realtà più infernali create dall’uomo nel XX secolo? Come raccontarla ai bambini? Non è facile parlare dell’Olocausto, specie con i più piccoli. Fortunatamente ci vengono in aiuto le poesie, le fiabe e i racconti, gli albi illustrati… come questo che è destinato anche – forse soprattutto – agli adulti e affronta il tema con delicatezza ma senza risparmiare nulla al lettore. Fumo narra in prima persona la storia di un bambino arrivato in un campo di concentramento nazista insieme alla sua famiglia e a molti altri ebrei. Racconta in immagini e parole strazianti la terribile vita nel campo mettendo in luce come, nonostante l’orrore impronunciabile, gli stenti, la morte come compagna di vita, sia possibile preservare sentimenti di estrema purezza: l'amore (materno), la solidarietà (tra gli ultimi), l’amicizia (tra ragazzi). Sono questi sentimenti che permettono di conservare una luce di speranza, un briciolo di umanità. Se la violenza è sempre inammissibile, lo è ancora di più quando annienta l’innocenza. Il piccolo protagonista riesce a mantenerla intatta grazie ai ricordi che lo aiutano a sfuggire all'isolamento e allo sradicamento per aprirsi all’amore e all’amicizia. Tristezza, malinconia, dolcezza, affetto... sono tante le emozioni che emergono e si intrecciano mentre si legge questa storia commovente. E nessun lieto fine sopraggiunge a rassicurare il lettore, a consolarlo e a scacciare l’infinita tristezza dell’ultima immagine sprofondata nel buio. E tuttavia apprendiamo una lezione importante: l’amicizia ci invita a superare le nostre paure e ad affrontarle con dignità. È necessario passare attraverso il dolore di quella immagine e del ricordo, affinché i più giovani e tutte le generazioni a venire non dimentichino. Occorre tramandare la memoria, affinché non si ripetano simili tragedie. Affinché gli uomini restino umani, non solo di fronte agli eventi più drammatici ma anche nella vita di ogni giorno, davanti a situazioni apparentemente meno disperate, che nascondono in sé il germe pericoloso dell’odio razziale. Occorre insegnare ai ragazzi l’empatia nei confronti di ogni altro essere vivente. Le illustrazioni di Joanna Concejo giocano un ruolo importante in questo albo e svolgono una funzione narrativa fondamentale, integrando il testo e conferendogli maggiore drammaticità. Realizzate a matita con alcuni tocchi di colore, le immagini acquistano un valore metaforico e caricano di emotività l’opera, riflettendo la terribile esperienza del protagonista: ecco dunque i colori spenti, smorzati, un grigio-marrone come tonalità dominante e alcune immagini iconiche, dai corpi reificati agli abiti imprigionati nelle reti, alla sagoma umana trasformata in un piccolo aeroplano di carta pronto a volare in cielo. Il grigiore di questa esistenza viene nondimeno ravvivato dai ricordi della vita precedente – l’album di famiglia su cui cala un velo opaco – e dagli affetti presenti. Sporadici tocchi di colore sottolineano i sentimenti di solidarietà e amicizia mentre le immagini della natura scandiscono lo scorrere del tempo e delle stagioni e regalano l’unica consolazione possibile: ecco l’azzurro dell’acqua, i fiori gialli o arancioni, l’erba verde. Per non dimenticare. Rossella Botti
“Le mie bambine appaiono potenti e padrone dei regni che abitano, ma non sembrano vivere in una dimensione felice, dopotutto, perché il prezzo da pagare è la solitudine.” L’infanzia sanmarinese, gli studi nella magica Urbino e una passione per l’arte del Cinquecento e del Seicento: Nicoletta Ceccoli, illustratrice famosa in tutto il mondo per le sue fanciulle eteree e pericolose, si racconta ai microfoni del programma La Lingua Batte di Rai Radio 3, intervistata da Cristina Faloci all’interno della puntata andata in onda il 6 gennaio 2019. Con #logosedizioni Nicoletta Ceccoli ha pubblicato DAYDREAMS, BEAUTIFUL NIGHTMARES e il suo ultimo libro PLAY WITH ME (#logosedizioni, 2018)
vedi libro: https://www.libri.it/una-lunga-storia-d-amore Una fiaba insolita, che si apre con il classico incipit “C’era una volta”, giungendo però al prevedibile finale già nella prima pagina. Una principessa attende un principe, che a sua volta la cerca superando terribili prove. I due si incontrano, si innamorano al primo sguardo, si sposano e vivono felici e contenti. Una trama che tutti conosciamo benissimo e che qui viene riassunta in poche frasi, come se premessimo il tasto “avanti-veloce” per terminare il racconto in meno di un minuto. E poi? Si domandano le autrici e se lo chiede anche il lettore, un po’ frastornato per il fatto che tutto sembra essersi già concluso poco dopo aver aperto il libro. La verità è che qui, nonostante la dimensione onirico-fiabesca in cui ci immergono le immagini, non ci troviamo precisamente in una fiaba. Del resto avevamo già intuito che gli aggettivi scelti per definire la principessa (incantevole e delicata) e il principe (azzurro e valoroso), nonché le prove “più insuperabili” nondimeno superate da quest’ultimo strizzano l’occhio ai cliché delle fiabe classiche con un’ironia che ci accompagnerà fino al termine della lettura. Per una volta i protagonisti della storia non sono perfetti e meravigliosi ma hanno alcuni di quei difettucci che all’inizio di una relazione passano generalmente inosservati ma diventano difficili da sopportare dopo molti anni di vita insieme. Il principe non è più tanto affascinante quando russa la notte o fa pipì contro un albero, oppure si toglie gli stivali spargendo intorno un olezzo di formaggio stantio. Non va tanto meglio alla principessa, che è un po’ meno incantevole del solito quando le spuntano dei brufoli rossi in viso, la gravidanza le gonfia il vitino da vespa o le sfugge una puzzetta. Si sa che inizialmente gli innamorati si lasciano assorbire l’uno dall’altra, si scambiano continue premure, cercano di stare vicini il più possibile. Ma più avanti può capitare di sentirsi trascurati e a propria volta di non prestare abbastanza attenzione al compagno o alla compagna. È normale che la principessa si rattristi ogni volta che il principe non si accorge che si è fatta bella per lui o quando parte per andare a combattere contro qualche terribile mostro. Dal canto suo, il principe si ingelosisce vedendola ballare con un altro e si sente offeso se lei non presta ascolto ai racconti delle sue imprese eroiche. Con un abile tocco di bacchetta magica le autrici trasformano le angosce quotidiane, le grandi e piccole difficoltà della vita di qualunque coppia nelle peripezie di un principe e di una principessa. L’ambientazione resta quella tipica della fiaba: la coppia reale indossa abiti sfarzosi e vive in una sontuosa dimora, ci sono cavalli nelle scuderie, mostri malvagi e creature metamorfiche rappresentate nello stile inconfondibile di Emmanuelle Houdart. La classica trama che prevede una serie di ostacoli da superare fino al lieto fine è ancora presente: a cambiare è la natura degli ostacoli, che è a misura di ciascuno di noi... continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/la-stanza Un piccolo albo di dieci centimetri per ventuno. L’esatta riproduzione di un quaderno di semplici schizzi a matita. Solo un uomo e una donna e il muto dialogo dei loro corpi. Nessuna storia, in apparenza. Oppure la storia universale dell’amore. Che si riassume nel momento in cui si è soli, a tu per tu, ciascuno immerso, perduto nell’altro. In una vicendevole, lentissima scoperta. Nel “non luogo” in cui si trovano gli amanti il tempo e lo spazio non contano: si percepisce la presenza solida di un letto su cui poggiano i corpi, a volte affiorano elementi privi di qualsiasi caratterizzazione, stilizzati, come le geometrie delle pareti, un rettangolo che potrebbe essere una finestra, il cuscino, la testiera del letto. Di questa stanza indefinita si scorge, e più spesso si intuisce, solo la ristretta porzione immediatamente circostante i due corpi, isolati dalla stretta inquadratura creata dal formato orizzontale delle pagine. Il perimetro del foglio taglia fuori lo spazio fisico ma esclude anche il tempo, è un rifugio che protegge i due amanti mettendoli al riparo dalla realtà, da tutto il resto della loro vita, sospendendoli in un infinito presente in cui esistono solo l’uno per l’altra. Potrebbero essere due giovani che scoprono il sesso per la prima volta, avvicinandosi con circospezione, indugiando su ogni minimo gesto per assaporarne la novità e la sorpresa. Oppure due amanti che hanno finalmente trovato la possibilità di concretizzare un incontro clandestino tanto atteso e vi si abbandonano completamente. Potrebbe trattarsi di un ultimo appuntamento, che si vorrebbe non finisse mai perché si è consapevoli che non sarà più possibile ritrovare la stessa intimità. O ancora un amore rivissuto nel ricordo o soltanto immaginato per trovare un conforto alla propria solitudine. In definitiva, sembra che qui Mattotti abbia voluto distillare l’essenza stessa dell’amore, perché chiunque possa rispecchiarvisi. A tal fine ha lavorato per sottrazione, non solo riducendo all’osso i dettagli di ciascuna tavola ma rinunciando anche al colore. Il medesimo tema dei due amanti verrà ripreso anche in Stanze e Nell’acqua ma i due lavori successivi potranno contare sugli effetti cromatici e sulle variazioni tecnico-stilistiche con funzione espressiva, mentre qui a variare sono solo il tratto della matita, da marcato a leggerissimo, che determina gli effetti di chiaroscuro e la plasticità dei volumi, nonché le proporzioni tra pieni e vuoti, con una decisa prevalenza di questi ultimi. In un’atmosfera satura di dolcezza e desiderio, l’uomo e la donna si scambiano baci e carezze, si avvicinano e si allontanano, si fermano a guardarsi negli occhi e a parlarsi lasciandoci immaginare le loro parole, si sfiorano appena e poi tornano a stringersi. Ciascuno studia l’altro per tentare di capire cosa pensi, cosa provi e attraverso i gesti ricostruiamo l’avvicendarsi delle loro sensazioni, l’eccitazione, la foga, la quiete dopo la passione, e ancora la tenerezza, la riflessione, il dubbio, l’affacciarsi di una sottile angoscia, forse la paura di perdersi. Gli amanti non appaiono mai completamente nudi e solo di rado si intravedono le parti intime del corpo femminile, a suggerire che è il lento svelarsi del corpo a nutrire il desiderio. Lo sguardo con cui siamo portati a identificarci è quello maschile, non tanto perché sappiamo che è un uomo l’autore del libro quanto perché si indugia maggiormente sulla nudità femminile e alla fine, nelle ultime due tavole, è l’uomo a rimanere solo. Nella penultima immagine, lo vediamo dormire rannicchiato, mentre la donna è seduta sul bordo del letto, tagliata fuori dai margini del foglio. Di lei si scorge solo una porzione della schiena voltata, con un lembo di pelle scoperto nell’atto di chinarsi per rivestirsi. Si è creata una distanza tra gli amanti e la separazione avviene senza un saluto, finché nell’ultimo disegno il corpo dell’uomo appare... continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/segreto-di-famiglia-isol “Ho un segreto: mia madre, in realtà, è un porcospino. È andata così…”. Sono le parole con cui inizia questo volume dell’autrice, illustratrice e cantante argentina Isol (nome d’arte di Marisol Misenta), pubblicato per la prima volta in Italia da #logosedizioni nel 2014 e ora in uscita in una nuova edizione per la biblioteca della Ciopi. Segreto di famiglia è la storia di una famiglia normale, come tutte le altre. O meglio: è la storia di una bambina che credeva di vivere in una famiglia normale finché un giorno, svegliandosi prima del solito, entra in cucina e vede la madre di spalle, intenta a preparare la colazione. La donna è tutta scarmigliata, in vestaglia e pantofole, e ha dei terribili capelli sparati in aria come i più aguzzi degli aculei. Mentre come se niente fosse la mamma le serve i cereali, la bimba seduta a tavola ostenta calma e indifferenza (cosa direbbero suo papà e suo fratello se lo sapessero?) e dopo la colazione come ogni giorno va a scuola, dove incontra la sua amica Elisa, che “non ha mai di questi problemi”. Ma il segreto le frulla in testa tutto il giorno. Sua madre è un porcospino, che rivela il suo vero aspetto di notte e si camuffa di giorno! Quando nel pomeriggio la bambina torna a casa da scuola, la mamma è quella di sempre, col suo vestito a fiori e i capelli raccolti in un ordinato chignon. Ma ormai non gliela racconta più, perché lei ha scoperto il suo segreto. La visione del mattino non resta certo priva di conseguenze, anzi spiega una serie di comportamenti in precedenza incomprensibili, ad esempio tutte quelle ore che la mamma impiega a prepararsi prima di uscire, con le mille boccette di shampoo, le creme, l’asciugacapelli… è per diventare bella come le altre mamme! Ma il peggio deve ancora venire. Un bel giorno, guardandosi allo specchio appena alzata, anche la bimba inizia a notare qualcosa di strano nei propri capelli… e con angoscia teme che la sua amica Elisa, tanto ordinata, si accorga di quanto sono diverse. Teme che capisca che anche lei, crescendo, diventerà un porcospino come sua mamma! La bimba è così nervosa che chiede alla mamma di poter dormire da Elisa, per passare finalmente una giornata tranquilla e forse, sotto sotto, indagare cosa succede nelle altre case. Quello che non si aspetta è che anche le altre famiglie hanno il loro segreto! Perché ciascuno ha le sue stranezze, che agli altri possono sembrare orribili, ma finché non ci si rende conto di quanto tutto questo sia normale si vive la situazione con un misto di orrore e inadeguatezza, l’inadeguatezza tipica dei bambini che temono di essere diversi dagli altri (sempre visti come più disciplinati, più belli, più educati…), e proprio per questo di non venire accettati. In un continuo slittamento di piani (fuori casa/dentro casa), la piccola protagonista imparerà la differenza tra la vita in famiglia e quella “in società”. L’originalità di questo divertente albo illustrato sta tutta nel rovesciamento della prospettiva con cui siamo soliti guardare le cose, grazie a una voce narrante per nulla onnisciente e per nulla neutra (quella della bambina in prima persona) che si guadagna immediatamente la complicità del lettore. Si tratta di una caratteristica tipica di molte opere di Isol (come Nino o Scambio culturale): la capacità di osservare la realtà quotidiana con occhi freschi e forse un po’ confusi, simili a quelli di un alieno che approda per la prima volta sulla Terra e si trova davanti questi strani bipedi che chiamiamo umani. La combinazione di umorismo, irriverenza, inquietudine e tenerezza nella voce di una bambina curiosa e fantasiosa che osserva il mondo degli adulti sotto un’insolita lente di ingrandimento finisce per metterlo in discussione, analizzarlo e, ingenuamente, criticarne le regole che, se decontestualizzate, possono sembrare imperscrutabili e arbitrarie... continua Valentina Vignoli
vedi libro: https://www.libri.it/genitori-felici “E così vissero felici e contenti”: è questa la frase con cui normalmente finiscono le fiabe romantiche. Una volta che i due giovani protagonisti hanno superato una serie di ostacoli al loro amore, si suppone che, uniti per la vita, non debbano fronteggiare ulteriori prove e siano liberi di godersi la felicità faticosamente conquistata. Ma nella realtà le cose non vanno quasi mai così, come ci fa capire questo libro di Emmanuelle Houdart che, al pari di altri suoi titoli (Mia Madre, Una lunga storia d’amore), mira a decostruire gli stereotipi più consolidati con tenerezza e ironia. L’ironia, nello specifico, si trova già nell’immagine di copertina in cui la coppia siede gioiosa su un divano insieme ai propri figli: infatti, a uno sguardo attento non sfugge che in braccio alla mamma il bambino più piccolo sta vomitando e che quindi il momento di relax è destinato a finire in men che non si dica. Il libro inizia proprio laddove le fiabe di solito si concludono: il principe e la principessa si sono sposati e vivono serenamente nel loro palazzo incantato, dedicandosi completamente l’uno all’altra. Li vediamo prima ai due lati di una gigantesca torta nuziale, entrambi portando in spalla la casetta da cui è appena volato via un uccello, forse il simbolo della loro libertà individuale. Nell’immagine successiva li ritroviamo intenti a scambiarsi tenerezze in un letto sontuoso ornato da statue di buffe sirene classicheggianti, circondati da mele proibite e con i palloncini della festa nuziale sgonfi sul pavimento. Ma un giorno i due innamorati scoprono di aspettare un bambino e ben presto si rendono conto che non ci sono solo gioie ad attenderli. Il principe deve fare i conti con le bizzarre voglie della principessa mentre lei sente cambiare il suo corpo a tal punto da non riconoscersi più. Venuto al mondo il bambino non è, a ben guardare, proprio una bellezza: come qualsiasi neonato, somiglia a un “vecchietto preoccupato”. Ma questo non è ancora niente: arriveranno le notti insonni, i pannolini puzzolenti da cambiare, e poi lo sforzo quotidiano di sostentare ed educare i bambini, rispondere alle loro richieste di tempo, di affetto, di doni, soddisfare le loro instancabili curiosità. Le nuove dinamiche della famiglia accresciuta porteranno con sé scontri, discussioni e qualche dispiacere, qualche lacrima. In particolare quando i figli lasceranno i genitori fuori dalla loro stanza, in senso sia letterale sia figurato, saranno sempre meno disposti a trascorrere del tempo con loro e infine se ne andranno per la propria strada. Emmanuelle Houdart non trascura nessun aspetto del rapporto genitori-figli, accennando con delicatezza anche al cosiddetto “complesso di Edipo” ovvero l’attaccamento del figlio al genitore del sesso opposto e l’ostilità nei confronti dell’altro. Immagine dopo immagine, i volti dell’uomo e della donna mutano espressione, la pelle perde vigore, appare qualche ruga in più. Sono i segni lasciati dalla fatica e dagli anni che passano. Come faranno a rimanere uniti nonostante queste difficoltà? C’è bisogno di molta saggezza e molto amore per tenere insieme una famiglia, ma alla fine si può essere davvero “genitori felici” come recita il titolo del libro e come mostra l’ultima immagine, in cui i due sposi che nel frattempo sono diventati anche nonni siedono ai due capi di una tavola imbandita attorniati dai propri cari. In definitiva, dunque, anche stavolta siamo in presenza di un lieto fine, ma il libro funziona soprattutto nella misura in cui decostruisce l’immagine edulcorata dei rapporti familiari, veicolata spesso nella narrativa per l’infanzia e non solo. Nella realtà capita di frequente che le coppie soccombano di fronte al carico di responsabilità che comporta diventare genitori, perciò è importante liberarsi dell’ansia di perfezione e accettare i rapporti umani per quello che sono, con le loro luci e le loro ombre.. continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/laggiustacuori Mattia svolge un mestiere insolito: l’aggiustacuori. Nel suo laboratorio, infatti, non aggiusta scarpe né ombrelli, ma ripara cuori spezzati. Questa occupazione non ha nulla a che vedere con quella di un cardiologo: con una stufa a legna Mattia riscalda i cuori gelidi, con un ago d’argento cuce quelli infranti e “con pinze intrise d’oblio regola l’ora di chi è rimasto indietro perché non si rattristi sui ricordi del passato”. Poi, al calar delle tenebre, quando tutti vanno a dormire, resta ancora sveglio a lavorare perché ha un segreto: notte dopo notte questo insolito artigiano costruisce cuori – fatti di marzapane, di porcellana, di cristallo – per la sua amata Beatrice, che un cuore non ce l’ha. Ogni anno, quando arriva la primavera, Mattia attraversa il bosco e risale il sentiero fino alla casa sulla montagna, dove vive Beatrice, per offrirle un nuovo cuore. E ogni primavera l’algida fanciulla lo liquida senza uno sguardo, accogliendo il regalo con indifferenza per poi dimenticarlo su una mensola. Così, ogni primavera Mattia torna a casa sconsolato, ma non si dà per vinto e continua imperterrito a fabbricare regali per la sua Beatrice, nascondendo all’interno di ciascuno un pezzettino del proprio cuore, che di anno in anno si rimpicciolisce sempre di più… L’aggiustacuori è il primo racconto pubblicato dallo spagnolo Arturo Abad, scrittore e narratore orale molto attivo nell’ambito della letteratura per ragazzi. Nel 2016 il libro è diventato un cortometraggio animato dal titolo Taller de corazones, lo stesso del racconto originale, per la regia del messicano León Fernández. La storia ripropone in chiave moderna il tema classico dell’amore cortese e il celebre topos della “belle dame sans merci”, la donna bella e senza pietà per il cui amore l’uomo si consuma fino alla morte. Questo personaggio ormai archetipico appare per la prima volta in un poemetto francese di Alain Chartier (La belle Dame sans mercy, 1424), per poi ricomparire nei versi di John Keats (La Belle Dame sans Merci, 1819) e approdare attraverso mille reincarnazioni fino ai giorni nostri, contaminando anche pezzi di cantautori italiani come Angelo Branduardi (La bella dama senza pietà, riscrittura della ballata di Keats) e Fabrizio De André (la straziante Ballata dell’amore cieco). Tuttavia, pur senza cedere alla tentazione di un lieto fine classico, Abad risparmia la vita del protagonista, che riesce a sua insaputa ad aprire una breccia nella gelida noncuranza di Beatrice: difatti, sarà proprio la paura di perdere per sempre il suo devotissimo corteggiatore a risvegliare la capacità di amare nell’animo schivo della ragazza. Questa storia tenera e struggente prende vita nelle illustrazioni oniriche dell’artista messicano Gabriel Pacheco, che completano la narrazione creando un vero e proprio dialogo tra testo e immagini. Le tavole sono dominate da due colori indissociabili dal cuore: il rosso del sangue e il blu delle vene. “Dicono che il nostro cuore misuri quanto il nostro pugno. Se è così, quello degli innamorati è una mano aperta da cui prende il volo la vita” dice Pacheco, che vede i due protagonisti come “due opposti che si seguono all’infinito”. Le figure eleganti e quasi diafane di Mattia e Beatrice si stagliano con una plasticità a tratti teatrale su magnifici sfondi minimalisti, creando l’impressione di un collage. Pacheco non teme gli spazi vuoti, che al contrario sfrutta per far risaltare i colori vibranti delle tavole e i pochi elementi scelti che sembrano galleggiare sulla loro superficie: dagli scarni dettagli delle abitazioni dei protagonisti, spesso suggerite appena tramite le sagome delle porte e le aperture delle finestre, all’esplosione di colori degli alberi in primavera, che sfoggiano chiome variopinte e tronchi decorati da un patchwork di motivi floreali.. continua Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/amantes-new Una nuova edizione cartonata e bilingue di Amantes celebra il talento versatile e intrigante di Ana Juan e il suo sodalizio decennale con la casa editrice #logosedizioni. Il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 2010, seguito due anni dopo dalle edizioni in 4 lingue di ciascuna delle 11 storie contenute al suo interno, e nel 2017 è apparsa questa nuova edizione integrale, cartonata con copertina in mezza tela, capitelli e segnalibro che oggi viene ristampata. Il processo creativo però risale ben più indietro nel tempo. È l’autrice stessa a rivelare in una nota in calce al volume che il lavoro “è stato lungo, molto lungo”, più di quanto avesse immaginato. Era arrivata persino a temere che queste piccole storie non avrebbero mai visto la luce. Il progetto prevedeva di esplorare l’amore tra due persone attraverso sequenze di otto immagini, che potevano racchiudere secondi, ore, giorni o perfino anni, senza limiti, senza alcuna concessione allo spettatore. Ne sono nate undici istantanee che fotografano relazioni passeggere o lunghe una vita, amori effimeri, solo immaginati, fedeli o volatili come il vino. In ogni sequenza, le 8 tavole sono accompagnate da brevissimi testi dove la dimensione evocativa prevale su quella descrittiva. Sono le immagini a raccontare l’intera storia, e le sue emozioni; le parole rappresentano un corollario, che aggiunge qualche dettaglio in più… Grazie a una sensibilità speciale nel catturare il gesto preciso, le tensioni e il dramma, le illustrazioni lavorano per aprire al massimo le sfumature del testo e dei personaggi. L’amore secondo Ana Juan si può declinare in 11 casi, o tipologie differenti: l’Amore fedele, quello che aspetta sempre; l’Amore settimanale, che viene consumato all’interno di stanze segrete; l’Amore volatile con i suoi occhi ciechi; l’Amore finale, il più longevo, che non si lascia sconfiggere dal tempo; l’Amore diverso, insolito e fuorilegge; l’Amore lontano, incurante delle mappe; l’Amore dormiente, che alla fine qualcuno risveglia; l’Amore orgoglioso, che cade nella sua stessa trappola; l’Amore effimero con il suo sole che tramonta; l’Amore sconosciuto, impensabile nella sua vicinanza. E, paradossalmente presentato per ultimo, il Primo amore, l’amore puro e primigenio, quello che ha acceso la fiamma. Parlando dei temi che la attraggono maggiormente, in un’intervista rilasciata nel 2005 a Elena de Santiago, Ana racconta di essere interessata all’universalità e di fuggire i localismi, di amare le storie suggestive, divertenti e fantasiose e di avere un debole per quelle trasgressive e un po’ irriverenti. Possiamo dire che Amantes, nella sua sintesi estrema, riesce perfettamente in questo intento e coglie l’essenza universale di un sentimento in 11 storie inconsuete e pervase da un malinconico senso di attesa e da un'attenzione particolare alla diversità, mettendo in scena personaggi che altrove sarebbero relegati a ruoli secondari. Protagonista assoluto delle immagini è il corpo, che si impone per dimensioni e plasticità sugli oggetti e sullo spazio circostante, il quale spesso consiste in suggestivi interni immersi in atmosfere da primo Novecento. In quest’opera, Ana si lascia per un momento alle spalle il suo mondo ‘altro’, quello in cui dominano le visioni e le immagini oniriche fatte di ombre, spettri, strane figure, gatti neri e donne dalla pelle bianchissima, sempre molto suggestive ma anche decisamente angoscianti. Nel corso dell’intervista sopra citata, Ana Juan si dichiara interessata soprattutto alla comunicazione con il suo pubblico più che all’affermazione di uno stile personale: “Uno stile tutto mio è il risultato di molti anni di lavoro. – dichiara – Sinceramente, dopo tanti anni, l’unica cosa che mi preoccupa è riuscire a trasmettere tutto ciò che l’immagine e il testo richiedono, a prescindere dagli stili”.. continua Rossella Botti
Vedi libro: www.libri.it/sfilata-di-natale Da 1 a 25: non si tratta proprio di un conto alla rovescia, perché la numerazione non procede a ritroso, ma la trepidazione è la stessa. È pur sempre un avvicinamento per tappe a una data importante e attesissima, soprattutto per i bambini ma anche per i genitori pronti a far festa con i loro figli, per gli insegnanti che si accingono ad addobbare le scuole, e per tutti gli adulti che non vedono l’ora di arrivare alle sospirate ferie invernali. Dall’attesa del Natale nacque nel 1908 un calendario a sé, ideato dall’editore tedesco protestante Gerhard Lang. In Germania, al tempo, era già diffusa l’usanza di aspettare il compleanno di Gesù preparando 24 pacchettini da scartare quotidianamente, fin dal primo dicembre. La novità di Lang consisté nell’ideare un calendario con un disegno al giorno, cui l’anno seguente venne aggiunto il dettaglio delle finestrelle, contenenti al loro interno degli angeli o piccoli Gesù Bambino da ritagliare o assemblare. In seguito arrivarono dolci e cioccolatini e il calendario dell’avvento si diffuse prima nei Paesi protestanti, poi in quelli cattolici. Da allora ha assunto molteplici forme: esistono calendari a tema, come quello diffuso nella RDT durante la guerra fredda, dove al posto degli angeli spuntavano sonde sovietiche come lo Sputnik oppure cosmonauti come Jurij Gagarin, versioni per adulti con una fiaschetta di vino o una bottiglia di liquore al giorno e calendari idea regalo con gioielli o altri oggetti. Un’azienda canadese ne ha perfino prodotto uno con la marijuana, che nel Paese è legale. Ci sono addirittura edifici che a dicembre si mascherano da calendari dell’avvento sfruttando le loro finestre: scuole e musei in varie parti del mondo nonché la libreria Mondadori di Piazza del Duomo a Milano. Anche Emmanuelle Houdart mette al lavoro la sua vivace fantasia per creare un calendario dell’avvento molto particolare, in cui Natale e carnevale si fondono dando vita a una carovana di buffi personaggi che fa pensare alle processioni di carri cui si può assistere ogni anno in Italia e in altre parti del mondo. Si tratta di un libro che si può leggere come tale, sfogliandone le pagine di cartoncino spesso, e che come qualsiasi altro ha una copertina con il titolo e un’immagine, in questo caso quella di un Babbo Natale intento a estrarre pacchetti da uno stivalone adorno di stelline e fiocchi di neve, sotto gli occhi curiosi di un pinguino dai mutandoni a cuori. Ma il libro può anche aprirsi a fisarmonica e si può svolgere giorno per giorno fino ad allungarsi in un’immagine double-face da appoggiare sul caminetto o sopra un mobile nella camera dei bambini. Il libro-calendario diventa così un accessorio d’arredo da tenere al suo posto finché l’Epifania non si porta via tutte le feste o magari, perché no, da lasciare in bella mostra per tutto l’anno per ricordarsi che prima o poi il Natale arriva. Illustrando questo oggetto multi-uso, come di consueto Emmanuelle Houdart non si accontenta di costruire una storia per immagini ma fa sempre in modo che ogni illustrazione sia talmente densa di dettagli da rappresentare una storia a sé. In ciascuna di queste 25 illustrazioni-racconto riconosciamo le caratteristiche del suo stile inconfondibile: le metamorfosi, la presenza di animali, piante e oggetti personificati, la varietà dei motivi decorativi, i colori vivaci, i grossi volti dall’incarnato pallido e gli occhi e le labbra brillanti, i minuscoli particolari da scovare come nella pittura di Chagall. L’artista dimostra una sfrenata creatività nell’inventare personaggi sempre nuovi e sorprendenti. Continua... Francesca Del Moro
Vedi libro: https://www.libri.it/struffallocero-blu Nella calda savana, i facoceri grufolano contenti alla ricerca di gustose radici da mangiare e al tramonto si concedono rilassanti bagni di fango… tutti tranne uno, che se ne sta in disparte, disgustato da quei corpi tozzi e grigi e da quei grugni pieni di verruche. Ignaro di essere esattamente come loro, questo facocero si tiene alla larga dai suoi simili, finché un giorno, specchiandosi nell’acqua del lago, scopre l’amara verità. Affranto per il suo aspetto così rozzo e ordinario, il facocero scorge nello stagno uno splendido pesce blu. Da quell’istante non riesce a pensare ad altro che a quel colore così elegante… e lo desidera tanto ardentemente che, risvegliandosi dopo una notte di sonno, scopre di essere diventato dello stesso blu brillante di quel pesce! Orgoglioso e soddisfatto, il facocero blu corre a pavoneggiarsi in giro, ma incontra tanti altri animali che gli sembrano più belli, più eleganti e più maestosi di lui. Così, notte dopo notte, il facocero desidera un collo da giraffa, una criniera da leone, lunghe zampe da struzzo… Il facocero vede tutti i suoi desideri esauditi, ciò nonostante è sempre insoddisfatto: l’erba del vicino gli sembra più verde, e l’invidia non gli permette di apprezzare quello che ha. A forza di volersi diverso, si trasforma al punto di smarrire la propria identità. Per ritrovarla, corre fiducioso in città dagli uomini, che conoscono il nome di ogni cosa, e infatti una bambina gli svela il suo: è uno struffallocero blu! Entusiasta di avere di nuovo un nome, l’animale danza fino allo sfinimento e si addormenta, finalmente felice… salvo risvegliarsi l’indomani mattina in una gabbia. È diventato un animale straordinario, da mettere in mostra, e tutti gli umani accorrono ad ammirarlo e a vederlo danzare, ma dietro le sbarre lo struffallocero è triste. Non mangia, non beve e non si muove. Non ha voglia di fare niente. Vorrebbe essere libero e avere un paio di ali per volare via come un uccello. Per fortuna, anche questa volta viene accontentato: può spiccare il volo e, tornando verso casa, lanciare doni dal cielo a tutti gli animali di cui ha preso in prestito un pezzo, per ringraziarli. Giunto allo stagno dei facoceri, lo struffallocero prova perfino un po’ di nostalgia: loro si divertono tanto insieme, e lui invece è sempre solo! È l’unico esemplare della sua specie e non ha compagni con cui trascorrere il tempo. Ma, ancora una volta, gli basta addormentarsi per risolvere il problema… e capire che a volte bisogna imparare ad accontentarsi di ciò che si ha, e stare molto ma molto attenti a ciò che si desidera! Dalla penna della premiata autrice tedesca Ursula Wölfel (1922-2014), un racconto surreale e divertente per capire che voler essere speciali a tutti i costi può farci sentire molto soli e che, anche se a volte pensiamo di essere ordinari, ciascuno di noi è unico. Definita “la Rodari tedesca”, Ursula Wölfel ha lavorato come insegnante e educatrice, per poi dedicarsi alla narrativa a tempo pieno. Ha scritto una quarantina di libri per bambini ricevendo numerosi premi, tra cui il prestigioso Jugendliteraturpreis, il più importante riconoscimento tedesco nell’ambito della letteratura per l’infanzia. Le sue storie non narrano le gesta di personaggi magici e straordinari, ma raccontano la realtà quotidiana con tanto senso dell’umorismo e un pizzico di assurdo. Il suo Struffallocero blu (Das blaue Wagilö) arriva finalmente in edizione italiana, arricchito dalle spassose illustrazioni a olio di Roger Olmos. Innamoratissimo degli animali, l’artista catalano interpreta alla perfezione l’ironia del testo, accompagnandoci in un mondo pieno di animali buffissimi e variopinti. La biblioteca della Ciopi presenta una nuova storia che farà riflettere adulti e bambini sul modo in cui ciascuno percepisce il proprio corpo, e sull’importanza di accettarsi e volersi bene così come si è. Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/play-with-me Nicoletta Ceccoli torna a stregare con le sue struggenti, eteree e terrificanti creature. Con il suo nuovo catalogo Play with me, l’artista ci conduce in un viaggio in quattro capitoli attraverso quattro fantastici mondi dai toni pastello, declinati interamente al femminile. Gelide bambole di porcellana dalle acconciature perfette ci fissano dalle tavole con i loro occhi di ghiaccio o distolgono lo sguardo, assorte nei loro pensieri. Il primo capitolo, Candyland, è ambientato in un invitante regno fatto di caramelle, marzapane, leccalecca, biscotti, frutta candita, gelati e altre dolci delizie. Splendide fanciulle abitano questo universo commestibile, regnando dalla torre più alta di un castello di biscotti, sposando pupazzi di neve, cavalcando renne che sembrano marshmallow e divorando senza alcuna pietà omini di pan di zenzero. A tratti, questa golosità sadica e truculenta sembra persino rivoltarsi contro le fanciulle, che offrono in pasto al lettore il cuore o i seni strappati dal petto e serviti su un piatto colante dolcissimo sangue. In Wild Beauties, le piccole protagoniste si confrontano con la natura in tutte le sue forme, dalle più fiabesche alle più diaboliche e minacciose. Una bambina sfoggia uno splendido vestito di fiori bianchi e farfalle, un’altra riceve le visite notturne di una lumaca gigante, un’altra copre le sue nudità facendosi scudo con un pesce rosso. Non mancano riferimenti a personaggi del mito, della fiaba e della letteratura: una novella Alice di Carroll cavalca un grosso coniglio rosa, una baby-Pandora dal terribile sguardo schiude una scatola rossa dalla quale il male fuoriesce in grigie e fumose spire, mentre Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo si scambiano le maschere in un infinito gioco di specchi in cui l’identità si perde, rendendo impossibile distinguere i contrari. Il terzo capitolo, Come play with me, vede le fanciulle alle prese con il mondo dei giocattoli. Un’infermierina accudisce un coniglietto malato, una bambina si inginocchia in preghiera ai piedi di un soldatino morto, un’altra, vestita da regina, assiste affranta e impotente a una guerra combattuta su una scacchiera. Anche qui le protagoniste appaiono spesso nel ruolo di piccole dominatrici: una baby-burattinaia dai capelli celesti muove i fili di un Pinocchio per un pubblico di giocattoli, caramelle e mostriciattoli; qualche pagina dopo, un Pinocchio più grande giace a terra spaventato, alla mercé di un’altra piccola Fata Turchina che lo tiene per il collo con una catena, lo schiaccia a terra con un piede e si appresta a frustarlo per punirlo delle sue bugie. Ma in alcune tavole la prospettiva si ribalta, in un’inquietante, continua dialettica tra vivente e inanimato, grande e piccolo: alcune bambine giocano a un minaccioso nascondino con peluche giganti, altre vengono vendute come bambole o svelano impassibili un’anatomia di ingranaggi interni, altre ancora posano per un ritratto di famiglia con pupazzi di legno. In alcune tavole, le fanciulle presentano un’inquietante somiglianza con le loro bambole, al punto che si rischia di scambiarle per gemelle: solo le giunture artificiali della bambola permetteranno all’osservatore di distinguerla dalla bambina vera. nfine, Tales from Wonderland ci trasporta in un universo onirico fatto di torri giocattolo, castelli di carta e mondi fluttuanti, abitati da minacciose principesse tentacolate, streghe bambine e sprovveduti paladini. Un cavaliere cerca di raggiungere una principessa arrampicandosi su coloratissime costruzioni sospese nel nulla e affrontando temibili lucertoloni e altre minacciose creature poste a guardia del castello-giocattolo, mentre un’elegante strega del mare con un abito rosso e guanti al gomito mescola un filtro nella sua marmitta, circondata da forme di vita marine che ricordano i microrganismi illustrati dal biologo Ernst Haeckel... continua Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/barbablu Tra le fiabe incluse nella celebre raccolta di Charles Perrault uscita nel 1697, Histoire ou contes du temps passé, che in seguito sarebbe divenuta nota come Contes de ma mère l’Oye (I racconti di Mamma Oca), La Barbe Bleu è tra quelle che hanno maggiormente affascinato i lettori nei secoli a venire, diventando a sua volta fonte di ispirazione per scrittori, artisti e cineasti. Basti pensare alle recenti riscritture del classico a opera di Angela Carter o Amélie Nothomb, oppure a Richard Burton nei panni di Barbablù nell’omonimo film del 1972, per la regia di Edward Dmyrtryk e Luciano Sacripanti, ambientato nella Germania nazista. Il protagonista della fiaba, Barbablù, è un uomo ricchissimo e crudele, che ha avuto sei mogli, tutte misteriosamente scomparse. Nonostante la sua cattiva fama e l’inquietante colore della sua barba, riesce a sposarsi per la settima volta con la minore delle due figlie di una vicina, una nobildonna d’alto rango. La coppia si trasferisce in una sontuosa villa che Barbablù possiede in campagna, dove la sua sposa è libera di godersi una vita di agi e abbandonarsi ai piaceri della buona tavola. Nel giro di breve tempo, però, Barbablù abbandona il talamo nuziale, dicendosi costretto ad assentarsi per un importante viaggio di lavoro. Prima di partire consegna alla moglie le chiavi di tutte le stanze della villa e la invita a usarle a suo piacimento, nonché a ospitare parenti e amici. Le è vietato usare solo una minuscola chiave che dà accesso a una camera segreta. Per qualche giorno la ragazza si dimostra obbediente ma alla fine, sopraffatta dalla curiosità, entra nella stanza proibita e qui scopre i corpi appesi e insanguinati delle sei mogli di Barbablù. Atterrita, lascia cadere la chiave, che si macchia di sangue. Tenta di pulirla ma la macchia è incancellabile. Al suo ritorno Barbablù le chiede di riconsegnargli le chiavi e scopre così la sua disobbedienza. La ragazza lo implora di concederle qualche minuto di raccoglimento per raccomandare la propria anima a Dio e corre a chiedere aiuto alla sorella, che è ospite nella villa. Questa si precipita in cima alla torre più alta, da dove invia dei biglietti ai fratelli, attesi in visita di lì a poco, chiedendo loro di arrivare il prima possibile. Proprio quando la giovane sposa sta per essere giustiziata, i fratelli giungono a salvarla, uccidendo il marito crudele. La ragazza eredita dunque tutte le ricchezze di Barbablù ed è pronta a godersele con uno sposo migliore. La fiaba di Barbablù, che nella raccolta di Perrault ha un chiaro intento moraleggiante, si incentra su due elementi chiave: da un lato la crudeltà dell’uomo, dall’altro la disobbedienza della donna. Nelle sei mogli di Barbablù alcuni hanno voluto vedere un riferimento ai sei matrimoni del re Enrico VIII; altri hanno paragonato lo sposo malvagio al re Shāhrīyār delle Mille e una notte. Per quanto riguarda il tema della disobbedienza, la storia si richiama alla favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio e al mito greco di Pandora, nonché alla Genesi, e in particolare alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. Ed è proprio quest’ultimo riferimento che sembra avere in mente Pacheco allorché, nell’illustrazione di apertura, raffigura le due sorelle in un giardino con tre mele color rosso brillante che pendono in bella evidenza sopra le loro teste. Come in Messer Gatto, il primo volume dedicato dall’illustratore alla già citata raccolta di Perrault, siamo invitati da principio a seguire la storia unicamente attraverso le immagini, secondo una modalità narrativa che riesce efficacemente a fare a meno delle parole. Le quali arriveranno comunque, come nel libro precedente, ma soltanto alla fine, in una sorta di invito a ripercorrere la vicenda richiamando alla mente le immagini che abbiamo appena visto... continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/kiwi #logosedizioni propone per la prima volta in edizione italiana questa storia, nata dalla penna dell’amatissima scrittrice uruguaiana Carmen Posadas e impreziosita dalle eleganti illustrazioni a pastello di Alessandra Manfredi. Tutto ha inizio un mattino per un errore del postino, che recapita alla fattoria un pacco misterioso, proveniente da molto, molto lontano. Il primo a notarlo è il gallo, che è sempre il più mattiniero; poi accorrono le anatre, i porcellini, la mucca, le galline e Cane, il guardiano della fattoria. Tutti gli animali muoiono dalla curiosità di scoprire cosa contenga la scatola; solo Cane è molto preoccupato… E se lì dentro ci fosse qualcosa di pericoloso? Meglio gettare la scatola nel fiume. Tuttavia, Colibrì lo convince a verificare il contenuto del pacco prima di decidere cosa farne, e così gli abitanti della fattoria si recano in processione a casa di Mamma Gallina per aprirlo tutti insieme. Nell’attesa, ciascuno degli animali sogna a occhi aperti, sperando di trovare nel pacco l’oggetto dei propri desideri: Colibrì vorrebbe un giradischi, Gallo un vasetto di brillantina per la cresta, i porcellini qualcosa di buono da mangiare. Ma quale non sarà il loro stupore nello scoprire che nella scatola c’è… un uovo! Un uovo bianco, ricoperto di macchioline marroni. Delusi dalla banalità di questo ritrovamento, gli animali perdono ogni interesse alla faccenda, lasciando Cane solo con il pacco e il suo contenuto. Il guardiano della fattoria allora cercherà qualcuno disposto a occuparsi dell’uovo: proverà a chiedere a Mamma Gallina, alle anatre, a Colibrì, al gallo e persino ai porcellini, ma nessuno vuole saperne. Così, a Cane non resta che improvvisarsi papà della misteriosa creaturina nascosta nell’uovo e aspettare che si schiuda. Le illustrazioni di Alessandra Manfredi ci trasportano in un mondo dai tratti gentili e dai colori delicati, mentre con uno stile leggero, tenero e divertente Carmen Posadas affronta argomenti non sempre facili da trattare con i bambini: diversità, discriminazione, accoglienza, solidarietà. L’uovo che contiene Kiwi non appartiene alla fattoria, pertanto la maggior parte degli animali se ne disinteressa, abbandonandolo al suo destino. Ma senza le dovute cure, la creatura nell’uovo morirà… Cane non sopporta l’idea e decide di adottarla, covando l’uovo come se fosse stato lui a deporlo. Quando l’uovo si schiude, finalmente esce un buffo uccellino grigio, con un lungo becco adunco, zampe da pollo e ispide piume grigie. Alla fattoria non si è mai visto un animale simile… e gli altri animali trovano che sia bruttino, perché è diverso. Perciò ridono di Cane e del suo goffo figlioletto, finché una vecchia rondine, grande viaggiatrice, spiega che Kiwi appartiene a una razza di uccelli che vivono dall’altra parte del mondo… e subito vola a raccontare a tutti questa notizia straordinaria! La paura del diverso viene così scalzata da un nuovo punto di vista: la diversità è ricchezza. La storia di Kiwi si diffonde in tutte le fattorie del circondario, e adesso che è famoso gli animali cambiano idea sul suo conto, diventando perfino invidiosi di Cane... continua Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/caboto Navigatore, cartografo ed esploratore delle Americhe, Sebastiano Caboto fu al servizio di Spagna e Inghilterra negli anni immediatamente successivi alla scoperta del nuovo continente. Su di lui ci sono pervenute poche notizie, frammentarie e contrastanti. A complicare la ricostruzione della sua vita è soprattutto l’esistenza di documenti contraddittori e di scritti apocrifi a lui attribuiti, mentre la sua figura è da sempre controversa: c’è chi lo dipinge come un debole, bugiardo, vile e addirittura usurpatore dei meriti del padre, e chi lo esalta come uomo forte, coraggioso e sapiente, animato da un’invincibile ambizione. Probabilmente non ha giocato a suo favore il fatto di aver diviso i suoi servigi, da straniero, tra due stati rivali, Inghilterra e Spagna, e soprattutto gli hanno recato danno la gelosia e la diffidenza di piloti e cosmografi coevi. Ma, nel mare magnum delle fonti incerte, è possibile rintracciare alcuni punti fermi che ci permettono di ricostruire, a grandi linee, la sua storia. Certo è che nacque a Venezia, figlio dell’esploratore Giovanni e di Mattea Caboto, presumibilmente tra il 1475 e il 1477. Nel maggio del 1497 iniziò ad accompagnare il padre nei suoi viaggi al servizio dell’Inghilterra, partecipando tra l’altro alla spedizione in Canada a bordo della nave Matthew. Nel 1512 Sebastiano fu assunto da Enrico VIII d’Inghilterra come cartografo a Greenwich e nello stesso anno venne nominato capitano da Ferdinando II d’Aragona. Alla morte di quest’ultimo, nel 1517, tornò in Inghilterra e nel 1522 fu nuovamente in Spagna, a Siviglia, dove divenne membro del Consejo de Indias con il grado di piloto mayor nonché il cosmografo più importante del regno, responsabile del “Padron Real”, ovvero la carta del mondo, che veniva via via aggiornata con le notizie riportate da ogni spedizione di ritorno dalle Indie Occidentali. In quel periodo offrì segretamente i suoi servigi alla Repubblica di Venezia per organizzare una spedizione al fine di trovare il passaggio a nord-ovest per la Cina. A questo punto iniziano gli eventi su cui si incentra il libro che Mattotti e Zentner dedicano all’esploratore veneziano. Grazie al racconto di alcuni sopravvissuti, Caboto viene a conoscenza della spedizione spagnola di Juan Díaz de Solís che l’8 ottobre 1515 era salpato da Sanlúcar de Barrameda per raggiungere le Molucche, note come “isole delle spezie”. La spedizione aveva seguito la costa orientale presso la foce del Rio de la Plata, denominato Mar Dulce, raggiungendolo nel febbraio del 1516 per poi risalire fino alla confluenza dell'Uruguay con il Paraná. Qui, con altri membri dell’equipaggio, Díaz de Solís era stato attaccato e ucciso da un gruppo di indigeni. Affascinato dai racconti dei superstiti, che parlano di terre dalle grandi ricchezze, Caboto parte il 3 aprile 1526 da Sanlúcar de Barrameda con l’obiettivo di trovare a sua volta un passaggio verso le Molucche. Le navi arrivano alla costa del Brasile, all’altezza del Pernambuco, dove Caboto riunisce gli ufficiali e comunica loro un cambiamento nei suoi piani: vuole entrare, per esplorarlo, nel Río de la Plata, pensando di poter giungere così nel favoloso regno di Birù (Perù), che non è ancora stato conquistato. Nella zona dell’attuale città argentina di Santa Fe, Caboto fonda un villaggio fortificato, detto di Sancti Spiritu (Santo Spirito) e rimane nella regione per vari anni, esplorando alcuni fiumi delle vicinanze e conducendo spedizioni di carattere naturalistico. Frattanto i suoi luogotenenti Francisco César, Francisco de Rojas, Martín Méndez e Miguel de Rodas si addentrano nella regione alla ricerca del Perù, probabilmente raggiungendo solo la zona dell'attuale Bolivia... continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/gallina-piripiri Sembra un giorno come tanti altri alla fattoria, e la gallina Piripiri si lamenta della sua vita piatta. Non le capita mai niente di interessante, e anche la dieta è tremendamente monotona: nient’altro che chicchi di grano e sassolini, duri e dal pessimo sapore. Insomma, una noia mortale… ma di certo Piripiri non può immaginare che di lì a breve commetterà un fatale errore che le farà rimpiangere il buon vecchio tran tran! Scambiandolo per un succulento lombrico, infatti, la gallina assesta un’energica beccata al figlioletto della Signora Biscia, che oltraggiato corre immediatamente a denunciare alla madre l’affronto subito. Terrorizzata all’idea di doverla affrontare, Piripiri corre a nascondersi dentro una scatola, ma senza molto successo: Topotopino la vede subito, e le chiede cosa stia facendo. Una volta al corrente della situazione, il topolino inizia a mettere in atto milleuno stratagemmi per sottrarre l’amica gallina alle temibili spire della Signora Biscia. Prendendo in prestito una serie di oggetti del fattore, Topotopino traveste Piripiri da coniglio, dimostrando un discreto talento da costumista: la gallina infatti riesce a mimetizzarsi alla perfezione… ma all’improvviso l’istinto prende il sopravvento e le viene da fare un uovo! Non essendo più credibile come coniglio, Piripiri prova a confondersi tra altri uccelli… ma mantenere l’incognito può rivelarsi molto pericoloso: mentre chiacchiera con i passerotti sulla cima di un albero viene colpita da un fulmine, e poco dopo rischia di affogare nello stagno delle anatre. Per fortuna viene riportata sulla terraferma, ma ormai le bisce sono vicinissime e servirà un ultimo colpo di genio di Topotopino per salvarla… E se tra una disavventura e l’altra Piripiri finisse per diventare l’eroina della fattoria? Traendo ispirazione dalle giornate trascorse nella fattoria di sua nonna in Galizia, Xan López Domínguez crea una storia ricca di colpi di scena e buffe illustrazioni che conquisteranno i lettori di tutte le età. Xan López Domínguez nasce a Lugo, in Galizia, nel 1957. Dopo aver completato gli studi in Storia dell’Arte all’Università di Santiago de Compostela, fonda il collettivo Xofre insieme a Francisco Jaraba e Miguelanxo Prado, creando una delle prime pubblicazioni galiziane dedicate al fumetto. Lavora per diventare fumettista, finché un giorno scopre il mondo degli albi per l’infanzia e se ne innamora. Da allora ha illustrato oltre trecento libri per bambini di tutto il mondo, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti. Nel 1991 è stato il primo artista galiziano a essere incluso nel catalogo degli illustratori della Fiera del libro per ragazzi di Bologna, e nel 1992 è entrato a far parte della Lista d’onore di IBBY. Nel 1993 si è aggiudicato il titolo di Illustratore dell’anno assegnato dalla Fiera di Bologna in collaborazione con UNICEF (1993), nel 2008 è stato il candidato spagnolo di IBBY per il Premio Astrid Lindgren e nel 2010 ha ricevuto una nomination per il prestigioso Premio Andersen, oltre a essere incluso nella lista White Ravens della Internationale Jugendbibliothek di Monaco di Baviera per il libro Mis historias perdidas. I suoi lavori sono stati esposti in tutto il mondo: da Barcellona a Bologna, da Londra a Madrid, Monaco e Roma, fino a Tokyo. Xan López Domínguez è considerato un pioniere della letteratura per ragazzi spagnola contemporanea. I suoi primi albi illustrati, caratterizzati da uno stile vistoso e caricaturale, appaiono molto influenzati dalla sua formazione di fumettista; successivamente ha optato per uno stile più minimale... continua Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/piccolo-vampiro-2 Piccolo Vampiro e i suoi amici tornano con quattro nuove, rocambolesche avventure da leggere tutte d’un fiato, raccontate con il tratto leggero e giocoso di Joann Sfar e i deliziosi colori di Walter. In Piccolo Vampiro e la casa che sembrava normale il nostro eroe si imbatte in una dimora dall’aspetto misterioso: dal caminetto esce fumo e sembra abitata, ma è piena di ragnatele, come se fosse abbandonata. Incuriosito, si intrufola nella casa, dove incontra un nuovo, buffissimo amico. I due si accorgono che l’uomo e la donna seduti nel salotto non sono altro che marionette, decidono di indagare su chi le controlli e trovano una specie di sala comandi. Qui, tirando una leva, finiscono in un limbo all’intersezione tra i mondi, dove scoprono un losco traffico d’armi… e come tutti quelli che sanno troppe cose, vengono fatti prigionieri! Per fortuna Piccolo Vampiro può trasformarsi in topolino e sgattaiolare via in cerca di aiuto… In Piccolo Vampiro e la zuppa di cacca, il vampirello e i suoi amici dovranno vedersela con le bizzarre abitudini culinarie di Margherita: il tontolone ha preparato una zuppa di cacca per il compleanno di Michele, che però non sembra apprezzare… Margherita ci rimane malissimo, e il bambino si sente così in colpa che per consolare l’amico è disposto perfino ad assaggiarla! Intanto arriva l’ora del bagno per Piccolo Vampiro, e Margherita insiste per entrare nella vasca insieme a lui. Scopriremo così che i suoi peti sono talmente puzzolenti da risvegliare i morti… che infatti escono dalle loro tombe e accorrono in processione al castello infestato reclamando una tazza di tè! L’unico modo per placarli sarà assecondarli… ma presto, prima che la Signora Pandora torni e vada su tutte le furie! In Piccolo Vampiro e i Babbi Natale verdi, una delle più celebri leggende natalizie si tinge di mistero e di una punta di terrore. Al castello infestato lo spirito natalizio è già nell’aria, e tutti aspettano con ansia l’arrivo di Babbo Natale… Ma Michele protesta: quella di Babbo Natale è solo una favola! …O forse no? L’unico modo per conoscere la verità sarà rimanere svegli la notte della vigilia, ma questa curiosità potrà rivelarsi molto pericolosa! In questo episodio Piccolo Vampiro, Michele e Pomodoro scoprono un antichissimo popolo di giganti grandi come montagne e uno stuolo di vecchietti verdi che costruiscono compulsivamente doni. Mentre il Capitano dei morti e il nonno di Michele seguono la falsa pista del Babbo Natale lappone a cui tutti scrivono le lettere, i bambini trovano il vero Babbo Natale ed entrano fin dentro al suo cuore, per scoprire che la sua leggenda è tenuta in vita al caro prezzo di un sacrificio umano… Con Piccolo Vampiro e il sogno di Tokyo, Joann Sfar rende omaggio a Little Nemo di Winsor McCay per celebrare i cento anni del piccolo grande sognatore del mondo dei fumetti. Ispirato dalla lettura dei manga che gli ha prestato Michele, Piccolo Vampiro sogna di fare un viaggio a Tokyo… Così atterra in un mondo fantastico, fatto di personaggi variopinti ed estremamente educati e combattimenti quotidiani tra mostri ed eroi mascherati. Ma dietro questa patina sfavillante e caramellosa, il vampirello scopre ben presto una società totalitaria, fatta di lavori alienanti, controlli asfissianti e rigide convenzioni sociali… e come se non bastasse, una cricca di ragazzine alla moda ha messo le grinfie su Pomodoro e non vuole restituirlo al legittimo padroncino! La situazione sembra disperata, ma il provvidenziale incontro con un corvo-clochard permette ai nostri eroi di scappare da questo incubo. Con queste quattro nuove storie, il fumettista nizzardo torna a divertire adulti e bambini toccando temi anche profondi, come la guerra, l’alienazione e il totalitarismo, ma senza mai rinunciare alla delicatezza, all’ironia e a quell’irresistibile punta di irriverenza che lo caratterizzano. Mirta Cimmino
vedi libro: https://www.libri.it/ti-curo-io-disse-piccolo-orso Piccolo Tigre esce dal bosco zoppicando, e sta così male che non si regge in piedi. E allora non gli resta che sdraiarsi a terra, proprio lì in mezzo al prato. Per fortuna Piccolo Orso accorre immediatamente in suo aiuto, e siccome Piccolo Tigre ha male a una zampa e poi all’altra, e anche alle gambe, “e davanti e dietro, e a destra e a sinistra, e sopra e sotto”, non gli resta che prenderlo in braccio e portarlo a casa, dove lo adagia delicatamente sulla tavola, come si fa dal dottore vero, per fasciarlo per bene! Ci penserà lui a curarlo. Ma la fasciatura da sola non basta, servono anche un po’ di coccole, e Piccolo Orso decide di cucinare a Piccolo Tigre il suo piatto preferito! O be’, in ogni caso di cucinargli un’ottima zuppa di patate e carote dell’orto, con lamponi per dessert. Ma si sa, per guarire bisogna riposarsi, e così dopo pranzo Piccolo Tigre deve fare un riposino, ovviamente con la sua coperta preferita. E quando si sveglia si sente un po’ meglio, ma poi si sente di nuovo un po’ peggio, perché gli piacerebbe tanto ricevere delle visite. E così l’affettuoso Piccolo Orso, con una telefonata suburbana, contatta Zia Oca. E in breve la casa si riempie di amici, che dopo un rapido consulto decidono che è il caso di portare Piccolo Tigre dal Dottor Membrana, all’ospedale degli animali, perché non tutte le malattie si possono curare con una zuppa calda e un riposino. Ma non c’è da preoccuparsi, perché all’ospedale degli animali si sta bene! L’indomani mattina parte quindi un festoso corteo di animali alla volta dell’ospedale. Ci sono Lupo Forzuto e Caprone che portano la barella di Piccolo Tigre, Anatra Gialla e Lepre del Bosco, Topo, Volpe, Cane, Riccio e Asino Errante col suo zaino, e anche il grigio Elefantone Gentile. Arrivato all’ospedale, Piccolo Tigre viene preso in cura dalla gentilissima infermiera Lucia, dal Dottor Membrana, e anche dal Dottor Filigrana, che gli fa una radiografia! Dopo una punturina e una piccola operazione innocua, Piccolo Tigre può tornare a casa guarito con il suo drappello di amici, pronti per una nuova avventura… Pubblicato originariamente nel 1985 e tradotto in diverse lingue, Ti curo io, disse Piccolo Orso è solo una delle puntate che raccontano il meraviglioso microcosmo di animali creato da Janosch, celebre autore tedesco vincitore di importanti premi di illustrazione, tra cui lo Jugendliteraturpreis tedesco. È un microcosmo fatto di tenerezza, battute divertenti, attenzione ai dettagli e, soprattutto, amicizia. È proprio l’amicizia il tema portante di questo nuovo volume della Biblioteca della Ciopi, importante più che mai proprio nel momento in cui ci si ammala, si è più indifesi e si ha bisogno di aiuto, che si tratti di una visita dal dottore o della semplice presenza di una persona cara al nostro fianco che ci rassicura e ci dice che andrà tutto bene. Che non dovremo preoccuparci di nulla ma, semplicemente, imparare ad affidarci. E così scopriamo che non è poi tanto brutto ammalarsi, se c’è qualcuno a prendersi cura di noi! E anche l’ospedale e tutto ciò che lo popola e gli ruota intorno assumono un altro aspetto! Perché all’ospedale ci sono infermiere amorevoli che ti lavano col sapone alla rosa per essere tutto profumato, e compagni di stanza grandi e sbruffoni più spaventati di te. E ci sono dottori gentili che ti spiegano tutto quello che non sai e tutto quello che ti succederà, così la spaventosa macchina per le radiografie e le punture non fanno più così paura: sono solo raggi invisibili che ti attraversano il corpo per far vedere al dottore cosa c’è dentro, e pizzichini leggeri che ti fanno fare un bel sogno blu! Risveglio, fine dell’operazione, Piccolo Tigre guarito, si torna a casa tutti insieme. E l’anno prossimo sarà Piccolo Orso a potersi ammalare, e Piccolo Tigre a prendersi cura di lui... continua Valentina Vignoli
vedi libro: https://www.libri.it/giona Il secondo volume della serie “Le scienze inesatte” si era chiuso con Giona che, dopo aver trascorso buona parte della notte a leggere le pagine del diario dell’anatomista Balthazar Zendak, antico proprietario della casa dove ora vive insieme alla moglie Rebecca, si addormenta e al suo risveglio si ritrova davanti il fantasma della figlia di Zendak, Rachel. Nella notte vissuta a cavallo tra sogno e delirio, la spettrale bambina aveva raccomandato a Giona di proteggere tutto ciò che gli era più caro dentro una wunderkammer. Successivamente Giona aveva avuto una visione di sua moglie Rebecca seduta sul letto, con gli occhi al posto dei capezzoli, che deponeva uova e si diceva mortificata per il fatto di non poter avere figli. Quando Giona si sveglia, ha ancora il diario di Zendak davanti a sé, aperto alle pagine che riportano i dettagli dell’astruso processo di fabbricazione dell’homunculus. Nella sua testa confusa rimbomba la filastrocca cantata dalla bambina alla fine del libro precedente e il pensiero della wunderkammer si fonde con il ricordo dell’immagine raccapricciante di Rebecca. La guerra nel frattempo infuria ma, per quanto si odano in lontananza i cannoneggiamenti della contraerea insieme al rombo dei tuoni, il mare tempestoso sembra tenere il Paese delle Scienze Inesatte al riparo dal conflitto. Rebecca rimprovera Giona per aver letto il diario senza dirle nulla e, mentre lui tenta di giustificarsi, si lascia sfuggire una lacrima finché vede qualcosa che la fa trasalire: un grande specchio in fondo a un corridoio si è spostato rivelando un’apertura segreta affacciata su una scaletta ripida e pericolante che conduce fin nelle viscere della casa. I due ragazzi decidono di avventurarsi attraverso il pertugio finché scoprono un laboratorio in disuso, con al centro un tavolo destinato allo studio e alla dissezione dei cadaveri. Ma la stanza è ingombra di altre stranezze: vecchi barattoli di vetro con preparati anatomici ormai mummificati, beute e alambicchi, strumenti per la dissezione e altri sinistri marchingegni, nonché inquietanti funi e catene penzolanti dal soffitto. In fondo al laboratorio, che un tempo apparteneva evidentemente a Balthazar Zendak, c’è una porticina con su scritto: “Naturalia, Artificialia e Mirabilia”. Varcata la soglia, i ragazzi si ritrovano in un luogo ancora più straordinario. In un ambiente scavato nel profondo della roccia della scogliera e puntellato da possenti travi di quercia, privo di finestre e di qualsiasi apertura, scoprono animali impagliati, scheletri, reperti vari, oggetti complessi e singolari, reliquie, manufatti tribali e rituali, libri antichi, erbari e bestiari. È questa la famigerata wunderkammer di cui Rachel ha parlato a Giona la notte precedente e la cosa più strana è che al centro ospita un lettino circondato di vecchi balocchi. La camera delle meraviglie era stata infatti anche la camera della bambina, che in quel momento li fissa nascosta tra gli animali impagliati. Giona e Rebecca si precipitano in paese per riferire della loro scoperta all’amico Lazzaro, studioso di creature immaginarie e proprietario di una bottega di zoologia apocrifa che avevamo già incontrato nel volume precedente. Lazzaro spiega loro che cos’è una wunderkammer, mettendoli in guardia dal rischio di esserne sopraffatti. “Mi raccomando Giona, la wunderkammer non deve mai prendere il sopravvento! Non lasciate che vi trasformi in un mero strumento di raccolta!” Giona non sembra dare peso a queste parole e la sua decisione di prendersi cura della camera delle meraviglie, restaurandola e arricchendola, viene rafforzata da una nuova apparizione del piccolo spettro che peraltro lo invita a diffidare di chiunque, compresa Rebecca... continua Francesca Del Moro
vedi libro: https://www.libri.it/batata Le case perfette, quelle con le fodere sulle poltrone e le pattine di lana per non sporcare nulla sono estremamente noiose. E tristi. E fredde. Si dà il caso che Giulietta abiti con la sua mamma proprio in una di queste case, pulita e profumata di pino, dove non c’è posto per le cose rotte, sporche o sciatte. Il desiderio più grande di Giulietta è avere un cagnolino tutto per sé, che le lecchi la mano al ritorno da scuola e le salti addosso per rubarle i biscotti. Ma in una casa perfetta non c’è posto per i cani veri, perché, come Giulietta ben sa, “i cani spooorcano, rooompono le cooose e pooortano le malattieee”. La mamma glielo ripete in continuazione. E così a casa di Giulietta c’è solo una tartaruga, la Chicca, noiosa quanto una casa perfetta. Ma Giulietta non dispera e rivolge la sua richiesta ai ricchi e potenti Re Magi, che hanno sempre esaudito i suoi desideri. E allora la mamma dovrà rassegnarsi, perché non si possono disdegnare i doni dei Re Magi! Quando arriva il gran giorno, Giulietta si sveglia di buon’ora e… cosa vede di fianco alle sue scarpe? “Hai visto tesoro? Un cane, proprio come volevi tu! Se tiri qui muove la coda e le orecchie! Sei contenta?” No che non è contenta Giulietta: quel cane giocattolo è, se possibile, ancora più noioso della Chicca. Ma quindi i Re Magi si sono sbagliati? Certo che no! Quando Giulietta esce a comprare il latte, ad aspettarla c’è una cane bianco e piccino (proprio come lo voleva lei!), e le scodinzola! In preda all’esaltazione, lo porta subito dalla mamma, che ha l’aria poco convinta, ma del resto non ha il coraggio di disdegnare un dono dei Re Magi, perciò lo prende in casa e lo porta di corsa a fare un bagno come Dio comanda! Ed è così che Batata (no, Benji! no, Batata!) entra in casa di Giulietta. Ma per restarci, deve dimostrare di essere “molto ma molto ubbidiente, pulito e educato”. Tutto lavato e profumato, con un fiocco di seta sulla coda, Batata (no, Benji! no, Batata!) inizia la sua nuova vita, tra soffici tappeti e coperte a fiori. Ma il cagnolino non ha capito nulla delle istruzioni della mamma, e quando si ritrova da solo in casa combina il finimondo! Per fortuna Giulietta torna da scuola prima che arrivi la mamma, e si mette di buona lena a pulire e riordinare, e poi spiega al cucciolo come comportarsi. E Batata finalmente capisce, perché quando lo prendono in braccio e gli parlano con gentilezza è tutto più chiaro. Quando la mamma torna dal lavoro, Batata si presenta compostamente a riceverla scodinzolando. Non per vantarsi, ma un cagnolino educato come lui non si trova tutti i giorni! Pubblicata originariamente nel 1998, questa “storia per bambine e cagnolini” dell’amatissima scrittrice argentina Graciela Beatriz Cabal approda per la prima volta in Italia accompagnata dalle vivaci immagini di Giulia Pintus, giovane illustratrice freelance che ha debuttato con la tenera e malinconica storia del venditore di palloncini Attilio (#logosedizioni, 2017). Il tratto morbido, le tinte pastello e lo stile spiritoso dei disegni di Giulia regalano ai personaggi un’aria buffa che si sposa perfettamente con la scanzonata ironia del testo. Graciela Beatriz Cabal nacque nel 1939 a Buenos Aires, dove fu studentessa di Jorge Luís Borges e si laureò in Lettere. Insegnante, scrittrice, giornalista, fu autrice di libri, spettacoli per burattini e sceneggiature televisive. Lettrice accanita, dedicò buona parte della sua vita alla promozione della lettura. Dal 1993 al 1995 è stata presidentessa di ALIJA, l’Asociación de Literatura Infantil y Juvenil de la Argentina. In questa veste, coordinò numerosi laboratori e progetti a livello locale e nazionale, lavorando con maestri e bibliotecari e viaggiando per tutta l’America Latina per leggere i suoi libri e regalarli alle biblioteche. Durante la sua gestione, furono aperte ben 40 biblioteche, molte delle quali portano perciò il suo nome... continua Valentina Vignoli