Oggi una realtà aziendale per poter essere competitiva sul mercato deve essere data driven, raccogliere, monitorare, analizzare ed interpretare i dati; deve essere "open", deve essere orientata all'apertura, che crei una co-partecipazione e una co-creazione per generare idee innovative; deve essere…
Fare “acquisition” significa ottenere nuovi contatti di nuove persone, fino a qualche anno fa, nel Direct Marketing, voleva dire acquistare liste di anagrafiche da contattare, ma con l'avvento del on-line direct marketing, è diventato più rilevante conquistare utenti, nel senso che bisogna raggiungere utenti in target e profilati, che ti seguiranno nel tempo, e una volta acquisiti bisogna mantenerli.Diversa è la retention, intesa come l'attività di comunicazione verso i clienti già acquisiti.L'attenzione, quindi, si sposta dalla quantità di utenti acquisiti alla qualità di utenti acquisiti, quindi persone interessate ai nostri/prodotti o servizi, ai nostri valori condivisi, al nostro brand...
Tra le soft skills più richieste oggi c'è la capacità di risolvere i problemi.Rappresenta quel processo cognitivo che parte da un problema, e la sua analisi, per giungere alla risoluzione dello stesso.Secondo il rapporto Unioncamere del 2017, per il 49,6% delle aziende italiane il problem solving è una delle soft skills fondamentali nella fase di selezione dei candidati, insieme alla capacità comunicativa e a quella di lavorare in gruppo.Il processo prevede la definizione del problema, raccolta di tutte le informazioni, quali-quantitative, per l'analisi, la proposta di diverse soluzioni, la scelta della più impattante e sostenibile, definizione del piano di azione e attuazione.Ovviamente con l'entrata del digitale nelle nostre vite il problem solver è diventato un digital problem solver, come colui che è capace di risolvere problemi con l'ausilio di strumenti e soluzioni digitali...
Oramai la “rete” fa parte della nostra vita, tutti i giorni navighiamo online per effettuare ricerche, acquisti, condivisione, visitiamo siti, chattiamo, comunichiamo sui social network, ci informiamo…Per poter navigare e accedere a tutte le ricerche è necessario utilizzare un “navigatore”, detto browser.È un particolare programma per navigare in Internet che inoltra la richiesta di un documento alla rete e ne consente la visualizzazione una volta arrivato.Esistono diversi browser, ognuno con le proprie caratteristiche, il più usato è Google Chrome con 80% degli internauti, seguono Mozilla Firefox, MS Edge, Apple Safari e Internet Explorer.In quanto software presentano strutture con possibili entrate, in queste falle i cyber criminali sferrano i loro attacchi per estorcere informazioni o effettuare truffe...
Quanto è importante la reputazione del brand?Come gestire un danno reputazionale?Il rischio reputazionale è il rischio che un'azienda subisca un danno economico a causa della percezione negativa della sua immagine da parte dei suoi stakeholders.È normalmente considerato un rischio di secondo livello, ovvero derivato da un errore precedente, per la cui gravità o particolarità, si sfocia in una caduta di “fiducia” o “credibilità” e poiché derivante da eventi sfavorevoli riconducibili ad altre categorie di rischio, relative ad esempio all'area operativa, legale, di compliance o strategica...
Tra le tante definizioni attribuite all'IA, riporto quella del Parlamento Europeo sul proprio sito:“L'intelligenza artificiale (IA) è l'abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l'apprendimento, la pianificazione e la creatività.”Quindi è la capacità di una macchina di risolvere problemi umani, imparando.Sono sistemi capaci di adattare il loro comportamento, mettendosi in relazione con l'ambiente, analizzando gli effetti delle azioni precedenti, imparando, e lavorando in autonomia, partendo da un data set iniziale...
Per conversione si intende un'azione alla quale possiamo attribuire, anche indirettamente, un valore economico.La compilazione di un form, il rilascio di una e-mail, l'iscrizione alla newsletter, la richiesta di un preventivo, un acquisto, sono tutte conversioni, quindi anche quelle azioni che richiedono del tempo per generare valore economico.
Per social engineering si indica lo studio del comportamento delle persone con lo scopo di individuare le debolezze o punti deboli, per poterle manipolare e carpirne informazioni utili, come numero di carta di credito, di conto corrente, accesso ai social network, password, e-mail e tanto altro.Si tratta quindi di tecniche che sfruttano la psicologia umana per estorcere informazioni con cui truffare utenti o rubarne l'identità.Studi recenti hanno dimostrato come questi attacchi si stanno rivolgendo soprattutto agli utenti di smartphone, perché il principale device utilizzato oggi, perché solitamente si interagisce in modo distratto e impulsivo, ma anche perché spesso i dispositivi mobili non mostrano sempre tutte le informazioni legate ad un sito o e-mail, hanno schermi piccoli e le interazioni sono semplificate...
Google è veramente il motore di ricerca più usato dagli utenti?Come è distribuita la sua popolarità?Quali sono gli altri motori di ricerca?La risposta alla prima domanda è: sì.Google è il motore di ricerca più usato nel mondo!I dati di Statista, di giugno 2021, indicano una quota mondiale del 87,76% delle ricerche globali che passano da Google, il 5,56% da Bing, il 2,71€ da Yahoo...
Secondo l'articolo 4 del General Data Protection Regulation, o GDPR, il Data Breach, o «violazione dei dati personali», è la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati.Per le linee guida del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDBP), il Data Breach può essere catalogato in tre macro-categorie:•Confidentiality (confidenscialitì) Breach, la divulgazione di informazioni senza il consenso dell'interessato•Availability (Evelabilitì) Breach, la perdita dell'accesso ai dati•Integrity (integritì)Breach, la perdita di integrità dei datiPer citare alcuni esempi presenti sul sito del Garante della Privacy:- l'accesso o l'acquisizione dei dati da parte di terzi non autorizzati;- il furto o la perdita di dispositivi informatici contenenti dati personali;- la deliberata alterazione di dati personali;- l'impossibilità di accedere ai dati per cause accidentali o per attacchi esterni, virus, malware, ecc.; - la perdita o la distruzione di dati personali a causa di incidenti, eventi avversi, incendi o altre calamità;- la divulgazione non autorizzata dei dati personali.Per prima cosa è necessario chiarire che non è possibile evitare al 100% un Data Breach, ma è possibile attivare una serie di azioni preventive che possono limitare il rischio ed è, invece, obbligatorio attivare una serie di attività postume alla violazione per informare il Garante della Privacy.La prevenzione si basa su alcune azioni determinanti:1.Investire tempo e risorse in formazione continua e costante per gli stakeholder2.Delineare un regolamento per il rispetto delle regole del GDPR e l'utilizzo delle risorse informatiche aziendali3.Monitorare i log, ovvero verificare periodicamente l'elenco cronologico delle attività svolte da un sistema operativo, da un database o da altri programmi, per scovare le anomalie4.Monitorare anche i dispositivi finali non aziendali utilizzando dei programmi specifici5.Redigere un rapporto dettagliato su tutte le attività sospette6.Verifica periodica del rispetto dei protocolli e delle procedureInvece in caso di Data Breach è obbligatorio attivare alcune azioni:•Informare il Garante della Privacy, entro 72 ore se azienda privata (art. 33 del GDPR)•Informare il Garante della Privacy, entro 48/24 ore se azienda pubblica (art. 33 del GDPR)•Informare gli interessati dei dati personali (art. 34 GDPR), in alcuni casi specifici...
Il termine Malware deriva dall'unione delle parole MALicious softWARE, quindi programmi, molto sofisticati, creati e diffusi con intenti malevoli, con l'obiettivo la trafugazione o l'estorsione di dati sensibile per azioni criminali.Spesso al Malware viene associata l'immagine del ragazzino con la felpa e il cappuccio in testa, ma questi software sono prodotti da organizzazioni criminali molto pericolose.Tra le principali caratteristiche sicuramente emerge la capacità di diffusione incontrollata, motivo per cui abbiamo per anni chiamato questi programmi virus.Storicamente il primo Malware lo facciamo risalire ad un programma di nome Creeper datato 1971, ma non presentava caratteristiche malevoli.Nei primi anni 80' si diffondono i WORM, che come i vermi, si autoreplicano all'interno dei computer.Agli inizi del nuovo millennio si diffondono i primi virus tramite posta elettronica, software come ILOVEYOU e PIKACHU infettarono milioni di computer, mostrando al mondo la vulnerabilità della rete.Nel 2013 nasce il primo RANSOMWARE, CRIPTOLOCKER, con la capacità di criptare il computer infetto e richiedere, da parte dei cyber criminali, un riscatto per sbloccare il dispositivo con tutti i dati all'interno...
Il digitale ha cambiato il modo di intendere la formazione, oggi molto più interattiva, adeguata ai tempi, immersiva ed efficace, anche perché diluita nel tempo e accessibile facilmente.Per eLearning si intende l'apprendimento online, che grazie alle tecnologie e i nuovi studi, permette di coinvolgere lo studente in un'esperienza emozionale.Nel tempo si sono sviluppare diverse forme di eLearning:1) flipped learning o didattica capovolta, che ribalta il tradizionale metodo di insegnamento, affermando che le competenze cognitive di base dello studente, come memorizzare, ascoltare, guardare, possono essere attivate prevalentemente a casa. Invece le competenze cognitive alte, come creare, costruire, applicare, possono essere svolte in classe con gli altri studenti e un tutor a facilitare.2) Interactive learning, basato sull'interazione con lo schermo ed i contenuti eLearning, anche con il supporto di video immersivi, visori e realtà aumentata.Usata molto in attività scolastiche, si sta diffondendo sempre più anche nelle grosse realtà organizzative per la formazione del personale.Game based learning, si intende quando l'apprendimento è realizzato attraverso l'uso di giochi o videogiochi. L'uomo gioca da sempre, da piccoli impariamo giocando e per questo motivo il processo formativo risulta molto efficace, anche sorretto dalle tecnologie che supportano la creazione di ambienti simili o superiori alla realtà...
Il digitale ha permesso a chiunque di creare contenuti da condividere nei diversi canali, in diversi formati, in diversi momenti, in diversi argomenti da trattare, tutto con semplicità e immediatezza.Possono essere contenuti scritti, immagini, presentazioni, infografiche, video e audio.Con la possibilità di estendere a chiunque la possibilità di creare, lavorare e distribuire contenuti si è avuto un proliferarsi di essi ma anche una riduzione della qualità che dal livello professionale si è spostato verso il popolare.È cambiata anche l'aspettativa da parte del pubblico, che fruisce dei contenuti in tutti i momenti della giornata, ovunque, per formazione e/o informazione, per divertirsi o emozionarsi, per conoscere le persone che si seguono, per relazionarsi o semplicemente per reazione inconscia...
Universal Serial Bus, con l'acronimo USB, è uno standard di comunicazione seriale, utilizzato per l'alimentazione o la comunicazione tra periferiche del computer.Nasce nel 1995 e viene diffusa un anno dopo, nel tempo si diffonde sempre più fino a diventare il principale strumento utilizzato per comunicare tra device. Oggi è presente in tutte le auto e tutti i caricabatterie degli smartphone, anche se negli ultimissimi anni si sta espandendo il cloud che sta rubando quote.Nonostante la diffusione non tutti sanno che negli anni le chiavette USB hanno, anche, facilitato molti cyber-attacchi da parte di criminali digitali per accedere ai nostri dispositivi e trafugare o bloccare i dati all'interno...
COSA SI INTENDE PER DIGITAL MINDSET?QUANTO È IMPORTANTE?Tutti i giorni sentiamo parlare di digitale, di come stia cambiano il mondo, i processi, le opportunità, ma per poterle cogliere è necessario possedere delle competenze e capacità digitali, la mentalità deve essere predisposta al cambiamento, alla percezione umana della tecnologia, al pensiero laterale, al Digital Mindset.Il mindset rappresenta il modo di pensare e porsi verso la realtà, in un approccio dinamico composto dall'insieme delle strutture mentali che si formano tramite le esperienze e le conoscenze vivendo in un mondo digitalizzato.Presenta due aspetti contrapposti, può essere “fixed”, quindi con approccio mentale fisso, statico, non propenso al cambiamento e a sperimentare. La persona con approccio fixed pone resistenza, ha paura e non comprende del tutto le dinamiche, preferisce lo status quo e non desidera crescere e migliorarsi.Può essere “growth, con un approccio mentale flessibile e dinamico, predisposto al cambiamento, ad analizzare i dati e trarre conclusioni solo post esperimento. La persona growth non pone resistenza, anzi coglie le opportunità che gli altri non vedono, vuole migliorarsi, sperimenta, ascolta, è curiosa e sociale.Le sue componenti essenziali vanno esplorate nella direzione cognitiva e comportamentale...
Il mobile ha cambiato la nostra vita!Oggi con lo smartphone o tablet effettuiamo transazioni bancarie, ci colleghiamo con le app, navighiamo in rete e sui social network, consultiamo i nostri indirizzi e-mail, condividiamo e chattiamo, utilizziamo applicazione di navigazione e geolocalizzazione, effettuiamo acquisti, prenotiamo vacanze o accediamo ad enti, immortaliamo la nostra vita con immagini e video…tante altre cose.Ovviamente questi strumenti accumulano dati sensibili e professionali rilevanti per chi li usa, di conseguenza sono una miniera d'oro per coloro che attivano azioni fraudolente per scopo di lucro o reputazionali.Molto spesso tendiamo a dimenticarci i rischi a cui siamo esposti, proprio per il concetto di mobilità che è alla base, quindi di portarci con noi tutti i dati sensibili con i rischi connessi...
Nel corso degli anni abbiamo visto moltiplicare le applicazioni a cui effettuare l'accesso, subendo anche un moltiplicarsi di password da ricordare.Social media, banche, enti pubblici, rete aziendale, siti web, tool, sono tutti punti di accesso a servizi o profili che necessitano di password per entrarvi.Gli studi affermano che non c'è stata mai una particolare attenzione alle proprie password, ma con l'aumentare delle richieste di accesso, le persone sono ricorse ad alcuni errori comuni, come per esempio usare sempre la stessa password, oppure usare password deboli per poterle memorizzare, come per esempio il proprio nome e data di nascita, oppure la stessa password per profili personali e professionali.Il furto o la sottrazione delle password può comportare problemi molto importanti, come l'accesso al proprio conto bancario, oppure la sottrazione della propria identità digitale, la possibilità di poter accedere a tutti gli altri nostri punti di entrata o a tutti le nostre informazioni riservate.Ma i danni posso impattare anche sulla nostra vita professionale, magari con un file malevole all'interno della rete aziendale o ripercussioni reputazionali a causa della violazione dell'identità digitale.Bisogna fare molta attenzione e applicare alcune semplici regole...
Oramai si sa, molte sono le opportunità e le sfide che offre il digitale, e per le aziende è diventato necessario evolvere la propria realtà organizzativa con nuove idee, nuovi processi, nuova mentalità e di conseguenza nuove posizioni lavorative.Per questo motivo molte sono le professioni che stanno ricoprendo ruoli strategici in questa direzione.In questo podcast sentiamo quali sono i principali...
Come gestisci il tuo tempo?Con il sovraccarico informazionale e il moltiplicarsi delle discipline professionali, la gestione del tempo è diventata una competenza fondamentaleIl tempo è una risorsa democratica, è uguale per tutti, e come lo impieghiamo determina il successo delle nostre azioni, tanto nella vita privata quanto in quella professionale.Bisogna imparare a distinguere le azioni importanti, urgenti e quelle prioritarie.•Urgenza; riguarda una variabile oggettiva in quanto determinata dal tempo. Sono quelle azioni che richiedono un intervento a brevissima scadenza oppure che richiedono attenzione immediata.In questo caso bisogna avere ben presente il tempo a disposizione e bisogna conoscere le scadenze per poter programmare con efficienza.•Importanti; sono quelle attività che aggiungono valore al tuo lavoro, sono fondamentali. Importante è un concetto soggettivo, in quanto quello che può essere importante per te può non esserlo per altri, in più ciò che è importante oggi può non esserlo domani.•Prioritarie; sono quelle azioni che risultano sia urgenti che importanti. Quindi che sono rilevanti e fondamentali per il lavoro e che hanno scadenza breve per portarle in esecuzione, quello che viene prima in una graduatoria temporale.Solitamente in azienda esistono obiettivi determinanti, che devono essere raggiunti entro una data prefissata, obiettivi auspicabili, che possono essere raggiunti ma si possono modificare nel tempo e nel contenuto, e obiettivi importanti, che è opportuno raggiungere.Per determinare se le azioni da mettere in campo sono prioritarie, importanti o urgenti ci viene in sostegno la Matrice di Eisenhower, usata per definire le operazioni per lo sbarco in Normandia.
Oramai molti studi dimostrano che l’uso e l’abuso della rete sta comportando dipendenze simili a quelle più comunemente riconosciute all‘alcool, al tabagismo, alla tossicodipendenza, al gioco d’azzardo, al sesso e al cibo.È una dipendenza che sta avvolgendo soprattutto i giovani e presenta problemi quali:1.Bisogno di trascorrere sempre più tempo in rete2.Sviluppo di patologie come agitazione, ansia e depressione con la diminuzione o sospensione del tempo dedicato ad internet3.Necessità di trascorrere in rete più tempo di quello preventivato4.Impossibilità di interrompere la navigazione on-line5.Continuare ad usare internet nonostante la consapevolezza dei danni psico-fisici6.Dispendio di molto tempo sulle attività in reteViene comunemente chiamata “Internet Addiction Disorder”, termine che ci ha offerto lo psichiatra americano Ivan Goldberg, intesa come la sindrome che identifica l’eccessivo e smodato utilizzo del web; appunto “Disturbo da dipendenza da Internet”.
Il 23 ottobre 2019 sul blog della rivista “Nature.com” Google dichiara di aver raggiungo la “supremazia quantistica” con un test effettuato su un processore quantistico di 53 qbit e di essere riuscito ad effettuare in 3 minuti e 20 secondi un calcolo estremamente complesso che il computer Ibm (tradizionale) più potente al mondo avrebbe impiegato 10.000 anni.Ovviamente nessun computer potrebbe sfatare questa tesi, ma gli studi e le applicazioni sui computer quantistici sono da anni all’attenzione del mondo.Il primo a parlare di Quantum Computing fu Paul Benioff, i primi anni 80’, con la macchina di Turing quantistica, che ha trovato maggiori studi negli anni a seguire con diversi accademici che hanno iniziato ad osservare l’applicazione della meccanica quantistica nel computing.Ma negli ultimi anni l’attenzione delle principali aziende di settore, e non solo, si è moltiplicato puntando molto su questa tecnologia che potrebbe cambiare l’uso dei calcolatori.Cosa differenzia il Quantum Computing dai computer tradizionali?
La SEM, Search Engine Marketing, sono quelle attività che hanno come obiettivo l’acquisizione di traffico e visibilità sui motori di ricerca. Si dividono in:•SEO, Search Engine Optimization, che si basa su attività volte ad attivare visibilità naturale o detta organica.•SEA, Search Engine Advertising, che si basa su attività a pagamento, quindi annunci sponsorizzati.La attività di Seo si dividono in:•On-site, che riguardano l’architettura, la struttura e la semantica del sito, che comporta un avanzamento in SERP. Tra le attività principali ci sono la scelta delle keyword, la descrizione a il “tag alt” alle immagini, la creazione dell’architettura e della site-map, la valutazione dei codici e dei titoli, la creazione di contenuti fruibili per l’utente e utili per il posizionamento organico. In questo caso si svolge un’attività di Seo Audit, di scansione del sito e individuazione delle criticità, per poi andare successivamente ad intervenire per migliorare il posizionamento.•Off-site, che riguardano attività di link building, quindi la presenza di link esterni autorevoli che rendono autorevole il nostro sito, e attività di Social Media Management, blogging e Guest Posting. Quindi la creazione di contenuti e attività esterne al sito che portano traffico e indicizzazione.La attività di SEA si basano sulla scelta e acquisto di parole chiave che possono individuare le ricerche degli utenti, e creazione di annunci a pagamento basato sul criterio del “Pay per click”, quindi basata sul pagamento solo quando l’utente clicca sul link. Uno dei principali Kpi da monitorare è il CTR, Click Through Rate, che rappresenta il rapporto tra click e impression. L’acquisto si basa sul processo ad asta.
Oggi la maggior parte delle comunicazioni passano dall’e-mail che in molti casi sono contenitori di informazioni sensibili che rivestono un particolare valore per l’individuo, l’organizzazione e la comunità.Le e-mail sono diventate nel tempo il principale mezzo usato tra truffatori e criminali, che effettuano la maggior parte delle loro azioni fraudolente tramite la modalità di Phishing.La parola Phishing deriva dall’unione delle parole Phreaking, con cui si sono indicate le prime truffe tecnologiche, e fishing che vuol dire andare a pasca.Quindi creare truffe tecnologiche lanciando un’esca, come nella pesca, per conquistare un premio grazie all’inganno.I Phisher inviano una e-mail, un messaggio in chat, un messaggio sullo smartphone, e cos’ via, con un contenuto ingannevole e invitano il destinatario a compiere un’azione generando in lui la possibilità di avere un vantaggio o superare una situazione spiacevole.La possibilità di successo del cyber attacco dipende dalla consapevolezza della vittima del possibile attacco e dalla sua capacità di individuare l’inganno.
Per “singolarità tecnologica” si intende quel momento di uno sviluppo di una civiltà in cui il processo tecnologico accelera tanto da superare la capacità di comprensione dell’essere umano.”Praticamente quel momento in cui l’Intelligenza Artificiale sarà superiore a quella dell’uomo.Bisogna domandarsi: come e quanto possiamo fidarci delle macchine? Come e quanto possiamo relazionarci con loro? Quali obblighi abbiamo nei loro confronti?Stiamo parlando di Etica Digitale!
Il 17 dicembre 2000 un sito andò online, bonsaikitten.com; questo sito divenuto subito virale nell'ambiente online perché forniva le istruzioni, per poter crescere un gatto in versione bonsai, quindi come gli alberi potevi cresce un mini gatto da poter tenere dentro casa. Molte testate giornalistiche commentarono criticando il sito perché trasmetteva crudeltà, anche in Italia testate come La Repubblica o il Manifesto scrissero degli articoli sulla questione. Solo un anno dopo con l'intervento dell’FBI che fece delle indagini e riuscirono a risalire al server che era basato al Massachusetts Institute of Technology dove un gruppo di studenti aveva deciso di creare questa bufala. Uno scherzo in maniera ironica non potendo immaginare l'impatto. Questa è stata una delle prime Fake a livello online che si sono diffuse basandosi su un concetto eticamente scorretto.Una fake news è un'informazione non veritiera che circola a macchia d'olio grazie alla circolarità sui social network, ma anche su altri canali online, che ha l'obiettivo di creare notizie false di divulgazione per poter creare delle contestazioni o attaccare un politico o attaccare determinati valori di enti e organizzazioni. Una seconda forma di fake è il click bait. Questa è una pratica secondo il quale scrivendo dei titoli accattivanti che evocano nelle persone la voglia di voler verificare di voler constatare l'articolo, si clicca su quel link per poter atterrare su siti di acquisto o su altri siti un po' farlocchi con l’intento la tentata vendita.C'è anche la vendita on line su siti falsi e anche in questo caso i rischi sono notevoli e quindi conviene andare a verificare sempre a quale sito ci si sta riferendo per l'acquisto. Prima di poter condividere un'informazione, prima di dover prendere per vera un'informazione, bisogna mettere a terra una serie di attività per poter verificare l'originalità, la veridicità quel contenuto che stiamo andando a leggere o a condividere. Esistono una serie di accortezze e di regole che conviene seguire prima di far proprio un contenuto online, perché in effetti online è molto facile creare delle fake news. Esiste una “fact checking”, un controllo dei fatti, da mettere a terra per poter constatare la veridicità di quel contenuto. •Prima di tutto verificare la fonte e quindi verificare chi ha scritto quel contenuto. Cercare, se ci sono, i link per risalire al contenuto. •Dubitare, appunto, dei click-bait, quindi quei titoli accattivanti che possono indurre a cliccare per curiosità, e quindi verificare sempre la tracciabilità del post. •Verificare l'indirizzo web, alcune volte si clonano domini importanti per far atterrare le persone su pagine dove noi vogliamo. Basta che si cambi qualche lettera, quindi fare attenzione e leggere URL.•Verificare la geolocalizzazione perché alcune volte molti contenuti, soprattutto sui social, hanno un posizionamento. Quindi basta cliccare su Google Map e andare a controllare dove quell'evento è dichiarato. •In ultimo verificare l'attendibilità sui profili social, che per esempio per personaggi noti sono segnalati e hanno una spunta blu. Le fake-news si diffondono con un processo di circolarità delle informazioni quindi una fonte lancia un contenuto fake e piano piano si diffonde; è difficile risalire all'autore, motivo per cui si prende per vero quel tipo di informazione.Un po' come è capitato a La Repubblica o a Il Manifesto proprio nel caso sopra-descritto, il miglior consiglio è fare attenzione alle informazioni che leggiamo, che condividiamo, e cerchiamo sempre di arrivare alla fonte. Per quanto difficile cerchiamo sempre di verificare appunto il dominio e a quali siti fanno riferimento e cercare anche di comprendere perché quel contenuto può essere stato creato e perché lo dovresti prendere per buono. Esistono anche dei siti che permettono di fare le verifiche sulle fake, per esempio sulle immagini, per capire l'immagine inversa quindi per capire dove quell'immagine è stata già utilizzata o diffusa, se sono state ritoccate.Esistono diversi tool tra cui Google Immagini che è abbastanza semplice utilizzare o TinEye o Yandex oppure siti che ci permettono di capire se ci sono delle manipolazioni sui video o sulle immagini, come Fotoforensics o InVide Browser Plug-in oppure siti che raccolgono, verificano e archiviano Fake News e che possiamo andare a verificare in qualsiasi momento e interpretarle per constatare se le informazioni sono veritiere come per esempio Bufale.net o attivissimo.net. In conclusione nel mondo online l'ecosistema Digital è molto complesso. Tutti possiamo intervenire, basta pensare a Wikipedia che fondamentalmente enciclopedia creata dagli utenti, in cui è molto facile trovare anche informazioni che non sono veritiere per scopi personali, per scopi aziendali o di qualcuno che ci vuole portare verso una cattiva informazione. Allora verificate sempre l'informazione, utilizzati tutti gli strumenti a disposizione perché prima di condividere una bufala e renderla una bufala al quadrato conviene fare molta, molta, molta attenzione.
Jim Lecinski nel 2011 coniò il termine di Zero Moment of Truth. Quindi il momento zero prima dell'acquisto, prima della vendita. È quel momento in cui si raccolgono tutte le informazioni on line, ovviamente la democratizzazione dell'informazione ha permesso questo, prima di effettuare un acquisto; quindi è una raccolta, una comparazione e una condivisione dei valori del servizio, del prodotto, del brand, prima di decidere se diventare un acquirente.Ha avuto diverse declinazioni perché da Zero Moment Of Truth si passa al First Moment of Truth, il primo momento della verità, quando si va a fare una comparazione nello store, per esempio. Cerco un advertising di un'azienda, mi interessa quel prodotto e inizio a raccogliere tutte le informazioni. Vado nello store, faccio una comparazione, lo guardo, lo osservo e decido se il prodotto, servizio, mi piace. A quel punto si passa nel Second Moment of Truth, faccio l'esperienza, che sia magari un'esperienza di prova o che sia proprio un acquisto o post acquisto. Vivo l'esperienza e i valori del brand cerco di capire se quel prodotto soddisfa le mie aspettative e quindi si passa nel terzo momento della verità anche definito Ultimo momento della verità, perché in effetti l'ultimo ma è intercambiabile con il primo perché è la parte del fan che riattiva il ciclo, che riporta tutto su, quindi è quella fase in cui l'utente condivide, racconta la propria esperienza e può diventare un ambassador o un fan o addirittura un qualcuno che invece parla male, quindi un hater, qualcuno che ha avuto una brutta esperienza e parla male dell'esperienza avuta con il brand. Questo ovviamente a percussioni sulla reputazione non indifferenti, bisogna considerare tutto il viaggio dell'utente, tutto il viaggio del consumatore, in tutte queste fasi e creare una comunicazione che sia omni-canale, che sia multicanale, che abbia diversi punti di contatto e che sia una comunicazione aperta uno a molti ma anche molti a uno, che sia dotata di consapevolezza e di ascolto, di problem solving e di capacità di doversi adattare e offrire la migliore esperienza possibile al nostro utente, al nostro consumatore. Nella comunicazione online. Tutto questo si tramuta in un processo, in un viaggio, fatto di 5 keyword: Know, Like, Trust, Sell e Love. Know: mi faccio conoscere, attivo una serie di processi e di attività che mi portano a diventare noto. Quindi la famosa fase awareness. Like: quindi metto in campo una serie di strumenti e di contenuti che portano ad essere piaciuti, a farsi piacere. In questa fase c'è anche la coerenza e l'ordine che si mantiene a livello di punti di contatto; se vengo sul sito deve piacermi, come la tua pagina Facebook deve piacermi o come la company page LinkedIn.Trust: è la fiducia su quel brand e su quello che il brand comunica, su quello che il brand mi trasmette. È una fase molto importante che può portare alla conversione.Sell: la vendita arriva solo dopo il passaggio precedente, online non puoi pensare di farti conoscere e vendere ma devi passare sicuramente da tutte queste fasi perché ci sia fiducia e il consumatore, l'utente, scelga te. Love: in cui il tuo utente o consumatore, si innamora di te, ovviamente si innamora è un concetto abbastanza esteso, a tal punto da diventare un fan e quindi consigliare agli amici, il famoso passaparola, condividendo i valori del brand, che attiveranno questo processo ripartendo dalla notorietà. Quindi io parlo a qualcuno del brand e diventa noto per qualcun altro. Non possiamo pensare di saltare qualche fase, strategico e tattico, di questo processo perché tutti noi consumatori viviamo questo viaggio e tutti noi consumatori vogliamo avere queste informazioni prima di decidere se fare le nostre esperienze d’acquisto e successivamente se condividerla, farla nostra, diventare Ambassador e parlar bene.Quindi un passaparola che abbia dei risultati in termini di “valore” importanti per il brand.
Alex Wipperfurth, nel suo libro “Marketing Without Marketing”, definisce la brand anarchia come: “la perdita di potere e controllo da parte dell’azienda sul proprio brand, generata da consumatori-utenti per trasformare e comunicare una diversa personalità, valori e posizionamento sul mercato della marca”.Può avvenire sia off che on-line, ma ha trovato il suo massimo sviluppo con i social media, come principale strumento di viralità.Oggi le aziende devo essere vicine al proprio utente, consumatore, trasmettendo i propri valori, la vision e la mission, facendo sempre molta attenzione alla reputazione on-line.Questo rapporto di condivisione, apertura, co-creazione e co-partecipazione può comportare effetti devastanti sulla propria reputazione, in molti casi ha anche ripercussioni economiche importanti, se non gestita con cura.Infatti oggi è possibile prendere il messaggio del brand e modificarlo per gestire il controllo della notorietà, dei valori e del posizionamento del brand stesso.I brand hijackers possono essere singoli individui o community, e le motivazioni principali che possono spingerli a creare anarchia della marca possono essere per insoddisfazione o attività commerciale verso il brand, per autoaffermazione o visibilità, per gioco o appartenenza.In pratica consiste nella manipolazione, o trasformazione, di un messaggio visivo, soprattutto video, informativo, svelando retroscena, o addirittura d’uso della notorietà del brand per ragioni egoistiche o ostili.Alcune volte può sfociare nel furto di identità digitale, e questo può generare ripercussioni impattanti per la marca.I Social network sono generatori e acceleratori di positività e negatività. Proprio per questo le aziende dovrebbero quanto più rafforzare la propria comunità di fan, al fine di potersi difendere al meglio in caso di attacchi. Spesso si tende a sottovalutare il potere e il valore della Brand Anarchia, al contrario bisognerebbe studiarne il fenomeno con attenzione, perché i prodotti della Brand Anarchia hanno spesso successo, soprattutto quando sono ben fatti, creativi e intelligenti!Come possiamo evitarlo, o almeno arginarlo?•Con la registrazione dei marchi o delle pagine social.•Con attività di buzz monitoring.•Azione legale contro coloro che sono ritenuti responsabili dell'infrazione.Tra i casi più celebri presento quello del marzo 2010 creato dagli attivisti di Greenpeace nei confronti di Nestlé, nello specifico di KitKat.In questo caso è stata riprodotto un video parodia della pubblicità della KitKat, "Take a Break", in cui il protagonista apre una confezione e morde un pezzo a forma di dito di orango.Per effetto del morso esce sangue dal dito che schizza sulla tastiera.Un messaggio molto impattante, a denuncia dell'uso dell'olio di palma da parte della multinazionale legate da operazioni insostenibili in Indonesia, comportando disboscamenti importanti, e il conseguente impatto sugli habitat degli oranghi.Successivamente è stata presa d’assalto, dagli attivisti, la sede centrale della Nestlé nel Regno Unito, creando molto rumore.Il video è diventato virale, costringendo, in errore, l’azienda a rimuoverlo da YouTube.Greenpeace ha subito ripubblicato il video su Vimeo e successivamente sul suo sito, generando un effetto Streisand, producendo quindi una reazione negativa nel pubblico, che non ha tollerato il tentativo di nascondere la “prova”.Il fenomeno va studiato, analizzato e preventivamente circoscritto se non si vogliono avere ripercussioni molto importanti, ricordando sempre che monitorare la propria attività on-line è fondamentale.
Il personal branding è l’insieme delle strategie che possono aiutare a promuovere sé stessi, le proprie competenze, capacità ed esperienze.Sempre più importanti sono diventate le tecniche di marketing per poter sviluppare una comunicazione coerente ed efficace che rispecchi la nostra professionalità, ma anche la nostra persona.Ovviamente porta con sé dei rischi, in quanto i contenuti che diffondiamo sul web potrebbero generare reazioni negative da parte del nostro pubblico, attivando, in molti casi, impatti significativi sulla propria vita.Motivo per cui bisogna essere sempre consapevoli di ciò che decidiamo di diffondere, domandandoci sempre se questo contenuto è aderente all’immagine che vogliamo offrire al nostro datore di lavoro, alla nostra famiglia, ai nostri amici, ai possibili recruiter che cercano talenti.I contenuti che postiamo possono prendere direzioni inaspettate, e seppur non volendolo, possiamo involontariamente generare problemi a noi stessi o agli altri.Quindi prima di premere il tasto “pubblica” pensa, fatti delle domande, qualsiasi sia il contenuto, un video, un post o un commento.Quindi cura la tua reputazione, monitora quello che pubblichi, quello che dicono di te, rispondi sempre e considerando che dall’altra parte c’è un individuo, valuta cosa postare e sii consapevole.I social media acquisiscono importanza quando un’azienda e/o una persona intendono rivolgersi al mercato di massa, usandoli come occasione di visibilità per la propria attività.Possiamo definire i Social Network tutte quelle tecnologie che permettono agli utenti di creare reti sociali virtuali, nelle quali possono creare, scambiare e condividere contenuti di testo, immagini, video e audio.Nel tempo sempre più persone sono passate da essere semplici fruitori passivi di contenuti in creatori di contenuti, generando molta concorrenza, limitando, o rendendo più difficile, la possibilità di emergere.Chris Anderson afferma che “il mercato di massa si è trasformato in una massa di mercati”. Cosa fare allora?Racconta, con lo storytelling, il tuo lavoro, le tue esperienze professionali, il tuo sapere, il tuo vissuto, tenendo presente del pubblico a cui ti rivolgi, della piattaforma che utilizzi, le tono di voce che vuoi usare.Comportati come nella vita off-line, ragiona prima di agire e considera le dinamiche relazionali.Valuta le norme di privacy prima di postare, assicurati di non ledere l’immagine di nessuno e che puoi divulgare i contenuti.Impara e applica la netiquette, che sono regole che prescrivono il comportamento di un utente sul web nel rapportarsi con gli altri utenti.Definite anche le “regole d’oro del galateo su internet” sono:1. Scrivi correttamente: attento ad ortografia e punteggiatura. 2. Attento alle lettere MAIUSCOLE: su web, equivalgono ad URLARE. 3. Non pubblicare informazioni personali o foto imbarazzanti di altri. 4. Se pubblichi testi, foto o video provenienti da altri siti web, cita la fonte. 5. Quando commenti un post, non attaccare l’autore a livello personale. Rispetta i valori, il credo e i sentimenti degli altri. 6. Se entri in una discussione attieniti all’argomento trattato e cerca di contribuire dando un valore aggiunto. 7. Non invitare tutti i tuoi contatti a giochi o pagine. Seleziona quelli che potrebbero essere realmente interessati. 8. Ricorda che l’uso di termini denigratori o di parole d’odio e pregiudizio razziale, religioso o sessuale, sono punibili per legge.
Il Growth Hacking è l’insieme di tattiche e tecniche innovative che utilizzano pochissime risorse al fine di riuscire a far crescere rapidamente una base di utenti che, in breve tempo, generi ritorni economici significativi.In questo caso il termine “Hacker” non è inteso nel senso comune, di pirata informatico per intenderci, ma nel senso di creativo, fuori dagli schemi.Diventa fondamentale imparare a vedere le cose da diverse angolazioni per trovare la leva che messa a terra permetta di generare crescita e scalabilità in breve tempo.Spesso viene associato al marketing, anche se non convenzionale, ma in realtà può toccare qualsiasi punto dell’organizzazione aziendale, processi, prodotti, sistemi interni, comunicazione e valori.Fondamentalmente consiste nel creare un team “agile”, tra 3 e 9 persone, con competenze sia multidisciplinari che verticali, sia tecniche che umanistiche.Non è un caso raro trovare un antropologo o psicologo nel team che collabora con web design, social media manager, copywriter e così via.Nel Growth Hacking le persone sono al centro!Il processo si basa su altri modelli circolari già noti, come Lean o Scrum, e si divide in 4 fasi:•Analisi: raccolta, archiviazione e normalizzazione dei dati.•Ideazione: creazione di idee e sviluppo del pensiero laterale.•Prioritizzazione: scegliere l’idea più impattante e sostenibile.•Esecuzione: mettere a terra l’idea, da scalare successivamente.Il processo dopo l’esecuzione si riattiva partendo dall’analisi.Si organizzano degli “sprint”, time-box fissi e ripetibili solitamente di 1 o 2 settimane, in cui si analizzano i risultati ottenuti dalle task precedenti e si riattivano task da portare a termine prima del prossimo sprint.La parte di analisi si basa sul Funnel dei Pirati (AAARRR), che permette di valutare ogni fase del viaggio dell’utente, definendo anche le singole metriche da misurare e analizzare, per trovare il problema e la soluzione.Le fasi del funnel sono:•Awareness; l’utente ci scopre•Acquisition; acquisiamo l’utente•Activation; l’utente si attiva•Retention; l’utente torna•Revenue; l’utente paga•Referral; l’utente porta altri utentiNella fase di ideazione delle idee molti sono gli strumenti che si utilizzano, ma sicuramente il brainstorming è la più utilizzata ed efficace.Passando alla prioritizzazione è importante coinvolgere tutto il team spingendoli a votare le idee in base all’impatto sui processi e la facilità di esecuzione.Ed in ultimo si utilizzano tutti gli strumenti, digitali e non, per poter prototipare la soluzione e testarla su un piccolo campione.Si riattiva la fase di analisi e raccolta di dati fino alla scalabilità della soluzione.Questa metodologia è nata il 26 luglio del 2010 grazie a Sean Ellis, imprenditore e angelo investitore di StartUp, quando dichiarò in un post del suo blog il Growth Hacking.Alcune strategie utilizzate dal Growth Hacking sono:•Viral Acquisition, facendo parlare e condividere gli utenti le caratteristiche del prodotto.•Paid Acquisition, con attività di advertising per aumentare la visibilità del prodotto.•Content Marketing, creare contenuti innovativi, come notizie e video, che si autoalimentino tramite le condivisioni sui social network•Email Marketing, attività di rapporto e nutrimento continuo con gli utenti•A/B Testing (Split Testing), mettere a confronto più prototipi per determinare quale impatta di più•SEO, ottimizzare il sito per ottenere più utenti.Tra i casi più noti di aziende che sono cresciute in maniera esponenziale in poco tempo c’è Dropbox, Airbnb e Udemy.
Oggi l’ambiente del business è molto più turbolento, con cambiamenti repentini, molto complesso e di difficile adattamento, diventa necessario attivare la “creatività operativa”, nelle organizzazioni, che permetta di identificare, analizzare le situazioni e generare idee creative che prioritizzate permettano di portare soluzioni di crescita e sostenibilità.Il processo di soluzione dei problemi prevede 5 fasi:•Problem finding; la ricerca del problema•Problem setting; definizione del problema stesso.•Problem solving; la produzione delle alternative per risolvere il problema (qui c’è la fase creativa).•Decision taking; presa della decisione (che diventa si/no)•Decision making; eseguire la soluzione scelta.La creatività operativa si basa sul know how, sulle competenze, sulla conoscenza, sull’intelligenza, intesa come la capacità di collegare elementi indipendenti della nostra conoscenza per poter trovare una soluzione, sulla capacità di fare una buona analisi, saper approfondire per arrivare al problema, e sulla pressione delle scadenze, se abbiamo tempo tendiamo a non prendere una decisione creativa. Le due strade percorribili, per risolvere i problemi con creatività operativa, sono quantitative e qualitative.Le quantitative passano dal di + al di -, fare più fatturato, prendere più clienti…fare più cose.Oppure impiegare meno tempo, meno risorse.Le qualitative passano dal nuovo e diverso, è richiede anche la capacità di saper copiare da un competitor, o un settore affine ma differente, per creare qualcosa di nuovo.Le fasi del processo creativo si possono sintetizzare in:✔ Analisi; quindi la capacità di “sollevare la trama”, capire cosa c’è sotto.✔ Diagnosi; “conoscere attraverso il fatti”, apprendere dalla realtà.✔ Sintesi; “riunire insieme” tutte queste informazioni per arrivare ad una soluzione.In conclusione possiamo dire che per la creatività operativa bisogna imparare ad immaginare, a saper giocare con le idee, questo aggiunge sicuramente molto alle nostre conoscenze, bisogna considerare che il processo creativo si sviluppa nel momento della definizione del problema, e infine che un’idea per essere creativa deve essere applicabile.
Consapevolezza deriva dal con-sapevole, che è un etimo di sapere; quindi sapere con cognizione, con etica, con comportamento, con lucidità, con razionalità, coscienza.Dipende dal tronco encefalico. Quindi le neuroscienze definiscono che c'è una parte del nostro cervello che tocca quest'aria, quest'argomento. La consapevolezza è molto importante. Qualche giorno fa ho pubblicato un post su LinkedIn in cui parlavo di coerenza comunicativa sui vari canali, sui vari social, sulle varie piattaforme e da molti commenti sono emerse delle analisi che mi hanno fatto molto pensare. Alcune persone mi hanno scritto che sono su Facebook come se fossero con gli amici o in mezzo agli ex-compagni di classe e fanno quello che vogliono. Non è così. Ci vuole consapevolezza perché Facebook è una piattaforma globale, che ci ospita, è una piattaforma che ha delle regole, policy e governance proprie ed è un'azienda multimilionaria che ha come unico scopo quello di tenerti all'interno della piattaforma con tutti gli strumenti a sua disposizione, psicologici ma anche di intrattenimento, e quindi poter avere l'attenzione delle persone. Ci vuole consapevolezza dell'habitat. Devi ricordarti che sei ospite di una piattaforma di cui non gestisci nulla, se non quello che tu decidi di divulgare in maniera pubblica. Ma questa tua divulgazione, questo tuo contenuto, può raggiungere delle direzioni e velocità tali, anche una dimensione tale, che tu non puoi preventivate. Quindi ci vuole comunque consapevolezza, bisogna essere consapevoli dell'habitat in cui si è. Bisogna essere consapevoli del fatto che non sei tu a decidere le regole ma magari un algoritmo o chi per lui. Poi ci vuole la consapevolezza dell'audience. Hai mai pensato al tuo target? Hai mai pensato a come rivolgerti? Con quale tono di voce? Sei online, non ti sta rivolgendo ad un piccolo pubblico, ma ti stai rivolgendo ad un pubblico potenziale, un pubblico enorme, qualunque sia il tuo obiettivo. Bisogna essere consapevoli a chi si sta parlando, cosa vuole sentire e in che formato, dove e perché deve ascoltare te. Quindi fatti queste domande, fatti le domande di chi è il tuo target, la tua audience e cerca di lavorarci con consapevolezza. Ci vuole consapevolezza comunicativa; sei consapevole di quale tono di voce utilizzare? Se è consapevole che ciò che comunichi può avere un impatto su chiunque a livello globale? Sei consapevole di come ti devi rivolgere? Quali sono i comportamenti di netiquette? Qual è il tuo modo di comunicare, il tuo modo di esprimersi e come dovresti esprimersi?Queste domande sulla consapevolezza sono molto importanti nel poter avere una vita online sana, pura e utile. In ultimo ci vuole consapevolezza di sé stessi. Se non sei consapevole di te stesso è molto difficile che tu sia consapevole di tutto il resto. Devi imparare a conoscerti, è un processo faticoso, un processo in molte situazioni anche doloroso, perché e un processo maieutico, è un processo che devi fare su te stesso, senza avere troppi termini di paragone, ma molto introspettivo e alcune volte richiede molto tempo. Quando comunichi online ciò che sei appare, quindi nel tempo può essere qualcosa che ti si ritorce contro. Quindi in sostanza ci vuole consapevolezza tenendo presente sempre questi quattro livelli.
Più il contesto è Volatile, Incerto, Compresso e Ambiguo, maggiore è la necessità per le organizzazioni di avere nell’organico persone responsabili, e maggiore è la necessità di avere leader responsabili e che sappiano educare alla responsabilità.Il problema con la responsabilità è che non si può dare, si può solo assumere.La responsabilità è legata al modo di vivere delle persone più in generale che inteso solo in senso lavorativo.Il termine responsabilità deriva dal latino respònsus, cioè impegnarsi a rispondere, a qualcuno o a sé stessi, delle proprie azioni e delle conseguenze che ne derivano.Quindi basata sulla risposta che siamo in grado di dare ad un evento.Gli atteggiamenti possibili sono due: le vittime delle circostanze e padroni del proprio destino.L’atteggiamento vittimistico è di coloro che si domandano “come mai” mi trovo in questa situazione?È l’atteggiamento di chi esternalizza la responsabilità agli altri, che accusa la qualità del prodotto che non vende, o che afferma che l’interlocutore non capisce quando non comprende il suo messaggio.L’atteggiamento di padronanza del proprio destino invece è di coloro che non pone molta attenzione sulle circostanze ma quanto sulla sua capacità di risposta a quella determinata situazione.Quindi cosa posso fare io per vendere il prodotto? Cosa posso fare io affinché l’interlocutore mi comprenda? Non sono io responsabile se il prodotto è buono o no, ma sono responsabile del mio modo di presentarlo. Sono responsabile di come faccio giungere comprensibile il mio messaggio all’interlocutore.Un atteggiamento responsabile, quindi, è quello di chi si concentra sulle risposte possibili per noi adesso.In un mondo, e mercato, Volatile, Incerto, Compresso e Ambiguo una delle priorità delle aziende oggi è di riempirsi in organico di persone che si domandano “cosa posso fare io adesso?” per rispondere ai problemi e agli eventi assumendosi la responsabilità, anche di sbagliare.I manager posso essere vittime o padroni del proprio destino; un manager vittima attribuirà al team la responsabilità sulle performance, un manager padrone si domanda come può rispondere al problema ponendosi come obiettivo di rieducare i propri collaboratori.
L’efficacia operativa di un collaboratore è il rapporto tra produttività e capacità operativa, importante è definire se si sta investendo quindi in risultati di breve periodo senza intaccare la capacità di esserlo di lungo periodo.Praticamente senza spremere il limone.Per capacità produttiva si intende l’allenamento che consente ad un collaboratore di adeguare nel tempo il proprio profilo di competenza.L’obiettivo del coaching è duplice:•Aiutare le persone affidate ad interpretare in modo adeguato, pieno e attivo il ruolo attuale (il noto empowerment).•Favorire la consapevolezza, nelle persone affidate, delle potenzialità personali nei confronti dell’assunzione di ruoli diversi dall’attuale.All’interno delle organizzazioni esistono diversi livelli di apprendimento:•Conoscenze, per lo più tecniche. L’apprendimento avviene tramite studio e formazione.•Abilità, saper fare qualcosa. L’apprendimento avviene tramite l’affiancamento e l’allenamento, occorre fare e provare per apprendere le abilità.•Atteggiamenti e comportamenti che avviene tramite discussioni aperte e autoriflessione.Cosa deve fare un capo se vuole fare coaching ai suoi collaboratori?Prima di tutto deve valutare le competenze dei collaboratori che vuole sviluppare, definire le aree di miglioramento e i punti di forza.Costruire un rapporto di fiducia; senza una relazione di partnership, di stima e fiducia è molto difficile che avvenga una crescita personale e professionale. Il coach deve essere aperto, empatico, disponibile, sincero e trasparente.Accrescere motivazione e impegno, il compito del coach deve far nascere nel collaboratore la voglia e il bisogno di crescere professionalmente. Per l’attività di coaching la motivazione a crescere è fondamentale.Dopo aver creato un rapporto di fiducia e generato voglia di crescere si passa nella fase dello sviluppo delle capacità e competenze che nel tempo attivino anche capacità di autoapprendimento. Lo sviluppo delle capacità e competenze avviene in 4 fasi:•Dimostrativa, è la fase inziale in cui il collaboratore osserva il capo che svolge quella determinata azione. È molto importante mostrare prima perché il collaboratore può imparare guardando anche particolari che per il capo sono scontati. Il collaboratore potrà fare tutte le domande che vuole.•Esplicativa, in questa fase il capo spiega, dopo aver fatto osservare, tutti i passaggi per fare una determinata azione, permettendo anche al collaboratore di fare. Ovviamente il capo dovrà intervenire nei momenti di difficoltà.•Attuativa, il collaboratore fa da solo, il capo spiega solo se necessario.•Autonoma, il collaboratore fa da solo e si assume la piena responsabilità, il capo informa chi è coinvolto.Molto importante è anche definire quali sono gli stili di leadership e in quali casi usarli.Possiamo classificare i collaboratori in base a due variabili: competenze tecniche possedute, alte o basse, e il livello di commitment, quindi la motivazione, che può essere alta o bassa.Nel caso di elevate motivazioni e competenze tecniche l’unico stile è delegare. La persona è pronta e va responsabilizzata.Nel caso di basse competenze ma alto commitment lo stile migliore è quello direttivo, in questo caso l’obiettivo è accrescere le competenze del collaboratore, insegnarli un mestiere.Se un collaboratore ha elevate competenze ma basse motivazioni, lo stile migliore è quello supportivo. Il capo può provare a coinvolgerlo in compiti di maggiore complessità, ascoltandolo e supportandolo nel tempo.Nel caso di basse motivazioni e basse competenze tecniche è valida la soluzione composta sia dallo stile direttivo che supportivo, ma forse è il caso di valutare se ne vale la pena.Oggi, più che mai, un manager ha l’obbligo di ascoltare, valutare, analizzare e supportare le proprie risorse del team per sviluppare nuove professionalità e competenze e creare le basi per una motivazione e soddisfazione che duri nel tempo…
Il termine “motivazione” deriva dal latino “motus”, ossia movimento, inteso come muoversi verso qualcosa di desiderato.Applicato in ambito lavorativo rappresenta l’insieme dei processi psicologici che determinano il movimento e la direzione, delle azioni personali, verso un determinato obiettivo.Chi gestisce, forma e motiva le persone sa che non è un compito semplice, questo a causa della unicità di ogni individuo, con caratteristiche e specificità proprie, e quindi dell’impossibilità di trovare un unico modo, volano, che possa gestire le motivazioni di ogni individuo, ma anche perché le teorie, accademiche e manageriali, sono tante; nel tempo molti studiosi hanno cercato di definire tutti gli elementi, e le rispettive azioni, che muovono verso le motivazioni.Un buon manager deve conoscere tutti questi studi e calibrarli sui singoli individui.In particolare sono 5 le spiegazioni del comportamento alla base delle teorie motivazionali:1.Bisogni2.Rinforzo3.Cognizioni4.Caratteristiche del lavoro5.Sensazioni/emozioniI Bisogni: questa teoria, ispirata da Maslow, afferma che le persone sono spinte da motivazioni basate su bisogni insoddisfatti.La teoria si basa su una piramide di bisogni, da quelli base come i bisogni fisiologici e di sicurezza, per poi salire fino al livello autorealizzativo.Secondo Maslow un bisogno una volta soddisfatto non motiva più, mentre il bisogno non diventa motivante fino a quando non sono soddisfatti i bisogni di ordine inferiore.Il Rinforzo: tra i principali sostenitori di questa teoria emerge Skinner, afferma che il comportamento viene influenzato dalle conseguenze che esso provoca, più che dagli stati interiori ed emotivi.La teoria afferma che le persone sono motivate da quelle azioni che attivano conseguenze positive evitando quelle che hanno generato l’insorgere di conseguenze negative.Su questa teoria si basa l’approccio premio/punizioni.Le Cognizioni: secondo questa teoria, Neisser tra i principali sostenitori, afferma che il comportamento delle persone deriva in larga parte da aspetti interni dell’individuo come le convinzioni profonde, le aspettative personali e i valori.Si basa sulla conoscenza profonda della persona che si vuole motivare per trovare la chiave giusta di spinta.Caratteristiche del lavoro: in questa teoria, sorretta da Hackman & Oldham, è presente il concetto che alla base della motivazione delle persone ci sono le caratteristiche specifiche del lavoro che svolgono.Per esempio un lavoro rutinario potrebbe abbattere la motivazione del collaboratore mentre un’attività sfidante potrebbe incrementarla.Per la teoria le caratteristiche principali del lavoro sono:1.Varietà di abilità2.Identità del compito3.Significato dell'attività4.Autonomia5.FeedbackLe sensazioni ed emozioni: questo approccio si basa su una visione più ampia, afferma che ogni persona si pone obiettivi diversi da quelli connessi ad un miglioramento delle performance lavorative.Quindi le persone potrebbero avere motivazioni esterne all’attività lavorativa ma più estese ad emozioni e sensazioni, come per esempio essere un ottimo padre o un cittadino modello oppure una persona di fede.In questo senso la motivazione lavorativa dovrebbe essere vista in funzione delle sensazioni e delle emozioni della persona in confronto dei suoi diversi interessi ed obiettivi.Tutte queste teorie sono valide ma nessuna esaustiva di per sé, un buon manager deve conoscere tutte le caratteristiche degli individui del team, tutte queste teorie e applicarle singolarmente in base alle necessità.Se utilizzo solo la tecnica del rinforzo posso scoprire magari che la persona non è stimolata dal premio ma per esempio più da aspetti personali ed interiori, oppure nel caso in cui si vuole usare le caratteristiche del lavoro e magari scoprire che non tutti sono motivati da lavori sfidanti e complessi.Tutte le teorie motivazionali, appena descritte, devono per tanto essere prese in considerazione ai fini della motivazione.Un buon manager è colui che oltre a conoscere questi approcci sa come e quando utilizzarli e soprattutto sa cosa è meglio per un dato collaboratore e cosa è meglio per un altro.
Il Diversity Management è un principio di gestione delle risorse umane che tiene conto della diversità delle persone presenti all’interno di una organizzazione.I vantaggi principali sono due:1.Attenuare l’eventuale impatto negativo sull’organizzazione2.Raggiungimento risultati aziendali grazie alla diversità come base su cui creare nuove idee e progetti.Da una parte dunque il Diversity Management mira a creare relazioni forti in azienda dall’altra propone azioni con l’obiettivo accrescere la diversità come valore e fonte di vantaggio competitivo.Si basa su un processo manageriale orientato al valore, strategico e comunicativo, della diversità, mettendo in relazione le persone e le rispettive differenze e somiglianze, in un processo che crea valore aggiunto per l’organizzazione.Le diversità, e rispettive discriminazioni, si possono racchiudere in 4 principali categorie:•Genere; con le tenzioni di ruolo, i differenziali retributivi, gli avanzamenti di carriera e gestione del potere.•Età; aumento vita media e invecchiamento della popolazione aziendale.•Etnia; Differenziali retributivi, fino al 50%, precarietà e segregazione, con posti non di rilievo.•Orientamento sessuale; rischio di discriminazione, differenziali retributivi e di ruolo.L’elemento più importante per implementare in azienda processi di Diversity Management è la cultura.La cultura aziendale ha un valore immenso, essa influenza ed è influenzata dal tipo di strategia perseguita e i conseguenti strumenti utilizzati per implementarle.Ogni organizzazione ha una propria cultura aziendale, più o meno aperta alla diversità, che funge da collante dell’organizzazione stessa e fa emergere le opportunità che si presentano in un’azienda che valorizza il diverso.Per conseguire risultati di successo è opportuno ricercare e monitorare costantemente la coerenza tra cultura, strategie e performance.Una delle funzioni del Diversity Management risiede nella lettura, interpretazione e controllo dell’evoluzione che l’organizzazione vive nel tempo, adeguando e rettificando quegli elementi che inizialmente producono malessere, coinvolgendo attivamente tutte le persone.Bisogna monitorare anche la coerenza tra cultura, strategie e business perfomance che comporta una maggiore consapevolezza della percezione della diversità e le possibili problematiche connesse.Un processo di cambiamento richiede sempre delle resistenze e paure, la sfida non è semplice, bisogna avere molta attenzione nelle persone, comunicare con frequenza e costanza, attivare un rapporto tra azienda e individuo che possa sostenere una maggiore negoziazione anche sorretta da una maggiore consapevolezza emersa nel rapporto.Anche se il percorso è impervio e riscontra difficoltà, un’organizzazione che diffonde la propria cultura e i propri valori basati sulla diversità è destinata a crescere, in tutti i sensi, e prosperare nel tempo.
Per poter attivare un processo creativo all’interno delle organizzazioni e generare nuove idee da testare, prototipare e scalare bisogna mettere in campo strategie che sviluppino nuove idee che vanno ricercate a monte e a valle del processo creativo.A monte vanno ricercate persone che sviluppano, che risolvono, che si lanciano per trovare soluzioni, e che lo facciano con lo spirito del player, con la volontà del giocatore.Infatti molte sono le tecniche basate sul gioco per creare nuove idee e nuove soluzioni, per esempio il serius game, tenendo bene a mente che giocare è la quarta attività umana dopo dormire, lavorare e mangiare.Il player ideale è:•Curioso; stimolato dalle novità, si informa, gli piace ficcare il naso.•Attivo; l’azione lo spinge a fare, si alza è parte, non si domanda solo il perché ma fino a che punto è possibile spingersi.•Coraggioso; deve provare, non con incoscienza, sa rischiare, prova a rischiare, fa tentativi e se sbaglia apprende.•Tenace; nel provare qualcosa e portarla a termine.•Concentrato; con capacità di saper vedere il problema dall’esterno, senza rumori di fondo, e con disciplina rimanere a fuoco.•Entusiasta; con la passione di voler trovare nuove soluzioni, nuove idee e risolvere nuovi problemi.•Ottimista; perché riesce a vedere anche una piccola soluzione, a trovare le forze per portarla avanti credendoci.A valle del processo creativo diventa fondamentale creare, all’interno dell’organizzazione, un clima e un’atmosfera di libera circolazione delle idee.Non bisogna temere il diverso ma ascoltare le idee e verificarne la prioritizzazione.Alcune strategie utili per la libera circolazione delle idee possiamo riassumerle in:•Produrre una cassetta delle idee; il modello è del 1920 e prevede di chiedere alle persone interne all’azienda di produrre idee da analizzare e conservare. Con il digitale è possibile utilizzare tool specifici o la rete intranet, oppure bacheche virtuali.•Chiedere soluzioni a chi sul problema ci lavora, esempio il collaboratore che compila la nota spese può offrire molti suggerimenti per renderla snella ed efficiente, oppure chiedere a chi il problema l’ha creato.•Non scartiamo mai nessuna idea, sono gratis e le persone le offrono volentieri, bisogna creare una banca delle idee in cui archiviare tutte quelle prodotte, quelle non portate in esecuzione, un domani potrebbero essere utili e sostenibili.•Prendetene almeno una e realizzatela; non potete chiedere idee se poi vengono bocciate tutte, le persone non ti seguiranno più, sviluppane almeno una, magari la più semplice e sostenibile ma restituirà un feedback che attiverà la partecipazione nel tempo.•Fare pubblicità delle idee realizzate; semplicemente informando l’organizzazione delle idee portate in esecuzione in modo da incentivare la partecipazione e la produzione di ulteriori idee.•Spiegare il perché del rifiuto di alcune idee.In un mondo volatile, incerto, complesso e ambiguo è necessario generare molte idee che permettano soluzioni adeguate e rapide con il supporto di tutta l’organizzazione o addirittura di tutti gli stakeholder.
Per avere una corretta comunicazione online un brand, e personal brand, deve effettuare alcune valutazioni su:•Chi siamo? (attitudini e personalità)•Come siamo percepiti? (archetipi e Archetypal Branding)•Qual è la Social Media Persona? (la sintesi comunicativa)Nei due episodi precedenti abbiamo affrontato il “chi siamo” e “come siamo percepiti”.Oggi parliamo della sintesi comunicativa, a valle dell’MBTI e Archetypal Branding, come della cartina tornasole della nostra presenza on-line.Le Personas sono personaggi, definiti grazie ad una combinazione di dati e deduzioni, che rappresentano gli utenti tipo di un brand.Sono contemporaneamente astratte perché basate su deduzioni ma anche realistiche perché basate su dati reali raccolti.Sono ampiamente utilizzate nel marketing per definire il target ideali, con avatar, caratteristiche, dati socio-demografici, frustrazioni, paure, obiettivi e bisogni, con la strategia di mettere in campo azioni mirate ed efficienti.In questo caso utilizziamo il modello per definire la nostra “persona”, quindi ciò che siamo e mostriamo e ciò che vogliamo comunicare.Non vuol dire recitare un copione, anzi personalmente ritengo che bisogna mostrare sé stessi, ma semplicemente calibrare il giusto mix comunicativo per risultare più efficaci.L’on-line è come off-line, come nella vita reale mostriamo diversi aspetti di noi, e diversi comportamenti, anche in questo caso bisogna essere sé stessi ma con il giusto approccio comunicativo.Il web va inteso come un’ambiente, diventa necessario comunicare con chiarezza, con una struttura coerente e che porti ad essere riconoscibile.Per definire la tua Social Media Persona dovrai:•Darti un nome evocativo, che rappresenti il tuo brand, sulla scia dell’MBTI e degli archetipi.•Individuare tre caratteristiche che ti rappresentano, prelevandole dai dati raccolti in precedenza.•Descrivere le tre caratteristiche in 4 o 5 righi, utilizzando le keywords emerse precedentemente.•Attribuire ad ogni caratteristica una parola chiave.•Tradurre queste parole chiave in ambito professionale.Per fare un esempio proviamo a verificare la mia Social Media Persona:Nome: il mentore, nome evocativo che già identifica alcune caratteristiche.Caratteristiche: Affascinante, indipendente, energico e compassionevole.Estroverso e molto attento agli altri, sempre al centro della festa ma non per esibizionismo ma per divertirsi e far divertire.Spirito libero, coraggioso, senza incoscienza, attivo e proattivo, gli piace mettersi alla prova ma anche portare a rischiare per migliorare. Altruista e disponibile, ma non a disposizione.Grande istinto protettivo e fortemente empatico, sa donarsi per il bene comune.Parola chiave: AttivistaParola chiave professionale: Formatore.La Social Media Persona è utile per definire il proprio tono di voce, arricchire la nostra presenza online con contenuti coerenti, stabilire la direzione, come una bussola, è quello strumento cui ricorrere ogni volta che abbiamo dubbi su quale tipo di atteggiamento tenere rispetto a quanto ci accade in rete.È la nostra carta d’identità online.Bisogna però considerare il concetto di Beta forever” che sta ad indicare una fase beta perenne, che nel tempo cambia e si adegua ai feedback che riceve, considera il cambiamento della persona nel tempo e sfrutta tutti gli strumenti a disposizione in quel momento.In ultimo bisogna considerare la Social Media Persona come una base di partenza del proprio storytelling, rappresentando le caratteristiche, il tono di voce e le competenze, e capacità, della persona.
Per avere una corretta comunicazione online un brand, e personal brand, deve effettuare alcune valutazioni su:•Chi siamo? (attitudini e personalità)•Come siamo percepiti? (archetipi e Archetypal Branding)•Qual è la Social Media Persona? (la sintesi comunicativa)Nello scorso episodio abbiamo affrontato il “chi siamo”.Oggi parliamo di come siamo percepiti dagli altri, in questo caso ci supportato gli Archetipi.Oramai è noto che il nostro cervello funziona a risparmio energetico, motivo per cui non si avventura, nella relazione con gli altri, in approfondimenti cognitivi troppo complicati, e quindi riconosce dei modelli comportamentali che permettano chiarezza, semplicità e riconoscibilità.Gli Archetipi* sono figure universali e atemporali che, appartenendo all’inconscio collettivo, ritroviamo nei miti e nelle favole.Sono contemporaneamente delle mappe cognitive e catalizzatori di emozioni perché toccano interiormente le persone che istintivamente riconoscono legandoli ad un preciso significato.Anche gli archetipi si ispirano al lavoro di Jung, presentando 12 profili di brand, e personal brand, che si raffigurano nell’immaginario collettivo.Le tre caratteristiche principali per cui gli Archetipi sono utilizzati nel branding sono:•Parlano dei bisogni umani (gli stessi obiettivi di ogni brand)•Suscitano emozioni (anche i brand devono emozionare)•Aiutano a ricordare (anche il brand)Questo ha permesso di creare una nuova disciplina che è l’Archetypal Branding, basata sui 12 modelli junghiani per rappresentare ciò che gli altri percepiscono del nostro brand, lanciata nel 2001 da Margaret Mark e Carol Pearson con il libro "The Hero and the Outlaw".**I 12 Archetipi sono raggruppati in 4 categorie strutturate sulla base delle fasi di crescita dell’individuo:1.CAMBIAMENTO (fase di vita 6-18 anni)1.1.Ribelle, mette in discussione l'autorità e infrange le regole; Desidera ardentemente la ribellione e la rivoluzione. Esempio di Brand Virgin 1.2.Mago, desidera creare qualcosa di speciale e trasformare i sogni in realtà, il mago è visto come visionario e spirituale. Esempio di Brand Disney1.3.Eroe, in missione per rendere il mondo un posto migliore, l'Eroe è coraggioso, audace, stimolante. Esempio di Brand Nike2.APPARTENENZA (fase della vita 19-34 anni)2.1.Uomo comune, cerca connessioni e appartenenza; è riconosciuto come solidale, fedele e con i piedi per terra. Esempio di Brand Procten Gamble2.2.Giullare, porta gioia nel mondo attraverso l'umorismo, il divertimento, l'irriverenza e spesso ama fare qualche malizia. Esempio di Brand Skitless2.3.Amante, crea momenti intimi, ispira amore, passione, romanticismo e impegno. Esempio di Brand Chanel3.ORDINE (fase di vita 35-65 anni)3.1.Angelo custode, protegge e si prende cura degli altri, è compassionevole, nutriente e generoso. Esempio di Brand Unicef3.2.Sovrano, crea ordine dal caos, è tipicamente controllante e severo, ma responsabile e organizzato. Esempio di Brand Rolex3.3.Creatore, fantasioso, inventivo e spinto a costruire cose di significato e valore duraturi. Esempio di Brand Apple4.INDIPENDENZA (varie fasi di vita)4.1.Innocente, mostra felicità, bontà, ottimismo, sicurezza, romanticismo e giovinezza. Esempio di Brand Dove4.2.Saggio, Impegnato ad aiutare il mondo a ottenere una comprensione e una saggezza più profonde, il Saggio funge da mentore o consigliere premuroso. Esempio di Brand Audi4.3.Esploratore, trova ispirazione nel viaggio, nel rischio, nella scoperta e nel brivido di nuove esperienze. Esempio di Brand Red Bull Bisogna tener presente che:•Il solo test non è del tutto esaustivo sul branding, ma suggerisce le possibili funzioni cognitive.•Le persone, e i Brand, cambiano e quindi cambia anche la valutazione del test nel tempo. (es. Apple prima ribelle e poi creatore)•Non esiste la corrispondenza al 100% ma siamo un mix con alcuni fattori che emergono.•Non esiste un’unica visione del test motivo per cui è consigliabile effettuarne diversi e paragonarli.•Se per MBTI basta l’autovalutazione, per comprendere come siamo percepiti dobbiamo chiedere agli altri, interrogando amici, parenti, conoscenti e consumatori del Brand.Una volta identificato “come siamo percepiti dagli altri” bisogna procedere con la Social Media Persona e questo lo vedremo nel prossimo episodio…
Per avere una corretta comunicazione online un brand, e personal brand, deve effettuare alcune valutazioni su:•Chi siamo? (attitudini e personalità)•Come siamo percepiti? (archetipi e Archetypal Branding)•Qual è la Social Media Persona? (la sintesi comunicativa)Partendo da chi siamo, quindi la nostra personalità, è possibile utilizzare un questionario psicometrico creato da Katharine Cook Briggs e sua figlia Isabel Briggs Myers, denominato con l’acronimo MBTI (dall'inglese Myers-Briggs Type Indicator), che durante la seconda guerra mondiale aiutò a stabilire la personalità e la propensione lavorativa delle donne che avrebbero sostituito gli uomini nelle fabbriche.Ancora oggi molto usato non è da intendersi come verità assoluta ma come un indicatore di comportamenti comuni, attitudini, inclinazioni che ognuno di noi possiede, uno strumento da utilizzare per capire noi stessi e gli altri.Il questionario parte dai 16 tipi psicologici di Jung basandosi su quattro coppie di opposte funzioni che determinano i nostri comportamenti:1.Mondo:•Ti piace stare nel mondo esterno? Ti piace stare in mezzo alle persone? Spesso agisci senza riflettere? Le tue parole chiave sono attivo, espansivo e aperto? La tua categoria è Estroversione.•Preferisci il mondo interiore? Sei riflessivo? Hai bisogno di pensare prima di agire? Le tue parole chiave sono riflessivo, riservato? La tua categoria è Introversione.2.Informazioni:•Hai bisogno di informazioni concrete? Che ti arrivano dai sensi? Le tue parole chiave sono chiaro, pratico e concreto? La tua categoria è Sensorialità.•Ti interessano più le connessioni fra le informazioni? Hai bisogno di informazioni che attivano l’immaginazione? Le tue parole chiave sono possibilità, significato e immaginazione? La tua categoria è Intuizione.3.Decisioni:•Ti basi su dati oggettivi? Prendi decisioni sulle analisi dei fatti? Cerchi logica e coerenza? Le tue parole chiave sono logico e orientato al lavoro? La tua categoria è Pensiero.•Contano di più le tue valutazioni e quelle delle persone coinvolte? Nelle soluzioni cerchi il consenso? Le tue parole chiave sono soggettivo e orientato alle persone? La tua categoria è Sentimento.4.Stile di vita:•Ti piace pianificare? Avere una vita organizzata? Rispetti le regole? Le tue parole chiave sono piani, obiettivi e scadenze? La tua categoria è Giudizio.•Non riesci molto ad organizzare? Ti trovi sempre a rincorrere le scadenze? Preferisci uno stile di vita spontaneo? Le tue parole chiave sono ricettivo e flessibile? La tua categoria è Percezione.Dall’intersezione di questi parametri il questionario è in grado di restituire 16 possibili profili.Il test dovrebbe essere sottoposto e valutato da un professionista qualificato, ma è possibile anche usare molti tool online gratis per un risultato meno dettagliato e preciso.Bisogna tener presente che:•Il solo test non è del tutto esaustivo sulla personalità degli individui, ma suggerisce le possibili funzioni cognitive.•Le persone cambiano e quindi cambia anche la valutazione del test nel tempo.•Non esiste la corrispondenza al 100% ma siamo un mix con alcuni fattori che emergono.•Non esiste un’unica visione del test motivo per cui è consigliabile effettuarne diversi e paragonarli.•Non è possibile catalogare tutta l’umanità in 16 categorie, va preso come una base di partenza.Dopo aver raccolto tutti i dati dai vari test bisogna verificare se ci si ritrova, se le parole chiave ed il profilo emerso rappresentano il proprio brand. Bisogna domandarsi come poter usare queste informazioni nel lavoro e se ci rappresentano anche in quest’ambito, se non ci riconosciamo in alcuni valori e se nella vita ci piace relazionarci con persone con le stesse funzioni cognitive.Una volta identificato “chi siamo” bisogna procedere con come siamo percepiti dagli altri e questo lo vedremo nel prossimo episodio…
Di importanza rilevante risulta essere oggi aprire la propria azienda agli ecosistemi dell’innovazione digitale.Le aziende devono aprirsi verso l’esterno, con l’obiettivo di creare relazioni con almeno 4 ecosistemi per poter sviluppare il proprio business.•Aziende, oggi si parla anche di concorrenti, con cui intraprendere scambi, partnership, di best practice, dati di mercato, informazioni e prodotti.•Fornitori digitali, di cui fanno parte tutte le partnership con entità esterne per impostare, sviluppare e far crescere la strategia digitale (es. Cloud, CRM, web agency, acceleratori)•Fabbriche di talenti (digitali), dalle università, ai centri specializzati, realtà internazionali)•Community di esperti, in cui si parla di digitale, come per esempio eventi, ted talk, festival)Tutte queste nuove relazioni devo avvenire contemporaneamente e sinergicamente per generare nuovi processi, nuove pratiche, nuovi valori e nuove aziende, devono contaminarsi.In questo caso per contaminazione sì intende la condivisione di pratiche, principi, valori e strumenti nuovi per cavalcare il digitale.Nel 2003 Henry William Chesbrough, economista e scrittore statunitense, lancia il concetto di “Open Innovation”, che sta ad indicare un nuovo modello di business, basato sull’apertura verso l’esterno, per sviluppare nuovi prodotti, nuovi processi, nuove idee, nuove soluzioni coinvolgendo tutti gli stakeholders, compresi clienti e fornitori, con sessioni di coprogettazione, co-design, condivisione e compartecipazione.Esistono oggi molti tool che consentono alle aziende di interagire con esperti, innovatori, startup, consulenti digitali.Come per esempio:•Innocentive; una piattaforma frequentata anche da grosse aziende che lancia delle challenge ad esperti, innovatori e startup per generare nuove idee e nuovi prodotti.•CampusParty; una piattaforma internazionale, ma anche presente in Italia, in cui si incontrano aziende, giovani, community, università e istituzioni per svolgere degli hackathon di 4 giorni, basati su sfide lanciate dall’azienda, per trovare nuove soluzioni.•Mathesia; una bellissima piattaforma verticale sull’analisi dei dati e normalizzazione matematica degli stessi, in cui è possibile trovare esperti di data science e matematica che possono fornire supporto di analisi.Gli attori sono, in pratica, sempre gli stessi: le aziende, che generalmente lanciano le call, le startup, esperti e talenti, che rispondono alle call e le piattaforme, o eventi, che creano gli ambienti per trovare nuove soluzioni.Le tipologie sono diverse e tante ma la struttura solitamente e sempre la stessa:•La call; che viene lanciata da un’azienda, con specifiche sul tema, il formato dell’evento, i tempi, le modalità, le regole di ingaggio e di vincita, in ultimo il premio per il vincitore.•Coinvolgimento interno; necessario per rendere partecipi gli attori diretti aziendali coinvolti nel processo e dall’innovazione. È molto importante perché saranno loro a spingere il cambiamento interno.•Raccolta delle proposte; può avvenire on-line, quindi raggruppandole fisicamente e poi inserendole in piattaforme di condivisione oppure tramite la presentazione, con un breve speech da parte dei gruppi che propongono, di 5 minuti per raccogliere le informazioni necessarie.•Decisione del vincitore, consiste nell’individuare la proposta più impattante, confidente e sostenibile. Deve essere formato dal management aziendale, che si troverà coinvolto e sosterrà il progetto internamente.•Fase pilota, con il lancio del progetto. È fondamentale analizzare e misurare l’impatto interno per sostenere il cambiamento.L’open innovation è molto importante perché permette soluzioni win-win, in cui tutti gli attori traggono beneficio, genera nuove idee, nuovi prodotti, nuovi approcci e nuove soluzioni, più customer oriented, supporta l’incontro da aziende e talenti e attiva processi interni agli e interfunzionali.
Delegare deriva dal latino de-legatus/de-legare e indica “mandare con qualche incarico”, “incaricare qualcuno di compiere qualche atto in propria vece” o “Affidare ad altri l’esercizio di funzioni o poteri proprî”* (fonte Treccani).Per Peter Drucker la delega è alla base del management inteso come il conseguimento degli obiettivi tramite terzi.Quindi da rappresentanza di firma diventa rappresentanza di obiettivi e potere connesso.Alla base ci sono motivazioni:•individuali, da parte del manager come liberare lo spazio, e le attività, manageriali, migliorare la pianificazione delle attività e ridistribuzione del lavoro, lato collaboratore, proiettato alla crescita professionale, e personale, in relazione alla responsabilità e al raggiungimento degli obiettivi.•Organizzative, con la necessità di sviluppare un decentramento di competenze e responsabilità interne, continuative e costanti, che supportino processi più agili con l’intento di velocizzare le decisioni e sviluppare la crescita delle persone. L’intento è creare elasticità all’interno dell’organizzazione, sviluppando competenze trasversali che permettano di reagire davanti agli imprevisti.La delega deve prevedere 3 fasi fondamentali:•Il compito, o obiettivo, che deve essere chiaro e dichiarato, deve essere supportato da tutti gli strumenti che il delegante deve mettere a disposizione del delegato, e deve essere in linea con le competenze, e capacità, del delegato.•L’autorità, che deve essere riconosciuta al delegato per poter svolgere il compito stabilito. Deve essere resa pubblica, sia per motivazioni di investitura, ma anche come riconoscimento di fatto di potere decisionale con chi avrà relazioni professionali con il delegato.•La responsabilità, strettamente connessa al delegato, di portare a termine gli obiettivi stabiliti, nel tempo stabilito, e di rispondere del suo operato.L’attività da tener in considerazione con molta attenzione è il controllo, spesso l’equilibrio in questa attività, che determina la validità del processo di delega.Il controllo non deve essere troppo serrato, perché in quel caso non si parla di delega e non risponde alla crescita del delegato, con l’assunzione di responsabilità, ma neanche alla funzione strategico/organizzativa della delega stessa, che vedrà il delegante caricato di ulteriore lavoro.Come non deve essere assente, perché in quel caso si parla di scarica barile. Il controllo deve essere anche direttamente proporzionale al livello di maturità professionale del delegato.Nel caso di un livello alto di maturità, il controllo deve essere molto raro e più orientato ad aspetti strategico/politici, nel caso di un livello basso di maturità deve essere più continuo ed orientato ad aspetti formativi con l’obiettivo la crescita del collaboratore.Esistono alcune condizioni aziendali che possono facilitare la delega, sono:1.La distanza tra leader e collaboratore, quanto è più bassa tanto la condizione è favorevole.2.Accettazione dell’incertezza, intesa come la capacità del collaboratore di sapersi destreggiare davanti agli imprevisti.3.Visione a lungo termine, intendendo la delega come un investimento nelle persone e nel futuro.4.Approccio individuale, inteso più come un processo dell’individuo che del gruppo.Uno degli errori più comuni che può compiere un leader in questa fase è di delegare solo il più capace, questo non permetterà di far crescere le altre risorse, generando frustrazione e demotivazione nel tempo, attribuendo troppa forza nel delegato, che conscio di essere il più capace, potrebbe approfittarne.Risulta preferibile delegare, anche, collaboratori che necessitano di crescere e fare esperienza, passando per diversi livelli di delega che possano pian piano spostarla verso compiti più complessi.
Una volta l’anno, oppure semestralmente, un buon manager ha il compito di dover tenere un colloquio di valutazione con il collaboratore, purtroppo questo processo presenta molte difficoltà ed insidie.Lato collaboratore il primo aspetto critico riguarda il fatto che l’80% dei collaboratori, ascoltati durante il colloquio, sono sicuri di aver lavorato meglio della media; e molto spesso il manager non crede a questo.La principale motivazione di questa iper-valutazione dipende da una distonia che si viene a creare tra il giudizio di sé e il giudizio degli altri.Gli altri tendiamo a valutarli sui comportamenti che vediamo, se si valuta la capacità di relazionarsi all’interno del team, il collaboratore non molto attivo sarà giudicato come una persona poca propensa a relazionarsi, invece noi stessi tendiamo a valutarci sulle intenzioni, in questo caso se non mi relaziono con gli altri ma sono intenzionato a farlo, per noi basterà per darci un voto positivo.Molte insidie si nascondono anche negli aspetti che influenzano il manager nella sua valutazione, anche con la preparazione dovuta al colloquio, perché spesso vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere, sia nel bene che nel male.Quindi se ho molte aspettative su un collaboratore e ho investito del tempo, per me prezioso, sul lavoro svolto di miglioramento e sviluppo, il rischio è che nella valutazione finale posso essere poco obiettivo.Anche lo stato umorale nel momento del colloquio di valutazione gioca brutti scherzi, se quel giorno sono di umore basso molto probabilmente userò un metro di misura poco ottimista, userò le lenti grigie, nel caso contrario in cui sono felice molto probabilmente userò le lenti rosa, con un approccio molto più propenso al positivo.Ovviamente anche il contesto, inteso come luogo del colloquio e collocazione temporale, incide in modo importante. Se il giorno del colloquio sono 30 gradi e siamo senza aria climatizzata, il contesto non aiuta.Esiste anche il noto “effetto alone”, che sta ad indicare che una cosa positiva, o negativa, fatta o detta dalla persona valutata su un aspetto a noi sensibile pesa molto sul giudizio finale che daremo sulla persona.Dipende dal processo di attivazione recente, cioè l’ultima cosa che abbiamo pensato, in maniera impattante, ci influenza, per esempio: se prima del colloquio abbiamo fatto un meeting in cui i nostri superiori ci hanno stressato su un determinato argomento, quando svolgerò il colloquio ciò che il collaboratore ha detto o fatto in merito a quell’argomento influenzerà il giudizio finale.Può dipendere anche dal processo di attivazione frequente, se la sensibilità a quell’argomento ci assilla da tempo e siamo particolarmente sensibili.Per poter minimizzare la possibilità che questi fattori incidano sul colloquio valutativo è necessario programmare e organizzare l’incontro preventivamente.Un buon metodo può essere far compilare, almeno 15 giorni prima, al collaboratore un documento cartaceo, o elettronico, in cui iniziamo col chiedere le aspettative dell’anno trascorso, per esempio: come giudichi l’anno professionale appena trascorso? Quali sono gli aspetti migliorativi rispetto all’anno passato? Quali aspetti sono andati peggio? Cosa pensi dell’azienda e i suoi valori? Come valuti il rapporto con i colleghi?Inserire all’interno di questo documento anche una tabella con i principali valori di soddisfazione e motivazione, come la retribuzione, i benefits, il tipo di carriera, la crescita professionale ecc.Il collaboratore dovrà su base volontaria distribuire 100 punti su questi fattori; è possibile trovarsi in due situazioni, la prima che vedrà distribuiti i punti su tutti i fattori o su alcuni, la seconda in cui il collaboratore concentrerà tutti i 100 punti su una categoria di bisogno, in quel caso bisogna tener ben presente questa richiesta del collaboratore e prepararsi bene per il colloquio.Solo dopo questo momento di studio e riflessione sarà possibile incontrarsi in colloquio, entrambe le parti con tutti gli elementi analizzati, dando la parola per primo al collaboratore.Questi dovrà raccontare quali sono stati gli aspetti negativi e positivi della sua attività professionale, quali difficoltà ha riscontrato e come vorrebbe intraprendere le nuove sfide future.Successivamente la parola passa al manager che dovrà raccontare i punti di forza riscontrati e le aree di miglioramento, definendo un piano di miglioramento condiviso.Ed infine, sempre il manager, dovrà definire le aspettative per il futuro nei confronti del valutato.
Come prima definizione di soddisfazione lavorativa cito lo studio di Locke, datato 1976, che afferma: “la soddisfazione lavorativa è un sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione, che l’attività professionale svolta consente, di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro”.In poche parole è legata a quanto una persona desidera state all’interno di un’organizzazione.Invece come studio sulla motivazione lavorativa cito David McClelland che lega la motivazione a tre fattori: la realizzazione, il potere e l’affiliazione.Quindi è legata strettamente all’impegno, dedizione e commitment che si mette nel proprio lavoro.Si possono verificare 4 scenari: un collaboratore insoddisfatto e non motivato, insoddisfatto ma motivato, soddisfatto ma non motivato e soddisfatto e motivato.Non è il caso di affrontare i due casi estremi, ma cosa fare nel caso in cui uno delle due variabili è negativa?Una forte insoddisfazione può non incidere sulle performance individuali, anche se nel lungo periodo si, ma incide sicuramente sul rischio di fuoriuscita del collaboratore.Invece chi è soddisfatto ma scarsamente motivato non cercherà probabilmente un nuovo lavoro, ma è un problema per l’organizzazione che si troverà in organico una persona appagata ma difficilmente orientata al raggiungimento degli obiettivi.Il primo studioso ad individuare i fattori esterni che incidono sulla soddisfazione e sulla motivazione del collaboratore è stato Frederic Herzberg che li cataloga in:•Fattori igienici, come la sicurezza fisica sul posto di lavoro, l’igiene, relazioni interpersonali all’interno dell’organizzazione e la retribuzione e i benefits. Se questi fattori vengono a mancare, per la persona la probabilità di fuoriuscita è elevata.•Fattori motivanti, come il raggiungimento dei risultati, e la premialità connessa, la possibilità di carriera, il livello di responsabilità e i contenuti del lavoro stesso. In questo caso venendo a mancare questi fattori sarà molto improbabile che il collaboratore raggiunga gli obiettivi di performance.Quindi le organizzazioni devono osservare ed analizzare il problema che si ha in azienda, siamo davanti ad un problema di turnover o di non raggiungimento degli obiettivi?Dopo la misurazione e l’analisi bisogna prendere decisioni adeguate che permettano di risolvere il problema.
Una celebre citazione di Peter Drucker afferma che “ciò che si può misurare, si può gestire”.Quindi gli analytics offrono alle aziende la possibilità di analizzare e ottimizzare i processi guardando il passato per predire il futuro.Le metriche possono aiutare a comprendere la tipologia dei nostri utenti on-line, sia dati quantitativi che qualitativi, può supportare le scelte di marketing per ingaggiare nuovi clienti, o nutrire quelli in essere, definiscono la nostra presenza on-line e quali risultati otteniamo da questa comunicazione, aiutano a definire quali sono i nostri obiettivi e qual è il percorso più rapido ed efficiente per raggiungerlo.Le metriche ci permettono di migliorare ma anche di monitorare i nostri processi.Esistono diverse tipologie di analytics, identificabili e catalogabili in base alla diversa natura dei dati che andiamo ad analizzare.Possono essere:Web Analytics Statistical AnalyticsPredictive AnalyticsMarketing AnaliticsTalent AnalyticsWeb Analytics sono la raccolta, l’analisi e il reporting di tutti i dati del web, interni ed esterni, focalizzandosi sulla misurazione del comportamento degli utenti sul nostro sito web.L’obiettivo è di migliorare le performance del sito, ottimizzare gli investimenti di marketing, offrire una buona esperienza all’utente e predire comportamenti futuri.A monte bisogna ver definito gli obiettivi di business, e quindi di misurazione, quali sono le metriche da osservare e i KPI da utilizzare, qual è il target di riferimento, quanti-qualitativo, ed infine quali sono le dimensioni e i segmenti di pubblico.Le metriche sono tante e di diversa natura, abbiamo:•Metriche comportamentali, come i visitatori, unici, nuovi e di ritorno, le impression, bounce rate, o frequenza di rimbalzo, la durata della sessione media, le sessioni uniche, il tempo di ingaggio, quanti click riceve il sito, e la durata tra loro, ecc.•Metriche temporali, come giorno e data, orario di maggior frequenza o ingaggio.•Metriche ambientali, come l’indirizzo IP, il browser usato, il tipo di device, la località o l’orario della zona.•Metriche di sorgente, come il dominio di riferimento, ID della campagna o di affiliazione.Metriche di Conversione, che risultano le misurazioni di performance, come l’acquisto, i lead, un App o il download di un contenuto. È dato dal rapporto tra gli utenti che atterrano sul sito e il numero di conversioni andate a buon fine.Statistical Analytics sono quelle metriche che aiutano a raccogliere i dati e, con una visione più creativa, clusterizzarli, segmentarli e raggrupparli per analisi più approfondite, volte a far emergere dati nascosti o meno evidenti non precedentemente evidenziati dai report.Si parte dai Big Data, quindi campioni di grandi dimensioni, per analizzare i cluster, quindi tramite pattern e valori di raggruppamento, basando la valutazione su variabili non valutate prima, possiamo comprendere le opportunità e criticità del nostro business.L'analisi della triangolazione dei processi aziendali ad alto volume consente di trovare e prevedere i risultati dei processi aziendali producendo i migliori risultati parziali senza dover analizzare i processi di transazione in dettaglio.Quindi definire le variabili comportamentali, che non si possono estrapolare solo da un report, raccoglierle ed analizzarle statisticamente per cogliere opportunità in maniera puntuale.I metodi di analisi statistica sono diversi:•l'analisi di regressione è un insieme di processi statistici per stimare le relazioni tra una variabile dipendente e una o più variabili indipendenti.•L’analisi di classificazione si basa sulla su un training set di dati contenente osservazioni di cui si conosce la categoria per identificare a quale categorie appartiene una nuova osservazione.•L'apprendimento delle regole di associazione è un metodo di apprendimento automatico basato su regole per scoprire relazioni interessanti tra variabili in database di grandi dimensioni.•L'analisi dei cluster o clustering permette di raggruppare un insieme di dati in gruppi per verificarne le similitudini con altri gruppi.•Il text mining che prevede l’analisi dei testi per raccogliere informazioni precedentemente non valutate.Predictive Analytics permettono di estrarre insight dai data set esistenti con il supporto di tutti i dati statistici a disposizione e con l’aiuto del machine learning con l’obiettivo di prevedere eventi futuri e sconosciuti.È necessario identificare le cause-effetto dei dati presenti nel data set, identificare, grazie a pattern e cluster, insights nascosti, e validarli rapportandoli nel passato, presente e futuro.Il processo è circolare e in divenire, definendo gli obiettivi, preparando il modello, svilupparlo, lanciarlo e monitorarlo nel tempo per riattivarlo dopo le vidimazioni.Per esempio, proviamo un nuovo canale di business, lo prepariamo, lo processiamo e lo mandiamo in produzione, da quel momento monitoriamo il flusso con o senza il nuovo modello, se i risultati soddisfano la previsione procediamo, altrimenti riattiviamo il processo con l’obiettivo l’ottimizzazione.Marketing Analytics sono fondamentali per valutare l’impatto degli investimenti di marketing sul nostro business, supportando l’ottimizzazione e l’economia di scala, andando ad analizzare sia i dati interni con le metriche di “closed loop”, o metriche interne come la spesa di marketing, la spesa di conversione, i dati di vendita, i costi di acquisizione, i costi del sito e così via, ma anche i dati esterni come i costi di Google Ads, quindi le aste e il CPC e CPA, i costi di Facebook Advertising, banner esterni ecc.Cambia, quindi, nel tempo la complessità ma anche il valore della misurazione di analytics per il marketing, che oggi ha un ritorno all’investimento diverso per ogni canale e ogni strumento che si utilizza.Con queste metriche è possibile segmentare il target di pubblico in base al Life Time Value, quindi il valore che porta un cliente nel tempo, ottimizzare le campagne pubblicitarie, quindi i costi connessi, indirizzare gli investimenti in cluster più recettivi ed aumentare la soddisfazione del consumatore.L’analisi comporta utilizzo di metriche differenti in base al tipo di attività che stiamo sviluppando con il consumatore.•Metriche di Reach, orientate a raggiungere lead e prospect con uso di motori di ricerca, social media e comunicazione su canali di proprietà.•Metriche di Engage, che misurano l’ingaggio che i nostri contenuti su canali di proprietà, su campagne e social network, che riceviamo dai lead e prospect.•Metriche di Activate, che analizzano le vendite e le conversioni, misurando il passaggio da lead a cliente.•Metriche di Nurture, che misurano il comportamento post acquisto e supportano azioni di marketing per il nutrimento del rapporto con il cliente nel tempo.Ed in ultimo Talent Analytics che misurano, raggruppano e analizzano i dati interni, del capitale umano aziendale, per supportare la crescita e lo sviluppo delle persone.Con questa analisi è possibile attivare una serie di azioni, formative ed informative, nel momento in cui si notano delle flessioni, oppure intervenire nel team building per le motivazioni di gruppo, o determinare quali azioni hanno determinato maggiore impatto nel business sul capitale umano.La particolarità di queste metriche è tratteggiata dalla sensibilità dei dati che si raccolgono, le leggi sono molto serrate, motivo per cui deve essere autorizzato l’uso, devono coinvolgere gli individui, le loro aspettative, i loro i bisogni, il percorso di carriera interno, lo stato di motivazione e di soddisfazione.In ultimo devono permettere una lettura omogenea per poter supportare i cambiamenti necessari senza impattare negativamente sulle persone e sulla struttura.Il digitale sta cambiando il mondo, con il supporto degli analytics è possibile raccogliere, misurare, validare gli insights necessari per poter predire il futuro ed ottimizzare i processi, interni ed esterni, e stabilire un rapporto di lungo periodo con il proprio consumatore.
In un mondo volatile, incerto, complesso ed ambiguo, le aziende sono chiamate ad un cambiamento, culturale ed organizzativo, mai prima attuato.Il cambiamento che le realtà devono affrontare riguardano 5 leve principali:•Persone•Cultura•Organizzazione•Spazi•Strumenti Quando parliamo di cambiamento delle persone, intese come una leva, bisogna per prima cosa fotografare la situazione generazionale attuale.In questo momento all’interno delle realtà aziendali convivono 4 generazioni, tutte diverse in cultura, aspettative, modelli e obiettivi.I Baby Boomers, tra i 50 e 75 anni, Gen X, tra 35 e 49 anni, Gen Y, tra 20 e 34 anni, Gen Z tra 10 e 19 anni.La vera sfida è far collaborare tutte queste generazioni per attivare un processo di contaminazione che supporti la crescita aziendale e generi un clima di coesione.La Generazione Y e Z sono da coinvolgere, attivare come agenti del cambiamento, devono aiutare come innovatori, spingendo l’azienda verso nuovi orizzonti.Diventa molto importante attivare programmi di reverse mentoring in cui le diverse generazioni si passano la propria cultura, le competenze, le esperienze e le capacità generando crescita a tutti i livelli, supportando il cambiamento.Quando parliamo di cultura si intende la rivalutazione di tutti i valori che determinano le attività aziendali, dalle persone ai processi.Diventa necessario imparare a condividere, ad attivare processi di co-creazione e cooperazione, per generare valore tra e per le persone. Solo grazie alla collaborazione è possibile ascoltare gli altri, migliorare ciò che si offre e trasmettere i valori stessi a tutti.Bisogna imparare a raccogliere, analizzare, normalizzare e utilizzare i dati per misurare e mettere in campo azioni conseguenti.Le aziende devono far proprio il valore di agilità, con strutture veloci che siano in grado di restituire feedback continui.Sicuramente un altro valore è la cultura del rischio e del fallimento connesso. Diventa necessario rischiare, in ambienti sicuri, per generare nuove idee, basate sull’esperienza precedente, che siano in grado di creare valore per le persone.Bisogna abbracciare il concetto di innovazione, non inteso come un’applicazione o implementazione, ma come un valore da coltivare nel tempo.Non bisogna ricercare la perfezione, ma generare un minimo valore proposto da migliorare in divenire e adattare, nel tempo, alle esigenze del proprio target, ponendo al centro l’esperienza dell’utente/consumatore.Quando parliamo di organizzazione si rappresenta nella struttura organizzativa e nel nuovo ruolo della leadership.Il leader, nel mondo digitale, ha un ruolo diverso dal “capo” nelle aziende tradizionali, oggi è una leadership convocativa e abilitante, nel senso che è in grado di creare coesione e compartecipazione, di abilitare le qualità delle persone, di delegare e responsabilizzare; è una figura carismatica in grado ci comunicare e coinvolgere, senza dover utilizzare l’autorità ma facendo emergere le competenze e capacità dei propri collaboratori con il riconoscimento reciproco e l’autonomia gestionale e decisionale.Anche il modello organizzativo è completamente rivisto rispetto al modello tradizionale. In un mercato stabile e con poche flessioni, il modello organizzativo a piramide poteva andare bene, ma in un mondo in continua evoluzione e cambiamento, dove bisogna prendere decisione veloci e impattanti, il modello preferibile è a rete, senza troppi livelli gerarchici che rallentano i processi e deresponsabilizzano le persone, composto da micro team agili che in autonomia generano idee da testare e scalare, che operano velocemente grazie a strumenti che permettono l’analisi dei dati.Il cambiamento deve avvenire anche nella gestione degli spazi di lavoro, devono essere più smart, con open space per condividere e confrontarsi, flessibili, con la possibilità di poter cambiare velocemente, con spazi di coworking e privacy, con strutture di rete e security adeguate, senza uffici singoli ma con postazioni mobili per la leadership.Devono essere strutturati per lo smartworking, incentivando il valore dell’ufficio dove puoi collegare il portatile, con responsabilità sull’output, devono avere piattaforme di condivisione, per permettere ai team di lavorare da ovunque, offrendo l’accesso digitale a tutti gli strumenti.Il cambiamento deve avvenire anche attraverso l’uso e utilizzo degli strumenti a disposizione, che devono inglobare i tool, intranet e extranet, in un unico ambiente, coinvolgendo tutti gli stakeholder e abilitando la condivisione e la collaborazione, facilitando la co-creazione.Esistono oggi tantissimi tool che permettono questa fruizione più smart degli strumenti, basti pensare a Google, con tutte le sue piattaforme di coworking, Microsoft, Salesforce, Hobspot, Yammer e così via, che integrano tutti i dati rendendoli accessibili a tutti gli attori di business, generando risposte veloci, efficaci e sostenibili. Ovviamente anche i social network rientrano tra questi tool.Quindi per riassumere, tutte le realtà organizzative sono chiamate ad un cambiamento per poter affrontare le nuove sfide di mercato e globali, nessuna esclusa, in un mondo molto veloce e con trasformazioni repentine diventa necessario reinventarsi nuovi approcci, nuovi processi che permettano di porre al centro le persone, di rendere agili le organizzazioni, di creare ambienti di crescita e condivisione, anche negli spazi e con l’ausilio di nuovi strumenti, diffondendo nuovi valori su cui creare le fondamenta.
Quando le persone affrontano un cambiamento, profesionale o personale, reagiscono affrontando 4 fasi:•shock•difesa•riconoscimento•accettazione e adattamentoQueste fasi rappresentano un cambiamento sia da un punto di vista personale, esempio una perdita improvvisa o la fine di un rapporto relazionale, o professinale, il cambiamento di processi, ruoli o vision complessiva, e il ruolo di leader deve supportare e aiutare le persone nel passaggio in queste quattro fasi.Nella fase di shock le persone si sentono minacciate dal cambiamento, possono arrivare a negare il cambiamento, non accettandolo, possono vivere una sensazione di insicurezza e instabilità che possono bloccarle e immobilizzarle nel loro atteggiamento, comportando un calo di responsabilità e rischio atteso che inevitabilmente comporta un calo di produttività, performance e motivazioni.Successivamente le persone si spostano dalla sensazione di shock a quella di difesa.In questa fase le persone manifestano rabbia e aggessività verso il cambiamento impostogli e non metabolizzato. Tenderanno a proseguire con le attività passate e di routine, cercando di mostrare i benefici del "si è sempre fatto così" e mantenendo una posizione critica verso le novità.In questa fase le persone percepiscono un forte senso di pericolo che il cambiamento può apportare al proprio status quo.Con il tempo le persone passano nella fase del riconoscimento accettando la perdita, lutto, dolore, che il cambiamento ha portato, ma nel contempo vivono una sensazione di liberazione che permette di iniziare a valutare i pro e i contro che quel cambiamento porta con se, guardando con obiettività il passaggio e supportando l'assunzione del rischio e quindi la possibile costruzione di fiducia rispetto al cambiamento.Ed in ultimo nella fase di accettazione e adattamento le persone iniziano ad interiorizzare il cambiamento, abbandonano il dolore, le paure e il disorientamento visualizzando chiaramente i benefici del cambiamento, abbandonando le resistenze del passato e proiettandosi verso il nuovo; in alcuni casi chi precedentemente resistente diventa ambassador del cambiamento.Cosa può fase un leader per affrontare, con le persone, le quattro fasi?Nella fase di shock, come in tutte le fasi, sono necessari ascolto e comunicazione costante e continua. Risulta fondamentale dare nuovi incarichi all'interno del team, stimolando con obiettivi variabili la flessibilità e l'adattamento, non permettere a nessuno del team di sentirsi troppo a proprio agio nell'ambiente di lavoro e responsabilizzare le persone nei doveri scardinando il senso di soli diritti acquisiti.Come anticipato è importante attivare uìl'ascolto attivo, anche prima della fase di cambiamento, innescando una comunicazione chiara e rassicurante che permetta di trovare nuove ancore a cui appoggiarsi. Bisgna dare libero sfogo ai sentimenti, solo così è possibile comprendere cosa blocca i collaboratori.Come anticipato, nella fase di difesa, le persone sono arrabbiate e aggressive, quindi un buon leader lavora sul gruppo, come ancora di sicurezza e appartenenza, creando attività di micro team, attività esterne e di coesione, pranzi aziendali o magari partite a calcetto, in cui le persone possono collaborare per rinforzarsi all'interno del gruppo.In questa fase il leader deve lasciare libero sfogo, costruttivo, per le lamente e le paure, sia per identificare i blocchi sia perché con sfogo spesso le persone abbassano il livello di stress.Nella fase di riconoscimento il leader deve continuare con il lavoro di coesione del gruppo, creando ancore stabili e di sicurezza nelle persone, contuare ad ascoltare le lamente e le paure, stimolando le persone nel mostrere il proprio stato emotivo.Deve iniziare a parlare dei benefici del cambiamento, non tanto prima perché non sarà ascoltato, e a delegare l'assunzione di nuovi rischi, costruendo fuducia sui successi raggiungi su quei rischi, preparandoli per l'ultima fase.Nella fase di accettazione e adattamento un leader deve continuare a lavorare sulle dinamiche di gruppo, sforzandosi di comprendere i bisogni di ogni singolo collaboratore, lasciando sfogo alle persone di adoperarsi su ciò in cui si sentono più realizzate, spostando il focus dai sentimenti all'azione, attivando così un processo di crescita basato sul fare e quindi sul miglioramento, valutando i detrattori, alcuni lo saranno per sempre, e valutando l'eventuale licenziamento di questi.Come evidenziato precedentemente il leader deve attivare ascolto e comunicazione.Entrambi devono essere costanti, continui ed efficaci e soprattutto a due vie.Se le persone si sentiranno ascoltate e nel contempo ricevono informazioni utili e costanti a supporto avranno fiducia in ciò che il leader trasmette sentendosi più coinvolti e attivi accettando più facilemente il passaggio.Il leader deve comuinicare costantemente lo scopo del cambiamento, i vantaggi, ma anche gli eventuali svantaggi, spiegando sempre il perché delle azioni messe in campo, supportando anche con tool visivi, o rappresentativi, del cambiamento, offrendo anche la possibilità di imprimere meglio ciò che si vuole comunicare.Importante è spiegare i criteri di successo, chiarendo la ricompensa che le persone avranno per quel determinato succeso, ripetento nel tempo, costantemente, lo scopo del cambiamento.Solo con un buon leader il cambiamento può essere assorbito dal team e tramutato in un'opportunità per tutti i collaboratori generando performance per le persone e l'organizzazione.
Cosa si intende per Leadership? Quale relazione con il potere? Quale relazione con il management?“Leader è qualcuno che ha dei follower”È Leader chi ha qualcuno che lo segue.Questa è una celebre frase di Peter Drucker (https://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Drucker), economista austriaco, che apre l’orizzonte ad una domanda fondamentale: come fare a farsi seguire da qualcuno?La relazione tra Leadership e followership è caratterizzata da fiducia, consapevolezza, competenza, autorità, autorevolezza, onestà, credibilità e unicità.La traduzione di leader che presenta il Garzanti (https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=leader) è di: Capo, Guida, Comandante, Dirigente, Capo partito, Vincitore.Invece la traduzione che offre di follower è: Servitore, Seguace, Cedente, Ammiratore, Innamorato, Tifoso.Sono evidenti le simmetrie con Capo-Servitore, Guida-Seguace, Comandante-Cedente, Dirigente-Ammiratore, Capo partito-Innamorato ed infine Vincitore-Tifoso.Ma gli aspetti fondamentali, aldilà delle simmetrie che si preferiscono, sono la direzione, la meta e l’obiettivo da raggiungere, e le persone da coinvolgere per raggiungere quella meta.Quindi in relazione a questi due aspetti possiamo espandere la definizione di Drucker definendo un leader colui che sa condurre delle persone verso una meta.Ovviamente una domanda nasce spontanea: perché qualcuno segue un leader?La risposta più diretta è: perché è dotato di un qualche tipo di potere, anche di diversa natura.Per la definizione di potere uso una celebre frase di Max Weber che recita:“Il potere è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione”.Come si esercita questo potere? Obbligando, Offrendo qualcosa in cambio, Sapendo dove andare, Sapendo cosa fare, Sapendo fare ed Essendo ammirato o amato.Sempre Weber afferma il concetto di legittimità del potere, cioè quando è riconosciuto da chi ne è oggetto, e si manifesta sul ruolo formale (autorità) oppure sulle sue doti personali (autorevolezza).Esistono, quindi, due tipi di leadeship:•Leadership autoritaria, si basa sul potere attribuito e riconosciuto al leader di prendere decisioni e distribuire premi e punizioni.•Leadership autorevole, si basa sulla condivisione e comprensione di scopi, vision e mission del leader che diventano anche dei follower.Viene da sé che è leadership illegittima quella ricevuta con violenza, se non riconosciuta come autoritaria o autorevolezza, per esempio se qualcuno ci obbliga con un’arma a lasciargli il portafoglio, questa è espressione di potere, e leadership, illegittima.Quindi la leadership è tale se il potere connesso è riconosciuto come legittimamente esercitabile.Come ultima definizione possiamo affermare che:Leadeship è saper condurre le persone verso una meta esercitando un potere da loro riconosciuto come legittimo.
I processi di Direct Marketing possono essere molto complessi e sofisticati.Sono processi circolari e passano da 4 step fondamentali:Pianificazione; la fase in cui si decidono gli obiettivi, il target di utenza, la frequenza con cui vogliamo comunicare e i diversi formati che vogliamo utilizzare.Azione; è la fase in cui definiti i passaggi precedenti andiamo a preparare le email ed eseguiamo l’invio.Analisi; ovviamente la fase più importante perché andiamo a raccogliere, normalizzare ed analizzare tutti i dati per comprendere cosa ha funzionato e cosa è da migliorare ( il collo di bottiglia).Ottimizzazione; in cui impariamo dal passato e dai dati raccolti, per pianificare un nuovo processo migliore di quello precedente.Nella fase di pianificazione è importante:Definire gli obiettivi; quindi definire cosa voglio che faccia l’utente, deve cliccare per atterrare sulla mia landing page? Deve scaricare un contenuto? Deve compilare un form?Pensare e definire il target di riferimento; è uomo? Donna? Giovane? Adulto? Istruito? Quali interessi ha? Come vuole ricevere il messaggio? Su quale device? Quanto? …Definire una frequenza e modalità di invio; quante e-mail voglio inviare? Con quale frequenza? Utilizzo anche gli sms se ha lasciato numero? Preparo una pagina di ringraziamento? Preparo una survey dopo?...Come presentarsi; qual è il nome con cui mi devo presentare? Inserisco il dominio aziendale? Inserisco la foto?Definire il “subject”; quale titolo di presentazione? Come colpire l’utente affinché apra la email?Definire il contenuto; quale tono di voce? Immagini? Video? Link? Lungo? Corto? Forbito? Semplice?...Nella fase di azione bisogna:Realizzare tecnicamente la email; quindi creare fisicamente i copy, le immagini, i link o i video, riportare tutto sulla piattaforma che si sta utilizzando e prepararsi all’invio.Effettuare una fase testing; utilizzando un account civetta oppure utilizzare le funzioni di testing della piattaforma, se ne hai una.Verificare se ci sono Spam Words, troppi caratteri maiuscoli o troppe immagini.Inviare; l’azione è ben definita.Effettuare la corretta ricezione; sempre con l’utilizzo di account civetta o grazie a strumenti di tracking.Nella fase di analisi andiamo a verificare:I tassi di consegna; quante mail sono state consegnate? Alcune sono andate in Spam? Quante sono tornate indietro per posta piena o inesistente? Molto importante per pulire i database e rendere più efficiente la lista.I tassi di apertura; quante persone hanno aperto la email? Il subject è efficace? I tassi di click; quante persone hanno cliccato sul link? Sono interessate?I tassi di disiscrizione; quante persone hanno cancellato l’iscrizione? Hanno segnalato come spam? Perché?I tassi di conversione; quante persone hanno fatto ciò che volevo?In questa fase è necessario studiare ogni singolo invio, ma aggregare i dati per una visione generale.Per poter realizzare una campagna di direct marketing è fondamentale possedere tre diverse competenze e tutte collegate; competenze creative per poter attirare l’utente, coinvolgerlo e risultare attraente (subject, contenuto, mail from), competenze tecnologiche, per la gestione dell’antispam, del tracciamento, invio, scelta del tool, e competenze analitiche, per la fase di raccolta e analisi dei risultati per ottimizzare il processo.Spesso si annuncia la morte dell’email marketing, ma in realtà è ancora uno strumento fortissimo di acquisizione, nurturing e comunicazione con il proprio pubblico.
Far vivere alle persone un’esperienza digitale positiva, o addirittura memorabile, è il miglior modo per attirarle, se non ci conoscono, e trattenerle, se ci conoscono.La User Experience è la dimensione della progettazione focalizzata sull'uso che le persone fanno di un prodotto o servizio.Uno dei principali studiosi della materia è Jakob Nielsen, noto informatico e imprenditore danese, che afferma che la UX è la sommatoria dell’emozioni, delle percezioni e delle reazioni che una persona prova quando entra in contatto con un’azienda, con un prodotto o un servizio.Invece parliamo di usabilità, intesa come una delle materie di UX, come il grado si efficacia, efficienza e soddisfazione con cui gli utenti si relazionano ad un sistema, quando il sistema è un sito web parliamo di Web Usability.Efficacia è la misura in cui un utente raggiunge un obiettivo di un compito in modo corretto e completo.Efficienza è la quantità di risorse spese dall’utente per raggiungere l’obiettivo prefissato.Soddisfazione è il piacere provato durante la navigazione.Quindi è possibile affermare che la UX e l’usabilità sono entrambe focalizzate sul cliente/utente, adoperando strumenti adeguati per far vivere un’esperienza memorabile e osservare le attività svolte per realizzare i reali bisogni delle persone.Il modello di UX Design si articola in tre fasi processuali:•Ricerca e analisi; in cui si raccolgono i dati per analizzare i bisogni degli utenti, si studiano i modelli dei competitors e si analizzano i dati di mercato.•Progettazione; che consiste nella fase creativa, nell'uso di strumenti di generazione idee, brainstorming, post-it e pennarelli, alberi di progettazione e tutti gli strumenti di agile design.•Valutazione; che consiste in test con utenti, o analisi da parte di esperti in materia, per ottenere un feedback prima della messa on-line.I principali strumenti che si possono utilizzare per creare siti coinvolgenti e user friendly sono :•Brainstorming; che consiste nel produrre idee, senza censura e liberamente, con l’utilizzo di strumenti visuali, post-it, immagini, alberi delle idee, colori e cartoncini, prioritizzando e selezionando le prime da mettere a terra.•Benchmark; o analisi dell’esperienza utente dei competitor, per individuare punti di forza e debolezza, o spunti di analisi, delle piattaforme dei nostri competitors, diretti ed indiretti.•Personas; che sono delle simulazioni di utenti, quanto più precise possibili, rappresentative dei dati qualitativi e quantitativi dei cluster di riferimento.•Costumer Journey; praticamente il viaggio che il nostro utente effettua in tutti i suoi punti di contatto con il brand, anche dal lato emotivo.•Cart Sorting; che su utilizza per creare i menù di navigazione e la mappa del sito, con post-it e cartellini si chiamano i partecipanti a classificare gli argomenti per categorie e inserire un “naming” delle voci.•Schizzi su carta; che creano una bozza di design sulle idee presentate permettendo di raccogliere i primi feedback.•Wireframe; che mostrano la struttura del sito, ed è una rappresentazione visiva della struttura, dei contenuti, della gerarchia delle informazioni e le funzionalità.•User test; che consiste nel testare empiricamente il sito, o ecommerce, per comprenderne l’usabilità con utenti esterni al progetto.•Usability Checkup, che consiste nel far analizzare il sito, secondo principi prestabiliti, da esperti di UX per una valutazione finale.I principali campi di analisi da valutare sono l’identità che mostriamo sul sito, è chiara e definita?, l’Homepage, comunichiamo l’obiettivo principale del sito?, il menù, è troppo ampio o profondo?, la scrittura è breve e diretta?, design, come sono i colori, il font e lo stile?, tecnica, funziona su tutti i browser? È “responsive”?Con l’uso, oramai principale, dello smartphone è fondamentale, quando si progetta la UX di un sito o ecommerce, progettarlo con un’usabilità massima sia da desktop che da mobile.Progettare un sito con una User Experience, memorabile ed emozionale, è fondamentale per ottenere nuovi utenti, fidelizzare i clienti in essere e creare un’immagine del brand soddisfacente nel lungo periodo.
Come siamo arrivati all’Industria 4.0?Ebbene è importante tenere in considerazione le 3 fasi precedenti che hanno caratterizzato i passaggi antecedenti l’industria 4.0.Le rivoluzioni industriali sono state fasi storiche caratterizzate dall’aumento della produttività e dal cambiamento, o trasformazione, delle tecnologie adottate, incidendo sempre più nell’approccio alla produzione.Da questo punto di vista, a parer mio, è più giusto parlare di evoluzione industriale e non rivoluzione.Le fasi si distinguono in:1.Prima rivoluzione industriale, verso la fine del XVI secolo, caratterizzata dalle prime macchine che hanno permesso l’aumento della produzione, alleviando gli operai dal lavoro usurante. In questa fase la tecnologia ha dato l’impulso alla produzione che inizia a generare economie di scala.2.Seconda rivoluzione industriale, nella seconda metà del XIX secolo, con la nascita della catena di montaggio che supporta la produzione nella creazione di grossi lotti a basso costo. La tecnologia supporta la produzione di grosse quantità, con qualità standardizzata, impattando, notevolmente, sui costi.3.Terza rivoluzione industriale, nella seconda metà del XX secolo, che associa la produzione all’elettronica. In questo caso la tecnologia supporta la produzione di massa garantendo la qualità, anche in operazioni complesse, riducendo l’incidenza dei lavori usuranti, aumentando la richiesta di competenze specifiche.4.Quarta rivoluzione industriale (Industry 4.0), fondamentalmente dal XXI secolo, che trasforma il paradigma in un rapporto, sempre più complesso, con la tecnologia che supporta lo sviluppo del design, manifatturiero, dei servizi e nei sistemi di produzione.Il mondo virtuale e reale diventeranno sempre più connessi e sarà sempre meno netto il confine tra loro, con la nascita di sistemi “cyberfisici” che collegano umano e robotica.Si integrano, e si mettono in comunicazione, tutte le funzioni aziendali fino ad espandersi esternamente all’azienda, dalla fornitura delle materie prime, passando per i processi produttivi, fino alla rete commerciale permettendo di esternalizzarlo creando prodotti specifici e customizzati.L’implementazione di queste tecnologie ha permesso di simulare, prototipare, in maniera digitale, e valutare l’impatto del prodotto o processo sulla base di modelli digitali prima della produzione.Invece nel processo di output è possibile, grazie a sistemi produttivi flessibili, di customizzare i prodotti in linea con le necessità dei propri clienti.Quindi il digitale interviene in tutte le fasi del progetto di progettazione, dalla simulazione al computer, alla realizzazione guidata da processi tecnologici, e da computer, e la possibilità di fare manutenzione, e quindi continuità, con operai non specializzati.Il governo dei processi passa attraverso 4 fasi fondamentali:1.La misurazione, che rapportato agli strumenti digitali all’interno dell’Industria 4.0 avviene tramite sensori.2.Il trattamento, e la trasmissione del dato, che avviene tramite l’infrastruttura.3.L’analisi del dato, con l’utilizzo di algoritmi.4.L’azione/reazione, quindi prototipazione, testing e scalata, che prevede la collaborazione tra uomo e macchina.Il digitale supporta e sviluppa questo processo riducendo costi, supportando la personalizzazione del bene (customizzazione), l’automazione delle fasi del processo (riducendo l’intervento umano) e l’accorciamento dei tempi, tutti elementi che possono rappresentare un vantaggio competitivo.Il principale vantaggio che hanno comportato le nuove tecnologie è sicuramente la possibilità di accesso ad esse a chiunque, anche ad aziende di piccole e medie dimensioni, sviluppando il concetto di “democratizzazione della tecnologia”, o democratizzazione della produttività attraverso l’innovazione, che si fonda sulla possibilità di accedere a queste tecnologie anche a realtà che prima non potevano per competenze, costi e difficoltà di implementazione.Pensiamo al cloud, quanto ha cambiato l’utilizzo di molti tools, o di tecnologie, senza dover apportare ingenti modifiche all’infrastruttura, come per esempio un CRM, che solo qualche anno fa comportava l’implementazione di un software costoso e invasivo, che richiedeva personale specializzato, ed oggi è possibile acquistare ad utenza, a costi irrisori, tutto on-line, senza dover sostenere costi aggiuntivi.Oppure la possibilità di fare campagne pubblicitarie, mirate e targettizzate, a costi bassi e non necessariamente da riportare a soggetti esterni.Questo fenomeno permette a piccole realtà di poter accedere ai servizi, allo stesso livello dei grossi poli industriali, che si possono sfruttare con l’obiettivo di generare vantaggio competitivo e scalare la produzione. In Italia, purtroppo, siamo in ritardo, ma pensiamo a quanto potrebbe incidere la democratizzazione delle tecnologie nelle realtà di piccole e medie dimensioni presenti sul nostro territorio. Saranno quindi determinanti le scelte che le nostre PMI faranno nei prossimi anni…
Il cambiamento aziendale può intendersi in due macrocategorie: La gestione del cambiamento delle organizzazioni e la gestione del cambiamento degli individui.In un mercato volatile, incerto, complesso e ambiguo (VUCA) la priorità è attivare un cambiamento veloce, con la partecipazione del 50%+1 iniziale e nella giusta direzione.Attivare un processo di cambiamento è molto complesso per vari motivi:•le resistenze dei collaboratori•le resistenze dei manager che tendono a non supportare il cambiamento•la mentalità della leadership•la mancanza di pianificazione, e allocazione, delle risorse necessarie.Uno studio di McKinsey & Company ha rilevato che il 70% dei programmi di trasformazione fallisce proprio a causa della non giusta aspirazione da parte della leadership, che non sarà in grado di trascinare tutta l’organizzazione, una mancante attenzione alle competenze aziendali, sottovalutando processi di assessment, formazione e affiancamento, e a causa di infrastrutture non adeguate, di una struttura poco agile e flessibile.https://www.mckinsey.com/business-functions/transformation/our-insights/why-do-most-transformations-fail-a-conversation-with-harry-robinsonQuesti errori si possono ricondurre in tre fasi, temporali e processuali, in cui possono incidere maggiormente:•Errori in fase di lancio, quindi nel primo momento del processo, è necessario individuare i sostenitori e i resistenti (valutando i parametri di competenze digitali e predisposizione al cambiamento), creare il framework entro il quale muoversi, stabilire la mission e la vision strategica ed operativa, ascoltare il più possibile gli stakeholder.•Errori in fase di sostegno al cambiamento, è fondamentale formare e supportare i champions identificati, comunicare lo storytelling del cambiamento, nel tempo e con costanza, enfatizzare i benefici possibili e condividere il più possibile gli obiettivi.•Errori in fase di sviluppo, bisogna formare e fornire informazioni utili a tutta la popolazione degli stakeholder, aprire un dibattito continuo e rassicurante, monitorare i comportamenti.Fondamentale è, nel cambiamento organizzativo, porsi tre domande che risultano essere le principali leve dei progetti:1.Perché cambiare?2.Come cambiare?3.Cosa cambiare?Perché cambiare? Per rispondere a questa domanda bisogna immaginare i possibili scenari che si manifesteranno, non è necessario avere la palla di cristallo, ma bisogna formarsi, informarsi, imparare a vedere le cose diversamente, ad anticipare i tempi e saper cogliere le opportunità (penso a big player che non hanno avuto il coraggio di cambiare come Kodak per esempio).È necessario preparare uno scenario planning che permetta di anticipare i segnali, più o meno evidenti, e attuare, o modificare in corsa, le strategie necessarie che permettano un vantaggio competitivo.Molto importante risulta la narrazione di questo nuovo “viaggio”, che deve essere chiara, semplice, diretta alle persone, alla loro testa e alla loro pancia, e che trasmetta i valori e lo scopo del cambiamento.Come cambiare? Stimolando la leadership ad essere da traino e modello da emulare. È fondamentale condividere e far partecipare la leadership a tutto il processo, devono essere autentici e credibili.Molto importante è comunicare in maniera costante, efficace, ed esplicativa sia fisicamente che grazie all’ausilio di piattaforme aziendali di condivisione, di formazione e intrattenimento.È fondamentale creare contesti collaborativi dove le persone possono confrontarsi, condividere, allineare le idee e partecipare direttamente, per esempio con Hackaton, hub e partecipazione ai progetti.Ed in ultimo può essere utile riprogettare gli spazi di lavoro in strutture più flessibili, adattabili e che prevedano spazi di collaborazione e confronto informale.Cosa cambiare?Sicuramente il mindset, quindi la mentalità, il modo di ragionare, è un passaggio fondamentale. Se non si cambia il modo di vedere e fare le cose, anche quelle che da sempre vanno bene, non si può effettuare un vero processo di cambiamento. Anche la struttura, più agile e adattabile, dovrà essere rivista, come i processi devono essere ridisegnati per aumentare il valore ed accelerare le decisioni e le esecuzioni.Bisogna cambiare le modalità di lavoro, mai come in questo periodo, che dovranno prevedere rapporti off-on line, gestione dei processi in piattaforme integrate e di condivisione, la gestione del tempo e delle task, e la loro responsabilità, e la predisposizione alla partecipazione condivisa delle informazioni.Lo stile di leadership deve trasformarsi da funzione di controllo e pianificazione in abilitatore di risorse e moltiplicatore di energia, come è necessario identificare le competenze chiave per attivare il cambiamento.In ultimo è utile creare sistemi di premialità non basati solo sul valore economico, ma che ascolti le necessità degli individui, restituendo benefici personalizzati che proiettino obiettivi di carriera e crescita.In merito agli strumenti del cambiamento personale diventa necessario:sviluppare la capacità di rischio, imparare dagli errori, vedere le cose diversamente, e quindi uscire frequentemente dalla propria zona di comfort, mettere in discussione le nostre convinzioni (bias cognitive) e i nostri principi, aggiornare le competenze e conoscenze con molta formazione, studio e sperimentazione, e lavorare sulle nostre energie interne.L’azienda può attivare processi di:Life long learning, con strumenti di formazione, reverse mentoring, affiancamento, condivisione e co-creazione, partecipazione attiva e team working, che permettano un approccio di apprendimento continuo e di crescita, e partecipazione al progetto, costante.Sperimentazione, creando framework sicuri, dove le persone possano agire su nuovi comportamenti, e nuovi processi, sfidandosi nel trovare soluzioni da testare, prioritizzare e scalare, eventualmente, ma che garantiscano l’esperienza nel tempo.Personal branding, quindi supportare le persone nel ridefinire la propria immagine come persone e professionisti, mettendo a fuoco la propria unicità ed autenticità.
“Il concetto di sé” è la moltitudine di elementi che si utilizzano per descrivere se stessi.“L’autostima” è il giudizio sul nostro valore, dato da noi stessi, intimamente. È quindi una valutazione che non diamo agli altri ma che ognuno di noi pensa di sé.Uno dei più assidui studiosi della materia è sicuramente William James, noto psicologo e filosofo statunitense morto nel 1910, che ha definito l’autostima come valore derivante dal rapporto tra il sé percepito (successo) e il sé ideale (aspettative); il rapporto tra questi due fattori si piò sintetizzare nel rapporto tra fattori interni, cosa si crede di sé, ed esterni, cosa si vorrebbe di sé.Il risultato del rapporto genera un gap, positivo o negativo, che condiziona l’autostima e quindi le azioni che ne derivano.Quanto più basso e il percepito di sé ed elevato il sé ideale tanto più è basso il livello di autostima; specularmente quanto più elevato è il percepito in confronto all’ideale tanto più alto sarà il livello di autostima.Avere una buona autostima ci rende, generalmente, più felici, sicuri, più appetibili agli occhi degli altri e più propositivi nell’affrontare le sfide e le opportunità della vita.Diversamente una bassa autostima ci rende meno sicuri, meno felici e meno resistenti alle sfide della vita.L’autostima è collegata in maniera circolare a processi sia esterni che interni, se è in grado di condizionare, positivamente e negativamente, sulle nostre performance e pur vero che le nostre performance incidono sull’autostima.In poche parole, l’autostima può essere sia causa che effetto di una buona o cattiva performance.Volendo definire dei profili tipo, ovviamente non considerandole assolutistiche e del tutto generaliste, possiamo affermare che:•le persone con autostima globalmente alta tendono ad essere ottimiste, resilienti e riescono a gestire gli eventi negativi con serenità. •Le persone con bassa autostima tendono ad essere pessimiste, poco reattive e non sempre riescono a gestire le loro potenzialità di fronte a eventi negativi.Come già anticipato queste due categorie non vanno viste in senso assoluto, nella propria vita si avranno alti e bassi, come si riuscirà alcune volte a gestire bene le difficoltà altre volte meno, però è anche vero che persone con alta, o bassa, autostima affrontano diversamente le situazioni.Sulle prestazioni possiamo dire che persone con alta autostima tendono a lavorare molto sodo, con serenità e senza timore delle proprie aree di debolezza, anzi si impegnano al massimo per colmare le lacune.Dall’altra parte, le persone con bassa autostima tenderanno ad essere sopraffatte dall’ansia e a rinunciare, e non perseguire, le sfide che nei primi tentativi risultano in efficaci.Per poter migliorare l’autostima possiamo:1.Evidenziare e sottolineare tutte le volte che ci diamo un obiettivo, o ci danno un obiettivo, quanto è importante e, rispetto a quanto possiamo raggiungerlo, quanto è sfidante.2.Non attribuirsi tutte le responsabilità di un insuccesso, bisogna analizzare, e scindere, le causa di un insuccesso tra quelle prodotte da noi e quelle di cui non siamo responsabili, non con l’intento di voler sminuire, ma con l’obiettivo di valutare lucidamente ciò su cui possiamo intervenire.3.Non valutarsi in maniera troppo rigida, ma con obiettività senza drammatizzare ma con spirito di miglioramento.4.Individuare il peso di ogni insuccesso, ridimensionandolo, non per far finta che non pesi per sé e per gli altri, ma identificando le cause per portare soluzioni, senza considerare il successo e l’insuccesso in forma assoluta.