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RadioNext è il programma settimanale di Radio 24 sulla trasformazione digitale, un confronto sulle tematiche digitali viste con gli occhi dell'imprenditore, del manager, del professionista per capire le opportunità e gli impatti che il cambiamento epocale che stiamo vivendo offre alla nostra classe…

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    • Nov 28, 2025 LATEST EPISODE
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    AI nei processi, decisioni alle persone: la ricetta per scalare

    Play Episode Listen Later Nov 28, 2025


    In continuità con la puntata della scorsa settimana, torniamo su un punto chiave: senza scala, nel digitale si sopravvive ma non si compete. Con Federico Leproux, ceo di TeamSystem Group, mettiamo a fuoco perché il "mercato" delle soluzioni software per imprese, microimprese e persino ditte individuali tende a diventare un'area unica che supera i confini nazionali: Mediterraneo allargato, Europa centro-sud, Paesi con maturità e quadro normativo simili. Non si tratta solo di vicinanza geografica: contano cultura, timing regolatorio, modelli d'uso e incentivi che portano il digitale fino al professionista "quasi consumer". Domanda per i nostri ascoltatori: la vostra strategia riflette davvero dove oggi si sta formando la domanda, o siete ancora fermi alla mappa di ieri?Qui emerge il primo warning: rimanere piccoli è un rischio sistemico. In tecnologia l'agilità iniziale non basta; servono capitali, talenti, know-how, capacità di mettere AI e data platform dentro i prodotti. Chi non scala, presto soffrirà anche fuori dall'IT. E allora come si cresce? Federico suggerisce un playbook semplice e concreto per chi sta valutando acquisizioni: 1) partire dal razionale strategico, non dall'innamoramento per i numeri; chiedersi come l'insieme renda migliore entrambe le aziende; 2) costruire un business plan congiunto che traduca sinergie e integrazione in progetti operativi; 3) verificare il fit culturale, perché le persone devono voler lavorare "allo stesso modo" e con orizzonte condiviso; 4) definire da subito il management: c'è in casa, lo trovo nel target o devo inserirlo? Quanti deal si inceppano perché questi elementi arrivano dopo e non prima? Sullo sfondo, il ruolo del legislatore europeo: non solo "regolare", ma soprattutto rendere davvero omogeneo il mercato per consentire a player regionali di scalare. Gli USA e la Cina hanno un mercato-continente; l'Europa deve costruire scala "per design", con standard, procedure e incentivi coerenti. Siamo davvero pronti a scambiare un po' di complessità normativa con più competitività di lungo periodo? Sull'AI, nessuna fuga in avanti: non è hype passeggero, è un cambio di produttività che resterà. La differenza, però, la fa l'umano che sa usare l'AI come acceleratore: embedded nei processi, capace di macinare dati, pre-calcolare, sintetizzare, mentre le decisioni restano alle persone. Siamo disposti a far lavorare l'AI dietro le quinte, anziché delegarle il pensiero? Ultimo caveat: c'è il rischio di "atrofia cognitiva" se demandiamo troppo alla macchina; perciò governance e cultura digitale diventano fattori di competitività tanto quanto il codice. In sintesi: focus su geografie adiacenti, coraggio di scala, M&A con disciplina strategica, regole intelligenti per un mercato davvero unico e AI pragmatica nei processi. È qui che si gioca la partita dei prossimi tre anni.

    La vera scala è l'integrazione, non il fatturato

    Play Episode Listen Later Nov 21, 2025


    Acquisire per accelerare, integrare per creare valore: è questa la trama che emerge con chiarezza quando si parla di come una tech company possa usare le operazioni straordinarie come motori di crescita, senza perdere l'anima da "grande startup". Il punto non è sommare fatturati né rincorrere vanity metrics, ma innestare competenze, prodotti e tecnologie che rendano il portafoglio più solido e la macchina organizzativa più veloce. Ai microfoni di #RadioNext e abbiamo parlato con Federico Leproux, amministratore delegato di TeamSystem Group.Siamo davvero pronti a valutare un'acquisizione come leva industriale e non come esercizio finanziario? La risposta passa da un doppio filtro: fit strategico e fit culturale. Il primo chiede una tesi chiara-cosa aggiunge quel prodotto alla nostra base clienti, alla nostra piattaforma, al nostro canale?-e una road map di integrazione che inizi dal giorno uno, spesso ancora prima del closing, con un piano industriale congiunto che definisca obiettivi, orizzonti temporali e scambi di valore reciproci. Il secondo, più delicato, riguarda i comportamenti: valori condivisi, regole del gioco esplicite, autonomia locale dove serve, ma sempre sotto una rotta comune. Perché acquisire all'estero, o anche solo in contesti di mercato molto diversi, significa rispettare usi, tempi, festività, persino piccoli rituali organizzativi, senza rinunciare a standard, piattaforme e pratiche che generano economie di scala e di scopo. Qui si gioca l'equilibrio vero: quanta libertà concedere alle unità locali per essere rilevanti sul territorio e quanta convergenza pretendere per generare effetto rete? La lezione è netta: si concede autonomia per il go-to-market e le specificità del servizio, si impone compatibilità su architetture, sicurezza, dati, qualità e governance.La scala non è un feticcio: serve perché tecnologia e talenti costano sempre di più, perché le soglie d'ingresso si alzano e perché la competizione non aspetta. Ma la scala senza integrazione crea costellazioni di marchi che non si parlano: un modello da fondo passivo, non da partner industriale. E allora il prodotto dell'acquisito deve poter salire su tutto il gruppo, dove ha senso, mentre la piattaforma, le practice e il brand del gruppo devono scendere a servizio dell'acquisito. Non tutto si fa subito-riscrivere un pezzo di software richiede mesi se non anni-ma tutto va pianificato, con milestone, metriche e sponsorship chiare. E il rischio che i founder "escano" portandosi via valore? C'è, ma si attenua allineando gli incentivi: ruoli manageriali nel perimetro più ampio, patti di earn-out legati a obiettivi industriali, percorsi che trasformano l'imprenditore in leader di piattaforma, non in spettatore. In fondo, la domanda cruciale per manager e imprenditori è semplice: questa combinazione rende l'insieme migliore delle sue parti? Se la risposta è sì, il resto è execution: designare la cabina di regia dell'integrazione, definire gli standard minimi non negoziabili, mappare sinergie tech e commerciali, strutturare un PMO che tenga insieme giorni 1, 100 e 365. Perché integrare non è un progetto: è una competenza core. E la vera innovazione organizzativa è saperla praticare ogni volta, con disciplina e curiosità.

    Dal mito a Milano al talento a Messina: state guardando nel posto giusto?

    Play Episode Listen Later Nov 14, 2025


    Sud Innovazione non nasce come un'ennesima conferenza, ma come infrastruttura: un rapporto che misura, una competition che seleziona eccellenze, un summit che collega imprese, università e istituzioni. È questo il messaggio che Roberto Ruggeri porta ai microfoni di RadioNext: il Mezzogiorno non va più trattato come periferia da assistere, ma come piattaforma competitiva dove qualità della vita, creatività e talenti internazionali attraggono imprese e investimenti. Siamo davvero pronti a riscrivere la mappa dell'innovazione italiana?I segnali ci sono: atenei meridionali con corsi attrattivi anche per l'estero (l'Università di Messina conta migliaia di iscritti stranieri), poli di big tech e deep tech già operativi (Cosenza per NTT Data, Catania per STMicroelectronics), una base di ricerca sull'AI capace di richiamare professori di livello internazionale. Per i manager il tema non è "se" guardare al Sud, ma "come" inserirlo in una strategia di diversificazione: costo dei fattori mediamente inferiore del 25-30%, bacini di talento meno saturi, mercati emergenti e, soprattutto, un arbitraggio competitivo possibile tra qualità della vita e produttività. Ma non basta aprire un ufficio: serve una regia. Oggi le politiche regionali funzionano a macchia di leopardo (Puglia docet), mentre il sistema avrebbe bisogno di una cabina interregionale che renda immediatamente "leggibile" il Mezzogiorno alle corporate del Nord e agli investitori esteri. Chi deve fare il primo passo? Le imprese possono attivare accordi con gli atenei - veri nodi di competenze e network globali - usando il Rapporto Sud Innovation come bussola per ridurre il rischio percepito grazie a un indicatore proprietario di competitività. Le istituzioni, dal canto loro, dovrebbero collegare gli incentivi e standardizzare percorsi, perché i silos territoriali sono il vero freno. E l'orizzonte? L'AI accelera tutto e impone una rotta chiara: riportare l'uomo al centro. È qui che il Sud può giocare una partita identitaria - una "risposta mediterranea" alla Silicon Valley - valorizzando umanesimo, creatività e contaminazione con i mercati del bacino. La traiettoria è ambiziosa: estendere rapporto, competition e summit al Mediterraneo, catalizzando capitali e progetti cross-border.Allora la domanda vera diventa: stiamo costruendo un ecosistema capace di far tornare i talenti e far crescere le imprese, o ci accontentiamo di un'arena di eventi? Se la misurazione guida le decisioni, la competizione fa emergere i migliori e il summit connette chi decide, il Sud può passare dal "potenziale inespresso" alla pipeline di innovazione dell'Italia. E per chi deve scegliere dove investire le prossime risorse, l'invito è pragmatico: mappa dei talenti con le università, partnership operative con i campioni locali, governance interregionale. Il resto è execution.

    Dal carrello al cantiere: l'e-commerce che installa

    Play Episode Listen Later Nov 7, 2025


    Climamarket non è "solo" un e-commerce: è la dimostrazione che quando un'azienda parte da una filiera reale, la accorcia e la ricompone intorno al cliente, il digitale diventa moltiplicatore di valore, non vetrina di prezzo. La storia raccontata ai microfoni di Radio Next da Emanuele Scilanga, direttore generale di E-Globe S.p.A., è istruttiva per chiunque operi in mercati maturi e ultra-competitivi come la climatizzazione e il riscaldamento. Il punto di svolta? Portare online non soltanto il catalogo ma la promessa del negozio fisico: consulenza, trasparenza, installazione chiavi in mano. Siamo davvero pronti a misurare il nostro e-commerce sulla qualità del servizio, e non sullo sconto in homepage? Per E-Globe la risposta è sì, perché il cliente non cerca un "prodotto" di efficientamento energetico: cerca una soluzione che funzioni, sia installata a regola d'arte e arrivi nei tempi che la vita di oggi impone. Da qui l'impegno a garantire in Italia la consegna con installazione in cinque o sei giorni lavorativi "con un click": una value proposition semplice da capire, difficile da replicare senza un'organizzazione end-to-end e una rete di partner davvero selezionata. Dietro c'è una scelta strategica chiara: spostarsi dalla pura distribuzione al servizio completo, evitando la trappola dei marketplace dove si compete solo sul prezzo. È un messaggio a tutti i brand e i retailer che fanno fatica a difendere margini e identità: la differenza non la fa l'algoritmo di bidding, la fanno la consulenza e l'esecuzione. Quali processi e competenze servono per sostenere questa promessa? In primo luogo una rete di installatori costruita negli anni, qualificata su sicurezza e standard operativi, e gestita come asset critico, non come "ultimo miglio" da improvvisare. La selezione è progressiva: si parte "larghi" e si ottimizza, con criteri oggettivi di qualità e affidabilità. Così l'azienda può dire al professionista di Pescara (o di Aosta): "domani ti affido un cliente, tu installa e rispetta il percorso di qualità; al resto pensiamo noi". È un capovolgimento rispetto al modello tradizionale: il partner non deve fare CRM o generazione di lead, perché la piattaforma si prende carico di orchestrare domanda, logistica, compliance. Un invito a tanti operatori B2B italiani: siete disposti a portare in casa vostra il "pezzo di servizio" dove nasce il valore?Secondo pilastro: la trasparenza. Prezzi, condizioni, tempi, responsabilità. In un settore affollato, la frizione informativa è spesso la vera barriera all'acquisto. Rendere visibile ciò che normalmente è opaco-dal preventivo all'installazione-non è un vezzo di UX, è una leva commerciale. Ogni manager e-commerce dovrebbe chiedersi: quanta incertezza sto scaricando sul cliente? Posso trasformarla in promessa contrattuale e, quindi, in vantaggio competitivo?Terzo pilastro: il capitale. La scelta di quotarsi in Borsa non è stata un esercizio di immagine: ha abilitato raccolta di risorse per un piano industriale più ambizioso, ha consolidato la credibilità verso partner e fornitori e ha reso possibili operazioni straordinarie, come l'acquisizione della spagnola Bayona-oggi Climamarket Europe-che ha accelerato il posizionamento internazionale. È una lezione utile per chi scala dal regionale al nazionale (e oltre): il passaggio non si fa solo aumentando il budget media, ma costruendo solide fondamenta finanziarie e istituzionali. Ci chiediamo spesso se "il digitale" basti a crescere: questa esperienza dice che il digitale va innestato su scelte corporate-governance, finanza, M&A-coerenti con l'ambizione. Quarto pilastro: il talento. La conversazione scardina un luogo comune duro a morire-il digitale è "solo" Milano-e mette al centro la leva più sottovalutata delle imprese del Sud: le competenze che ci sono, che possono rientrare, e che si fidelizzano quando l'azienda dà voce, responsabilità e traiettorie di crescita. Non è retorica: se la piattaforma digitale consente di vendere e servire clienti ovunque, allora l'organizzazione può attrarre profili ovunque e riportare a casa professionalità emigrate, a patto di offrire un progetto credibile, processi chiari e un ambiente dove le persone contano davvero. La domanda da manager è brutale: stiamo ripensando ruoli, formazione e percorsi per far sì che i team periferici siano centrali? O continuiamo a cercare profili "copy-paste" nel raggio di tre fermate di metro?C'è poi un messaggio operativo destinato a PMI e retail tradizionali: "credere" nel digitale significa dotarsi di una presenza che accompagni ogni fase del customer journey, anche quando l'acquisto si chiude nel negozio fisico. Oggi, con l'avvento dell'intelligenza artificiale conversazionale, la discoverability non passa solo dal motore di ricerca, ma da risposte che gli utenti ottengono in chat. Questo impone contenuti chiari e strutturati, schede prodotto ricche, politiche di prezzo leggibili, FAQ utili, e soprattutto una logistica del servizio (installazione, resi, manutenzione) disegnata per essere promessa e mantenuta. Siamo pronti a misurare KPI che contano davvero-lead to install, time-to-comfort, NPS post-intervento-invece di fermarci al CTR della campagna?Il caso Climamarket suggerisce anche un'architettura di crescita per chi opera in settori "heavy": 1) posizionamento sul valore totale della soluzione, non sul prezzo del singolo componente; 2) orchestrazione di partner locali con standard condivisi e incentivi corretti; 3) contratti e processi che rendano misurabile la promessa (tempi, sicurezza, qualità); 4) uso della leva finanziaria per scalare mercati e consolidare brand; 5) cultura organizzativa che metta le persone-clienti e team-al centro. È un framework replicabile in molti comparti, dall'arredo bagno alle caldaie fino all'home improvement: ovunque l'installazione sia parte integrante dell'esperienza, l'e-commerce di prodotto che diventa e-commerce di soluzione crea barriere all'entrata più solide di qualsiasi sconto.Infine, una riflessione di governance digitale: la "libertà dell'utente" evocata da Scilanga non è uno slogan, è design del servizio. Vuol dire poter scegliere tempi, modalità, trasparenza sul prezzo, canali di supporto. Per ottenerla, l'azienda deve rinunciare a un po' di controllo interno-aprire API organizzative, standardizzare flussi, accettare la disciplina della misurazione-per guadagnare fiducia esterna. È un cambio di mentalità che separa chi "fa e-commerce" da chi costruisce piattaforme di business. La domanda che resta sul tavolo, per tutti: stiamo progettando i nostri canali digitali come se dovessimo installare-non solo vendere-ciò che promettiamo? Perché è lì, nel momento della verità, che si vince la partita.

    Dal menù al magazzino: l'AI che ordina per te

    Play Episode Listen Later Oct 31, 2025


    Ecco un settore, la ristorazione, che non può più permettersi comfort zone: margini compressi, flussi imprevedibili e un consumatore oscillante tra voglia di socialità e praticità del "tap to eat". I numeri citati in puntata parlano chiaro: saldo negativo tra aperture e chiusure nell'ultimo biennio e situazione in deterioramento; non fisiologia, ma trasformazione strutturale. Da cosa nasce? Da un lato la desertificazione delle attività su strada; dall'altro, non tanto la mancanza di denaro quanto l'"effetto incertezza" che frena il consumo fuori casa: crisi internazionali, instabilità geopolitica, messaggi che agitano mercati e famiglie. È davvero solo un tema di scontrino medio o è la percezione di rischio a guidare le scelte? In questo quadro, la digitalizzazione non è un gadget: è architettura operativa. La direzione indicata da iPratico è netta: piattaforma "open" capace di ospitare moduli propri e soluzioni terze, al contrario dei modelli "walled garden" che impongono pacchetti chiusi. Tradotto per un ristoratore o una catena: posso comporre il mio stack - cassa, ordering, pagamenti, logistica, analytics - senza lock-in, e attivare rapidamente ciò che mi serve, quando mi serve. È questa componibilità a liberare efficienza, perché riduce i costi di integrazione e accelera il time-to-value delle iniziative digitali. Perché è cruciale? Perché la competizione oggi non è tra "ristoranti digitali" e "ristoranti analogici", ma tra filiere corte e filiere inefficienti; tra chi governa il dato in tempo quasi reale e chi decide su consuntivi mensili. Qui entra Soplaya: un front-end semplice per l'acquisto che nasconde un back-end industriale. Un unico ordine, un'unica fattura, un unico pagamento e una consegna unificata per fresco, secco e surgelato, con refurbishment automatico sulla base del venduto, tracciato dalla cassa; fino a 20 ore a settimana recuperate nella gestione procurement; riduzione del food cost e, soprattutto, dello spreco grazie a un modello di replenishment più frequente e coerente con la domanda reale. La vera innovazione, però, non è solo nel carrello unico: è nell'orchestrazione di filiera. Pianificazione delle rotte, gestione dei magazzini, integrazione con i produttori e sincronizzazione dei dati con il punto cassa. Il risultato è un ciclo chiuso del dato: lo scontrino alimenta il fabbisogno, il fabbisogno alimenta l'ordine, l'ordine alimenta la consegna, la consegna aggiorna il magazzino, e il magazzino ritorna al menu. È qui che "dati di cassa + distinte base + scorte" promettono, nei prossimi mesi, suggerimenti d'ordine quasi in autopilota. Non è fantascienza: è ciò che da anni fanno retail e GDO; la ristorazione oggi può entrarci con strumenti nati per lei. E la scalabilità? Soplaya dichiara copertura già estesa nel Nord e Centro Italia, con modello "ordini entro mezzanotte, consegna il giorno dopo", e piani di espansione nazionale e internazionale: la geografia segue la domanda delle catene e di community di clienti che si allargano. Significa che un gruppo multi-sede può disegnare processi replicabili e KPI comparabili tra piazze diverse, togliendo variabilità al costo del venduto, alla dispersione di cassa e alla qualità del servizio. Qui la missione di iPratico è chiara: creare una user experience senza frizioni su pagamenti e ordering, dal chiosco al QR al conto "al tavolo", integrando le migliori tecnologie senza chiedere al cliente di capire cos'è "issuing" o "acquiring". Il punto non è la feature, è l'esperienza. Cosa significa, operativamente, per manager e imprenditori del food service? Primo: pensare "platform" e non "progetto". Definire una reference architecture fatta di moduli attivabili via API; fissare standard dati e policy d'integrazione; pretendere SLA misurabili su latenza, uptime e tempi di onboarding. Secondo: connettere front-of-house e back-of-house. Il dato di cassa vale se guida procurement, menu engineering e pricing dinamico. Non basta "vedere" vendite: serve trasformarle in forecast, suggerimenti d'ordine e rotazioni di magazzino. Terzo: misurare il ROI su tre leve dure - tempo, scorte, margini. Ore liberate per settimana (planner e chef), giorni di copertura media per categoria, % di deperibile buttato, food cost per piatto e per canale (sala vs delivery), lead time dall'ordine allo scaffale. Quarto: lavorare sulla governance del cambiamento. La tecnologia fallisce quando è "sovrapposta" al servizio, non quando lo ridisegna. Formazione, incentivi e rituali operativi (daily di 10 minuti su scorte critiche e forecast) trasformano un software in disciplina. Siamo davvero pronti a governare questo passaggio? La vera domanda non è "quale software", ma "quale modello operativo" vogliamo adottare per guadagnare resilienza e margine in un contesto incerto. Le testimonianze di Domenico Palmisani e Mauro Germani in puntata indicano una rotta: piattaforme aperte, integrazione rapida, automazione del procurement, e un'idea di esperienza che mette al centro la semplicità per il cliente e la solidità per il conto economico. La ristorazione non può scegliere tra digitale e relazione: deve ricombinarli. Il tavolo resta il luogo della socialità, il dato il suo sistema nervoso. Chi saprà orchestrare entrambi, non solo resterà in piedi: guiderà il mercato.

    Il controllo di gestione entra su WhatsApp

    Play Episode Listen Later Oct 24, 2025


    A Host Milano la trasformazione digitale della ristorazione non è più un tema da convegno, è gestione quotidiana. Francesco Tansella, CEO di Olivia, racconta una svolta semplice quanto radicale: far "parlare" i dati del ristorante su WhatsApp. Come? Partendo dal gestionale di cassa (iPratico) e integrando fonti esterne - cassetto fiscale, costo del lavoro, recensioni - in un unico database su cui si innesta un'IA generativa "alla ChatGPT" che risponde a voce o testo come fosse il tuo consulente, ma in tempo reale . L'impatto manageriale è evidente: se ogni lunedì arriva su WhatsApp un riepilogo di fatturato, prodotti più venduti e andamento del margine, il controllo di gestione non è più un "progetto" ma un'abitudine operativa; il dato diventa leva di decisione e non più rincorsa a fine mese . La conversazione si sposta dal "quanto ho speso?" al "come ottimizzo domani?". Siamo davvero pronti a fare budgeting in chat? Il caso Olivia mostra che la semplificazione dell'interfaccia (la famosa dashboard che si riduce a un messaggio) è la scorciatoia giusta per far scalare l'uso del dato in PMI e microimprese, evitando overload informativo e investendo su visualizzazioni essenziali: pochi numeri, colori chiari, comprensione immediata . Sul piano operativo, la stessa infrastruttura abilita previsioni di magazzino: partendo dalle vendite e dalle ricette si risale alla materia prima e, sotto soglia, si può arrivare a riordinare con un semplice audio su WhatsApp . Verticalità è la parola chiave: niente avventure orizzontali, focus totale sul food per conservare precisione e velocità d'esecuzione. E la cultura? Due leve: formazione e semplicità. In Italia decine di migliaia di ristoratori stanno investendo in corsi e masterclass; quando il mercato impara a leggere EBITDA e costo del venduto con costanza, il salto di qualità diventa sistemico. Se poi l'output arriva in PDF o in chat con 4-5 KPI chiave (fatturato settimanale, coperti, costo del venduto, EBITDA), l'adozione diventa irreversibile . Ma come si convince chi "ha sempre fatto così"? Non si parte dagli scettici: si lavora con innovators ed early adopters, si crea massa critica e si lascia che i follower vedano i risultati - per esempio "vedere il margine in automatico" allo stand - prima di salire a bordo . E per disinnescare la "negazione dell'evidenza", Olivia propone una challenge: 30 giorni di confronto fra le performance del ristorante e le previsioni/ottimizzazioni dello strumento; alla fine i numeri parlano da soli. Se proprio non bastasse, Francesco rilancia: "sfida sulla previsione di fatturato di domani" e verifica a consuntivo. La domanda vera, allora, è un'altra: siamo pronti a spostare il controllo di gestione dove stanno già le conversazioni del team - in una chat - e a misurare con rigore cosa funziona ogni 30 giorni? Chi lo farà per primo, farà scuola. Gli altri seguiranno, come sempre avviene quando innovazione e ritorno economico si incontrano.

    E se l'AI fosse tutta una bufala?

    Play Episode Listen Later Oct 17, 2025


    Solo il 6% delle imprese italiane oggi dichiara benefici tangibili dall'IA-riduzione dei costi o nuovi ricavi-su un campione di circa 250 aziende tra grandi e PMI. Dato modesto? Sì. Sorprendente? No. Parliamo di tecnologie generative discusse seriamente da appena due anni, in un contesto di hype che gonfia le aspettative e paralizza le decisioni. Eppure la domanda è brutale: possiamo davvero permetterci di aspettare che la "maturità" arrivi da sola?È stata questa la domanda di partenza della chiacchierata di questa settimana con Filipe Teixeira, CEO & founder di AltermAInd.Dalla conversazione emerge una tesi netta: il piede va messo subito, e non solo il piede. L'IA non è un "nuovo canale" come fu il web: cambia il rapporto uomo-macchina da deterministico a relazionale, introduce un "advisor" digitale che riscrive i processi. Tradotto per il board: sperimentare sì, ma in modo intenzionale, su problemi reali o opportunità concrete, con perimetri chiari e metriche sensate. L'alternativa è la FOMO, che costa e non rende: molti hanno già speso senza ritorni pur di "poter dire di farlo". Meglio pochi casi d'uso, bene selezionati, che un catalogo di demo. E no, non servono milioni: il costo d'uso è sceso negli ultimi due anni e continuerà a scendere.Il vero collo di bottiglia, però, non è la tecnologia: è la governance. Nelle organizzazioni manca una regia trasversale che tenga insieme IT, business e operations; il risultato è l'"e-shadowing": strumenti personali, spesso a pagamento, usati fuori dal perimetro aziendale. È una bomba a orologeria per sicurezza, compliance e qualità. Senza una governance a 360 gradi si rischia di risolvere i problemi sbagliati, perdere le opportunità giuste e ritrovarsi fuori mercato mentre un nuovo competitor, abilitato dall'IA, comprime i tempi di ingresso a 3-4 anni. Domanda per i C-level: chi, in azienda, è responsabile di disinnescare questo rischio sistemico?C'è poi l'Europa, con GDPR oggi e AI Act domani. La sfida non è solo adottare modelli, ma farlo in modo conforme "by design", per evitare di tornare indietro tra sei mesi con i processi già in produzione. Il messaggio operativo è chiaro: selezionare fornitori e soluzioni che offrano percorsi di conformità verificabili e aggiornabili, non promesse generiche. Nel frattempo, serve "observability" dell'IA: costi, qualità, rischio e controllo regolamentare tracciati con la stessa disciplina con cui si governa una filiera mission-critical.Ultimo, ma decisivo, il tema delle competenze. Prima ancora della formazione tecnica, serve consapevolezza: passiamo dal "programmare" al "configurare e validare" modelli. I leader devono saper interrogare l'IA, comprenderne limiti e bias, spiegare e validare gli output. Non è filosofia: è l'unica base per ripensare strategia e processi con lucidità, scegliendo dove mettere l'IA in produzione e dove no. E ricordiamolo: l'aspettativa dei clienti sta cambiando. Dopo l'era delle app guidate dai social, l'interazione si sposta verso interfacce conversazionali e vocali; clic e filtri lasciano spazio al dialogo naturale con la macchina. Siamo pronti a riscrivere la customer experience su questo paradigma?C'è un'ultima nota, scomoda ma necessaria: il rischio reputazionale. Un chatbot generativo non controllato può essere portato-volontariamente-su temi sensibili e "rompersi" in pubblico, producendo risposte inaccettabili. È già successo. Per questo la governance include guardrail tecnici (moderazione, policy, audit) e processi (approvazioni, monitoraggio) prima, durante e dopo il rilascio. L'IA è un abilitatore potente ma indifferente: amplifica valore o danno con la stessa efficienza. Saremo noi a decidere quale dei due.

    Dal gaming alla fabbrica: il linguaggio dei giovani è già quello del business (parte II)

    Play Episode Listen Later Oct 10, 2025


    Nella seconda parte della conversazione con Fabrizio Savorani, event director della Milan Games Week & Cartoonics, il focus si sposta dalle dinamiche di mercato del gaming alle opportunità per le imprese. Perché un’azienda che produce componenti meccanici o materiali plastici dovrebbe interessarsi al digital entertainment? Perché, risponde Savorani, è “il nuovo linguaggio con cui le giovani generazioni parlano”. E non si tratta solo di marketing: è un tema di cultura organizzativa e di recruiting.Chi oggi ha tra i 15 e i 30 anni è cresciuto nei mondi digitali, ha imparato a lavorare in team globali e a raggiungere obiettivi condivisi, proprio come in un videogioco. La gamification non è più un artificio, ma una grammatica del lavoro contemporaneo. Le aziende che vogliono attrarre talenti devono saper dialogare in questo linguaggio e riconoscere il valore di questi ambienti come palestre di collaborazione e creatività. Come osserva Fabrizio, «chi è più bravo di un videogiocatore a pilotare un drone?».Ma il dialogo con i nuovi pubblici non si ferma al gaming. L’evento di Milano abbraccia anche fumetti, anime, musica e serie TV, celebrando quella che Savorani definisce “trasmedialità totale”. I confini tra le industrie si dissolvono, e ciò che unisce i pubblici non è più il formato, ma la storia. Che arrivi da una tavola disegnata, da una console o da uno schermo, l’universo narrativo è ciò che costruisce engagement, identità e valore economico.È in questo contesto che esplode il fenomeno dei webtoon - fumetti digitali nati per lo smartphone, consumati scrollando lo schermo come un feed social. In Corea del Sud, racconta Savorani, questi contenuti sono diventati una vera industria, in cui le community producono storie che le piattaforme selezionano e premiano, trasformandole in serie TV o videogiochi. Un ciclo virtuoso dove i dati guidano la creatività e la proprietà intellettuale diventa moneta culturale.Anche in Italia nuovi protagonisti si muovono su questo confine: creator come Dario Moccia, Fraffrog e Sio stanno fondando case editrici digitali capaci di generare collezioni che si esauriscono in ore, ribaltando il modello editoriale tradizionale. Il creator non è più solo un testimonial: diventa autore, produttore e imprenditore di storie.Come dice Savorani, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto continua a trasformarsi - anche nel business. E chi oggi osserva da lontano il mondo del digital entertainment, rischia di restare fuori da un linguaggio che sta già ridisegnando l’impresa.RadioNext - ogni venerdì alle 20.45. Riascolta la prima parte della conversazione sul sito di Radio 24 e non perdere i nuovi episodi dedicati al futuro del digital entertainment.

    Gaming: perché le aziende italiane restano spettatrici di un'industria da 190 miliardi?

    Play Episode Listen Later Oct 3, 2025


    Fabrizio Savorani, organizzatore della Milano Games Week & Cartoomics è l'ospite di una doppia puntata di #RadioNext dedicata al gaming e al digital entertainment. La sua narrazione ha delineato una mappa del settore che tocca da vicino anche le aziende non direttamente coinvolte nel consumo finale. Il punto di partenza è un dato che sorprende: 3,6 miliardi di persone nel mondo giocano, con un mercato che vale circa 190 miliardi di dollari l'anno, sei volte il cinema. Non è solo l'immaginario del quindicenne davanti a una console, ma un pubblico che va dalla signora che gioca su mobile in metropolitana, fino al professionista occidentale che investe ore e denaro in titoli complessi. Perché allora in Italia le aziende sembrano ancora esitanti a investire in questo ambito?Savorani preferisce parlare di transmedia entertainment: fisico e digitale sono ormai intrecciati in un unico continuum. L'evento stesso, con il tema “onlife” ispirato a Luciano Floridi, riflette questa fusione. Ed è chiaro che la componente mobile domina, soprattutto in Asia-Pacifico, mentre l'America Latina cresce grazie a un maggiore potere d'acquisto delle nuove generazioni. Un dato colpisce le imprese: solo il 10% dei giocatori genera il 65% dei ricavi, con una forte concentrazione di spesa nelle fasce d'età più alte e altospendenti. Non è questa una leva da considerare in strategie di marketing e di engagement, anche in contesti B2B?La questione culturale emerge con forza. In Asia il gaming è un fenomeno collettivo, con stadi pieni per eventi eSport, in Europa rimane più legato a una fruizione personale. Ma la trasformazione non riguarda solo i pubblici. Nel 2023 oltre 14.000 addetti sono stati licenziati dagli studios, a causa di una combinazione di intelligenza artificiale, che sostituisce funzioni di programmazione, e dei costi enormi per sviluppare titoli AAA. In parallelo, i modelli di distribuzione cambiano: dal digital download alla subscription economy, con piattaforme che diventano nuovi gatekeeper, come dimostra l'acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft.Il gaming, dunque, non è più soltanto intrattenimento ma infrastruttura economica e culturale che ridisegna processi, modelli di business e strategie di accesso al mercato. La prossima puntata, venerdì, proseguirà l'analisi sul ruolo del digital entertainment e le implicazioni per aziende e istituzioni.

    Puntata del 26/09/2025

    Play Episode Listen Later Sep 26, 2025


    Dal feeling ai dati: scalare coaching e mentoring in azienda

    Play Episode Listen Later Sep 19, 2025


    In questa seconda puntata della nuova stagione di #RadioNext, Giacomo Gentili, co-founder e chief product officer di Pack, mette a terra un’idea semplice per HR e line manager: coaching e mentoring funzionano quando sono progettati come un prodotto, orchestrati in digitale e misurabili. La piattaforma porta in remoto ogni sessione, gestisce onboarding e matching in modo data-driven e usa feedback continui per leggere impatto e progressi; l’algoritmo suggerisce una shortlist di professionisti (fino a dieci) sulla base di più di 20 variabili, poi si passa alle “sessioni di chimica” per validare il feeling umano. Niente raccolta di dati sensibili dalle videochiamate: la misurazione serve a migliorare il percorso, non a invadere la sfera personale. Per le aziende italiane il primo ostacolo non è tecnico ma culturale: chiarire cosa distingue mentor e coach cambia aspettative e KPI. Il mentor trasferisce esperienza e risponde alle domande; il coach abilita l’autonomia delle risposte. Domanda chiave per chi guida people development: come trasformare questa distinzione in brief chiari per i fornitori e in metriche di efficacia condivise con il business?Sul fronte organizzativo, la domanda di senso (e la volatilità) resta alta. Programmi di mentoring/coaching aiutano a gestire l’incertezza e, quando fanno emergere un mismatch, persino un’uscita può essere letta come costo evitato e chiarezza guadagnata. Grandi imprese: impatto più rapido grazie alla scala; PMI: la leva è il “mindset” dell’imprenditore. E l’AI? Oggi è supporto al professionista; domani avatar per scalare a tutta la popolazione. Siamo pronti a integrarli senza erodere l’esperienza umana che fa funzionare davvero questi percorsi?

    Entra in vigore il Data Act: cosa cambia davvero per le imprese

    Play Episode Listen Later Sep 12, 2025


    Bentornati alla settima stagione di #RadioNext, dove settimanalmente affrontiamo il tema degli impatti della trasformazione digitale e delle tecnologie abilitanti sui mercati, i modelli di business, le organizzazioni e i processi. E ripartiamo da un tema che impatta processi, contratti e P&L: il Data Act, che entra in vigore oggi, venerdì 12 settembre 2025.Con Giulia Sala, partner e co-responsabile Data Protection & AI di DGRS - Studio Legale Milano, abbiamo messo a fuoco cosa cambia davvero per le imprese con l’entrata in vigore del regolamento: più controllo degli utenti-persone e aziende-sui dati generati dai dispositivi connessi, dall’auto ai macchinari IoT, e obblighi puntuali per produttori e fornitori di servizi ancillari nel rendere disponibili i “dati grezzi”. La conseguenza è industriale prima che giuridica: supply chain di dati da aprire, policy da riscrivere, interfacce di richiesta e consegna da progettare per non trasformare la compliance in attrito operativo. Per i team legali e data/IT la “ABC” operativa parte dalla mappatura: quali dataset condividere e in che formato, quali proteggere per segreto commerciale e IP, come tracciare e validare le richieste (oltre alla titolarità effettiva del prodotto)? In ambito automotive e manutenzione, l’accesso ai dati abilita nuovi modelli di assistenza e concorrenza sull’aftermarket: è l’occasione per ripensare partnership e SLA, non solo i testi contrattuali. Sul cloud il regolamento attacca il lock-in: trasparenza nei contratti, migrazioni facilitate e, dal 2027, niente costi di switching. Tradotto per CIO e CPO: pianificare fin da ora architetture portabili, data export “one-click” e clausole di uscita effettive, perché i vincoli economici diventano sempre meno difendibili alla luce della norma. Resta un rischio di complessità per l’utente finale, tra informative e consensi; ma qui il punto non è (solo) il perimetro privacy. L’obiettivo dichiarato è economico: sviluppare il mercato dei dati, anche a vantaggio delle PMI che finora non potevano accedere a informazioni chiave per casi d’uso come la manutenzione predittiva. La domanda per chi guida il business è diretta: come trasformare l’accesso ai dati d’uso in nuove linee di ricavo o in risparmi misurabili, senza scaricare complessità su clienti e rete? Il Data Act non vive isolato: si innesta accanto a GDPR, Data Governance Act e Digital Markets Act, come ulteriore tassello della strategia europea dei dati. Perché non trattarlo come un progetto prodotto-con owner, backlog e KPI-anziché una semplice “checklist legale”?

    Dal digital twin alla generative AI: quando il beneficio supera il consumo

    Play Episode Listen Later Jul 25, 2025


    Francesca Saraceni, co-fondatrice e CEO di Intellico, è l'ospite di questa settimana di #RadioNext, a margine del Net Zero Milan Expo Summit 2025.Il confronto parte da un principio: ogni progetto di intelligenza artificiale deve dimostrare di compensare il costo energetico e infrastrutturale che comporta. Saraceni parla di “visione duale” – beneficio di business e sostenibilità – e invita le imprese a chiedersi prima di tutto se l'AI serva davvero o se un approccio statistico tradizionale basti. Quale bilancio energetico giustifica l'adozione di un modello AI in produzione? Nei processi deterministici (controllo qualità, taglio assi), modelli leggeri in locale sono spesso più che sufficienti, mentre in contesti a elevata variabilità – come il reattore che trasforma scarti industriali in materiali da costruzione – reti neurali e digital twin diventano indispensabili per ridurre scarti, consumo di ciclo produttivo e CO2. Sul fronte della generative AI, la CEO di Intellico suggerisce di ridurre il footprint computazionale con motori meno “energivori” affiancati da sistemi RAG che filtrano il contesto informativo. Qui emerge il tema della protezione del dato: ambienti dedicati o architetture multitenant, clausole di proprietà e tutela dell'apprendimento derivato fanno parte del pacchetto tecnologico-contrattuale richiesto dai clienti industriali. L'Unione Europea? Le norme sull'AI Act sono viste come un freno gestibile: limitano le applicazioni ad alto rischio, ma lasciano spazio a ricerca e sperimentazione. La sfida maggiore resta la competenza interna: molte aziende oscillano tra prudenza e aspettative irrealistiche. Come capire se il proprio livello di maturità digitale è sufficiente per passare dal “proof of concept” alla produzione scalabile?

    Integrazione digitale in acciaieria: dai dati di processo alle soluzioni proattive di ABS Acciai

    Play Episode Listen Later Jul 18, 2025


    Gli impianti di Acciaierie Bertoli Safau (ABS) non sono più soltanto forni e laminatoi: grazie a modelli di predizione digitale e gemelli virtuali anticipano in laboratorio il comportamento di leghe d'acciaio sempre più complesse, riducendo cicli di prova, materiali scartati e consumo energetico. «Gestiamo migliaia di ricette diverse» spiega Francesca Maurigh, Customer Quality Director in ABS Acciai, sottolineando come il vantaggio competitivo oggi passi dalla capacità di coniugare prestazioni meccaniche e sostenibilità ambientale.La varietà di dati raccolta in tempo reale – temperature, tempi di raffreddamento, consumi di ferroleghe – alimenta modelli che seguono il materiale «dal rottame al componente finito» , portando l'affidabilità delle previsioni a livelli che, fino a pochi anni fa, sembravano irraggiungibili. Ma come trasformare linee produttive nate per la meccanica tradizionale in nodi intelligenti di una catena dati? L'azienda punta su retrofitting mirato: sensori, automazione modulare e aggiornamenti elettronici permettono di estrarre informazioni anche dalle macchine più datate, rendendole al contempo più efficienti sul piano ambientale .Il tema organizzativo non è secondario. «Competenze interne o partner esterni?» È una delle domande che ci siamo posti durante l'intervista. Per Francesca la risposta sta nella collaborazione lungo tutta la filiera: ascoltare il cliente finale, ma anche i costruttori di impianti, combinando know-how proprietario e conoscenze specialistiche del mercato .E se il cliente non dettasse più la “ricetta”? ABS sta già invertendo il flusso: forte dei dati raccolti su processi e prestazioni, propone in autonomia nuove soluzioni d'acciaio ai settori downstream, passando da fornitore esecutivo a partner di innovazione. Per le imprese manifatturiere che leggono, il messaggio è chiaro: digitalizzare materiali e processi significa trasformare ogni fase produttiva in un punto di raccolta conoscenza, accorciare lo sviluppo di prodotto e generare offerte proattive, prima che sia il mercato a chiederle.

    Da open data a buyer persona: 60 milioni di italiani sintetici per decisioni più mirate

    Play Episode Listen Later Jul 11, 2025


    Matteo Giovannetti – co-fondatore e CEO di Clearbox AI, presenta Replica Italia, un “digital twin” costituito da 60 milioni di individui sintetici che riproducono le variabili sociodemografiche e i comportamenti di acquisto degli Italiani reali. Il progetto, spinto dalla necessità di dati di qualità per marketing e analytics, punta a offrire un'unica base informativa coerente e interrogabile in linguaggio naturale.La costruzione del gemello digitale si fonda esclusivamente su open data rilasciati da Istat, Eurostat, Agenzia delle Entrate, Banca d'Italia e altre fonti pubbliche; nessun dato personale viene trattato, evitando scraping o pratiche che metterebbero a rischio la privacy. In questo modo l'azienda assicura un impianto etico e legale solido, pur mantenendo la granularità necessaria alle analisi di mercato.Quale valore operativo può generare una mappa che segnala dove il tuo target è sovrarappresentato rispetto alla media nazionale? Replica Italia permette di selezionare un indirizzo, impostare un raggio o un'isocrona e ottenere in tempo reale la fotografia socio-economica delle persone che vivono o gravitano nell'area: uno strumento che accelera decisioni su aperture di punti vendita, campagne locali o ridisegno delle reti commerciali.Per le imprese che vogliono arricchire la piattaforma con first-party data è disponibile una versione enterprise: il database “si muove” nell'infrastruttura del cliente, evitando l'estrazione di informazioni sensibili e consentendo analisi integrate più avanzate. E la qualità? Clearbox AI applica un layout di validazione automatica che verifica la coerenza statistica di ogni output rispetto alle fonti reali, supportato da metriche open-source maturate in anni di ricerca.Quanto sarebbe utile, infine, estendere il modello al B2B per simulare non solo i consumatori, ma anche le aziende e la loro forza lavoro? Clearbox AI sta già esplorando questa evoluzione, aprendo spazi di analisi sulle dinamiche occupazionali e sulle professionalità che cambieranno i mercati nei prossimi anni.

    Dati, algoritmi e ospedali: l'efficienza predittiva secondo Siram Veolia

    Play Episode Listen Later Jul 4, 2025


    Al Net Zero Milan Expo Summit i microfoni di Radio Next ospitano Riccardo Malabarba Head of Data di Siram Veolia. Fin dal 2017 l’utility ha avviato un percorso di trasformazione digitale che integra algoritmi di machine learning nei sistemi di controllo degli impianti energetici a servizio di ospedali e grandi complessi, con l’obiettivo di ottimizzare in tempo reale set-point e flussi multi-energia.Il cuore della soluzione è un middleware che armonizza i dati provenienti da asset eterogenei e spesso vetusti, li arricchisce con previsioni meteo e li consegna a modelli predittivi capaci di anticipare la domanda dell’edificio. La robustezza degli algoritmi viene salvaguardata da un monitoraggio continuo: alert automatici segnalano deviazioni critiche e innescano la ri-taratura, rendendo superflue le chiamate “non funziona!” tipiche delle fasi di collaudo.Il beneficio? In media un risparmio energetico del 12 % sugli impianti già abilitati, con punte più alte quando il perimetro di controllo include generatori, reti di teleriscaldamento e apparecchiature frigorifere.Resta però il nodo della data quality in contesti dove la sensoristica è frammentata da decenni di retrofit: “ospedali con più di cinquant’anni e sistemi dipartimentali che non si parlano” richiedono verifiche di campo e formazione degli operatori, altrimenti il classico garbage in garbage out mina l’efficacia di qualsiasi modello.Quanto può pesare la qualità del dato quando l’efficienza si gioca su qualche punto percentuale? E, guardando agli edge-data-center citati nell’intervista, non è forse arrivato il momento di estendere la stessa logica di controllo predittivo all’intera filiera energetica, dal prosumer alla generazione rinnovabile?

    Dall'ingaggio alla strategia: trasformare i creator in asset di business sostenibile (parte II)

    Play Episode Listen Later Jun 27, 2025


    In un mercato in cui i contenuti digitali sono per la gran parte disponibili gratuitamente per l’utente finale, la sostenibilità economica dei creator passa dalla pubblicità: l’azienda deve quindi considerarli veri e propri partner media, inserendo questa voce di spesa a bilancio con gli stessi criteri di efficacia e misurabilità riservati a TV o stampa. Torniamo a parlarne in questa seconda puntata con Aurora Cavallo, creatrice del brand Cooker Girl.Le collaborazioni di lungo periodo ricorda Aurora, che vanta accordi pluriennali con brand di cookware rafforzano la credibilità presso il pubblico e consentono di monitorare non solo la reach ma anche la coerenza d’uso del prodotto sul medio periodo, trasformando i post sponsorizzati in proof point continui. Il discrimine tra semplice creator e professionista sta nella puntualità delle consegne, nella disponibilità ai rework e nella capacità di co-progettare la campagna; fattori che riducono il rischio operativo per il brand. Come integriamo oggi questi indicatori nei nostri processi di sourcing? La selezione del partner non può prescindere dall’allineamento etico e di contesto: rifiutare sponsorship fuori categoria o lontane dai valori dichiarati tutela la reputazione di entrambe le parti e limita le frizioni con le community. Nei progetti corporate più strutturati, il brief tende a essere prescrittivo; l’esperienza di Aurora suggerisce di prevenire conflitti con controproposte puntuali, evitando contenuti rigidi che l’utente ignora. L’azienda è pronta a trattare il creator come consulente editoriale e non come semplice esecutore? Errori ricorrenti: ignorare il tone of voice per cui il creator è stato scelto, imporre copy innaturali, lanciare prodotti con nomi impronunciabili, privilegiare il messaggio verbale a scapito della resa visiva e dell’opportunità di agganciare trend audio-visivi che moltiplicherebbero la reach. Quando il contratto si estende su base annuale, il creator assume un ruolo consulenziale, offrendo insight per i contenuti corporate al di fuori dei propri canali: una competenza di storytelling già inclusa nel costo della partnership che conviene capitalizzare con processi interni disposti ad ascoltare.

    Cooker Girl, dalla ricetta al modello di business: la formula della scalabilità dei contenuti (Parte I)

    Play Episode Listen Later Jun 20, 2025


    Nel 2020, l'arrivo di TikTok e dei formati short ha spinto Aurora Cavallo a portare la sua competenza culinaria online, trasformando "Cooker Girl" in un laboratorio di sperimentazione. Qui, la prodotto-ricetta viene testata finché non diventa una vera e propria promessa di risultato per l'utente finale.Questa attenzione alla validazione tecnica, insieme alla scelta di semplificare i processi senza comprometterne la precisione, evidenzia un punto fondamentale per le aziende di oggi: la qualità percepita passa attraverso l'affidabilità dell'esperienza, non solo attraverso lo storytelling.Il modello di business che ne deriva si sviluppa su due fronti. Da un lato, c'è la community B2C, coinvolta con contenuti gratuiti che educano e costruiscono fiducia. Dall'altro, ci sono i clienti B2B, ovvero editori e brand, con cui sviluppare format, libri e masterclass, bilanciando così diverse fonti di ricavo. Non è un caso che l'e-book venduto unicamente sul sito proprietario, senza alcuna spinta pubblicitaria, abbia registrato conversioni significative: la distribuzione diretta diventa un test di maturità per la fan-base e, allo stesso tempo, un laboratorio per nuove linee editoriali.Quali competenze servono a un content creator per evolvere in impresa? Prima di tutto, un approccio imprenditoriale, che include la gestione autonoma della contrattualistica e investimenti nella sperimentazione, anche anni prima di vederne i ritorni economici. In secondo luogo, una visione verticale sul prodotto: ogni ricetta è trattata come un servizio, affinata per essere scalabile e replicabile dall'utente, a dimostrazione che competenza e intrattenimento non sono in opposizione ma leve complementari.Come, dunque, trasformare i contenuti in asset aziendali? La risposta sta in una strategia che vede il personal brand come una vera e propria piattaforma: un presidio diretto della relazione con il pubblico, una sperimentazione costante di formati e pricing, e alleanze industriali mirate per espandere il portafoglio senza limitarsi a essere un semplice fornitore di visibilità.

    Chi sopravvivrà alla transizione digitale dei trasporti? (Parte II)

    Play Episode Listen Later Jun 13, 2025


    La trasformazione digitale del settore dei trasporti non è più una scelta strategica opzionale, ma una necessità competitiva dettata dalla convergenza di pressioni normative, carenza di manodopera e richieste sempre più stringenti dei clienti. Le imprese si trovano oggi davanti a un bivio: investire in tecnologie che riducano l'impatto ambientale e migliorino l'efficienza operativa, oppure rischiare di essere escluse dai tender più importanti.Come spiega Andrea Fossa, responsabile scientifico dell'Osservatorio Contract Logistics Gino Marchet del Politecnico di Milano, il retrofit tecnologico sui mezzi esistenti rappresenta una delle prime sfide pratiche per le aziende. Mentre la telematica di bordo è ormai diffusa anche sui veicoli più datati, il vero salto di qualità arriva con l'utilizzo dei dati in tempo reale per ottimizzare i consumi e ridurre le emissioni. Non si tratta più di affidarsi a stime di letteratura o protocolli standard, ma di misurare l'effettivo consumo di carburante, tracciare i comportamenti di guida e identificare margini di miglioramento che possono raggiungere cifre a doppia percentuale.Ma quanto sono davvero ricettive le imprese di fronte a sistemi che diventano sempre più complessi? La dimensione aziendale fa la differenza. Le flotte più grandi hanno già investito in control tower e sistemi di ottimizzazione avanzati, sfruttando marketplace e piattaforme digitali per massimizzare la saturazione dei mezzi e ridurre i chilometri a vuoto. Per le realtà più piccole, l'accessibilità tecnologica è aumentata grazie alla riduzione dei costi dell'IoT e dei sensori, rendendo possibile implementare soluzioni un tempo riservate ai grandi operatori.Michele Palumbo, docente di Operations e Supply Chain alla Cattolica di Milano, sottolinea come la pressione normativa europea, con l'estensione dell'ETS al trasporto su strada prevista per il 2026, stia accelerando questi processi. Non si tratta solo di conformità: i clienti iniziano a inserire nei capitolati richieste specifiche sui piani di miglioramento ambientale nei contratti pluriennali. Il calcolo delle emissioni CO2 diventa parametro di gara accanto a costi, servizi e tempistiche.In questo scenario, la carenza di autisti - 25.000-30.000 unità mancanti solo in Italia, con una previsione di pensionamento del 50% degli attuali conducenti nei prossimi dieci anni - rappresenta paradossalmente un'opportunità. Lo sviluppo di sistemi sempre più automatizzati e l'evoluzione verso cockpit digitali avanzati possono rendere la professione più attrattiva per i giovani, trasformando un mestiere tradizionalmente percepito come pesante e poco tecnologico.Come si concilia però questa spinta verso l'automazione con l'esigenza di mantenere competitività sui costi? La risposta sta nell'ottimizzazione: utilizzare algoritmi predittivi per la pianificazione delle rotte, sfruttare i big data per anticipare le esigenze della supply chain, implementare sistemi che passino dal semplice controllo descrittivo alla gestione autonoma dei processi. Palumbo evidenzia come stiamo assistendo a una migrazione verso un mondo autonomo, capace di considerare informazioni in tempo reale e trovare soluzioni ottimali sulla base di parametri multipli.Le aziende che hanno investito in questa direzione non solo rispettano i parametri di sostenibilità richiesti dai clienti, ma sviluppano anche un vantaggio competitivo nell'attrarre talenti. Come osserva Fossa, il tema dell'attrattività diventa cruciale: lavorare per un'azienda green che investe in digitale e sostenibilità fa la differenza sia nel recruitment che nella retention del personale. L'evoluzione è in corso e le aziende devono decidere se cavalcare l'onda dell'innovazione tecnologica o subire le conseguenze di un mercato che premia sempre più chi sa coniugare efficienza operativa, sostenibilità ambientale e capacità di adattamento ai nuovi paradigmi digitali.

    Dati, algoritmi e collaborazioni: le tre leve degli autotrasporti per vincere l'ETS (Parte 1)

    Play Episode Listen Later Jun 6, 2025


    L’ESG nel trasporto non è più questione di efficienza o servizio. Il paradigma è sistemico e strategico: l’Emission Trading System dell’UE stabilisce un tetto alle emissioni e costringe ogni tonnellata di anidride carbonica a trovare un prezzo sul mercato. Con Fit for 55 il meccanismo, dopo aviazione e marittimo, si estende alla strada dal 2026; in Germania il carbon charge ha già toccato 50 €/t e, agendo a monte sul carburante, interesserà l’intera filiera dell’autotrasporto.Il primo passo operativo per un’azienda è misurare. Senza dati granulari sulle emissioni non si prendono decisioni né si accede a eventuali crediti; la qualità del reporting diventa parte del rischio regolatorio e del vantaggio competitivo.Il secondo è cooperare. La sostenibilità richiede di creare sinergie anche fra concorrenti, condividendo carichi, infrastrutture digitali e standard di scambio dati. Quanto siamo disposti a rivedere i confini tradizionali pur di ridurre il costo della decarbonizzazione?La leva tecnologica abilita questa evoluzione. Dall’analisi descrittiva dei flussi si passa a intelligenze prescriptive e, a tendere, a sistemi autonomi che ricalcolano rotte in tempo reale integrando traffico, costi e vincoli ESG. L’adozione di algoritmi predittivi basati su big data non è più appannaggio dei grandi player: piattaforme as-a-service rendono accessibili ai padroncini gli stessi strumenti di ottimizzazione. Quali investimenti in AI-driven planning possono ancora essere rimandati?La carbon tax implicita dell’ETS esigerà un pricing dinamico dei trasporti, nuovi modelli di procurement energetico e scenari di rete che valorizzino le leve di mitigazione. La velocità dell’esecuzione determinerà la quota di mercato e la marginalità delle imprese nel prossimo triennio.

    Dalla lamiera al bit: il modello digitale che ridisegna l'ecosistema dell'acciaio

    Play Episode Listen Later May 30, 2025


    Come trasformare una filiera matura in un hub di conoscenza quotidiana? Nel caso dell’acciaio, la risposta di Paolo Morandi, CEO di Siderweb, è una piattaforma digitale che connette 1.500 aziende lungo tutta la catena del valore, dai rottami alla distribuzione, integrando dati di mercato, analisi dei prezzi e ricerche originali in tempo reale. Il risultato è un connettore di conoscenza che, grazie a un ufficio studi verticale, rileva settimanalmente 60 categorie di prodotto e offre insight finanziari e normativi indispensabili per decisioni operative e strategiche. L’asse portante del modello è la community: contenuti prima, relazioni subito dopo. Webinar settimanali con centinaia di partecipanti e la biennale “Made in Steel” trasformano la dimensione online in momenti fisici di confronto, ribadendo che la tecnologia abilita ma le persone consolidano il valore. In questo equilibrio l’intelligenza artificiale diventa il prossimo acceleratore: dalla profilazione delle informazioni all’automazione dei prezzi, prepara la filiera a navigare mercati sempre più volatili.Il nodo della sostenibilità — economia circolare basata sul rottame, riduzione delle emissioni, regolamentazioni europee — spinge le imprese verso sinergie ancora parzialmente inesplorate. Da qui nasce “Industria Acciaio 2050”, esercizio condiviso tra produttori, distributori e settori d’impiego per anticipare materiali, processi e modelli di business dei prossimi decenni.Non basta però la proiezione sul futuro: occorre rendere il settore attrattivo per i talenti digitali. “Siderweb Educational” riunisce academy e best practice per raccontare l’acciaio come tecnologia abilitante e non come industria tradizionale. Quale altra filiera potrebbe trarre benefici da un hub che unisca formazione, dati proprietari e networking verticale?

    L'IA non pensa, ma ci costringe a pensare

    Play Episode Listen Later May 16, 2025


    Nel nostro dialogo con Riccardo Manzotti, ordinario di filosofia teoretica allo IULM di Milano, emerge una riflessione profonda e controcorrente sull’intelligenza artificiale, affrontata non dal punto di vista tecnico, ma da quello più inquietante e strategico: che cosa significa davvero pensare, e cosa ci distingue - se ancora qualcosa ci distingue - da un sistema algoritmico capace di linguaggio.L’intelligenza artificiale generativa oggi non è pensante nel senso classico, sostiene Riccardo Manzotti, e forse nemmeno noi lo siamo nel modo in cui ci siamo raccontati. Il pensiero, tradizionalmente legato a un “io interiore”, non è mai stato individuato scientificamente. E allora: abbiamo davvero bisogno del concetto di pensiero individuale per spiegare le capacità cognitive, oppure è un residuo animista che possiamo abbandonare?L’AI lavora diversamente da noi: parte dalla conoscenza e dal linguaggio, mentre l’evoluzione umana ha prima dato corpo e volontà, poi parola. È quindi legittimo chiedersi: stiamo davvero saltando le tappe, oppure stiamo invertendo la direzione evolutiva? E in questa inversione, quali sono i rischi, ma anche le opportunità strategiche per le organizzazioni?Un punto chiave per le imprese è comprendere che ciò che definiamo “intelligenza” non presuppone necessariamente coscienza o intenzione. Gli LLM (Large Language Models) non hanno uno scopo proprio: trasformano l’informazione in conoscenza, ma non “vogliono” nulla. Tuttavia, l’asimmetria tra linguaggio e volontà apre scenari complessi. Siamo pronti a riconoscere il momento in cui un sistema smette di essere uno strumento e inizia a essere un soggetto? E in quel momento, con quali criteri etici e giuridici dovremo trattarlo?Per le aziende, la posta in gioco non è solo l’adozione efficiente dell’AI, ma la capacità di interfacciarsi con un “agente” che imita - e forse supererà - le dinamiche sociali e cognitive umane. L’AI è uno specchio: ci mostra ciò che siamo, e ciò che potremmo perdere. La differenza cruciale, secondo Manzotti, resta nella nostra capacità di creare l’incommensurabile, di dare valore, di concepire ciò che ancora non esiste.In questo quadro, la domanda decisiva non è tanto “cosa può fare l’AI per noi”, quanto “cosa dice di noi il modo in cui costruiamo e usiamo l’AI”. E soprattutto: saremo capaci di distinguerci, o ci limiteremo ad allenare una macchina a diventare più umana di noi?Proveremo a dare risposte a queste e ad altre domande. Buon ascolto!

    Ogni prodotto è una piattaforma: il futuro dell'autenticità nel fashion e oltre

    Play Episode Listen Later May 9, 2025


    Mentre il dibattito sulle fake news continua ad animare il panorama mediatico, un altro tipo di falsificazione colpisce in modo altrettanto grave il tessuto economico: la contraffazione dei prodotti. Nell’intervista a Radio Next, Michele Casucci, CEO di Certilogo, ha offerto una prospettiva nitida sul valore strategico dell’autenticità, soprattutto per settori come moda, lusso e design. L’autenticazione, sostiene Casucci, non è solo una questione di sicurezza per il consumatore, ma un asset competitivo per le imprese.Come si garantisce oggi, concretamente, che un prodotto sia autentico? La risposta sta in sistemi di identificazione digitale applicati fin dalla fabbricazione — tag NFC o QR code univoci — capaci di contenere informazioni che vanno dalla semplice conferma dell’autenticità fino a dettagli su provenienza, materiali e impatto ambientale. Tutto accessibile con uno smartphone. Non si tratta solo di bloccare le imitazioni, ma di offrire ai brand un canale diretto e certificato di relazione con il cliente finale.Ma qual è la reazione del mercato? L'adozione di questi strumenti, inizialmente percepiti come un "nice to have", è oggi spinta dall’evoluzione normativa. Il Digital Product Passport europeo, atteso per il 2027, imporrà alle imprese l’obbligo di dotare i propri prodotti di un’identità digitale tracciabile. È un cambiamento sistemico, destinato a impattare l’intera filiera — dalla produzione al second-hand — abilitando modelli di economia circolare e strategie di post-vendita basate sulla trasparenza.Il second hand stesso, fenomeno in crescita esponenziale, trae beneficio diretto da queste tecnologie. La possibilità di rivendere un prodotto usato con una certificazione di autenticità e una “storia” tracciabile ne aumenta valore e fiducia, rendendo concreta l’idea di un mercato sostenibile e sicuro. In questo contesto, l’acquisizione di Certilogo da parte di eBay mostra chiaramente come l’autenticazione digitale diventi un'infrastruttura chiave per i marketplace del futuro.Non si tratta quindi solo di difendersi dalla contraffazione, ma di ripensare il prodotto fisico come veicolo di servizi, contenuti e relazioni. La domanda che ogni impresa dovrebbe porsi è: siamo pronti a trasformare ogni nostro prodotto in un touchpoint digitale credibile e interoperabile?

    Dal prompt al posizionamento: come cambia il lavoro del marketer

    Play Episode Listen Later May 2, 2025


    Il marketing tecnologico è entrato in una nuova fase, e non è più una questione di avere più dati, ma di capire quali usare, come e quando. Giorgio Spina, ai microfoni di Radio Next, ha tracciato un quadro nitido della transizione in corso nel MarTech: le piattaforme non crescono più linearmente ma si muovono su una curva esponenziale, spinte dalla diffusione capillare dell’intelligenza artificiale.Ma cosa significa davvero per un’azienda questa “crescita quantica”? Significa poter contare su strumenti che non si limitano a fornire dati, ma suggeriscono risposte, soluzioni, scelte. Non siamo più in una biblioteca, ma davanti a un bibliotecario esperto che sa dove guardare. Il cambio di paradigma si riflette concretamente in attività come la SEO, che non può più essere pensata solo per Google ma per un ecosistema che include motori come Perplexity o ChatGPT, capaci di “interpretare” piuttosto che indicizzare.Le piattaforme AI-based, come quelle adottate da Execus, spingono le aziende a ripensare sia le strategie di advertising sia il modo in cui si costruiscono i contenuti. In questa fase di passaggio, tuttavia, molte realtà mantengono un approccio duale: strumenti basati su intelligenza artificiale da un lato e attività “manuali” dall’altro, spesso gestite da team interni di data scientist. È il prezzo di una transizione che richiede ancora discernimento umano.Quanto può contare oggi, quindi, un contenuto ben pensato? Quanto siamo disposti ad affidarne l’efficacia agli algoritmi? Secondo Giorgio Spina, saper scrivere un prompt efficace sta diventando una soft skill strategica: non si tratta solo di usare strumenti, ma di saperli orientare, partendo da una comprensione profonda del contesto.Per le PMI italiane, spesso più lente nel recepire cambiamenti rapidi, la chiave potrebbe essere esterna: partner, consulenti, figure ponte capaci di tradurre le potenzialità dell’AI nella pratica quotidiana, senza forzature ma con visione. Perché l’unica vera scelta, oggi, è decidere se cavalcare l’onda o aspettare che passi. E in questo caso, l’onda non passa.

    Ripensare l'impresa con l'AI: alla scoperta di AI Week (parte II)

    Play Episode Listen Later Apr 25, 2025


    Proseguiamo in questa seconda puntata l'approfondimento sui temi dell'AI Week, che si terrà a Milano il 13 e 14 maggio, affrontando il tema dell'introduzione dell'AI nelle imprese strutturate - come Publicis Sapient o Brembo Solutions. Come si lavora per costruire framework e laboratori interni che ne orientino l'adozione con metodo, responsabilità e visione di lungo termine?Newsguard mantiene un approccio puramente giornalistico, limitando l'uso dell'AI a funzioni di supporto come la sintesi o la titolazione, ma senza mai rinunciare alla supervisione umana e alla trasparenza. L'intelligenza artificiale può essere un'alleata, ma chi scriverà domani gli articoli? La risposta, secondo Virginia Padovese, resta: “i giornalisti”. La fiducia e il coinvolgimento attivo dei lettori, uniti a percorsi formativi mirati, sono i cardini per una convivenza sostenibile tra AI e informazione.E nelle grandi agenzie internazionali? Marco Barbarini spiega come Publicis Sapient abbia strutturato un framework chiamato Level Up per misurare e indirizzare l'impatto dell'AI nei progetti con i clienti, supportato da un AI Lab trasversale che integra competenze ibride. “Il nostro obiettivo non è sostituire le persone, ma potenziarle: come Iron Man, con l'AI che fa da tuta e potenzia chi la guida”.La metafora del supereroe si trasforma in pragmatismo in aziende più tradizionali. Fabio Menichini racconta come, in Brembo Solutions, l'introduzione dell'AI abbia richiesto prima di tutto un lavoro culturale: far evolvere i processi da experience driven a data driven valorizzando però l'esperienza. Il loro Inspiration Lab in California è un avamposto di innovazione, ma le soluzioni devono poi essere applicabili nei contesti reali, dai reparti qualità a quelli ingegneristici, valorizzando le competenze locali.Come colmare allora il gap europeo in tema di AI? La risposta sembra univoca: investimenti, metodo, pratica. Ma serve anche coraggio per valorizzare eccellenze come l'artigianalità nel fashion, la creatività applicata o la fiducia nelle nuove generazioni. La trasformazione è in corso: la differenza la farà chi saprà coniugare il talento umano con le potenzialità tecnologiche.E se vi foste persi la prima puntata, potete trovarla qui

    Ripensare l'impresa con l'AI: alla scoperta di AI Week 2025 (parte I)

    Play Episode Listen Later Apr 18, 2025


    L’AI Week si conferma un punto d’incontro cruciale per chi nelle aziende sta cercando di comprendere come applicare concretamente l’intelligenza artificiale e per chi invece è pronto a raccontarne sviluppi e impatti. La prossima edizione del 13-14 maggio a Milano si presenta con un taglio internazionale - doppia lingua, traduzione simultanea - e un programma ricco che spazia dai casi applicativi ai temi etici e normativi.Il valore dell’evento emerge in particolare dalla varietà degli interventi. Ai nostri microfoni abbiamo invitato il con-fondatore dell'organizzazione Giacinto Fiore e tre dei protagonisti che saliranno sul main stage della manifestazione per farci dare un assaggio in anteprima dei contenuti che troveremo. Virginia Padovese, Managing Editor e Senior Vice President Partnership per Europa, Australia e Nuova Zelanda di NewsGuard, porterà sul palco una riflessione strutturata sul ruolo dell’AI nella produzione e diffusione della disinformazione: non tanto sulle singole fake news, quanto sulla valutazione di affidabilità delle fonti stesse. Un tema chiave per le aziende che oggi devono proteggere la propria reputazione, ma anche per chi sviluppa strumenti AI basati su dataset online. Quanto siamo sicuri che i modelli generativi non stiano semplicemente amplificando errori preesistenti? E che cosa accade quando il tasso di errore dei bot arriva fino al 62%?Il punto di vista di Marco Barbarini, Senior Director e General Manager Italy presso Publicis Sapient, introdurrà invece il nodo della trasformazione sostenibile: l’adozione dell’AI, per generare un vero impatto, deve passare da un cambiamento culturale e organizzativo, non solo tecnologico. Tra governance da ripensare e nuove competenze da introdurre, il problema non è tanto scegliere lo strumento giusto, quanto far sì che le aziende siano pronte a usarlo. In particolare, emerge una frattura: il middle management è spesso l’anello debole nella catena di adozione. Come superare questa resistenza?Sul fronte industriale, Fabio Menichini, Senior Manager di Brembo Solutions, presenteràa una case history concreta: Alchemix, un’applicazione AI per la generazione di formulazioni chimiche, ha ridotto da settimane a pochi minuti il ciclo di sviluppo delle pastiglie freno. Ma ciò che colpisce è l’estensione del modello a settori lontani come moda, food o pharma. L’AI diventa qui un abilitatore di “ricerca aumentata”, capace di valorizzare il know-how degli specialisti anziché sostituirli. Un caso di serendipità industriale: tecnologie sviluppate per individuare cricche nei freni si rivelano efficaci anche nel riconoscimento di difetti sui tessuti.L’intelligenza artificiale, dunque, entra in azienda in forme molto diverse ma sempre con un requisito chiave: comprendere bene dove e come può realmente abilitare nuovi processi. E il cambiamento, ancora una volta, parte dalle persone.

    Industria pesante, intelligenza leggera: l'età delle macchine e la sfida dell'industria 4.0

    Play Episode Listen Later Apr 11, 2025


    In un contesto industriale caratterizzato da impianti di dimensioni monumentali e da cicli produttivi stratificati, il progetto di interconnessione digitale avviato da KME Italy nello stabilimento di Fornaci di Barga rappresenta un esempio concreto di come anche le realtà più tradizionalmente "analogiche" possano evolvere verso una logica data-driven. Le macchine coinvolte nel processo, molte delle quali con oltre trent’anni di attività alle spalle, sono state il punto di partenza di una trasformazione che mira a conciliare sostenibilità, efficienza e continuità operativa.Come si rende “intelligente” una macchina progettata prima dell’era di Internet? La risposta non è banale e passa per la creazione di un’infrastruttura digitale capace di leggere, estrarre e correlare le informazioni presenti nei PLC di impianto. Il vero salto non è stato solo tecnologico, ma culturale: riconoscere il valore nascosto nei dati, spesso non utilizzati, ha permesso all’azienda di identificare margini di miglioramento su aspetti come la qualità, i tempi di intervento e soprattutto il consumo energetico.L’obiettivo del progetto, in fase avanzata di implementazione, è quello di interconnettere almeno sette macchine fondamentali lungo la linea di produzione, inclusi anche i sistemi ausiliari. Il partner tecnologico Alleantia e la piattaforma di analisi SAS hanno avuto un ruolo chiave nel creare un ecosistema in grado di dialogare con i macchinari, restituendo insight utili e immediatamente operativi. Una delle prime evidenze emerse? La conferma che “i processi storici” spesso congelano margini di miglioramento ancora inesplorati.Digitalizzare non è solo una questione di efficienza, ma una leva per ridurre i costi strutturali e aumentare la resilienza. Il collegamento con il sistema fotovoltaico installato due anni fa, ad esempio, consente oggi a KME di gestire in modo intelligente l’autoconsumo, correlando i picchi produttivi con la disponibilità energetica.A livello organizzativo, l’interconnessione apre lo spazio a nuove professionalità, come l’OT Manager, ponte tra operations e IT, che si affianca ai team di ingegneria di processo. Il messaggio è chiaro: integrare tecnologie e competenze è la chiave per una manifattura più competitiva e sostenibile. E come suggerisce Fanucci, il primo errore da evitare è sottovalutare il potenziale che i dati – anche quelli delle macchine più anziane – possono sbloccare.

    Non solo investire, ma co-creare: il modello insurtech di Vittoria Assicurazioni

    Play Episode Listen Later Apr 4, 2025


    Non è semplice per un’impresa tradizionale come una compagnia assicurativa aprirsi davvero all’innovazione, ma Vittoria Assicurazioni lo ha fatto con determinazione, avviando già dal 2019 un hub di open innovation che ha saputo mescolare visione strategica, impegno operativo e una comprensione profonda della trasformazione digitale. L’elemento distintivo? Non limitarsi a investire in start-up, ma co-creare, accelerandole a immagine e somiglianza dei bisogni reali della compagnia.Nel mondo assicurativo, spesso percepito come resistente al cambiamento, questo approccio rompe gli schemi: invece di cercare soluzioni pronte all’esterno, Vittoria ha scelto di guardarsi “allo specchio”, accompagnando le start-up lungo un percorso che include prevenzione, assistenza, monitoraggio del rischio e, naturalmente, assicurazione. Il tutto organizzato in quattro ecosistemi: casa, persona, mobilità e impresa connessa. Ma perché rischiare con un hub invece di acquisire soluzioni esistenti? "Perché solo così puoi ottenere un’aderenza autentica tra innovazione e modello operativo", risponde Nicolò Soresina, CEO di Vittoria Hub.Il valore generato non è solo economico, anzi. Dopo 600 candidature ricevute in cinque anni e una ventina di start-up accelerate, i risultati più interessanti riguardano cultura, know-how, nuovi metodi di lavoro. L’hub ha trasformato anche il mindset interno, favorendo un dialogo più fluido tra il mondo delle start-up e quello delle grandi organizzazioni.Ma allora, cosa serve davvero per costruire un hub efficace in azienda? Secondo Nicolò, è questione di metodo, pazienza e una regia mista: servono esperienze che arrivano da fuori, ma anche competenze che crescono dentro. E soprattutto un commitment reale del top management. "Per far avanzare l’innovazione - spiega - non serve un lancio da 40 metri come nel football americano, ma un avanzamento collettivo, compatto, come nel rugby".L’esperienza di Vittoria Assicurazioni rappresenta un caso concreto di come anche le realtà più strutturate possano diventare agenti attivi di innovazione, a patto di voler davvero "giocare la partita" con regole nuove. Un modello replicabile? Forse. Ma solo per chi è disposto a investire, prima di tutto, in cambiamento culturale.

    Puntata del 28/03/2025

    Play Episode Listen Later Mar 28, 2025


    Competenze, sovranità e open source: le carte dell'Europa nel gioco globale del digitale

    Play Episode Listen Later Mar 21, 2025


    E se la vera opportunità per le imprese europee, nella sfida tra Stati Uniti e Cina sul fronte digitale, fosse già nelle loro mani? Massimo Banzi, creatore di Arduino, intervistato ai microfoni di Radio Next, sostiene proprio questa tesi: nonostante la percezione comune, l'Europa non è affatto marginale nella competizione tecnologica globale. Certo, i grandi colossi digitali rimangono prevalentemente statunitensi, e i passi avanti compiuti dalla Cina appaiono sempre più rapidi e incisivi. Eppure, l’Europa mantiene un ruolo strategico fondamentale, spesso nascosto ai riflettori. Ad esempio, l'olandese ASML è leader mondiale nella produzione di apparecchiature indispensabili per realizzare microchip di ultima generazione.Ma c'è di più. Banzi vede nella sovranità digitale una vera e propria leva strategica: «è necessario raggiungere una certa autonomia, avere le nostre infrastrutture e software», afferma con decisione. E la chiave per questa autonomia risiede nell’open source, che sta già profondamente modificando il mercato. Aziende come la francese Mistral o Hugging Face stanno emergendo come protagoniste nella corsa agli strumenti di intelligenza artificiale open, offrendo valide alternative ai modelli proprietari americani. E qui nasce una domanda cruciale: è possibile competere globalmente applicando regole specifiche solo per l’Europa?Banzi sostiene che non solo è possibile, ma che questo rappresenta anche un’opportunità economica: adottare tecnologie open source in server europei significa creare valore, competenze e lavoro in Europa, mantenendo però una collaborazione globale aperta. Un modello già collaudato con successo, come dimostra l'ecosistema Wordpress, diffuso ovunque ma capace di adattarsi localmente alle esigenze normative e di mercato.Di fronte a uno scenario internazionale sempre più turbolento, quindi, Banzi vede l’incertezza non come un ostacolo ma come uno stimolo positivo. «Il caos generato a livello globale ha fatto partire numerose iniziative europee che prima erano rimaste in secondo piano», spiega. Una visione che dovrebbe spingere le imprese europee a riflettere: e se proprio questo fosse il momento giusto per investire decisamente in una via europea al digitale?

    Europa tech: dal ritardo strutturale alla leadership possibile

    Play Episode Listen Later Mar 14, 2025


    L'innovazione in Europa è a un bivio critico. Mentre Stati Uniti e Cina dominano l'intelligenza artificiale e le infrastrutture digitali, il Vecchio Continente si trova a dipendere da tecnologie estere, con il 90% delle aziende europee vincolate ai servizi cloud americani. Ma è davvero possibile invertire questa tendenza?Abbiamo affrontato il tema con Umberto Bottesini, founding partner di Blacksheep VenturesIl nodo centrale non è tanto la capacità di sviluppare software competitivo-dove l'Europa ha già eccellenze-quanto la fragilità delle infrastrutture tecnologiche. La produzione di semiconduttori e il cloud restano punti deboli, e finché dipenderemo quasi totalmente da fornitori esterni, il rischio di restare esclusi dal gioco sarà concreto.Il problema non è solo tecnologico, ma anche finanziario. Gli investimenti europei continuano a fluire verso gli Stati Uniti, dove la fiscalità e i rendimenti sono più attrattivi. Il capitale c'è, ma viene drenato fuori dai confini dell'UE. Il risultato? Un mercato frammentato, con 27 normative fiscali diverse che ostacolano lo sviluppo di un ecosistema competitivo.Per un'azienda europea, questo scenario presenta un doppio dilemma: da un lato, le imprese tradizionali devono capire se aspettare o investire subito nell'innovazione; dall'altro, le startup tecnologiche devono trovare modi più efficaci per trattenere talenti e crescere. Come? Adottando modelli di partecipazione più diffusi nel mondo anglosassone, come stock option plan generosi per i dipendenti chiave, e creando tecnologie pensate per rispettare il rigido framework normativo europeo su privacy, sicurezza e copyright.L'Europa può trasformare i suoi vincoli normativi in un vantaggio competitivo? E le aziende europee possono smettere di essere il "vaso di coccio" tra Stati Uniti e Cina? La sfida è aperta, ma una cosa è certa: aspettare non è un'opzione.

    Generazione Z e Alfa riscrivono le regole del lavoro: le imprese sapranno adattarsi?

    Play Episode Listen Later Mar 7, 2025


    Cosa vogliono davvero le nuove generazioni dal mondo del lavoro e della formazione? È una domanda che molte aziende si pongono, spesso senza trovare risposte immediate. Ne hanno parlato ai microfoni di Radio Next Costanza Turrini, fondatrice di Girls Code It Better, e Federico Capeci, CEO di Kantar Italia, offrendo una panoramica sulle sfide che imprese e istituzioni educative devono affrontare di fronte ai cambiamenti portati dalla Generazione Z e dalla nascente Generazione Alfa.Secondo Federico Capeci, il divario tra le aziende e i giovani lavoratori è più profondo di quanto si pensi. Se da un lato le imprese credono di comprendere le nuove generazioni perché ne adottano linguaggi e stili, dall’altro non colgono quanto sia radicalmente cambiata la loro prospettiva sul lavoro. Non è più visto come un mezzo di emancipazione, ma come un’esperienza da vivere giorno per giorno, con una forte attenzione alla flessibilità, all’equilibrio tra vita privata e professionale e alla ricerca di significato. Il problema? Molte aziende faticano ad adattarsi e a definire un nuovo modello di relazione con questi giovani talenti.La sfida è ancora più evidente nel campo della formazione. Costanza Turrini sottolinea come la scuola debba evolversi, passando dall’insegnamento tradizionale all’obiettivo di insegnare a imparare. Il mondo cambia rapidamente e le competenze richieste si trasformano di conseguenza: essere in grado di affrontare il cambiamento con curiosità e spirito critico diventa quindi più importante dell’accumulo di nozioni. Girls Code It Better dimostra come l’educazione digitale possa diventare un’opportunità di crescita per le nuove generazioni, in particolare per le ragazze, spesso scoraggiate dall’avvicinarsi alle discipline STEM a causa di stereotipi culturali ancora radicati.E poi c’è il rapporto con la tecnologia. La Generazione Alfa si prepara a utilizzare il digitale in modo più consapevole rispetto alla Generazione Z, ma il dibattito è aperto: regolamentare l’uso dei social, come ha fatto l’Australia vietandoli ai minori di 16 anni, è la strada giusta? Per Costanza Turrini potrebbe essere una soluzione utile a proteggere i più giovani da un’esposizione precoce, mentre Capecci invita a riflettere su un approccio più equilibrato, in cui l’educazione digitale giochi un ruolo chiave.Le aziende non possono ignorare questi cambiamenti. La nuova generazione ha un’idea diversa di successo, di carriera e di tecnologia. Il rischio? Creare un divario sempre più profondo tra le aspettative delle imprese e le esigenze dei futuri lavoratori. La sfida è aperta: chi saprà interpretare meglio questa trasformazione avrà un vantaggio competitivo decisivo nel prossimo futuro.

    Tokenizzazione e AI: le armi per un'esperienza d'acquisto fluida e sicura

    Play Episode Listen Later Feb 28, 2025


    Oggi il digitale e il retail tradizionale sono due facce della stessa medaglia, e la sfida per le imprese è quella di creare un'esperienza fluida e coerente per i consumatori, indipendentemente dal punto di contatto. Ma quali sono le principali difficoltà da affrontare per offrire un'esperienza d'acquisto senza frizioni?Secondo Arnab De, Head of Digital Products e Go-To-Market di Visa, ci sono tre grandi ostacoli: la sicurezza, l'inconsistenza dell'esperienza utente e la qualità dei dati. Il primo problema è il più evidente: il rischio di frodi nel mondo digitale è ancora molto più alto rispetto agli acquisti in negozio. Questo implica la necessità di soluzioni tecnologiche sempre più sofisticate, come la tokenizzazione, che rende inutilizzabili i dati di una carta di credito se rubati. Il secondo punto critico è la frammentarietà dell'esperienza utente: alcuni consumatori hanno a disposizione sistemi di pagamento avanzati e fluidi, mentre altri devono ancora inserire manualmente i dati della carta. Infine, la qualità dei dati gioca un ruolo chiave: informazioni errate o incomplete possono creare problemi sia alle aziende che ai clienti, generando rallentamenti e transazioni non riuscite.Ma cosa significa concretamente tutto questo per le aziende? La parola chiave è modernizzazione. Un'impresa che vuole competere nell'e-commerce deve adottare un ecosistema tecnologico all'altezza delle aspettative dei consumatori. L'uso di strumenti come la tokenizzazione e il riconoscimento biometrico non è più un'opzione, ma una necessità per garantire pagamenti sicuri e veloci. Inoltre, la nuova frontiera dell'intelligenza artificiale offre opportunità straordinarie per migliorare la sicurezza e la user experience, analizzando comportamenti e dati in tempo reale per ridurre al minimo le interruzioni nel processo d'acquisto.In questo scenario in continua evoluzione, le aziende devono porsi una domanda fondamentale: stanno facendo abbastanza per rimuovere le barriere tra il mondo fisico e digitale, o stanno ancora imponendo ai clienti processi obsoleti e macchinosi? La risposta a questa domanda potrebbe determinare chi resterà competitivo nei prossimi anni e chi invece sarà superato da player più agili e innovativi.

    Dall'Open Innovation alla Comunità di Scopo: il modello di NTT Data per innovare con le startup (parte II)

    Play Episode Listen Later Feb 21, 2025


    In questa seconda puntata tornano ai microfoni di #RadioNext, Giorgio Scarpelli, CTO Europe & Latam di NTT Data, Elisabetta Fasano, Innovation Engagement Leader di NTT Data, Diego Novati, responsabile tecnologico della raffineria di Falconara di Italiana Petroli e Danny Berco, founder di QSee per concludere l'approfondimento sul tema dell'open innovation. Per innovare non basta adottare nuove tecnologie: serve un ecosistema capace di far dialogare grandi aziende, startup e integratori di soluzioni. Nella seconda puntata di approfondimento su questa esperienza di co-innovazione, i protagonisti raccontano come NTT Data, Italiana Petroli e la startup QC abbiano lavorato insieme per migliorare produttività e sostenibilità nella raffineria di Falconara.Qual è stato l'elemento chiave di questo percorso? Il cuore del progetto è stato il Digital Twin, una tecnologia che consente di modellare e ottimizzare i processi industriali grazie all'analisi predittiva. Elisabetta Fasano sottolinea come questo approccio permetta di conoscere il presente, imparando dal passato, per prevedere il futuro. Attraverso la piattaforma sviluppata da NTT Data, Italiana Petroli ha potuto integrare dieci anni di dati operativi in un modello predittivo, migliorando l'efficienza della raffineria. Ma il successo di un'innovazione dipende dalla qualità dei dati: come garantirne l'affidabilità?Qui entra in gioco QSEE, la startup guidata da Danny Berco, che ha sviluppato un sistema di prescriptive analytics per validare e interpretare i dati, fornendo raccomandazioni concrete per ottimizzare la produzione. Un approccio che, secondo Diego Novati, ha permesso di migliorare il rendimento energetico e ridurre gli sprechi, rendendo più sostenibile l'intero processo di raffinazione.L'integrazione tra corporate e startup è sempre una sfida.Culture aziendali diverse, processi decisionali con tempistiche differenti e linguaggi non sempre allineati possono rappresentare un ostacolo. Tuttavia, come evidenzia Novati, il modello di co-creazione adottato in questa esperienza ha facilitato la collaborazione, abbattendo le barriere e accelerando il time-to-market dell'innovazione. Può questo approccio essere replicato in altri settori industriali?Secondo i protagonisti, la risposta è sì. Una volta definito il modello base, il Digital Twin e l'AI possono essere applicati a molte altre realtà, dall'energia alla manifattura. L'esperienza di NTT Data e Italiana Petroli dimostra che l'innovazione non è solo una questione di tecnologia, ma di ecosistemi: mettere in connessione aziende, startup e integratori permette di trasformare le sfide di oggi in opportunità concrete per il futuro.

    Dall'Open Innovation alla Comunità di Scopo: il modello di NTT Data per innovare con le startup (parte I)

    Play Episode Listen Later Feb 14, 2025


    L'innovazione non è più un esercizio isolato, ma un processo collaborativo che coinvolge aziende, startup e territori. È questa la visione alla base dell'iniziativa lanciata da NTT Data Italia, che ha trasformato il concetto di Open Innovation in un vero e proprio ecosistema, dove grandi aziende, realtà emergenti e comunità locali lavorano insieme per sviluppare soluzioni concrete e scalabili. Ma come si costruisce un modello di innovazione efficace? Partendo dal confronto con le grandi imprese clienti, il programma identifica le sfide chiave del settore, declinandole in veri e propri “challenge” aperti al contributo delle startup. L'obiettivo non è solo quello di individuare nuove tecnologie, ma anche di creare un dialogo tra diverse prospettive e competenze. L'approccio scelto da NTT Data Italia è inedito: un evento immersivo in un borgo storico, dove innovazione e tradizione si incontrano, coinvolgendo il tessuto economico e sociale del territorio. Giorgio Scarpelli, CTO Europe & Latam di NTT Data, sottolinea l'importanza di questo modello, evidenziando come la creazione di una “comunità di scopo” permetta di valorizzare le specificità locali e sviluppare soluzioni su misura. È davvero possibile generare valore per tutti gli attori in gioco? Il caso di Italiana Petroli e QSee dimostra che la risposta è affermativa. Diego Novati, responsabile tecnologico della raffineria di Falconara di Italiana Petroli, racconta come la sua azienda avesse la necessità di migliorare produttività e sostenibilità, individuando soluzioni per ottimizzare la profittabilità della raffineria e ridurre l'impronta carbonica. La collaborazione con la startup israeliana QSEE, fondata da Danny Berco, ha portato all'adozione di un sistema basato su intelligenza artificiale e machine learning per rendere i processi più efficienti e sostenibili. Il ruolo di orchestratore di questa collaborazione è stato fondamentale. Elisabetta Fasano, Innovation Engagement Leader di NTT Data, spiega come il suo team abbia agito da collettore tra il cliente e la startup, facilitando il confronto e traducendo le esigenze in soluzioni tecnologiche concrete. Il lavoro congiunto tra le parti ha permesso di costruire un progetto basato sulla tecnologia digital twin, dimostrando come l'innovazione possa essere guidata da una metodologia strutturata e condivisa. Ma questo modello è replicabile su scala più piccola? Secondo Giorgio Scarpelli, la chiave sta proprio nel coinvolgimento delle aziende territoriali. Creare una comunità di scopo permette di valorizzare le specificità locali e sviluppare soluzioni su misura, senza dover essere un grande player internazionale. Un'opportunità per tutte quelle aziende che vogliono innovare ma non sanno da dove partire.

    Dal corporate alle startup: il modello Plai di Mondadori per la trasformazione aziendale

    Play Episode Listen Later Feb 7, 2025


    Ci troviamo in un panorama sempre più competitivo, dove la trasformazione digitale continua ad essere un motore di cambiamenti, anche radicali. Le grandi aziende non possono più limitarsi a osservare l’innovazione dall’esterno. È questa la consapevolezza che ha spinto Mondadori a lanciare Plai, un acceleratore di startup pensato non solo per supportare l’ecosistema imprenditoriale emergente, ma anche per integrare nuovi modelli di business e tecnologie all’interno del gruppo. Ce ne ha parlato Stefano Argiolas, Chief AI Officer di Mondadori e Amministratore delegato di Plai. L’iniziativa nasce da un'esigenza chiara: l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie stanno ridefinendo l’intero settore editoriale e non solo. In questo contesto, affidarsi esclusivamente all’innovazione interna rischia di essere limitante. Plai diventa quindi un punto di contatto tra Mondadori e il mondo delle startup, selezionate attraverso call tematiche che filtrano le realtà più promettenti in settori strategici. L’obiettivo non è meramente finanziario, ma di valore: trovare soluzioni applicabili e scalabili, capaci di generare impatti concreti sul business. La sfida più grande? Integrare il mindset delle startup con la cultura aziendale. Le realtà emergenti portano agilità, destrutturazione e visione fuori dagli schemi, mentre le aziende consolidate possiedono esperienza, network e capacità di execution. Per favorire questa sinergia, Mondadori ha creato un sistema di “Champions”, figure interne che fungono da ponte tra il know-how corporate e le startup accelerate. Questo approccio ha permesso di trasformare l’open innovation in un asset strategico, capace di contaminare processi e visioni tradizionali con nuove prospettive. L’accelerazione dell’innovazione non è un concetto riservato solo alle grandi aziende del digitale. Anche i settori più tradizionali possono trarre vantaggio da questo modello. Tuttavia, affinché funzioni, è necessario un cambio di mentalità: la volontà di esplorare strade non convenzionali, investire nel lungo termine e accettare che il fallimento faccia parte del percorso. Creare un ecosistema di innovazione significa costruire una rete di talenti e opportunità, dove le startup non sono semplici fornitori di tecnologia, ma partner strategici per la crescita e la trasformazione aziendale.

    Additive Manufacturing su larga scala: è possibile?

    Play Episode Listen Later Jan 31, 2025


    La manifattura additiva sta ridefinendo il modo in cui le aziende affrontano la produzione, in particolare nei settori ad alta complessità come la nautica, l’aerospazio e l’automotive. Questa settimana ne abbiamo parlato Francesco De Stefano, amministratore delegato di Caracol, azienda specializzata nella stampa 3D di grande formato, che ha sviluppato una tecnologia che integra robotica, software avanzato e automazione proprietaria per realizzare componenti di dimensioni notevoli, eliminando la necessità di stampi tradizionali. Questo approccio consente di ridurre tempi e costi di produzione, rendendo i processi più agili e sostenibili. Uno degli aspetti più critici per le aziende operanti nel settore nautico è la necessità di scalabilità e personalizzazione. I cantieri si trovano spesso a dover gestire componenti altamente customizzati, con volumi di produzione relativamente bassi, che rendono poco conveniente l’uso di stampi tradizionali. La tecnologia sviluppata da Caracol permette di superare queste limitazioni, offrendo la possibilità di produrre pezzi unici o in piccole serie con un processo completamente digitale. La stampa diretta elimina la necessità di magazzino e consente di realizzare forme complesse senza costi aggiuntivi, ottimizzando la produzione just-in-time.L'uso di materiali avanzati, come polimeri compositi rinforzati con fibra di vetro o carbonio, garantisce prestazioni elevate senza compromettere la sostenibilità. Un esempio concreto di questo approccio è il progetto "Beluga", un'imbarcazione stampata in 3D utilizzando materiali riciclati provenienti dal settore del packaging. Questa innovazione non solo dimostra l’efficacia del processo, ma apre nuove prospettive per l’economia circolare nell’industria nautica e oltre.Oltre ai vantaggi tecnologici, l’additive manufacturing introduce un cambio di paradigma nella gestione della filiera produttiva. L’idea di una produzione distribuita, dove la manifattura avviene direttamente nel luogo di utilizzo, elimina la logistica complessa e consente di adottare un modello di produzione "as a service". Questo significa che i progettisti possono inviare i loro file CAD direttamente ai cantieri, che a loro volta possono produrre le componenti in tempo reale, senza dipendere da fornitori terzi. Un’evoluzione che, oltre a ottimizzare i tempi di consegna, riduce sensibilmente i costi, con risparmi che possono arrivare fino al 70%.Tuttavia, l’adozione della manifattura additiva su larga scala incontra ancora alcune barriere. Da un lato, esistono vincoli normativi e certificativi che devono essere superati, specialmente in settori regolamentati come l’aerospazio. Dall’altro, è necessaria una trasformazione delle competenze professionali: emergono nuove figure come il "super operatore", capace non solo di gestire la produzione, ma anche di programmare le macchine e ottimizzare il processo. Questo cambiamento sta già avvenendo grazie a investimenti in formazione e collaborazioni con istituzioni accademiche.Con la crescente domanda di personalizzazione, riduzione dei costi e sostenibilità, la manifattura additiva di grande formato rappresenta un'opportunità concreta per le aziende che vogliono innovare i loro processi produttivi. Non si tratta solo di una rivoluzione tecnologica, ma di un nuovo modello industriale, più flessibile ed efficiente, che sta progressivamente ridisegnando il panorama manifatturiero globale.

    Innovazione senza rottura: la via italiana alla trasformazione delle assicurazion, secondo IIA

    Play Episode Listen Later Jan 24, 2025


    Nel panorama assicurativo italiano, la trasformazione digitale si sta configurando non come una rivoluzione radicale, ma come un acceleratore di efficienza e penetrazione di mercato. Gerardo Di Francesco, vicepresidente dell’Italian Insuretech Association, ai microfoni di #RadioNext evidenzia come la tecnologia non debba essere interpretata come un sostituto degli intermediari tradizionali - broker e agenti - ma come uno strumento per potenziarne il ruolo. La sfida, in un settore storicamente legato a processi manuali e alla gestione di eccezioni, risiede nel bilanciare innovazione e complessità normativa.Uno dei temi centrali riguarda l’evoluzione delle polizze parametriche, basate su parametri oggettivi come eventi meteorologici, che richiedono un allineamento tra framework normativo e capacità tecniche per garantire equità nel risarcimento. Sebbene queste soluzioni promettano maggiore rapidità, il legame tra parametri e danno effettivo rimane un nodo critico, soprattutto in contesti geograficamente eterogenei come l’Italia.Sul fronte operativo, l’adozione di tecnologie come la Robotic Process Automation (RPA) e i Large Language Model (LLM) potrebbe rappresentare un salto quantico. Questi strumenti, capaci di interpretare documenti e automatizzare processi non lineari, offrono opportunità per snellire fasi come la liquidazione dei sinistri, tradizionalmente vincolate a valutazioni umane. Tuttavia, la resistenza al cambiamento deriva dalla natura stessa del settore, strutturato su eccezioni e casi particolari.Dal punto di vista del mercato, non emergono attori in grado di scalzare gli incumbent, ma piuttosto partnership tra player consolidati e startup. L’obiettivo è ampliare l’offerta attraverso servizi B2B2C, sfruttando la tecnologia per raggiungere un pubblico più ampio in un Paese ancora sottoassicurato. La concentrazione del mercato e l’ingresso di operatori esteri suggeriscono dinamiche competitive in evoluzione, dove l’eccellenza operativa e l’integrazione tecnologica diventeranno fattori chiave per differenziarsi.I prossimi mesi vedranno un focus su ricerche congiunte con università e società di consulenza per misurare l’impatto della trasformazione digitale lungo l’intera value chain, dalla sottoscrizione alla gestione dei sinistri, confermando una tendenza verso un’innovazione sistemica e collaborativa.

    Quali direzioni per i CMO nel 2025? Ce lo svela la Marketing Playlist - puntata 2

    Play Episode Listen Later Jan 17, 2025


    Torniamo a parlare del marketing del 2025, tema con coi avevamo chiuso la passata stagione di #RadioNext (alla fine della pagina troverete il link per recuperare la prima puntata). Questa settimana riprendiamo il filo e concludiamo il confronto che ha visto protagonisti Giulia Staffieri, direttore marketing e omnichannel di Leroy Merlin, Claudia Vassena, direttore sales e marketing di Intesa San Paolo, Benedetta Flammini, direttore marketing e communication di WWF Italia, e Fabio Sergio, Chief Design Officer di Accenture Song Italia. Questo confronto commenta i contenuti dell'ultima edizione della Marketing Playlist 2024 di Accenture Song, un'iniziativa che raccoglie le riflessioni dei principali direttori marketing italiani sui trend più rilevanti per il prossimo futuro.Guardando al 2025 emergono tre pilastri fondamentali che ridefiniscono il modo in cui le aziende si relazionano con i propri clienti e stakeholder. Il primo elemento chiave è il "beyond the core", ovvero la capacità delle aziende di espandere il proprio raggio d'azione oltre il core business tradizionale, adottando un approccio ecosistemico. Come evidenziato da Claudia Vassena, questo significa mettere in discussione le pratiche consolidate e cercare nuove opportunità di collaborazione con partner che condividono valori simili, come dimostrato dal caso della fusione tra Intesa San Paolo Casa e Onpal nel settore immobiliare.Il secondo pilastro è il "doing good", che rappresenta l'evoluzione dei temi ESG e della sostenibilità. Non si tratta più solo di rispettare determinati parametri, ma di integrare questi principi nel DNA aziendale per generare una crescita che bilanci obiettivi economici, sociali e ambientali. Questo approccio richiede un ripensamento dei modelli di business tradizionali e delle metriche di successo.Il terzo elemento è il "measuring the new", che affronta la sfida di misurare l'efficacia delle interazioni digitali in un contesto sempre più complesso. Come sottolineato da Giulia Staffieri, si sta passando da un approccio lineare basato sul funnel tradizionale a un modello più fluido e circolare, il "messy middle", dove il cliente si muove in modo non prevedibile tra diversi touchpoint. Questo richiede nuovi strumenti e metriche per comprendere e rispondere efficacemente alle esigenze dei clienti.Per le aziende, questi trend rappresentano sia una sfida che un'opportunità per ripensare le proprie strategie di marketing in modo più olistico e orientato al futuro. Il documento completo, disponibile gratuitamente sul sito di Accenture Song, offre approfondimenti e linee guida per navigare questa trasformazione.Per riascoltare la prima parte della nostra chiacchierata cliccate qui.

    ERP, RPA e Big Data: la sfida del comparto amministrativo e finanziario aziendale

    Play Episode Listen Later Jan 10, 2025


    Nella puntata di oggi proviamo a fare un punto sulle aree finanza e amministrazione, a valle del convegno organizzato da Richmond Italia di cui Claudio Honegger ne è l'amministratore delegato. Ogni azienda – grande, media o piccola – si trova ad affrontare un ambiente sempre più “data-driven”, dove la capacità di raccogliere, analizzare e interpretare dati in tempo reale costituisce un vantaggio competitivo essenziale. Non è più sufficiente basarsi su analisi retrospettive; si guarda avanti, in un contesto di instabilità economica, con decisioni e investimenti che si basano sempre più su dati prospettici.Questo cambiamento ha un impatto profondo non solo sui processi ma anche sulle persone coinvolte. I dipendenti delle aree amministrative e finanziarie, storicamente abituati a operare in modalità tradizionali, sono ora chiamati a produrre maggiori volumi di dati con strumenti digitali avanzati. Le tecnologie emergenti, come l’automazione robotica dei processi (RPA) e l’intelligenza artificiale, rappresentano soluzioni chiave per alleggerire il carico operativo, consentendo alle persone di concentrarsi su attività a maggiore valore aggiunto. La sfida è accompagnare questo cambiamento con strategie di formazione e coinvolgimento, facendo percepire la tecnologia come un mezzo, non un fine.Dalla prospettiva di chi fornisce queste soluzioni, l’adozione tecnologica è un processo che deve essere affrontato in modo olistico. Come sottolineato da Andrea Ruscica di Altea Federation, non basta implementare un ERP o un sistema di analisi dei dati. È fondamentale regolare l’intero ecosistema aziendale, integrando supply chain, operations e logistica per creare una base solida e interconnessa. La complessità di questi strumenti, benché mitigata dall’evoluzione tecnologica, richiede una visione strategica ben definita e un approccio chiaro al change management.Non si tratta solo di implementare nuove tecnologie; il cambiamento coinvolge anche l’organizzazione nel suo complesso, come ci ha spiegato Alberto Conta, che è head of administration di Illy. La visione deve essere corporate, evitando approcci individualistici che rischiano di frammentare i processi. Anche nelle piccole e medie imprese italiane, spesso considerate meno pronte rispetto alle grandi organizzazioni, si registra un crescente interesse verso l’adozione di tecnologie avanzate. In molti casi, queste aziende riconoscono che l’evoluzione digitale è una necessità per mantenere la competitività e cogliere nuove opportunità di business.Nel complesso, il panorama che emerge è quello di un sistema aziendale in cui tecnologia, processi e persone devono evolversi insieme, guidati da una chiara strategia di trasformazione. Una sfida che, se affrontata con consapevolezza, può garantire non solo la sopravvivenza ma anche la crescita sostenibile nel medio-lungo periodo.Buon ascolto!

    Quali direzioni per i CMO nel 2025? Ce lo svela la Marketing Playlist

    Play Episode Listen Later Dec 20, 2024


    Il marketing del 2025 è stato al centro della doppia puntata di chiusura d'anno di #RadioNext, con un confronto che ha visto protagonisti Giulia Staffieri, direttore marketing e omnichannel di Leroy Merlin, Claudia Vassena, direttore sales e marketing di Intesa San Paolo, Benedetta Flammini, direttore marketing e communication di WWF Italia, e Fabio Sergio, Chief Design Officer di Accenture Song Italia. Questo confronto commenta i contenuti dell'ultima edizione della Marketing Playlist 2024 di Accenture Song, un'iniziativa che raccoglie le riflessioni dei principali direttori marketing italiani sui trend più rilevanti per il prossimo futuro.Guardando al 2025 emergono tre pilastri fondamentali che ridefiniscono il modo in cui le aziende si relazionano con i propri clienti e stakeholder. Il primo elemento chiave è il "beyond the core", ovvero la capacità delle aziende di espandere il proprio raggio d'azione oltre il core business tradizionale, adottando un approccio ecosistemico. Come evidenziato da Claudia Vassena, questo significa mettere in discussione le pratiche consolidate e cercare nuove opportunità di collaborazione con partner che condividono valori simili, come dimostrato dal caso della fusione tra Intesa San Paolo Casa e Onpal nel settore immobiliare.Il secondo pilastro è il "doing good", che rappresenta l'evoluzione dei temi ESG e della sostenibilità. Non si tratta più solo di rispettare determinati parametri, ma di integrare questi principi nel DNA aziendale per generare una crescita che bilanci obiettivi economici, sociali e ambientali. Questo approccio richiede un ripensamento dei modelli di business tradizionali e delle metriche di successo.Il terzo elemento è il "measuring the new", che affronta la sfida di misurare l'efficacia delle interazioni digitali in un contesto sempre più complesso. Come sottolineato da Giulia Staffieri, si sta passando da un approccio lineare basato sul funnel tradizionale a un modello più fluido e circolare, il "messy middle", dove il cliente si muove in modo non prevedibile tra diversi touchpoint. Questo richiede nuovi strumenti e metriche per comprendere e rispondere efficacemente alle esigenze dei clienti.Per le aziende, questi trend rappresentano sia una sfida che un'opportunità per ripensare le proprie strategie di marketing in modo più olistico e orientato al futuro. Il documento completo, disponibile gratuitamente sul sito di Accenture Song, offre approfondimenti e linee guida per navigare questa trasformazione.

    Italia digitale: il difficile equilibrio tra regolamentazione e innovazione

    Play Episode Listen Later Dec 13, 2024


    La digitalizzazione in Italia si trova in una fase critica, dove le sfide superano ancora di gran lunga i progressi tangibili. Durante un'intervista con Giulia Pastorella, deputata e esperta di tematiche digitali, è emerso un panorama complesso, fatto di normative frammentate, difficoltà nell'adozione tecnologica e carenze strutturali che continuano a limitare il potenziale delle imprese e del settore pubblico.Uno dei temi principali trattati riguarda la frammentazione tra il mondo politico e quello aziendale. Da un lato, la regolamentazione europea, come la NIS2 e l'AI Act, introduce paletti necessari, ma spesso anticipa in modo parziale e incoerente le direttive, creando confusione e carichi burocratici per le imprese. Dall'altro, manca una strategia nazionale chiara e operativa che favorisca l'adozione delle tecnologie innovative nel tessuto produttivo. Le normative attuali impongono alle aziende di dedicare fino al 30% delle loro risorse alla compliance, riducendo le energie per l'innovazione e la crescita.L'interoperabilità dei sistemi e la digitalizzazione della pubblica amministrazione rappresentano un altro nodo cruciale. La mancanza di un approccio user-centric e la difficoltà nel centralizzare o rendere interoperabili i dati frenano lo sviluppo di servizi efficienti per i cittadini e le aziende. Il risultato è una PA che non riesce a competere con gli standard del settore privato, nonostante esperimenti positivi come l'App IO.In un contesto in cui il sud Italia potrebbe giocare un ruolo strategico, ad esempio come hub per i data center grazie alla disponibilità di energia e infrastrutture, le barriere normative e l'assenza di una regia nazionale limitano le opportunità di sviluppo. Allo stesso modo, il divario di competenze e infrastrutture tra nord e sud rimane un problema irrisolto, nonostante i fondi del PNRR e le iniziative frammentarie.Il messaggio centrale è chiaro: per le imprese, il contesto normativo e operativo italiano rappresenta una sfida importante. È necessario un equilibrio tra regolamentazione e supporto all'adozione, nonché una maggiore attenzione all'efficienza e alla semplificazione. In un momento in cui l'Europa spinge per una maggiore condivisione e valorizzazione dei dati, l'Italia rischia di rimanere indietro, penalizzando le aziende che cercano di innovare in un mercato già competitivo.

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