Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7450OMELIA XVI DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 13,24-43) di Giacomo BiffiDa dove viene la zizzania? (Mt 13,27). Da dove è venuta questa erbaccia maligna e soffocatrice che infesta il campo di Dio? È una delle domande più serie e decisive, e siamo tutti costretti a formularla quando ci poniamo di fronte al mistero dell'esistenza: o neghiamo l'evidenza della zizzania, cioè del male (ed è un'impresa disperata), o ci interroghiamo circa la sua provenienza. Sulle labbra dei contadini della parabola l'interpellanza sembra esprimere non solo stupore, ma anche delusione e quasi una specie di rabbia. Sembra anzi marcata da un accento di velato rimprovero verso il padrone, che in fin dei conti è il primo responsabile della coltivazione: "Non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove dunque viene la zizzania?". Dobbiamo dire però che quei contadini almeno una fortuna ce l'hanno, ed è di avere un padrone con cui lamentarsi: è già una consolazione prendersela con qualcuno. A chi ritenesse che il campo non sia di nessuno e ogni accadimento sia in esso del tutto casuale, non sarebbe consentito neppure di protestare o di fare domande, per assenza di destinatari responsabili. Se non esiste un proprietario del campo con un suo programma operativo, se tutto nell'universo è fortuito, allora, pur avvertendo ancora i morsi del male, non siamo più autorizzati né a lagnarci né a enunciare problemi, perché in quel caso non sidà spazio per nessuna verità e quindi per nessuna ricerca. Dove si prende per buona l'ipotesi del caso e dell'assenza di un "Signore" dell'universo (ed è l'ipotesi degli atei), non può sorgere alcuna plausibile investigazione: bisogna rassegnarsi all'esistenza enigmatica della malvagità e all'assurdo della condizione umana. Deve essere tremenda la condizione degli atei, e proprio per questo: per il fatto di non poter riconoscere di fronte a sé nessun interlocutore adeguato. Un ateo vero e coerente è in realtà il più sfortunato degli uomini: si priva perfino della soddisfazione di protestare con qualcuno e di bestemmiare con una certa coerenza.IL PECCATO ORIGINALEL'insegnamento di Gesù a questo proposito è estremamente sintetico ma limpidissimo: il nemico che ha frammischiato l'erbaccia alla buona coltivazione di Dio è il diavolo (cf. Mt 13,39). Mette conto che abbiamo a richiamare, sia pure in cenni rapidissimi, l'intera concezione della fede cattolica circa il male del mondo (concezione che è implicitamente evocata da questa breve frase del Signore). Essa oggi è così faziosamente e acriticamente contrastata dalla cultura che da oltre due secoli è dominante. Ma le illusioni culturali anticristiane, tra l'altro, si sono rivelate storicamente molto pericolose. L'ottimismo naturalistico del secolo XVIII (che si contrapponeva, irridendoli, ai dati della fede) di fatto negli ultimi anni di quel secolo è approdato all'omicidio perpetrato, per così dire, su scala industriale, con indici inauditi di produzione resi possibili dalla geniale invenzione della ghigliottina. Le ideologie che si rifiutavano di credere alla malvagità del cuore dell'uomo, hanno dato vita ripetutamente in questi due secoli a forme esasperate di crudeltà. L'iniquità umana c'è, ed è largamente diffusa. Così diffusa da costituire un problema: come mai gli uomini, più o meno tutti, sconfinano nell'ingiustizia? La Rivelazione cristiana risponde con la dottrina del peccato originale. La verità del peccato originale, come ogni mistero, è oscura in se stessa, ma è illuminante per noi e per la nostra condizione. Indubbiamente si fa fatica a capirla nella sua natura e nelle sue cause; ma senza di essa tutto nel mondo e nell'uomo si fa ancora più impenetrabile, a cominciare dal mare di lacrime e di sangue che ricopre la nostra storia.LA RADICE PRIMA DEL MALEA dire il vero, il libro della Genesi, raccontando la colpa di Adamo e di Eva come frutto della istigazione perfida del serpente, sembra insinuare che l'inizio assoluto del male nell'universo vada ricercato antecedentemente alla comparsa dell'uomo sulla terra. E il libro della Sapienza - implicitamente citato da san Paolo nella lettera ai Romani - dà una lettura teologica dell'antico racconto indicando nel demonio la prima fonte delle nostre sciagure: La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (Sap 2,24). Ci ritroviamo così all'identico insegnamento offertoci da Gesù appunto nella parabola che stiamo tentando di capire: Il nemico che ha seminato la zizzania è il diavolo (Mt 13,39). Come si vede, la nostra meditazione sul male del mondo è stata progressivamente sospinta dalla verità del peccato personale a quella del peccato che dall'alba della vicenda umana universalmente contamina la nostra stirpe; e dalla verità del peccato originale a quella dell'esistenza del demonio, prima e oscura fonte di ogni perversione. Siamo così invitati a risalire a poco a poco l'enigmaticità delle cose fino a raggiungere la soglia del mondo invisibile che precede la storia dell'uomo; vale a dire la soglia della realtà che sta al di fuori e al di sopra del nostro tempo.IL TENTATIVO DI NEGARE L'ESISTENZA DEL DEMONIONella cristianità contemporanea è in atto invece un curioso processo di smarrimento, tanto che si arriva a percorrere in senso contrario la strada sulla quale, come s'è visto, siamo stati guidati dalla fede. Tra i teologi c'è chi si impegna alacremente in un lavoro cosiddetto di smitizzazione, dopo il quale del demonio non resta neppure la coda. Questi teologi - diversamente da Gesù Cristo - pare che non pensino più a satana come a un essere reale concretamente e personalmente esistente; sembrano piuttosto ridurlo a una sorta di immagine simbolica della intrinseca inclinazione al male che c'è nelle creature. Ma - tolto di mezzo il diavolo - anche il peccato originale non è più plausibile; e infatti in molte odierne presentazioni teologiche esso fatalmente si estenua e si sbiadisce fino a essere la cifra dell'umana finitezza o al più la denominazione collettiva di tutte le colpe individuali. Le quali, a loro volta, tendono a essere considerate non tanto come peccati responsabilmente commessi, quanto come turbe psichiche conseguenti a squilibri congeniti o alla violazione di tabù senza fondamento. Insomma, prima si risolve l'idea del demonio in quella del peccato originale, poi del peccato originale in quella dei peccati dei singoli, infine l'idea dei peccati dei singoli in quella di un malessere senza colpevolezza. Così l'universo diventa una specie di innocente giardino d'infanzia, senza malvagità e senza malvagi, dove però non si capisce più perché tanto spesso ci si imbatta nella ferocia umana, e soprattutto non si capisce più che senso abbiano la morte, il dolore, la redenzione di Cristo.LA SCONFITTA DEL MALIGNO COMINCIA NEL MOMENTO IN CUI LO SI PRENDE SUL SERIOLa vera misericordia - quella di Dio - batte la strada opposta. Il grande avversario comincia a essere sconfitto non nel momento in cui lo si relega tra le favole, ma nel momento in cui lo si prende sul serio, in modo da prendere sul serio la vittoria ottenuta su di lui dalla morte e dalla risurrezione del Figlio di Dio; vittoria che quotidianamente si impianta nella vicenda di ognuno di noi mediante la nostra crescente partecipazione al mistero pasquale. L'universale decadenza della natura umana può essere superata solo partendo dalla persuasione che Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia (cf. Rm 11,32). E dal mio peccato personale incomincio con la grazia divina a risorgere non nel momento in cui lo ignoro o lo censuro psicologicamente, ma nel momento in cui, pentendomi, lo riconosco come atto veramente cattivo e veramente mio. Questo è il senso della proposta evangelica della metànoia (della conversione), che Gesù ci ha indicato come necessaria premessa della nostra salvezza. Il Vangelo non è la notizia che siamo già tutti innocenti per incapacità di intendere e di volere o perché i fatti non costituiscono reato; è la notizia che siamo tutti peccatori e, proprio per questo, siamo i fortunati destinatari dell'invincibile misericordia del Padre.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7449OMELIA XV DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 13,1-23) di Giacomo BiffiLa pagina evangelica che abbiamo ascoltato propone e sviluppa una immagine: quella del "seme". Le immagini usate dal Signore Gesù di solito sono, per chi riflette con animo attento e aperto, delle folgorazioni di verità che non si possono più dimenticare: esse restano nel patrimonio del pensiero umano, proprio perché sono al tempo stesso semplici e ricche di luce.LA PAROLA DI DIO, PICCOLO SEME CON IMMENSA FORZA VITALEDunque, la parola di Dio è un seme. Non c'è nulla di più esiguo, di più debole, di più incerto nel suo futuro, di un seme. Sembra una piccola cosa inerte, e ha dentro di sé una carica incalcolabile di vita. Si affida alla terra, al vento, alle forze della natura, senza nessuna garanzia di successo; ed è la sola speranza di fecondità che è data al mondo, l'unica prospettiva aperta a un avvenire. Il seme si nasconde fino a scomparire: nessuno che passi per la strada riesce a percepire la differenza tra un solco che è stato inseminato e un solco che non lo è stato. Il seme pare una realtà condannata a essere sconfitta: il suo destino è lo sfacelo e la morte. Ma proprio in virtù della sua morte è data alla vita la capacità di risorgere e di salvarsi. Non c'è nulla offerto più generosamente di un seme: ogni albero diffonde i suoi semi a migliaia, prodigalmente, nella tenue speranza che qualcuno attecchisca. Proprio così, ci ha detto Gesù, è la parola di Dio: è debole, inerme, sopraffatta, in mezzo al chiasso e al martellamento ossessivo delle parole umane. Ma è la sola che resta, la sola vivificante, la sola in grado di fecondare le intelligenze e i cuori. Si avventura nel mondo senza illusioni di successo; ma se qualcosa di autentico, di nuovo, di imperituro nasce nell'uomo, nasce da lei. Le altre parole lasciano il più delle volte nello smarrimento di sempre. I mezzi di comunicazione (stampa, radio, televisione) riversano ogni giorno sulle nostre anime fiumi di parole vuote e vanificanti, morte e mortificanti; di parole che solleticano senza nutrire, che scintillano senza illuminare, che riempiono gli orecchi e ci lasciano aridi nel nostro essere più profondo e più vero. Il multiloquio mondano è un diluvio che ogni giorno ci sommerge. Ma se vogliamo un po' di luce, un po' di sostentamento, un po' di consolazione, dobbiamo aprirci alla parola di Dio.La parola di Dio, che nella liturgia della Chiesa piove su di noi con grande abbondanza, sembra sempre un po' sciupata: vinta e inefficace tra gli accadimenti della storia, quasi irrilevante nel clamore della cronaca. Eppure i fatti che davvero contano, gli eventi che segnano le esistenze, le novità decisive sul serio, nascono proprio dall'incontro segreto della parola di Dio con la coscienza dell'uomo. Lo testimoniano le vicende di tutti i grandi santi.IL TERRENO NOSTRO SU CUI E' SEMINATA LA PAROLAPerché, se la parola di Dio è un seme, il nostro mondo interiore è un "campo": così Gesù completa e rifinisce l'immagine. È un campo insidiato dagli uccelli voraci dei pensieri che contrastano i disegni del Padre e delle attenzioni sviate. È un campo troppo spesso isterilito dalla superficialità e dalla incostanza, cioè da quell'atteggiamento dello spirito che non ci interdice di accogliere la proposta cristiana con gioia e magari con entusiasmo, ma ci fa rifuggire dagli impegni prolungati, soprattutto dagli impegni totali e senza ritorno, che però sono gli unici a essere degni di Dio; sicché la verità divina non riesce a mettere radici tenaci dentro di noi. È un campo talvolta ingombro di passioni incontrollate, di desideri terrestri troppo intensi, di preoccupazioni che non lasciano alcuno spazio ai pensieri del Regno e della vita eterna. È un campo però che deve stare sempre in attesa del seme; che deve sempre ricominciare ad accoglierlo, sperando sempre in una miglior fecondità per il domani; un campo che almeno intende e vuole dare i frutti che il Divino Seminatore si aspetta. A noi, che andiamo abitualmente alla scuola di Gesù, è dato di conoscere i misteri del Regno dei cieli: su di noi la parola di Dio discende senza avarizia, e la nostra appartenenza ecclesiale ci consente di capirla nella sua verità. Preghiamo perché non discenda inutilmente e perché la nostra comprensione non resti puramente intellettuale, ma investa tutto il nostro essere e il nostro agire.Preghiamo perché anche per noi si avveri quanto sta scritto nelle profezie di Isaia: Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigata la terra e averla fecondata..., così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7448OMELIA XIV DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 11,25-30)di Giacomo BiffiLe frasi di Matteo, che abbiamo ascoltato, sono tra le più affascinanti e le più ricche di insegnamento di tutti i vangeli. Da queste poche parole tutti i libri umani vengono oltrepassati; tutti i complicati pensieri, tutte le analisi erudite dei dotti sbiadiscono davanti alla loro luce; tutto il multiloquio, che si rovescia quotidianamente su di noi da parte dei vari mezzi moderni di comunicazione, nel confronto rivela la sua spaventosa vuotezza. Purché si sappiano davvero capire. La loro profondità è immensa. Forse solo la Vergine Maria, creatura "piccola" resa grande da Dio, ha potuto esaurirne davvero l'intelligibilità. Qui siamo di fronte a una sapienza diversa da quella che si impone nel mondo: una sapienza così sublime da esigere una speciale illuminazione dall'alto per essere percepita e assimilata. Alla Madre di Dio chiediamo di accostarci a queste frasi con l'umiltà di cuore, che è stata sua, e con lo stesso desiderio di aprirsi alla verità divina che ha connotato ogni giorno del suo pellegrinaggio terrestre.CI E' INDISPENSABILE UN ANIMO SEMPLICE E LIMPIDOTi benedico, o Padre... perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25). Queste cose sono i misteri del Regno, è il disegno che l'amore del Padre ha pensato per noi, è il senso ultimo e vero dell'universo, è la strada sulla quale possiamo arrivare a salvarci. Avvertiamo in queste parole l'eco del canto di colei che un giorno aveva magnificato Dio perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili (Lc 1,52). Vedete come il Figlio assomigli spiritualmente alla Madre, così come doveva perfettamente assomigliare a lei nelle fattezze del volto. Vedete come il cuore e la mentalità di Maria siano vicini e conformi al cuore e alla mentalità di Gesù. Vedete come l'originalità e la carica rivoluzionaria della predicazione di Cristo siano state anticipate dall'intuizione affettuosa di colei che già era stata proclamata piena di grazia. Non ci meraviglia: nella Vergine del Magnificat noi ascoltiamo lo stesso Spirito Santo "che è Signore e dà la vita", e che, avendo già "parlato per mezzo dei profeti", nella pienezza dei tempi è disceso su Maria nell'Annunciazione ed è disceso su Gesù, nel battesimo del Giordano, sospingendolo nel mondo a compiere la sua missione di Maestro e di Redentore (cf Lc4,1.14).TI BENEDICO O PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA...Che cosa dice Gesù con questa frase che, a ben guardare, è al tempo stesso tremenda e consolante? Dice in sostanza: "Ti ringrazio, o Dio, perché ti è piaciuto distribuire tra noi le tenebre e la luce, la finezza di spirito e l'ottusità, l'attitudine a capire il significato vero delle cose, degli accadimenti, delle idee e la totale incomprensione, non secondo le regole mondane consuete, con le quali solitamente troviamo avvantaggiati i ricchi di mezzi, di cultura, di appoggi, ma secondo principi nuovi e stupefacenti, che smentiscono tutte le attese terrene e capovolgono l'ordine dei valori comunemente riconosciuto". Chi sono, secondo Gesù, quelli che più faticano a interpretare la cifra dell'esistenza, a intendere il linguaggio di Dio, a percepire la fondamentale dimensione religiosa dell'universo senza della quale niente nella vita si capisce davvero? Chi sono i "sapienti" e gli "intelligenti", di cui qui si parla? Sono quelli che sanno, e più ancora quelli che sanno di sapere. Sono quelli che, essendo troppo furbi, troppo informati e troppo complicati, non riescono più a cogliere la semplicità disarmante del progetto del Padre. Sono quelli che sono così bravi a discutere e a indagare tutta l'esteriore complicazione della dottrina evangelica e della vicenda ecclesiale, che non sono più in grado di vedere e gustare l'interiore linearità e il candore della parola divina che salva, né la soprannaturale bellezza della Sposa amata dal Signore, che è la Chiesa. Certo, qui non si condanna l'onesta ricerca intellettuale né si vuol infierire sugli smarrimenti e sulle nebbie che possono affliggere talvolta anche gli animi meglio intenzionati. Siamo piuttosto messi in guardia dall'aridità di cuore, dall'orgoglio, dal sottile egoismo, dallo spirito di amara contestazione, che spesso colpiscono e accecano coloro che, in virtù dei loro studi e del loro prestigio culturale, credono di vedere meglio degli altri in materia di fede e di poter giudicare con voce più autorevole. Nella cristianità non mancano quelli che fanno delle loro frequentazioni bibliche o teologiche le premesse a un atteggiamento di critica e di rancore. Come c'è chi si occupa di religione e di mondo ecclesiastico, ma sembra ricavarne soltanto, per sé e per gli altri, dubbio, disorientamento, sterile problematicismo. Sono api snaturate che dal nettare delle parole ispirare e dai fiori della vita ecclesiale pare sappiano trarre solo aceto aspro e attossicante. Di tutti costoro - tra i quali per qualche aspetto e per qualche momento possiamo essere annoverati tutti - Gesù dice: sono i "sapienti" e gli "intelligenti", cui il Padre si compiace di tenere nascosti i suoi vitali segreti.IMITIAMO LO SGUARDO UMILE DI MARIAMa allora i "sapienti" e gli "intelligenti" non hanno posto nel Regno di Dio? No, c'è posto anche per loro, perché nel Regno di Dio c'è posto per tutti. C'è posto anche per loro, purché cerchino di diventare "piccoli"; purché usino della loro scienza e della loro acutezza per contemplare con occhio limpido la verità totale e per superare le inutili complicazioni; purché non si prendano troppo sul serio; purché non si dimentichino che per il Signore del cielo e della terra la fede viva degli animi retti ha un valore infinitamente più grande di tutti i libri e di tutte le discussioni; purché non si chiudano in consorterie impenetrabili e sprezzanti; purché non abbiano nessun atteggiamento di disistima o di sufficienza verso la religione tradizionale, la pietà e il buon senso degli umili, che sono i preferiti di Cristo e i privilegiati del Padre. Domandiamo per intercessione di Maria l'umiltà e la mitezza del suo cuore, che è stato il più conforme al cuore dell'amatissimo Figlio. Allora potremo, come Maria, vedere la realtà con gli occhi stessi dell'Unigenito, il solo che sa davvero guardare dentro il mistero di Dio. Allora, nelle fatiche dell'esistenza e nelle difficoltà della vita di fede, troveremo il ristoro che ci è stato promesso. Allora la legge evangelica dell'amore, cui ci siamo sottomessi accettando come norma dell'esistenza l'ideale cristiano, sarà per noi veramente un "giogo dolce" e un "carico leggero"
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7436OMELIA XI DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 9,36-10,8) di Giacomo BiffiLa pagina del Vangelo di Matteo, che abbiamo ascoltato, ci descrive la prima missione degli apostoli.Dal contesto della narrazione appare chiaro che Gesù la considera una missione provvisoria e sperimentale: quasi una prova generale in vista della missione definitiva di cui li incaricherà dopo la risurrezione, quando darà l'ordine di andare a tutte le genti non solo ad annunziare il Regno di Dio, ma anche a battezzare e a guidare i credenti in conformità ai suoi comandi.Alcune delle raccomandazioni qui contenute (per esempio quella di non uscire dai confini di Israele) si spiegano col carattere di preparazione e di saggio di questa prima evangelizzazione. Tuttavia nel suo insieme l'episodio è esemplare, ricco di insegnamenti, e merita tutta la nostra attenzione. Noi ci limiteremo a commentare in breve alcune frasi particolarmente rilevanti di questo brano.LA CHIESA, FRUTTO DELLA COMPASSIONE DIVINA PER L'UMANITA' SMARRITAVedendo le folle, ne sentì compassione. Come si vede, proprio la compassione di Cristo viene indicata come il motivo sostanziale della decisione di eleggere tra i suoi discepoli dei capi responsabilizzati e di avviare così una precisa struttura ecclesiale. La ragione profonda della missione apostolica è lo stato di miseria dell'umanità: una miseria che punge il cuore del Figlio di Dio. La Chiesa dunque nasce dalla pietà del Signore e dalla sua volontà di salvezza. Qual è la natura di questa miseria?ERANO STANCHE, SFINITE, COME PECORE SENZA PASTORELa stanchezza, il disorientamento, la disgregazione sono le note dolorose che l'occhio penetrante dell'Unigenito del Padre, che è diventato uno di noi, rileva nell'umanità abbandonata a sé sola. È un giudizio che è ancora pienamente attuale. Anche l'uomo di oggi spesso si sente stanco: stanco di lottare contro mille difficoltà che gli amareggiano l'esistenza; stanco di faticare senza risultato e qualche volta addirittura senza perché; stanco di non essere compreso nelle sue aspirazioni più essenziali e più vere; stanco di essere imbrogliato; stanco di essere sopraffatto da mille soprusi; stanco di essere vittima di molte ingiustizie. Magari crede di poter uscire da questa prostrazione con riforme sociali e cambiamenti politici, anche legittimi, ma che alla fine lo lasciano sempre deluso. Poi l'uomo di oggi è immerso nella confusione dei pareri, frastornato da mille messaggi e da mille proposte; e non sa più a chi credere. E trova la divisione e il conflitto perfino là dove gli sembrerebbe giusto attendersi un po' di concordia (per esempio nella propria famiglia, nel proprio ambiente di lavoro e di vita, nella propria comunità di preghiera). Perciò è smarrito: non sa più dove andare, non sa più quale sia la sua strada, non sa più quale sia il suo destino. Ebbene, appunto per venire incontro a questa disperata condizione degli uomini, Gesù sceglie i Dodici; e così dà inizio alla Chiesa. La Chiesa è dunque un dono che ci è dato per farci uscire dalla nostra stanchezza, dal nostro disorientamento, dalla nostra disgregazione; e guai a trascurare o peggio a disprezzare i doni di Dio! La Chiesa ci è data come aiuto provvidenziale a superare i nostri smarrimenti ed approdare alle certezze vitali: stiamo attenti a non fare della nostra capacità di litigare, dei nostri problematicismi, della nostra inesauribile propensione a dubitare, quasi un titoli di merito e un segno di più consapevole ecclesialità. La Chiesa ci è data come mezzo di unificazione e di concordia: e allora non dobbiamo diventare mai all'interno della famiglia dei credenti profeti di divisione e di contestazione, magari all'insegna del diritto al pluralismo.L'INCONTRO INTIMO E PERSONALE CON CRISTOChiamò a sé i Dodici. La scelta è sua, sua la chiamata. Gli apostoli perciò non saranno tanto dei rappresentanti della "base", quanto dei "mandati" da Cristo agli uomini, i quali, in virtù della loro presenza, della loro parola, della loro azione, potranno e dovranno diventare una comunità di fratelli.Chiamò a sé. Prima di andare tra gli uomini, l'apostolo deve andare a Gesù. Prima ancora di scoprire tutte le necessità e le sofferenze del mondo che lo aspetta, deve scoprire personalmente l'amore appassionato e coinvolgente di di colui che lo chiama; diversamente non è un apostolo. Prima di essere un "mandato", è un "chiamato", che deve fare della sua inalienabile intimità con Cristo la ragione della sua esistenza e l'anima della sua operosità.LA PREGHIERA E' INDISPENSABILE PER EVANGELIZZAREGli operai sono pochi. Pregate dunque... È una parola un po' sorprendente. Il mondo ha bisogno di apostoli, e il Signore dei cuori ritiene necessaria la nostra preghiera perché ci siano operai per la messe del Regno di Dio. Il Signore vuole che ci sia la nostra implorazione anche per le cause che stanno a cuore soprattutto a lui. Del resto, il Vangelo di Luca - narrando lo stesso episodio - ci informa che Gesù passò in preghiera l'intera notte precedente la elezione degli apostoli. Quando mancano i sacerdoti, noi siamo portati a studiare le cause del fenomeno, a organizzare inchieste, a promuovere sondaggi di opinione. Ed è giusto. Gesù però ci dà un consiglio più semplice e ci dice: pregate...Forse questa è la più notevole diversità che c'è tra noi e il Vangelo. Noi riteniamo che i problemi del mondo si risolvano soprattutto attraverso una migliore conoscenza del mondo. Il Vangelo ci insegna che i problemi del mondo si risolvono soprattutto attraverso una più grande e intensa familiarità con Dio.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7298OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO A di Giacomo Biffi1) VEGLIA PASQUALENon abbiate paura!È stata una notte di terremoto e di spavento, ci ha detto la pagina evangelica che ha appena dato l'annuncio della risurrezione del Signore; la pesante pietra del sepolcro viene rotolata via per opera di mani misteriose; le guardie tremano e cadono tramortite; esseri arcani si muovono nell'oscurità che va morendo nell'alba, avvolti di non umano splendore.È stata una notte carica di emozione e di turbamento. Le parole però che si sono ascoltate sono rassicuranti: «Non abbiate paura, voi!», dice l'angelo alle donne.Non abbiate paura, voi che cercate Gesù il crocifisso; voi che non vi compiacete nella soddisfatta ottusità della carne, ma sentite e secondate l'inquietudine del cuore; voi che non vi appagate di quanto vi è offerto dalla banalità di una prospettiva puramente terrestre, ma aspirate a porvi in cammino verso un destino più alto.Non abbiate paura, voi che cercate, voi che siete punti dalla nostalgia degli ideali perduti, voi che avvertite il desiderio di un incontro risolutivo con qualcuno che possa davvero salvare. Non abbiate paura, voi che sul serio volete celebrare la Pasqua, cioè - come dice il significato tramandato di questa antica e magica parola - volete celebrare la festa del «passaggio».Non abbiate paura, anzi allietatevi: questo è il «passaggio» del Dio potente, che finalmente si decide a dare la vittoria a chi si è affidato a lui. Questo è «il passaggio» del popolo di Dio dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà della terra promessa. Questo è il «passaggio» dalle tenebre alla luce del mondo che, oscurato dall'errore e dalla colpa, è stato illuminato dalla verità e dalla grazia dell'Unigenito del Padre, così come è avvenuto, in funzione di simbolo, per la nostra chiesa all'inizio di questa lunga e suggestiva celebrazione.Soprattutto questo è il «passaggio» del Signore Gesù, il crocifisso del Golgota, dalla morte alla risurrezione, dall'esistenza oppressa dalle fatiche e dalle tristezze (che dopo il peccato è propria dell'uomo sulla terra) alla vita di luce, di gioia, di gloria, che nel disegno misericordioso di Dio resta il nostro approdo e il nostro definitivo destino.Gesù Signore è risorto: così con voce apostolica la Chiesa non si stanca di proclamare, così noi fermamente crediamo, e in questa persuasione riconosciamo il principio della nostra vita nuova e della vera rinnovazione del mondo.Gesù Signore è risorto: noi nel battesimo «siamo stati sepolti insieme a lui nella morte», morendo alla vecchiezza colpevole della mondanità, e siamo rinati nella giovinezza della vita di grazia. Il nostro impegno pasquale è di attualizzare sempre più intimamente e sempre più estesamente questa mistica morte e questa soprannaturale rinascita.Tra pochi istanti un nostro fratello sotto i nostri occhi farà la prima esperienza di questa straordinaria avventura dello spirito: la grazia della morte e della risurrezione del Signore irromperà con forza nella sua anima, ed egli rinascerà dall'acqua come nuova creatura.Noi preghiamo per lui, per la sua fedeltà alle promesse e per la fecondità della sua nuova esistenza.Egli, in quest'ora decisiva, deve sentire la nostra calda fraternità che lo avvolge e lo accoglie con gioia nella famiglia di Dio.Al tempo stesso, partecipando con fervore al suo, noi rivivremo il nostro battesimo, riscoprendolo come la sorgente inesausta della nostra coerenza cristiana. Con lui, anche noi vogliamo vivere autenticamente questa Pasqua e ripercorrere con maggior slancio e maggior verità il «passaggio» dalla mediocrità e dall'egoismo a un comportamento più generoso, più consapevole, più aderente alla legge del Vangelo, più conforme a Cristo, supremo e unico modello di umanità.Il modo sacramentale - cioè il modo più significativo ed efficace di rivivere il nostro battesimo, di operare un più radicale «passaggio», di festeggiare con piena verità la nostra Pasqua - ci è dato nel sacramento della riconciliazione e nella integrale partecipazione al sacrificio eucaristico.La confessione e la comunione - che tutti i cristiani degni di questo nome compiono in questi giorni - non sono precetti imposti dalle leggi ecclesiastiche e subiti in formale ossequio a una meccanica e stanca tradizione; sono il grado minimo e l'avveramento iniziale di una risurrezione dello spirito, che è la stessa risurrezione di Cristo che diventa nostra e continuamente ci spinge a trasformarci.Buona Pasqua: è l'augurio di questi giorni, è l'augurio che anche noi cordialmente ci scambiamo in questa notte. Di là da ogni convenzionalità inaridita e senza significanza, fare una buona Pasqua vuol dire abbandonarsi docilmente a quest'onda rinnovatrice, che nasce dal sepolcro scoperchiato di Cristo, per tentare seriamente ogni giorno di vivere in modo diverso e più alto.Vorrei che questo augurio pasquale, di serenità e di pace, giungesse anche a un nostro fratello che da quasi cinquanta giorni vive nell'angoscia e nel disagio. Spero con tutto il cuore che l'ingegner Eugenio Gazzotti, rapito il 3 marzo scorso, possa venire a sapere, in questo giorno della risurrezione di Cristo, che i suoi familiari lo pensano ogni momento pieni di affetto e di fiducia, che c'è una comunità cristiana che prega per lui e lo affida a Dio capace di spezzare ogni catena, che tutti ci auguriamo di vederlo rientrare presto nel calore della sua casa.Il Signore, che ci giudicherà tutti, ispiri ai suoi sequestratori in questa Pasqua sentimenti di comprensione, e li induca ad abbreviare questo lungo tormento.2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUALa festa della liberazione vera e sostanzialeQuesta è l'autentica, la sola, l'eterna festa della liberazione. Non una delle provvisorie liberazioni, che ogni tanto esaltano e illudono gli uomini; che talvolta abbattono una tirannia per dare spazio a un'altra; che lasciano l'umanità sotto il giogo dei suoi oppressori più veri, cioè la menzogna, l'egoismo, la prepotenza, la colpa.Qui, nella Pasqua di Cristo, ci sono le radici di ogni nostra reale libertà. Capirlo, è capire nella sua profondità il messaggio pasquale; goderne, significa cogliere e assaporare la sostanza di questo giorno centrale dell'anno cristiano; annunciarlo, vuol dire farsi portatori dell'unica notizia davvero buona che ha attraversato la terra.«Dove c'è la fede, lì c'è la libertà»: questa frase sant'Ambrogio, che ho iscritto nella mia insegna episcopale, esprime bene questo fondamentale pensiero.La fede - cioè l'accoglimento con tutto l'essere del Signore Gesù crocifisso e risorto, nel quale si compendia ogni iniziativa di Dio per la nostra salvezza - è la roccia sulla quale si può costruire un'esistenza certa e degna, sottratta al pericolo dell'asservimento alle molte violenze, alle molte astuzie, alle molte corruzioni interiori ed esteriori che cercano di dominarci.La Pasqua è la rivelazione e la proclamazione che l'universo ha un Signore, un Signore vivo, anzi un Signore che era morto ed è tornato alla vita, sicché la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9).Perciò la Pasqua è insieme rivelazione e proclamazione di un'appartenenza; un'appartenenza che è il principio della novità, della gioia, addirittura della nostra sovranità sulle cose e sulla storia; il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro: tutto è nostro (cf. 1 Cor 3,22). Tutto è nostro perché noi siamo di Cristo, come Cristo è di Dio (cf. 1 Cor 3,23).L'incontro con il Cristo crocifisso e risorto fa d noi un popolo a parte, che fa spicco sull'umanità, la quale troppo spesso appare un'accolta di creature smarrite, perpetuamente in cerca di qualche ipotesi abbastanza plausibile o di qualche pallida speranza che dia un senso un po' più convincente al loro esistere.Nel giorno di Pasqua - con Maria di Magdala in lacrime e non rassegnata, con le donne che pensavano di dover solo onorare un cadavere, con gli apostoli che avevano perduto la fede - noi ritroviamo colui che solo è il Signore, e il nostro cuore rivive: «Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa». E in lui abbiamo ritrovato la sorgente stessa del nostro essere, della nostra capacità di pensare, della nostra libertà: abbiamo ritrovato noi stessi.Gesù, Signore e Salvatore, domina e governa l'universo non come una volontà cieca, non come una forza arbitraria, non come una norma impersonale con la quale non si può né discutere né lamentarsi. Molti potranno pensare che siano appunto questi i padroni dei nostri giorni e gli dèi che presiedono alle nostre sorti: il caso, il destino impersonale, le misteriose energie cosmiche, le leggi di una natura inconsapevole. Non noi, però, che celebriamo la Pasqua.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7280OMELIA IV DOMENICA DEL TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 5,1-12a)Il brano del Vangelo di oggi è la celebre pagina delle Beatitudini. Gesù per proclamare le Beatitudini sale su di un monte vicino a Cafarnao, il monte Tabor. Questo è un particolare piuttosto importante. Infatti, come per dare la legge al popolo d'Israele, Mosè era salito sul monte Sinai, così Gesù, per dare compimento alla Legge antica e indicare a tutti la perfezione, sale sul monte Tabor. C'è una grande differenza tra il Sinai e il Tabor: il Sinai è un monte molto aspro e deserto che simboleggia molto bene l'austerità della Legge mosaica; mentre il Tabor, più che un monte, è un colle dall'aspetto dolce e verdeggiante che indica la soavità della Legge evangelica, una legge d'amore.Gesù inizia il lungo discorso riportato nel capitolo quinto dell'evangelista Matteo con le otto Beatitudini che possono essere considerate come la "Magna Charta" del Cristianesimo, come il documento d'identità di ogni cristiano. Ciascuno di noi le dovrebbe sapere a memoria e, più ancora, meditare assiduamente e mettere in pratica. Le Beatitudini ci indicano innanzitutto come è vissuto Gesù e come dovrebbe vivere ciascuno di noi. Esse ci indicano il cammino della felicità, ci indicano dove possiamo trovare la felicità che tutti bramano ma che pochi riescono a raggiungere.Le Beatitudini comportano un capovolgimento del nostro modo di pensare e di agire. Il mondo proclama beati i ricchi e i gaudenti, i forti e i prepotenti; Gesù fa il contrario: Egli, innanzitutto, proclama "beati i poveri in spirito" (Mt 5,3). Chi sono questi poveri in spirito? Povero in spirito è colui che, libero da ogni impaccio terreno, ripone la sua speranza unicamente in Dio. Povero in spirito è colui che non è attaccato alle ricchezze di questa terra e che si fida della Provvidenza divina. Non è la ricchezza che ci può rendere felici, ma la fiducia in Colui che sa ciò di cui abbiamo veramente bisogno.La seconda Beatitudine proclama felici "quelli che sono nel pianto" (Mt 5,4). Questi sono coloro che soffrono per le miserevoli condizioni di un mondo senza Dio. Soffrono perché l'amore di Dio non è compreso. A questi afflitti Gesù promette consolazione, una consolazione proporzionata all'afflizione. Subito dopo, Gesù proclama "beati i miti perché erediteranno la terra" (Mt 5,5). I miti non sono i paurosi, ma quelli che non serbano rancore, quelli che trovano la forza nella serenità. Coloro che "hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5,6) sono quelli che desiderano la santità al di sopra di tutte le altre cose. Nel linguaggio della Bibbia, la parola giustizia significa perfezione, santità. Gesù ci insegna perciò a desiderare vivamente la santità perché la santità equivale ad amare Dio e il prossimo.I "misericordiosi" (Mt 5,7) sono quelli che, imitando il Padre Celeste, sanno comprendere e perdonare il prossimo, sanno soccorrerlo in ogni circostanza, irradiando attorno a loro l'amore di Dio di cui hanno fatto esperienza. I "puri di cuore" (Mt 5,8) sono tutti coloro che combattono tenacemente contro il vizio che si annida dentro tutti gli uomini, fino ad estirparlo. Gesù nel Vangelo ci insegna che è dall'intimo dell'uomo che esce ogni iniquità. Il male è si nel mondo, ma è soprattutto dentro di noi (cf Mt 23,27-28). Ci vuole pertanto una profonda purificazione interiore: solo così potremo essere autenticamente felici.Gli "operatori di pace" (Mt 5,9) di cui parla la settima Beatitudine non sono i grandi diplomatici, ma quelli che hanno capito l'unico modo per garantire la pace. Quest'unico modo è la piena comunione con Dio, l'armonia dell'uomo con Dio. Se dentro al nostro cuore non vi è questa armonia, non si può pensare alla pace sulla terra. Bisogna prima eliminare dalla nostra vita il peccato, ogni peccato, anche il più nascosto, solo così saremo autentici operatori di pace. Quando uno si innalza, innalza tutti; quando uno si abbassa, danneggia tutti. Pertanto ogni peccato, anche il più nascosto, misteriosamente alimenta l'odio che vi è nel mondo. Diceva Madre Teresa di Calcutta che se per un giorno solo non vi fossero più aborti, finirebbero tutte le guerre sulla terra. Riflettiamo bene su queste parole e vogliamo essere anche noi veri operatori di pace.Infine, con l'ultima Beatitudine, Gesù proclama felici i "perseguitati" (Mt 5,10). Questa è la più grande Beatitudine. È la Beatitudine di tutti i Martiri che, anche in mezzo alle sofferenze del martirio, hanno sperimentato la vicinanza con la grande Vittima del Calvario, con Gesù Crocifisso. Lungo i secoli vi sono stati moltissimi Martiri. L'ultimo secolo da poco trascorso, così civile e progredito, è stato quello che ne ha dati più di tutti gli altri secoli messi insieme. Gesù l'ha detto chiaramente: "Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi" (Gv 15,20).Con questa pagina delle Beatitudini abbiamo il più bel ritratto di Gesù. Così è vissuto Lui sulla terra e così dobbiamo impegnarci a vivere anche noi. L'Immacolata, Madre di Gesù e Madre nostra, ci aiuti in questa impresa così grande.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7180OMELIA DELLA NOTTE E DEL GIORNO DI NATALE - ANNO A di Giacomo Biffi1) MESSA DELLA NOTTELa celebrazione natalizia - prima di tutto con questa Eucaristia notturna e poi con i vari riti di questi giorni, ma anche con le molte manifestazioni festose e luminose che l'accompagnano in ogni angolo della cristianità - è un grande inno di riconoscenza e di lode a Dio, che ha rischiarato la nostra notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo.UNA LUCE RIFULGE NELLA NOTTECome aveva detto il profeta, su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una grande luce rifulse (Is 9,1). Davvero tenebrosa è la nostra terra e noi ce ne accorgiamo sempre più, anche perché si sono spenti o stanno spegnendosi tutti i bagliori ingannevoli. La nostra epoca ha visto via via esaltati i miti più falsi e più ossessivi: il mito del nazionalismo, della inevitabile lotta di classe, del razzismo, dello scientismo senza saggezza e senza amore, del permissivismo senza buon senso, dell'edonismo sfrenato. Agli inizi le ideologie sembrano sempre luccicanti e fascinose; poi, quando si impongono e si assolutizzano, si rivelano tutte soffocanti e crudeli.Stregato e illuso da questi dogmi infondati e senza verità, il nostro secolo - il secolo dell'affermazione spavalda della ragione rattrappita in se stessa e dell'umanesimo senza Dio - ci ha regalato stragi e catastrofi sociali che non trovano paragoni nella storia: le guerre totali, gli eccidi di popolazioni innocenti reclamati dalle utopie del momento, i genocidi, la soppressione legalizzata e ufficialmente propagandata di vite incolpevoli, il dissenso ecologico, il dissesto morale. Immersa in questa notte, di cui solo adesso si può cominciare a misurare interamente l'orrore, l'umanità ha però conservato un filo di luce e un piccolo germoglio di speranza: ha sempre continuato, anche nei momenti più ottusi e più tetri, a celebrare il Natale.E proprio dal Natale la fiducia può rifiorire; proprio grazie all'annuncio di gioia e di salvezza dato ai poveri e agli umili si supera ogni avvilimento. Da Betlemme ci giunge ogni buon auspicio possibile, se però ci riconosciamo - noi, uomini tutti - poveri di bene vero e di sapienza; se ci vogliono collocare tra i semplici, che non dalle voci e dalle infatuazioni mondane attendono di essere illuminati; se prendiamo posto non tra i personaggi potenti e famosi, ma tra i pastori che con cuore limpido vegliano nella notte e aspettano senza scoraggiarsi l'alba di Dio.La gloria del Signore li avvolse di luce (Lc 2,9) - abbiamo ascoltato - perché non avevano una loro gloria da difendere e da vantare.IL NATALE CI È OFFERTO PER CONSENTIRCI DI CONTINUARE A SPERARECome disperare dell'uomo, quando Dio ha voluto farsi uno di noi?Come si può temere che non ci sia più un futuro per questa famiglia di creature fragili e spavalde, dotte e dissennate, calcolatrice e prodighe, che però quasi d'istinto ogni anno bene o male si pone in ascolto del canto degli angeli che annuncia pace e salvezza?Il Natale ci è dato proprio per consentirci di proseguire a sperare. Ed è la cosa che oggi, forse più che ogni altra, avvertiamo il bisogno.È vero, la vicenda in cui siamo immersi è troppo spesso deludente e ingrata; e lo è anche per colpa nostra, cioè di ciascuno di noi: il cristiano sa che la prima critica è sempre verso se stesso. Ma non possiamo abbandonarci al pessimismo, se - come ci ha esortato san Paolo e come l'odierna festa ci incoraggia - aspettiamo sul serio, nei pensieri e nelle opere, la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo (Tt 2,13).Quel neonato bambino, che oggi contempliamo nell'incredibile indigenza di una mangiatoia, ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo che gli appartenga (Tt 2,14): questo bambino è dunque il principio di un'umanità nuova, cui dobbiamo sempre tentare e ritentare di dare spazio, a cominciare dalla nostra coscienza e dalla nostra vita.UN TRAGICO PARADOSSOL'odierna festa ci ripresenta ogni volta un tragico paradosso: da una parte i figli di Adamo, che sembra si compiacciono di degradarsi sempre più, di allontanare da sé e censurare ogni prospettiva che li salvi dalla disperazione e dell'assurdo, di scalzare dalla propria cultura ogni persuasione che dia qualche adeguata motivazione all'agire secondo dignità e secondo giustizia; e dall'altra parte Dio che non si arrende davanti a tanta stoltezza, e tenacemente li insegue col suo amore: li insegue magari anche solo con l'incanto innegabile del Natale e la nostalgia della innocenza perduta.Un grande scrittore antico, gloria e vanto della nostra regione, quasi sbigottito di fronte all'enigma del volontario scadimento umano, così esclamava in una sua omelia natalizia: "O uomo, perché così ti avvilisci, tu che agli occhi di Dio sei tanto prezioso? Perché tu, così onorato da Dio, a questo modo ti disonori? Perché indaghi scientificamente sulla tua origine, e non ti domandi mai quale sia il senso e lo scopo della tua venuta nel mondo?" (Pietro Crisologo, Sermone, 148,2).Le interrogazioni appassionate di San Pietro Crisologo, dopo quindici secoli, centrano ancora il nostro vero problema, e ancora ci possono aiutare a vivere nell'autenticità questi giorni privilegiati.La poesia del Natale - per chi la sa cogliere - è un grande dono e può, almeno inizialmente, consolarci dello sconforto e dell'amarezza dei tempi che stiamo vivendo. Ma un dono incomparabilmente più grande è passare dall'emozione effimera alla verità eterna, dal godimento spensierato alla percezione del mistero sostanziale dell'incarnazione del Figlio di Dio, dal gioco superficiale dei sentimenti al coinvolgimento profondo della vita.E questo dono appunto vogliamo oggi per noi e per tutti implorare dal Signore.2) MESSA DEL GIORNODi questi tempi non sono molte le buone notizie. La lettura dei giornali è quasi ogni giorno deprimente; dalla radio alla televisione ci sono offerti spesso motivi di profondo sconforto. Qualche volta si ha l'impressione di vivere in un mondo che si stia sgretolando e non trovi punti di riferimento affidabili per avviare una qualche ripresa.PROROMPETE INSIEME CON CANTI DI GIOIA, ROVINE DI GERUSALEMMESi è allora tentati di usare, per descrivere la situazione, la parola "rovina", che abbiamo ascoltato nella prima lettura, della profezia di Isaia: le "rovine di Gerusalemme" possono ben rappresentare la società in cui viviamo, soprattutto in rapporto agli ideali e ai valori.Il secolo ventesimo però non era cominciato così: aveva anzi fatto balenare la prospettiva allettante di un'umanità illuminata da una scienza rigorosamente autonoma e fiera di sé; aveva sventolato il vessillo di una libertà senza vincoli; aveva promesso una giustizia terrena senza il timore di un giudizio trascendente e un umanitarismo senza la virtù cristiana della carità. E molto di valido e di apprezzabile è stato anche attuato. Ma del grande progetto ideologico oggi ci restano soprattutto vistose e deludenti macerie. Ci limitiamo a richiamare qualche esempio.Prima di tutto "le rovine della ragione"; che sono molte, ma ne indichiamo una sola: gli uomini che, in omaggio alla razionalità (o meglio al razionalismo), hanno estromesso dalla loro attenzione tutta la realtà invisibile ed eterna, oggi sono comicamente arrivati a una fede quasi universale nell'oroscopo e nei responsi dei maghi e dei cartomanti.Poi le "rovine della libertà". Molti, specialmente giovani, ai quali è stata predicata l'emancipazione da ogni autorità e da ogni principio, si sono trovati sottoposti alle più tragiche schiavitù, come quelle della droga e delle varie aberrazioni morali.Infine le "rovine della serenità di spirito". Censurato il pensiero di Dio e del rendiconto finale da dare a lui, le paure non sono scomparse, sono anzi dilagate fino a diventare ossessive: paura dell'aria inquinata che respiriamo, dei cibi sofisticati, delle malattie e dei contagi senza rimedio, degli infarti improvvisi, delle crisi economiche ricorrenti, degli stranieri che ci invadono, della violenza e della disonestà che non si riesce più a frenare.Dove si estingue la fiducia in un Padre che ci ha creato e ci ama, nasce fatalmente un mondo atterrito.Una riflessione a parte meritano le "rovine della famiglia", che stanno all'origine di molti nostri guai.I bambini dell'inizio del secolo avevano a disposizione una padre, una madre e una mezza dozzina tra fratelli e sorelle. I bambini di oggi non hanno più né fratelli né sorelle; in compenso qualche volta hanno una mezza dozzina tra padri, madri, succedanei e facenti funzioni. Che meraviglia, se poi sono sempre più numerosi i nevrotici, i disadattati, i ribelli?PERCHÉ L'UOMO RINASCAA questo punto qualcuno potrebbe chiedere: ma che cosa centra tutto questo col Natale? C'entra, perché, in mezzo a questo squallore il Natale è l'unica "buona notizia".La parola di Dio, che ci ha parlato di "rovine", ci ha detto che anche queste "rovine" possono ricominciare a sperare: Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo (Is 52,9).Dal momento che il verbo di Dio - cioè la parola, il pens
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7176OMELIA II DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A (Mt 3,1-12)Il tema di questa seconda Domenica di Avvento è la conversione. Tutti abbiamo bisogno di conversione per poter celebrare nel modo migliore il Natale del Signore. Il dovere della conversione è richiamato tante volte nella Bibbia, il che significa che ogni giorno possiamo e dobbiamo migliorare, ogni giorno è il momento opportuno per cambiare qualcosa nella nostra vita, nel modo di pensare, di parlare e di agire. Ogni giorno è il momento opportuno per rompere, per spezzare qualche legame che ci tiene attaccati al male o alla mediocrità.Facendo così, noi imitiamo il navigatore, il quale rettifica di continuo la guida della nave per assicurarsi che la direzione sia sempre esatta. Noi tutti, infatti, tendiamo a deviare, siamo volubili e fragili: se non vigiliamo su noi stessi, in breve tempo smarriamo completamente la rotta. Ecco dunque il dovere di questa continua rettifica, guardando di continuo la bussola che ci indica la giusta direzione verso il Signore.Talvolta sarà difficile, ma è sempre doveroso. Volendo essere coerenti con il Vangelo, troveremo non poche cose da cambiare. Occorre l'umiltà per ammettere i nostri sbagli e le nostre deviazioni, molta forza di volontà per operare le necessarie correzioni, e molta perseveranza per non arrenderci alle prime difficoltà.Ogni vittoria su noi stessi è un passo in avanti verso la meta. Ogni giorno dovremmo dire anche noi: “Incipit vita nova”, ovvero: “Inizia una vita nuova”. Cominciare da capo è sempre molto bello e stimolante. Poter ricominciare da capo, evitando tutti gli sbagli fatti nel passato, penso sia il desiderio di tutti quelli che sono sinceramente pentiti e vogliono fare il bene. Nella vita sociale non è sempre possibile questo “azzeramento” e questa nuova possibilità; ma, per grazia di Dio, questo è possibile per la nostra vita spirituale. Un atto di contrizione perfetta brucia tutti i nostri peccati e anche le pene dovute al peccato, brucia tutto il nostro passato, un passato da dimenticare.Un giorno, ad un vecchio eremita fu chiesta l'età. «Ho cinquant'anni», rispose. «Non è possibile! – replicò il visitatore – Ne avete certamente più di settanta». «è vero – rispose l'eremita – la mia età sarebbe di settantacinque anni; ma i primi venticinque non li conto, perché li ho passati lontani da Dio». Il tempo ci è donato per trasformarlo in amore di Dio e del prossimo, tutto il resto è tempo perso.Per operare in noi questa profonda conversione, questo “azzeramento”, è cosa molto utile concederci di tanto in tanto dei veri e propri esercizi spirituali, ovvero dei giorni da trascorrere in qualche casa di ritiro, ove meditare, pregare e prepararci ad una seria confessione. Sarà proprio quando il sacerdote pronuncerà su di noi le parole dell'assoluzione «io ti assolvo dai tuoi peccati» che la nostra anima tornerà bianca come la neve e, deposto il peso del peccato, in noi si opererà questa nuova partenza. Rinnovati dall'Amore di Dio, inizieremo allora una vita secondo il Vangelo. è cosa molto buona concederci questi periodi di ritiro ogni anno, perché, come dicevo prima, tendiamo sempre a deviare e la conversione deve essere continua. Facciamo in modo che questo Avvento sia anche per noi l'inizio di una vita nuova.L'invito alla conversione ci è rivolto da san Giovanni Battista, il quale nel deserto della Giudea predicava e diceva: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2); e, poco oltre: «Fate dunque un frutto degno della conversione» (Mt 3,8). Facciamo dunque anche noi questi frutti degni della conversione. Un albero si riconosce dai frutti, così l'autenticità della nostra conversione si riconoscerà dalla bontà e dalla pazienza che noi eserciteremo verso il prossimo che ogni giorno incontriamo sul nostro cammino. è questa la “prova del nove” che svelerà ciò che veramente siamo.Affidiamoci infine alla Vergine Maria. Chiediamole la grazia di una profonda conversione. Certamente questa grazia Ella ce la vuole donare.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6952OMELIA XIII DOMENICA T. ORD. – ANNO C (Lc 9,51-62)Con la pagina del Vangelo di oggi continuiamo ad imparare cosa significa seguire Gesù. La scorsa domenica abbiamo meditato insieme che seguire Gesù significa ripercorrere la via del Calvario per raggiungere la gloria della Vita eterna. Quest'oggi continuiamo il discorso dicendo che, per seguire Gesù, dobbiamo metterlo al di sopra di tutto, al di sopra anche degli affetti più cari e più santi come possono essere gli affetti familiari. Con questo non si vuole assolutamente dire che bisogna spezzare questi legami, ma si vuole unicamente affermare che al di sopra di queste relazioni vi è Dio, il quale deve essere amato con tutto il cuore e con tutte le nostre forze. Amare qualcosa o qualcuno al di sopra o anche alla pari di Dio, sarebbe un peccato contro il primo Comandamento.A volte, poi, accade di trovarsi come ad un bivio. Da una parte ci sono questi legami umani molto forti; dall'altra vi è la Volontà di Dio che chiama a qualcosa di superiore. Cosa fare? Il cristiano non deve esitare a scegliere Dio e la sua gloria. Pensiamo a san Francesco d'Assisi. A un certo punto della sua vita si sentì chiamato da Dio a rinunciare a tutto per seguire Gesù in povertà e umiltà. A questo suo proposito si oppose tenacemente il padre che voleva fare di lui un ricco mercante. San Francesco non esitò un attimo e, pur con il comprensibile dolore di figlio affettuoso, seppe seguire la chiamata divina e divenne il grande Santo che tutti conosciamo. Se avesse ceduto alle insistenze paterne, noi oggi non saremo qui a parlare di lui.Gesù insegna questa dottrina adoperando delle espressioni molto forti. A un giovane che voleva seguirlo ovunque, il Maestro dice: «Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Con queste parole Gesù voleva far comprendere a quel giovane il distacco dalle cose materiali, al punto che Egli, Gesù, non aveva niente su questa terra, nemmeno un guanciale per il riposo. Questo ci insegna a usare le cose di questo mondo senza attaccarci il cuore, perché in Paradiso non porteremo nemmeno uno spillo, ma soltanto le opere buone da noi compiute.Ad un altro che chiedeva a Gesù il tempo di seppellire il padre, Gesù rispose: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio» (Lc 9,60). Ad un altro, infine, che voleva accomiatarsi da quelli di casa sua, Gesù disse: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). Sono certamente parole molto forti che devono farci comprendere ancora una volta che al di sopra di tutto c'è Dio e la sua gloria.Per comprendere meglio queste parole, pensiamo a tanti nostri fratelli che si sono convertiti al Cristianesimo provenendo da altre religioni. Per alcuni di loro, ricevere il Battesimo è equivalso a tagliare radicalmente con tutto il loro ambiente familiare, con la loro cultura, con tutti gli affetti che prima avevano nutrito. Essi hanno sentito fortemente che Gesù li chiamava e hanno trovato la forza anche di fuggire letteralmente dalle loro terre, senza speranza di tornarvi, pur di ricevere il dono del Battesimo e divenire cristiani. Preghiamo per loro e preghiamo per tutti quelli che desiderano fare altrettanto ma, per ora, non trovano la forza.Di fronte ad esempi così eroici di fortezza, noi rimaniamo confusi. Sforziamoci perlomeno di dimostrare la nostra fedeltà a Dio, mettendolo sempre al primo posto con la preghiera quotidiana, non accontentandoci di dargli solo le briciole del nostro tempo, ma di iniziare e terminare le nostre giornate con una intensa preghiera, domandandogli sinceramente di indicarci la sua Volontà, come fece san Francesco d'Assisi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6951OMELIA CORPUS DOMINI - ANNO C (Lc 9,11-17)Oggi celebriamo la solennità del Corpo e Sangue di Cristo. È dunque la festa dell'Eucaristia. L'Eucaristia è il dono per eccellenza, poiché è Gesù stesso che si dona a noi nelle sembianze di un po' di pane e di un po' di vino.Le letture di oggi ci aiutano a comprendere, per quanto è possibile, la grandezza di questo dono. La prima lettura ricorda la più antica figura di Cristo Sacerdote: Melchisedek, re di Salem e sacerdote del Dio Altissimo che, in ringraziamento a Dio per la vittoria ottenuta da Abramo, offre un sacrificio di "pane e vino". Questo sacrificio fatto a Dio del pane e del vino simboleggia il sacrificio dell'Eucaristia. E Melchisedek, questo misterioso personaggio di cui l'Antico Testamento non ci dà alcuna indicazione, è una prefigurazione, ovvero una anticipazione profetica, di Gesù Cristo vero Sacerdote che congiunge la terra al Cielo. Il Salmo responsoriale dice di Lui: «Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek».La seconda lettura ci presenta l'Istituzione dell'Eucaristia. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, riporta il racconto dell'Ultima Cena di Gesù con i suoi Apostoli. Durante l'Ultima Cena avvenne il più grande miracolo, miracolo che si perpetua ad ogni celebrazione della Santa Messa: il pane muta di sostanza e diventa il Corpo di Cristo, e così pure il vino che si trasforma nel Sangue Preziosissimo del Redentore.L'Eucaristia che Gesù stringeva tra le sue mani durante l'Ultima Cena è lo stesso suo Corpo che a distanza di pochi giorni è stato immolato sulla Croce, ed è lo stesso Corpo che, ogni volta, riceviamo alla Comunione. Durante l'Ultima Cena, dunque, Gesù anticipò il Sacrificio che compì sul Calvario e disse agli Apostoli: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,25). Fin dal suo sorgere, la Chiesa ha sempre obbedito a questo comando del Signore, celebrando la Messa ogni giorno. Non si tratta di un semplice ricordo di un avvenimento passato, in quanto l'Eucaristia rende presente, in modo sacramentale, lo stesso Sacrificio del Calvario.Anche il Vangelo di oggi parla dell'Eucaristia, di cui il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci è anch'esso un'anticipazione profetica. Gesù prende i pani, eleva gli occhi al cielo, li benedice, li spezza e li distribuisce. Tutti questi gesti saranno poi ripetuti durante l'Ultima Cena. Per compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù si servì dell'aiuto dei suoi Apostoli; per compiere invece il Miracolo Eucaristico, Gesù si avvale dei suoi sacerdoti, i quali sono come i suoi tesorieri.Il Vangelo dice che «tutti mangiarono a sazietà» (Lc 9,17). L'Eucaristia, soltanto l'Eucaristia, può saziare ogni nostro desiderio. Tutto il resto, anche le ricchezze e i beni di questo mondo, ci lasceranno sempre vuoti e insoddisfatti.Come proposito pratico, impegniamoci a partecipare con più amore all'Eucaristia domenicale e a ricevere spesso la Comunione. Ricordiamoci però che, per ricevere la Comunione, bisogna essere in grazia di Dio. Quindi, se uno è consapevole di essere in peccato mortale, deve prima confessarsi. In questi nostri tempi spesso si è pensato che questa norma fosse ormai decaduta, come qualcosa di superato. La Chiesa, invece, continua a ribadirla. L'ultimo Catechismo così riporta: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il Sacramento della Riconciliazione, prima di accedere alla Comunione» (CCC, n. 1385). Ciò significa che, per quanto grande possa essere il nostro pentimento, se si è in peccato mortale, bisogna prima confessarsi dal sacerdote. Anche il papa Giovanni Paolo II, in una sua lettera Enciclica, ha ripetuto questo insegnamento, dichiarando: «Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma [...] che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6950OMELIA SANTISSIMA TRINITÁ - ANNO C (Gv 16,12-15)Un giorno sant'Agostino passeggiava su una spiaggia cercando di comprendere il mistero di Dio. Mentre era immerso in queste meditazioni, vide un bambino che con una conchiglia prendeva l'acqua del mare e la versava in una piccola buca. Incuriosito, il Santo lo interrogò chiedendogli cosa stesse facendo. «Voglio mettere il mare dentro la buca», rispose il piccolo. Sant'Agostino, con parole semplici, cercò di spiegare al bambino che questo era impossibile. Allora il piccolo aggiunse: «Prima che tu comprenda il mistero di Dio, io avrò messo tutto il mare nella buca». Detto questo il bimbo disparve.Allora sant'Agostino pensò che quel bambino poteva essere un angelo inviatogli da Dio per fargli comprendere che il mistero della Santissima Trinità è il più grande e il più importante della nostra Fede e noi, con la nostra mente, non riusciremmo mai e poi mai a capirlo interamente. Come quella piccola buca sulla spiaggia era troppo piccola per contenere tutta l'acqua del mare, così, e ancora di più, la nostra intelligenza è oltre modo limitata per afferrare un Mistero così grande.Noi sappiamo che Dio è Trinità solo perché Gesù ce lo ha rivelato nel Vangelo. Egli ha parlato del Padre, del Figlio, ovvero di Lui stesso, e dello Spirito Santo. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; insieme, le tre Divine Persone non sono tre dèi, ma l'unico vero Dio. Per riuscire un po' a comprendere questo grande Mistero bisogna partire dalla più bella definizione che è stata data di Dio. La definizione, se così possiamo dire, ce l'ha data san Giovanni apostolo in una sua lettera. Egli dice: «Dio è amore» (1Gv 4,8). In questa piccola frase è racchiuso tutto il mistero di Dio Uno e Trino. Se Dio è amore, ciò significa che vi è una comunione di Persone. Il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, e l'Amore reciproco tra Padre e Figlio è anch'esso Persona ed è lo Spirito Santo.Noi, che siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo chiamati a riflettere questo Mistero dell'amore eterno di Dio nel mondo. Innanzitutto la famiglia è chiamata a questa altissima missione. Nella famiglia vi sono più persone riunite in un solo amore. Così è poi per ogni comunità umana: l'amore reciproco deve essere riflesso dell'amore di Dio.Nell'Antico Testamento non si aveva ancora la rivelazione di questo mistero. Tuttavia ve ne era qualche piccola intuizione, come quella che risulta dalla prima lettura di oggi. L'autore del libro dei Proverbi parla della Sapienza, che è da sempre, generata fin dall'eternità (cf 8,24-26). La Sapienza era presso Dio quando Egli fissava i cieli, quando stabiliva al mare i suoi limiti, quando disponeva le fondamenta della terra (cf 8,27-30). Nella Sapienza di Dio, di cui parla l'Antico Testamento, i cristiani hanno riconosciuto il Figlio eterno del Padre. È molto bello notare che, in ogni opera creata da Dio, la Sapienza era presso di Lui. Quando poi si parla dell'uomo, la lettura dice che la Sapienza ha posto in lui le sue delizie (cf 8,31). Ciò significa che tutte le creature, e in modo particolare il genere umano, sono riflesso della perfezione della Sapienza, ovvero del Figlio eterno del Padre.La seconda lettura di oggi ci parla invece dello Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità. San Paolo ci dice che «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Lo Spirito Santo è l'Amore tra il Padre e il Figlio e questo amore eterno dimora nei nostri cuori dal giorno del nostro Battesimo. Purtroppo, con il peccato mortale, noi tante volte cacciamo via dal nostro cuore l'Amore di Dio e, ad esso, preferiamo magari l'illusorio piacere di un momento. Pentiamoci dunque, di tutto cuore, e chiediamo perdono a Dio di tutti i nostri peccati. Confessiamoci sinceramente e cambiamo vita, allora lo Spirito Santo tornerà a riversare nei nostri cuori il suo amore. Così, resi nuove creature, noi potremo diventare testimoni dell'amore di Dio.Un giorno, un avvocato anticlericale andò ad Ars sperando di ridere a spese di «quell'ignorante del parroco» che era san Giovanni Maria Vianney. Ma, contro ogni sua aspettativa, quell'uomo tornò a casa convertito. Agli amici che gli chiesero: «Ma dunque che cos'hai visto ad Ars?», rispose: «Ho visto Dio in un uomo».Quanto più ameremo Dio e il prossimo, tanto più comprenderemo il mistero di Dio e lo faremo comprendere ai nostri fratelli.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6948OMELIA ASCENSIONE - ANNO C (Lc 24,46-53)Quaranta giorni dopo la Risurrezione, Gesù ascende al Cielo davanti agli sguardi stupiti degli Apostoli. Prima di benedirli, Egli dà loro la missione di predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (cf Lc 24,47). Da una parte, dunque, l'Ascensione del Signore ci invita a innalzare il nostro pensiero alle realtà celesti, distaccandolo dalla terra; dall'altra parte essa ci insegna a non rimanere inerti in una passiva attesa del ritorno del Signore, ma a edificare il Regno di Dio in questo mondo. Nella prima lettura gli angeli richiamarono gli Apostoli con queste parole: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (Ap 1,11). Con queste parole non si vuole assolutamente mettere in secondo piano la preghiera, che è senz'altro indispensabile nella Chiesa, ma si vuole richiamare l'attenzione sul fatto che è urgente l'annuncio missionario da diffondere nel mondo intero.Pertanto, se in poche parole vogliamo sintetizzare il messaggio di questa Solennità, possiamo dire che, alla luce dell'Ascensione del Signore, siamo esortati a innalzare i nostri cuori al Cielo e a poggiare bene i nostri piedi a terra, adoperandoci per la diffusione del Vangelo. Ci vuole la contemplazione e ci vuole l'azione. Questi due elementi vanno sempre insieme. Le sorti di questo mondo non si migliorano nelle discussioni, nelle riunioni, nelle pianificazioni, ma innalzando il cuore al Signore e attingendo da Lui la luce e la forza per operare e per diffondere il bene nel mondo.Nella prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, si legge infatti che gli Apostoli dovevano essere testimoni del Signore Risorto «in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (1,8). La Chiesa ha dato sempre grande importanza a questa richiesta del Signore, adoperandosi con impegno all'opera missionaria.La vita del missionario è caratterizzata da tante buone opere a favore dei poveri e dei bisognosi. Pensiamo a quanto si fa per loro in tutte le missioni cattoliche sparse per il mondo. Queste opere non devono mancare, ma non sono la cosa più importante. La cosa più urgente è messa in luce dalle parole di Gesù e consiste nel predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (cf Lc 24,47). In poche parole il missionario, innanzitutto, deve portare Gesù alle anime, deve farglielo conoscere e amare. Insieme a questo, poi, verranno le opere di carità corporale che testimonieranno l'autentica carità cristiana.L'Ascensione non ha separato Gesù dalla sua Chiesa. Anche se è salito al Cielo, Egli continua ad essere sempre con noi. «Egli non si è separato da noi, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui saremo anche noi, uniti nella stessa gloria» (dal Prefazio). Fin da adesso pensiamo spesso a questa gloria che ci attende nei Cieli. In Gesù risorto e asceso al Cielo, noi contempliamo quella che sarà anche la nostra meta finale. La festa di oggi ci insegna che non siamo stati creati per questa terra, ma per il Paradiso. Solo lì i nostri cuori troveranno la vera pace. Qui giù ci sarà sempre qualcosa per cui penare e, questo, Dio lo permette per farci desiderare ancor più ardentemente il Cielo.Anche se tante saranno le prove da superare, abbiamo però un porto sicuro ove rifugiarci: la preghiera. Con la preghiera, che giustamente è stata definita l'«elevazione della mente a Dio», noi ci innalzeremo al di sopra di tutte le miserie umane e attingeremo la forza per affrontare meglio i doveri della nostra giornata. Come un albero si riconosce dai frutti; così la bontà della nostra preghiera si riconoscerà dal miglioramento della vita che ne dovrà conseguire. Se compiremo i nostri doveri meglio di prima, allora sarà segno che avremo pregato veramente bene.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6948OMELIA ASCENSIONE - ANNO C (Lc 24,46-53)Quaranta giorni dopo la Risurrezione, Gesù ascende al Cielo davanti agli sguardi stupiti degli Apostoli. Prima di benedirli, Egli dà loro la missione di predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (cf Lc 24,47). Da una parte, dunque, l'Ascensione del Signore ci invita a innalzare il nostro pensiero alle realtà celesti, distaccandolo dalla terra; dall'altra parte essa ci insegna a non rimanere inerti in una passiva attesa del ritorno del Signore, ma a edificare il Regno di Dio in questo mondo. Nella prima lettura gli angeli richiamarono gli Apostoli con queste parole: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (Ap 1,11). Con queste parole non si vuole assolutamente mettere in secondo piano la preghiera, che è senz'altro indispensabile nella Chiesa, ma si vuole richiamare l'attenzione sul fatto che è urgente l'annuncio missionario da diffondere nel mondo intero.Pertanto, se in poche parole vogliamo sintetizzare il messaggio di questa Solennità, possiamo dire che, alla luce dell'Ascensione del Signore, siamo esortati a innalzare i nostri cuori al Cielo e a poggiare bene i nostri piedi a terra, adoperandoci per la diffusione del Vangelo. Ci vuole la contemplazione e ci vuole l'azione. Questi due elementi vanno sempre insieme. Le sorti di questo mondo non si migliorano nelle discussioni, nelle riunioni, nelle pianificazioni, ma innalzando il cuore al Signore e attingendo da Lui la luce e la forza per operare e per diffondere il bene nel mondo.Nella prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, si legge infatti che gli Apostoli dovevano essere testimoni del Signore Risorto «in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (1,8). La Chiesa ha dato sempre grande importanza a questa richiesta del Signore, adoperandosi con impegno all'opera missionaria.La vita del missionario è caratterizzata da tante buone opere a favore dei poveri e dei bisognosi. Pensiamo a quanto si fa per loro in tutte le missioni cattoliche sparse per il mondo. Queste opere non devono mancare, ma non sono la cosa più importante. La cosa più urgente è messa in luce dalle parole di Gesù e consiste nel predicare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (cf Lc 24,47). In poche parole il missionario, innanzitutto, deve portare Gesù alle anime, deve farglielo conoscere e amare. Insieme a questo, poi, verranno le opere di carità corporale che testimonieranno l'autentica carità cristiana.L'Ascensione non ha separato Gesù dalla sua Chiesa. Anche se è salito al Cielo, Egli continua ad essere sempre con noi. «Egli non si è separato da noi, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui saremo anche noi, uniti nella stessa gloria» (dal Prefazio). Fin da adesso pensiamo spesso a questa gloria che ci attende nei Cieli. In Gesù risorto e asceso al Cielo, noi contempliamo quella che sarà anche la nostra meta finale. La festa di oggi ci insegna che non siamo stati creati per questa terra, ma per il Paradiso. Solo lì i nostri cuori troveranno la vera pace. Qui giù ci sarà sempre qualcosa per cui penare e, questo, Dio lo permette per farci desiderare ancor più ardentemente il Cielo.Anche se tante saranno le prove da superare, abbiamo però un porto sicuro ove rifugiarci: la preghiera. Con la preghiera, che giustamente è stata definita l'«elevazione della mente a Dio», noi ci innalzeremo al di sopra di tutte le miserie umane e attingeremo la forza per affrontare meglio i doveri della nostra giornata. Come un albero si riconosce dai frutti; così la bontà della nostra preghiera si riconoscerà dal miglioramento della vita che ne dovrà conseguire. Se compiremo i nostri doveri meglio di prima, allora sarà segno che avremo pregato veramente bene.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6947OMELIA VI DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 14,23-29)Dio ci ama a tal punto da voler rimanere sempre con noi. Egli non si disinteressa delle sue creature. Con la sua grazia, Egli entra nell'anima come il sole entra attraverso il vetro e illumina l'interno di una stanza. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo prendono dimora nel nostro cuore e noi, pertanto, diveniamo tempio della Santissima Trinità. Non c'è più distanza tra noi e Dio. Dio è in cielo e in terra, e anche nel nostro cuore, se accettiamo che Egli abiti dentro di noi, se noi lo amiamo. Gesù ce lo dice chiaramente nel Vangelo di oggi: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).Questo ci insegna che non siamo mai soli, se veramente vogliamo amare Dio. La vita del cristiano è una vita di comunione con Colui che ci ha creati e ci ha redenti. Anzi, diciamo di più: quanto più ci sembra di essere soli, tanto più siamo vicini al nostro Dio. Egli non fa sentire la sua presenza del chiasso e nel frastuono, ma solamente nel silenzio e nella solitudine. Questa certezza ci deve spingere a cercare, nel corso della giornata, dei momenti da dedicare a questa presenza silenziosa e misteriosa. Quando preghiamo, chiudiamo la porta della nostra stanza, chiudiamo i nostri occhi, e pensiamo che Dio è dentro di noi. Parliamogli con grande familiarità e Lui ci ispirerà sempre qualche buon proposito. Sarà soprattutto nel momento della prova che sperimenteremo la sua presenza benefica: quanto più si sarà lontani dagli aiuti umani, tanto più saremo vicini all'aiuto divino.Il fatto, purtroppo, è che, quando preghiamo, siamo molto distratti. La nostra preghiera si riduce a una ripetizione superficiale di parole, alle quali nemmeno pensiamo. Per pregare bene, dobbiamo pensare innanzitutto che Dio è presente in noi e dobbiamo porre attenzione al senso delle parole che pronunciamo. Allora, e solo allora, la nostra preghiera non rimarrà mai senza effetto: od otterrà quello che domandiamo, oppure ci procurerà qualcosa di ancora più grande.Dio in me e io in Lui! Certo, con un Ospite così vivo e così grande, badiamo bene di non sfigurare. Pensiamo spesso che Dio ci vede, che Dio è nel nostro cuore. Pertanto non dobbiamo offendere questa presenza in noi con il peccato. C'è, infatti, una condizione affinché Dio dimori in noi: dobbiamo amarlo. E lo ameremo veramente solo se osserveremo la sua parola, oppure, se non lo abbiamo fatto per il passato, se ci impegneremo ad osservarla. Anche queste sono parole di Gesù: «Chi non mi ama, non osserva le mie parole» (Gv 14,24). Se si ama veramente Dio, non costerà fatica fare la sua Volontà, osservare i suoi Comandamenti d'amore. Solo se faremo così, godremo della pace che Gesù è venuto a portare su questa terra. Altrimenti, nei nostri cuori, nelle nostre famiglie e nella società umana, vi sarà sempre guerra e divisione.Il Vangelo di oggi ci parla inoltre del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo. Paraclito significa Consolatore. Egli consola i nostri cuori nelle prove della vita e ci fa assaporare, nel segreto della preghiera, quella che sarà la gioia senza fine del Paradiso. Lo Spirito Santo è il santificatore della nostra anima. Il Padre lo ha inviato su questa terra nel giorno di Pentecoste. Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù dice che il Paraclito ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Gesù ha insegnato (cf Gv 14,26).Bisogna dunque pregarlo. Ci avviciniamo ormai alla sua festa. Proponiamoci fin d'ora di invocare la sua discesa nei nostri cuori, affinché Egli ci arricchisca con i suoi Sette Doni e ci faccia comprendere sempre di più le parole di Gesù.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6946OMELIA V DOM. PASQUA - ANNO C (Gv 13, 31-33.34-35)Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua ci insegna quella che deve essere la misura del nostro amore fraterno. L'esempio che dobbiamo imitare è molto grande, il più grande che potessimo avere. Non dobbiamo amare il prossimo come lo ama una qualsiasi persona buona, ma come Gesù ci ha amati e continuamente ci ama. Comprendiamo subito una cosa: non riusciremo mai ad uguagliare l'amore di Gesù. Per quale motivo, dunque, Egli ci dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34)?La risposta penso sia soltanto una: Gesù ci dice di imitare un modello irraggiungibile per farci comprendere che dobbiamo e possiamo sempre migliorare e crescere nella carità. Non ci sarà mai un momento nel quale potremo dire di amare abbastanza.Com'è che Gesù ci ha amati? Ci ha amati fino a morire in Croce per noi, fino al Sacrificio supremo, fino al dono dell'Eucaristia, e fino a donarci, dall'alto della Croce, quanto aveva di più caro: la Madre sua quale Madre nostra tenerissima. Poteva dimostrarci un amore più grande? Certamente no! Egli ha dato tutto: la sua vita e il suo amore per noi.Sul suo esempio, dobbiamo amarci gli uni gli altri. A questa scuola divina, comprenderemo facilmente che la prova sicura dell'autentica carità è il sacrificio. Infatti, solo chi ama è disposto a sacrificarsi per una persona, fino a donare tutta la sua vita. Così fanno i genitori con i figli, così fanno le persone che si amano autenticamente e non sono accecate dall'egoismo. L'egoismo è l'esatto contrario dell'amore. L'amore è donazione; l'egoismo è solo ricerca del proprio tornaconto. Pensiamo a quante famiglie si sfasciano. Per quale motivo tante divisioni? Si sta insieme solo fino a quando ci è utile, ma quando c'è da affrontare qualche sacrificio, allora si molla tutto. Non era Gesù la misura dell'amore, ma unicamente il nostro io.Dobbiamo un po' tutti convertirci dall'egoismo all'amore. Tanti si illudono di amare; ma, in realtà, cercano solo il proprio benessere. Se di fronte al sacrificio noi non amiamo più, allora significa che in realtà non abbiamo mai amato, ma abbiamo unicamente cercato il nostro io nelle consolazioni e nei benefici che ci venivano dalle persone che ci illudevamo di amare. È regola infallibile che i veri amici si vedono solo al momento della prova. Di questi veri amici, purtroppo, ce ne sono sempre molto pochi. Amare, dunque, costa sacrificio, e non può essere diversamente.Sospinti da questo amore per il prossimo, Paolo e Barnaba predicavano il Vangelo fra molte difficoltà e opposizioni. I due Santi non badavano però a tali persecuzioni perché dicevano: «Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22). Da loro impariamo che, se veramente vogliamo bene al nostro prossimo, innanzitutto dobbiamo ricercare il loro bene spirituale, la loro salvezza eterna. Per salvare le anime, Paolo e Barnaba non badavano ai sacrifici che inevitabilmente dovevano affrontare. Tutto era poco in paragone alla salvezza dei fratelli. Si sarebbero poi riposati in Paradiso; ma, finché erano su questa terra, c'era da lottare.Una volta lasciata questa terra, avremo la giusta ricompensa. San Giovanni, nella seconda lettura di oggi, ci dice che in Paradiso Dio «asciugherà ogni lacrima [...] non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21, 4). Pensiamo spesso al Paradiso e comportiamoci in modo da meritarlo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6945OMELIA IV DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 10, 27-30)Il Vangelo di oggi ci offre della parole molto consolanti, tra le più belle di tutta la Sacra Scrittura. Gesù, parlando delle sue pecorelle, ci assicura: "Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano" (Gv 10,28).Promesse grandissime. Affinché si realizzino, la condizione è quella di ascoltare la sua voce. Gesù lo dice chiaramente: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (GV 10,27). Dunque, se vogliamo anche noi essere pecorelle del Signore, se anche noi vogliamo appartenere al suo gregge, dobbiamo ascoltare la sua voce.Come possiamo ascoltarla? In tre modi. Prima di tutto leggendo la Sacra Scrittura. Gesù ci parla nel Vangelo. Ignorare la Scrittura significa ignorare Cristo. Sant'Antonio da Padova, per averla assiduamente meditata, conosceva a memoria più o meno tutta la Bibbia. Da parte nostra cerchiamo ogni giorno di annotarci le frasi della Scrittura che maggiormente ci colpiscono. Sarà proprio con quelle frasi che Gesù vorrà parlare al nostro cuore: cerchiamo di memorizzarle e di ruminarle continuamente dentro di noi. Ne seguiranno delle belle riflessioni che nutriranno la nostra anima. Questo è il primo e più importante modo di ascoltare la voce del Signore. Ma domandiamoci: quanti di noi hanno letto attentamente tutto il Vangelo? Forse pochi. Da oggi in poi impegniamoci di più. Inoltre dobbiamo ascoltare la Chiesa, il Papa, i vescovi. "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me". E' la chiesa a insegnarci cosa è bene e cosa è peccato, non la nostra testa. Chi disprezza il Magistero della Chiesa disprezza Gesù Cristo. Pensiamo alla morale familiare: quante critiche alla Chiesa! Ma non ascoltando la voce della Chiesa ci chiudiamo alla voce del Signore.Un altro modo è quello di ascoltare le ispirazioni interiori. Ogni cristiano si deve abituare ad un po' di tempo di meditazione quotidiana. Quando preghiamo siamo noi a parlare a Dio; quando meditiamo è Dio che parla al nostro cuore. Il momento più bello di una mamma di famiglia, una volta, era quello di alzarsi molto presto alla mattina, quando la città ancora dormiva, e di mettersi a pensare e a pregare. Erano momenti bellissimi ed era proprio grazie a quella ora di silenzio che riusciva ad affrontare il peso della giornata. Santa Gemma Galgani e Santa Teresina, quando erano bambine, amavano molto starsene in silenzio e mettersi a pensare...ed era proprio in quel silenzio che Dio parlava al loro cuore e donava loro delle celesti ispirazioni.Dobbiamo abituarci al silenzio e alla riflessione così da trovare il consiglio per ogni nostro problema. San Giuseppe Moscati, celebre medico, iniziava la sua giornata con due ore di preghiera, la Comunione e la meditazione, e dopo andava all'Università a insegnare e all'ospedale per le visite mediche. E, prima di ogni diagnosi difficile, metteva le mani in tasca e stringeva la corona del Rosario. Impariamo anche noi a organizzare la nostra giornata nel silenzio e nella preghiera. Nella prima lettura di oggi abbiamo ascoltato come i giudei non vollero ascoltare la Parola di Dio. Proprio per quella loro chiusura di cuore e per aver respinto la Parola del Signore, Paolo e Barnaba iniziarono a rivolgersi ai pagani. Il testo degli Atti degli Apostoli riporta che i pagani, nell'udire la Parola di Dio, si rallegrarono e credettero alla predicazione.A volte c'è il rischio di fare la fine di quei giudei: pur frequentando la Messa tutte le domeniche, abbiamo il cuore chiuso e non vogliamo ascoltare la voce del Signore che ci parla attraverso la voce dei legittimi Pastori. Quei giudei si opposero alla Parola di Paolo e di Barnaba; noi rischiamo di opporci alla parola del Papa, al Magistero della Chiesa. A volte capita che sono proprio i lontani ad ascoltare questa voce, proprio come avvenne per i pagani che accolsero la predicazione dei due Apostoli. Ricordiamolo sempre: in ultima analisi, il segno per vedere se stiamo veramente ascoltando la voce del Signore e non la nostra testa è quello di vedere se accogliamo con docilità l'insegnamento della Chiesa.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6944OMELIA III DOMENICA PASQUA - ANNO C (Gv 21, 1-19)Gli Apostoli erano andati a pescare, ma senza esito. All'alba, un uomo, che ancora non avevano riconosciuto, sulla spiaggia dice loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete" (Gv 21,6). Obbediscono e prendono una grande quantità di pesci. Allora, quel discepolo che Gesù amava, ossia Giovanni, disse a Pietro: "È il Signore!" (Gv 21,7). Notiamo subito una cosa: Giovanni è sempre il primo, il primo a credere nella Risurrezione del Signore e il primo a riconoscerlo sulla spiaggia del mare. Giovanni è il primo perché è colui che ama di più. E' sempre l'amore ad aprire il nostro cuore al dono della fede. Al sepolcro Giovanni fu il primo a credere alla Risurrezione di Gesù, ma lasciò che fosse Pietro il primo ad entrare nel sepolcro vuoto; sulla barca Giovanni fu il primo a riconoscere Gesù, ma fu Pietro che per primo lo raggiunse, buttandosi in mare. Questo particolare ci fa comprendere che il vero amore a Gesù è sempre rispettoso della gerarchia voluta da Dio. Pietro era il primo nell'autorità e Giovanni fu sempre obbediente a questa volontà divina. Così dobbiamo fare anche noi: dobbiamo obbedire ai legittimi pastori della Chiesa non perché amano il Signore più di noi (a volte potrebbe essere il contrario), ma perché hanno ricevuto da Dio la missione di governare la Chiesa.Quando infine erano tutti sulla spiaggia e stavano consumando il pasto, Gesù, per ben tre volte, chiese a Pietro se lo amava. Pietro si rattristò di questa insistenza, e disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene" (Gv 21,17). Egli comprese bene il significato di quella triplice domanda: per tre volte aveva rinnegato il Signore, ora per tre volte gli viene chiesto se amava il Signore. Egli doveva riparare per tre volte il suo triplice rinnegamento. Questo particolare ci insegna che la migliore riparazione dei nostri peccati è sempre l'amore di Dio, l'amore che ci spinge a fare grandi cose per Lui e per i fratelli.Ad ogni risposta di Pietro, Gesù replicò: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Questo ci insegna che, nella Chiesa, l'autorità non è dispotismo, ma servizio d'amore. Solo chi ama è capace di pascere il gregge di Cristo che è la Chiesa. Pietro, sospinto dall'amore di Cristo, fece grandi cose per Dio e per la Chiesa. Si spinse fino a Roma, nel cuore del paganesimo, ove subì il martirio. Ogni Papa è il Vicario dell'Amore di Cristo. Nei primi tre secoli, pressoché tutti i Papi sono morti martiri per la fede e per il loro gregge. Comunque, la vita di ogni Papa è un continuo martirio spirituale. [...]Negli anni '50, a Roma, vi fu un uomo che voleva uccidere il Papa, che allora era Pio XII. Egli si aggirava spesso in Piazza San Pietro con un pugnale nascosto dentro la giacca. Grazie a Dio non riuscì mai a realizzare questo suo proposito. Con l'andare degli anni cresceva sempre di più nel suo cuore l'odio alla Chiesa e al Papa, finché in seguito a una apparizione della Madonna, egli si convertì profondamente, diventando, da persecutore, fervente apostolo. Il suo nome era Bruno Cornacchiola, e morì pochi anni fa a Roma. La Madonna, in seguito, gli apparve, diverse volte e gli parlò dei mali cui era soggetta la Chiesa. Diventato ormai anziano, egli disse che non si è persecutori della Chiesa solo pugnalando il Papa, come lui voleva fare, ma anche non obbedendogli, cosa che purtroppo avviene molto frequentemente ai giorni d'oggi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6943OMELIA II DOM. DI PASQUA - ANNO C (Gv 20,19-31)Per ben tre volte, nel brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, Gesù dice a suoi Discepoli: «Pace a voi». Il Signore, con la sua Morte e Risurrezione, è venuto a portarci la sua pace. Ma cosa è la pace? Tutto il mondo ne parla, tutti la vogliono, ma nessuno la raggiunge. Anzi, sembra che più se ne parla e più essa si allontana. La pace di cui parla Gesù è ben diversa da quella che il mondo cerca tanto ansiosamente. La pace portata da Gesù è innanzitutto interiore. Prima che regnare nel mondo, essa deve esserci nel nostro cuore. Solo allora saremo autentici operatori di pace, solo quando vivremo in comunione con Dio e allontaneremo il peccato dalla nostra vita.È molto interessante il fatto che Gesù ripete questa frase: «Pace a voi», proprio nel momento in cui Egli istituisce il sacramento della Confessione. Infatti, subito dopo, Egli dice ai suoi Apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22). Questo particolare ci fa comprendere che la pace si ottiene innanzitutto con una buona Confessione, quando riceviamo il perdono di Dio.Oggi, inoltre, è la festa della Divina Misericordia, festa voluta da Gesù stesso, secondo le richieste da Lui fatte a santa Faustina. Egli diceva alla Santa: «Chi si accosterà alla sorgente della vita - ovvero alla Confessione e alla Comunione - questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene». Poi continuò dicendo: «L'umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla mia Misericordia. Oh, quanto mi ferisce la diffidenza di un'anima! Tale anima riconosce che sono santo e giusto, e non crede che io sono misericordioso, non ha fiducia nella mia Bontà». Vogliamo anche noi glorificare l'infinita Misericordia di Dio, accogliendola nel sacramento della Confessione, confessandoci spesso e bene, e domandando a Gesù che ogni volta sia come l'ultima Confessione della nostra vita.Il brano del Vangelo, inoltre, ci parla della fede. Dopo aver dissipato i dubbi di Tommaso, Gesù proclama solennemente: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29). La fede è un dono di Dio, ma deve essere alimentata dalla nostra preghiera. Essa è come una piccola fiammella che deve essere di continuo ravvivata con l'olio della nostra orazione e delle nostre buone opere. Se manca tutto questo, essa, inevitabilmente, tende a morire. Domandiamo ogni giorno che il Signore aumenti la nostra fede. Sarà soprattutto con la meditazione assidua che questo dono si rafforzerà sempre di più. In questo periodo di Pasqua, per poi proseguire con lo stesso proposito, cerchiamo di meditare frequentemente la Parola di Gesù, il suo Santo Vangelo, domandandoci: "Cosa mi vuole dire Gesù con queste sue parole che sto meditando?". Se saremo fedeli a questo piccolo proposito, anche solo per un quarto d'ora al giorno, la fiamma della nostra fede si ravviverà sempre di più fino ad illuminare tutti quelli che incontreremo sul nostro cammino.Tommaso ravveduto, infine, fece uno stupendo atto di fede. Egli vide l'Umanità di Cristo Risorto, e credette senza esitare nella sua Divinità. Egli, infatti, esclamò: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Anche noi facciamo qualcosa di simile ogni volta che partecipiamo alla Santa Messa, anzi facciamo di più. Tommaso vide l'Umanità di Cristo e credette nella sua Divinità; noi non vediamo né la Divinità, né l'Umanità di Gesù, eppure crediamo senza esitare che l'Ostia consacrata che riceviamo al momento della Comunione e che adoriamo presente nel Tabernacolo, è Gesù vivo e vero, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Per questo siamo beati, perché crediamo senza vedere.Chiediamo alla Vergine Santa che custodisca in noi il dono della fede e lo accresca sempre di più ottenendoci una fede senza esitazioni, una fede che ci faccia spostare le montagne, una fede che ci faccia superare tutte le difficoltà.
OMELIE PASQUA DI RISURREZIONE - ANNO C di Giacomo Biffi1) VEGLIA PASQUALECristo Signore è risorto!Questa notte da ogni altare la Chiesa grida al mondo la notizia più sorprendente, più consolante, più rinnovatrice della storia: "Cristo Signore è risorto!".Questo messaggio avvera, con una pienezza che sorpassa l'attesa, le speranze dei patriarchi e dei profeti antichi, che abbiamo sentito farsi di secolo in secolo più chiare e vibranti attraverso le letture della veglia santa.Questo messaggio raccoglie e tramanda soprattutto le esperienze, piene di stupore e di gioia, che testimoni prescelti hanno fatto incontrando colui che era stato crocifisso, addirittura conversando e mangiando con lui.CRISTO È RISORTO!Qui c'è il cuore della nostra fede; qui c'è il solco che segna l'unica vera divisione tra gli uomini.Quelli che accolgono l'annuncio pasquale sanno di non essere più prigionieri di un mondo piccolo e chiuso, oltre il quale non c'è che l'abisso del nulla. È stato aperto un varco dall'amore che è più forte della morte: per questo varco ora anche noi abbiamo libero accesso al Regno e alla casa del Padre, dove Gesù è salito a prepararci un posto.Risorgere in Cristo e con Cristo è il nostro destino; e vuol dire migrare di là, su una nuova terra dove più non si piange, sotto nuovi cieli dove finalmente abiterà la giustizia.Se Cristo è risorto, allora ogni sofferenza è transitoria: ciò che passa, alla fine è sempre breve; e, una volta passato, sembra irreale come un sogno. Solo ciò che resta per sempre, ciò che è collocato nel mondo dei risorti, è realtà autentica e piena, senza il turbamento che è inseparabile da ogni cosa che finisce.La Pasqua è la certezza che il male alla fine è sconfitto. Anche se fa molto chiasso, anche se dissemina molte rovine, anche se può avere un'impressionante successo - che poi è il "successo dei tre giorni", come la vicenda del Signore crocifisso - non prevarrà. Sulla menzogna, sull'ingiustizia, sull'odio, sull'oppressione del debole e dell'innocente, alla fine si affermerà la verità, trionferà la vita, vincerà l'amore.L'Unigenito del Padre - che si è fatto uomo, indissolubilmente legato alla nostra stirpe e alla nostra sorte - è entrato come primogenito di una moltitudine di fratelli nel Paradiso di Dio, che così è diventato anche nostro.La sua risurrezione è la caparra sicura e concreta della nostra. Nemmeno su di noi, che pure sembriamo votati a subire il suo oscuro dominio, la morte avrà l'ultima parola. Risorgendo, Cristo ha liberato i nostri giorni "infausti e brevi" dalla paura dell'annientamento e dall'orrore della prospettiva che tutto, nella nostra esistenza, alla fine sia vanificato.ASPETTO LA RISURREZIONE DEI MORTINella professione di fede noi proclamiamo davanti a tutti: "Aspetto la risurrezione dei morti". Lo diciamo tutti sul serio?San Paolo, al pensiero che qualche cristiano possa ripetere queste parole senza convincimento intimo e certo, è preso come da un brivido di angoscia e di compassione; ed esclama: Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati... Se abbiamo speranza in Cristo soltanto per questa vita, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini (cf. 1 Cor 15,16-19).Allora la grazia particolare da chiedere nella celebrazione della Pasqua è appunto di recuperare intera e viva questa persuasione. È la verità che è il centro e il compendio di tutta la nostra fede: deve tornare ad essere il cuore e l'ispirazione di tutta la nostra esistenza.E c'è una seconda grazia da chiedere: quella di diventare, tutti noi che crediamo, gli evangelizzatori e gli apostoli di questo annuncio pasquale.Annunciare la risurrezione di Cristo, che è principio e causa della nostra, significa in concreto anche di riaffermare la preziosità dell'uomo in faccia a Dio e la sua dignità. E ci vuole coraggio e tenacia in un mondo come il nostro.Non è facile far risonare efficacemente la Pasqua in una società dove le aggressioni, gli omicidi, i sequestri si fanno sempre più frequenti e spavaldi; dove gli esseri umani, chiamati alla vita, vengono subito aggrediti atrocemente - e legalmente - perché non ne varchino la soglia; dove la denutrizione e la fame abbattono a milioni i fanciulli; dove l'emarginazione del malato e dell'anziano a volte è aggravata da calcoli ed egoismi spietati [dove sono chiamate civili le unioni che segnano il ritorno alla barbarie, dove si parla di diritti per tutti, tranne che per i bambini che hanno il diritto fondamentale ad avere un babbo e una mamma, N.d.BB].Ma celebrare la Pasqua vuol dire anche ravvivare la speranza. Proprio perché Gesù di Nazareth è risorto e, risorgendo, è stato costituito Signore dell'universo, noi sappiamo che l'umanità non può andare perduta. Una grande energia di novità e di riscatto sta pervadendo la terra da quel mattino di primavera, quando prima Maria di Magdala e le altre donne, poi Pietro e gli apostoli trovano il sepolcro vuoto. Ciascuno di noi stanotte si impegni a lasciar lavorare questa divina energia nel segreto del suo cuore e nella operosità della sua vita.2) MESSA DEL GIORNO DI PASQUACristo, nostra Pasqua, si è immolato!Cristo, nostra Pasqua, si è immolato! (1 Cor 5,7), esclama con voce commossa san Paolo nella prima Lettera ai Corinti.Cristo, nostra Pasqua. L'espressione è significante: san Paolo pensa alla Pasqua come a una persona; noi pensiamo alla Pasqua come a una festa. Ed è giusto: la Pasqua è una festa, è anzi la madre di tutte le feste cristiane; e la sua gioia vibra in ogni altra autentica gioia che possiamo incontrare, la sua luce risplende in ogni speranza che non delude.Ma prima ancora la Pasqua è un avvenimento, che si è compiuto e non finisce più. Addirittura è una persona: la persona del Figlio di Dio crocifisso e ritornato alla vita, che di sé colma interamente la storia ed è ormai, nell'avventura umana, una presenza intramontabile; una presenza che pervade tutto e chiede di farsi in tutti principio di una mentalità nuova e di una esistenza trasfigurata: Cristo risuscitato dai morti non muore più: la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9).Allora la Pasqua è sì un'occasione straordinaria di letizia familiare e sociale, un'opportunità di tornare in pace e sereni, un'occorrenza di cordialità beneaugurante. Ma non può ridursi a questo, perché non si tratta soltanto di una festa, sia pure la più rifulgente di tutte.Celebrare la Pasqua nella sua piena autenticità comporta cogliere e comprendere sino in fondo il senso dell'immolazione di Cristo, per condividere esistenzialmente - anche mediate la comunione al suo Corpo e al suo Sangue, offerti in sacrificio per noi - il mistero della sua morte e della sua risurrezione.I valori dell'immolazione del Signore sono molteplici, anche se poi si possono riassumere in uno solo: la gloria di Dio inverata nella redenzione degli uomini.VITTORIA DELLA VERITÀ SULLA FALSITÀ E L'ERRORELa Pasqua di Cristo è prima di tutto vittoria della verità su ogni prospettiva deformata e falsa, e quindi anche sul demonio, che dall'unico Maestro è stato perfettamente definito come il padre della menzogna (cf. Gv 8,44).Gesù, testimone verace (At 3,14), al cospetto delle massime autorità della sua nazione non teme di proclamare la sua origine divina, pur prevedendo che questa franchezza gli sarebbe costata la vita (cf. Lc 22,70-71), perché egli sa che solo a partire dalla conoscenza di questa realtà primaria e trascendente può scaturire la nostra salvezza.A Pilato piaceva - come a molti anche ai nostri giorni - discutere elegantemente, gingillarsi con i concetti, coltivare con i vari interessi culturali, purché non si arrivasse a certezze troppo scomode e troppo impegnative. A lui il suo misterioso Prigioniero rivolge parole che sono taglienti come una lama di luce, e sono ancora oggi inquietanti: Per questo io sono nato e sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Gv 18,37).Lo splendore della Pasqua, meritato dal sangue del Figlio di Dio, ci illumini e ci scampi dalla spirito di Pilato. Ci liberi cioè da ogni propensione allo scetticismo e al relativismo, da tutti i dubbi coltivati ed esaltati quali fossero pregi e fortune, dalla superficialità per cui finiamo col pensare che tutte le visioni delle cose sono accettabili, che tutte le religioni sono uguali, che tutte le maniere di vivere e di agire meritano considerazione.Ci faccia anzi tutti diventare ricercatori appassionati di ciò che è vero, di ciò che è, di ciò che salva. Ed è una ricerca che deve cominciare e accompagnarsi con la rettitudine della nostra intenzione e l'irreprensibilità del nostro agire, perché Gesù ha detto: Chi fa la verità viene alla luce (Gv 3,21).VITTORIA DELL'INNOCENZA SUL PECCATOPoi la Pasqua è vittoria dell'innocenza sul peccato. In questa vicenda, l'unico incolpevole si lascia volontariamente aggredire dai peccatori. A loro - e a tutti noi - egli ottiene il perdono di Dio, e a nostro vantaggio prepara nel suo sangue un'aspersione di misericordia.La prima conquista di questo trionfo, ottenuto a così caro prezzo, è il malfattore crocifisso sul Golgota accanto a Gesù. Col suo pentimento egli rovescia felicemente un'intera esistenza sbagliata: una attimo di fede, e la croce si muta nella gloria. Il caso è esemplare, ed è ragione di speranza per tutti noi, quali che siano i nostri debiti con la giustizia divina: "Dopo il perdono al ladro, chi sarà ancora oppresso da timore?", canta sant'Ambrogio nel suo inno pasquale.VITTORIA DELLA VITA SULLA MORTEPiù radicalmente la Pasqua è il trionfo della vita sulla morte. Gli uomini - i condannati a morte, perché tutti siamo destinati a incontrare questa oscura esperienza a causa del peccato - condannano a morte colui che è la fonte stessa della vita.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6839OMELIA DOM. DELLE PALME - ANNO C (Lc 22,14-23.56)Lucia di Fatima, quando era ancora bambina, un giorno raccontò alla piccola beata Giacinta la storia della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. La piccola Giacinta, di circa sei anni, ascoltava attentamente e da allora chiese a Lucia di ripetergliela spesso. E ogni volta che ascoltava il racconto delle sofferenze di Gesù piangeva e diceva: «Oh! Povero Signore! Io non devo fare più nessun peccato. Non voglio che il Signore abbia a soffrire ancora».La piccola Giacinta di Fatima piangeva al sentir parlare della Passione del Signore, noi invece rimaniamo indifferenti. Il motivo è che noi abbiamo un cuore di pietra, insensibile e glaciale; la piccola Giacinta aveva invece un cuore puro, che amava davvero. Domandiamo al Signore la grazia di un cuore nuovo e meditiamo spesso la Passione del Signore, piangendo i suoi dolori e i nostri peccati.San Leonardo da Porto Maurizio affermava che dalla mancanza di questa meditazione derivano tutti i nostri mali. Per questo motivo, egli esortava caldamente alla pia pratica della Via Crucis da lui ideata e da lui propagata in tutta l'Italia. Egli, dopo anni di predicazione popolare, così scriveva: «La causa di tutti i mali per noi va ricercata nel fatto che nessuno pensa alle realtà che dovrebbero costituire un oggetto di continua meditazione. Non c'è da meravigliarsi se ne consegue un completo disordine morale. La frequente meditazione sulla Passione di Cristo dà lumi salutari all'intelletto, fervore alla volontà e sincero pentimento dei propri peccati. Ho constatato quotidianamente, e toccato con mano, che il miglioramento dei cristiani è condizionato dalla pratica del pio esercizio della Via Crucis. Tale pratica è un antidoto ai vizi, un freno alle passioni, un incitamento efficace a una vita virtuosa e santa. Se terremo presente davanti agli occhi della mente l'acerbissima Passione di Cristo, non potremo non detestare il peccato e ci sentiremo trascinati a rispondere con amore alla carità di Cristo e ad accettare gioiosamente le inevitabili avversità della vita».Contemplando il Crocifisso noi comprendiamo tutto l'amore di Dio per l'umanità e comprendiamo la bruttezza del peccato. Ogni volta che siamo presi dalla tentazione, pensiamo che con i nostri peccati noi mettiamo in Croce Gesù e rifiutiamo il dono della salvezza.In questa breve riflessione vorrei prendere spunto da una frase che Gesù rivolse ai suoi Discepoli sul monte degli Ulivi. Nell'imminenza della sua Passione, Egli disse: «Pregate, per non entrare in tentazione». Con questo, il Signore ci insegna che la preghiera è la nostra migliore difesa contro il male, che essa è come l'arma del cristiano. Senza preghiera, inevitabilmente, soccomberemo. Gli Apostoli in quella occasione non pregarono, furono presi dal sonno e, al momento della prova suprema, quando Gesù fu condotto alla Croce, tutti, all'infuori di Giovanni, scapparono via spaventati. Così sarà per noi: se non pregheremo, non riusciremo a superare la tentazione.L'evangelista Luca è l'unico che riporta il particolare del sudore di sangue. Il testo dice: «Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra». Questo particolare ci rivela tutta la sofferenza che Gesù provò al monte degli Ulivi durante quella preghiera. In quel momento, Gesù vedeva ciascuno di noi, vedeva tutti i nostri peccati, vedeva tutti quelli che avrebbero rifiutato il dono della sua salvezza, e per essi provava un'angoscia mortale.In qualche modo, vogliamo stare con Gesù ed essergli di conforto in questa agonia. Gesù, in quel momento, vedeva anche tutte le nostre preghiere, le nostre riparazioni, le nostre Adorazioni eucaristiche. Sull'esempio di tanti Santi, prendiamo la buona abitudine di fermarci anche a lungo in chiesa, davanti al Tabernacolo, con l'intenzione di consolare Gesù e di coprire con la nostra devozione tutti i peccati che si commettono nel mondo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6838OMELIA V DOM. DI QUARESIMA - ANNO C (Gv 8,1-11)I farisei cercano di mettere in difficoltà Gesù, presentandogli una donna sorpresa in flagrante adulterio. La Legge mosaica imponeva la lapidazione per donne del genere, e ora i farisei chiedono il parere a Gesù. Se avesse apertamente detto di no alla lapidazione, Egli sarebbe andato contro la Legge mosaica; se avesse detto di sì, avrebbe trasgredito la legge romana che proibiva la lapidazione, e inoltre sarebbe andato contro il suo stesso messaggio di misericordia.Inizialmente Gesù si mette a scrivere con il dito per terra. Questo particolare, apparentemente indifferente, ha anch'esso la sua importanza: prima di tutto esprime tutto il suo disinteresse per le trame dei farisei e, in secondo luogo, si riferiscono probabilmente a quanto scriveva il profeta Geremia: «Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore» (17,13). Con questo gesto simbolico Gesù fa capire ai suoi interlocutori che anch'essi erano pieni di peccati, che avevano anch'essi abbandonato il Signore, la fonte di acqua viva.Gesù allora dice: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). A questa risposta di Gesù viene in mente quanto scrive, nella sua Regola, san Francesco d'Assisi: «Ciascuno giudichi e disprezzi se stesso». Non possiamo condannare il nostro prossimo quando siamo noi ad essere carichi di peccati. Sempre pronti a puntare il dito contro il nostro fratello, noi siamo molto bravi a scusare i nostri difetti. Sull'esempio dei Santi dobbiamo fare invece il contrario.Dopo questa frase di Gesù, se ne andarono tutti via, «uno per uno, cominciando dai più anziani» (Gv 8,9). Rimangono allora soli, la misera e la Misericordia, come scriveva sant'Agostino. Gesù non condanna la donna peccatrice e neppure l'approva, ma l'incoraggia sulla via del ritorno, della conversione, dicendole: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).Gesù perdona la donna peccatrice e questa frase: «Va' e d'ora in poi non peccare più», Gesù la ripete anche a noi ogni volta che ci accostiamo al sacramento della Confessione. Siamo peccatori e, in quella donna adultera, c'eravamo anche noi, che troppe volte siamo infedeli a Dio, ci allontaniamo dalla Fonte d'acqua viva e ci imbrattiamo nel fango della nostra miseria.Il Vangelo di oggi è un invito a una profonda conversione, a iniziare una vita nuova e a lasciarci dietro le spalle il nostro passato fatto di peccati e di infedeltà. Nella prima lettura abbiamo ascoltato le parole del profeta Isaia il quale esortava: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche» (43,18); e, ancora più chiaramente san Paolo, nella seconda lettura di oggi, così scriveva ai Filippesi: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14).Dimenticarsi dei peccati passati significa pentirsi profondamente e avere un sincero proposito di non commetterli mai più, costi quel che costi. Come Dio li dimentica, così anche noi dobbiamo cancellarli definitivamente e iniziare una vita nuova.Il Vangelo di oggi ci insegna inoltre a non considerare il peccato del prossimo, a non condannare il fratello. Questo è il giusto atteggiamento da prendere nei confronti dei peccatori. Gesù odia profondamente il peccato, ma ama immensamente il peccatore. Così dobbiamo fare anche noi: rispettare e amare il peccatore, ma combattere senza mezze misure il peccato.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6837OMELIA IV DOM. DI QUAR. - ANNO C (Lc 15,1-3.11-32)La parabola del figliuol prodigo è una delle più belle pagine della Sacra Scrittura, che ci parla della Misericordia di Dio per noi peccatori. Il padre è Dio e il figlio è l'uomo. Per quanto grande possa essere il peccato dell'uomo, molto più grande, infinitamente più grande, è la Misericordia di Dio. Giuda ha commesso due peccati molto grandi: il primo è stato quello di tradire il Signore; il secondo quello di disperarsi, di non credere alla Misericordia di Dio. Di certo, molto più grande è stato il peccato di disperazione. Se avesse confidato in Dio, nella sua Bontà, e avesse chiesto perdono, certamente Dio lo avrebbe perdonato.Un giorno san Luigi Orione fu invitato in una parrocchia a predicare. Il tema della predicazione era quello della Misericordia di Dio. Volendo dare un esempio della Bontà di Dio, sempre pronto al perdono, ad un certo punto gli venne in mente di dire che, se anche uno avesse ucciso la propria madre mettendo del veleno nel piatto dove mangiava, se veramente pentito di questo enorme peccato, Dio lo perdonerebbe. Al termine della funzione, lasciò quella parrocchia e andò alla stazione ferroviaria per tornarsene a casa. Alla stazione fu raggiunto da una persona sconvolta. Quell'uomo gli disse: «Lei, padre, certamente mi conosce!». «No – rispose –, non l'ho mai vista!». «Eppure lei mi deve conoscere – continuò l'uomo – perché ha parlato proprio di me nella predica: io sono quell'uomo che ha avvelenato la propria madre. Ma veramente Dio mi può perdonare?». L'uomo spiegò che vent'anni prima aveva compiuto quell'orribile peccato e che dopo si era amaramente pentito, ma non credeva di poter essere perdonato. Aveva trascorso vent'anni di disperazione, ma finalmente quel giorno scoprì, come il figliuol prodigo, l'immensa Misericordia di Dio. Si confessò, lì alla stazione, da san Luigi Orione, e ritrovò finalmente la pace.Nel brano del Vangelo che abbiamo letto ci sono dei particolari da cui possiamo ricavare dei preziosi insegnamenti.Lontano da casa e sperperati tutti i suoi averi, il figliuol prodigo fu costretto «a pascolare i porci» (Lc 15,15). Desiderava sfamarsi con le carrube, ma nessuno gliene dava. Il peccato ci priva del bene più grande che è la grazia di Dio e noi diventiamo le creature più miserabili. Inoltre, il peccato, a volte, porta anche alla miseria materiale. Dove c'è miseria, sovente ci sono dei peccati alla base, propri o altrui. La povertà è una virtù evangelica; la miseria è una piaga da combattere e si combatte eliminando prima di tutto i peccati, in modo particolare la bestemmia, le profanazioni delle feste e i peccati contro la vita.Allora il figliuol prodigo rientrò in se stesso e disse: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (Lc 15,18). Dio visita i nostri cuori con i rimorsi di coscienza: dobbiamo essere solleciti a levarci, a rialzarci dopo la caduta, ad andarci subito a confessare. Se brutto è il peccato, più brutto è lo scoraggiamento che ci impedisce di tornare a Dio.«Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20). La Misericordia di Dio ci insegue fino al letto di morte e aspetta il momento del nostro pentimento. La sua grazia previene e accompagna sempre il nostro ritorno a Lui.Una volta tornato a casa il figlio, il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi» (Lc 15,22). Non è il padre a rivestire il figlio, ma sono i servi. E così Dio si serve dei suoi servi, dei sacerdoti, per rivestire i peccatori, per ridare loro la veste nuova della grazia. Ecco dunque la Confessione. Dio ci perdona subito dopo il nostro pentimento, ma dobbiamo andare dal sacerdote per essere rivestiti, per essere assolti con il sacramento della Riconciliazione, e solo dopo aver fatto questo possiamo prendere parte al banchetto dell'Eucaristia.Il testo del Vangelo continua dicendo che il figlio maggiore, udite la musica e le danze, «si indignò, e non voleva entrare» (Lc 15,28). È questo un peccato di invidia, un peccato contro lo Spirito Santo. Quante volte anche noi, senza pensarci, invidiamo la grazia altrui e ci rattristiamo per i benefici che Dio largisce al nostro prossimo. Se grande è stato il peccato del figliuol prodigo, ancor più grande è stato il peccato del figlio maggiore.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6836OMELIA III DOM. DI QUARESIMA - ANNO C (Lc 13,1-9)Siamo giunti a metà del nostro itinerario quaresimale e la lettura del Vangelo ci presenta la parabola del fico infruttuoso. Quell'albero di fico simboleggia ciascuno di noi chiamati a portare frutti abbondanti che rimangano per la Vita eterna. Come un albero carico di frutti piega i suoi rami a terra, fino quasi a spezzarsi, così noi, al termine della nostra vita, dovremmo giungere ricolmi di opere buone per il Paradiso. [...]Questa parabola ci insegna prima di tutto che la nostra vocazione è quella di portare frutti abbondanti di opere buone. Solo così potremo essere felici. Certamente ciò comporterà sacrificio: i rami pieni di frutti quasi si spezzano, ma se un albero non fruttifica a cosa serve? Un genitore è contento di tutti i suoi sacrifici quando vede che questi sono serviti a far crescere i figli buoni e onesti. Quando si ama, i sacrifici sono amati e benedetti.Per dare frutto autentico, noi dobbiamo intraprendere un cammino di seria conversione. Ciò è indispensabile. Dobbiamo intensificare la nostra preghiera, lottare contro il peccato, e dobbiamo esseri generosi nella nostra mortificazione. In poche parole, dobbiamo convertirci. Per ben due volte, nel brano del Vangelo di oggi, Gesù ci dice: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3-4).La Quaresima è il tempo adatto per convertirci e cambiare rotta. La mortificazione, la penitenza di cui il Vangelo tante volte parla, si possono paragonare a tutte quelle cure che il contadino prodiga affinché gli alberi da lui curati portino frutto. La sua opera è faticosa, ma indispensabile.La parabola del fico ci insegna inoltre la pazienza di Dio. Il padrone del campo attese per tre anni prima di tagliare quell'albero infruttuoso. Così fa Dio con noi. Egli non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva. Ma non bisogna abusare della sua pazienza. San Bernardino da Siena insegnava che Dio aspetta la conversione del peccatore, ma, dopo un certo tempo più o meno lungo, interviene per il bene stesso di quel peccatore. Questi interventi medicinali di Dio che tante volte chiamiamo "castighi di Dio", su questa terra, sono espressioni della sua infinita Misericordia. Il castigo è come una medicina amara che Dio non vorrebbe somministrare, ma che usa come estremo rimedio per scuotere i suoi figli prodighi e ricondurli al suo Amore. Dio, che tanto ama le sue creature, non può disinteressarsi della sorte dei suoi figli che camminano per la via della perdizione: Egli fa di tutto per ricondurli sulla retta strada che conduce al Cielo.Non dobbiamo attendere questi interventi, convertiamoci subito! Chiediamo incessantemente a Gesù per intercessione della Madre sua e nostra la grazia di una continua e profonda conversione.Anni fa un missionario incontrò una donna, la quale aveva un figlio che da poco si era convertito. In precedenza egli era un delinquente, un violento e rubava di continuo. La mamma cercava di richiamarlo, di condurlo alla Fede, ma inutilmente. A un certo punto, dopo diversi anni di questa vita dissoluta, il giovane disse alla madre: «Se Dio veramente esiste e se Dio veramente mi ama, come tu dici, certamente mi punirà, perché un padre corregge sempre un figlio che sbaglia». Passarono pochi giorni e dopo l'ennesimo furto, il giovane fu arrestato. In quel Paese le carceri sono molto dure e in mezzo a tanta sofferenza il giovane si convertì e divenne un apostolo per tanti compagni di prigionia, distribuendo loro i Rosari e le Medagline che la mamma gli portava. Accettò con rassegnazione la sofferenza di quella dura prigionia, in riparazione dei suoi numerosi e gravi peccati.Dio amava davvero quel giovane e proprio perché lo amava permise quella sofferenza, per convertirlo e salvarlo. Da questo episodio possiamo capire come la più grande sventura che ci possa capitare è quella di non essere corretti da Dio.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6835OMELIA II DOM. QUARESIMA - ANNO C (Lc 9,28b-36)La seconda domenica di Quaresima ci presenta, nel Vangelo, l'episodio della Trasfigurazione. La Trasfigurazione è stata una manifestazione della Divinità di Gesù e una anticipazione della gloria futura. Prima di salire il Calvario, Gesù sale il monte Tabor, per irrobustire la fede degli Apostoli e infondere coraggio nel portare la croce. Sul monte Tabor Gesù discute con Mosè ed Elia sulla sua prossima morte di Croce che avrebbe subìto a Gerusalemme. L'Alleanza con Abramo fu fatta con il sacrificio degli animali; la Nuova ed Eterna Alleanza si realizzò invece con il Sacrificio del Figlio di Dio, Gesù, morto in Croce e risorto per la nostra salvezza. Si udì una voce dal Cielo, la voce del Padre che disse: «Questi è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo!» (Lc 9,35). Questo episodio ci offre diversi insegnamenti.Prima di tutto ci insegna la necessità della croce. La gloria passa per la croce, chi vuole entrare nella gloria deve salire anche lui il Calvario dietro a Gesù. L'apostolo Paolo, nella seconda lettura, ci dice che «molti si comportano da nemici della croce di Cristo» (Fil 3,18). Tutti vogliono andare in Paradiso, ma pochi sono quelli disposti a portare la croce sulle loro spalle. Tutti vogliono arrivare alla Risurrezione senza passare per il mistero della Crocifissione. Anche Pietro preferiva starsene sul monte Tabor; ma, come si legge nel Vangelo, «non sapeva quello che diceva» (Lc 9,33).Il secondo insegnamento riguarda la necessità della preghiera. Anche noi dobbiamo fare esperienza della Trasfigurazione. Anche noi dobbiamo salire il monte Tabor con Gesù e questo lo facciamo con la preghiera. Come Gesù volle irrobustire la fede degli Apostoli, così vuole irrobustire anche la nostra fede e fortificarci nel portare la croce attraverso le gioie e le consolazioni che ci vengono dalla preghiera.Gesù salì sul monte a pregare. Impariamo da questo quanto sia importante la preghiera. Non se ne può fare a meno. La preghiera è la cosa più importante e i monasteri e le case di contemplazione possono essere considerati come le sorgenti nascoste che danno vita a tutta la Chiesa. Il beato Luigi Stepinac, arcivescovo di Zagabria nel XX secolo, aveva in così grande considerazione la vita contemplativa che appena divenne vescovo volle in diocesi un monastero di clausura, ben sapendo quanto sia importante avere delle anime oranti che attirino la grazia sul mondo intero. I contemplativi sono i più grandi benefattori dell'umanità.Un altro insegnamento riguarda la gloria futura. Anche il nostro corpo risorgerà e sarà glorificato ad immagine del corpo glorioso di Gesù e dell'Immacolata Assunta in Cielo. San Paolo, nella seconda lettura, ci dice che Gesù Cristo «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Per questo motivo dobbiamo amare e praticare la virtù della purezza. Anche il nostro corpo è chiamato alla gloria del Paradiso, a condizione che serbiamo la purezza. Gesù nel Vangelo dice: beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Lo vedranno in Paradiso ma già su questa terra assaporano le gioie della Vita eterna. La purezza è già un anticipo della gloria futura. Dio alcune volte premia la purezza dei suoi servi con doni particolari. Pensiamo a San Pio da Pietrelcina: quanti lo avvicinavano avvertivano un profumo di Paradiso. E così altri Santi. Pensiamo alla beata Giacinta di Fatima: a distanza di tanti e tanti anni dalla sua morte il suo corpo è ancora incorrotto. Esempi del genere se ne potrebbero fare molti. La purezza è la presenza dell'Immacolata nel nostro cuore, è il profumo del suo candore.Eliminiamo dalle nostre case tutto ciò che offende una virtù così bella. Pensiamo a tanti programmi televisivi, a tante riviste indecenti. Le nostre case diventano come tante discariche nauseanti. San Luigi di Montfort terminava le sue innumerevoli missioni popolari con una cerimonia particolare: invitava tutti i fedeli a portare in piazza tutte le immagini indecenti che si trovavano nelle loro abitazioni e poi accendeva un grande fuoco distruggendole tutte ed esortando tutti a non tenerle mai in casa. Facciamo anche noi questa pulizia nelle nostre case!Infine, l'episodio della Trasfigurazione ci insegna ad ascoltare Gesù. Lui è il nostro Maestro, noi tutti gli dobbiamo ubbidienza. Gesù ci parla nel suo Vangelo, da questo deriva il dovere di leggerlo, di meditarlo; ci parla attraverso i suoi rappresentanti qui in terra: il Papa, i vescovi. Chi ascolta loro, ascolta Gesù. Da ciò deriva il dovere dell'obbedienza alla Chiesa che è Madre e Maestra, che ci insegna ciò che è secondo Dio e ciò che dobbiamo evitare.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6834OMELIA I DOMENICA QUARESIMA - ANNO C (Lc 4,1-13)Siamo giunti alla prima domenica di Quaresima e il Vangelo di oggi ci presenta uno degli episodi più misteriosi della vita di Gesù: le tentazioni a cui fu sottoposto nel deserto da parte del demonio. Questo episodio ci insegna innanzitutto che il demonio esiste, che abbiamo un nemico delle nostre anime, il quale continuamente attenta al nostro bene. Il demonio fa di tutto per non essere scoperto, ci fa credere che lui non esista, per poter agire indisturbato. Dobbiamo dunque aprire bene gli occhi e difenderci con le armi della preghiera.Gesù è tentato. Si tratta solo di tentazioni esterne, non di quelle interne, dovute alla concupiscenza. Era comunque impossibile che Gesù potesse soccombere a quelle tentazioni del demonio. Egli ha voluto comunque fare sue le nostre tentazioni per donarci la sua vittoria.Inizialmente, il demonio disse a Gesù: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane» (Lc 4,3). Ma Gesù rispose: «Non di solo pane vivrà l'uomo» (Lc 4,4). Con questa prima tentazione, il demonio induce tante volte l'uomo a ricercare unicamente il benessere materiale e a disinteressarsi completamente del bene della sua anima. Impariamo da Gesù a ricercare principalmente il Regno dei Cieli e la sua giustizia, pensando che Dio è un Padre provvidente che non lascerà mancare nulla a coloro che in Lui confidano.Il demonio tentò Gesù una seconda volta e gli disse mostrandogli tutti i regni della terra: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria [...]. Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo» (Lc 4,6-7). Questa tentazione ha come scopo quello di indurre l'uomo a mire ambiziose, ad aspirazioni al potere, al successo, alla gloria umana. Ma dietro queste aspirazioni, tante volte, si nasconde l'insidia di satana. L'uomo, pur di arrivare a queste mete, tante volte è disposto a scendere a compromesso con il peccato e a dare gloria non a Dio ma al maligno. Gesù allora rispose: «Sta scritto: il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Lc 4,8), insegnandoci così a non lasciarci ingannare dal luccichio della gloria mondana.La terza volta il demonio disse a Gesù: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui» (Lc 4,9), presumendo che gli angeli lo avessero portato sulle loro mani. Fu una tentazione di presunzione, la tentazione di avere un Dio a nostro capriccio; la tentazione che Dio faccia la nostra volontà, invece del contrario. è la tentazione di disporre dei miracoli a proprio piacimento, di pretendere che Dio si faccia vedere; la tentazione addirittura di giudicarlo. Gesù rispose con queste parole: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Lc 4,12). Gesù ci fa comprendere come siamo noi a dover compiere l'adorabile Volontà di Dio. In questo consiste la nostra felicità: nell'obbedire a Dio.L'episodio delle tentazioni del deserto ci fa riflettere su quelle che sono le nostre tentazioni. A differenza di Gesù, noi tutti siamo inclinati verso il male e dobbiamo continuamente lottare contro i nostri vizi. Dobbiamo difenderci con le armi che abbiamo a nostra disposizione. Le armi sono quelle dell'umiltà, della carità e della preghiera.Prima di tutto dobbiamo avere l'umiltà di non presumere di noi stessi, l'umiltà di allontanare le occasioni prossime di peccato, l'umiltà di ricorrere senza indugio al consiglio spirituale di un buon direttore spirituale e l'umiltà di manifestare sinceramente le nostre colpe al sacerdote nella Confessione.Poi abbiamo la carità che mette letteralmente in fuga il demonio. Durante questa Quaresima facciamo dei propositi generosi di spendere un po' del nostro tempo nel soccorrere chi è nel bisogno, nel riconoscere, amare e servire Gesù nella persona del nostro prossimo.Infine, abbiamo la preghiera che ci fa superare le nostre debolezze e ci riveste della fortezza di Dio. Al primo apparire della tentazione dobbiamo subito ricorrere all'orazione, confidando pienamente che Dio non ci abbandonerà.La nostra preghiera avrà un'efficacia particolare se ci ricorderemo di invocare con fiducia la Vergine Santissima, Colei che è la Vincitrice sul demonio e su tutte le sue tentazioni. Il Signore si è servito di Lei per schiacciare la testa al serpente infernale, proprio per la sua profonda umiltà. Ed è sempre grazie a Lei che si superano le prove. Quando sorgono dunque delle tentazioni, invochiamola e tornerà presto il sereno.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6831OMELIA VIII DOM. T. ORDINARIO - ANNO C (Lc 6,39-45)Ogni albero infatti si riconosce dal suo fruttodi Giacomo BiffiLa pagina evangelica che abbiamo ascoltato è evidentemente una complicazione: più che riferire un discorso organico di Gesù, riproduce alcune frasi da lui pronunciate verosimilmente in contesti diversi, ma tutte ricche di verità e di sapienza. "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?" (Lc 6,39). Con questo paragone così semplice ed efficace è presumibile che il Signore prenda di mira i farisei, che pretendevano di insegnare al popolo la strada che conduce a Dio, mentre essi stessi non riuscivano a capire il disegno divino di salvezza né ad accogliere l'Inviato del Padre. Ma l'ammonimento è di grande attualità, anche ai nostri giorni, quando tanta gente è smarrita, ha perso ogni punto di riferimento; quando molti, invece di ascoltare l'unico vero Maestro, che ci parla per mezzo del Vangelo autenticamente presentato dalla Sua Chiesa, si rivolgono a persone che in merito alle scelte esistenziali di fondo, al comportamento morale, alla soluzione da dare alle questioni davvero serie, ne sanno meno di loro.IL DOVERE DI NON ASCOLTARE FALSI MAESTRISarebbe perfino comico, se non fosse drammatico, vedere con quanta facilità per i problemi della loro coscienza molti si affidano alle rubriche radiofoniche, televisive e dei rotocalchi, dove improvvisati direttori di spirito dispensano consigli con una autorevolezza che non pare per niente giustificata, vista la superficialità, la frivolezza e talvolta l'insensatezza che troppo spesso dimostrano: ciechi che guidano ciechi.E a dimostrare che, quando illanguidisce la fede, finisce sempre col deteriorarsi anche la ragione, molti nostri contemporanei, per orientarsi nelle decisioni anche importanti da prendere, non trovano di meglio che consultare gli estensori di oroscopi. E così si avvera quanto San Paolo scrive di coloro che non vogliono aprire la mente e il cuore a Dio vivo e vero: "Hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa" (Rm 1, 21).Noi invece riconosciamo di avere qui, nella parola di Dio che ogni settimana ci viene annunziata, la sorgente di una luce che può davvero illuminare le nostre tenebre e dissipare i dubbi e le incertezze che tutti possiamo sperimentare. A noi è dato di trovare un aiuto determinante in coloro che parlano legittimamente in nome del Figlio di Dio nostro Salvatore, e ricevono da Lui la missione di condurre il Suo gregge sul giusto cammino della salvezza. E di questo dobbiamo sentire profonda riconoscenza verso il Signore, che non ci ha abbandonati a noi stessi nel buio di questo mondo.GESÙ CI INVITA A CORREGGERE NOI STESSI PRIMA CHE GLI ALTRIMa anche tra noi, fraternamente, possiamo aiutarci a non uscire di strada. Su questo punto però Gesù con molto buon senso - mediante le figure paradossali della pagliuzza e della trave - avverte che prima di correggere gli altri dobbiamo impegnarci a correggere noi stessi, perché è troppo facile deplorare nel prossimo i medesimi difetti che, in misura anche più grave e vistosa, tolleriamo tranquillamente in noi, o addirittura non ci accorgiamo nemmeno di avere. Anzi, nel guazzabuglio del cuore umano è normale diventare critici tanto più impietosi degli altri quanto più ci allontaniamo noi dalla giustizia. I santi, che erano severi con se stessi, di solito erano comprensivi e indulgenti con il loro prossimo e, più che rimproverare, insegnavano e trascinavano col loro esempio.Su questo argomento merita di essere ricordata l'osservazione acuta di Sant'Agostino: "Cercate di acquisire voi le virtù che ritenete manchino nei vostri fratelli, e non vedrete più i loro difetti, perché sarete voi a non averli" (Enarrationes in psalmos 3,2,7).LA BONTÀ DEL NOSTRO CUORE EDIFICA CHI CI STA INTORNOIn ogni caso, ci dice Gesù, noi riusciremo a migliorare chi ci sta intorno a misura che siamo buoni noi di dentro. Non dalla bellezza delle nostre parole, non dal fascino della nostra immagine (contro i convincimenti diffusi di questa nostra epoca televisiva), ma dalla bontà del nostro cuore può irradiarsi da noi un'azione veramente ed efficacemente benefica. "L'uomo buono - abbiamo ascoltato - dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene, l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda" (Lc 6,45).Il Signore insiste a farci capire che, più che quello che si dice, più che quello che si fa, nell'ordine dei valori veri conta quello che si è; e a questo scopo ci propone il paragone comprensibile a tutti dell'albero. Ogni albero dà o non dà frutti pregiati, non a seconda della sua apparenza posteriore, ma a seconda della virtù produttiva che porta in sé. Ci sono alberi bellissimi da vedere, che sono del tutto infecondi: sono in grado di produrre soltanto fogliame. E ci sono alberi magari dimessi e senza splendore, che alla stagione opportuna offrono un raccolto abbondante e gustoso.Così è l'uomo. Se lascia lavorare dentro di sé la grazia vivificante dello Spirito e si sforza di essere sempre più conforme all'ideale che il Signore Gesù è venuto a farci conoscere, allora effonde la fede, la speranza e l'amore attorno a sé, e tutti edifica con l'eccellenza delle sue opere. Altrimenti produce soltanto parole vuote e illusioni, appunto come una pianta che sia ricca soltanto di foglie.