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Gli islamici applicano il Corano sull'esempio del loro fondatore Maometto... perché stupirsi delle conseguenze?

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    In occidente gli islamici festeggiano le mille vittime degli attacchi di Hamas in Israele

    Play Episode Listen Later Oct 10, 2023 14:23


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7568IN OCCIDENTE GLI ISLAMICI FESTEGGIANO LE MILLE VITTIME DEGLI ATTACCHI DI HAMAS IN ISRAELE di Giuliano GuzzoLa guerra che infuria in Israele e a Gaza - con centinaia di vittime, feriti e ostaggi - è un orrore difficile da commentare; eppure offre spunti per riflessioni che non possono in alcun modo essere trascurate; anche perché si basano su fatti concreti. Un primo aspetto, già considerato ieri dal Timone, è quello del clamoroso e macroscopico fallimento dell'intelligence di Israele e Usa; un fallimento che pare inspiegabile, dato che, per le sue caratteristiche, l'operazione Tempesta deve necessariamente essere stata preparata per mesi - e proprio non si può pensare che a Gaza non vi siano uomini di Tel Aviv.Un secondo aspetto che deve far pensare - e che riguarda però stavolta non Israele né la Palestina, bensì l'Occidente - sono le numerosissime reazioni di giubilo e non solo, da parte di vari esponenti del mondo islamico, alla notizia dell'attacco di Hamas. Basti vedere cos'è accaduto all'High-Deck-Siedlung, area multiculturale che si trova nel quartiere Neukölln di Berlino: dei manifestati pro Palestina sono scesi in piazza per festeggiare i massacri di Hamas distribuendo dolci ai passanti e ci sono stati attacchi alla polizia, che hanno provocato il ferimento di due agenti e l'arresto di 40 persone.Attenzione a pensare che si tratti di un fenomeno solo tedesco. Anche in tutto il Regno Unito - a Londra, Manchester e Brighton - folle pro-Hamas si sono radunate per celebrare l'assalto ai danni di Israele. Scene simili si sono verificate anche in Svezia. Sabato scorso a Malmö, una città in cui il 37% della popolazione ha origini straniere, una carovana di palestinesi e altri migranti ha letteralmente invaso le strade; complessivamente, alla manifestazione hanno preso parte circa 200 autovetture, con musica araba e bandiere svolazzanti dai finestrini, quasi ci fosse da festeggiare un successo calcistico.Anche in Olanda ci sono state manifestazioni e i sindaci di Rotterdam e l'Aia si sono rifiutati di esporre la bandiera d'Israele. Scene surreali si son viste pure negli Stati Uniti e in Canada; significativo in particolare cosa è accaduto in Ontario, dove uomini a bordo di veicoli sono stati ripresi mentre celebravano gli attacchi nel parcheggio di un centro commerciale. Ora, si potrebbe continuare ancora a lungo enumerando avvenimenti che hanno dello sconvolgente, ma forse meglio fermarsi perché essi già mettono ben in luce - davanti ad una guerra che ieri ha superato la quota di 1.000 vittime - le basi civili inesistenti su cui poggia l'osannato modello sociale multiculturale, che ricorda tanto una bomba ad orologeria.Per carità, è vero che simili surreali festeggiamenti non costituiscono una novità assoluta. Basti vedere quanto accaduto nel 2015 in Siria, dove jihadisti dell'allora sedicente Stato islamico festeggiarono gli attentati di Parigi distribuendo caramelle alla gente in strada. Ma un conto - ecco la differenza - è che ciò sia avvenuto ieri, in Libia, per mano di militanti dell'Isis; un altro, ben più sconvolgente, è apprendere come le medesime scene si ripetano oggi nel cuore dell'Occidente, per mano di soggetti col passaporto europeo o americano. È un fortissimo campanello d'allarme. La domanda però è: quanti sapranno, in particolare nel mondo della politica e delle istituzioni, riconoscerlo come tale? Alla fine, la questione vera è tristemente questa.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani" parla della matrice ideologica fondamentalista islamica del movimento armato palestinese che controlla Gaza. Un breve excursus storico sulle sue origini e progetti per il futuro.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 ottobre 2023:La guerra improvvisamente scatenata da Hamas contro Israele, inizia esattamente cinquant'anni dopo l'attacco arabo dello Yom Kippur, del 6 ottobre 1973. L'aggressione in un Paese addormentato in un sabato di festa, il fallimento dei servizi segreti, le gravi perdite degli israeliani, l'inaspettata preparazione dei suoi nemici la ricordano. Ma i paralleli finiscono qui. Perché quello a cui assistiamo, negli ultimi due giorni, non è un conflitto convenzionale fra eserciti regolari. È un'operazione a cavallo fra un'offensiva militare e un'azione terroristica, una "scorreria" tipica dei popoli del deserto e riportata in vita nei tempi moderni.Abbiamo visto scenari simili anche a Mumbai nel 2008 e più vicino a noi, nel tempo e nello spazio, anche a Parigi nel 2015. Gli attaccanti agiscono in piccole cellule fra loro coordinate, appoggiate da unità già all'interno del territorio nemico, colpiscono obiettivi civili indifesi, uccidono indiscriminatamente, catturano ostaggi (il loro vero "bottino"). Le massicce salve di razzi, la caratteristica di tutti i precedenti attacchi di Hamas, stavolta sono servite solo come diversivo. L'operazione vera e propria è avvenuta con l'infiltrazione di gruppi di terroristi nei centri abitati, compresa la città di Sderot.L'aspetto più atroce di questo tipo di azioni, oltre al trauma di chi le subisce in prima persona, è l'ostentazione della crudeltà. Le immagini dei civili uccisi, dei feriti, del sangue, dei cadaveri portati a Gaza come trofei, delle case penetrate e devastate, diventano "virali" sono fatte circolare in rete, sono montate ad arte, anche con la musica in certi casi. Deve servire per galvanizzare la propria base ideologica e al tempo stesso terrorizzare l'avversario. La popolazione colpita, soprattutto, sente di poter fare una fine atroce anche restando in casa propria e perde ogni senso di sicurezza.Al Qaeda e poi l'Isis, ci avevano abituati a questo tipo di spettacolo crudele, prima di sparire dai nostri radar. Hamas coglie alla sprovvista il pubblico occidentale più distratto, perché nessuno associava il partito islamista palestinese, padrone incontrastato di Gaza dal 2007, alla violenza tipica dei jihadisti. Ma la matrice ideologica di Hamas è la stessa di quella di Al Qaeda e dunque anche dell'Isis, scheggia impazzita del movimento di Al Zawahiri e Bin Laden. La matrice comune è quella dei Fratelli Musulmani (di cui l'ideologo Al Zawahiri era un esponente). E l'ideologia jihadista, anche quella di Hamas, non solo giustifica ma addirittura richiede l'uccisione dei civili nemici di religione. Colpisce gli ebrei in quanto tali, senza distinguere fra militari e non.Che Hamas sia il braccio palestinese dei Fratelli Musulmani è specificato nel suo stesso statuto del 1988. Nell'articolo 2 leggiamo: "Il Movimento di Resistenza Islamico è una delle branche dei Fratelli Musulmani in Palestina. Il movimento dei Fratelli Musulmani è un'organizzazione mondiale, uno dei più grandi movimenti islamici dell'era moderna. È caratterizzato dalla profonda comprensione, da nozioni precise, e da una totale padronanza di tutti i concetti islamici in tutti i settori della vita: nelle visioni e nelle credenze, in politica e in economia, nell'educazione e nella società, nel diritto e nella legge, nell'apologetica e nella dottrina, nella comunicazione e nell'arte, nelle cose visibili e in quelle invisibili, e comunque in ogni altra sfera della vita".Nel suo preambolo è contenuta una citazione di Hassan al Banna, fondatore egiziano della Fratellanza: "Israele sarà stabilito, e rimarrà in esistenza finché l'islam non lo ponga nel nulla, così come ha posto nel nulla altri che furono prima di lui". Oltre a questo invito a distruggere lo Stato israeliano, troviamo nello stesso statuto anche quello a uccidere gli ebrei. L'articolo 7, sulla Universalità del Movimento di Resistenza Islamico, è diventato tristemente celebre: "... il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta - le preghiere e la pace di Allah siano con Lui - dichiarò: ‘L'Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l'albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c'è un ebreo nascosto dietro di me - vieni e uccidilo'".Formatosi nella Prima Intifadah, anche come opposizione interna alla leadership di Arafat, Hamas si è distinto per le sue azioni terroristiche negli anni Novanta, quando si opponeva al processo di pace iniziato con gli accordi di Oslo del 1993. Infatti, Hamas non ha mai accettato alcun piano di pace, né alcuna proposta di partizione per due popoli in due Stati, perché ritiene la Palestina indivisibile per diritto divino: "Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell'islam fino al giorno della resurrezione - leggiamo ancora nello statuto, articolo 11 - Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa.

    Musulmano picchia la moglie, ma per il PM è un fatto culturale e va assolto

    Play Episode Listen Later Sep 12, 2023 10:00


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7535MUSULMANO PICCHIA LA MOGLIE, MA PER IL PM E' UN FATTO CULTURALE E VA ASSOLTOLa storia di una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie e costretta a un matrimonio combinatodi Salvatore MontilloViolenze e maltrattamenti subite da una giovane donna originaria del Bangladesh, definiti «contegni di compressione delle libertà morali e materiali», sarebbero «il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge». Motivo per il quale l'imputato (oggi ex marito) va assolto.È destinata a far discutere la richiesta di assoluzione messa nero su bianco da un pubblico ministero di Brescia nell'ambito di un procedimento a carico di un uomo del Bangladesh residente nel bresciano.In vista dell'ultimo atto del processo, che dovrebbe arrivare a sentenza nelle prossime settimane, il pm ha così giustificato, nelle conclusioni depositate alle parti, i motivi per i quali quei presunti maltrattamenti rientrerebbero nel campo dei reati culturalmente orientati e pertanto non vadano puniti. «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato - scrive il pm - sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».Il caso ha preso il via nel 2019, quando una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie, costretta a sposare in patria un cugino secondo un matrimonio combinato, ha denunciato il marito, nel frattempo diventato ex, per maltrattamenti fisici e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l'imputazione coatta per lo straniero nato e cresciuto in Bangladesh. «Sussistono senz'altro elementi idonei a sostenere efficacemente l'accusa in giudizio nei confronti dell'ex marito» aveva stabilito il gip.«Le condotte dell'uomo - continua il pm nella richiesta di assoluzione - sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l'ha condotta ad interrompere il matrimonio. Per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece, l'imputato si è fatto fieramente latore».Sconcertata la donna, cresciuta a Brescia dove vive dall'età di 4 anni, che in un'intervista al Giornale di Brescia racconta di essere stata «venduta per 5mila euro» ad un cugino dopo la morte del padre, sepolto in patria. Divenuta madre di due bambine, la donna è stata costretta a lasciare gli studi alle superiori ed è rimasta segregata in casa per anni. «Dopo anni di urla, insulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente, nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare». Un coraggio che potrebbe non servire a renderla per sempre una donna libera.Nota di BastaBugie: Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Estradato in Italia il padre di Saman, un traguardo insperato" parla dell'arrivo in Italia di Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021, insieme a dei familiari, uccise la figlia Saman per aver rifiutato un matrimonio combinato.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 settembre 2023:È arrivato in Italia il 1° settembre, estradato dal Pakistan, Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021 insieme alla moglie e ad alcuni familiari, all'epoca residenti in Italia a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ha ucciso la figlia Saman di 18 anni perché aveva rifiutato di accettare un matrimonio combinato con un cugino scelto dai genitori. Coinvolti nell'omicidio sono la moglie, Nazia Shaheen, tuttora latitante in Pakistan e oggetto anch'essa di una richiesta di estradizione, due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati in Francia e in Spagna nei mesi successivi al delitto, e lo zio, Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, arrestato in Francia.Come si ricorderà, i resti di Saman erano stati sepolti nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e il giorno successivo Shabbar Abbas e la moglie erano tornati in Pakistan, richiamati d'urgenza - questa la giustificazione - perché una loro zia stava male. Raggiunto telefonicamente, Abbas aveva continuato a negare, a dire che sua figlia era viva, che si trovava in Belgio. La polizia pakistana lo ha arrestato il 15 novembre 2022 per frode ai danni di un connazionale e così la procedura di estradizione, complessa e delicata, ha avuto inizio. Le udienze per discutere la legittimità della richiesta di estradizione da parte del Ministero italiano della giustizia hanno subìto più di 30 rinvii. Finalmente, il 4 luglio scorso, i giudici della Corte di Islamabad hanno espresso parere favorevole e il 29 agosto è arrivata l'autorizzazione del governo pakistano.L'8 settembre Abbas comparirà davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia dove sarà sentito come testimone suo figlio, il fratello minore di Saman, che ha indicato agli inquirenti il luogo dove si trovava il cadavere della sorella. «È la prima volta che una estradizione attiva viene concessa dal Pakistan, non era mai successo - ha commentato il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci -. Fa ben sperare su una buona prospettiva di riuscita di un accordo più ampio tra Italia e Pakistan che sappiamo essere in fase di gestazione, per creare un sistema di relazioni bilaterali più stabile. In Italia ci sono 200 mila pakistani regolarmente censiti». [...]Anche il primo ministro Giorgia Meloni ha sottolineato l'importanza decisiva della collaborazione delle autorità pakistane, effettivamente insperata perché in Pakistan tradizioni tribali e integralismo islamico si combinano per far sì che agli occhi di molti il delitto commesso dai familiari di Saman appaia non solo legittimo, ma doveroso. L'onore di una famiglia si ritiene infatti compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al padre dimostrando al mondo che manca dell'autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima familiare si ritiene che un padre abbia il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e minori, di punirli se lo ritiene giusto. Una figlia che rifiuta un matrimonio combinato disobbedisce e, atto altrettanto grave, contesta una istituzione che è uno dei cardini di un sistema condiviso di rapporti familiari, sociali ed economici. Perciò merita una punizione esemplare. Ai nostri occhi lei è la vittima, chi la uccide il colpevole. Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, lei si è macchiata di una grave colpa, le vittime sono i suoi genitori e gli altri suoi familiari sui quali ricade l'onta del suo comportamento. Lo chiamiamo omicidio oppure delitto d'onore. Invece, per chi lo commette è una punizione necessaria per restituire alla famiglia dignità e rispetto dei parenti e della comunità.Ma anche in Pakistan i valori e le istituzioni delle società patriarcali che l'Islam ha sacralizzato non sono condivisi da tutti, non più. [...] Un segno è l'atteggiamento nei confronti dei cristiani, spesso vittime di intolleranza estrema, ma anche oggetto di concreti segnali di rispetto e volontà di coesistenza pacifica. Un altro è la lotta per emendare la legge che punisce la blasfemia, i tentativi di moderarne almeno le sanzioni.La decisione di consegnare alla giustizia italiana Shabbar Abbas può essere un altro segno. Sarà importante nelle prossime settimane seguire le reazioni al processo contro gli assassini di Saman delle comunità islamiche in Italia e dell'opinione pubblica italiana.

    La nuova rivoluzione francese è alle porte

    Play Episode Listen Later Sep 6, 2023 7:11


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7525LA NUOVA RIVOLUZIONE FRANCESE E' ALLE PORTE di Roberto De MatteiMi ha fatto riflettere un articolo di Jean-Pierre Maugendre sulla rivista "Renaissance Catholique", di cui cercherò di riassumere i punti essenziali, anche perché offre una seria e articolata conferma delle preoccupazioni del generale Roberto Vannacci, nel suo libro "Il mondo al contrario", che in Italia ha provocato un ingiustificato scandalo.Maugendre si sofferma sulla situazione della Francia ed esordisce affermando che una parte significativa del suo territorio nazionale è ormai in stato di secessione, l'equivalente sul piano politico dello scisma, sul piano religioso. "La domanda - scrive - non è più se una guerra civile, o meglio una guerra etnico-religiosa, avrà luogo sul suolo francese, ma quando e con quali probabilità di successo per i vari protagonisti".La causa di questa pre-guerra civile è l'immigrazione che in Francia ha origini più lontane e dimensioni più ampie di quella dell'Italia, e di altri Stati europei, che però stanno percorrendo la stessa strada.Negli ultimi decenni, afferma Maugendre, un gran numero di immigrati estranei alla nostra cultura e civiltà è entrato a far parte del territorio nazionale francese, ma gli strumenti di assimilazione che avevano funzionato per gli immigrati polacchi, spagnoli e italiani all'inizio del XX secolo sono falliti. Né la scuola, né il servizio militare, né la Chiesa, sono riusciti a "francesizzare" queste onde di immigrati.Le responsabilità sono della destra liberale, che vede gli esseri umani solo come produttori e consumatori, e della sinistra socialista, imbevuta delle grandi utopie dei diritti dell'uomo. Entrambe, destra e sinistra, d'accordo su un mantra: la Repubblica e la sua religione, il secolarismo, avrebbero risolto tutti i problemi.L'ISLAM HA RAFFORZATO LA SUA PRESA SULLE POPOLAZIONI DI IMMIGRATICosì non è stato. Nel corso degli anni, l'Islam ha rafforzato la sua presa sulle popolazioni di immigrati, alcune delle quali non desideravano altro che occidentalizzarsi. Scrive Maugendre: "Diventare francesi! Perché dovrebbero farlo? È davvero auspicabile e desiderabile? Chi è orgoglioso di essere o diventare francese? In effetti, molti di questi giovani immigrati di seconda o terza generazione, quando viene chiesto loro di definirsi, annunciano la nazionalità dei loro genitori. Quanti delle migliaia di tifosi marocchini che lo scorso dicembre hanno invaso e occupato gli Champs Elysées durante l'ultima Coppa del Mondo di calcio erano "francesi sulla carta". Chi, tra questi immigrati, potrebbe essere così avventato da abbandonare il conforto che dà loro la Umma, islamica una comunità in piena espansione demografica e politica, per associare il proprio destino a un paese il cui disprezzo per il diritto naturale (matrimonio per tutti, teoria del gender, dittatura LGBT, ecc.) è oggetto di scandalo e disprezzo per popolazioni che sono ancora saldamente attaccate a certi elementi del diritto naturale? (...) I recenti attacchi agli edifici pubblici, alle forze di polizia, ai vigili del fuoco, alle scuole, alle biblioteche e così via, tutti simboli della Francia e delle sue istituzioni, dimostrano da parte di molti di questi giovani un odio verso il nostro Paese che anche i commentatori più compiacenti non riescono più a nascondere".Maugendre cita fatti che sono sotto gli occhi di tutti. "La divisione etno-religiosa prevista e temuta da alcuni non è più un rischio o una profezia, ma una realtà. Alle elezioni legislative del giugno 2022, il NUPES di Jean-Luc Mélenchon, il partito di sinistra pro-immigrati, ha vinto in tutte e dodici le circoscrizioni di Seine Saint-Denis. Nel frattempo, il Rassemblement National di Marine Le Pen ha vinto in sette delle otto circoscrizioni del Var. La spaccatura è evidente.MILIARDI DI EURO BUTTATI AL VENTOVersare miliardi di euro nelle periferie per ricostruire i 1059 edifici incendiati o promuovere l'educazione sessuale nelle scuole non risolverà i problemi posti dalla secessione di molte parti del nostro territorio nazionale. È già molto tardi, e la banda di nullatenenti che presiede al destino del nostro sfortunato Paese non è in grado né di rallentare il flusso di nuovi immigrati né di far rispettare gli OQTF (Obligation de Quitter le Territoire Français) emessi dai tribunali. C'è da temere che il destino del nostro Paese sia quello del Libano, cioè la frammentazione della Francia lungo linee etniche e religiose. Un quartiere o una città saranno popolati da marocchini, un'altra da algerini, un'altra da abitanti del Mali, un'altra ancora da francesi etnici, eccetera, ognuno regolato dalla propria legge. La storia è implacabile. Ha le sue leggi, impietose come quelle della fisica".Citando una profezia del maresciallo Juin, Maugendre scrive: "La Francia è in stato di peccato mortale e un giorno sarà punita. Ma sappiamo anche che è sempre possibile guarire, anche dal peccato mortale. Purché ci si penta e si faccia ammenda. Il 29 luglio 1916, l'ormai santo Charles de Foucauld profetizzava dal suo eremo di Tamanrasset: "Se non siamo riusciti a rendere francesi questi popoli, ci cacceranno. L'unico modo per farli diventare francesi è che diventino cristiani".Queste previsioni, non hanno perso nulla della loro attualità e non riguardano solo la Francia "La situazione della Chiesa in Francia - afferma Maugendre - che dovrebbe essere responsabile di questa missione di evangelizzazione ma che è soprattutto preoccupata di rompere con la Tradizione liturgica della Chiesa e di convertirsi a una sinodalità tanto indigesta quanto decisamente rivoluzionaria, non dà certo adito all'ottimismo. Tuttavia, sappiamo che nulla è impossibile a Dio e che è nell'umile adempimento delle nostre fedeltà domestiche che si preparano i tempi della Risurrezione".Sono parole che Maugendre riferisce alla Francia, ma che potremmo applicare all'Italia e all'Europa intera.

    Con i prodotti halal, l'islam detta legge

    Play Episode Listen Later Aug 22, 2023 8:03


    VIDEO: La jihad cresce in Italia ➜ https://www.youtube.com/watch?v=3LL2iB7R8WkTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7511CON I PRODOTTI HALAL, L'ISLAM DETTA LEGGE di Mauro FaverzaniMacché "di nicchia"! I prodotti halal, vale a dire «conformi alla sharia», la legge islamica, hanno ormai conquistato una fetta importante del mercato mondiale e sono in continua espansione. Per due motivi: una forte valenza religiosa identitaria islamica; prezzi fortemente competitivi, in grado di intercettare anche la clientela occidentale, specie quella meno abbiente, con punti-vendita nei quartieri più poveri.Con oltre mille aziende certificate halal, ad esempio, l'Italia si colloca oggi al terzo posto in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Un balzo in avanti incredibile, tenendo conto che solo 16 anni fa, nel 2007, il nostro Paese si trovava all'ultimo posto. La grande distribuzione si è ormai mobilitata; c'è chi si è dotato di un angolo halal, come la Coop. I grandi marchi (Nestlé in 50 Paesi e poi ancora Aia, Amadori, Ferrarelle, Fabbri, Sterilgarda, per citarne alcuni) si sono allineati, così come molte piccole aziende e cooperative, esibendo con orgoglio sui propri siti, come un trofeo, l'agognata certificazione. In Francia, 10 milioni di clienti frequentano negozi e ristoranti halal. Solo nell'ultimo quinquennio, oltralpe, sono apparse una quindicina di catene, in cui i prodotti halal sono esclusivi o quasi, e altre sette grandi catene di hamburgherie. La Spagna produce oltre 2.500 prodotti halal, di cui è grande esportatrice, soprattutto nel settore delle carni, in Francia, ma anche nei Paesi privi di un'industria agroalimentare forte, come Algeria e Marocco. Insomma, il giro d'affari è notevole.Negli ultimi anni, nonostante la pandemia, complessivamente il mercato halal è cresciuto del 15% in Europa, mentre nello stesso periodo il commercio "bio" ha registrato appena un +2%. Già al World Halal Food Council, svoltosi a Roma dal 26 al 30 marzo 2014, il messaggio, ripreso all'epoca dall'Ansa, fu molto chiaro: «"La finanza e i capitali islamici sono pronti a portare fuori dalla crisi l'Europa" e "in particolare l'Italia", purché i Paesi seguano, "nella produzione, nella logistica e nella commercializzazione", gli standard halal». Aggiunse in quella sede lo sceicco Fayez al Shahri: «Siamo pronti a investire anche in infrastrutture, ma l'Italia deve garantirci di riconoscere l'ufficialità del mercato halal, prevedendo la certificazione obbligatoria delle imprese interessate». Certificazione che spalanca le porte di un mercato da 1,6 miliardi di persone, ma che può essere rilasciata solo da organismi esclusivamente musulmani. Il che significa una cosa sola: che, a dettare le regole, vuole essere solo l'islam.STANDARD ISLAMICI?In Italia, ad occuparsene, è Halal Italia, applicando standard islamici nazionali e internazionali. Tale realtà, varata su richiesta della Comunità Religiosa Islamica Italiana, è stata riconosciuta ufficialmente da una convenzione interministeriale sottoscritta il 30 giugno 2010, sotto il governo Berlusconi IV. La convenzione punta a consentire alle aziende italiane di cavalcare l'internazionalizzazione e di conquistare così i mercati dei Paesi a maggioranza islamica. Ma l'arma è a doppio taglio, perché a dettar le regole è appunto l'islam.A livello internazionale opera la World Halal Authority, un organo di certificazione riconosciuto da organizzazioni governative e non governative, dalle associazioni dei consumatori halal e dalle autorità e rappresentanze religiose dell'islam nel mondo. Il limite di tali organismi è però la loro autoreferenzialità, come evidenziato già il 19 dicembre 2011 su Il Sole 24 Ore da Annamaria Tiozzo, consulente di marketing islamico e di certificazioni religiose: «A oggi non abbiamo ancora degli standard internazionali di certificazione validi per tutti i Paesi. (...) In assenza di una regolamentazione, (…), utenti finali ed aziende sono lasciati a sé stessi».Ormai si certifica di tutto, non più solo carne: generi alimentari, cosmetica, farmaceutica, logistica, finanza, servizi, turismo, accoglienza, eccetera. Come mai? Negli anni Novanta, anche tra i musulmani più radicali, non v'erano pretese particolari circa la carne halal. Finché non se ne scoprirono i vantaggi normativi: far pagare una piccola percentuale sulle vendite ha assicurato una formidabile fonte di reddito. Da quel momento in poi, è divenuta essenziale la certificazione halal. I punti-vendita effettuano da tempo raccolte a favore di organizzazioni caritatevoli islamiche, molte delle quali sono accusate di predicare però un islam troppo severo e rigoroso. Jérôme Fourquet, noto politologo e sociologo francese, intervistato lo scorso 5 luglio dal quotidiano spagnolo Abc, ha evidenziato come il 74% dei musulmani francesi sotto i 25 anni consideri la propria religione, l'islam, «più importante» della République, dello Stato. E questa tendenza, dagli esiti ancora incerti, sarebbe in netto aumento da diversi anni. Secondo il presidente dell'associazione Vigilance Halal (con oltre 5 mila iscritti), il dottor Alain de Peretti, «non v'è in Francia alcuna seria indagine sui flussi finanziari generati dall'industria halal, alquanto opachi».LA MACELLAZIONE ISLAMICASenza parlare delle perplessità che ancora suscita a più livelli la macellazione islamica halal, come quella ebraica kosher. Innanzitutto sul fronte igienico-sanitario. Viene definita, infatti, «macellazione in deroga». Perché? Il regolamento europeo n. 1099 del 24 settembre 2009, entrato in vigore l'1 gennaio 2013, prevede l'obbligo di stordimento prima dell'abbattimento per assicurare che l'animale sia incosciente e quindi insensibile al dolore nel momento di massima sofferenza. Tuttavia, tale regolamento ammette la possibilità di procedere alle macellazioni rituali anche senza ricorrere allo stordimento, riconoscendo in merito ampia discrezionalità agli Stati membri.La macellazione halal prevede un operatore musulmano adulto e praticante. L'animale dev'essere rivolto verso la Mecca: prima di sgozzarlo, viene pronunciata l'invocazione detta basmala. Poi l'addetto procede, tagliando con una lama affilata e con un unico colpo trachea, esofago, carotide e vena giugulare dell'animale, che deve morire per dissanguamento. Contro tale pratica è scesa in campo un'armata Brancaleone, composta da diverse organizzazioni non governative, associazioni laico-umaniste votate alla secolarizzazione spinta, animalisti e frange partitiche annesse. Anche sul fronte sanitario, però, non mancano voci fortemente critiche. Alcuni anni fa la giornalista francese Anne de Loisy, autrice del libro Bon appetit! dedicato all'argomento, ha sollevato precisi dubbi. La modalità halal sarebbe «il metodo più economico e più semplice per abbattere le bestie», ha dichiarato in un'intervista a Paris Match, a fronte di una procedura, quella ordinaria, con lavaggi più frequenti, tempi morti e ritmi di produzione più lenti. Il già citato dottor de Peretti, da veterinario, ha sottolineato più volte i rischi batterici della macellazione rituale, evidenziati anche dall'Accademia dei veterinari francesi in un rapporto inviato nel dicembre 2006 all'allora ministro dell'Agricoltura.Insomma, il mercato è allettante per numeri e potenzialità, ma le criticità non mancano. Forse, sarebbe il caso di tenerne maggior conto e di affrontarle.

    Africa alla deriva tra secolarizzazione e islam

    Play Episode Listen Later Jul 25, 2023 6:16


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7474AFRICA ALLA DERIVA TRA SECOLARIZZAZIONE E ISLAM di Mauro FaverzaniMentre l'Europa affonda nei propri vizi ed in una silenziosa, sciagurata forma di apostasia, gran parte dell'Africa è ormai nelle mani o della dilagante secolarizzazione oppure della jihad, infiltratasi nel Continente sia con la violenza, in allarmante aumento negli ultimi anni, sia alleandosi con reti criminali organizzate e con bande autoctone con interessi regionali, inserendosi così in conflitti e divisioni già in atto, sia sfruttando povertà, corruzione, anarchia, analfabetismo, disoccupazione ed altre criticità sociali, particolarmente diffuse.Tra le regioni, ove più tristemente è presente la jihad, figurano quelle del Sahel (che comprende Burkina Faso, Mali, Niger, Nigeria e Camerun e che conta già 7.899 morti pari al 40% del totale delle vittime), il bacino del lago Ciad, la Somalia ed il Mozambico.I cristiani vengono esclusi dalle cariche governative, non possono costruire chiese, né cappelle, le loro donne vengono costrette ad indossare l'hijab ed a sposare uomini musulmani, mentre i sacerdoti vengono spesso sequestrati.Lo scorso 16 giugno in Uganda, a Mpondwe, ad esempio, tanto per limitarsi agli ultimi tragici episodi di cronaca, le cosiddette «Forze Democratiche Alleate», gruppo affiliato all'Isis, hanno attaccato la scuola secondaria pubblica di Lhubiriha e provocato 42 morti, tra i quali ben 37 bambini - bruciati vivi, pugnalati o finiti a colpi di machete al grido di «Allahu Akbar» -, tutti cristiani. La vittima più giovane aveva 12 anni e frequentava il primo anno della scuola. Numerosi anche i feriti. Ancora imprecisato il numero delle ragazze rapite.Lo scorso marzo in Nigeria ben sei contee dello Stato di Middle Belt sono state attaccate dai miliziani islamici fulani. Particolarmente violente le aggressioni sferrate nel villaggio di Tse Jor, dove 40 jihadisti hanno provocato una ventina di morti, tra i quali molti giovani e bambini, oltre a numerosi feriti.Sempre in Nigeria lo scorso 19 maggio è stato sequestrato Padre Kingsley Maduka, parroco della chiesa cattolica di Cristo Re a Ezinnachi-Ugwaku, Okigwe, nello Stato di Imo, mentre si stava recando per l'adorazione eucaristica nella cappella appena eretta nel villaggio di Ogii. Il sacerdote è stato rilasciato dopo cinque giorni nelle mani dei suoi aguzzini, incalzati dalle forze dell'ordine, tanto da convincerli a sbarazzarsi della propria vittima.Ma l'islam non è l'unico pericolo mortale da cui guardarsi in Africa: non meno temibile e sanguinaria è la cultura di morte importata dal secolarismo occidentale e dagli organismi internazionali, tale da spingere recentemente i vescovi della Repubblica Centrafricana a lanciare l'allarme, al termine della loro assemblea plenaria tenutasi a Bangassou: nel mirino del laicismo dilagante, anche qui, c'è la famiglia, di cui molti, troppi sognano la disgregazione: «Le molteplici crisi politico-militari del nostro Paese hanno disgregato le famiglie e compromesso l'educazione - si legge in un comunicato diffuso dai Vescovi - instaurando una cultura della violenza e dell'impunità, di controvalori radicati nell'individualismo e nell'egoismo», alimentati dalla povertà generalizzata, dalla disoccupazione diffusa, dall'instabilità politica e sociale.Oltre alla famiglia, prevedibilmente nel mirino c'è anche la vita. Di pochi giorni fa è la denuncia fatta da Padre Apollinare Cibaka Cikongo, rettore dell'Università di Mbujimayi, nella Repubblica Democratica del Congo: alla piaga degli aborti in Africa la comunità internazionale ha opposto un silenzio definito dal sacerdote «terrificante», come ha dichiarato nel corso di un'intervista all'emittente EWTN Vatican. Tra l'11 aprile e l'11 maggio, ad esempio, ad oltre 200 donne è stato ucciso il bimbo in grembo, senza che questo abbia provocato la benché minima opposizione o critica, neppure da parte della Chiesa ufficiale.Secondo Padre Cikongo, è urgente promuovere la dignità della vita umana [...]: «Con le nuove generazioni e l'influenza dei media - ha dichiarato il sacerdote - se non ci svegliamo, avremo una società corrotta dalla cultura della morte e dalla distruzione della sessualità e del rapporto tra uomo e donna». Come tristemente già accade in Occidente.

    Se lo stupratore è islamico la polizia lascia fare

    Play Episode Listen Later Jul 4, 2023 11:26


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3544SE LO STUPRATORE E' ISLAMICO, LA POLIZIA LASCIA FARE di Stefano MagniBande organizzate di bruti hanno rapito, violentato e talvolta anche rivenduto 1400 minorenni. Succede a Rotherham, nell'Inghilterra settentrionale. Un rapporto pubblicato ieri, a firma della professoressa Alexis Jay, a conclusione di un'indagine indipendente commissionata dal comune, parla chiaro e non cela i dettagli. Descrive storie di minorenni, soprattutto ragazzine fra gli 11 e i 16 anni di età, cosparse di benzina e minacciate di essere date alle fiamme, minacciate con pistole e fatte assistere a stupri brutali, minacciate di essere le prossime se ne avessero parlato con qualcuno. Bambini venduti in altre città e usati come oggetti sessuali. Altre ragazzine violentate in modo seriale, tanto da dichiarare, una volta fuori dall'incubo, che ormai "lo stupro di gruppo era diventato un modo di vivere". Tutto questo è avvenuto per 16 anni, dal 1997 al 2014, senza che nessuno intervenisse. Eppure le autorità inglesi locali ne erano perfettamente al corrente. Prima dell'attuale rapporto Jay, erano stati redatti altri tre rapporti. Tutti cestinati. Nel primo caso, le autorità non avevano creduto ai dati. Gli altri due rapporti erano stati semplicemente accantonati. A loro avviso i dati erano "esagerati". In effetti, 1400 vittime minorenni di abusi in una cittadina con nemmeno 120mila abitanti è una cifra immensa, assurda nella sua sproporzione. E, fra l'altro, si tratta ancora di una stima conservativa, perché in questi 16 anni le vittime potrebbero risultare molte di più.LA CAPPA DI TERRORE CHE INDUCE A STARE ZITTIEppure c'è un'altra causa del silenzio che sta emergendo con clamore. I bruti in questione, infatti, non sono i padri delle vittime, non si parla di stupratori inglesi, ma sono: membri di gang di pachistani, alle quali si sono aggiunti anche iracheni e qualche kosovaro. Immigrati che la stampa britannica definisce genericamente "asiatici". O non li definisce affatto. Nelle prime ventiquattro ore di notizie, infatti, la Bbc ha completamente cancellato l'origine dei membri della gang degli orrori. Quando entra in ballo la comunità musulmana, una cappa di terrore induce tutti, dalla polizia alla stampa, passando per gli assistenti sociali, a stare zitti. La polizia non si è mossa, o lo ha fatto in modo controproducente. In almeno due casi, i padri di ragazzine stuprate hanno cercato di salvare le loro figlie dai carnefici, ma sono stati arrestati a loro volta: i carnefici si son fatti passare per vittime e la loro origine, evidentemente, li ha resi più credibili agli occhi degli agenti. Ci sono casi di intimidazione palese: ragazzini che non hanno denunciato i loro violentatori, perché questi minacciavano rappresaglie sui loro fratellini o sorelline minori. E ci sono tante denunce di professori e membri del personale scolastico degli istituti locali che sono state bellamente ignorate. Fuori dalle scuole, le vittime venivano prelevate con le buone o con le cattive, e la polizia stava a guardare.Nel 2010 cinque pachistani erano finiti dietro le sbarre, per violenze seriali contro ragazze e ragazzine locali. Ma l'indagine non era andata oltre, benché il quotidiano The Times, nel 2012, fosse giunto alla conclusione che il giro delle violenze e dei violentatori era molto più ampio e noto alla polizia da almeno un decennio. Il caso che aveva fatto puntare i riflettori su Rotherham riguardava una ragazza di 17 anni, Laura Wilson: venne assassinata per aver "offeso" le famiglie di due pachistani che abusavano di lei. Lei era vittima di abusi fin dall'età di 11 anni e gli assistenti sociali ne erano al corrente. Nell'agosto del 2013, quattro donne avevano avviato un'azione legale contro il consiglio di Rotherham per i suoi "sistematici fallimenti" nel proteggerle dagli abusi sessuali di un gruppo di uomini, subiti fin da quando erano bambine. Una ragazza, conosciuta come "Jessica", ha dichiarato di essere stata quotidianamente violentata, quando aveva 14 anni, da un ragazzo di dieci anni più grande di lei e i servizi sociali non hanno voluto classificarla come vittima di abusi. I documenti rivelano che in almeno un caso la polizia l'abbia trovata in "atteggiamenti intimi" con il suo persecutore e abbia arrestato lei (già affidata ai servizi sociali) lasciando andare lui.AUTOCENSURA DETTATA DALL'ANTIRAZZISMOL'autocensura dettata dall'antirazzismo è stata, questa volta, direttamente complice dei criminali. Infatti, nel rapporto di Alexis Jay emerge chiaramente: le autorità locali avevano paura di essere accusate di "razzismo". «Sembra che alcuni (funzionari ndr) pensassero che si trattasse di casi eccezionali, che secondo loro non si sarebbero ripetuti. Altri erano preoccupati di riferire le origini etniche dei responsabili per paura di essere considerati razzisti; altri ancora ricordano invece di aver ricevuto chiare istruzioni di non farlo da parte dei propri dirigenti». Quindi le autorità non si sono mosse. Eppure il fenomeno era chiaro già il decennio scorso. Nel rapporto del 2003, la dottoressa Angie Heal, la relatrice di allora, aveva scritto: «A Rotherham, la comunità asiatica locale, raramente denuncia (i colpevoli, ndr)». Secondo la professoressa Jay, già nel rapporto Heal si descriveva come stessero aumentando gli incentivi per chi partecipava al traffico dei minorenni. «In passato lo facevano solo per gratificazione personale, ora agli immigrati asiatici che vengono coinvolti vengono offerte anche opportunità economiche e di carriera». Già nel rapporto del 2006, si arrivava alla conclusione: «Un certo numero di funzionari pensano che una delle maggiori difficoltà a prevenire efficacemente questo crimine sia dovuta all'origine etnica dei suoi perpetratori». La Bbc, una volta svegliatasi dal coma etnico e ammessa l'origine dei criminali, ha anche approfondito il tema, con diligenza. Svelando come questo tabù antirazzista abbia impedito di identificare le vittime, oltre che i carnefici. Quelle 1400 vittime, infatti, non sarebbero tutte: la maggioranza sono inglesi non musulmane. Ma ci sono tanti altri bambini e bambine musulmani immigrati che tuttora non hanno ottenuto giustizia. Zlakha Ahmed, leader dell'organizzazione Apna Haq, per la difesa dei diritti delle donne e dei bambini di origine "asiatica", ritiene che: «il rapporto non mi ha sorpreso affatto, per quanto conosciamo questo problema da un certo numero di anni». Lei stessa avrebbe redatto, con la sua organizzazione, numerosi studi analoghi «con l'unica differenza che le vittime sono giovani donne musulmane asiatiche e i carnefici sono uomini pachistani musulmani». [...]Sempre in Inghilterra, è recentissimo lo scandalo delle scuole islamizzate a Birmingham. Anche in quel caso le autorità locali erano al corrente dell'esistenza di un piano di progressiva occupazione e islamizzazione di scuole pubbliche, ma la paura di essere accusati di razzismo e islamofobia ha impedito loro di intervenire in tempo. Non è l'islam che deve meravigliare, ma l'incredibile cecità auto-indotta delle autorità.PROBLEMA BRITANNICONon si tratta solo di un problema britannico, ma riguarda tutta l'Europa. Il nord Europa in particolare. In Svezia e in Norvegia sono aumentati esponenzialmente gli stupri ai danni delle ragazze locali e le statistiche della polizia non indicano più l'origine etnica degli aggressori. Eppure i due paesi, in cui la violenza sessuale era a livelli minimi fino a due decenni fa, ora sono in cima alle classifiche europee sugli stupri, guarda caso solo da quando è iniziata la grande ondata migratoria dai paesi musulmani. Le ultime statistiche parlavano di una stragrande maggioranza di casi in cui l'aggressore era di origine "non occidentale", un modo politicamente corretto per indicare l'immigrato islamico. In Germania, lo scorso aprile, l'omicida afgano della sua ex fidanzata (accusata di non voler abortire) ha goduto di attenuanti culturali. Non è il primo caso e non sarà l'ultimo. Quella delle attenuanti culturali sta diventando una vera abitudine della magistratura tedesca. Ce ne siamo accorti anche noi quando, nel 2007, un sardo, nella Bassa Sassonia, godette dello stesso privilegio dopo aver violentato la sua ex fidanzata. L'allora sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, parlò esplicitamente di "esempio di razzismo contemporaneo". E in effetti il multiculturalismo (di cui Manconi, in altre occasioni, si è fatto portavoce), cosa è se non razzismo contemporaneo? La sua prima regola è che non vi sono "nostre" regole applicabili alle "loro" comunità. Si creano isole di anarchia in cui la sharia viene imposta dai leader religiosi locali. In Inghilterra questo processo inizia ad essere addirittura formalizzato, con l'introduzione di corti islamiche e l'applicazione della legge coranica nei tribunali.

    Il vuoto della democrazia sarà riempito dall'islam

    Play Episode Listen Later Mar 7, 2023 13:17


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7334IL VUOTO DELLA DEMOCRAZIA SARA' RIEMPITO DALL'ISLAM di Pietro Guidi"Je suis Charlie" era lo slogan che imperversava un po' dappertutto in seguito all'attentato terroristico del 7 gennaio 2015 nei confronti dei giornalisti di "Charlie Hebdo". La rivista satirica francese pubblicava vignette dissacranti contro la religione, tra cui alcune a sfondo sessuale contro Gesù Cristo e la beata Vergine Maria. Hanno anche fatto vignette sull'islam che prendevano in giro Maometto e i musulmani non l'hanno presa tanto bene. Infatti due islamici hanno pensato di vendicare l'onore del loro profeta uccidendo i giornalisti della redazione della rivista, facendo fuori in totale dodici persone. Molti ne furono scandalizzati e, senza dare la colpa all'islam, difendevano la rivista al patetico grido di "Je suis Charlie" cioè "Io sono Charlie" per mostrare solidarietà e schierarsi a favore della libertà di espressione che vedevano minacciata. La giornalista Alessandra Buccini intervistò Anjem Choudary, un imam di Londra, per chiedergli la sua posizione riguardo all'attentato. A mio avviso questa intervista rappresenta un incontro tra due universi paralleli, due visioni del mondo inconciliabili, che mette in luce la psicologia islamica e quella occidentale. Ecco alcune frasi significative di quella intervista.Imam: Chiunque insulti il profeta deve morire. Io personalmente credo che andrebbe processato da un tribunale della Sharia e se colpevole giustiziato. Perché non imparate la lezione e basta? Questo è quello che dice l'islam. Perché hanno continuato a fare una cosa del genere?Giornalista: Perché noi crediamo nella libertà di espressione e di pensiero.Imam: Gliel'ho già detto: io non ci credo.Giornalista: Ma lei in questo momento mi sta parlando, dicendo cose inaccettabili da sentire dopo quello che è successo a Parigi. Eppure sta parlando. Non è questa la libertà di espressione?Imam: Io sto parlando perché Allah mi ha creato e mi ha dato il permesso di dare il punto di vista islamico al mondo. (...) La democrazia ha fallito. (...) È l'islam il futuro dell'umanitàRIFLESSIONI CONTROCORRENTEHo guardato questo video con altre persone ed ho notato che si erano divisi in due gruppi: il primo diceva che questo imam rappresenta solo una piccola parte dell'islam, la parte più estremista, ma i musulmani normali non sono così. L'altro gruppo diceva che l'islam è un pericolo serio per la nostra democrazia e la nostra libertà perché i terroristi stanno semplicemente seguendo quanto gli insegna la loro religione. Quindi non sono estremisti, ma semplicemente dei bravi musulmani. Se a questo punto state pensando chi ha ragione, vi anticipo subito che secondo me hanno torto entrambi. Infatti mentre i due gruppi si scontravano, io me ne stavo il silenzio, invaso da un sentimento di ammirazione. Aveva ragione l'imam. La giornalista aveva torto. Con una chiarezza di idee sconcertante il musulmano l'aveva lasciata nell'impossibilità di ribattere. Lei ha continuato a fargli domande sulla possibilità che si verifichino altri attacchi, ma non è più tornata sull'argomento incriminato. Devo ammetterlo: un po' mi fa pena la povera giornalista occidentale quando gli parla della libertà di espressione. Pensa davvero che sia una difesa nei confronti dell'islam? Quando verranno armati per conquistare l'Europa, la giornalista gli chiederà se hanno il permesso del parlamento o se hanno fatto un referendum democratico per l'annessione dell'Italia allo stato islamico? Bisogna ammettere che ha ragione l'imam: la democrazia ha fallito, la libertà di espressione è sbagliata e la bestemmia contro Dio è una cosa grave. Provocatoriamente potrei dire che ascoltando l'intervista di quel video ho finalmente trovato qualcuno che la pensa come me.Devo premettere, per evitare equivoci pericolosi, che i valori dell'imam sono diversi dai miei, ma almeno entrambi abbiamo dei principi. Il mio modo di pensare è molto più vicino al suo che non a quello dell'occidentale apolide e liquido. Se potessimo io e l'imam ci faremmo la guerra a vicenda, ma almeno saremmo d'accordo sulle premesse: entrambi pensiamo che c'è una sola verità, una sola religione giusta, che non si può dire liberamente la menzogna, né bestemmiare il nome di Dio e tante altre cose. Ovviamente devo dire anche che io credo che la verità sia Gesù Cristo, mentre il musulmano crede che sia quello che ha sognato Maometto, ma entrambi abbiamo una visione simile del mondo. Siamo d'accordo sull'intolleranza: io non potrei tollerare le sue idee e lui le mie. Invece l'occidentale medio afferma la tolleranza come principio del vivere in società. Proprio per questo relativismo l'Occidente odierno non ha valori. Non ha un'idea di giusto o di sbagliato ed è indifferente a tutto. Quelli che vengono spacciati per valori della nostra società, come la democrazia e la libertà di espressione, sono dei non-valori. Infatti la democrazia è, in realtà, indifferenza politica perché non gli interessa sapere quale linea di governo sia giusta, ma solo quella che ha preso più voti. La libertà di pensiero è indifferenza nei confronti della verità perché la mette sullo stesso piano della menzogna. La laicità è indifferenza nei confronti delle religioni, visto che non si preoccupa di stabilire quale sia vera e quali false. Il multiculturalismo è indifferenza verso l'identità di un popolo. La tolleranza è indifferenza verso qualcosa che ti danneggia. E si potrebbe continuare così all'infinito.L'INTOLLERANZA DEI TOLLERANTITutto questo indifferentismo in realtà viene trattato come fosse un valore e, come tutti i principi fondanti una società, deve essere imposto a tutti i cittadini. Puoi dire quello che vuoi, basta che non affermi che esiste una verità, altrimenti vieni censurato. Tutto viene tollerato, ma non che venga messa in discussione la tolleranza. Quindi anche questo viene considerato un principio dalla maggioranza degli occidentali per cui non è disposto a trattare. Il problema è che si tratta di un valore vuoto, che ha trasmesso il suo vuoto agli europei di oggi.Abbiamo raggiunto un livello di benessere impensabile per le generazioni passate, ma siamo privi di principi per cui lottare. E quindi siamo diventati deboli e apatici. Da quanto siamo rammolliti ci siamo persino dimenticati dei nostri bisogni primari, come quello di riprodurci e quindi facciamo meno di due figli per coppia, quando la natura ci ha programmati per farne una decina, come è evidente se andiamo a vedere la situazione un secolo fa. Siamo quindi vuoti anche di figli, che sono il futuro e la forza di un popolo. E tutti sanno che in fisica ogni vuoto viene riempito. È un processo inevitabile. Siamo vuoti di figli e di valori: qualcuno con figli e valori ci sostituirà. Infatti i musulmani non si sono dimenticati del bisogno di riprodursi e nel giro di poco saranno molto più potenti di noi. Loro sono compatti e marciano tutti verso un solo fine: l'imposizione della Sharia in tutto il mondo.Questo non è complottismo in quanto sono loro stessi a dirlo, come fa l'imam del video citato. Fino a che sono in minoranza non alzano la testa, ma quando sono in maggioranza i musulmani impongono sempre la loro legge. Anche il vostro amico marocchino con cui giocate a calcetto quando arriverà la Sharia starà dalla loro parte. Lo possiamo già vedere nei quartieri islamici della Francia del sud o dell'Inghilterra dove non entra nemmeno la polizia locale. A differenza di loro, noi occidentali non abbiamo un'identità, un fine comune e nemmeno dei giovani in grado di difenderli, quindi ci faremo distruggere. Eppure non è sempre stato così.Nel medioevo, quando le civiltà europee erano cristiane, i musulmani li abbiamo sconfitti diverse volte. Sono sempre stati inferiori a noi in tutto: era l'Occidente il faro della civiltà. Di fronte al crociato, l'islamico se ne andava con la coda fra le gambe. Nelle gloriose battaglie di Lepanto e di Vienna li abbiamo sbaragliati con un esercito molto inferiore del loro e li abbiamo respinti dalle vie di mare e di terra per sempre. O meglio, li abbiamo respinti fino ad oggi...Se vogliamo davvero salvare la nostra Europa dall'invasione islamica dobbiamo tornare quello che eravamo un tempo, quando la società era impregnata dei valori del cristianesimo. Solo così potremmo fargli vedere che caput mundi, capitale del mondo, è Roma, non la Mecca.

    Natale calpestato dove comandano islamici o comunisti

    Play Episode Listen Later Dec 28, 2022 5:52


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7260NATALE CALPESTATO DOVE COMANDANO ISLAMICI O COMUNISTI di Mauro FaverzaniAnche quest'anno si è rinnovato il tradizionale scambio di auguri natalizi. Di persona o con bigliettini, tramite web o social. Tra familiari, amici, conoscenti, colleghi. Ci è parso normale, spontaneo, quasi scontato. In realtà non è così. Non lo è per niente. Almeno non ovunque.In Arabia Saudita, ad esempio, Paese rigorosamente musulmano, viene severamente vietato qualsiasi altro culto pubblico. Per cui Natale ed anche capodanno - espressione del calendario gregoriano, quindi cristiano - possono essere celebrati solo in casa e di nascosto, pena pesanti sanzioni per i trasgressori.Ma il Natale è fuorilegge anche altrove, essendo considerato un pericolo per l'islam: in Brunei dal 2014, può costare a chi lo festeggi 20 mila euro di multa e fino a cinque anni di carcere; in Somalia è stato bandito dal 2015, lo stesso anche in Tagikistan, dove è proibito anche solo scambiarsi regali o raccogliere fondi per beneficenza; ma nella black list dei Paesi «Grinch» ce n'è anche uno comunista, la Corea del Nord, dove dal 2016 il dittatore Kim Jong-Un ha trasformato il 25 dicembre nella festa della «sacra madre della rivoluzione» ovvero di sua nonna.LA FRANCIA RINNEGA IL SUO PASSATO DI FIGLIA PRIMOGENITA DELLA CHIESANon c'è bisogno di andar tanto lontano, per scoprire il Natale nel mirino dei "soliti noti". In Francia, ad esempio, ovvero nell'unico Stato europeo, che ha voluto inserire la "laicità" come "principio" nella propria Costituzione, la fede cattolica ed i suoi simboli sono da considerarsi sotto attacco per l'intero periodo delle festività natalizie. È già stato registrato un inquietante aumento degli atti vandalici nei giorni scorsi. Lo scorso 21 dicembre sono stati tracciati sulle pareti della chiesa di S. Rocco, a Parigi, simboli satanici e scritte folli. All'indomani, il 22 dicembre, peraltro in pieno giorno, nel mirino è finita la chiesa di Sant'Anna d'Arvor a Lorient: qui in pieno giorno è stato devastato il presepe, sono state distrutte diverse statue in gesso - tra cui quelle della Madonna, di S. Giovanna d'Arco e di S. Teresa del Bambin Gesù - e gettate a terra le candele. Vandalismi e profanazioni si sono verificati anche presso la chiesa di Saint-Maclou, a Rouen, presso la chiesa di Puy-de-Dôme con un tentato incendio doloso, presso la chiesa della Santissima Trinità a Bordeaux ed altrove.Solo teppisti? Nient'affatto. Come recita il famoso detto popolare, «il pesce puzza dalla testa». Così, ecco il sindaco di Parigi, la socialista Anne Hidalgo, partecipare al tramonto alla rottura del digiuno del Ramadan, aderendo all'iniziativa della moschea di Parigi, e partecipare con la comunità ebraica all'accensione della sesta candela della Menorah per la festa dell'Hanukkah ai Champs de Mars, ma rifiutarsi totalmente di unirsi ai fedeli alla Messa di mezzanotte per la celebrazione del S. Natale. Lo stesso, sostanzialmente, han fatto il sindaco di Metz, François Grosdidier, e quello di Béziers, Robert Ménard.E laddove non arriva la politica, arriva la magistratura. Così il tribunale amministrativo di Montpellier, su input della «Lega dei Diritti dell'Uomo», ha ordinato al Comune di Perpignan di rimuovere entro ventiquattr'ore il presepe sistemato nel municipio dal sindaco Louis Aliot di Rassemblement National. Ogni giorno di ritardo sarebbe costato cento euro di sanzione.TERRA SANTANeppure in Terra Santa la situazione appare migliore: i leader delle principali chiese cristiane di Gerusalemme lo scorso 22 dicembre, nel proprio messaggio di Natale, hanno evidenziato come, negli ultimi anni, i fedeli abbiano «dovuto affrontare sempre più spesso attacchi al libero esercizio della religione, tra cui aggressioni personali, profanazioni delle chiese e dei cimiteri, restrizioni ingiustificate al culto e minacce legali alle proprietà ecclesiastiche». Il che suscita viva preoccupazione, anche perché, tra Israele e Palestina, i cristiani locali sono circa 180 mila, quindi poco più dell'1% dell'intera popolazione: erano oltre il 25% nel 1948, poi scesi al 12% nel 1967 ed ora ridotti al lumicino.Allora è chiaro: se le ostilità verso il culto cattolico giungono dall'alto, da chi dovrebbe essere di esempio quanto meno in termini di equanimità, è poi improbabile immaginare una società diversa, virtuosa. Sarebbe davvero ora di pretendere, leggi alla mano (anche con le attuali, peraltro migliorabili...), quel rispetto e quella considerazione che meritiamo, stigmatizzando tifoserie ideologiche e dileggi giacobini.

    Per alzare la coppa del mondo Messi ha dovuto indossare il Bisht

    Play Episode Listen Later Dec 20, 2022 15:05


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7251PER ALZARE LA COPPA DEL MONDO MESSI HA DOVUTO INDOSSARE IL BISHT di Giuliano GuzzoTutte le grandi storie, quasi senza eccezioni, hanno dei retroscena o delle sbavature, delle piccole ombre che, se non offuscano la luce complessiva di una narrazione, un minimo comunque la ridimensionano. Sembra essere questo il caso del gesto compiuto dal calciatore di cui si parla di più, e giustamente, in questi giorni. Vale a dire il fuoriclasse argentino Lionel Messi, il quale - sollevando la Coppa del Mondo - ha indossato un bisht, un mantello tradizionale del golfo Persico e non solo.Come rilevato da più osservatori, quel mantello è pregno di significati, dal momento che rispecchia opulenza e prestigio. E il fatto che, a porlo sulle spalle di quello che è universalmente riconosciuto come l'erede - ora ancor di più - di Diego Armando Maradona, sia stato l'emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani - peraltro facendolo in mondovisione -, a detta di molti ha rappresentato la globale sottomissione dello sport più popolare del mondo al potere e all'economia qatariota.Esagerazioni? Probabilmente no. Lo stesso scandalo Qatargate, che sta investendo l'Unione europea in queste settimane, dimostra infatti che serve incassare un bel po' di banconote per convincersi e provare a convincere terzi che da quelle parti valori come i diritti umani, quelli dei lavoratori, delle minoranze e via di questo passo, contino qualcosa. Perché la realtà dice altro, se non l'opposto. In questo senso, sicuramente il gesto dell'emiro del Qatar risulta molto potente, anche se non va certo fatta colpa al solo Messi.Come infatti dimenticare le parole - per molti analisti pregne d ipocrisia - di Gianni Infantino, il presidente della FIFA, il quale durante la conferenza stampa inaugurale dei Mondiali di calcio in Qatar aveva affermato: «Oggi mi sento qatariota, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante». E lo stesso Infantino, alla vigilia della finale del Mondiale, ha rincarato la dose di ipocrisia, rispondendo - ad una domanda proprio sui diritti umani - che «ora pensiamo ai tifosi di calcio».Ma torniamo alla politicizzazione, indubbia, dello sfoggio del bisht per un'altra considerazione, che è la seguente.Si fa bene, anzi benissimo a riconoscere nel mantello rifilato a Messi un gesto clamoroso e vergognoso, ai limiti come si diceva poc'anzi della sottomissione culturale. Però bisogna essere franchi: non è certo il solo caso. Come la mettiamo, infatti, con analoghe politicizzazioni che da anni si abbattono in Occidente su eventi che nulla hanno a che vedere con la politica? Si pensi al collettivo inginocchiarsi prima di una manifestazione, oppure il rosso sfoggiato ovunque in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ricorrenza molto importante ma nel corso della quale è impossibile - salvo che uno non intenda affrontare una bella polemica - ricordare che il primo ad uccidere le donne è l'aborto volontario. E ancora: come la mettiamo con i nastrini arcobaleno esibiti da star, influencer e sportivi di ogni livello, in teoria un simbolo contro le discriminazioni subite dalle minoranze sessuali ma, di fatto, un obolo alle più estreme rivendicazioni Lgbt, incluso l'utero in affitto?Come si può vedere, il discorso è molto ampio e non finisce né inizia in Qatar. Figuriamoci. Anzi, si può tranquillamente dire che la sudditanza di Lionel Messi all'emiro - sempre che sudditanza piena e consapevole sia poi stata -, è solo l'ultima di una lunga serie che si consumano ogni giorno in Occidente. Solo che queste ultime, anziché come tali, sono salutate anzi celebrate come "scelte di campo" coraggiose. Cosa ci sia mai di coraggioso in chi si accoda alla linea ideologica, se pensiamo ai cosiddetti diritti Lgbt, sposata non solo dalle più potenti cancellerie del pianeta, ma anche da colossi economici come Amazon, Apple o Disney, ecco, si fa fatica a capire.Come si fa fatica a comprendere chi - giustamente - si indigna per il gesto politico e di sottomissione di indossare un bisht, ma non si indigna allo stesso modo o affatto per i gesti politici e di sottomissione pro-Lgbt. Immaginate per un attimo un Lionel Messi - ovviamente non in Qatar, sarebbe stato impossibile - avvolto da una bandiera Lgbt per alzare la Coppa. Sarebbe stato un gesto salutato come forse il più coraggioso della storia. Non sarebbe stata sottomissione a politica e ideologia anche quella?Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "Affari e moschee, la rete del Qatar in Italia" spiega perché da 15 anni il Qatar fa grandi investimenti nel nostro Paese: moda, hotel di lusso, grattacieli. Il Qatar investe molto per diffondere l'islam, di qui i progetti sul territorio italiano di diverse moschee e scuole coraniche.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 dicembre 2022:L'hanno chiamato Qatargate e ha tutta l'aria di essere uno scandalo appena all'inizio. I servizi di sicurezza di ben cinque Stati europei indagano sul tentativo di corruzione di parlamentari dell'Unione Europea: un presunto sistema tangentizio, con lo scopo principale di incidere sui dossier in corso di istruzione all'Eurocamera. Un'indagine che ogni giorno s'ingrossa di più. Ad essere coinvolti fin qui nell'inchiesta sono soprattutto i politici dell'ala socialdemocratica del Parlamento e tra questi anche diversi italiani. Ci sono, per esempio, l'ex eurodeputato del Pd, oggi Articolo Uno, Antonio Panzeri, sospeso dopo lo scandalo, ma anche Niccolò Figa-Talamanca della Ong No Peace Without Justice, fondata nel 1993 da Emma Bonino.Ma quello tra Italia e Qatar non è un sodalizio recente. Tessere una rete di conoscenze capaci di influenzare è una strategia di Doha a livello globale che vede, da anni, nell'Europa un tassello fondamentale e nell'Italia un Paese di particolare interesse. Gli investimenti strategici nel corso degli anni si sono sprecati. Doha, attraverso la Qatar Investment Authority (Qia), il fondo sovrano del Paese creato nel 2005 per investire in tutto il mondo, ha investito estensivamente in Italia negli ultimi quindici anni. Un tesoro il cui valore sarebbe intorno ai cinque miliardi di euro. Il Qatar, grande poco più dell'Abruzzo, al 2022 conta una popolazione di tre milioni di persone per un Pil di 223 miliardi di euro e un Pil pro-capite che è più del doppio di quello italiano.È il 1995 l'anno della svolta per il Paese, quando, con un colpo di Stato, Hamad bin Khalifa Al Thani spodesta il padre e diventa emiro. L'obiettivo è subito trasformare il piccolo Stato in potenza globale: gli ingenti proventi dell'industria di gas e petrolio gli tengono le spalle coperte e già nel 1996 finanzia con 150 milioni di dollari la costituzione dell'emittente televisiva Al Jazeera che negli anni è diventata, secondo la Bbc, il più importante canale di informazione in lingua araba del mondo. E nel frattempo Al Thani inizia una lunga e florida amicizia con la Fratellanza Musulmana per puntare, attraverso il tessuto religioso, culturale ed economico all'espansione verso l'Occidente, Italia inclusa.Il Qatar è da tempo un importante partner, per il nostro Paese, sull'energia: riceviamo, per un contratto a lungo termine sottoscritto da Edison, 6,5 miliardi di metri cubi di gas l'anno, cioè più del 10 per cento del totale del gas che l'Italia acquista dall'estero. Ma l'amicizia Italia-Qatar non si limita all'energia. Moda, hotel di lusso, Costa Smeralda, Milano: la lista degli affari del Qatar in Italia ogni anno s'arricchisce. Nel 2021, le esportazioni qatariote verso l'Italia sono state pari a 2,1 miliardi di euro, cifre che procedono così, senza particolari variazioni, dal 2019; inoltre, siamo il secondo Paese europeo fornitore del Qatar (dopo la Germania) e il decimo al mondo.A Milano, il Qia possiede l'Hotel Gallia, un 5 stelle acquistato nel 2006. E in pochi anni è diventato proprietario del Gritti Palace, a Venezia, del St. Regis e dell'Excelsior a Roma, del Baglioni e del Four Seasons Hotel a Firenze. Riguardo alla moda, nel 2012, il Qatar compra la maison Valentino per 700 milioni di euro. Nello stesso anno viene acquistata per 650 milioni di euro la Smeralda Holding che possiede alberghi di lusso: 2300 ettari di terreni immacolati nella costa gallurese che diventano quattro alberghi. A maggio del 2014, Pigliaru presidente e Renzi premier firmano un accordo con Rispo, responsabile per l'Italia della Qatar Foundation Endowment: nasce l'ospedale Mater Olbia. Nel 2015, tocca di nuovo a Milano. I grattacieli di Porta Nuova, simbolo della skyline del capoluogo lombardo, diventano di Doha per 2 miliardi. Nel 2016, viene comprato l'albergo San Domenico di Taormina e, a fine settembre 2017, Qatar Airways conclude l'iter di acquisizione del 49% di Meridiana.La politica estera si realizza anche con le forniture militari e l'Emirato, negli anni, è diventato ottimo cliente del complesso militar-industriale italiano. Nel 2016, il Qatar firma con Fincantieri l'acquisto di quattro corvette, due pattugliatori d'altura e una nave anfibia multiruolo con un contratto di quattro miliardi di euro.

    Un musulmano uccide un cattolico bianco, ma non si può dire

    Play Episode Listen Later Jul 26, 2022 11:40


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7093UN MUSULMANO UCCIDE UN CATTOLICO BIANCO, MA NON SI PUO' DIRE di Lorenza FormicolaIl 27 maggio, un dispaccio dell'Agence France-Presse annunciava la morte di un "tale gravemente ferito perché accoltellato davanti alla scuola dei suoi figli, a Marsiglia". L'Afp specificava che la vittima era un medico militare, che l'aggressore era "di nazionalità francese" e che pare avesse agito "in nome di Dio", aggiungendo che "l'ipotesi terroristica era stata esclusa dagli inquirenti" e che "l'uomo soffriva solo di disturbi psicologici". Compreso il messaggio di cordoglio del ministro delle Forze Armate e del Sindaco di Marsiglia, l'agenzia aveva speso 225 parole per raccontare l'omicidio. Pochi giorni dopo, sempre l'Afp raccontava una rissa tra cicogne e dell'intensa emozione che la cosa aveva suscitato sui social. Per il cicognicidio erano state dedicate 352 parole. Una cicogna fa più notizia di un padre di famiglia assassinato in nome di Allah.Se, infatti, Alban Gervaise è un nome che non ti dirà nulla, è perché come Samuel Paty, Jacques Hamel o Arnaud Beltrame questo medico militare è una delle troppe vittime del terrorismo islamico che funesta l'Europa, ed in particolare la Francia, ma di cui non si può, non si deve parlare. Tant'è che le agenzie di stampa francesi non hanno voluto diffondere i dettagli di quello che è terrorismo islamico a tutti gli effetti. Gervaise era un medico di quarant'anni, era andato a prendere due dei suoi tre figli - uno di 3 e l'altro di 7 anni - alla scuola privata cattolica Sévigné, a Marsiglia. Aspettava seduto su una panchina, quando ad un tratto Mohamed L., 23 anni, ha iniziato ad accoltellarlo in petto al grido di "Allahu Akbar".Alban Gervaise era colpevole di essere un cattolico bianco in una città dove i cattolici sono sempre meno vista l'imperante l'islamizzazione. E ha dovuto scontare anche il fatto di essere accoltellato nel bel mezzo della campagna elettorale per le legislative francesi: ecco perché il caso è stato insabbiato e, dai media alla politica, è stata imposta una coltre di silenzio. Ancora un'aggressione islamica avrebbe disturbato troppe narrazioni e magari influenzato qualche voto. Dieci coltellate in petto e alla gola, per morire davanti a dei bambini e ai propri figli, perché lo vuole Maometto, non sono una notizia per la Francia di Macron.L'ASSASSINO: IMMIGRATO DI SECONDA GENERAZIONEMohamed L., 23 anni, nato a Brignoles (Provenza-Alpi-Costa Azzurra), immigrato di seconda generazione, e che in Francia aveva trovato il modo per radicalizzarsi, era già noto alla polizia, ma non all'intelligence territoriale. E quando Mohamed ha accoltellato il medico militare, non s'è risparmiato dal spiegare a tutti che stava agendo in nome di Allah, e di voler semplicemente punire gli "infedeli". Né titoli, né prime pagine, né conferenze stampa, né visite di Stato per un cattolico ucciso da un musulmano. Con la notevole eccezione de L'Union, quotidiano dell'Ardenne, che il 31 maggio ha pubblicato un editoriale intitolato "Alban Gervaise, un nome che per te non significa niente", indignandosi per il trattamento mediatico riservato all'assassinio. Anche Le Figaro ha provato ad occuparsi del caso, ma se la politica ignora e non condanna, è normale che le notizie spariscono in un amen. "Vorrei capire perché il barbaro omicidio del nostro collega, Alban Gervaise, è stato così poco considerato dalla stampa", dice un alto ufficiale dell'esercito parigino. "Perché era un soldato? Per ideologia o per negare la realtà? Ci poniamo la stessa domanda. E vogliamo una risposta perché questo silenzio mediatico è come una seconda morte".Solo Julien Dray, ex deputato socialista che ha appena lanciato il suo movimento, Reinvent!, ha osato affermare pubblicamente che "volevamo nascondere le cose", chiedendosi se questo tipo di atteggiamento è dipeso dal "dalla stampa locale, che non ha voluto dare i primi elementi che aveva, o da autorità e magistratura che si sono risparmiate i dettagli". Neanche il fatto che dei bambini abbiano dovuto assistere al massacro del padre, ha commosso la Francia. Sono finiti i giorni in cui, di fronte a tragedie di questo tipo, un Presidente della Repubblica riceveva sistematicamente i parenti delle vittime al Palazzo dell'Eliseo per manifestare la sua compassione e solidarietà nazionale. Sono finiti i tempi della condanna plateale al terrorismo islamico.44 MILA VITTIME DI ACCOLTELLAMENTIDopo le sanguinose tragedie dell'affaire Mehra, Charlie Hebdo e il negozio kosher di Porte de Vincennes, Bataclan, Nizza, Saint-Etienne de Rouvray, tanti altri, il fenomeno a cui assistiamo non è semplicemente di una banalizzazione del male, ma dell'islamismo. Secondo lo studio del 2020 dell'Osservatorio nazionale della delinquenza e delle risposte criminali (ONDRP), tra il 2015 e il 2017, in Francia sono state registrate 44 mila vittime di accoltellamenti, ovvero più di 120 al giorno: epidemia di crimini da coltello importata dalla Gran Bretagna e che ha nei musulmani gli attori protagonisti. La Francia ha contato, per dieci anni, più di 250 vittime del terrorismo islamista. E il fatto che l'omicidio del medico cattolico non rientri nel terrorismo è perché i criteri utilizzati dai media, e della politica interna, sono incapaci - o si rifiutano! - di inquadrare la realtà dei fatti.Tutti gli studi sul jihadismo europeo hanno dimostrato che l'esistenza o meno di una sigla poco importa. Il modus operandi pensato dal al-Qaeda, e po' più estraneo a Daesh, lavora alla radicalizzazione puntando sulle carceri e sui centri islamici. Legando insieme imam, fedeli e jihadisti già formati si fa proselitismo a scopo di islamizzare l'Occidente che necessita di essere ripulito da "infedeli", i cristiani e i bianchi. La minaccia è mutata nel corso del tempo, poiché dagli attacchi relativamente complessi e spettacolari di qualche anno fa, siamo arrivati a metodi decisamente meno sofisticati (coltello, attentati con autoveicoli e speronamento, incendi) che inoltre sono molto più difficili da prevenire per le forze di sicurezza.I cosiddetti "attentati a bassa capacità", gli ordigni esplosivi improvvisati (IED), gli attentati con veicoli presi in affitto o rubati, i furgoni, i crimini da coltello e, più in generale, le aggressioni con armi leggere, fanno da corollario ad un teorema che ci spiega come poco importa se il "Califfato" sia in forma o meno: il credo jihadista si è così tanto radicalizzato in Occidente che individui e piccole cellule sono pronti a colpire senza alcun coordinamento con la cellula madre. L'islam, che ha in sé le caratteristiche proprie di un progetto politico, è privo di un'autorità con cui negoziare a nome di tutta la comunità religiosa, pertanto i suoi discepoli agiscono anche liberamente in nome di un'ideale a cui sono stati educati fin da bambini.EUROPA SOTTO MINACCIAIl terrorismo islamico è ibrido. E le sue piccole cellule, dimostrano, come i recenti fatti francesi, di avere piena conoscenza del terreno in cui operano: ricorrono alla strategia del raid muovendosi in piccoli gruppi e usano armi leggere, per colpire e ritirarsi immediatamente senza permettere una risposta efficace e senza trasformarsi in un obiettivo statico. Spesso queste azioni potrebbero apparire disorganizzate e di basso profilo, ma sono l'effetto di una strategia più articolata che mira a indebolire la presa del governo sulla popolazione. L'omicidio del medico cattolico né è la prova: se i media e la politica si dimostrano esautorati e vittime di un politicamente corretto che impone il silenzio, chi avrà paura di uccidere ancora in nome di Allah e di non sentirsi conquistatore d'Europa?Quattro dei dieci lupi solitari che hanno agito nella Ue, negli ultimi due anni, erano in possesso della cittadinanza europea. Cinque di loro erano entrati nell'Ue come richiedenti asilo o migranti irregolari; in quattro casi, si trattava di soggetti entrati nell'Ue diversi anni prima di portare a termine il loro attacco. Ciò dimostra la necessità di un maggiore controllo sui flussi migratori, ma anche della pervasività della minaccia jihadista in Europa: nel 2020 nell'Unione Europea sono stati compiuti 10 attacchi terroristici (senza contare quelli sventati e/o falliti), con un totale di 12 morti e 47 feriti. Quello che è accaduto a Marsiglia è drammatico e deplorevole. Specie per il silenzio che ha coperto i fatti. Ma è difficile restarne stupiti poi troppo.Dal 2005 le banlieue di Parigi sono comparse sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo: grandi quartieri periferici con un'alta densità demografica di musulmani, molti dei quali radicalizzati che si moltiplicano per numero e densità. Per intenderci, basta pensare alla banlieue di Saint-Denis, nascondiglio dei terroristi del 13 novembre 2015.A Marsiglia dei circa 850 mila abitanti, il 45 per cento dei cittadini sotto i 30 anni è di fede musulmana e le proiezioni da qui ai prossimi 40 anni sono drammatiche. È la città con la più alta percentuale di fedeli musulmani di tutta la Francia. Con molti problemi di disoccupazione giovanile e povertà, secondo alcune statistiche, Marsiglia potrebbe diventare la prima città a maggioranza musulmana dell'Europa occidentale. Come può non accadere, quindi, che un bianco cattolico non disturbi un fedele di Allah? Ma come può accadere che nessuno ne parli, quello sì che inquieta, forse, ancor di più.

    L'Isis è tornata e invoca la guerra totale ai cristiani

    Play Episode Listen Later Jan 25, 2022 13:52


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6884L'ISIS E' TORNATA E INVOCA LA GUERRA TOTALE AI CRISTIANI di Mauro FaverzaniC'è un nemico per nulla invisibile all'orizzonte. Si chiama Isis. Lo scorso 6 gennaio, non a caso, mentre la Chiesa cattolica festeggiava la Santa Epifania, è tornato a minacciare la «guerra totale» contro la Cristianità in Africa. Una guerra già iniziata, per la verità, e fatta di chiese bruciate, omicidi, stragi, missionari e fedeli torturati. Lo ha promesso: tutto questo si diffonderà nell'intero Continente.Certo, più facile a dirsi che a farsi. Anche perché di batoste i terroristi islamici ne hanno già prese tante. Ciò nonostante, nulla è servito, per far mutare loro i propositi. E gli obiettivi. Tutt'altro. Ora rilanciano, annunciando una nuova recrudescenza. Specificando di voler trasformare le celebrazioni cristiane in «funerali e tragedie» e di voler letteralmente scatenare l'«inferno».L'annuncio, estremamente chiaro, è stato pubblicato sul settimanale dell'Isis al Naba ovvero «il profeta». Si legge: «Che i cristiani infedeli sappiano ch'è giunta l'ora per i musulmani in Africa di risponder loro; è una nuova tappa contro la nazione crociata. Ciò che è già successo nelle regioni occidentali e centrali del Continente si estenderà ad altri Paesi, che continuano a languire sotto l'autorità e la persecuzione dei cristiani». Del resto, che l'intento fosse questo, non hanno fatto mistero: già lo scorso 11 marzo, gli Stati Uniti hanno posto l'Adf ovvero le cosiddette Forze Democratiche Alleate del Congo nella black list dei gruppi terroristi islamici, che hanno giurato fedeltà all'Isis, cercando di uniformare anche la loro bandiera, divenuta sempre più simile a quelle utilizzate da al-Shabaab, al-Qaeda e Boko Haram.L'Isis, peraltro, a partire dall'aprile del 2019, ha rivendicato un numero crescente di attacchi, soprattutto nella zona orientale del Paese. Il primo fu l'attacco ad una caserma delle Fardc (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo)a Bovata, vicino a Beni: tre le vittime. La firma Isis nella circostanza venne confermata con due messaggi diramati da Amaq, l'agenzia di propaganda delgruppo jihadista. Secondo gli esperti, sussisterebbero fondati timori che i terroristi intendano installare una sorta di "califfato" nelle regioni di Beni e Butembo.La violenza, ora dimostrata sul campo dall'Adf è sicuramente ideologica, ma è anche tattica e militare e minaccia, in caso di attacco, di vendicarsi sulla popolazione civile.In una sua recente opera dal titolo Una teoria dello "Stato islamico" - Violenza politica e trasformazione dell'ordine mondiale, il prof. Mohammad-Mahmoud Ould Mohamedou, ex-ministro degli Affari Esteri della Mauritania ed oggi docente presso l'Istituto di Alti Studi Internazionali e di Sviluppo di Ginevra, ha spiegato come l'Isis rappresenti un'organizzazione moderna, che si nutre di violenza, come proverebbe la sua costante presenza su Internet ed il ricorso ai più moderni mezzi di propaganda. La leva, su cui fa perno, invece, per dare una giustificazione purchessia alla sua follia è sempre la solita, l'astio contro i colonizzatori, in particolare francesi e spagnoli, accusati di oppressione, violenze, spionaggio, sotto «le sembianze» di missioni e di ospedali. Secondo l'Isis, l'unica soluzione possibile sarebbe quella delle armi, un programma in grado di attirare anche molti giovani occidentali, vittime del nichilismo e disposti pertanto ad una rivolta generazionale, fenomeno dovuto non tanto alla «radicalizzazione dell'islam» quanto all'«islamizzazione del radicalismo».Solo parole? Nient'affatto... Gli attentati contro i cristiani sono quotidiani e non si tratta di casi isolati: fanno anzi parte di un programma di sterminio, mirato a colpire la Chiesa cattolica, per poter islamizzare l'Africa. Una faccenda religiosa, quindi, senza dubbio; ma anche una scelta geo-politica, agevolata dal silenzio dell'Occidente, totalmente sordo agli appelli lanciati dai cristiani delle zone insanguinate dal terrorismo islamico. In assenza di risposte adeguate, pertanto, l'Isis può sperare di fare il bello ed il cattivo tempo, di dettar legge, incontrastato. In attesa, una volta rafforzato, di alzare nuovamente il tiro e di puntare a riservare lo stesso trattamento anche a quello stesso Occidente, secolarizzato e senz'anima, che oggi finge di non sentire.Nota di BastaBugie: avevamo già dato la notizia di una 19enne aggredita in piazza Duomo a Milano da un branco di stranieri la notte di Capodanno (clicca qui http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6872). Occorre tornare sull'argomento per sviluppare un'analisi completa del fenomeno delle violenze da parte di bande islamiche verso ragazze occidentali.Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Jihad sessuale: a Milano non è stato solo uno stupro" chiede a Souad Sbai, italiana di origine marocchina, fondatrice dell'associazione Donne Marocchine in Italia, se le violenze di Capodanno sono come gli stupri commessi da italiani. Secondo l'esperta di immigrazione e di islam, le violenze degli islamici sono diverse in quanto sono organizzate e con una precisa regia. Vediamo di preciso quale.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15 gennaio 2022:A Milano, in piazza Duomo, nella notte di San Silvestro, nove ragazze hanno subito violenze sessuali di gruppo ad opera di branchi di ragazzi immigrati, prevalentemente nordafricani. Sono le stesse scene viste anche a Colonia, nel capodanno del 2015 e prima ancora in piazza Tahrir, al Cairo, durante la rivoluzione contro Moubarak, dove vittima è stata una giornalista della Cbs. Esattamente come a Colonia, la realtà è emersa molto lentamente, un pezzo alla volta. Prima di tutto perché le vittime hanno dovuto trovare il coraggio di denunciare. Poi perché, come sempre quando la vicenda riguarda immigrati (anche di seconda generazione) la stampa reagisce con una certa reticenza, sempre nel timore dell'accusa di razzismo.Esattamente come a Colonia, nessuno nega l'esistenza dei fatti, ma l'atteggiamento prevalente è quello di relativizzarli. Un "tutto il mondo è Paese" in cui si sottolinea che anche gli italiani stuprano, anzi sono peggiori. Che i fatti di Piazza Duomo sono gravissimi, ma i femminicidi sono molto più frequenti. Le femministe sono convinte che la colpa, a prescindere dalla cultura, sia il "maschio" e la sua tendenza alla prevaricazione sul corpo della donna. In alcuni casi viene addirittura equiparata la violenza di gruppo a Milano con la pacca incassata in diretta da una cronista sportiva ad opera di un tifoso della Fiorentina. Ma sono paragonabili le due tipologie di crimine?Souad Sbai, italiana di origine marocchina, nostra collaboratrice, ha una grande esperienza in materia di immigrazione, avendo fondato l'associazione Donne Marocchine in Italia e avendo fatto parte della Consulta italiana sull'islam. Ed è tuttora responsabile del dipartimento integrazione e comunità straniere della Lega. È scandalizzata per l'atteggiamento che sta tenendo la sinistra italiana. Perché alla sinistra culturale, soprattutto, sfugge una differenza fondamentale: gli stupri avvengono a tutte le latitudini e in tutte le comunità umane, ma questo è un fenomeno diverso. Questa è violenza sessuale sistematica e organizzata. C'è una strategia dietro, c'è della pianificazione. Ed è un atto di aggressione deliberato che si sta ripetendo in tutto il mondo musulmano, comunità musulmane europee incluse."Guardando i video di piazza del Duomo - spiega Sbai - si evince che si trattava di veri assalti, molto più che aggressioni sessuali. Non mi risulta che gruppi organizzati di italiani, parliamo di decine di persone, quaranta, anche cinquanta, si organizzino per assalire le donne. In Piazza Duomo è stato condotto un assalto con una regia precisa. Le vittime vengono isolate, le squadre di assalitori si dividono i compiti: ci sono tre cerchie attorno alle vittime, quella esterna tiene lontana la gente e la distrae, c'è chi si incarica di distrarre le vittime, magari anche fingendo di difenderle, per disorientarle ma anche per spezzare la loro volontà di resistere. Anche chi filma ha il suo ruolo. La gente attorno non si rende conto di quel che succede, perché le cerchie esterne sono ampie e quel che avviene dentro è nascosto. È un gioco di squadra, appunto, un'azione deliberata e pianificata, non c'entra nulla con la violenza sessuale individuale".Una polemica riguarda anche la polizia, che non è intervenuta in tempo per salvare le nove vittime. Secondo Sbai, gli agenti sono gli ultimi a cui si potrebbero rivolgere accuse, proprio perché: "È un'azione troppo subdola per potersi rendere conto, da esterni, di quel che sta avvenendo. C'è chi ride, chi urla, chi abbraccia le ragazze o addirittura finge di soccorrerle e portarle fuori dal branco. È un gioco di dissimulazione molto raffinato, se non è presente qualcuno dei Servizi, ma solo regolari agenti di polizia, è difficile che ci si renda conto. La violenza vera avviene nella cerchia più interna e nessuno la vede". Peggio, invece, è il comportamento delle autorità di Milano, della giunta Sala: "La sinistra governa la città da dieci anni. Sanno qual è il rischio e non sono riusciti a prevenirlo. Possibile che non lo abbiano ancora capito? In ritardo anche le scuse: non occorrevano dieci giorni per prendere le parti delle donne violentate in piazza".Ciò che impressiona maggiormente di questi episodi è l'organizzazione. Fra gli arrestati ci sono giovani immigrati residenti in tutto il Nordovest italiano, anche da Torino, che si sono dati appuntamento a Milano. Alcuni arrestati stavano per fuggire all'estero.

    Gli attacchi islamisti alla polizia francese

    Play Episode Listen Later Nov 16, 2021 19:17


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6788GLI ATTACCHI ISLAMISTI ALLA POLIZIA FRANCESE di Lorenza FormicolaHa invocato il profeta Maometto prima di accoltellare un poliziotto. Erano le 6:30 circa dell'8 novembre, quando la Francia subiva l'ennesimo attentato ai danni della polizia. Ancora sangue a Cannes, fortunatamente nessuno ha perso la vita. Tre agenti di polizia sono stati l'obiettivo di un individuo munito di coltello, le famose "armi bianche". L'uomo si è avvicinato alla pattuglia fingendo di aver bisogno di un'informazione. L'agente al volante ha abbassato il finestrino e si è trovato aggredito con tre coltellate al petto: è rimasto solo leggermente ferito perché indossava il giubbotto antiproiettile. L'attentatore stava per fare lo stesso contro gli altri due agenti, mentre continuava a invocare il nome di Maometto, quando è stato neutralizzato.L'aggressore - Lakhdar B. - risulta essere un algerino classe 1984 con permesso di soggiorno italiano. È così che rischia di diventare un caso politico la vicenda accaduta oltralpe. Sarebbe arrivato legalmente in Francia nel 2016 e sarebbe sconosciuto alla polizia e ai servizi di sicurezza. Anche Brahim Aoussaoui, il terrorista tunisino che l'anno scorso, sempre usando un'arma bianca, aveva assassinato tre persone nella basilica di Nizza, aveva soggiornato in Italia. L'immigrato, che era sbarcato a Lampedusa e poi si era trasferito a Bari, aveva risalito l'intero Stivale con l'obiettivo di attraversare le Alpi e di compiere un attentato in terra francese nella settimana in cui si celebrava il processo per gli attacchi di Charlie Hebdo.La polizia locale, durante la conferenza stampa, ha dichiarato che l'attentatore è solo uno dei tanti "trentenni affetti da schizofrenia, pertanto nessun elemento va nella direzione di una motivazione islamista o terroristica". Solo due giorni prima, la notte tra sabato 6 e domenica 7 novembre, a Villeurbanne, un altro uomo armato di coltello, al grido di "Allah Akbar", aggrediva un agente dopo aver tentato di rubargli l'auto. Stessa città e il giorno prima un quindicenne, munito di machete, pattugliava una scuola israeliana, scandendo insulti antisemiti: fermato dalla polizia, ha tentato di aggredire gli agenti. Domenica 7 sera, ad Argenteuil, in Val-d'Oise, il commissariato di polizia è stato preso di mira da una banda di quindici adolescenti intenti a lanciare pietre e fuochi d'artificio. Un assedio durato quindici minuti. Nessun ferito, ma la polizia non è riuscita a fermare nessuno della banda. Il 2 novembre ancora un'aggressione. Nei pressi della stazione ferroviaria di Saint-Leu-la-Forêt (Val-d'Oise), poco prima delle 23, un agente ventiseienne in borghese veniva aggredito fisicamente da un gruppo di quattro individui "di tipo africano", stando alla sua testimonianza. "Sappiamo dove lavori e dove vivi, sei un poliziotto di merda. Cosa fai nella nostra zona? Ti uccideremo". Tre dei quattro erano già noti all'intelligence francese.ERA TUTTO ANNUNCIATOUn episodio dopo l'altro. Ma in qualche modo era tutto annunciato. Venerdì 29 ottobre, a Savigny-le-Temple (Seine-et-Marne), una città classificata come zona di sicurezza prioritaria (Zsp), sono stati trovati cartelli sui muri di alcuni edifici. Una specie di prezzario bonus: "Tagliare la testa a un poliziotto: 500.000 euro"; "Stuprare una poliziotta, 500.000 euro"; "Una spranga di ferro nel grembo di una poliziotta, 300.000 euro". Nello stesso quartiere, lo scorso aprile, gli agenti di polizia hanno trovato le loro foto di famiglia esposte nei corridoi degli edifici a Épinay-sur-Seine a mo' di minaccia. A ottobre, in un edificio a Vigneux-sur-Seine sono stati scoperti cartelli con su elencati tutti i nomi degli agenti di polizia del distretto locale, anche qui, accompagnati da una lettera minatoria. Questa è una sintesi del clima che si respira in Francia contro le forze dell'ordine.Nel 2020, sette agenti di polizia sono stati uccisi e 5.435 feriti. Da quasi vent'anni si osserva un aumento significativo di aggressioni fisiche e oltraggi. Da 24.104 oltraggi a pubblico ufficiale nel 2000 a 28.250 nel 2018. E da 15.502 aggressioni fisiche nel 2000 a 36.831 nel 2018. Appena assunta la carica - luglio 2020 - il ministro dell'Interno Gérald Darmanin si è dovuto confrontare con la morte di un'ufficiale colpita a morte durante un controllo stradale a Lot-et-Garonne. E ad agosto ha irrobustito il sistema di assistenza psicologica per agenti di polizia vittime di aggressioni: sono stati registrati in tre mesi 6.000 colloqui. A Champigny-sur-Marne, in Val-d'Oise, uno di quei quartieri sotto controllo islamico simbolo del progetto di riconquista repubblicana - varato negli anni scorsi dall'allora ministro dell'Interno Gerard Collomb -, "i giovani del quartiere non ci considerano più come poliziotti ma come una banda rivale!", dice un poliziotto alla stampa francese.TANTI ATTACCHI, NESSUNA CONTROMISURA SERIAMai come negli ultimi mesi la polizia ha subito così tanti attacchi. Specie nelle zone sotto il controllo "dell'ordine parallelo" dettato dalle comunità islamiche in base a quello che anche nei dossier del Senato francese viene definito "associazionismo islamico": atti criminali commessi da delinquenti radicalizzati o convertiti che si credono investiti di una missione superiore. Nel 2019, gli agenti di polizia francesi hanno depositato il numero record di 38.519 denunce per aggressione fisica; in aumento del 18% rispetto al 2017.Lo scorso aprile, al di là delle Alpi era in corso un vivace dibattito pubblico e politico per la drammatica lettera aperta pubblicata su Valeurs actuelles riguardante il rischio concreto di una possibile guerra civile etno-religiosa nella Francia di domani. Il testo, lungi dall'essere stato partorito negli ambienti cospirazionisti dell'estrema destra, è stato scritto da venti generali e firmato da un migliaio di soldati appartenenti a vari gradi, che, a causa di tale gesto, hanno rischiato delle gravi sanzioni disciplinari. La lettera, più che una forma di un appello all'Eliseo, era stata concepita come un monito perentorio: si agisca oggi per evitare la guerra domani. La querelle è finita dopo pochi giorni e il governo non ha intrapreso alcuna azione significativa. La cronaca quotidiana ne è testimone. Nel testo si chiedeva di far entrare in azione la politica, al contrario sarebbe dovuto intervenire un esercito per nulla indifferente allo stato devastato in cui versa la nazione.Più di 45 attentati di matrice islamista dal 2015 al 2021 che hanno provocato più di 260 morti e oltre 900 feriti. Sono circa 15.000 i soggetti sorvegliati dalle autorità perché in odore di terrorismo e/o radicalizzazione. Almeno 150 i quartieri che, secondo un rapporto datato gennaio 2020 della Direction générale de la Sécurité intérieure (Dgsi), possono essere classificati come territoires perdus. È in questo contesto che l'ennesima aggressione ad un poliziotto, invocando Maometto, non viene più classificata come fatto eccezionale o degno di nota.Nota di BastaBugie: Emanuel Pietrobon nell'articolo seguente dal titolo "Francia, quelle enclavi etno-religiose che fanno paura a Macron" spiega come è la situazione in Francia. E c'è da stare poco allegri.Ecco l'articolo completo pubblicato su Inside Over il 17 marzo 2020:Da diversi anni la Francia è il paese più colpito dal terrorismo islamista che imperversa nel Vecchio Continente. A Parigi, ma anche a Nizza, sono stati compiuti fra gli attentati più sanguinosi della storia recente europea, sullo sfondo delle periodiche rivolte urbane nei "quartieri difficili", nelle banlieu a maggioranza afro-araba, e del vaso di pandora, ormai scoperchiato, della pericolosa infiltrazione jihadista nelle fondamenta della repubblica: forze dell'ordine e forze armate.Recentemente, il presidente francese Emmanuel Macron, ha parlato della minaccia esistenziale rappresentata dal "separatismo islamista", che rischierebbe di minare l'unità e l'integrità territoriale della nazione per via della proliferazione di stati paralleli, degli stati all'interno dello stato, zone grigie dove la shari'a ha il sopravvento sulla legge della repubblica.La realtà delle enclavi etniche, dove segregazione e mancata integrazione facilitano la diffusione di criminalità e radicalizzazione religiosa, è tanto grave da non potere più essere nascosta, tanto che è lo stesso presidente a parlarne in pubblico, rompendo il tabù di toccare un tema che fino ai tempi recenti era stato monopolizzato dal discorso del Rassemblement National (ex Front National). È arrivato, perciò, il momento di fare il punto della situazione.Stando ad un documento proveniente dalla Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI), i servizi segreti francesi, e reso noto lo scorso gennaio, nel paese sarebbero attualmente 150 i quartieri, prevalentemente banlieu e zone-dormitorio, fuori dal controllo delle istituzioni e comandati da reti più o meno informali legate al jihadismo e all'islam radicale. Sono i quartieri di cui Macron ha paura, dove la shari'a ha già sostituito le leggi civili della repubblica, e dove la carenza di prospettive di mobilità sociale e integrazione ha creato delle bombe ad orologeria che periodicamente esplodono, lasciando a terra morti e feriti.I 150 quartieri sotto la lente degli investigatori sono spalmati nell'intero paese, da Parigi a Lione, passando per Marsiglia, Nizza e Tolosa, e il problema si sta rapidamente diffondendo dalla Francia metropolitana alle aree rurali, periferiche, per via della migrazione interna. Nei territori perduti, come sono stati ribattezzati, le forze dell'ordine intervengono con estrema cautela, onde evitare di accendere le proteste degli abitanti che potrebbero dar luogo a guerriglie urbane come quelle del 2005 e del 2017, ma gli operatori della sanità e dei trasporti pubblici affrontano gli stessi problemi.

    L'Afghanistan dei talebani: non ci sono medicine e c'è chi vende la figlia per 500 dollari

    Play Episode Listen Later Nov 2, 2021 6:18


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6777L'AFGHANISTAN DEI TELEBANI: NON CI SONO MEDICINE E C'E' CHI VENDE LA FIGLIA PER 500 DOLLARI di Leone GrottiContinua a peggiorare la crisi umanitaria in Afghanistan. Oltre la metà della popolazione, 22,8 milioni di persone, fatica a trovare da mangiare, la salute di 3,2 milioni di bambini sotto i cinque anni è a rischio per malnutrizione e di questi almeno un milione rischia di morire. Solo il cinque per cento delle famiglie afghane, secondo le Nazioni Unite, ha abbastanza da mangiare ogni giorno. Tanto che molti, rivela la Bbc, sono costretti a vendere i propri figli per sbarcare il lunario.Il 40 per cento del Pil dell'Afghanistan dipende dagli aiuti umanitari. E i finanziamenti, dopo la conquista del paese da parte dei talebani ad agosto, sono stati interrotti. Il reparto dell'ospedale di Medici senza frontiere (Msf) ad Herat che accoglie bambini gravemente malnutriti è strapieno. Un piccolo su cinque, in media, non riesce a sopravvivere.«Sento nella mia carne il dolore del mio bambino», racconta la mamma di due gemelli, ricoverati nell'ospedale di Msf per malnutrizione. «Solo Dio sa che cosa passo quando li guardo. Non abbiamo soldi per comprare da mangiare, mio marito è senza lavoro: il mondo deve aiutare il popolo afghano». Medici e infermieri fanno quel che possono per salvare i bambini, ma sono loro stessi in difficoltà: non ricevono lo stipendio da quattro mesi e le scorte di medicinali sono quasi terminate.Nelle campagne circostanti la città di Herat la situazione è anche peggiore. «Una delle mie figlie è morta di fame», spiega una mamma nascondendo dietro un velo pesante la sua identità. «Ecco perché ho dovuto vendere la mia bambina più piccola. Non avrei voluto farlo, ma che scelta avevo?». Il marito è senza lavoro e non sa come comprare da mangiare ai figli: «In questo momento stiamo morendo di fame. Non abbiamo farina, non abbiamo olio. Non abbiamo niente. Mia figlia è ancora piccola, non conosce il suo futuro. Non so come si sentirà quando lo scoprirà, ma ho dovuto farlo».La neonata è stata venduta a una ricca famiglia per 500 dollari. Appena sarà in grado di camminare, verrà consegnata ai suoi nuovi genitori. In teoria, dovrebbe essere sposata al figlio dei compratori, «ma nessuno può saperlo con certezza». Altre famiglie nel villaggio hanno venduto le figlie per procurarsi da mangiare per alcuni mesi.Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "Circola una lista con i nomi di noi cristiani in Afghanistan: abbiamo paura" si può leggere l'eccezionale testimonianza di Saad e Fatimah (nomi di fantasia), cristiani che vivono nascosti nel paese riconquistato dai talebani.Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 1° ottobre 2021:La prima cosa da sapere sull'Afghanistan è che quanto sta succedendo non è nulla di nuovo. Certo, è la prima volta che succede in 20 anni. I soldati nella capitale possono essere cambiati, ma la minaccia non è nuova. C'era pericolo, ora ce n'è di più. Ci conviviamo da molto tempo. E a maggior ragione, il dolore di vivere per Gesù e rischiare tutto per seguirlo non è nulla di nuovo. Non lo è per me, come non lo era per i miei nonni, che vivevano per Lui e Lo seguivano.Questa è la realtà per i cristiani afghani, da oltre 40 anni. Prima sotto i talebani, poi sotto il governo afghano supportato dagli americani, prima che i talebani riprendessero il controllo il mese scorso. L'Afghanistan è sempre stato un luogo pericoloso per i cristiani. Seguire Gesù apertamente è impossibile. Ora le cose sono peggiorate. È peggio di prima, ma non è nulla di nuovo. Quando i talebani hanno preso il controllo, si è realizzato ciò che temevamo. Non potete capirlo come me. Non so spiegarlo a parole. Ci convivo da quando sono piccolo.Ci chiamiamo per chiederci del mal di testa, del dolore alla spalla, di ferite e vecchi problemi di salute, per rimanere in contatto. Per ora è tutto ciò che possiamo chiedere. Circolava una lista con i nostri nomi. Alcuni sono stati uccisi. Altri sono stati rapiti, altri ancora scomparsi. Sembra il giorno dopo un'enorme, catastrofica esplosione. Le luci si sono spente. La festa iniziata una notte di quasi 20 anni fa è terminata e la musica è stata sostituita da urla, spari e anche dal silenzio. Il suono del nulla.

    Nel 2021 in Afghanistan l'islam ha vinto e l'occidente ha perso

    Play Episode Listen Later Sep 14, 2021 14:05


    VIDEO: Perché i terroristi hanno scelto l'11 settembre? ➜ https://www.youtube.com/watch?v=dJNFYEn8DkMTESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6733NEL 2021 IN AFGHANISTAN L'ISLAM HA VINTO E L'OCCIDENTE HA PERSO di Roberto de MatteiIn un articolo sul Corriere della Sera del 28 agosto 2021, Ernesto Galli della Loggia pone la seguente domanda: "Sono ancora in grado le nostre società di fare la guerra? Di sostenere psicologicamente l'urto terribile di una dimensione per così dire volontaria della morte? Siamo ancora noi capaci di accettare l'eventualità di dare o ricevere consapevolmente la morte, così come da sempre vuol dire "fare la guerra".A questa domanda cruciale il politologo italiano risponde esaminando il peso militare che nelle operazioni contro i talebani hanno assunto i cosiddetti contractor. Utilizzati dagli Stati Uniti in tutti i teatri di operazione (dai Balcani all'Iraq) questi combattenti civili sono assunti da ditte private le quali hanno stipulato appositi contratti con il Pentagono. Essi sono l'espressione di un dato storico di fondo: la fine in Occidente dell'esercito nazionale, sostituito da un vero e proprio outsourcing della guerra affidata ad un esercito di specialisti che in Afghanistan hanno perso la vita in numero maggiore dei soldati della US Army. Ma, osserva Galli della Loggia, "con un'armata di specialisti e di mercenari si possono fare al massimo operazioni di polizia; e anche quelle si finisce inevitabilmente per perderle nella maniera più rovinosa se ci si ostina a farle passare per qualcos'altro" [spesso infatti le azioni di guerra sono chiamate dai media "missioni di pace", proprio per nascondere dietro alle parole la cruda realtà, anche perché non si capisce se i soldati le missioni di pace le facciano con i fiori oppure con i fucili, N.d.BB].Un popolo combatte se è disposto a sacrificare la propria vita per gli ideali in cui crede.Oggi, però, il bene comune sembra coincidere con quello della massima "sicurezza". L'Occidente pretende di combattere una guerra a morti zero, e se ciò non accade la reazione non è controllata, ma ansiosa ed emotiva.L'immagine del presidente degli Stati Uniti di America Joe Biden che piange in diretta tv, osserva Alessandro Sallusti sul quotidiano Libero del 28 agosto, non è un segnale incoraggiante per il mondo occidentale. Il comandante in capo della prima potenza mondiale non può farsi prendere dall'emozione come un qualsiasi anziano pensionato, ma deve essere in grado di mascherare la propria fragilità. Il dato psicologico di questa scena, osserva sullo stesso quotidiano Renato Farina, "non solo corrisponde in pieno alla durezza della catastrofe che stiamo vivendo, ma è pure una profezia per il futuro". Un futuro di lacrime appunto per l'Occidente.Quando Winston Churchill disse di non avere altro da offrire che "sangue, fatica, lacrime e sudore", aggiunse: "Chiedete qual'è la nostra politica? Rispondo che è condurre la guerra per mare, per terra e per cielo, con tutta la forza e lo spirito battagliero che Dio può infonderci".Chi è in grado oggi di affrontare i nemici con tanta determinazione? L'Occidente non ha ancora compreso qual è il nemico esterno che ha di fronte. Come osserva Maurizio Molinari su "La Repubblica" del 29 agosto, la faida jihadista per il controllo di Kabul fra i talebani di Abdul Ghani Baradar e l'Isis del Khorasan contrappone due modelli rivali per l'Afghanistan: "I talebani con la riedizione del loro Emirato islamico puntano a diventare l'esempio più rigido di Stato fondamentalista". L'Isis del Khorasan "persegue invece la creazione di un "Califfato" nei territori di Afghanistan e di ampie regioni limitrofe in Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghistan e Tagikistan, fino a toccare i confini con la Cina di Xi Jinping". Entrambi i progetti "nascono dal pensiero jihadista di Abdullah Azzam, il fondamentalista palestinese assassinato a Peshawar nel 1999 e considerato il mentore di Osama Bin Laden, secondo il quale la ‘guerra agli infedeli' in Afghanistan avrebbe segnato ‘l'inizio della Jihad globale' portando alla sottomissione del mondo intero all'Islam. Ma puntano a realizzarlo in maniera opposta: edificando un Emirato nazionale o creando un Califfato regionale centro-asiatico".Collaborare con i "moderati" talebani, per isolare l'Isis, significherebbe ignorare chi si ha di fronte. L'islamismo contemporaneo, come osservano tutti i suoi studiosi ha il suo nucleo nella dottrina del jihad. Essa, si si esprime nella nuova guerra di religione mondiale che, sotto le vesti dei talebani o quelle dell'Isis, ha nell'Islam radicale il suo partito combattente.Di fronte a questo nemico ideologico la guerra è inevitabile, ma deve essere combattuta senza lacrime, a ciglia asciutte, con la determinazione a vincere. Ma quali sono gli ideali e i valori a cui si richiama la classe dirigente occidentale? È in grado essa di discernere una "guerra giusta", e di condurla con credibilità fino in fondo? Le guerre possono essere occasioni di grandi rinascite o di grandi catastrofi, a seconda degli uomini e delle contingenze storiche. Quale affidamento dare a chi non sa neppure attribuire agli eventi bellici il loro nome?Mentre la seconda guerra mondiale volgeva al termine, Pio XII indicava le linee maestre della ricostruzione nel ritorno delle società e delle nazioni all'ordine stabilito da Dio, cioè "a un vero cristianesimo nello Stato e fra gli Stati" (Allocuzione al Concistoro, 24 dicembre 1945). E all'indomani del conflitto il Papa, individuava le cause profonde della guerra nell'abbandono e nel disprezzo della legge di Dio, che costituisce il solo fondamento della pace interna degli Stati e della pace internazionale (Radiomessaggio al mondo del 24 dicembre 1941). Oggi non solo nessun uomo politico parla questo linguaggio, ma i vertici stessi della Chiesa lo hanno abbandonato e invocano una falsa pace che porta alla disfatta.In guerra non prevale la forza militare, ma quella morale. Se l'attentato dell'11 settembre 2001 fu una dichiarazione di guerra dell'Islam alla nostra civiltà occidentale, la vergognosa fuga da Kabul sancisce, dopo vent'anni, la sconfitta militare, ma soprattutto morale dell'Occidente. Solo uno straordinario aiuto divino può capovolgere le sorti di un conflitto planetario, il cui esito è altrimenti segnato. Per questo è l'ora della lotta e dell'immensa fiducia.Nota di BastaBugie: la storica Angela Pellicciari nell'articolo seguente dal titolo "Quell'11 settembre sotto le mura di Vienna" spiega come l'11 settembre 1683 veniva spezzato l'assedio di Vienna. L'espansionismo islamico ottomano in Europa venne fermato per sempre. Il 12 settembre, papa Innocenzo XI, attribuendo la vittoria all'intercessione della Vergine Maria, istituiva la festa del Santo Nome di Maria. Venne ripristinata da Giovanni Paolo II nel 2002, dopo un altro 11 settembre. L'Occidente cristiano, però, ha perso la sua memoria, mentre l'islam la conserva.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 settembre 2021:L'11 settembre del 1683 Vienna è assediata da un immenso esercito turco comandato dal gran visir Kara Mustafà e, ridotta alla fame, è prossima alla resa. I turchi, arrestati per mare a Lepanto nel 1571, hanno continuato via terra la loro avanzata che sembra inarrestabile e, dietro Vienna, intravedono Roma e San Pietro. Tutto è pronto per l'evento cui da mille anni l'islam lavora. Le forze turche sono nettamente superiori a quelle cristiane ma succede l'imprevisto. Fanno la differenza un geniale condottiero polacco, re Jan Sobieski, e il frate cappuccino Marco D'Aviano. Incaricato da Innocenzo XI di formare una Lega Santa contro i turchi, diventato consigliere e confessore dell'imperatore Leopoldo I, Marco riesce a coalizzare gli sforzi di Spagna, Portogallo, Polonia, Firenze, Venezia e Genova.Alla vigilia dello scontro, affidate alla Vergine Maria le sorti di Vienna, il frate cappuccino si rivolge a Dio con questa supplica: "O grande Dio degli eserciti, guardaci prostrati qui ai piedi della tua maestà, per impetrarti il perdono delle nostre colpe. Sappiamo bene di aver meritato che gl'infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la tua bontà, hanno giustamente provocato la tua ira [...] Non dimenticare, o Signore, che, se tu permetterai che gl'infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il tuo santo Nome e derideranno la tua potenza, ripetendo mille volte: ‘Dov'è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?' Non permettere, o Signore, che ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando t'invocavamo nella nostra miserevole angoscia. Vieni a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie!".Mentre Vienna è in preghiera, dopo aver celebrato la messa sulla collina di Kahlenberg davanti a tutto l'esercito, rivolto a Sobieski Marco grida: Iohannes vinces (Giovanni vincerai). La vittoria dell'esercito cristiano sull'esercito turco è una disfatta di proporzioni incalcolabili quanto impreviste. Al punto che Maometto IV invierà al suo gran visir una corda di seta verde invitandolo a mettere fine alla sua vita con quella. L'indomani, mentre si dice che i pasticceri viennesi inventino i cornetti, un dolce a forma di mezzaluna, nella chiesa della Madonna di Loreto viene celebrato il solenne Te Deum di ringraziamento e Innocenzo XI, attribuendo la vittoria all'intercessione della Vergine Maria, decide di festeggiare lo scampato pericolo istituendo il 12 settembre la festa del Santo Nome di Maria.Al contrario dell'Occidente cristiano che non sa più chi sia e che, di conseguenza, ha perso la memoria, l'islam la storia la ricorda bene. Dopo trecentodiciotto anni, un 11 settembre, l'11 settembre del 2001, l'islam è in grado di prendere la rivincita e le torri di Manhattan crollano.

    Libertà religiosa violata per 5 miliardi di persone

    Play Episode Listen Later May 18, 2021 5:38


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6579LIBERTA' RELIGIOSA VIOLATA PER 5 MILIARDI DI PERSONEIl Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo 2021, pubblicato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) e giunto alla sua XV edizione, evidenzia che in una nazione su tre si registrano gravi violazioni della libertà religiosa. Secondo lo studio, presentato oggi ufficialmente a Roma con la partecipazione di Asia Bibi (in collegamento) e in altre grandi città in tutto il mondo, questo diritto fondamentale non è stato rispettato in 62 dei 196 Paesi sovrani (31,6% del totale) nel biennio 2018-2020.IL CALIFFATO TRANSCONTINENTALE E L'ABUSO DELLA TECNOLOGIA DIGITALE«In 26 di queste nazioni si soffre la persecuzione», dichiara Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia. «Nove Paesi per la prima volta si sono aggiunti alla lista: sette in Africa (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Mali e Mozambico) e due in Asia (Malesia e Sri Lanka). La causa principale è la progressiva radicalizzazione del continente africano, specie nelle aree sub-sahariana e orientale, dove la presenza di gruppi jihadisti è notevolmente aumentata», prosegue Monteduro.Violazioni della libertà religiosa si sono verificate nel 42% delle nazioni africane. Burkina Faso e Mozambico rappresentano due casi eclatanti. «Questa radicalizzazione non si limita tuttavia all'Africa. Il Rapporto - sottolinea Monteduro - descrive il consolidamento di un network islamista transnazionale che si estende dal Mali al Mozambico, dalle Comore nell'Oceano Indiano alle Filippine nel Mar Cinese Meridionale, il cui scopo è creare un sedicente califfato transcontinentale».Il Rapporto evidenzia una nuova frontiera: l'abuso della tecnologia digitale, delle cyber networks, della sorveglianza di massa basata sull'intelligenza artificiale (Ai) e sulla tecnologia del riconoscimento facciale per assicurare un maggiore controllo con finalità discriminatorie. Questo fenomeno è evidente soprattutto in Cina, dove il Partito Comunista sta reprimendo i gruppi religiosi con l'ausilio di 626 milioni di telecamere di sorveglianza con tecnologia Ai e con l'aiuto dei sensori degli smartphone. Anche i gruppi jihadisti stanno impiegando la tecnologia digitale per favorire la radicalizzazione e per il reclutamento di nuovi terroristi.In 42 Paesi (21% del totale), abbandonare o cambiare la propria religione può determinare gravi conseguenze legali e/o sociali, con uno spettro di possibili conseguenze che va dall'ostracismo familiare alla pena di morte. La ricerca di Acs denuncia anche l'incremento della violenza sessuale impiegata come un'arma contro le minoranze religiose, in particolare i crimini contro donne adulte e minorenni le quali vengono rapite, violentate e costrette a ripudiare la loro fede per abbracciare coattivamente quella maggioritaria.LA PERSECUZIONE "EDUCATA" E L'IMPATTO DEL COVID-19Il 67% circa della popolazione mondiale, pari a circa 5,2 miliardi di persone, vive attualmente in nazioni in cui si verificano gravi violazioni della libertà religiosa. Fra di esse vi sono quelle più popolose: Cina, India e Pakistan. Anche la persecuzione religiosa da parte dei governi autoritari si è intensificata. La promozione della supremazia etnica e religiosa in alcune nazioni asiatiche a maggioranza indù e buddista ha contribuito a intensificare l'oppressione ai danni delle minoranze, riducendone spesso i componenti a livello di cittadini di seconda classe. L'India rappresenta il caso più eclatante, ma tali politiche vengono applicate anche in Pakistan, Nepal, Sri Lanka e Myanmar.In Occidente si registra una diffusione della «persecuzione educata», secondo l'espressione coniata da papa Francesco per descrivere il conflitto fra le nuove tendenze culturali e i diritti individuali alla libertà di coscienza, conflitto a causa del quale la religione viene relegata nel ristretto perimetro dei luoghi di culto.Il Rapporto fa cenno anche al profondo impatto della pandemia da Covid-19 sul diritto alla libertà religiosa. A fronte di una tale emergenza, i governi hanno ritenuto necessario imporre misure straordinarie, applicando in alcuni casi limitazioni sproporzionate al culto religioso, specie se confrontate con quelle imposte ad altre attività secolari. In alcuni paesi, come ad esempio il Pakistan e l'India, gli aiuti umanitari sono stati negati alle minoranze religiose. La pandemia è stata utilizzata specie nei social network quale pretesto per stigmatizzare alcuni gruppi religiosi accusati di aver diffuso o addirittura causato la pandemia.Secondo Alfredo Mantovano, presidente di Acs Italia, «a causa della pandemia ci siamo abituati a ragionare e a operare in termini di zone rosse, zone arancione, e così via, a seconda dell'intensità del contagio. Il Rapporto adopera da 22 anni la differente intensità dei colori per rendere visivamente chiara l'intensità della persecuzione religiosa nel mondo. Ma nel Rapporto ai colori non corrisponde la tipologia di esercizi commerciali che possono stare aperti o che devono chiudere. Le restrizioni», prosegue Mantovano, «attengono all'esercizio di un diritto umano fondamentale, dai luoghi nei quali la condanna a morte colpisce chi mostra in pubblico i segni della propria fede, a quelli che sono teatro tragico dell'uso seriale e programmato della violenza sessuale nei confronti delle giovani donne colpevoli di appartenere a una comunità religiosa da cancellare», conclude il presidente di Acs Italia.

    Coprifuoco duro per i cristiani in Europa, mentre per i musulmani...

    Play Episode Listen Later May 5, 2021 6:43


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6559COPRIFUOCO DURO PER I CRISTIANI IN EUROPA, MENTRE PER I MUSULMANI... di Mauro FaverzaniInutile illudersi. L'islam è islam. E vani sono i tentativi d'occidentalizzarlo o di "democratizzarlo" (ammesso che, in merito, l'Europa abbia realmente qualcosa da insegnare e modelli da "esportare"). Ma non tutti lo capiscono, c'è chi ancora si ostina.Come la Germania. Si è saputo che in dieci anni ha concesso oltre 750 milioni di euro «per erigere istituzioni democratiche» nei Paesi, che furono teatro delle cosiddette «primavere arabe». Benché anche Berlino le consideri un sostanziale fallimento, alla fin fine ritiene che per certi cambiamenti politici occorrano anni. Da qui i rubinetti ancora abbondantemente aperti. Non solo. Il ministro degli Affari esteri tedesco, Heiko Maas, ha evidenziato come il suo governo sia il solo a dare ancora credito ad un'eventuale svolta "democratica" di quei Paesi, chissà perché...Le «primavere arabe» - val la pena ricordarlo - iniziarono nel dicembre 2010 e coinvolsero una dozzina di Stati del Nord-Africa e del Medio Oriente, dalla Tunisia all'Egitto, dallo Yemen alla Siria sino alla Libia; ma le riforme invocate in piazza e finanziate in buona parte da agenzie straniere (come, ad esempio, la Open Society Foundation di George Soros, secondo quanto dichiarato dalla rivista Eurasia) si tradussero, in realtà, in una recrudescenza di assolutismi, di radicalismi e di terrorismo islamico dagli effetti devastanti. Perché finanziare ancora tutto questo? Ed a chi sono andati quei 750 milioni di euro tedeschi? Per farne che?LIBERTÀ PER IL RAMADANEppure la sudditanza, la voglia matta di cancel culture e la sostanziale ignavia dell'Occidente nei confronti dell'islam partono anche dalle piccole cose (che poi tanto piccole non sono...) di casa nostra. Lo scorso 13 aprile ha avuto inizio il periodo del Ramadan, che si concluderà il prossimo 12 maggio. Ebbene, secondo quanto pubblicato da Le Figaro, «la direzione dipartimentale dell'Hérault avrebbe ricevuto un'informativa dal ministero dell'Interno, con cui si comunica che una certa "tolleranza venga accordata" ai "fedeli" [musulmani-NdR], che desiderino pregare al mattino, prima del termine previsto per il coprifuoco"». Lo stesso dicasi alla sera. E non si tratta di una concessione isolata, poiché è stata fatta anche altrove. Prosegue, infatti, l'articolo del prestigioso quotidiano francese: «Nel Tarn le forze dell'ordine sono state incaricate dalla Prefettura di non sanzionare i musulmani circolanti» durante il coprifuoco imposto con l'emergenza Covid, né di verbalizzare eventuali «assembramenti in strada o nei pressi delle moschee» o ancora «consegne di cibo ad amici e familiari». Indicazioni analoghe anche nel dipartimento della Gironda. Una disponibilità al «deconfinamento», che si scontra col pugno duro viceversa utilizzato nei confronti dei cattolici per l'intero periodo della Quaresima, quando non furono ammesse né concessioni, né deroghe alle norme previste.Stesso copione in Spagna, dove il presidente della Città autonoma di Melilla, Eduardo de Castro, dallo scorso 22 aprile, su richiesta della locale Commissione islamica, ha fatto ampie concessioni circa il coprifuoco sia per gli spostamenti che per gli assembramenti, affinché i musulmani, durante il Ramadan, possano riunirsi in preghiera nelle moschee. È lo stesso presidente, che viceversa a febbraio decretò la chiusura domenicale delle chiese dalle otto del mattino sino a mezzanotte, per "contenere" la pandemia, nonostante le proteste del Vicariato episcopale.IL CASO DELLA TUNISIAProvvedimenti ampiamente discriminatori, ma dovrebbe far riflettere quanto accaduto in Tunisia, dove si è registrato un rapido e preoccupante incremento dei casi di Covid-19 proprio a partire dall'inizio del Ramadan: qui si è passati, infatti, nel giro di soli dieci giorni da 1.079 a 2.305 casi di contagio. Segno evidente di come certe concessioni siano decisamente fuori luogo. Per questo le autorità hanno mantenuto il coprifuoco, forse ricorreranno anche alla chiusura delle frontiere con Libia e Francia, al fine di contenere gli spostamenti, soprattutto in zone considerate a rischio. Ma il Paese non può alzare troppe barriere, per evitare la crisi economica prima e sociale poi: il settore turistico, principale fonte di entrate, ha subìto l'anno scorso un calo degli introiti pari al 65% e non può permettersi il bis, ragion per cui non sarà troppo esigente sul fronte sanitario nei confronti dei vacanzieri, intenzionati a trascorrere qui le proprie ferie.La Tunisia ha almeno l'attenuante di doversi salvare dalla bancarotta. L'Occidente, invece, non si capisce per quale motivo sia così rigido nei confronti dei cattolici e stranamente così blando nei confronti dei musulmani.

    Incubo terrorismo in Francia, ma in televisione nessuno ce lo dice

    Play Episode Listen Later Apr 27, 2021 12:07


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6556INCUBO TERRORISMO IN FRANCIA... MA IN TELEVISIONE NESSUNO CE LO DICE di Caterina GiojelliQuartiere popolare di Devèze a Béziers (Hérault, sud della Francia). È la notte del 4 aprile, l'orologio segna l'1.55, quando le forze dell'antiterrorismo e della Direction générale de la sécurité intérieure (Dgsi) sfondano la porta dell'appartamento della famiglia B. Le quattro donne presenti, una madre e le sue tre figlie, finiscono in manette mentre inizia la perquisizione.Pochi giorni prima la Dgsi aveva ricevuto una segnalazione dall'intelligence: una giovane francese convertita all'islam si appresta a compiere un attentato nel weekend di Pasqua, aggredendo i fedeli di una chiesa di Montpellier o Strasburgo con una sciabola. I servizi di sicurezza marocchini hanno individuato il suo account e pseudonimo Telegram, "Ab-2770" e l'indirizzo Ip da cui si connette postando video dei bambini soldato dell'Isis che giustiziano ostaggi: corrisponde a quello della signora B.Coltelli, sure, la testa di PatyInizia come un film, la straordinaria inchiesta pubblicata da Le Parisien sull'arresto di Leila B., la diciottenne incriminata per associazione terroristica internazionale che prometteva di dare il proprio sangue per spargere quello cristiano. Una vendetta meditata e raccontata nel suo spaventoso diario di adolescente trovato la notte dell'irruzione, quando, spalancando la porta della stanza di Leila, gli agenti si sono trovati davanti a un santuario dell'orrore: al muro è appeso un poster delle Torri gemelle in fiamme, stampe del corpo mutilato di Samuel Paty, sul comodino un coltello da cucina da 30 centimetri.E poi bottiglie di acido solforico, acetone, alcolici metilati, siringhe, cavi elettrici, ingredienti per fabbricare ordigni esplosivi, tracce di bruciature sul pavimento, bottiglie collegate con cavi alla batteria di un cellulare, sure che incitano al jihad. Scrive Le Parisien: «Non ha la personalità di un'ordinaria apprendista terrorista. Leila B. cresce in un ambiente socialmente e culturalmente svantaggiato. Terza di cinque figli, il più piccolo dato in affido, figlia di un padre alcolizzato e gravemente malato, ha abbandonato due anni fa la scuola dopo essere stata espulsa da un corso professionale di moda in un liceo di Béziers. Da allora ha passato le giornate chiusa nella sua stanza, arrivando a smontare la maniglia della porta perché nessuno potesse entrarvi, uscendo in rare occasioni e parlando solo con sua madre».ANDRÒ A FARE UN MASSACRO AL LICEO, TAGLIERÒ TESTENella sua stanza Leila passa le giornate sui siti "gore", i più macabri e pericolosi del deep web. Guarda e riguarda i video delle stragi scolastiche, come il massacro della Columbine High School, e le decapitazioni diffuse dai fanatici dell'Isis. Ha già una denuncia all'attivo: ha minacciato una studentessa su Instagram, ha affermato che avrebbe ammazzato qualcuno sparando dal balcone prima di suicidarsi. La polizia l'ha già interrogata, «mi piace guardare le persone decapitate, vedere qualcuno che soffre, vedere chi taglia la testa, la morte», ha ammesso agli agenti. Fantasie macabre, eppure c'è molto più di quanto temeva l'intelligence nel suo diario, dove la ragazza annota il sogno di comprare «fucili d'assalto» e uccidere «centinaia» di persone, arrivando a pianificare l'assalto della sua ex scuola:«Il D-Day mi alzerò al mattino, preparerò tutto in anticipo. Verso le 9-10 ucciderò uno dei miei vicini e poi deciderò se ucciderne altri tre [...]. Dopodiché andrò al liceo e inizierò il massacro. Farò saltare in aria, distruggerò cose, ucciderò tutte le persone sul mio cammino. Il piano dettagliato consiste in bombe posizionate in luoghi diversi, saranno posizionate in anticipo».Al di là dei "sogni", c'è soprattutto nel suo diario la piantina della chiesa di Béziers, su cui affaccia la finestra della sua stanza, annotazione degli orari di apertura, punti di ritrovo, appunti e aggiornamenti sulle fasi di produzione degli esplosivi. E poi ci sono le conversazioni e i messaggi intercettati con i soggetti radicalizzati con cui discuteva su Telegram: «Ucciderò i cristiani. Taglierò teste. Ucciderò la gente di chiesa, sì, a Montpellier in Francia». Interrogata, la ragazza spiega di non essere musulmana praticante, ma di essere attratta da nazismo e jihadismo. Fa anche parte di un gruppo Telegram neonazi, "Atomwaffen Command", ma solo per «spaventare le persone».METTERÒ IN CHIESA UNA BOMBA: UCCIDERÒ I CRISTIANITuttavia il suo delirio l'ha resa facile preda di un uomo che le racconta di vivere in Turchia: è stato lui, spiega la ragazzina, a proporle un attacco coordinato «a una chiesa o a una sinagoga con le armi. Attentati suicidi. Dovevamo colpire lo stesso posto, Strasburgo o Montpellier, non era deciso [...]. Sapeva che avevo l'attrezzatura per fabbricare bombe, gli avevo mandato una foto [...]. Ho disegnato in poco tempo la pianta della chiesa che vedevo dalla mia finestra. Volevo creare una bomba con il Tatp (esplosivo da fabbricare in casa con ingredienti reperibili facilmente e in voga tra attentatori suicidi dell'Isis, già usato dai terroristi di Parigi e Bruxelles, ndr), volevo mettere questa bomba in chiesa. Ma non avevo ancora deciso quando l'avrei fatta esplodere, né l'ora né la data».«E adesso? E domani? Dopo le lacrime e gli omaggi, dopo i grandi discorsi e le manifestazioni, dopo gli hashtag, che cosa succederà? Continueremo con i compromessi davanti alla minaccia islamista o ci risveglieremo, opponendo alla guerra che ci è stata dichiarata un'altra guerra? Questa è la sola domanda che dobbiamo farci», scriveva il direttore del Figaro, Alexis Brézet, in seguito alle manifestazioni per ricordare Paty, il professore pugnalato e decapitato in Francia a Conflans-Sainte-Honorine da un diciottenne, attaccando islamisti e radicalizzati che tengono in ostaggio scuole e giovani di Francia.Scuole in cui il 40 per cento degli insegnanti «si "autocensura" su alcuni temi per non creare incidenti» (è ancora Brézet), attivisti che «non avranno armato direttamente la mano dell'assassino, ma hanno senza dubbio ispirato il suo gesto». Nel tempo permeato dal dubbio, in una Francia che come spiegava a Tempi Christophe Desmurger - insegnante delle elementari a Parigi, tra i primi a denunciare la radicalizzazione dei giovani musulmani - ha scoperto bambini diventare «assassini nel nome di una causa malata», ideologie e soluzioni radicali corrono sul web, si fanno strada oltre la scuola, entrano nelle camere degli adolescenti: «Sono le 12:11, mi sono appena svegliata e ho molte cose da fare. Devo andare a comprare un vestito, acqua ossigenata, un contenitore di vetro [...]. Presto sarà tutto finito, presto mi vendicherò. D'ora in poi nessuno potrà fermarmi», scriveva Leila B. nel suo diario.Nota di BastaBugie: l'articolo seguente dal titolo "Assassinio + cannabis = penalmente irresponsabile" mette in luce l'episodio di un musulmano che in Francia ha ucciso una madre di tre figli al solito grido di "Allah Akbar" e non è stato ritenuto colpevole dal tribunale perché, poverino, era sotto l'effetto di uno spinello.Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 26 aprile 2021:Migliaia di persone si sono riversate nelle piazze francesi - ma anche in alcune piazze europee, come a Roma - per chiedere giustizia per Sarah Halimi, la donna ebrea di 65 anni che fu uccisa a Parigi il 4 aprile 2017 da Kobili Traorè, 27enne musulmano.Quel giorno la donna, madre di tre figli, fu aggredita e gettata da una finestra dall'uomo, suo vicino di casa. Mentre la uccideva, Traorè recitava versetti del Corano e urlava «Allah Akbar» e «ho ucciso Satana». Ma la Corte di Cassazione nel dicembre del 2019 ha sentenziato che l'assassino non può essere processato e il 14 aprile ha confermato il verdetto.Secondo i giudici, infatti, l'uomo non può essere ritenuto colpevole in quanto «penalmente irresponsabile». Tre diverse perizie - non concordi tra loro - hanno appurato che, trovandosi egli sotto gli effetti della cannabis, non era capace di intendere e volere.Secondo l'articolo 122-1 del codice penale non è perseguibile chi soffre di disturbi psicotici. Era questa, secondo i giudici, la situazione in cui si trovava Traorè, reo confesso, che fumava «fino a 15 spinelli al giorno». La Corte ha riconosciuto il carattere antisemita dell'omicidio, ma non ha mandato a processo il musulmano.Ieri sono sfilate per le strade parigine 22 mila persone che hanno scandito lo slogan «Senza giustizia, non esiste la Repubblica». Veementi sono state le reazioni in tutto il paese di fronte a una decisione che è percepita come profondamente ingiusta e irrazionale. [...]Il Consiglio superiore della magistratura è però intervenuto in difesa dei giudici: «L'istituzione giudiziaria deve poter continuare a giudicare, libera da pressioni, con completa indipendenza e imparzialità»

    La Svizzera dice no al burqa

    Play Episode Listen Later Apr 14, 2021 7:46


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6544LA SVIZZERA DICE NO AL BURQA di Lorenza FormicolaDomenica gli svizzeri hanno votato a maggioranza ristretta a favore del divieto di nascondere il volto. Un segnale forte contro l'islam e l'islamizzazione d'Europa, per chi lo ha proposto; iniziativa xenofoba e sessista per gli altri.Votando contro l'uso del velo integrale nella sfera pubblica, la Svizzera si unisce a Francia, Austria, Bulgaria, Belgio e Danimarca, dopo anni di dibattiti. Le Courrier si domanda se la Svizzera abbia "paura del burqa o dell'islam", Liberation sul confine della xenofobia e islamofobia.Il testo, proposto dal partito di destra Udc, ha ottenuto il 51,21% dei voti e la maggioranza dei cantoni, come raccontano i risultati ufficiali pubblicati dal governo federale. Il referendum non faceva riferimento a burqa o niqab esplicitamente, motivo per cui da oggi in Svizzera sarà vietato coprirsi integralmente il viso in pubblico in qualsiasi occasione. Il che vale anche per i manifestanti incappucciati, ma sono previste eccezioni per i luoghi di culto. Dalle urne elvetiche sono usciti, domenica 7 marzo 2021, così, contemporaneamente un ‘sì' all'iniziativa popolare per il divieto di velarsi e un ‘no' alla legge sull'identità elettronica, che prevedeva un sistema misto, pubblico-privato, per la gestione dell'identità digitale per gli acquisti online.SCONFITTE IPOCRISIA E RETORICAPer entrambi i quesiti identitari, il Comitato di Egerkingen, animato dall'Udc, destra moderata e primo partito svizzero, ottiene una vittoria. Il quesito sull'identità digitale era stato promosso da ecologisti e socialisti. E in questo caso la vittoria del fronte referendario è andata addirittura al di là dei sondaggi, oltrepassando ampiamente il 60% dei no. In 18 Cantoni su 23 hanno sostenuto, e quindi approvato, l'iniziativa referendaria. In testa il Giura (60,7% di sì), seguito dal Ticino e da Svitto. Interessanti i risultati del Vallese (58,3% di sì) e di Friburgo (55,9% di sì). "Significativo che i cinque cantoni citati siano rispettivamente francofono, italofono, tedescofono e gli ultimi due bilingui francese-tedesco", scrive Giuseppe Rusconi sul sito Rossoporpora.org.Alla vigilia della festa della donna, la Svizzera mette così di fatto al bando il burqa nei luoghi pubblici. E stende un velo su ipocrisia e retorica. Anche se già quando si annunciò il referendum si parlava di "razzismo". Oggi la querelle è solo più esasperata. In Italia, nel 2009, fu Souad Sbai a proporre l'abolizione del velo islamico con una proposta di legge presentata in Parlamento. Inutile scrivere che quella legge non vide mai la luce. Nel commentare il risultato del referendum la Sbai dichiara, "È una bellissima notizia. La mia proposta di legge del 2009 fu fermata da una richiesta mandata all'allora Presidente della Repubblica, Ciampi. Tra i firmatari di questa petizione c'erano alcuni personaggi che, a distanza di qualche anno, si recarono in Siria per combattere con l'Isis. In ogni caso, è un bell' 8 marzo. Spero che l'Occidente apra gli occhi su questo, perché non è vero che danneggia la libertà della donna. Sì, qualcuna non uscirà di casa, ma tante avranno la libertà e non saranno sottomesse, come forse vorrebbero alcune donne di sinistra. Oggi saranno arrabbiati radicali e estremisti che vedono la donna come loro proprietà". E aggiunge, "forse questa legge darà fastidio anche agli esponenti di una certa sinistra. A questo punto, speriamo che in tanti prendano esempio e abbiano il coraggio di dire ‘no' all'estremismo islamista che avanza, e rallentarne il processo. Questa legge - conclude Souad Sbai - è più che altro rivolta alla sicurezza. Quante persone possono nascondersi dietro a quel burqa e niqab e passare inosservate, magari per compiere un atto terroristico?".IL VELO RAPPRESENTA LA CHIUSURA CONTRO LA CULTURA EUROPEACertamente il tema della sicurezza è al centro delle istanze che hanno spinto anche gli altri Paesi europei a muoversi nella stessa direzione. Ma la verità è che il dibattito ossessionato dal razzismo denuncia un'ignoranza di fondo sul velo e sul suo significato per giornalisti, analisti e politici. È piuttosto insignificante l'idea per cui, presi singolarmente gli elementi dell'islam, possano risultare innocui. Compongono l'ampiezza del sistema politico che è l'islam.Lo hijab, il burqa e il niqab non hanno mai rappresentato un dogma della religione islamica, e non sono un simbolo religioso. Il primo ad utilizzare la parola "velo" fu il giurista Ibn Taymiyya nel XIV Secolo. E lo fece prendendo spunto dal versetto 31 della sura 24 del Corano. Dal velarsi al velo. Da azione ad oggetto, fu questo il passaggio. Nasce per creare un confine che separi, che respinga gli sguardi. Nel mondo islamico, infatti, è ovunque sottolineato come la donna non debba guardare e soprattutto non debba farsi guardare. Per l'islam la femminilità è associata alla concupiscenza e il sesso femminile è associato al disordine. Il velo è allora lo strumento per conseguire l'obiettivo della purezza.Ma non solo. Nel mutamento linguistico s'inserisce anche quello di carattere sociale. Il credente si trova costretto a scontrarsi con l'essere musulmani in una società a maggioranza non musulmana, l'Occidente. E allora il velo rappresenta la chiusura contro la cultura europea. Nega la libertà come fattore di "occidentalizzazione", e inventa regole giuridiche per tenere sotto controllo la propria gente e l'islam stesso.Oggi più che mai il velo non è un look islamico, ma la differenza che corre tra un donna di Allah e tutte le altre donne. È, quello sì, razzismo puro.

    All'islam piace l'Europa e... vuole conquistarla a tutti i costi

    Play Episode Listen Later Mar 31, 2021 7:12


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6526ALL'ISLAM PIACE L'EUROPA E... VUOLE CONQUISTARLA A TUTTI I COSTI di Mauro FaverzaniUna cosa è certa. All'islam l'Europa piace. Al punto da farne spesso campo per la jihad. Presente e futura. Lo confermano le cronache dei giorni scorsi.In Spagna l'intelligence della Polizia Nazionale, in collaborazione con l'Europol, è riuscita a smantellare una banda dedita al finanziamento del terrorismo camuffato da donazioni per i bambini orfani siriani: il denaro, in realtà, è stato raccolto presso la moschea Abu-Bakr di Madrid, seconda per importanza nella capitale, e poi in gran parte inviato all'ong al-Bashaer, legata all'organizzazione jihadista Yeish-al-islam ovvero «Esercito dell'islam», a sua volta collegata al Fronte al-Nusra, in Siria. I soldi finivano così in una scuola di addestramento per futuri mujaheddin gestita dalle milizie di al-Qaeda, dove effettivamente i minori c'erano, sì, ma per imparare ad usar le armi, con cui emulare e vendicare i loro padri caduti in combattimento.Il giudice del Tribunale nazionale, Joaquín Gadea, ha pertanto spedito in galera, con le pesanti accuse d'appartenere ad un'organizzazione terroristica e d'averne finanziato l'attività, Mohamed Hatem Rohaibani, tesoriere dell'Ucide-Unione delle Comunità islamiche di Spagna, che, con le circa 800 realtà religiose aderenti, fa parte della Cie-Commissione Islamica di Spagna, entrambi organismi retti da Ayman Adlbi, già arrestato e poi rilasciato nell'ambito delle stesse indagini, in attesa d'esser chiamato a testimoniare assieme ad un altro individuo, di cui sono state diffuse al momento soltanto le iniziali, M.S.B.K.LE STRATEGIE ISLAMISTEIn effetti, molti sono i gruppi jihadisti, che, in un groviglio quasi inestricabile di sigle, proseguono le azioni terroristiche in Siria, beneficiando delle campagne di reclutamento e dei canali di finanziamento tessuti in Europa, ora nel mirino dei servizi d'intelligence di tutto il mondo. I più importanti sono tre, tutti sunniti: al primo posto si mantiene saldamente al-Qaeda, seguita dall'Isis e dalle milizie di Hayat Tahrir al-Sham, composte per lo più da siriani decisi a riconquistare una fetta del Paese, per imporvi la sharia.In un'intervista pubblicata sul settimanale L'Express il ministro francese per la cittadinanza, Marlène Schiappa, ha sollevato il caso dei 2,5 milioni di finanziamento inviati dalla giunta municipale di Strasburgo all'associazione islamica Millî Görűs, evocando pericolose prossimità ideologiche tra il sindaco, Jeanne Barseghian, esponente della lista EELV-Europa Ecologia I Verdi, e l'islam politico. Il contributo, destinato alla costruzione di un grande centro religioso comprendente la moschea, è permesso dalla legge francese, che non applica il principio di «laïcité» in tre dipartimenti della regione del Grande Est, di cui Strasburgo è capoluogo. Ciò detto, va anche aggiunto che l'associazione Millî Görűs si trova attualmente nel mirino del ministero dell'Interno francese, per il fatto d'essersi rifiutata di firmare la Carta sul rispetto dei valori della Repubblica e del principio di laicità (con annessi appositi corsi di formazione), imposta a tutti i soggetti morali pubblici e privati, specialmente se beneficiari di fondi pubblici. E c'è un precedente: i soldi dati dal sindaco di Grenoble, Eric Piolle, pure dell'EELV¸ al CCIF-Collettivo contro l'islamofobia in Francia, sorto nel 2003 e disciolto l'anno scorso con apposito decreto del consiglio dei ministri, poiché ritenuto dal ministro dell'Interno, Gérald Darmanin, «un'officina islamista operante contro la Repubblica».DANTE CENSURATOTutto ciò appartiene, del resto, a quella sorta di «cultura dell'annullamento» e di sottomissione ideologica all'islam, di cui è preda parte dell'Occidente e dell'Europa in particolare, come hanno confermato anche le recenti celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.In Italia han fatto clamore le sconcertanti critiche rivolte dal giornalista tedesco Arno Widmann al Poeta, pubblicate dal quotidiano Frankfurter Rundschau, critiche smontate da un altro tedesco, Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze, per il quale le affermazioni del suo connazionale denoterebbero «una totale ignoranza dell'argomento. Widmann è un personaggio di forte vis polemica, che ha sempre fatto parlare di sé grazie a teorie volutamente provocatorie oppure, talvolta, di complotto. La sua opinione non coincide affatto con l'opinione generale su Dante in Germania, non rappresenta nemmeno una corrente di pensiero». Peccato che abbia trovato spazio però su di un giornale regionale autorevole e con una tiratura di oltre 180 mila copie.Ma c'è di peggio: come la traduzione fiamminga "islamofila" della Divina Commedia, curata da Lies Lavrijsen, diffusa in Belgio ed in Olanda, epurata da qualsiasi riferimento a Maometto. Non stupisce che, in Italia, la notizia sia stata riferita in modo asettico dal quotidiano della Cei Avvenire, che, guardandosi bene dal difendere l'originale del testo sfregiato ed il relativo autore, si limita a commentare come «la posizione di Dante nei confronti della cultura arabo-musulmana» sia «molto complessa». Solo l'europarlamentare Silvia Sardone della Lega ha espresso su Facebook, in modo esplicito, il proprio sdegno: «Purtroppo in Europa invece di celebrare il Poeta si arriva a censurarlo - ha scritto - Per i buonisti di oggi bisogna cancellare persino la storia della letteratura. Dante, per qualcuno, è razzista, islamofobo e poco inclusivo. Ma ci rendiamo conto?». Già, ci rendiamo conto? Titolo originale: Europa, campo per la jihad dell'islamFonte: Radio Roma Libera, 29 marzo 2021Pubblicato su BastaBugie n. 710

    Il viaggio del Papa e la drammatica situazione dei cristiani perseguitati in Iraq

    Play Episode Listen Later Mar 11, 2021 7:48


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6509IL VIAGGIO DEL PAPA E LA DRAMMATICA SITUAZIONE DEI CRISTIANI PERSEGUITATI IN IRAQFino a trent'anni fa la popolazione di Bartella era al 100% cristiana, poi è passato l'Isis e poi gli shabak sciiti con la loro pulizia etnico-religiosa (VIDEO: la città cristiana invasa dai musulmani)di Leone Grotti«Siamo felici che arrivi il Papa perché qui aspettiamo un difensore, qualcuno che dica alle autorità politiche, religiose e militari: basta perseguitare i cristiani. Perché quello che stanno facendo qui ha un solo nome: pulizia etnico-religiosa». La città di Bartella dista appena 15 chilometri da Qaraqosh, ma sembra di entrare in un altro mondo. Gli stessi pali della luce che nella città principale della Piana di Ninive ospitano i cartelloni di benvenuto a papa Francesco, qui sono disseminati di bandiere nere e immagini del generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso dagli americani a Baghdad il 3 gennaio dell'anno scorso. È un chiaro segnale di chi comanda ormai nella città storicamente cristiana: gli shabak, etnia di fede sciita.Come Qaraqosh, anche Bartella ha subìto le angherie e le violenze dell'Isis, e anche qui solo il 30-50 per cento dei cristiani che vi abitavano prima del 2014 ha fatto ritorno. Gli shabak invece sono aumentati di numero e sono riusciti a prendere il controllo della città, sia dal punto di vista amministrativo che militare. La forza di polizia che controlla la città, infatti, è formata dalla 30esima Brigata delle Pmf (Forze di moblitazione popolare), che è formata da shabak e da membri dell'organizzazione Badr (sciiti filo-iraniani del Sud), che non perdono occasione per discriminare e angariare i cristiani.IL NOSTRO INCUBO PEGGIOREDi fianco alla parrocchia di San Giorgio è di stanza il distaccamento di una milizia cristiana, a guardia della chiesa e della zona circostante. La loro presenza è fondamentale: nel 2018 un commando di shabak si è presentato davanti alla chiesa armato di kalashnikov, sparando in aria, poi ha fatto irruzione dentro i locali della parrocchia, terrorizzando i fedeli. Nessuno è stato ferito, lo scopo era lanciare un avvertimento: dovete andarvene.Chiediamo ai soldati cristiani il permesso di girare la città, per fotografare come gli sciiti se ne sono impossessati, ma non ce lo permettono. La tensione è troppo alta e percorrere le strade con una telecamera è sconsigliato. Accettano solo di farci vedere il quartiere attorno alla chiesa, distrutto dalla guerra, ma solo sotto scorta di un soldato armato. L'impronta dell'Isis, come a Qaraqosh, è dovunque: palazzi sventrati, case diroccate, crateri grandi quanto campi da tennis, polvere e macerie dappertutto immerse in un silenzio surreale.Padre Behnam Benoka è nato nel 1978 a Bartella e denuncia senza mezzi termini quello che sta avvenendo in città: «L'Isis è acqua passata. Qui il nostro incubo peggiore porta un altro nome: Shabak», ci confida accogliendoci in canonica. «Vogliono cacciarci dalla nostra città per islamizzarla. Stanno mettendo in atto un'operazione di pulizia etnico-religiosa. Ormai parlano apertamente di fondare uno Shabakistan. Le loro bandiere nere non hanno scritte, ma sono uguali a quelle dell'Isis. I cristiani hanno paura: si sentono estranei a casa loro».SADDAM, IL CALIFFATO, L'INVASIONE MUSULMANAL'invasione degli shabak a Bartella è iniziata negli anni Ottanta sotto Saddam Hussein, che ha creato nelle città della Piana di Ninive dei quartieri per i militari, confiscando la terra ai cristiani e costruendovi sopra case e moschee, laddove prima c'erano solo chiese. Era una strategia ben studiata: «Indebolire i cristiani per arrivare a cacciarli in futuro». La differenza tra Bartella e Qaraqosh è che in quest'ultima città i cristiani hanno subito raccolto un'ingente quantità di denaro per convincere i musulmani a rivendere loro la terra. Così sono riusciti a preservare l'identità cristiana della città: Bartella non è stata altrettanto fortunata o lungimirante.Fino al 2003, però, Saddam Hussein teneva a bada i musulmani stanziati nelle città cristiane. A partire dall'invasione americana, invece, la situazione è cambiata radicalmente. Gli shabak alzano al massimo il volume degli altoparlanti delle moschee, che vengono puntati verso le case dei cristiani e verso le chiese. La polizia molesta apertamente le donne e i bambini, per spaventarli nella speranza di convincerli ad andarsene.Dopo il 2003 l'amministrazione di Bartella, che è sciita, ha spostato da Mosul oltre 5.000 famiglie shabak, anch'esse perseguitate dai jihadisti sunniti, e invece di farle trasferire nei villaggi storicamente appartenenti all'etnia, le ha fatte risiedere in città, dando loro terre da coltivare su cui i musulmani hanno costruito, in barba alla legge, quartieri residenziali. «Qui non succede come da voi in Europa. Magari dal Sud ci si sposta al Nord per studiare o lavorare, ed è normale. Qui invece i musulmani vengono spostati nella nostra città per invaderci e sbarazzarsi di noi», riassume padre Behnam. Il risultato è che se fino a 30 anni fa la città era al 100 per cento cristiana, dopo il 2003 è diventata al 60 per cento cristiana e al 40 shabak. Dopo l'invasione dell'Isis, invece, i cristiani sono diventati una minoranza.Il cambiamento demografico è stato così imponente negli ultimi anni che se prima i cristiani riuscivano a eleggere 7 o 8 membri nel Consiglio distrettuale di Al Hamdaniya, che comprende molte città della Piana di Ninive, ora potrebbero non averne più neanche uno. A Bartella i cristiani erano più di 15 mila nel 2014: oggi forse raggiungono la metà. «Prima avevamo peso politico ed economico. Ora i musulmani ci rubano anche il lavoro e siamo diventati quasi dei mendicanti: ecco perché non possiamo ricostruire da noi stessi le case distrutte dall'Isis. L'ultimo elemento che rende gravissima la nostra situazione è l'emigrazione, non solo numerica, ma anche di qualità: a essere fuggiti all'estero sono i nostri medici, professori universitari, ingegneri».Padre Behnam teme davvero che l'identità cristiana sarà presto cancellata. [...]Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 minuto) dal titolo "Bartella, la città cristiana invasa dai musulmani" si può vedere l'attuale situazione nella città descritta nel precedente articolo.https://www.youtube.com/watch?v=XNEIDusI1Q4 Titolo originale: I cristiani di Bartella: «Stanno islamizzando la nostra città. Il Papa ci aiuti»Fonte: Tempi, 3 marzo 2021Pubblicato su BastaBugie n. 707

    Liberata la bimba cattolica rapita, torturata e sposata a forza con un musulmano

    Play Episode Listen Later Feb 23, 2021 6:37


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6494LIBERATA LA BIMBA CATTOLICA RAPITA, TORTURATA E SPOSATA A FORZA CON UN MUSULMANORacconto terrificante con lieto fine: il tribunale pakistano invalida il matrimonio e la conversione forzata della dodicenne e la restituisce al padre (la madre era morta)di Caterina GiojelliÈ a casa Farah: il giudice Rana Masood Akhtar del tribunale di Faisalabad l'ha restituita al suo papà e ai suoi cinque fratelli, al nonno e alla comunità cattolica che per otto mesi ha battagliato perché fosse liberata. Liberata dal suo aguzzino musulmano, liberata dalle funzionarie preposte a rafforzare in lei la conversione all'islam nella Dar-ul-Aman, liberata dalle umiliazioni di poliziotti e magistrati compiacenti con chi l'aveva rapita, convertita, sposata a forza e ridotta a schiava incatenata in un cortile. Farah Shaheen, orfana di mamma, aveva solo 12 anni il giorno in cui venne sequestrata e costretta a chiamare "marito" un pakistano musulmano di 45 anni.Sorride Farah nelle foto diffuse il giorno del suo rilascio da Aid to the Church in Need, circondata da parenti e una folla di bambini come lei: non c'è traccia dello smarrimento che le abitava gli occhi a dicembre, quando la polizia aveva fatto irruzione nella casa di Khizar Hayat. Qualcuno aveva fatto girare le immagini delle sue caviglie sbendate, mostrando la pelle ridotta a cuoio indurito da piaghe, cicatrici e macchie di sangue raggrumato, segni delle pesanti catene che la piccola si era trascinata tra i liquami del cortile, pulendo lo sterco delle bestie di quell'uomo che la mattina del 25 giugno l'aveva sequestrata, convertita all'islam, stuprata, sposata a forza.LA TANA DELL'AGUZZINOPer mesi il suo papà Asif Masih aveva provato a denunciare il rapimento invocando l'applicazione della legge pakistana che vieta rapporti con i minori, per mesi aveva chiesto indagini su Hayat, principale sospettato. La polizia aveva tergiversato fino al 5 dicembre, quando l'attenzione mediatica sollevata da recenti casi di rapimenti e conversioni forzate di altre ragazzine cattoliche che mettevano in discussione l'operato della giustizia compiacente con i rapitori, li aveva rassegnati a un controllo a sorpresa: la bambina, ritrovata ammanettata mani e piedi in una stanza della casa di Hayat, aveva raccontato terrorizzata la sua storia, quella di una schiavetta obbligata a pulire escrementi fin dall'alba. «Sono una donna libera, l'ho sposato e ho abiurato volontariamente, riportatemi da lui»: perché allora Farah nell'udienza del 23 gennaio aveva supplicato terrorizzata i giudici di riportarla dal suo aguzzino? Che cosa era accaduto nelle settimane successive alla sua liberazione? La stessa cosa capitata alla piccola Arzoo, salvata a novembre da una sentenza ma non dal lavaggio del cervello dei radicali islamici e dalle minacce dei familiari dell'uomo che l'aveva rapita, sposata e violentata: come Arzoo, anche Farah non era stata restituita alla famiglia d'origine, era stata invece condotta alla Dar-ul-Aman, case di accoglienza accreditate dal governo. Lontana dal padre, le funzionarie le avevano messo in mano un rosario islamico, insegnato le preghiere del profeta, obbligandola a recitarle ogni giorno. Era spuntata fuori una anche una perizia medica, denti e genitali, diceva il referto presentato alla Corte, corrispondono a quelli di una ragazza tra i 16 e i 17 anni. A nulla era valso il certificato di nascita, le proteste del padre, il suo corpo da bambina: il giorno dell'udienza, facendo cadere tutte le accuse verso il rapitore, il magistrato non chiese nemmeno a Farah perché suo marito la tenesse in catene.IL RITORNO A CASAPoi, il 16 febbraio, la svolta: «Sia lodato Gesù Cristo, il nostro angioletto Farah è tornato a casa», ha proclamato ad Acn Uk il vescovo Iftikhar Indryas che ha affiancato la famiglia della ragazzina assicurandole assistenza legale nel tentativo disperato di cambiare esito alla sua vicenda giudiziaria. Il giudice Rana Masood Akhtar ha invalidato il matrimonio che non risulta registrato presso alcuna autorità locale. Di più, ha invalidato la perizia medica che attestava la maggiore età della bambina e stabilito che la sua permanenza presso la Dar-ul-Aman non potesse essere protratta a tempo indeterminato: la volontà del padre di accogliere Farah e l'impegno assunto insieme ai famigliari a «impedire a chiunque di arrecare danno alla sua vita e alla sua libertà» ha consentito al tribunale di lasciarla tornare a casa sotto la sua esclusiva responsabilità. Racconta monsignor Indryas che la piccola, sentite le parole del giudice è scoppiata in lacrime di gioia mentre dalle case di amici e parenti scrosciavano applausi e preghiere.La storia di Farah è quella di duemila ragazzine cristiane e indù che lo scorso anno in Pakistan sono state rapite, sottomesse all'islam e ridotte in spose o schiave sessuali di orchi senza scrupoli. Alla piccola di Faisalabad, a Maira, Huma, alla minuscola Arzoo e a un popolo di povere famiglie, vescovi, politici cattolici e coraggiosi avvocati che battagliano per salvarle sfidando la mafia che alimenta matrimoni forzati e sequestri (imam, magistrati, poliziotti corrotti e uno Stato complice) Tempi ha dedicato un ampio servizio sul numero di febbraio. A guidarci nella "terra dei Puri" e tra le storie di ragazzine violentate e umiliate tutti i giorni della loro vita, Shahid Mobeen, fondatore dell'associazione Pakistani cristiani in Italia, amico e consulente di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico che sacrificò la sua vita per difendere le minoranze religiose in Pakistan assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad. Nota di BastaBugie: per ricordare chi era Shahbaz Bhatti si possono leggere gli articoli pubblicati nel dossier "Cristiani in Pakistan". Titolo originale: Faisalabad annulla le nozze della sposa-bambina. Farah torna a casaFonte: Tempi, 20 febbraio 2021Pubblicato su BastaBugie n. 705

    Macron finge di combattere l'islam illudendosi di renderlo democratico

    Play Episode Listen Later Feb 2, 2021 5:36


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6451MACRON FINGE DI COMBATTERE L'ISLAM ILLUDENDOSI DI RENDERLO DEMOCRATICOLa carta dei principi dell'islam è un accordo che non ha nessun valore e serve solo a gettare fumo negli occhi all'opposizione e all'opinione pubblicadi Mauro FaverzaniO l'Eliseo, nonostante l'alto prezzo in vite umane pagato dalla Francia alla jihad, non ha ancora ben compreso quale sia il vero volto dell'islam oppure lo ha compreso, ma, pur di portare a casa l'illusione di un successo politico purchessia, è pronto ad accontentarsi di accordi-papocchio, aventi la stessa consistenza della carta velina, da gettare come fumo negli occhi dell'opposizione e dell'opinione pubblica.Si presenta così l'accordo annunciato sabato scorso dal CFCM-Consiglio francese del culto musulmano circa l'elaborazione di una «carta dei principi» dell'islam; nella più benevola delle ipotesi si può parlare di un'intesa soltanto di massima: il documento, infatti, non è stato ancora convalidato da tutte le federazioni aderenti al CFCM, dopodiché dev'essere trasmesso ad Emmanuel Macron, per cui la versione definitiva del testo non è ancora stata resa pubblica.Ma quel che è trapelato è già sufficiente, per dubitare che siano state poste davvero solide basi per una convivenza pacifica tra islam e Repubblica. Nonostante il ministro dell'Interno, Gérald Darmanin, nel corso di una riunione svoltasi a Beauvau con i leader delle tre principali correnti islamiche, abbia parlato di un «progresso molto significativo» e di un impegno contro «l'islam politico», è certo che il tavolo delle trattative solo un mese fa fosse quasi "saltato" a causa delle divergenze interne, e che il rettore della grande moschea di Parigi, Chems-Eddine Hafiz, alla fine di dicembre, avesse abbandonato clamorosamente le negoziazioni, sbattendo la porta.LA FRAGILITÀ DEL COMPROMESSOA volere tale accordo a tutti i costi è stato fin dall'inizio Macron, per uno scopo principalmente politico, quello di rafforzare la sua offensiva dichiarata contro l'islam radicale e quello di avviare una ristrutturazione della presenza musulmana in Francia: per questo, a metà novembre, il presidente francese ha chiesto ai vertici del CFCM di mettere a punto un documento, in cui il Consiglio si impegnasse, nero su bianco, a rafforzare «il rispetto dei principi della Repubblica», per giungere alla creazione del CNI, il Consiglio nazionale degli imam. Ancora agli inizi di gennaio, però, tutto era in alto mare, anzi i contrasti tra l'ala più radicale e quella più moderata rischiavano realisticamente di far capitolare miseramente l'ambizione di Macron, che a quel punto ha buttato i pugni sul tavolo ed ha intimato alle federazioni islamiche rimaste di «superare le divergenze, di ritrovarsi e di uscire» dall'impasse.Alla fine si è raffazzonata un'intesa, convergendo su di una soluzione al ribasso. In un proprio comunicato, il CFCM ha annunciato di aver trovato la quadra ed ha presentato un accordo «sulla compatibilità della fede musulmana coi principi della Repubblica, sul rifiuto della strumentalizzazione dell'islam per fini politici, sulla non-ingerenza degli Stati [stranieri-NdR] nell'esercizio del culto musulmano in Francia e sul principio di uguaglianza Uomo-Donna». Già da qui si può intuire quanto lontani siano tali propositi dall'islam reale. Ma la fragilità del compromesso messo in piedi si evince più dalle frasi cancellate che da quelle scritte.Il settimanale Charlie Hebdo, a suo tempo profondamente colpito dal terrorismo islamico, ha dichiarato di aver avuto la possibilità di leggere l'«ultima versione» del testo dell'accordo, almeno quella datata dicembre ed all'epoca «ancora in via di elaborazione».TAGLI PREOCCUPANTIEbbene, sarebbe stata eliminata la seguente frase: «Il fatto che una federazione [islamica-NdR] non revochi un imam contravvenente e/o che non proceda alla sua esclusione può legittimare l'esclusione della suddetta federazione». Tolto anche il passaggio, con capriole lessicali da saltimbanchi della diplomazia sintattica, con cui i firmatari si sarebbero dovuti impegnare «a rifiutarsi d'aderire a qualsiasi azione che promuova ciò ch'è conosciuto sotto l'appellativo di islam politico». Cancellato anche il riferimento, teso ad impegnare le sigle sottoscrittrici «a non usare l'islam per le necessità di un'agenda politica dettata da una potenza straniera, che neghi la pluralità consustanziale all'islam, rigetti la libertà di coscienza, la democrazia, l'eguaglianza donne-uomini o che promuova l'omofobia, la misoginia, il razzismo o l'antisemitismo. Noi rifiutiamo che i luoghi di culto servano a diffondere discorsi politici o che importino conflitti, in corso in altre parti del mondo». Sono cioè state tolte tutte quelle frasi, che avrebbero dato senso e sostanza all'intesa, d'altro canto, però, proprio per questo totalmente incompatibili con l'islam reale, cui è impossibile chiedere di sottoscrivere concetti quali democrazia, egualitarismo gender, libertà di coscienza e via elencando: pretenderlo vuol dire non aver mai letto il Corano.È già certo sin d'ora che il rettore della grande moschea di Parigi non figurerà tra i firmatari. Una scelta quanto meno coerente rispetto ad un testo surreale ed, in questo senso, assolutamente non vincolante. Non è con una propaganda ipocrita e demagogica, fatta a colpi di intese fragili sin da principio, che la Francia e l'Europa possono sperare di sottrarsi ai pericoli, cui politiche immigrazionistiche totalmente ideologiche ci hanno esposti da anni ed ancora ci espongono. Titolo originale: Macron ora pretende di avere un islam democraticoFonte: Corrispondenza Romana, 20 gennaio 2021Pubblicato su BastaBugie n. 702

    L'Islam ormai controlla le scuole francesi e i programmi

    Play Episode Listen Later Jan 20, 2021 8:37


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6442L'ISLAM ORMAI CONTROLLA LE SCUOLE FRANCESI E I PROGRAMMIIn tutta la Francia è diffuso il separatismo religioso (il 60% degli docenti si è trovato di fronte ad allievi che sfidano con arroganza l'insegnante quando questo contraddice il Corano)di Lorenza FormicolaPer una strana coincidenza, la scuola di Battières, a Lione, che ha scioperato due giorni, è dove Samuel Paty, il professore assassinato il 16 ottobre 2020 a Conflans-Sainte-Honorine (Yvelines), ha iniziato la sua carriera poco prima del 2000. Scuola elementare che traccia un legame simbolico tra il terrorismo islamico, la libertà di espressione occidentale e il separatismo scolastico in Francia. Perché là un professore si è appena dimesso, ha lasciato l'insegnamento e si sta trasferendo in un'altra città in seguito alle minacce, protratte per mesi, di alcuni genitori islamici dopo una lezione sulla laicità e il libero pensiero. Una settimana dopo il tributo a Samuel Paty, un insegnante di storia e geografia teneva una lezione sulla libertà di espressione, come da programma scolastico, a una classe di quinta elementare. Ad un certo punto spiega perché Emmanuel Macron non è "islamofobo", lo fa dopo le osservazioni di uno studente che accusa il governo francese di odio nei confronti dell'islam. Nella discussione s'intromettono due gemelli stranieri e che parlano male il francese, eppure riescono a cogliere bene di cosa si sta trattando. Tempo il giorno dopo e l'insegnante riceve la visita del padre dei bambini. Poi anche di altri genitori. Subisce minacce ed intimidazioni. Gli spiegano il confine tra quello che può dire e quello che ha detto. Il docente sporge denuncia, ma non riceve poi tutta questa solidarietà. Il 4 gennaio alcuni colleghi scioperano in sua difesa - chiedendo anche l'intervento delle istituzioni -, eppure il professore oggi è stato trasferito. In parte ha vinto anche la paura visto che nella borsa di uno degli studenti (un bambino di quinta elementare!) prima delle vacanze di Natale è stato trovato un coltello.I PROFESSORI MINACCIATI SONO AUMENTATIPaty doveva diventare il volto della Repubblica, ma a tre mesi da uno degli episodi più gravi di inciviltà e terrorismo degli ultimi tempi, i professori minacciati sono addirittura aumentati, forse perché gli odiatori sono stati galvanizzati da quel gesto esemplare. Recentemente il ministro Blanquer ha annunciato che la nota professoressa Fatiha Boudjahlat dopo aver rimproverato cinque studenti per non aver rispettato il minuto di silenzio per Samuel Paty è finita sotto scorta. I sindacati di sinistra, confessa Boudjahlat, hanno chiesto che ad essere punita fossi io."Sono passati diversi anni da quando ho parlato con i miei studenti della prima media del Corano, anche se è nel programma". Jeanne, è un'insegnante di francese in una scuola a Yvelines. A Le Figaro ha spiegato: "Lavoro in una zona dove gli studenti hanno un'educazione religiosa ben precisa. L'imam del loro quartiere è molto virulento. E non fanno che ripetere che il Corano ha sempre ragione, e la sua legge prevale sul diritto penale e i testi scientifici. Ho sempre sentito di essere su un terreno scivoloso, fino a quando ho smesso di parlarne. Inoltre sono una donna bionda, mi hanno fatto capire che rappresentavo un po' la figura del diavolo". Iannis Roder, professore associato di storia dal 1999 in un liceo a Seine-Saint-Denis e responsabile dell'Osservatorio sull'istruzione della Fondation Jean Jaurès, ha appena condotto un sondaggio (IFOP / Fondazione Jean Jaurès) sul separatismo scolastico in Francia. Ciò che l'indagine ha inteso per "separatismo religioso" è qualsiasi atto o manifestazione che si traduca in un rifiuto di attività, una richiesta specifica, una sfida all'educazione in nome delle convinzioni religiose. Il rapporto contiene discussioni circa i programmi e persino le discipline. Sono elencate per esempio le infinite controversie sull'educazione fisica avanzate da ragazzine cui l'islam impone un certo tipo di comportamenti e abbigliamento negli spogliatoi e nello sport. E poi le mense halal, le gite scolastiche e il velo.I dati appena pubblicati raccontano di oltre il 59% degli insegnanti che dichiara di aver già incontrato una forma di separatismo religioso nel proprio istituto attuale. Ed è il 24% dei docenti a fare esperienza "regolarmente" o "di tanto in tanto" di sfide sfacciate al proprio insegnamento. Il dato è aumentato di 9 punti rispetto al 2018. Il rapporto rivela che i casi coinvolgono tutta la Francia, e non più solo periferie e banlieu. Diventa pertanto più importante l'autocensura degli insegnanti.L'ISLAM ORMAI CONTROLLA LE SCUOLE FRANCESI E I PROGRAMMIMolti per evitare una possibile destabilizzazione della classe e le manifestazioni di protesta di vario genere, preferiscono tacere ed evitare di affrontare determinati argomenti. È paura? Secondo chi ha redatto il rapporto, sì. Più spesso perché si sentono abbastanza soli nell'eventuale battaglia. È sorprendente notare che il 16% degli insegnanti afferma di non denunciare gli incidenti di cui sono stati testimoni. D'altronde solo il 56% dichiara alla propria dirigenza le forme di separatismo, e quindi di rifiuto della Francia e delle sue leggi, cioè poco più di 1 su 2.Il 49% degli insegnanti solo delle scuole secondarie afferma di essersi già auto-censurato durante le lezioni. Osservazione sconvolgente per gli analisti francesi se si considera che l'ultimo studio IFOP per la Fondazione Jean-Jaurès è stato realizzato in occasione del sesto anniversario dell'attentato a Charlie Hebdo. Un dato da evidenziare con l'assassinio di Samuel Paty perpetrato lo scorso ottobre e che è aumentato di 12 punti in meno di tre anni. L'islam ormai controlla le scuole francesi e i programmi. Aurélien, che insegna storia in un liceo nei distretti occidentali di Nîmes, ormai è terrorizzata quando le tocca parlare di Medio Oriente. "Faccio attenzione a ogni frase, a ogni parola. Qui, a seconda di come trasformi la frase, l'intera classe può affrontarti ed anche i genitori. Quando si parla di islam, l'atmosfera si fa subito tesa. Alcuni studenti delle superiori ci respingono e insultano. Ci dicono che non capiamo niente, che non li rispettiamo, che siamo ignoranti. Philippe Watrelot, professore di scienze economiche e sociali a Parigi, ha ricordato quanto successo ad un suo collega qualche settimana fa. "Voleva rievocare l'affare Mila - la ragazzina minacciata di morte dopo aver criticato l'Islam. All'improvviso, i suoi studenti sono diventati violenti. Si sono alzati in piedi per spiegare al professore che Mila meritava il suo destino e che non andava difesa". Titolo originale: Nelle scuole francesi regna il separatismo islamicoFonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 18-01-2021Pubblicato su BastaBugie n. 700

    Mille ragazze ogni anno rapite e convertite all'islam con la forza

    Play Episode Listen Later Jan 3, 2021 4:41


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6425MILLE RAGAZZE OGNI ANNO RAPITE E CONVERTITE ALL'ISLAM CON LA FORZAIn Pakistan se così tante giovani sotto i 16 anni vengono sequestrate è grazie alla complicità di imam, magistrati, poliziotti corrotti e uno Stato deboledi Leone GrottiAlmeno 1.000 ragazze appartenenti a minoranze religiose, circa 700 cristiane e 300 indù, vengono rapite ogni anno in Pakistan, sposate sotto minaccia e convertite a forza all'islam. Il famoso studio del 2014 del Movimento per la solidarietà e la pace è ancora valido secondo la commissione americana sulla libertà religiosa internazionale.Quest'anno hanno avuto particolare risalto mediatico i casi di Maira Shahbaz - 14enne cattolica rapita da un musulmano a Madina Town, vicino a Faisalabad, violentata, costretta ad abiurare con l'inganno, scappata e ora nascosta in un luogo segreto insieme alla famiglia mentre prosegue il processo -, Huma Younus - cristiana rapita il 10 ottobre a 14 anni a Karachi da tre uomini, sposata a forza a uno di loro e convertita all'islam - e Arzoo Raja - cristiana di 13 anni rapito il 13 ottobre a Karachi.Meno conosciuto è il caso di Sadaf Masih, cristiana protestante di 13 anni rapita in un villaggio remoto della provincia del Punjab e costretta a sposare un uomo che da allora l'ha indotta ad abortire tre volte, segregandola in casa e usandola come schiava nei campi: a nulla è servito ai suoi genitori rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere il suo rilascio.Poco conosciuto anche il caso di Neha, raccontato dall'Associated Press: la giovane 14enne con la complicità della propria famiglia di provenienza è stata rapita e costretta a sposare un musulmano di 45 anni, che l'ha obbligata ad abbracciare l'islam e a cambiare nome in Fatima. Scappata, ma rinnegata dalla famiglia, è stata accolta da una chiesa di Karachi. Ma per ogni caso che viene raccontato dalla stampa, ce ne sono altri cento che restano nascosti.Le conversioni forzate sono vietate in Pakistan. La legge proibisce anche di sposare ragazzine sotto i 16 anni, classificando come stupro ogni rapporto al di sotto di questa età. Ma la legge islamica permette di prendere in moglie bambine anche molto piccole dal momento che la sharia richiede per le nozze soltanto il raggiungimento della «maturità sessuale», normalmente intesa con il sopraggiungere della «pubertà».Secondo quanto spiegato all'Ap dall'attivista Jibran Nasir, il business dei matrimoni con giovani sequestrate appartenenti ad altre religioni è una vera e propria «mafia» che coinvolge tutti: «Le giovani spesso sono rapite da conoscenti o parenti conniventi oppure da uomini alla ricerca di mogli. Spesso vengono accettate da ricchi possidenti come pagamento da parte di famiglie indebitate, mentre la polizia guarda dall'altra parte. Una volta convertite, le ragazzine vengono rapidamente sposate, spesso a uomini più anziani o ai loro rapitori. Le conversioni forzate prosperano in modo incontrollato grazie a una rete che frutta molto composta da chierici islamici che celebrano i matrimoni, magistrati che legalizzano le unioni, poliziotti locali corrotti che aiutano i colpevoli rifiutandosi di investigare e sabotando le indagini».A rimetterci sono le minoranze religiose, ovviamente, ma anche il Pakistan stesso, perché dà di sé all'esterno l'immagine di un paese corrotto dove a farla da padrone sono ricchi possidenti musulmani e imam estremisti, e non la legge della Repubblica Titolo originale: Pakistan: la mafia che rapisce e converte all'islam 1.000 cristiane all'annoFonte: Tempi, 29 dicembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 698

    Le primavere arabe furono (e sono) un incubo

    Play Episode Listen Later Dec 29, 2020 18:15


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6420LE PRIMAVERE ARABE FURONO (E SONO) UN INCUBODopo 10 anni è evidente: oggi rimangono soprattutto le macerie (centinaia di migliaia di morti, guerre civili, terrorismo islamico, paesi divisi, caos e disperazione)di Leone GrottiIl 17 dicembre di dieci anni fa il rivenditore ambulante di frutta Mohamed Bouazizi si diede fuoco nella città tunisina di Sidi Bouzid per inscenare un'ultima estrema protesta contro i continui soprusi subiti per mano della polizia del regime di Zine el Abidine Ben Ali. Il suo gesto scatenò un movimento inaspettato di rivolta contro la dittatura che deflagrò l'anno successivo in tutto il mondo arabo. Iniziò così il movimento conosciuto come Primavera araba, che convogliò l'entusiasmo e il desiderio di cambiamento di migliaia di giovani nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Grazie anche al sostegno interessato dell'Occidente, in particolare degli Stati Uniti del premio Nobel per la pace Barack Obama, le piazze di Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen e Bahrein furono invase da manifestazioni variopinte, attraversate da richieste legittime e prese di posizioni coraggiose. Ma il sogno di quei giovani, per motivi che variano da paese a paese, si trasformò rapidamente in incubo e a dieci anni di distanza di quell'esperienza rimangono soprattutto le macerie: centinaia di migliaia di morti, guerre civili e per procura, terrorismo islamico, paesi divisi, dissolti o distrutti, caos e disperazione che hanno fatto la fortuna di alcuni (come Erdogan) e portato alla luce la debolezza e la divisione di altri (come l'Unione Europea).IN TUNISIA VINCE LA DISILLUSIONELa Tunisia, dove tutto ebbe inizio, è l'unico paese che può vantare in mezzo a mille problemi rimasti irrisolti qualche successo. I tunisini possono ora eleggere i propri rappresentanti, hanno la libertà di criticare lo Stato, la Costituzione è stata riscritta e migliorata ma nessuno ha voglia di festeggiare. Disoccupazione e disuguaglianze, terrorismo e instabilità, continuano ad affliggere il paese: il Parlamento è frammentato e incapace di dare vita a un governo stabile, un numero incredibilmente elevato di giovani non desidera altro che salire su un'imbarcazione di fortuna per tentare l'ingresso illegale in Europa, mentre il jihad continua a rappresentare l'unica valida alternativa per migliaia di persone. Ne sa qualcosa la Francia, dove il 29 ottobre il 21enne tunisino Brahim Aoussaoui, sbarcato clandestinamente a Lampedusa il 20 settembre, ha ucciso tre fedeli nella basilica di Notre-Dame a Nizza al grido di «Allahu Akbar». «Qualcosa è andato storto negli ultimi dieci anni», dichiara sconsolato alla Reuters un giovane disoccupato di Sidi Bouzid, che non sa che farsene del suo diritto di voto. «Il governo non fornisce alcun aiuto e quest'anno la rabbia è molto più grande che in passato».IN EGITTO L'ESERCITO MANTIENE IL CONTROLLODifficilmente a gennaio Piazza Tahrir, al Cairo, si riempirà di nuovo come nel gennaio 2011. La rivoluzione portò alla deposizione di Hosni Mubarak, è vero, ma il tentativo dei Fratelli Musulmani di conquistare il potere assoluto e la conseguente deposizione manu militari del presidente della Fratellanza Mohamed Morsi da parte dell'allora generale e oggi presidente Abdel Fattah al Sisi hanno dato a troppi egiziani l'impressione che, in fondo, non sia cambiato nulla. A comandare in Egitto è ancora l'esercito (il caso Regeni è solo un piccolo esempio di quanto esso possa commettere abusi nella totale impunità), dissentire con le politiche governative è impossibile e le più ampie libertà sognate dalla piazza sono rimaste tali: un sogno. I cristiani copti tendono a vedere l'altro lato della medaglia: senza l'intervento dell'esercito oggi l'Egitto sarebbe probabilmente un califfato islamico. I Fratelli musulmani sono stati dichiarati un'organizzazione terroristica, lo Stato ha pagato la ricostruzione delle oltre 60 chiese bruciate dalla Fratellanza nel 2013 e ha finalmente autorizzato la costruzione di nuovi edifici di culto anche per i cristiani. Nonostante questo, i copti difficilmente possono sentirsi al sicuro a casa loro e l'assassinio pochi giorni fa di un cristiano in pieno giorno da parte di due estremisti islamici ad Alessandria ne è la prova più tangibile.LA LIBIA DISTRUTTA E "CONQUISTATA" DA ERDOGAN La Libia è uno dei paesi che ha pagato più a caro prezzo una concezione idolatrica e storicamente disincarnata della libertà. Il dittatore Muammar Gheddafi è stato eliminato il 20 ottobre 2011 grazie all'intervento della Nato che, spinta da una Francia spregiudicata e desiderosa di scippare all'Italia la sua posizione privilegiata nell'ex colonia ricca di petrolio, insieme al regime ha abbattuto anche il paese nordafricano. Oggi non esiste più un vero Stato unitario chiamato Libia, ma solo un insieme di territori divorati da una guerra civile sanguinosa della quale hanno saputo approfittare attori luciferini e senza scrupoli. L'Isis è stato per fortuna debellato, anche se il sangue dei 21 martiri copti non verrà facilmente lavato dalle coste di Sirte. Ma il paese dove l'unità sembra ancora irraggiungibile, e dove il peso politico dell'Italia è sempre più evanescente, è ora sotto la sulfurea influenza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, desideroso di affermare la sua potenza nel Mediterraneo e pericolosamente a guardia dei flussi migratori in grado di destabilizzare politicamente l'Europa intera.IN YEMEN LA CRISI UMANITARIA PIÙ GRAVE DEL MONDODi ciò che una volta veniva chiamato Yemen restano soltanto le macerie ormai. Il vuoto lasciato dalla cacciata del dittatore Saleh è stato riempito da una guerra civile sponsorizzata dagli eterni contendenti del mondo arabo: Arabia Saudita da una parte e Iran dall'altra. L'Occidente ha presto dimenticato il paese della Penisola araba, dove il potere è attualmente diviso tra ribelli sciiti houthi, il governo sunnita appoggiato dai sauditi, il Consiglio meridionale di transizione, lo Stato islamico e Al Qaeda. La guerra che va avanti ormai da sei interminabili anni ha già fatto più di 100 mila morti, molti dei quali civili, caduti spesso sotto le bombe saudite che l'Onu non ha mai avuto il coraggio di condannare, nel paese è in corso la più grave crisi umanitaria del mondo e 13 milioni di persone rischiano attualmente di morire di fame.LA FOLLE MATTANZA SIRIANAIl 15 marzo la guerra siriana compirà dieci anni. Le cifre non possono bastare a dare l'idea della devastazione subita dalla popolazione per mano di una coalizione internazionale di paesi che ha appoggiato con soldi e armi un gruppo di "ribelli" che si sono presto rivelati jihadisti, amanti (poco) della libertà e (molto) del terrore. Il dittatore Bashar al Assad, grazie all'intervento di Russia e Iran, è rimasto in sella ma nel paese mediorientale sono morte tra le 400 mila e le 600 mila persone, circa il 2 per cento della popolazione. Come se non bastasse, gli sfollati interni sono almeno 6,5 milioni, oltre ai tre milioni scappati all'estero.La guerra siriana, fomentata dall'Occidente, ha fatto la fortuna di gruppi jihadisti come Al Qaeda e lo Stato islamico, che ha ricambiato l'Europa con una serie interminabile di attentati terroristici, arrivando a instaurare un vastissimo Califfato in Iraq e Siria, poi crollato nel giro di due anni. Attualmente rimane una sola provincia, quella di Idlib, in mano agli islamisti sostenuti politicamente dalla Turchia ma la popolazione siriana è stremata e la sua condizione è ulteriormente aggravata dalle sanzioni occidentali.IL DISASTRO DI OBAMALe Primavere arabe non sarebbero state possibili senza la politica ondivaga e irrazionale di Barack Obama. Il presidente americano, infatti, insignito nel 2009 con il premio Nobel per la pace preventivo (mai nomina si rivelò più sbagliata), prima scaricò davanti alle proteste di Piazza Tahrir Mubarak, alleato decennale degli Usa, poi salutò con entusiasmo l'elezione a presidente di Morsi, infine non denunciò il colpo di Stato di Al Sisi, lasciando dichiarare al suo segretario di Stato, John Kerry: «La rivoluzione è stata rubata dai Fratelli musulmani».Allo stesso tempo diede il via libera per il bombardamento della Libia, salvo poi abbandonarla al suo destino (la guerra civile), e fece di tutto per appoggiare le milizie islamiche siriane e abbattere Assad, senza (fortunatamente) percorrere l'ultimo miglio e invadere il paese. Infine, non ha alzato ciglio davanti alla repressione delle proteste in Bahrain, appoggiando militarmente l'Arabia Saudita per reprimere quelle in Yemen. Infine, ha trovato un accordo con l'Iran per il congelamento delle attività nucleari.Ricapitolando: ha appoggiato i Fratelli musulmani in Egitto e Libia contro i rispettivi governi, poi ha sostenuto l'esercito contro i Fratelli musulmani in Egitto; ha fiancheggiato i sunniti contro gli sciiti in Bahrein e Yemen e poi ha trovato un accordo con l'Iran sciita per danneggiare l'Arabia Saudita sunnita. In Siria ha finanziato i ribelli siriani, facilitando la diffusione dell'Isis, per poi combatterlo, anche se in modo non risolutivo.LA POLITICA DELL'INSTABILITÀAl di là degli errori strategici di Obama, il politologo francese Henri Hude ha commentato così la politica di quegli anni: «Gli Stati Uniti conducono una politica egemonica camuffata da politica liberale universalista. Il gioco sul "grande scacchiere" consiste nel mantenere il loro potere evitando l'emergere di un rivale globale. A questo scopo, l'islamismo è l'alleato a rovescio tanto indispensabile agli Stati Uniti quanto lo erano i turchi per il re di Francia contro l'imperatore d'Asburgo. Questo principio permette di comprendere come gli Stati Uniti mantengano una relazione ambigua con gli islamisti, che ostentano odio per il "Grande Satan

    Ma voi uno così lo lascereste circolare liberamente? In Austria sì...e strage fu!

    Play Episode Listen Later Nov 12, 2020 15:02


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6352MA VOI UNO COSI LO LASCERESTE CIRCOLARE LIBERAMENTE? IN AUSTRIA SI... E STRAGE FU! di Leone GrottiSe l'Austria è rimasta sorpresa dalla strage compiuta a Vienna il 2 novembre dal terrorista islamico Kujtim Fejzulai non può che incolpare il proprio apparato di sicurezza. Il ventenne con doppio passaporto austriaco e macedone, armato di tutto punto, ha ucciso quattro persone nella capitale dopo aver aperto il fuoco sui passanti e i clienti di bar e ristoranti in diversi punti del centro, prima di essere ucciso dalla polizia.Fejzulai, il cui attentato è stato rivendicato dallo Stato islamico, era infatti stato condannato a 22 mesi di carcere nell'aprile 2019 dopo aver cercato di viaggiare in Siria per unirsi all'Isis. Nel settembre 2018 si era recato in Turchia per attraverso il poroso confine con la Siria, ma era stato fermato e rimpatriato in Austria, dove fu arrestato nel gennaio 2019.Ora la polizia austriaca ha arrestato 14 tra i suoi amici e conoscenti, ma nel luglio 2020 ignorò completamente l'allarme lanciato dalla Slovacchia. In estate il terrorista si era infatti recato nella confinante Slovacchia per acquistare una scorta di munizioni per un Ak-47. L'acquisto non andò a buon fine perché Fejzulai non era in possesso di un regolare porto d'armi. La polizia slovacca avvisò immediatamente l'Austria parlando del tentato acquisto da parte di un «sospetto austriaco». L'intelligence austriaca archiviò la segnalazione, senza fare nulla.Il terrorista aveva frequentato in passato una nota moschea estremista nell'area di Ottakring, a Vienna, il cui imam era poi partito per la Siria, dove aveva creato una brigata jihadista di lingua tedesca. Quando nel dicembre 2019 Fejzulai è stato rilasciato, il ministro dell'Interno ha spiegato che aveva convinto le autorità di avere abbandonato le sue idee e i suoi propositi estremisti. In realtà, la Derad, associazione che si occupa di de-radicalizzare gli islamisti austriaci, ha affermato di non aver mai ottenuto alcun successo con lui.La leggerezza con cui Vienna ha gestito il caso di Fejzulai è indicativo di quanta strada abbia ancora l'Europa da fare nella lotta al terrorismo islamico che, come dichiarato da Angela Merkel all'indomani dell'attentato, «è il nostro nemico comune». Nota di BastaBugie: Mauro Faverzani nell'articolo seguente dal titolo "L'ignavia dell'Occidente e la violenza dell'islam" parla da una parte della cieca inerzia dell'Occidente e dall'altra dell'aggressiva intraprendenza del mondo islamico. Vediamo nel dettaglio a che punto siamo.Ecco l'articolo completo pubblicato su Radio Roma Libera il 26 ottobre 2020:Da una parte, la colpevole e cieca ignavia dell'Occidente; dall'altra, l'aggressiva intraprendenza del mondo islamico: potrebbe essere questa una fotografia realistica della situazione geopolitica e religiosa contemporanea.Sull'Occidente molto si è già detto, senza tuttavia che, per questo, la situazione sia mutata, come provano le cronache. Vediamo gli ultimi fatti. Secondo quanto riferito nei giorni scorsi dal ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin, Oltralpe ben 851 immigrati clandestini sono accusati di «radicalizzazione di natura terroristica». Ma, di questi, solo per 231 è prevista l'espulsione e solo 180 si trovano attualmente in carcere. Ciò significa che gli altri 620 possono per ora andarsene più o meno indisturbati a zonzo per le strade francesi e non solo.L'avv. Thibault de Montbrial, fondatore del Centro di Riflessione sulla Sicurezza Interna, nel suo recente saggio Osiamo l'autorità, ha offerto un'analisi pessimistica, benché realistica della situazione in Francia in particolare ed in Europa in generale: «Ci rendiamo conto delle cifre sbalorditive, quando guardiamo l'aumento della criminalità legata all'immigrazione in Italia, Svezia e Germania dal 2015 - ha dichiarato - Queste cifre vengono nascoste, perché la gente si sente estremamente a disagio a parlarne. Molti, anche tra le forze dell'ordine e nei palazzi di giustizia, ritengono che verosimilmente non si sfuggirà ad un periodo di grande violenza. Nessuno sa quando esploderà, né quale possa esserne l'ampiezza, né come possa andare a finire. Ma è alquanto minoritaria l'ipotesi di un miglioramento della situazione senza traumi».In Danimarca, il primo ministro Mette Frederiksen ha avuto il coraggio di denunciare l'origine «non occidentale» della crescente criminalità, dilagante ormai nel Paese nordico: «Senza generalizzare, dobbiamo comunque riferirci ai fatti - ha dichiarato due settimane fa - Le ragazze vengono insultate o molestate semplicemente perché danesi. Oppure minacciate e sottoposte a tutela sociale, perché diventate troppo danesi. Un carretto di salsicce a Brønshøj è stato attaccato, perché vendeva carne di maiale. Un giovane su cinque di origine non occidentale è stato condannato al carcere prima dei 21 anni. Non è una novità ed è questo il problema. Va avanti da troppi anni». Una denuncia forte, chiara, circostanziata. Però rimasta sostanzialmente inascoltata. La misura più significativa assunta ha riguardato il bando per due anni da bar e locali notturni per i membri delle baby-gang. Quando è evidente, dalle parole dello stesso premier danese, come il problema non sia tanto la microcriminalità quanto l'intero sistema delle politiche migratorie, ben più impegnativo e tale da richiedere provvedimenti ben più complessi e drastici di un semplice maquillage sociale.Non serve a nulla, anzi è gravemente controproducente assecondare l'andazzo, come hanno fatto viceversa i giudici del tribunale amministrativo di Münster, in Germania, permettendo ad un muezzin, dopo cinque anni di silenzio, di ricominciare pure a chiamare la comunità islamica turca di Oer-Erkenschwick in moschea, diffondendo l'adhan, cioè il richiamo, con l'altoparlante per un massimo di 15 minuti tra mezzogiorno e le 14 di ogni venerdì. È stata così respinta la richiesta di silenziarlo, avanzata cinque anni fa da una coppia di coniugi tedeschi, Hans-Joachim e Lieselotte Lehmann, residenti nei pressi ed infastiditi dal rumoroso strumento. In primo grado, nel 2018, fu data loro ragione, ma quella sentenza è stata ora ribaltata e ciò si configura oltre tutto come un pericoloso precedente, perché altri possano decidere di fare altrettanto sull'intero territorio nazionale. Giungendo al paradosso di scatenare gli altoparlanti islamici proprio quando vengono imbavagliate le campane delle chiese cattoliche da giudici non altrettanto tolleranti verso la nostra religione...Anche in Italia episodi quali la rivolta degli immigrati presso il centro rimpatri di Milano o le ripetute aggressioni con tanto di coltello presso la stazione di Barletta sono solo segnali, offerti dalla cronaca nera, di un disagio molto più ampio, preoccupante e soprattutto, al momento, senza reali argini. Persino il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, lo scorso luglio ha dato la sveglia al governo «nella sua interezza», richiamandolo ad agire, sulla questione migranti, «con una politica adeguata». Segno evidente di come, ad oggi, adeguata non sia.Il problema non è congiunturale, ma strutturale. Il che significa che, anche al netto della jihad, cioè anche senza considerare le espressioni di puro terrorismo, è la concezione della persona e della società, ad esser radicalmente ed inconciliabilmente diversa tra l'Occidente con i suoi valori, quando accolti e non rinnegati, e l'islam con prassi, ad esser benevoli, sin troppo "disinvolte"...Il report stilato dal Carnegie Endowment for International Peace, ad esempio, evidenzia il ruolo giocato da Dubai nell'agevolare corruzione, criminalità e flussi di soldi illeciti, provenienti da Europa, Afghanistan, Russia, Iran ed Africa orientale, aggravando così i conflitti e la malavita internazionale, a tutti i livelli. In particolare, nell'emirato, il mercato immobiliare rappresenterebbe una fonte attrattiva di denaro sporco, complici anche regole minimali e sin troppo tolleranti.La Cbs ha denunciato la presenza, nelle carceri egiziane, di ben 60 mila prigionieri politici ancora in attesa o in assenza di processo. Tra di essi, figurerebbero molti attivisti ed accademici. Ma l'impermeabilità ai diritti umani riguarderebbe anche il ricorso alla tortura nei commissariati ed i fermi arbitrari, documentati ormai da diverse organizzazioni e da più fonti.Non solo. Già in passato il governo egiziano si è distinto per aver bloccato 21 siti web ritenuti «mendaci» ed accusati di sostenere «terrorismo ed estremismo». Tra i media colpiti figurano anche nomi "eccellenti" come Al-Jazeera, Asharq, Masr al Arabia, Al Shaab, Arabi 21, Rassd ed altri. Mada Masr, editato in arabo ed in inglese, non aveva alcuna contiguità con la Fratellanza Musulmana, ma era "reo" d'aver espresso posizioni critiche nei confronti dell'amministrazione alla guida del Paese.Sempre sul fronte mediatico, la Tunisia ha invece il problema opposto: un'autentica campagna d'odio viene promossa, qui, inquinando così la «formazione della coscienza collettiva - ha scritto Anwar al-Jamawi, docente universitario, sull'agenzia Al-arabi al-Jadid - Gli incitamenti dei media alla violenza ed alla ribellione non fanno altro che minacciare la stabilità e la pace sociale. Secondo un rapporto pubblicato da due associazioni tunisine, il Consiglio nazionale delle libertà e la rete dell'Alleanza per le donne tunisine, il 90% delle testate giornalistiche contiene discorsi di esortazione all'odio. Il 13% dei mass-media invita in maniera esplicita a fare ricorso alla violenza ed il 58% delle piattaforme mediatiche trasmette discorsi provocatori o di parte.

    Attentato islamico a Nizza: la Sharia è legge in Francia

    Play Episode Listen Later Nov 5, 2020 10:10


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6331ATTENTATO ISLAMICO A NIZZA: LA SHARIA E' LEGGE IN FRANCIA di Lorenza FormicolaL'11 settembre di Francia s'è consumato in poche ore. Proprio come a New York. Nella mattina di giovedì 29 ottobre l'islam colpisce a Nizza, Avignone, Gedda e Lione.A Nizza, nella cattedrale di Notre Dame, nella prima mattinata di ieri due donne e un uomo vengono assassinati da un terrorista islamico. In sottofondo sempre la stessa colonna sonora, Allah Akbar. Tutti e tre erano in preghiera quando il maomettano, nell'ordine, prima ha decapitato un'anziana signora, poi si è scagliato su una trentenne con un numero imprecisato di coltellate - morirà poco dopo, dissanguata, dopo aver provato a strisciare fuori la cattedrale - e infine si è accanito sullo storico sacrestano della cattedrale. Tre nuove vittime immolate sull'altare del multiculturalismo e proprio in una chiesa dove di lì a poco si sarebbe dovuto celebrare un altro sacrificio su un altare ben diverso.Del terrorista islamico si hanno generiche informazioni e non ancora perfettamente verificate dagli inquirenti. L'unica certezza è che l'uomo a fine settembre era a Lampedusa, dove era stato messo in quarantena dalle autorità italiane prima di essere lasciato libero: l'unico documento in possesso è quella della Croce Rossa italiana, c'è un nome e una data di nascita che nessuno dà per certi. L'Italia si conferma il ponte senza pedaggio del terrorismo islamico.E mentre nessuno lo ammette, quando tutti piangono lacrime di coccodrillo e la Francia si dimentica persino del nuovo lockdown annunciato da Macron nella serata di mercoledì, ad Avignone, c'è un altro uomo armato di coltello. Sempre al grido Allah Akbar prova ad aggredire due poliziotti in strada. Ma sarà lui stesso a perdere la vita dopo essere stato disarmato. Più o meno negli stessi minuti, ma ad altre latitudini, un uomo accoltella la guardia di sicurezza del consolato francese a Gedda.Nel primo pomeriggio, a Lione, viene fermato un altro islamico armato di coltello: l'arresto evita un'altra tragedia.Tre attentati islamici e uno sventato nel giorno in cui, quest'anno, i maomettani celebrano la nascita del profeta Maometto. La Francia, l'Europa sono in guerra. Il terrorismo islamico l'ha iniziata tempo fa. Ma dirlo è sconveniente. Però alle 4 del pomeriggio Macron finalmente ammette, per la prima volta, che la Francia è "sotto attacco".MA CHI LA STA ATTACCANDO?Non si sa, di sicuro non si tratta del nuovo coronavirus.La chiesa cattolica francese fa suonare le campane a morto in tutte le chiese del Paese alle 15. Il silenzio che segue è commovente. I vescovi uniti scrivono un comunicato in cui chiedono che urgentemente venga fermata la "cancrena". Questo è solo l'ultimo attentato contro il cristianesimo. In Francia ce n'è uno al giorno, ma pochissimi sono i colpevoli e i sacerdoti lo sanno bene. Qualche giovane sacerdote francese, come il noto padre Pierre-Hervé Grosjean, osa scrivere di barbari islamisti.Dal Vaticano il Papa si limita ad un tweet e fa sapere al mondo che «assicura la sua vicinanza alla comunità cattolica di Francia». Qualcuno si domanda se quei morti e la cattedrale insanguinata non sia cosa sua. Non sono i suoi figli? La vaghezza però trova come contraltare la fermezza dell'arcivescovo di Rouen, monsignor Lebrun, che nel 2016 ha visto un suo sacerdote, padre Hamel, morire da martire sempre per mano di un terrorista islamico, e tuona: "Non dobbiamo cedere alla paura. Non dobbiamo chiudere le nostre chiese". A Nizza la cattedrale è blindata per le indagini, ma le campane vengono fatte suonare oltre un'ora. E in serata arriva l'appello spontaneo dei cattolici: si riuniranno davanti alla statua di San Michele nel 5° arrondissement. "Ci sentiamo soli, ma non siamo soli". La stampa e la politica (soprattutto italiana), intanto, parlano di fanatismo, ma per la prima volta si evita l'espressione "disturbato mentale". Ad aprile 2019 Notre Dame a Parigi finiva ingoiata, misteriosamente, dalle fiamme, ad ottobre 2020 a Notre Dame a Nizza i cattolici finiscono decapitati.Erdoğan aveva solo pochi giorni fa chiamato a raccolta, e al boicottaggio, il mondo islamico contro la Francia di Macron, che difende la blasfemia e le vignette ironiche su Maometto, ma sbaglia chi crede che questi attentati siano una risposta all'aspirante sultano.Il problema francese ha radici più profonde e nessuno, oggi, può dire quando finirà la stagione del terrorismo islamista. La progressiva intensificazione delle manifestazioni di terrorismo non sono legate ad un mandante o a una cellula: l'uno ha galvanizzato l'altro nel desiderio atavico di rispondere al jihad chiesto da Allah.PRONTI A COLPIREUn mese fa, il ministro dell'Interno annunciava pubblicamente la presenza di 8000 radicalizzati, liberi, pronti ad attaccare in Francia. Gli "attentati al coltello", che da queste pagine non abbiamo mai smesso di denunciare e che hanno assuefatto i francesi come gli inglesi, erano stati teorizzati dallo stato islamico già 2014, incoraggiando tutti gli adepti che vivevano nelle terre degli infedeli (i cristiani!) ad impugnare coltellacci e a servirsi di automobili come kamikaze contro i crociati. Sempre Nizza era stata teatro di un attentato, il 14 luglio 2016, quando 86 persone vennero uccise in un attacco con camion lanciato sulla folla.La Francia, che pure durante la quarantena aveva dimostrato di essere preda della guerriglia islamica nei quartieri a predominio islamico, quest'estate è stata raggiunta dalla Gran Bretagna. Ad oggi gli inglesi detengono la classifica del Paese più colpito dall'epidemia di crimini da coltello. E saranno sempre tutti squilibrati, ma guarda caso sono sempre squilibrati islamici.In Francia negli ultimi quattro anni sono stati sventati 61 attentati terroristici di matrice islamica. Negli ultimi 24 mesi, più o meno, invece ben 34 sono riusciti. La Francia è a tutti gli effetti una polveriera, complice la politica migratoria incontrollata - tanti dei terroristi sono stati spesso finti richiedenti asilo spacciati per minorenni -, un multiculturalismo osannato e l'incapacità di definire l'islam e le sue caratteristiche.Entro la fine dell'anno verranno scarcerati oltre 500 islamici messi dentro per terrorismo, altri 700 hanno già fatto i bagagli. Non sono entrati come terroristi, ma è stato già certificato dai responsabili delle carceri che si tratta di ex criminali oggi radicalizzati. E chissà quanti altri sfuggono alla casistica.LA SHARIA È GIÀ LEGGEIn Francia esistono corti islamiche, la sharia è già legge (vedi decapitazioni per aver offeso Allah!), alcuni quartieri sono completamente persi, l'ingresso è interdetto alla polizia. L'ex ministro dell'Interno Collomb (dimissionario in protesta contro Macron e la sua ritrosia ad intervenire davvero) parlava di quartier de reconquete républicaine.La Francia, ma poi l'Europa tutta, hanno un problema serissimo, ma si preoccupano di sorridere delle vignette, provocare come alle scuole elementari, ma non dare un nome alle cose che non si combattono se non si definiscono.Il problema francese è l'islam, ma Macron parla ancora di "separatismo" al plurale imputando parte di tante responsabilità anche all'estrema destra, non solo al terrorismo maomettano.Nel frattempo solo ventiquattro ore prima dell'attentato nella cattedrale cattolica, la procura di Parigi annunciava l'avvio di indagini su 30 episodi di apologia del terrorismo e minacce di morte: in tutti i casi si giustificava e incitava a nuovi casi 'Samuel Paty'. Per il ministro dell'Interno, Gérald Darmanin, sono 80 le inchieste aperte in tutta la Francia contro quanti stanno cercando e difendendo l'omicidio del professore. L'attentato era annunciato, sì! Ma non da Erdoğan.Chi oggi si batte il petto, parla di tolleranza, solidarietà e accoglienza, sta continuando a fare il gioco del terrorismo. Indossa la stessa casacca del kamikaze che sogna il paradiso islamico con 72 vergini. Non c'entra niente l'islamofascismo, parola che riecheggia in queste ore e che non vuol dire tecnicamente niente. Gli attentati non si fermeranno e Allah Akbar continuerà a riecheggiare in Europa e in qualsiasi altro angolo del mondo che possa dirsi "non musulmano".Solo i paesi europei, però, potevano pensare di innovare negando la loro gloriosa storia, convinti che la legge e il commercio avrebbero governato il mondo. Il risultato è un fallimento assoluto: i popoli d'Europa sono arrabbiati per il pentimento permanente; le nazioni sono distrutte dal multiculturalismo e tanti stati se ne stanno con le mani legate dall'Ue.Non restano che le contraddizioni, le debolezze, la ridicolaggine del doppio gioco che è diventato il "doppio discorso" per non offendere nessuno. E nel frattempo i morti si moltiplicano. Mentre l'Italia è sempre più vicina ad essere la prossima della lista.Nota di BastaBugie: le chiese bruciate e il sacerdote decapitato nel 2016 fanno capire che la situazione francese è veramente drammatica. Per approfondire si possono (ri)leggere i seguenti articoli.L'INCENDIO ALLA CATTEDRALE DI NANTES E L'ODIO CONTRO I CRISTIANIIn Francia due chiese al giorno vengono vandalizzate e, guarda caso, in zone ad alta concentrazione musulmanadi Antonio Soccihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6210IL ROGO DI NOTRE DAME E' IL SIMBOLO DELLA FRANCIA CHE HA TENTATO DI ESTIRPARE LA FEDESono centinaia le chiese cattoliche francesi colpite, profanate o demolite ogni anno: questa situazione è il frutto di una cultura dell'odio, del rancore e del disprezzo per il cristianesimodi Enrico Maria Romanohttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5619IL SACERDOTE SGOZZATO E' UN MARTIRE CHE DA' FASTIDIOLa

    La francia reagisce alla decapitazione del professor Paty

    Play Episode Listen Later Oct 28, 2020 10:36


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6334LA FRANCIA REAGISCE ALLA DECAPITAZIONE DEL PROFESSOR PATYDa 15 anni fingiamo di non vedere l'islam radicale nelle scuole francesi, ora ci hanno dichiarato guerra, cosa rispondiamo?di Leone Grotti«Io sono anni che non parlo più del Corano ai miei alunni di 11-12 anni, anche se dovrei farlo in base al programma. Lavoro in una zona dove gli studenti ricevono una educazione religiosa fondamentalista. L'imam è molto aggressivo. Le prime volte che ne ho parlato i giovani sono insorti con veemenza, dicendomi che avevo torto, che il Corano ha sempre ragione e che prevale sulla legge penale». Così dichiara al Figaro Jeanne, docente di francese in una scuola secondaria del dipartimento degli Yvelines. La paura e la preoccupazione tra gli insegnanti francesi è grandissima dopo la decapitazione di Samuel Paty a Conflans-Sainte-Honorine.Il percorso che ha portato all'attentato è emblematico. Il 5 ottobre il professore di storia e geografia tiene una lezione sui «limiti della libertà di espressione» nella sua scuola di Bois d'Aulne, mostrando due caricature di Maometto realizzate da Charlie Hebdo. Per impedire che i suoi alunni musulmani si offendano, preannuncia ciò che sta per mostrare, consigliando a chi non se la sente di guardare di uscire per un momento dalla classe o di chiudere gli occhi, per poi rientrare in occasione della discussione.Il 6 ottobre, la madre di un'alunna protesta con la preside della scuola, sostenendo che la figlia «è stata confinata nel corridoio perché musulmana». Il 7 ottobre il padre di un'alunna denuncia «un clima d'islamofobia» nella scuola e chiede la sospensione di Paty. Brahim Chnina, la cui figlia frequenta la classe terza (equivalente alla nostra seconda media), parla su Facebook dell'immagine mostrata dal professore e invoca una «mobilitazione contro l'insegnante». Chnina, la cui sorellastra si è unita allo Stato islamico nel 2014, invita tutti a denunciare il professore al Collettivo contro l'islamofobia in Francia (Ccif).IL RADICALIZZATO, I VIDEO E LA DECAPITAZIONELa preside dell'istituto inizia a ricevere minacce e il 7 ottobre Chnina denuncia Paty per «diffusione di immagine pornografica». Anche la figlia denuncia il suo professore, nonostante non fosse in classe il giorno in cui aveva mostrato le vignette. L'8 ottobre Chnina, accompagnato da Abdelhakim Sefrioui, inserito dai servizi segreti nella lista dei soggetti radicalizzati, va dalla preside a protestare e la sera pubblica un video nel quale rivela il nome di Paty e incita i musulmani «a dire basta». I sindacati degli insegnanti chiedono alle autorità di ritirare il video, sapendo che «Paty rischia grosso», e chiedono al sindaco di Conflans-Sainte-Honorine di proteggere il docente. Il 12 ottobre Chnina, insieme alla figlia e a Sefrioui, pubblicano un secondo video spiegando i fatti e chiedendo la sospensione di Paty. Lo stesso giorno il professore, insieme alla preside dell'istituto, sporge querela per diffamazione. Il 16 ottobre Paty viene pugnalato e decapitato da un rifugiato russo 18enne di origine cecena, Abdhoullakh Anzorov, poi ucciso dalla polizia.Ieri i francesi sono scesi in piazza contro il terrorismo islamico e per ricordare Paty. Molti insegnanti hanno denunciato il «clima di tensione» in classe ogni volta che si parla di islam, testimoniando i frequenti insulti agli ebrei e a Israele e gli attentati terroristici giustificati dagli alunni, che spesso gridano in classe «Allahu Akbar». Come testimoniato a Tempi da Bernard Ravet, direttore per tre anni di tre collège pubblici nelle banlieue di Marsiglia e autore del libro Principal de collège ou imam de la République?, le scuole francesi sono troppo spesso completamente in mano agli islamisti e le autorità si disinteressano a un fenomeno che «mette in serio pericolo le fondamenta dello Stato».Anche Dominique Schnapper, che dal 2018 presiede il Consiglio dei saggi della laicità, voluto dal ministro dell'Educazione nazionale, Jean-Michel Blanquer, ha riconosciuto che «da quindici anni ci rifiutiamo di guardare in faccia la crescita dell'islam radicale nelle scuole». DOPO LE LACRIME E GLI HASHTAG, COSA FAREMO?È il segreto di Pulcinella che il direttore del Figaro, Alexis Brézet, ha voluto sottolineare ancora una volta nel suo editoriale:«Per due settimane Samuel Paty è stato oggetto di un complotto metodicamente ordito, attentamente organizzato. Dei militanti islamisti l'hanno preso di mira, perseguitato, calunniato. Tra loro un genitore ma anche un attivista islamista, schedato, membro di un "consiglio di imam di Francia". I membri di questa piccola banda l'hanno denunciato alla gerarchia. L'hanno segnalato alla polizia. Hanno gettato il suo nome in pasto ai social media. Hanno postato dei video ingiuriosi nel sito di una moschea. Non avranno armato direttamente la mano dell'assassino, ma hanno senza dubbio ispirato il suo gesto. "Non passeranno!", si dice. Ma la triste verità che tutti sappiamo è che sono già passati. L'influenza islamista pesa sulla scuola. Secondo un recente sondaggio, il 40 per cento degli insegnanti si "autocensura" su alcuni temi per non creare incidenti. La verità è che questi islamisti sono ben organizzati: hanno nel Ccif la loro vetrina ufficiale, hanno i loro negozi, le loro imprese, i loro brillanti avvocati, i loro attivisti, i loro predicatori che riempiono le moschee, i loro soldati e sicari. Possono contare sui partiti e i media. E adesso? E domani? Dopo le lacrime e gli omaggi, dopo i grandi discorsi e le manifestazioni, dopo gli hashtag, che cosa succederà? Continueremo con i compromessi davanti alla minaccia islamista o ci risveglieremo, opponendo alla guerra che ci è stata dichiarata un'altra guerra? Questa è la sola domanda che dobbiamo farci. Va bene la legge contro il separatismo ma questi islamisti non sono separatisti, sono conquistatori che vogliono sostituire, territorio per territorio, le nostre leggi con la sharia. Bisogna chiudere tutte le moschee dove si insegna a odiare la Francia. Espellere immediatamente gli imam stranieri che predicano l'odio. Espellere i radicalizzati stranieri e impedire ai francesi schedati come radicalizzati di essere assunti in impieghi sensibili. Bisognerà infine affrontare il tema dell'immigrazione incontrollata. Ci vuole coraggio, come quello che ha avuto Paty».Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "Perché la Francia non riesce a espellere i migranti irregolari radicalizzati" spiega che la Francia espelle appena 20 mila migranti all'anno a fronte di 100 mila domande d'asilo rigettate.Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 26 ottobre 2020:Si aspettava solo la conferma ufficiale ed è arrivata puntuale venerdì: Abdullakh Anzorov, il giovane che ha decapitato il docente francese Samuel Paty, aveva legami con i jihadisti in Siria. Il 18enne era un rifugiato con regolare permesso di soggiorno fino al 2030, ma in reazione all'ennesimo attentato terroristico è cresciuta in Francia l'insofferenza verso l'incapacità del paese di espellere gli immigrati (radicalizzati o meno), soprattutto quando non sono in possesso di un permesso di soggiorno.Un'indagine del Figaro mostra quanto sia legalmente difficile espellere gli ospiti irregolari. In un articolo per il quotidiano francese Didier Leschi, direttore generale dell'Ufficio francese dell'immigrazione e dell'integrazione (Ofii), spiega che anche quando l'Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi (Ofpra) rigetta una richiesta d'asilo, è sempre possibile effettuare ricorso alla Corte nazionale del diritto d'asilo (Cnda), potendo contare in automatico sull'assistenza di un avvocato pagato dallo Stato. Il ricorso impedisce di ricondurre alla frontiera il richiedente quando questo proviene da un paese che non è ritenuto «sicuro». L'Ofpra respinge ogni anno circa 100 mila richieste di asilo ed è compito dei prefetti, una volta bocciato il ricorso, emettere l'ordine di espulsione (Oqt). Questo può essere però contestato entro un mese e in ogni caso il soggiorno clandestino in Francia non è più un reato dal 2012. Anche chi viene ritrovato senza documenti non può essere arrestato ma detenuto in un centro amministrativo per un massimo di 90 giorni.Spesso l'espulsione viene bloccata perché il richiedente presenta all'Ofii una richiesta di interrompere la procedura a causa di un precario stato di salute. Fino al 2016, quando le richieste erano gestite dalle aziende sanitarie locali, l'80 per cento delle richieste veniva accettato. Dal 2016, da quando cioè le richieste vengono gestite direttamente dall'Ofii, il tasso è diminuito al 50 per cento. In aggiunta, resta il problema dei paesi d'origine, che possono sempre rifiutarsi di far rientrare l'immigrato, insieme ai «problemi di sicurezza sull'imbarco di passeggeri recalcitranti su un aereo». La pandemia complica tutto: i paesi d'origine richiedono che gli immigrati siano in possesso di un tampone negativo. «Il tampone però non può essere fatto con la forza. Chi si rifiuta deve essere obbligato con l'intervento della giustizia. Che però non sempre interviene». Titolo originale: Da 15 anni fingiamo di non vedere l'islam radicale nelle scuole francesiFonte: Tempi, 19 ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 688

    Musulmano Pakistano stupra una bambina Cristiana di 6 anni

    Play Episode Listen Later Sep 29, 2020 8:18


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6303MUSULMANO PAKISTANO STUPRA UNA BAMBINA CRISTIANA DI 6 ANNI di Leone GrottiTabitha, giovane cristiana pakistana di 6 anni, è stata aggredita mentre rientrava da scuola da un un giovane musulmano di 18 anni, Muhammad Waqas, trascinata in casa, spogliata e stuprata. Il crimine è avvenuto a Lahore un anno fa, il 12 settembre, e non solo giustizia non è stata fatta, ma la famiglia della bambina è costretta a scappare per le minacce della comunità islamica locale.Dopo aver trovato la figlia con i vestiti strappati fuori dalla casa di Waqas (molti testimoni avevano visto il giovane trascinare la bambina), il padre di Tabitha, Munir Balli Masih, denunciò il ragazzo musulmano alla polizia, che lo arrestò il giorno stesso. Portata in ospedale, una perizia medica confermò lo stupro e l'autore della violenza.La famiglia di Waqas propose subito ai cristiani di accettare un risarcimento in denaro e di ritirare la denuncia, ottenendo però da Masih un rifiuto. Il 4 febbraio una prima richiesta di rilascio su cauzione del musulmano è stata respinta dai giudici. Successivamente, però, le pressioni e le minacce della comunità musulmana alla famiglia cristiana si sono fatte insistenti: «Due imam delle moschee locali sono venuti a casa mia e mi hanno chiesto di ritirare la denuncia», spiega Masih alla British Pakistani Christian Association. «Mi hanno detto: "Se non lo farai, bruceremo la tua casa e porteremo via le tue altre figlie". Io per la paura sono scappato subito con mia moglie e le mie bambine in un villaggio vicino da alcuni familiari».Ma anche lì fu rintracciato dai Waqas, che si appellò ad alcune potenti famiglie locali per far desistere Masih. «Hanno invitato me e mia moglie a casa di un influente musulmano. Lui e gli altri sedevano su poltrone e divani, noi abbiamo dovuto sederci per terra. Ci chiamavano "Churas", sporchi cristiani, e insistevano perché prendessimo i soldi e ce ne andassimo per sempre».Masih rifiutò di nuovo 60 mila rupie (300 euro) e tornò a casa sua, non sentendosi più al sicuro nell'abitazione dei familiari. Poche settimane fa, l'8 settembre, Muhammad Waqas è stato liberato su cauzione in attesa dell'inizio del processo, gettando nello sconforto la famiglia della piccola Tabitha, che alla Bpca dichiara: «Ho paura a tornare a scuola, ho paura che mi picchi e mi trascini a casa sua di nuovo».Tabitha non è la sola cristiana ad aver subito violenze e ingiustizie. Ogni anno 2.000 ragazze circa appartenenti a minoranze religiose vengono rapite e maltrattate, spesso convertite a forza all'islam e obbligate a sposarsi. Tra i casi più recenti, hanno fatto enorme scalpore quelli di Maira Shahbaz e Huma Younas, entrambe quattordicenni.Nota di BastaBugie: il precedente articolo si concludeva ricordando il caso di Maira Shahbaz. Nell'articolo seguente dal titolo "Maira, rapita da un musulmano e violentata, è scappata" se ne racconta la drammatica storia.Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 26 agosto 2020:Mohamad Nakash, l'uomo che secondo l'Alta Corte di Lahore sarebbe suo legittimo marito perché, secondo il giudice, l'adolescente si sarebbe convertita all'islam. Maira dopo la fuga si è recata presso una stazione della polizia riferendo fra l'altro di essere stata filmata mentre veniva violentata dal sequestratore. La ragazza di Madina Town (Punjab) insieme alla madre Nighat e a tre fratelli sono attualmente in fuga dall'abitazione di Nakash, residente nei pressi di Faisalabad, luogo dove secondo fonti vicine ai familiari della vittima sarebbe stata anche costretta a prostituirsi. Maira ha confermato di rifiutare l'abiura della propria fede cattolica, sottolineando di essere stata ingannata tramite la firma di documenti in bianco estortale dal rapitore. Ha aggiunto che il sequestratore e i suoi complici l'hanno minacciata di pubblicare online il video dello stupro qualora non si fosse attenuta alle loro richieste. La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) è entrata in possesso, tramite il legale della famiglia, l'avv. Khalil Tahir Sandhu, del documento attestante le dichiarazioni rese da Maira alle forze di polizia. Descrivendo quanto accaduto dopo il sequestro avvenuto lo scorso aprile la minorenne ha dichiarato: «Mi sono trovata in un luogo sconosciuto dove l'accusato mi ha costretta a prendere un bicchiere di succo contenente un alcolico. In quel momento ero semi cosciente e l'accusato mi ha stuprata violentemente e mi ha anche filmata mentre ero nuda. Quando sono tornata in me ho iniziato a gridare e a chiedere loro di lasciarmi andare. Hanno minacciato di uccidere tutta la mia famiglia. Mi hanno anche mostrato il video in cui ero nuda e le foto che avevano scattato con i loro cellulari mentre mi stupravano». La vittima ha ribadito: «La mia vita era in balia dell'accusato e... Nakash mi ha stuprata ripetutamente e violentemente». L'attivista per i diritti umani Lala Robin Daniel, in un colloquio con Acs, ha descritto la vita in fuga della vittima, costretta a spostarsi continuamente da un posto all'altro. «Maira è traumatizzata. Vogliamo portarla da un medico ma temiamo di essere scoperti». La famiglia ha richiesto l'arresto di Mohamad Nakash per crimini sessuali ai danni di un minore e l'avv. Tahir Sandhu si è rivolto all'autorità giudiziaria per ottenere l'annullamento del presunto matrimonio e il riconoscimento della violenza subita anche per ottenere la conversione all'islam. Il presunto sequestratore ha reagito richiedendo l'arresto della madre della vittima, Nighat, degli zii e di Lala Robin Daniel asserendo che loro avrebbero rapito la ragazza portandola via dalla propria casa nei pressi di Faisalabad. Sono passate quasi tre settimane dopo la decisione assunta dall'Alta Corte di Lahore a favore di Mohamad Nakash, nonostante il legale di Maira abbia prodotto un certificato di nascita ufficiale dal quale risulta che l'adolescente aveva 13 anni al tempo del presunto matrimonio che si sarebbe consumato mesi prima del sequestro, lo scorso ottobre. Il religioso islamico citato nel certificato di matrimonio lo ha peraltro dichiarato falso e si è rivolto alle forze di polizia. Dopo mesi dal sequestro e dalle violenze fisica e spirituale Maira attende giustizia, e con lei restano in attesa le altre 2.000 ragazze che ogni anno in Pakistan subiscono trattamenti simili. Titolo originale: Pakistan, musulmano aggredisce e stupra una bambina cristiana di 6 anniFonte: Tempi, 22 settembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 684

    Santa Sofia trasformata in moschea: Erdogan vuole restaurare l'impero ottomano

    Play Episode Listen Later Jul 24, 2020 9:29


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6219SANTA SOFIA TRASFORMATA IN MOSCHEA: ERDOGAN VUOLE RESTAURARE L'IMPERO OTTOMANO di Souad SbaiSe qualcuno nutriva ancora dei dubbi sulle intenzioni restauratrici neo-ottomane del sultano Erdogan, la decisione della Corte suprema turca che spiana la strada alla riconversione in moschea di Santa Sophia a Istanbul dovrebbe mettere in chiaro una volta per tutte la realtà della minaccia rappresentata dai Fratelli Musulmani.Obiettivo della Fratellanza fin dalla sua fondazione in Egitto nel 1928, è la rinascita del Califfato abolito da Ataturk nel 1924. Attraverso i decenni, è passato quasi un secolo, tale aspirazione ha trovato pieno slancio e vigore politico proprio in Turchia nell'islamismo incarnato da Erdogan, di cui solo la decadenza culturale occidentale poteva non riconoscerne immediatamente la vera natura. Eppure Erdogan lo aveva detto in maniera chiara e inequivocabile già prima d'intraprendere la scalata politica e istituzionale che lo avrebbe portato al vertice supremo del regime fondamentalista e liberticida da lui oggi instaurato: "I minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri elmetti, le moschee le nostre caserme". E per averlo detto ha affrontato persino il carcere. Alla sua chiarezza, non è stato però dato sufficiente credito, al punto che Europa e Stati Uniti ne hanno persino favorito l'ascesa al potere. Inutile ora piangere sul latte versato, di fronte al "mostro" che mostra in tutta evidenza i suoi tratti somatici.I numerosi manifestanti accorsi nel piazzale antistante Santa Sophia per festeggiare subito dopo la sentenza della Corte, alzando il braccio con le quattro dita della "rabia", gesto tipico dei Fratelli Musulmani ripetutamente utilizzato da Erdogan, hanno così lanciato la sfida dell'islamismo al mondo intero, come a dire: "Siamo tornati, e vinceremo", una dichiarazione di guerra che ha scaldato i cuori dei milioni di seguaci della Fratellanza diffusi e ben radicati in tutti i continenti. Niente più ricerca del dialogo e della coesistenza pacifica tra religioni e culture diverse, dunque, ma sottomissione e predominio, a partire da Santa Sophia, simbolo della chiusura del capitolo storico delle guerre con il cristianesimo, capitolo che Erdogan ha invece riaperto, rilanciando contemporaneamente con le sue dichiarazioni (in arabo) quello relativo a Gerusalemme e alla moschea di Al Aqsa, quali culmine della riconquista del Medio Oriente di ottomana memoria.Le vicende di Siria, Egitto, Tunisia, Libia, per citare i casi più eclatanti, non ci dicono ancora nulla? Come contrastare, oggi e domani, l'espansionismo militare islamista capitanato da Erdogan, che per avanzare si serve senza scrupoli anche del terrorismo jihadista? Il prossimo passo sarà la ricostituzione ufficiale del Califfato: il sultano Erdogan I e i suoi successori non si fermeranno.Nota di BastaBugie: Silvia Scaranari nell'articolo seguente dal titolo "Basilica, moschea o museo: il difficile ruolo di Santa Sofia" racconta la storia della Basilica di Santa Sofia voluta dall'imperatore Costantino nel IV secolo e che è stata per oltre mille anni una chiesa cristiana.Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 luglio 2020:Santa Sofia a Istanbul è simbolo di un passato che non è più. [...] Progettata a partire dal 350 d.C., più volte distrutta e ricostruita con significativi cambi di stile, deve l'aspetto attuale all'imperatore Giustiniano che ne ordina la nuova progettazione nel 532, dopo l'ennesimo incendio che l'aveva distrutta quasi completamente, affidandone il progetto a Isidoro di Mileto. Sempre Giustiniano la fa consacrare nel 537 e da quel momento diventa la sede del Patriarcato di Costantinopoli e delle cerimonie imperiali bizantine.Dopo lo scisma fra cattolici e ortodossi del 1054 resta ovviamente di rito ortodosso tranne un breve periodo in cui è trasformata in cattedrale cattolica durante la IV crociata e il successivo Regno Latino d'Oriente (1204-61) divenendo anche luogo per l'incoronazione ad imperatore di Baldovino I.Ritornata in mano ai bizantini nel 1261 subisce un nuovo e radicale cambio di destinazione nel 1453 dopo la conquista della città da parte dei musulmani guidati da Maometto II. Nella sua decisa avversione verso i cristiani ordina subito che venga convertita in moschea con il nome di Aya Sofya. Fa costruire all'esterno i minareti che ancora oggi la circondano e coprire con calce bianca gli affreschi interni. Inoltre la dota di un ricco mihrab, la tipica nicchia che indica la direzione della Mecca e di fronte alla quale i fedeli musulmani compiono le preghiere rituali. Molti elementi tipici dell'arte ottomana sono aggiunti nel tempo per rispondere al desiderio dei sultani di abbellire questo luogo sacro, luogo di preghiera ma soprattutto luogo simbolo della sconfitta dei cristiani.Con la fine della Prima Guerra Mondiale la Turchia, cuore dell'impero ottomano sconfitto e sgretolato in diversi staterelli dagli accordi di Sèvres, si trasforma in una Repubblica laica sotto la guida del Presidente Mustafa Kemal Atatürk (Padre dei Turchi, 1881-1938).Mustafa Kemal, nato a Salonicco da una famiglia di condizioni medio-basse (il padre prima ufficiale dell'esercito poi commerciante di legname) viene educato all'islam ma fin da giovane si avvicina ai Giovani Turchi, di impostazione nazionalista e laica, poi fa una brillante carriera militare e aderisce alla massoneria turca relegando la fede ad una dimensione puramente formale. Salito al potere instaura una politica di severa laicizzazione in tutta la Turchia, introducendo riforme che portano sempre di più la nuova nazione nell'orbita occidentale. Nel 1935 improvvisamente una decisione azzardata ma di forte valore simbolico: la moschea Aya Sofya deve essere trasformata in un museo. [...]Sotto la guida del Governo da parte di Erdoğan, dal 2013 dai minareti del "museo" viene lanciato l'invito alla preghiera. Il Presidente della Repubblica, visitando il Museo in veste ufficiale nell'anniversario della conquista di Costantinopoli, ha recitato l'apertura del Corano in ricordo di tutti quelli che hanno lavorato per restaurarla ma soprattutto per coloro che l'hanno conquistata. Con questo gesto ha palesemente espresso l'intento di ripristinare l'antico ruolo di moschea dell'attuale museo.

    I più grandi schiavisti di neri sono stati i musulmani

    Play Episode Listen Later Jun 16, 2020 8:46


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6173I PIU' GRANDI SCHIAVISTI DI NERI SONO STATI I MUSULMANI di Marco Di MatteoTra le tante menzogne storiografiche c'è la convinzione che la tratta degli schiavi rappresenti una pagina nera della storia umana da addebitare solo all'Occidente cristiano, mentre le comunità musulmane sarebbero state immuni da discriminazioni e pregiudizi razziali.In realtà, come riconosce lo storico francese Pétré-Grenouilleau, «ci sono tanti esempi, sparsi nel tempo e nello spazio, che ci indicano come la presenza di schiavi non fosse di minore importanza nel mondo musulmano». Anzi, ribadisce l'economista belga Paul Bairoch, «rispetto al commercio di schiavi neri organizzato dagli Europei, il commercio di schiavi del mondo musulmano è iniziato prima, è durato più a lungo e, cosa più importante, ha colpito un numero maggiore di schiavi». D'altra parte il Corano legittima la schiavitù dei non musulmani.Per lo studio del fenomeno è utile distinguere tre periodi: VII-XII secolo, XVI-XVIII secolo, XIX-XX secolo.1) LA SCHIAVITÙ ALLE ORIGINI DELL'ISLAM E NELL'IMPERO ABBASIDE (750-1258)Il commercio degli schiavi nell'Islam cominciò già nel 652, allorché il generale Abdallah ben Said impose ai cristiani della Nubia (alta valle del Nilo) la consegna di 360 schiavi all'anno. Nelle grandi estensioni mesopotamiche, all'inizio dell'era musulmana, gli schiavi neri erano impiegati per togliere lo strato di natron che ricopriva il terreno. Nell'impero dei califfi della dinastia degli Abbasidi, la schiavitù rappresentò uno dei pilastri economici. Fondamentale fu il loro utilizzo nella bonifica della regione del basso Iraq, che allora era un'immensa palude. Vi lavoravano soprattutto gli Zandj dell'Africa Orientale, che costituivano, per l'immenso numero, «greggi di uomini macchina» (Pétré-Grenouilleau) che, a causa delle durissime condizioni in cui operavano, morivano come mosche. Anche l'estrazione mineraria delle pietre preziose e dell'oro della Nubia, l'estrazione del sale di Tegazza e Taoudeni nel Sahara, nonché la pesca delle perle nelle regioni del Mar Rosso, erano affidate agli schiavi di colore. Questi potevano svolgere anche la funzione di scorta per le carovane, guardiani delle merci, portatori, magazzinieri, eunuchi addetti alla custodia degli harem, soldati negli eserciti.2) LA TRATTA DEI NERI TRA XVI E XVIII SECOLONel XVI secolo in prima linea nello sfruttamento della popolazione di colore fu il Marocco, che fece prosperare le sue piantagioni di canna da zucchero grazie al massiccio ricorso alla manodopera schiavile. La conquista marocchina della grande ansa del Niger ebbe come scopo principale proprio quello di procurarsi i prigionieri necessari a quell'impiego. Nel 1698 la conquista delle isole di Zanzibar e Pemba da parte del sultanato di Oman innescò un cospicuo traffico di schiavi neri, che venivano sfruttati sia nel commercio delle spezie che nella produzione di avorio, trasportato in condizioni disumane.A volte gli schiavi servivano anche come moneta di scambio per mercanzie e servizi vari. Oltre all'avorio, Zanzibar e Pemba detenevano il monopolio mondiale nella produzione di chiodi di garofano. Il lavoro dei neri era utilizzato anche nella produzione di miglio, sesamo e noci di cocco, nelle piantagioni di canna da zucchero di Pangani e in quelle di cereali sulle coste del Kenya. Nelle zone sahariane dell'Africa del Nord, così come negli spazi saheliani del Sud, gli schiavi furono addetti alla costruzione e manutenzione dei sistemi di irrigazione, in particolare delle foggara, gallerie in gran parte sotterranee che servivano a convogliare l'acqua. Nei dintorni del lago Ciad la tratta fu intensamente praticata dagli stati musulmani di Baguirmi, Wadai e Darfur. Nelle regioni del golfo Persico gli schiavi coltivavano la terra, curavano i palmeti, facevano la raccolta dei datteri.3) LO SCHIAVISMO TRA XIX E XX SECOLONell'Ottocento il ruolo degli schiavi impegnati nell'agricoltura nelle regioni saheliane crebbe ulteriormente. Senza di loro le oasi non avrebbero potuto funzionare e il deserto avrebbe rappresentato una barriera impenetrabile tra l'Africa tropicale e il mondo mediterraneo. Le montagne e le oasi del Sahara possono essere considerate l'equivalente arabo delle isole dell'Atlantico, cuore della tratta occidentale.Molto importante era anche la rotta che seguiva lo spartiacque tra il Nilo e il fiume Congo, frequentata da negrieri (come il famoso Tippu Tip di Zanzibar) provenienti dell'Africa orientale, dove promotori del commercio di schiavi furono i popoli musulmani Yao, Fipa, Sangu e Bungu. Il sultanato di Jumbe, che si sviluppava intorno al lago Nyasa, fu istituito nel 1846 proprio con lo scopo di favorire la tratta. Nelle regioni del Mar Rosso in questo periodo fu ulteriormente incrementata, mediante l'utilizzo massiccio di schiavi, la pesca delle perle.In tutti questi casi, il trattamento riservato agli schiavi di colore da parte degli arabo-islamici era durissimo: conferma di ciò è l'assenza nei paesi arabo-musulmani di comunità di colore numerose e originali, a differenza delle Americhe, dove vivono oggi 70 milioni di discendenti di schiavi o meticci africani. Tra le cause principali dell'esiguità e insignificanza delle comunità nere nei paesi arabi, sono da menzionare: l'altissima mortalità, dovuta alle disumane condizioni di lavoro e alla crudeltà dei padroni, la forzata assenza di prole degli eunuchi, il mancato sostegno alla loro riproduzione da parte dei proprietari.LA TRATTA CONTINUA ANCORA OGGI...Da questo sommario quadro emerge che la tratta fu uno degli elementi fondamentali della dinamica espansionistica musulmana, sia politica che economica, dando origine, come ha affermato lo storico Claude Cahen, ad una vera e propria «società di schiavi». Questo sistema schiavile ebbe anche dei risvolti negativi, perché rallentò lo sviluppo tecnico-scientifico e contribuì alla stagnazione sociale dei paesi islamici.Volendo trarre un bilancio numerico, gli esperti hanno valutato che più di 20 milioni di Africani sono stati venduti come schiavi dai musulmani fra il VII e il XX secolo (perlopiù donne e bambini). Ma la tratta continua ancora oggi...Tra le tante sure coraniche sulla schiavitù, particolarmente significativa ci sembra la seguente: «quando incontrerete quelli che non credono, uccideteli fino a che non ne abbiate fatto strage; allora, rafforzate le catene dei rimanenti» (XLVII, 4).

    Aisha Silvia Romano e Asia Bibi: due donne a confronto

    Play Episode Listen Later May 19, 2020 17:46


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6134AISHA SILVIA ROMANO E ASIA BIBI: DUE DONNE A CONFRONTO di Lorenza FormicolaEsistono due mondi che non si incontreranno mai, neanche come imputati del tribunale del politicamente corretto perché non si tratta di questi argomenti e resteranno per sempre uno di fronte all'altro alla corte dell'onestà intellettuale. Perché uno di questi mondi si porta tantissimo sui media, l'altro non avrà mai un ruolo da protagonista sul proscenio della cattiva coscienza occidentale.Da una parte di questi due mondi c'è Asia Bibi dall'altra che Aisha Silvia Romano. Quando Asia Bibi viene arrestata è il 19 giugno del 2009; è una giovane donna cristiana madre di cinque figli, che mentre andava a prendere un po' d'acqua con un secchio in un pozzo del suo villaggio le altre donne presenti le dicono che "Haram" vietato all'islam! Non può bere, non può toccare quell'acqua e nasce una discussione e a quel punto le intimano una repentina conversione all'islam, perché Asia è cattolica. Ma Asia si rifiuta, "Credo in Gesù" è la sua prima risposta. Le donne la circondano, esigono un giuramento ad Allah. Allora Asia replica "Gesù Cristo è morto sulla croce per i peccati dell'umanità. Che cosa ha fatto il vostro profeta Maometto per salvare gli uomini?". Una domanda retorica che fai in primis a se stessa "Perché dovrei convertirmi ad Allah?". Ma questa domanda rivolta alle compagne di lavoro costa ad Asia Bibi la condanna a morte. Viene accusata di blasfemia, resta in carcere per 9 anni. Verrà anche la magistratura a trovarla dietro quelle sbarre; le chiederanno ancora di convertirsi all'islam, una scelta che la libera e le salverà la vita le promettono. Ma Asia non crede né cede a quella ipocrita libertà. "Io ho ringraziato di cuore per la proposta ma ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cattolica che uscire dal carcere da musulmana. Sono stata condannata perché cristiana. Credo in Dio e nel Suo grande amore. Sì, mi avete condannata a morte perché amo Dio. Sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui". Sarà questa la risposta della cattolica Asia Bibi a chi le aveva ancora, dietro le sbarre, promesso la salvezza in cambio di un giuramento ad Allah.Passeranno gli anni e con essi le sentenze seguiranno senza sosta. Asia Bibi sarà sottoposta a tutti i gradi di giudizio: nove anni lontana dai figli e dal marito nel braccio della morte pakistana in una lurida cella, mentre per il popolo pakistano, per gran parte della politica e per gli imam di tutto il mondo, ma soprattutto per quelli locali, Asia Bibi deve morire. Già troppa accondiscendenza nelle aule di tribunale: va impiccata! Già troppe sentenze, troppo tempo! Era una decisione per il mondo islamico pakistano, ma anche per quello mondiale, che andava presa subito. Non doveva neanche finire in tribunale. La legge nera sulla blasfemia parla chiaro infatti c'è la pena capitale per chiunque sia reo di bestemmia contro il profeta, il Corano e i suoi contenuti. La bestemmia di Asia Bibi è stata quella di non riconoscere Allah come il suo dio.ASIA BIBI DEVE MORIRE!Le proteste nel paese, ogni anno di più, si moltiplicano e raggiungono anche le piazze animate da imam locali di Francia, Inghilterra, Germania. Ci saranno manifestazioni nel centro delle capitali europee con cartelli che recitano "Asia Bibi deve morire!". L'assoluzione e l'eventuale liberazione dal carcere di Asia vengono definiti come il risultato di un accordo con l'occidente e che sia anatema quest'accordo, dicono i musulmani. Ma quando, ad ottobre del 2018, finalmente viene assolta dalla corte suprema il Pakistan è in fiamme. Il palazzo della Corte Suprema quel giorno ad Islamabad viene circondato da 300 poliziotti; le proteste mettono a ferro e fuoco il paese. La Corte cede alle proteste del partito islamico sunnita e, non solo la giovane donna non viene subito liberata e continuerà a restare in carcere per molti mesi, ma su Asia pende anche il divieto di lasciare il Pakistan. Questo vuol dire una condanna a morte, non più per mano del governo, ma dei cittadini islamici. Questo "accordo", con molte virgolette, mette fine alle sommosse che hanno bloccato le principali città come se il popolo islamico in quel momento con quel divieto di lasciare il Pakistan che pende sulla testa di Asia Bibi trova conforto: in qualche modo la faremo fuori. Eppure il Pakistan continua un pochino a lamentarsi, il mondo islamico continua a lamentarsi in ogni angolo del pianeta. È così che soprattutto nella capitale e nelle principali città pakistane i cristiani sono costretti a restare a casa in quei giorni. Le forze di sicurezza presidiano chiese e altri edifici religiosi. I dimostranti per giorni, prima di quell'accordo, avevano sfilato bruciando fotografie di Asia Bibi. La avevano disegnata con un cappio alla testa e la scritta "Impiccatela".Solo il 29 maggio 2019 la corte suprema del Pakistan respinge sia il ricorso contro l'assoluzione di Asia Bibi che il divieto di lasciare il paese. Grazie anche all'egregio lavoro del suo avvocato e ad alcuni aiuti della comunità internazionale, ma soprattutto accidentale, grazie a un accordo internazionale l'8 maggio del 2019 l'avvocato ottiene di far ricongiungere la giovane donna con la sua famiglia, nel frattempo costretta a vivere nascosta in Canada e oggi Asia è in Canada. Quegli anni di prigionia significano una tensione tale che Asia inizia a soffrire di disturbi cardiaci. Significheranno violenze e sevizie, maltrattamenti e umiliazioni. Racconterà di quando le fu messo un collare al collo talmente stretto da farle mancare il respiro, era attaccato a una lunga catena alle manette della guardia che la tirava, come fosse un cane. Racconterà cosa significa essere donna e cattolica in un paese islamico. E dirà siamo chiamati sciuri, che sta per colui che pulisce i bagni; quando facciamo i documenti identità siamo obbligati a dichiarare la nostra religione. Il nostro passaporto ha un colore particolare, è nero. Prima ancora di aprire sanno che siamo cristiani; il che vuol dire una sola cosa: discriminazione.SILVIA ROMANOMentre Asia vive la sua lunga agonia, in quelli stessi mesi del 2018, una ragazza italiana, partita per l'Africa per fare la cooperante con una ONLUS, viene rapita. Anche se la ricostruzione dei fatti che oggi tutti conosciamo più che di rapimento lascerà intendere che è stata tradita, da chi si trovava con lei nella Onlus in Kenya e quindi venduta ai terroristi islamici e trasportata, portata in Somalia. Dopo circa un anno e mezzo di silenzio di prigionia il governo italiano paga il riscatto ai terroristi islamici di Al-Shabaab. La ragazzina che era partita come Silvia Romano ritorna come Aisha.Aisha in arabo è la madre dei credenti, la più importante delle spose di Maometto. Aveva 6 anni Aisha quando viene perfezionato il contratto di matrimonio con il profeta di Allah che nel frattempo ne aveva 50; è così che Silvia vuole conservare la memoria di una delle spose maomettane e iniziare la sua nuova vita. Lo ha reso noto, l'abbiamo visto tutti, a tutto il mondo appena è atterrata a Ciampino. Ci hanno ripetuto in questi giorni di non poter giudicare la conversione di una giovane donna, che la fede è un fatto personalissimo nel quale nessuno può entrare. È bellissimo, se non fosse che l'Islam non è un fatto puramente personale, non lo è mai. Il velo, la cui invenzione è politica e non vi è traccia nel Corano, è il modo con cui l'Islam ha deciso di coprire le sue donne. È una specie di elmo, simbolo di una guerra culturale che la religione di Maometto combatte contro l'occidente, è simbolo di una separazione. La funzione è quella di protezione dall'esterno e questo significa che ciò che le donne islamiche hanno intorno, a ovest del mondo, in Occidente, la terra che abitano i crociati, i cattolici, i cristiani è un pericolo, qualcosa da cui ci si deve guardare perché impuro come impure sono le parti del corpo femminile (capelli, collo, a volte mani e spalle per gli abiti islamici più rigidi) della donna che dai 9 anni deve iniziare a coprire per non disturbare o distrarre l'uomo che le considera concupiscibili.E allora come si può non giudicare offensivo quel velo o come qualcosa di privato di personale. Silvia avrà sicuramente subito pressioni e violenze anche psicologiche, nonostante ad oggi però non ha fatto che negarle aggiungendo di non essere mai stata carcerata e sempre trattata bene. Probabilmente quel velo, con cui è atterrata in Italia e che non ha voluto togliersi neanche nei giorni successivi e che non è un abito somalo ma solo islamista era una tattica di sopravvivenza. Non lo sappiamo. Quell'abito è quello a cui Asia Bibi non ha voluto cedere e di cui Silvia, Aisha, si è comunque rifiutata di liberarsi una volta riconsegnata alla sua famiglia; anzi ha rivendicato quel velo e quel nome.UNA VACANZA STILE AVVENTURAGiustamente, fa notare però Fausto Biloslavo, tutto ciò lascia immaginare che abbia trascorso più una vacanza stile avventura nel mondo piuttosto che un sequestro a questo punto. Perché per un ospite più che un ostaggio non si paga un consistente riscatto per vederla fuori dall'inferno jihadista somalo e soprattutto ci si chiede se la ragazzina sia disposta a condannare prima o poi il rapitore del gruppo armato islamico Al-Shabaab, quelli che utilizzano la bandiera nera dello Stato islamico anche se sono in gran parte affiliati ad Al Qaida. Giustamente la vaghezza delle deposizioni che Silvia Romano ha fatto agli inquirenti dopo quasi due anni di silenzio lasciano domande irrisolte: perché non fornire tanti dettagli? Per reticenza? Un modo per impedire di arrivare ai sequestratori? Incapacità di intendere e di volere? Ci racconterà la storia o forse no. Per adesso la vicenda della nuova Aisha e della sua conversione ha lasciato un segno che non è scenografico ma talmente reale che passerà ancora molto tempo prima che si smetta di parlarne.

    Le frasi choc degli islamici italiani sulla conversione di Silvia: ''Ma quali terroristi? L'hanno solo rieducata''

    Play Episode Listen Later May 12, 2020 6:15


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6128LE FRASI CHOC DEGLI ISLAMICI ITALIANI SULLA CONVERSIONE DI SILVIA: ''MA QUALI TERRORISTI? L'HANNO SOLO RIEDUCATA'' di Elena Barlozzari e Alessandra BenignettiCi sono tanti aspetti della storia di Silvia Romano ancora da chiarire, ma uno di quelli che sembra aver suscitato maggior interesse nell'opinione pubblica è il segreto della sua conversione.La scelta di abbracciare la stessa religione dei suoi carcerieri, di quelli che hanno fatto irruzione nella sua vita strappandola alla libertà e agli affetti per 18 mesi, è una cosa che sfugge all'umana comprensione. Non esistono spiegazioni razionali che ci mettano al sicuro da ciò che non riusciamo a decifrare. E così ognuno ricorre alla sua suggestione.Chi prega Allah se ne compiace e lo prende come un segno della sua grandezza. È il caso dei tanti utenti che in queste ore stanno commentando la notizia sui social arabi tirando in ballo la divina provvidenza: "Grazie ad Allah che le ha indicato la retta via dell'Islam". Qualcun altro, come riferisce Askanews, esulta per "l'impresa dei giovani mujaheddin". "Le strade del Signore sono infinite", ci dice un giovane studioso del Corano che incrociamo davanti alla moschea di via della Marranella, nel quartiere romano di Tor Pignattara, dove la concentrazione di musulmani è altissima. Impossibile, secondo il ragazzo, che la sua conversione sia stata forzata. "È stata una sua decisione, nell'Islam la conversione forzata - spiega - non esiste". E poi, aggiunge: "Se fosse stata costretta, perché quando è tornata in Italia non si è tolta il velo?".ALLAH GLI HA TOCCATO IL CUOREÈ la stessa versione che ci dà Omar, un medico libico sulla trentina che frequenta la moschea di via Capua. "La prova è stata il suo rientro in Italia, era velata e sorridente, credo che Allah le abbia toccato il cuore", spiega. "Secondo me - aggiunge - ha trovato qualcosa che forse le mancava". Il giovane non crede alla versione del rapimento né che il governo italiano abbia pagato un riscatto ai terroristi. "Non sono convinto, per ora le informazioni sono poche e non ci sono certezze, per come la vedo io la ragazza non sembrava particolarmente provata". In ogni caso, ci tiene a precisare, "se si fosse trattato davvero di un sequestro è chiaro che lo condannerei". Ma non tutti qui la pensano così.Nella kasbah romana c'è anche chi legittima i jihadisti somali di al Shabaab e si surriscalda quando ci sente chiamarli "terroristi". "Quali terroristi? Quella è gente che prega, i terroristi siete voi che lanciate le bombe sui bambini assieme agli americani", ci risponde piccato un musulmano sulla settantina. "Lei è andata lì per seminare discordia e invece ha ricevuto un'educazione e si è arricchita spiritualmente, adesso è libera e felice", continua. Capito come? Secondo il nostro interlocutore ci sarebbe pure da ringraziarli questi tagliagole per aver "educato" Silvia all'Islam facendola uscire dal "buio". "Non è stata una conversione - insiste - ma un ritorno alle origini, il battesimo e la cresima quelli sì che sono atti terroristici perché tutti noi nasciamo musulmani". Nel momento in cui Silvia ha sposato la fede coranica, ci assicura, "è diventata come una sorella, ed i mujaheddin morirebbero per lei". L'anziano non ha dubbi: "È stata trattata da signora, noi le donne le rispettiamo".QUESTA RAGAZZA HA SENTITO UNA MANCANZA DI SPIRITUALITÀAffermazioni forti da cui Siddique Nure Alam, presidente dell'associazione Dhuumcatu e punto di riferimento della comunità islamica di Tor Pignattara che lo conosce come Batchu, prende le distanze. "La questione della conversione di Silvia è stata esasperata, si sono create delle tifoserie da stadio, io - spiega - sono contento che sia stata liberata, il resto sono affari suoi". "Non credo - aggiunge - che l'abbiano trattata male, sennò non si spiegherebbe il suo atteggiamento disteso". Il fatto che la cooperante si sia uniformata ai costumi religiosi dei suoi carcerieri, per Batchu, potrebbe essere dovuto anche al vuoto di valori della società occidentale. "Secondo me - conclude - questa ragazza ha sentito una mancanza di spiritualità, ci sono tanti cattolici che si definiscono tali ma non praticano, credo che venendo in contatto con una religione più forte abbia finito per esserne ispirata".

    Il riscatto pagato per Silvia Romano è immorale perché servirà per uccidere e sequestrare altre persone

    Play Episode Listen Later May 12, 2020 13:08


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6126IL RISCATTO PAGATO PER SILVIA ROMANO E' IMMORALE PERCHE' SERVIRA' PER UCCIDERE E SEQUESTRARE ALTRE PERSONE di Graziano MottaLa vicenda di ostaggi italiani catturati da fondamentalisti musulmani continua a dominare l'interesse dell'opinione pubblica, e di riflesso le cronache, specialmente televisive, con punte critiche ricorrenti, come il caso di Silvia Romano.Sedici anni orsono suscitò scalpore e polemiche la vicenda delle due Simone, la romana Torretta e la riminese Pari. Si concluse il 5 ottobre 2004 con la loro visita di ringraziamento a Giovanni Paolo II. L'anno successivo suscitò grande interesse la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Paradossalmente tra la persistente, e diffusa, ignoranza di un fenomeno storico secolare; ma sempre con il coinvolgimento pieno del potere politico.Ha fatto il suo tempo il coinvolgimento religioso. Importantissimo sino agli albori dell'Ottocento, ebbe come grandi protagonisti due Ordini religiosi - onore e vanto della Chiesa cattolica - cioè gli Ordini dei Trinitari e dei Mercedari, fondati proprio per un'opera meravigliosa di carità - la liberazione degli ostaggi (secondo un calcolo attendibile, più di centomila) - arricchita dalla palma del martirio di tanti suoi membri. Mai però, prima d'ora, si era visto uno spiegamento di uomini, intelligenze, energie e denaro per il riscatto di un'italiana ostaggio dei musulmani che, una volta "liberata", ha affermato di essersi convertita all'Islam, confermando questa sua decisione con un rigoroso abbigliamento per la cerimonia di accoglienza.LIBERAZIONE?A questo punto non si capisce di che "liberazione" sia stata oggetto. Come musulmana, Silvia non aveva bisogno di essere riscattata, era titolare di diritti sanciti dalla Sharia e da secolari consuetudini sociali. Forse non le era consentito dai suoi rapitori di venire in Italia, ma i Servizi segreti, italiani e turchi, più quelli dell'inesistente Stato somalo, in mesi e mesi di trattative si presume fossero venuti (o dovessero essere giunti) a conoscenza della sua condizione. Cioè che non in una "liberazione" essi erano impegnati, quanto in un'impresa di sottrazione di una musulmana ad un'emergenza, ormai però ovvia in società islamiche che i fondamentalisti intendono sottomettere pienamente alle loro convinzioni religiose. Convinzioni che Silvia, convertendosi all'Islam, dovrebbe ben conoscere e, se non apprezzare, almeno accettare.Quindi non si capisce perché abbia aderito al progetto di venire in Italia a spese dei suoi connazionali, su un aereo di Stato, con tutti gli onori e gli applausi riservati ad una "liberata". Non si capisce nemmeno perché di questo non ne sapessero (o non fossero stati informati) il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri. E la pubblica opinione. Alla luce di quanto sopra l'aspetto e il quantum, sempre annebbiato, del "riscatto", dovrà essere portato alla luce.MILLE ANNI DI RAPIMENTI, UCCISIONI E CONVERSIONI FORZATEIn attesa dunque degli attesi chiarimenti, dei Servizi segreti impegnati e della Magistratura, il caso di Silvia Romano offre l'occasione di evocare all'interessata e a tanti nostri connazionali come, per secoli, siano intercorsi i rapporti tra i musulmani del Mediterraneo e gli europei, in particolare gli italiani. Ricordando fra l'altro che i Mercedari, entrando nell'Ordine, aggiungevano ai tre voti di povertà, castità e ubbidienza quello "di sostituire con la loro persona i prigionieri in pericolo di rinnegare la fede". E che, per consuetudine, chiedevano ai "redenti" di testimoniare ai benefattori "il buon impiego delle loro offerte".E se si ha desiderio di approfondire queste relazioni, c'è un'abbondanza di studi e libri storici, dalle ricostruzioni affascinanti oppure orripilanti (correlati a episodi di eroismo o di crudeltà), come l'eroica difesa di Famagosta (agosto 1571) di cui fu protagonista Marcantonio Bragadin, pagata con un inenarrabile martirio (fu addirittura scuoiato!) per aver egli disdegnato di convertirsi all'Islam. E a proposito di conversioni - tutte di cristiani deboli o malvagi - le pagine di storia ne sono rivelatrici di parecchie, tra le righe delle guerre tra Venezia e l'Impero ottomano. Fra le più evocate quella di un perfido uomo di mare di origini calabre, conosciuto col nuovo nome di Uluch Alì, che fu Bey di Algeri nonché uno dei tre ammiragli turchi nella famosa battaglia navale di Lepanto (7 ottobre 1571).Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Immorale quel riscatto: i soldi faranno morti e sequestri" spiega perché non è stato moralmente lecito pagare il riscatto per Silvia Romano. Il perché è semplice: gli effetti negativi sopravanzano quelli positivi, infatti quei soldi serviranno per uccidere più di una persona e per sequestrare molte altre persone.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 maggio 2020:Quattro milioni di euro. Tale è stato forse il riscatto pagato per liberare la cooperante Silvia Romano. Da qui un quesito: è stato moralmente lecito pagare questo riscatto? La risposta è negativa. Cerchiamo di comprenderne i motivi.Il caso, dal punto di vista etico, si inquadra nella cooperazione materiale al male. Nella cooperazione formale, colui che coopera condivide l'intenzione dell'agente principale: Tizio vende un'arma a Caio sia per guadagnarci sia per aiutare Caio a compiere un assassinio. Nella cooperazione materiale, invece colui che coopera non condivide l'intenzione dell'agente principale: è il caso del riscatto per la liberazione della Romano. Coloro che hanno sborsato i quattro milioni di euro non lo hanno fatto con l'intenzione di agevolare i progetti terroristici dei sequestratori, ma lo hanno fatto per vedere libera la Romano.La cooperazione materiale può essere, a seconda dei casi, lecita o illecita. Per comprendere se è moralmente lecita o illecita occorre applicare il principio del duplice effetto, principio che viene chiamato in causa quando un atto produce un effetto positivo (o più di un effetto positivo) e un effetto negativo (o più di un effetto negativo). Il principio del duplice effetto consta di alcune condizioni che occorre soddisfare affinché l'azione, che produce questi effetti contrastanti, sia moralmente lecita. La prima condizione esige che la natura dell'atto sia buona. È una condizione implicita alla fattispecie interessata dal principio del duplice effetto: si compie l'atto per ottenere l'effetto positivo. In questo caso si paga una somma di denaro per vedere liberata la persona sequestrata. L'atto è in sé moralmente lecito.La seconda condizione prevede che l'effetto negativo non sia voluto direttamente ma meramente tollerato. Come già accennato, l'agevolazione di future attività terroristiche, tramite il pagamento del riscatto, è effetto tollerato, non ricercato direttamente. La terza condizione chiede che l'effetto negativo non sia causa dell'effetto positivo: l'agevolazione di future azioni terroristiche non ha prodotto la liberazione dell'ostaggio. È dunque effetto negativo che non ha un nesso causale con l'effetto positivo. Un'altra condizione prevede che si versi in stato di necessità: la soluzione di pagare il riscatto era la soluzione ottimale, ossia l'unica soluzione che prometteva i maggiori benefici rispetto agli effetti negativi prodotti. Facciamo dunque il caso che, ad esempio, un intervento militare avrebbe causato più danni che benefici rispetto alla soluzione del pagamento del riscatto.Veniamo infine ad una quinta condizione che nel caso di specie è quella che fa la differenza: gli effetti positivi devono essere di pari importanza degli effetti negativi o di maggior importanza tenendo altresì in conto la probabilità che si verifichino sia gli effetti negativi che quelli positivi. Nella vicenda del riscatto della Romano gli effetti negativi, assai probabili, sopravanzano per importanza quelli positivi, quindi l'atto risulta essere inefficace, più in particolare risulta essere dannoso. Infatti su un piatto della bilancia abbiamo un duplice effetto buono: la salvezza e la liberazione di una donna. Sull'altro piatto della bilancia abbiamo molti più effetti negativi della medesima natura: quei soldi serviranno per uccidere più di una persona e per sequestrare molte altre persone. Insomma il gioco non vale la candela.Dunque nella ipotesi del riscatto della cooperante milanese il criterio che non è stato soddisfatto è quello relativo al principio di efficacia o di proporzione. Tommaso d'Aquino spiega che alcune condizioni in cui è calato un atto possono mutarne la natura: da astrattamente buona a concretamente malvagia. L'Aquinate scrive: «un atto che parte da una buona intenzione può diventare illecito, se è sproporzionato al fine» (Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7 c.). Traduciamo: paghiamo il riscatto con l'intenzione buona di liberare la donna, ma le modalità dell'atto fanno sì che esista una sproporzione tra effetti negativi a danno di quelli positivi, proprio perché i soldi versati avranno salvato e liberato una persona a fronte della morte e incarcerazione di molti più innocenti. Dato che l'atto è alla fine dannoso (o globalmente inteso come dannoso), l'intelletto lo giudica irragionevole e quindi malvagio.

    Da Silvia ad Aisha: il segreto di una conversione (forzata?)

    Play Episode Listen Later May 12, 2020 10:20


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6127DA SILVIA AD AISHA: IL SEGRETO DI UNA CONVERSIONE (FORZATA?) di Francesco BoeziSilvia Romano si è convertita all'islam. La questione suscita almeno una domanda.Mentre buona parte dei commentatori si interroga sulla vicenda in sé, noi abbiamo chiesto un parere a Monsignor Nicola Bux, già collaboratore di Benedetto XVI. Bux è convinto che i cristiani non debbano temere la persecuzione. E che anche le conversioni possano avere delle attenuanti in caso di mancata consapevolezza del soggetto che intraprende un percorso di quel tipo. Ma per il monsignore l'Europa sta correndo dei rischi, che non dovremmo evitare di tenere a mente.Mons. Bux, possibile che Silvia Romano sia stata convertita o magari sia stata manipolata dagli islamici? La giovane sostiene che la sua adesione all'islam sia stata una scelta spontanea...Il concilio ricorda che la libertà religiosa riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile. Ma anche che ciò lascia intatta la dottrina cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica chiesa di Cristo. Una persona cosciente del suo battesimo conosce tutto questo.Le risuta normale che una persona finita nelle mani di estremisti islamici finisca per convertirsi?Dipende dal soggetto. Un cattolico dalla coscienza ben formata sa qual è la vera religione e, di conseguenza, che il suo abbandono, cioè l'apostasia è uno dei peccati più gravi. Si badi che l'islam punisce l'apostasia con la morte. Pertanto, il vero cristiano non teme il martirio per Gesù Cristo. Se invece la coscienza non fosse ben formata o facesse ciò per ignoranza, esiste l'attenuante davanti a Dio.Quale messaggio per l'identità europea arriva dalla storia di Silvia Romano?Ricordo un documentario prodotto dalla Rai dieci anni fa. L'indimenticabile Luca De Mata lo intitolò Dio: pace o dominio, perché dal reportage in giro per l'Europa aveva ricavato che l'islam stesse avanzando scaltramente, presentandosi come religione di pace, in realtà puntando al dominio del continente. Celebre l'avvertimento dell'allora vescovo di Izmir (Smirne, ndr) agli europei: i promotori islamici dell'immigrazione in Europa pensano: con le vostre leggi vi invaderemo, con la sharia vi sottometteremo. Che vi cooperino gli europei, è masochismo. La Rai dovrebbe riproporre quel documentario in cinque puntate.Teme per i cattolici in giro per il mondo?Dalle statistiche è noto che il cristianesimo cattolico è la religione più perseguitata al globo. Ma i cristiani non temono la persecuzione, perché è la condizione ordinaria del cristianesimo. Gesù Cristo ha detto: "Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi". Perciò il cristianesimo vince sempre quando è sconfitto. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli lo dovrebbero sapere a memoria, non solo, ma anche che alla fine solo la croce di Cristo vince. Lo ricorda Giovanni Paolo II nell'enciclica missionaria Redemptoris missio.Quindi?Quindi, i programmi di neo-umanesimo, di fratellanza universale, di dialogo interreligioso senza Cristo, sono destinati al fallimento. Meglio farebbero le chiese europee a spendere tutte le forze, anche finanziarie, anzi la loro vita, nell'unico compito che Cristo ha affidato loro: far conoscere il vangelo a tutte le genti e chiamarle a conversione. Solo l'estensione della fede cattolica può compattare il globo secondo i tempi di Dio. Questo passerà attraverso la persecuzione, la croce, la vera "teologia della liberazione".Esistono fenomeni di proselitismo studiati ad hoc? Magari adatti pure per gli europei che fanno cooperazione all'estero?Circa vent'anni fa, ho conosciuto ad Amman dei giovani sauditi che ogni tre mesi, muniti di visto, uscivano dall'Arabia per venire a catechizzarsi per diventare cristiani. Mi mostrarono il materiale propagandistico stampato in arabo, che dal loro paese veniva inviato fino a Londra, documentando il piano di dominio islamico in Europa. Per attuarlo è necessaria l'immigrazione ma anche il proselitismo tra gli europei, specialmente delle Ong, in cui l'identità cristiana o è inesistente o è annacquata. Oggi sappiamo che Londra è in gran parte musulmana, complice anche la pressoché totale sparizione degli anglicani. Ma c'è una pattuglia di cattolici che resiste e vincerà, a costo del martirio.Silvia ha scelto di chiamarsi Aisha, come una delle mogli di Maometto...Chissà se prima di cambiar nome e credo, sapeva che santa Silvia è la madre di san Gregorio Magno. E chissà se conosce quanto conclude uno studioso di prima grandezza, dell'islam e della tradizione araba cristiana, della cui amicizia mi onoro, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir - citando il Corano al versetto 228 della sura della Vacca e al 34 di quella delle Donne: "Mentre nella concezione cristiana l'uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità,in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani, che presentano il ruolo della donna nell'Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all'uomo e deve sottostare a lui".Nota di BastaBugie: Ignazio Stagno nell'articolo seguente dal titolo "Silvia Romano adesso si chiama Aisha: ecco cosa significa per l'islam" spiega che la scelta del nome "Aisha" ha un significato profondo nel mondo islamico.Ecco l'articolo completo pubblicato su Il Giornale l'11 maggio 2020:Silvia Romano ora è un'islamica. Il suo percorso di conversione, come lei stessa ha raccontato, non è avvenuto sotto costrizione. A metà della sua prigionia ha chiesto un Corano e da lì avrebbe iniziato un percorso di fede che l'ha portata a credere in Allah e nel suo profeta, Maometto.Ma dalle pieghe del suo racconto emerge anche un altro aspetto. Dopo la conversione, la Romano avrebbe anche cambiato nome. Non è più Silvia, adesso si chiama "Aisha". Sarebbe questo il nome islamico che la ragazza ha scelto durante la sua prigionia e che ha rivendicato una volta tornata a casa, nel suo Paese. Ma perché ha scelto proprio il nome Aisha? Cosa significa nell'islam? Il nome è un omaggio ad Aisha bint Abi Bakr, figlia di Abu Bakr, primo califfo dell'islam. Ma Aisha è stata anche la più importante delle spose di Maometto. Secondo quanto riportato dal testo islamico, Maometto sposò Aisha per superare il lutto della amata moglie Khadija nel 619.Aisha quando venne promessa in sposa a Maometto aveva solo sei anni e a quanto pare era la figlia di uno dei migliori amici del profeta. A far scattare il matrimonio sarebbe stata la visione dell'Arcangelo Gabriele che avrebbe dato l'ordine a Maometto di sposare Aisha. Il matrimonio tra il profeta e Aisha sarebbe stato consumato quando la sposa aveva nove-dieci anni. Maometto al momento delle nozze aveva 50 anni. Secondo alcuni studiosi dell'islam però l'età di Aisha al momento delle nozze si attesterebbe in una fascia che va dai 14 ai 24 anni e una parte degli studi colloca l'età di Aisha al momento delle nozze a 19 anni. Aisha divenne, secondo i testi dell'islam, la favorita di Maometto. Il legame tra Maometto e Aisha proseguì anche dopo la morte del profeta. Infatti secondo la tradizione, Maometto venne sepolto al momento della sua morte (a 62 anni) nella "camera di Aisha", all'interno della sua stanza. Lì sarebbe stata eretta la Moschea del Profeta. Al momento della morte di Aisha venne posto un sacello vicino al marito.Ma a quanto pare era vuoto. Il corpo della donna, morta a 62 anni, sarebbe stato collocato nel cimitero medinese di Al Baqi al-Ghrarqad. In arabo il nome di Aisha significa "Madre dei credenti". E dopo la morte di Maometto, la donna divenne un punto di riferimento importante per tutto il mondo islamico. Quanto appreso da Maometto lo confidò al nipote Urwa ibn al-Zubayr. Insomma la scelta di Silvia Romano di farsi chiamare Aisha ha di certo un significato profondo che di fatto spiega anche il percorso di conversione affrontato durante la prigionia in Somalia.

    Durante il coronavirus il terrorismo islamico continua indisturbato

    Play Episode Listen Later Apr 7, 2020 14:36


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6082DURANTE IL CORONAVIRUS IL TERRORISMO ISLAMICO CONTINUA INDISTURBATO di ANDREA MORIGIL'invito a rimanersene a casa, in Francia, vale doppio. Chi esce, rischia non soltanto di essere contagiato, ma anche di rimanere vittima di un attacco jihadista mentre sta ordinatamente in coda al supermercato mantenendo le distanze dal prossimo.Ieri, intorno alle 11 del mattino, due persone sono state uccise e altre sette ferite da un rifugiato sudanese che secondo alcuni testimoni che lo avrebbero udito gridare «Allah akhbar!», le ha pugnalate nel centro di Romans-sur-Isère, nel dipartimento della Drôme, nel sud-est della Francia. Secondo quanto riferito dai media locali, l'uomo ha prima sgozzato un quarantenne, appena uscito di casa con la moglie e la figlia. L'azione sarebbe proseguita poi in diversi esercizi commerciali, con l'accoltellamento di un tabaccaio e di due clienti, prima di uscire e colpire altre persone in strada e all' interno di una panetteria. Quattro dei feriti sono ricoverati in condizioni critiche.LA MINACCIA IGNORATACircondato e poi bloccato con un taser da una pattuglia della polizia, mentre era in ginocchio e chiedeva di essere ucciso, l'aggressore, dopo aver proclamato che Allah è l'unico Dio e Maometto il suo profeta, avrebbe dichiarato di chiamarsi Abdallah Ahmed Osman e di essere nato nel 1987 a Tendelty, nella regione sudanese del Darfur. Rinchiuso in cella, continuava a salmodiare interi capitoli del Corano. L'identità dell'uomo sarebbe confermata anche da un permesso di soggiorno rilasciatogli chissà come e per quale misterioso motivo umanitario dalle autorità francesi nel 2007. Se avevano ritenuto che fosse una vittima bisognosa di protezione internazionale, è ovvio che lo lasciassero anche libero di circolare, senza minimamente sospettarlo di essere un potenziale stragista, assente dalle Fiche S, quindi del tutto sconosciuto all'antiterrorismo.Gli obiettivi presi a caso, il riferimento esplicito all'islam, la nazionalità dell'assassino, in realtà non lasciano molti dubbi sulla natura del gesto. Eppure «non conosciamo ancora le motivazioni di questo attacco», ha spiegato in una nota il municipio di Romans. In realtà la procura antiterrorismo di Parigi nella serata di ieri è stata incaricata delle indagini e ha aperto un'inchiesta preliminare per omicidio e tentativo di omicidio, in relazione a un'azione terroristica e a un'associazione terroristica. L'ipotesi investigativa parte, sostiene un comunicato dei giudici, da «un percorso omicida determinato a sconvolgere l'ordine pubblico con l'intimidazione o il terrore» e da alcuni elementi a connotazione religiosa, sequestrati durante una perquisizione e nei quali l'autore denuncia «un Paese di miscredenti». Nel frattempo, risulta che sia stato arrestato anche un coinquilino del profugo sudanese, due persone siano state interrogate e siano in corso altri fermi di persone sospette.Stavolta, insomma, potrebbe anche non trattarsi di uno squilibrato o di un lupo solitario, ma di un gruppo determinato a compiere stragi fra la popolazione.UNA SCIA DI OMICIDIOltralpe, gli scoppi improvvisi e apparentemente casuali di guerra santa sono ormai tanto numerosi quanto frequenti. Era accaduto il 3 gennaio scorso, a VilleJuif, periferia sud di Parigi, quando un uomo era stato accoltellato davanti alla moglie e altre due persone erano state ferite. In precedenza, il 31 agosto 2019 a Lione, un afghano richiedente asilo aveva pugnalato a morte un uomo ferendo altri otto passanti.Così si alza in Europa la bandiera nera dell'odio islamico, facendo appello ai musulmani più tiepidi perché seguano l'esempio delle loro avanguardie e moltiplichino le loro vittime.A livello istituzionale, invece, l'unica risposta, in questi casi, riguarda la cautela politica di non coinvolgere le comunità di musulmani e allontanare ogni accusa nei loro confronti, allo scopo di evitare rappresaglie contro le moschee e una successiva eventuale escalation di violenza. Si tenta di evitare la guerra civile, in un momento nel quale le forze dell'ordine e l'esercito sono impegnati ad assicurare il rispetto delle disposizioni del governo per scongiurare un ulteriore diffusione della pandemia.In un tweet il ministro dell' Interno Christophe Castaner ha parlato di «un atto odioso», subito seguito da una dichiarazione ufficiale dell'Eliseo, nella quale il capo dello Stato, Emmanuel Macron, ha assicurato che «sarà fatta piena luce sull'atto atroce». «I miei pensieri sono con le vittime dell' attacco a Romans-sur-Isère, i feriti, le loro famiglie. Tutta la luce verrà fatta su questo atto odioso che ha gettato il nostro Paese nel lutto, che è già stato duramente colpito nelle ultime settimane», ha scritto il presidente della Repubblica sul suo account Twitter, riferendosi all' epidemia di Covid-19 che ha travolto la Francia.Forse si erano dimenticati dell'altra emergenza. In concorrenza con il coronavirus, che negli Usa ha già provocato più morti degli attentati dell' 11 settembre, i terroristi islamici sono corsi ai ripari. Per non essere da meno.Nota di BastaBugie: Mauro Faverzani nell'articolo seguente dal titolo "Nessuna condanna per terrorismo e guerre sante" spiega come l'allarme Coronavirus a livello mondiale rischia di far perdere di vista altre emergenze come quella islamica. Pericolo viceversa rilanciato dalle cronache dei giorni scorsi, riportando purtroppo tutti alla triste realtà, come dimostra, ad esempio, il discorso tenuto pubblicamente a Istanbul il mese scorso dal presidente turco Erdogan.Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 1° aprile 2020:L'allarme Coronavirus a livello mondiale rischia di far perdere di vista altre emergenze da tempo latenti in aree geopoliticamente critiche, come quella islamica. Pericolo viceversa rilanciato dalle cronache dei giorni scorsi, riportando purtroppo tutti alla triste realtà, come dimostra, ad esempio, il discorso tenuto pubblicamente a Istanbul lo scorso 8 marzo dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.In esso ha chiarito come la crisi di migranti, scatenata al confine con la Grecia poco prima che la pandemia prendesse piede, fosse da intendersi come un atto ostile nei confronti dell'Europa, anzi una sorta di "guerra santa" islamica e, quindi, anche un tentativo di ristabilire l'impero ottomano e non semplicemente, come dichiarato all'inizio, una forma passiva di pressione su Nato ed Unione Europea per una redistribuzione dei rifugiati in fuga dalla Siria. «Questa tempesta, che sta scoppiando, è l'orda turca, o Signore! Conduci alla vittoria, perché questo è l'ultimo esercito islamico. Sì, questa tempesta, che si scatena, è il nostro esercito! Allah lo sostiene assieme alle preghiere di milioni di nostri amici. Questa tempesta è il cuore della nostra nazione. Tutti vedono e vedranno di cosa sia capace» ha, tra l'altro, dichiarato Erdogan. Parole, dunque, ben più minacciose della richiesta di una sorta di "corridoio umanitario" internazionale. Erdogan ha, tra l'altro, iniziato - non a caso - il suo intervento, citando una poesia di Yahya Kemal Beyath dal titolo 26 agosto 1922, con riferimento al giorno in cui la «Grande Offensiva», scatenata nel quadro della guerra d'indipendenza turca, schiacciò l'esercito greco, sbaragliandolo ed ammazzando o facendo prigioniera la metà dei soldati ellenici.In effetti, secondo molti osservatori, il ruolo svolto anche nei giorni scorsi dalla Turchia nella crisi con la Grecia sarebbe stato molto più attivo di quanto si sia voluto far credere. L'emittente televisiva bulgara bTV ha accusato il governo di Ankara di aver spostato torme di immigrati al confine, dotandoli di gas lacrimogeni per inscenare la guerriglia, cui il mondo intero ha assistito. Alcuni video mostrerebbero stranieri costretti dai militari a scendere con la forza e sotto la minaccia di armi dagli autobus. Il che conferma l'analisi fatta da alcuni leader politici europei, tra i quali il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha parlato espressamente di «un'invasione».Siamo di fronte ad un chiaro segnale, certo, ma non al solo. L'università islamica egiziana d'al-Azhar, una tra le più antiche ed autorevoli al mondo, si è rifiutata di bollare i miliziani dell'Isis come «eretici». Lo ha rivelato un rapporto presentato lo scorso 20 marzo dal Memri-Middle East Media Research Institute. La decisione di astenersi in merito e di non emettere alcuna fatwa dipenderebbe dal fatto di non volersi scontrare con le organizzazioni più estremiste ovvero Isis, Fratelli Musulmani ed altri movimenti analoghi. Secondo il rettore del prestigioso ateneo, Muhammad Ahmad al-Tayyib, «se decidessi che sono eretici, sarei come loro», ha dichiarato, rispondendo alla questione posta da un gruppo di studenti dell'Università del Cairo. Il vicerettore, Abbas Shuman, ha quindi aggiunto: «Per quel che ne so, in tutta la storia di al-Azhar, mai nessuno, persona o movimento, è stato da essa accusato di eresia. Non è questa la missione di al-Azhar». Sei anni fa Abbas Shuman era giunto a dichiarare «terroristiche le azioni dell'Isis» (si noti: le azioni, non coloro che le compiono, NdR), definendole «incompatibili con il buon islam. Il male provocato da quest'organizzazione dev'essere combattuto» (si noti: il male provocato, non l'organizzazione in quanto tale, NdR), anche «col ricorso alla forza», ma - ed ecco la vera conclusione di tutto questo arzigogolato discorso - «i suoi membri non devono mai essere dichiarati eretici».La laconica posizione espressa da al-Azhar è stata duramente criticata dai media egiziani e percepita come una forma di reticenza nel cooperare alla lotta contro il terrorismo islamico. Secondo quanto scritto dal poeta egiziano Fatma Na'out sul quotidiano al-Masri al-Yawm, sarebbe ora che «al-Azhar si rendesse conto» di avere tra le mani la «bacchetta magica», per seppellire il terrorismo in Egitto

    La Turchia scheda i nemici europei dell'islam... con i soldi dell'UE

    Play Episode Listen Later Dec 12, 2019 13:46


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5920LA TURCHIA SCHEDA I NEMICI EUROPEI DELL'ISLAM... CON I SOLDI DELL'UE di Souad SbaiNei confronti della Turchia di Erdogan, l'Unione Europea fa da un lato la voce grossa, indignata per la repressione degli oppositori e della libertà di stampa o per l'invasione anti-curda in Siria; dall'altro, continua invece a cedere su tutti i fronti, avallandone persino le strategie di assalto culturale, oggi principalmente incentrate sull'utilizzo manipolatorio della cosiddetta "islamofobia".Prodotto dei pensatori fondamentalisti contemporanei appartenenti ai Fratelli Musulmani, il concetto d'"islamofobia" viene utilizzato come clava per colpire chiunque in Europa, e in generale nel mondo occidentale, osi esprimersi in maniera critica nei confronti della componente di religione e cultura islamica.Anche le critiche espresse in maniera civile e razionale - che invocano il rispetto dei diritti umani e delle donne, della libertà religiosa e di espressione - vengono equiparate a forme di razzismo, intolleranza e xenofobia, malgrado l'oggettiva refrettarietà di ambienti come quelli influenzati dai Fratelli Musulmani ad accettare valori, principi, usi e costumi dei paesi europei.UNA TRAPPOLA PER GLI INGENUI OCCIDENTALIUna trappola, insomma, rivolta agli ingenui occidentali, soprattutto se progressisti e di sinistra, in cui anche Bruxelles è caduta in pieno, come dimostra il finanziamento da parte dell'UE del "Rapporto 2018 sull'islamofobia europea", elaborato dalla "Fondazione per la ricerca politica, economica e sociale" (SETA), pensatoio di punta del partito fondamentalista AKP di Erdogan.Quest'ultimo, che dei Fratelli Musulmani si considera il leader politico mondiale, si è molto prodigato per diffondere l'applicazione distorta del concetto d"islamofobia" tra gli accademici e gli addetti ai lavori in tutto il continente europeo, promuovendo la collaborazione con centri di studio turchi di matrice islamista. Il Rapporto, pubblicato annualmente da SETA, è il frutto di tale collaborazione, e coinvolge "esperti" provenienti da ognuno dei 28 stati membri dell'UE, più un numero di paesi partner nei Balcani e nel Caucaso.La scheda sull'Italia, elaborata da due sociologi "impegnati" presso le università di Ferrara e Torino, è un esempio perfetto della convergenza tra l'agenda dei Fratelli Musulmani e l'agenda progressista. Se la prima si serve del concetto d'"islamofobia" per farsi largo nel tessuto sociale, culturale, religioso e politico italiano (dinamica in atto ovunque in Europa), la seconda vede con favore e promuove l'avanzare e il sovrapporsi di tutto ciò che è "altro" rispetto alla cultura, all'identità e alle tradizioni connaturate al paese e alla sua storia, in nome della "diversità" e del "multiculturalismo", da applicare naturalmente solo in Italia (e in Europa), non certo in Turchia.I due sociologi, rispettando rigorosamente gli schemi che presiedono all'uso strumentale dell'"islamofobia", non operano la distinzione tra le discriminazioni in cui i musulmani incorrono in Italia (un fenomeno senza dubbio da combattere e prevenire con nuove politiche in ambito culturale ed educativo), dalle critiche legittime che andrebbero considerate con spirito costruttivo, al pari di quelle che possono ricevere gli atei, gli agnostici e i fedeli di qualunque altra religione.Di conseguenza, partiti come Fratelli d'Italia, nonché organi di stampa come Il Giornale, La Verità e Libero, sono stati categorizzati come di "estrema destra", mentre il PD e persino l'ANPI come bastioni della lotta al razzismo e, appunto, all'islamofobia.UN MODO PER COLPIRE INTELLETTUALI, SCRITTORI E PERSONALITÀ PUBBLICHEI due sociologi concludono la loro disamina stilando una serie di raccomandazioni, tra cui quella di "creare un sistema [...] efficiente di raccolta dei dati degli eventi [di natura] islamofobica, razzistica e discriminatoria", nel quale molto probabilmente schedare come esponente di "estrema destra" chiunque abbia un'opinione "non allineata": un modo per colpire intellettuali, scrittori e personalità pubbliche, laiche e moderate, come accaduto e continua ad accadere in diversi paesi del mondo arabo e musulmano, Turchia inclusa. Risale allo scorso luglio, ad esempio, la pubblicazione, da parte sempre del "think tank" SETA, di una lunga lista di proscrizione con i nomi, i profili biografici e i volti di oltre 200 giornalisti, sia turchi che stranieri, basati in Turchia e sgraditi al regime di Erdogan.Come se non bastasse, i due sociologi delle università di Ferrara e Torino propongono di "rafforzare la rete anti-discriminazione tra Ong, associazioni, sindacati e partiti di sinistra, soprattutto a livello locale, dove è possibile promuovere più efficacemente uguaglianza e giustizia". Si tratta di un piano d'azione vero e proprio, che in Italia è già in corso di realizzazione come nel resto d'Europa.A sostegno della diffusione del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani nel continente, il Sultano sta sfruttando abilmente come "cavallo di Troia" i portatori insani del pensiero unico dominante di una certa sinistra, che continua a ispirare l'operato suicida dell'Unione Europea. Se queste sono le conseguenze della collaborazione con gli accademici italiani promossa dalla Turchia di Erdogan, quali saranno allora i frutti dell'Accordo di cooperazione in ambito culturale e scientifico che il Senato si appresta a ratificare con il Qatar, che dei Fratelli Musulmani è il principale sponsor e sostenitore?Nota di BastaBugie: per leggere il precedente articolo sul "Rapporto sull'islamofobia in Europa" dove si sottolineava che anche BastaBugie è stato inserito tra i ''cattivi''http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5899L'ISLAMOFOBIA È UN CAVALLO DI TROIARiccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Da Durban a oggi, l'islamofobia è un cavallo di Troia" spiega che il termine islamofobia appare per la prima volta nel 2001 in un documento ONU firmato dai leader di quasi 200 paesi nel mondo. È un pretesto per chiudere la bocca a chi cerca di risvegliare un Occidente in declino.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana L'8 novembre 2019:Nel pensiero comune, gli allarmi sull'islamofobia nascono dopo gli attentati terroristici negli Stati Uniti dell'11 settembre 2001, quando le minoranze islamiche nei paesi occidentali hanno cominciato ad essere viste con diffidenza se non aperta ostilità.Niente di più errato. Il termine islamofobia ha una genesi precedente, sin dagli anni '90 del XX secolo, e accompagna la rinascita islamica che si impone come fenomeno globale e che supera le divisioni e le differenze interne alla comunità musulmana. Ma soprattutto si impone alla comunità internazionale in occasione della Conferenza internazionale dell'ONU sul razzismo, svoltasi a Durban (Sudafrica) dal 31 agosto all'8 settembre 2001, pochissimi giorni prima dell'attentato alle Torri Gemelle.Per la prima volta a una Conferenza dell'ONU è stato possibile assistere a questa sfida aperta dei paesi islamici contro l'Occidente. Argomento principale si rivelò il Medio Oriente, per il quale il blocco dei paesi islamici chiedeva con forza la condanna di Israele e di equiparare il sionismo al razzismo. Fu una battaglia durissima, al punto che le delegazioni degli Stati Uniti e di Israele abbandonarono la Conferenza. L'Unione Europea decise invece di restare, sperando - invano - in un compromesso dell'ultimo minuto. I paesi islamici andarono avanti compatti fino alla fine, una situazione sorprendente e inedita per chi - come il sottoscritto - era presente e aveva esperienza delle Conferenze ONU.Due i motivi: primo, malgrado le grandi divisioni interne al mondo musulmano, sia politiche sia religiose, nell'occasione i paesi islamici fecero blocco, unendosi nella comune sfida all'Occidente: si percepiva in questi paesi, un senso di grande sicurezza e di consapevolezza della propria forza, ben decisi a usarla.Secondo, la determinazione ad andare avanti con la loro agenda senza scendere ad alcun compromesso, la ricerca del quale era invece prassi in tutte le Conferenze internazionali dell'ONU. Il mondo islamico, dunque, riuscì a Durban a dettare la propria legge in barba alle consuetudini internazionali. Potendo contare anche sulla debolezza dei paesi occidentali, Unione Europea in testa.È in questo contesto di prova di forza che il termine islamofobia entra nella Dichiarazione finale di Durban, prima volta che compare in un documento dell'ONU, firmato da quasi duecento paesi. Appare in due paragrafi della Dichiarazione finale: al no. 61, che recita: «Riconosciamo con profondo rincrescimento l'aumento dell'Antisemitismo e dell'islamofobia in varie parti del mondo». E al n° 150 che richiama gli Stati a «opporsi a ogni forma di razzismo, e a contrastare «l'antisemitismo, l'anti-arabismo e l'islamofobia a livello mondiale». Un vero e proprio assurdo storico, se si considera che eventuali episodi di discriminazione contro musulmani erano minimi e comunque condannati dalla stessa società occidentale. E comunque è un nulla in confronto alla sistematica discriminazione e persecuzione sofferta dai non musulmani, cristiani in primis, nei paesi islamici.Anche l'attentato alle Torri Gemelle, avvenuto appena tre giorni dopo la conclusione della Conferenza di Durban, va situato in questo contesto di "rinascita islamica". Questo non vuol dire che tutti i paesi islamici vadano ritenuti responsabili del terrorismo, ma è giusto osservare che il fenomeno terrorista ha anche un brodo di coltura che lo rende più forte. Così dopo l'11 settembre l'accusa di islamofobia viene sistematicamente usata per tappare la bocca a chiunque ponga anche solo qualche riflessione critica sul mondo islamico.Fino ad arrivare al Rapporto sull'Islamofobia in Europa pagato dall'Unione Europea, di cui si parla in questi giorni, altro segnale inequivocabile che l'Europa politica ha scelto il suicidio.

    Schedati i nemici dell'Islam in Europa (tra i ''cattivi'' anche BastaBugie)

    Play Episode Listen Later Nov 21, 2019 15:23


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5899SCHEDATI I NEMICI DELL'ISLAM IN EUROPA (TRA I ''CATTIVI'' ANCHE BASTABUGIE) di Lorenza FormicolaOttocentoquarantotto pagine di report per stilare il resoconto, Paese per Paese, del dilagare dell'islamofobia in Europa. È l'European Islamophobia 2018, il rapporto firmato da un think tank turco legato ad Erdoğan e al partito islamista AKP. Un'analisi nel dettaglio, si legge, in cui denunciare il crescente pericolo di islamofobia dovuto alle forze di destra sempre più imponenti nel panorama politico internazionale. Con l'auspicio di riuscire, tramite la suddetta pubblicazione, a contrastare il razzismo contro i musulmani nel Vecchio Continente.A sfogliarlo, il primo dettaglio che si nota è che i fondi Ue ne hanno finanziato la stesura, anche se poi in calce si sottolinea che "il contenuto non riflette la visione dell'Unione Europea e del Ministero degli Affari Esteri dell'Ue".LA PRESUNTA (E APPROSSIMATIVA) EMERGENZA ITALIANANon è una pubblicazione molto sofisticata, e non solo per i contenuti discutibili. Il formalismo accademico, infatti, lascia presto spazio all'attivismo politico nel quale frullare insieme islam, islamofobia, islamismo e flussi migratori in salsa anti-sovranista. Ma soprattutto perché il rapporto chiarisce dalle prime pagine di non essere in possesso di dati ufficiali circa il razzismo, l'islamofobia e la poca sicurezza di cui dovrebbero soffrire gli immigrati islamici. Pertanto riportano che le tesi che sono pronti ad esplicare dalla seconda pagina sono reperite da Ong o - vedi il caso dell'Italia - "movimenti anti-fascisti" come "Cronache di ordinario razzismo" o da Vox, osservatorio italiano sui diritti che si occupa di parità, diritti LGBT, libertà di scelta, Europa e diritti, diritti sociali.Il capitolo italiano è curato da Alfredo Alietti e Dario Padovan e dal primo capoverso mette all'indice giornali, libri e politici nostrani. In maniera non assolutamente scientifica, ma pressoché arbitraria - nel silenzio di stampa e politica -, si consuma così l'ennesimo paradosso di una rapporto approssimativo che lancia accuse pesanti di razzismo per partorire una strana generalizzazione, "l'islamofobia in Italia è un problema reale". In una arraffata lista di episodi di cronaca come "discriminazioni sul posto di lavoro", "false accuse a un immigrato", "chiede di non lavorare di notte durante il Ramadan e l'azienda lo trasferisce", viene dipanata la presunta emergenza italiana.TRA I "CATTIVI" ANCHE BASTABUGIEEppure a destare un certo senso di inquietudine e preoccupazione è che vengano messe all'indice non solo le forze politiche della destra italiana - Lega e Fratelli d'Italia, quelle per intenderci che siedono in Parlamento e il cui ruolo è riconosciuto democraticamente -, ma gli organi di stampa tra i più importanti del nostro Paese. Il primo della lista è il Giornale - evidentemente troppo attento a denunciare la mancanza di libertà in Turchia - e poi Libero, il Tempo, la Verità. E indirettamente persino la Nuova Bussola Quotidiana: il rapporto prende di mira il sito bastabugie.it che ripubblicherebbe "fake news e cattive notizie" di siti "cattolici ultraconservatori". E siccome gli articoli su islam e Turchia, sia relativi al 2018 che al 2019, che BastaBugie ha ripubblicato sono quelli curati da queste pagine e a nostra firma, 1+1 fa due. Il tutto "nonostante il lavoro delle ONG e della Chiesa Cattolica e di Papa Francesco in primis" - si legge ancora - "che tanto stanno lavorando all'integrazione e al dialogo interreligioso". Ma ne hanno anche per il libro di Giulio Meotti "Il suicidio della cultura occidentale: Così l'Islam radicale sta vincendo".Per il Giornale il rapporto rappresenta una sorta di fatwa (sentenza coranica) scritta da due signori, uno molto vicino ai Fratelli Musulmani - organizzazione estremista islamica dichiarata fuorilegge, in quanto considerata terroristica, da otto Paesi del mondo ma non dalla Turchia, che le elargisce finanziamenti - e l'altro al partito del presidente turco Erdoğan.L'ISLAMOFOBIA NON ESISTELa narrazione alla base resta l'islamofobia: un tentativo come un altro di dare forma a qualcosa che nella realtà italiana non esiste. Una parola che non si riferisce a una realtà, ma la crea. Non esistono rapporti italiani, nemmeno dell'UNAR, perché non esistono reali discriminazioni contro le persone di religione islamica in quanto tali. Cosa che succede invece ad ebrei e cattolici nei paesi islamici. Proprio come la Turchia, dove i sacerdoti cattolici non possono neanche indossare l'abito e sono scortati.Può accadere, piuttosto, che laici o meno, in Italia e altrove, giudichino negativamente la religione islamica, ma questa è una facoltà di giudizio. [...]In più fa sorridere che un simile rapporto nasca in seno alla Turchia. Paese dove non esiste libertà di dissentire dal governo, dove i giornalisti marciscono in galera senza sentenza, dove nelle loro moschee, sia a casa Erdoğan che nel resto d'Europa, si vedono bambini vestiti da militari addestrati a morire da martiri in nome di Allah. O dove in un campo estivo per minorenni quest'estate un gruppo molto nutrito di ragazzine tutte velate - le più grandi in burqa - veniva ripreso mentre, invece delle canzoncine come si fa nei nostri, gridava "a morte gli ebrei".Nota di BastaBugie: due giorni dopo la pubblicazione del rapporto sull'islamofobia il nostro sito ha registrato un sospetto aumento di visitatori (duemila visitatori in più al giorno). Successivamente il nostro canale YouTube ha subìto diverse segnalazioni di "violazioni degli standard della community". A causa di queste segnalazioni YouTube si è subito adeguato e ci ha cancellato il video con la lettura automatica di questo articolo pubblicato l'11 luglio 2018 (per leggerlo clicca sul link):LA SILENZIOSA ISLAMIZZAZIONE DELL'ITALIAProgetti di nuove moschee, zone per soli musulmani in cui si applica la legge coranica, parcheggi vietati agli infedeli ...e intanto una suora di una scuola cattolica ha portato 60 bambini a visitare la moschea del paesedi Lorenza Formicolahttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5251La ridicola motivazione per la cancellazione del video da parte di YouTube è stata: "Questo video è stato rimosso per aver violato le norme di YouTube sull'incitamento all'odio". Chiunque può rendersi conto che tale articolo semplicemente descriveva dei fatti ben documentati. Evidentemente quella di "incitamento all'odio" è una pura scusa per censurare le opinioni contrarie alla narrazione ufficiale dei mezzi di comunicazione. In pratica il totalitarismo avanza... Prepariamoci alla limitazione della libertà di dire la verità.IL VERO PROBLEMA È LA CRISTIANOFOBIAGiuliano Guzzo nell'articolo seguente dal titolo "Il vero problema è la cristianofobia. Lo dicono i numeri" parla Il rapporto sull'islamofobia, finanziato dall'Ue, il quale si basa più su libere interpretazioni che su evidenze statistiche. Il documento omette per esempio ogni riferimento al dossier Osce-Odihr, che nel 2016 riportava per l'Italia 8 casi riconducibili all'odio antislamico e 32 all'odio anticattolico. Quattro volte tanto. Ma non risulta che l'Ue si sia preoccupata della cristianofobia. Perché?Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'8 novembre 2019:Il rapporto sull'islamofobia europea, finanziato dall'Ue, sostiene che l'ostilità nei confronti dei musulmani, in Italia, sia reale. Una tesi affermata tirando in ballo libere interpretazioni anche del comportamento dei media - vengono richiamati il quotidiano La Verità, Il Giornale e Libero, rei di diffondere «articoli aggressivi» - ma senza, onestamente, inoppugnabili evidenze statistiche. Non solo. Nel descrivere la situazione italiana, il rapporto omette ogni riferimento al dossier Osce-Odihr, elaborato sulla base di un questionario che l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa annualmente invia ai Paesi membri, riguardante la raccolta dei dati sui reati generati, e all'Oscad, l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori.Una lacuna grave per due ragioni. La prima risiede nell'importanza di questi dati, basati sulle segnalazioni costituenti reato: non quindi su «percezioni» individuali né su opinabili giudizi di valore sui titoli o sugli editoriali di questo o di quel quotidiano, ma su dati di fatto, oltretutto penalmente rilevanti. Un secondo motivo per cui è un peccato che il dossier Osce-Odihr non sia stato citato nelle 24 pagine dedicate all'Italia dal rapporto sull'islamofobia europea deriva dal contenuto del dossier stesso, che metteva in luce come nel 2016 nel nostro Paese vi siano stati 8 casi riconducibili all'odio antislamico. Sempre troppi, per carità.Ma quelli relativi all'odio anticristiano, nello stesso arco temporale, risultavano essere 32. Per l'esattezza, risultavano tutti reati contro la proprietà, e quasi tutti contro la Chiesa cattolica. Ma al di là di questo, ciò che rileva è che questi casi siano stati quattro volte di più rispetto alle segnalazioni di reato animate da odio antislamico. E a chi obietta che i dati del 2016 sono superati rispetto a quelli del 2018, anno cui si riferisce il rapporto sull'islamofobia europea, è facile rispondere che proprio questo è un elemento decisivo.Già, perché scagiona le responsabilità governative sovraniste (nel 2016 Matteo Salvini non era al Viminale e la Lega non era al governo) e perché evidenzia come, delle numerose aggressioni contro la Chiesa cattolica, nessuno, dal 2016 ad oggi, si sia preoccupato. Soprattutto, non risulta essersene preoccupata l'Ue, motivo per cui è facile immaginare che oggi, nell'indifferenza di tutti, la cristianofobia italica sia più radicata di ieri. D'accordo, ma come mai? Per quale ragione - pur essendo state quattro volte più numerose, lo si ripete, di quelle antislamiche - le segnalazioni di reato anticristiane non hanno fatto sostanzialmente notizia?

    Terrorismo islamico, l'Inghilterra ha la soluzione: smettere di parlarne (!)

    Play Episode Listen Later Nov 6, 2019 6:15


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5878TERRORISMO ISLAMICO, L'INGHILTERRA HA LA SOLUZIONE: SMETTERE DI PARLARNE (!) di Lorenza FormicolaL'assistente commissario Neil Basu - ai vertici della polizia metropolitana di Londra - ha espresso, pochi giorni fa, alla conferenza internazionale sulla lotta al terrorismo in Israele, tutta la sua preoccupazione per la copertura che la stampa inglese dedica alle questioni di sicurezza e al terrorismo. È convinto, infatti, del fatto che spesso parlare troppo possa, involontariamente, promuovere il terrorismo.Basu ha affermato di comprendere l'enorme richiesta del pubblico di informazioni quando il Paese ha subito attentati terroristici, eppure non sente di condividere l'idea che una copertura "implacabile" sia stata, o possa essere in futuro, utile ad ostacolare il terrorismo. Ritiene, infatti, che i media giochino un ruolo importante nel contribuire ad impedire "agli estremisti di lanciare attentati". "Non cerco di minare le libertà di stampa - sono importanti - ma voglio lavorare con loro per capire se possono aiutare a prevenire, non a promuovere il terrorismo", ha concluso.Già lo scorso anno sosteneva che più polizia non fosse sufficiente a fermare il terrorismo: "La cura va cercata altrove". Anche perché Basu, che ha tutte le carte in regola per essere il prossimo capo di Scotland Yard di Londra, - ed è responsabile dell'antiterrorismo a livello nazionale - sostiene che la maggior parte della minaccia terroristica sia connessa al clima di intolleranza che si respira nel Paese. Ma soprattutto che non si può cercare di puntare ad assimilare gli islamici alla cultura britannica: significherebbe costringerli a nascondersi. A rinnegare se stessi.COMBATTERE I GRUPPI DI ODIO, ANZICHÉ IL TERRORISMOQuello della sicurezza legata al terrorismo deve essere, però, un tema piuttosto caldo in Gran Bretagna ultimamente. Perché quasi in contemporanea il Tony Blair Institute for Global Change ha pubblicato un rapporto, 'Designating Hate: New Policy Responses to Stop Hate Crime' che raccomanda iniziative radicali per combattere i gruppi di "odio", anche se non hanno commesso alcun tipo di attività violenta. Il think-tank punta il dito contro il problema, dal loro punto di vista, più urgente: "la natura pericolosa di gruppi d'odio di destra, tra cui Britain First e Generation Identity. Ma le leggi attuali non sono in grado di fermare questo genere di formazioni che diffondono odio e divisione, anche se non sostengono violenza".Il think-tank è dell'opinione che l'odio, specie on line, sia cresciuto in prossimità di attentati terroristici. Per esempio gli attentati del 2017 (non solo in Inghilterra), secondo il Tony Blair Institute for Global Change, hanno fatto registrare un aumento di odio nel Paese pari a quasi il 1000%.Pertanto, quel che va assolutamente combattuto, l'emergenza nazionale è l'odio verbale che i cittadini riversano sui vari social network come risposta al terrorismo islamico. Ecco, allora, l'ostacolo credibile ed efficace al terrorismo. Probabilmente perché gli attentati sono diventati talmente parte integrante della vita inglese, che urge insistere sulla sfera dell'emotività.REATI INTELLETTUALI (GLI PSICOREATI DI ORWELL)Il rapporto 'Designating Hate: New Policy Responses to Stop Hate Crime' risulta molto esplicativo da questo punto di vista quando afferma, "i gruppi divisivi - in particolare i gruppi di estrema destra sempre più integrati - diffondono odio con relativa impunità perché le risposte all'estremismo non violento rimangono non coordinate; gli episodi di odio ruotano attorno ai grandi eventi, lasciando le comunità esposte. Ma soprattutto gli autori dell'odio religioso sono raramente perseguiti a causa di lacune nella legislazione".Una delle soluzioni suggerite dal think tank sarebbe, dunque, creare una nuova legge per designare i "gruppi d'odio", in modo da colmare un vuoto normativo europeo e fermare chi diffonde intolleranza e antipatia. Si parlerebbe, pertanto, di reati intellettuali, legati al pensiero. Per rendere nullo, poi, anche un qualsiasi discorso politico che viene dagli ambienti di destra - quelli che per il think-tank tendono maggiormente a diffondere odio. E si arriverebbe ad avere, di conseguenza, un Ministero degli Interni in grado di accusare qualsiasi gruppo ritenuto politicamente scomodo perché giudicato capace di "diffondere l'intolleranza" o di "allinearsi con le ideologie estremiste" - e designarlo come un "gruppo di odio".Ma nessuna proposta viene avanzata per contrastare, nel frattempo, l'emergenza inglese, ed europea, del terrorismo islamico. Anzi, proprio il Regno Unito, sembra indicare una sola alternativa: smettere di parlarne, così passerà.Su altre lunghezze d'onda sembra, invece, il leader di Al Qaeda Ayman al-Zawahiri. Che, lo stesso giorno dell'anniversario dell'11 settembre, ha fatto appello ai musulmani perché non si distraggano e attacchino obiettivi militari statunitensi, europei, israeliani e russi.Come riporta SITE - il gruppo di intelligence che traccia l'attività online dei terroristi - al-Zawahiri nel video pubblicato se la prende con gli ex combattenti che in carcere hanno cambiato idea. Per poi concludere, "proprio mentre cospirano e uniscono le forze contro di noi, dobbiamo inseguirli ovunque in un momento e in un luogo di nostra scelta. Siate inventivi e creativi nei vostri metodi". La stessa creatività con cui l'Inghilterra azzarda soluzioni.Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 3 minuti) dal titolo "Islamizzazione in Inghilterra: incontri ravvicinati con la pace del terzo tipo" si vede come alcune zone in Inghilterra siano già saldamente in mano degli islamici. YouTube, con la scusa che "include contenuti che potrebbero essere offensivi o inappropriati per alcuni segmenti di pubblico", ha messo molte restrizioni per cui non è visibile per tutti e non può essere inglobato in un altro sito. Ecco almeno il link per poterlo vedere (non è detto che lo possiate vedere e noi in tal caso non possiamo farci nulla). Entra con il tuo account e clicca su "capisco e desidero procedere":https://www.youtube.com/watch?v=gDw_u35j3R8

    La diocesi di Firenze vende il terreno per una moschea... in nome della libertà religiosa

    Play Episode Listen Later Oct 23, 2019 3:41


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5855LA DIOCESI DI FIRENZE VENDE IL TERRENO PER UNA MOSCHEA... IN NOME DELLA LIBERTA' RELIGIOSA di Roberto de MatteiI fatti sono questi: l'Arcidiocesi di Firenze è in trattative per vendere a Sesto Fiorentino, 8mila metri quadri di sua proprietà alla comunità islamica locale affinché possa realizzarvi una moschea e un centro culturale islamico.Il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori ha dichiarato: "La Chiesa fiorentina con la firma di questo protocollo ha dato concretezza all'affermazione del principio di libertà religiosa promosso soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II e ribadito continuamente dal magistero pontificio." Il cardinale ha aggiunto: La trasformazione delle società occidentali in società multietniche, multiculturali e multi-religiose è un dato di fatto e un futuro che ci attende ineluttabilmente (...) l'unica alternativa alla civiltà dell'incontro è l'inciviltà dello scontro".DOMANDE INQUIETANTICi chiediamo: ma il cardinale Betori è convinto che ci sia una sola religione vera, quella cattolica oppure ritiene che le diverse religioni e identità culturali siano sullo stesso piano e meritino la stessa considerazione da parte degli uomini? L'avvento di una società multireligiosa e multiculturale è davvero ineluttabile? E se così fosse perché il cardinale Betori non lo deplora?Il cardinale è convinto che una società multireligiosa sia migliore di una società cattolica? E' convinto che tutte le religioni abbiano un uguale valore? Il cristiano che crede nella Santissima Trinità e il musulmano che la nega, l'ebreo che considera Gesù Cristo un impostore e il cristiano che lo adora come Figlio di Dio della stessa sostanza del Padre, il panteista che assorbe Dio nella natura e il teista, che crede in un Dio che trascende le creature, sono tutti sullo stesso piano? Ma questo non è cattolicesimo, è relativismo.OVVIE CONCLUSIONIA nessuno la religione può essere imposta con la forza, perché nessuno può essere costretto a credere, ma non esiste un diritto a professare qualsiasi religione, esiste solo il diritto a professare la religione vera, perché l'errore non ha diritti. Certo esiste la verità ed esistono gli errori, così come esiste il bene ed esiste il male. Ma è giusto, e quindi ha un diritto solo ciò che è vero e non ciò che è falso. Se bene e male, verità ed errore hanno gli stessi diritti, vuol dire che la verità non esiste, tutto è opinione soggettiva, il relativismo trionfa.Il cardinale Betori con le sue parole non professa la fede cattolica, ma il relativismo. Se volesse essere coerente il cardinale Betori dovrebbe non solo vendere, ma regalare le sue proprietà all'Islam, e non solo all'Islam, ma anche ai buddisti e ai politeisti. [...] Tutto ciò in omaggio al principio della libertà religiosa sancito dal Concilio Vaticano II.

    L'armata di bambini che l'Iislam usa per la guerra santa all'occidente

    Play Episode Listen Later Oct 10, 2019 13:38


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5843L'ARMATA DI BAMBINI CHE L'ISLAM USA PER LA GUERRA SANTA ALL'OCCIDENTE di Lorenza FormicolaIl tredicenne che il 12 luglio s'è fatto saltare in aria in un attentato suicida, durante un matrimonio, nella provincia di Nangarhar nell'Afghanistan orientale, uccidendo cinque persone e ferendone 40, ha riproposto il problema della radicalizzazione islamica di bambini e adolescenti.Uno spettacolo horror di dimensione globale, oggi facilitato dall'islam grazie alla tecnologia - strumento sfruttato al massimo dai terroristi islamici in conformità con il mandato dei Fratelli Musulmani di "indebolire l'Occidente anche con le loro armi". Ma non è solo la propaganda su YouTube a rubare le coscienze dei bambini.Le Nazioni Unite già nel 2006 denunciavano l'esistenza di 250.000 bambini che in tutto il mondo erano stati arruolati per combattere in circa 20 conflitti differenti. Allora il sedicente Stato Islamico era solo un'idea, eppure in poco tempo è stata poi costruita l'organizzazione di quella radicalizzazione che nei primi mesi del 2015 aveva già oltre 1.500 bambini a combattere in prima linea e ne aveva addestrati oltre mille come kamikaze.Il Combating Terrorism Center, nel più recente rapporto in materia, condusse tra il 2015 e il 2016 una meticolosa indagine per svelare come le organizzazioni estremiste violente, e in particolare quelle legate all'islam, da tempo reclutavano bambini a un ritmo sempre più sostenuto.I talebani pakistani gestiscono ad oggi numerose cosiddette scuole dedicate alla formazione di terroristi preadolescenti; gli houthi - gruppo armato sciita nello Yemen - hanno sistematicamente introdotto l'inclusione dei bambini nelle loro fila mentre la milizia Hezbollah in Libano ha iniziato a inquadrare adolescenti per rafforzare la presenza in Siria.Il fenomeno non è nuovo e ha diversi antecedenti storici. C'è sicuramente la matrice nazionalsocialista, conclusione a cui è arrivato anche Quilliam - think tank londinese - nel rapporto The Children of Islamic State. Secondo gli autori l'isis si è ispirato anche alla Gioventù Hitleriana per indottrinare i bambini e prima ancora era stato il comunismo a inquadrare i bambini anche prelevandoli dalle famiglie.I RAGAZZI DELL'ISLAMNon è un caso che le Nazioni Unite recentemente abbiano ricevuto notizie credibili, ma non verificate, su un'ala giovanile dell'Isis, Fityan al-Islam - "ragazzi dell'islam".Che esista o meno il gruppo, è certo che bambini e ragazzini vengono costretti a memorizzare i versetti del Corano e a partecipare all'addestramento jihadista, che prevede sparatorie, armi e arti marziali.Lo Stato Islamico ha investito - e pubblicizzato - così tanto sulla radicalizzazione dei bambini che ogni preoccupazione organizzativa sovrasta i meri benefici della propaganda a breve termine. È chiaro che la leadership dello Stato Islamico ha una visione a lungo termine della gioventù e dei suoi sforzi jihadisti: i bambini militanti di oggi saranno i terroristi di domani, con ogni probabilità. E le questioni morali islamiche, radicalizzate anche dall'impegno sul campo di battaglia con i giovani musulmani, saranno probabilmente all'ordine del giorno nei proclami jihadisti negli anni a venire.C'è stato un momento in cui la presenza e la partecipazione dei bambini nella propaganda dello Stato Islamico è stata ostentata quasi quotidianamente: bambini presenti in molteplici contesti, dalle esecuzioni altamente pubblicizzate ai campi di addestramento, alle spedizioni daw'a.Il Combating Terrorism Center ha analizzato proprio la propaganda fotografica diffusa sul martirio con bambini e giovani per tirare fuori dati importantissimi.Dal 1° gennaio 2015 al 31 gennaio 2016, 89 bambini e giovani sono stati elogiati nella propaganda dello Stato Islamico. Il 51% è stato dichiarato morto in Iraq, mentre il 36% è morto in Siria. Il resto è stato ucciso durante le operazioni in Yemen, Libia e Nigeria. Il 60% percento del campione è stato classificato come "adolescente", il restante 40% sono preadolescenti o un po' più grandi. Degli 89 casi, il 39% è deceduto dopo aver fatto esplodere un dispositivo esplosivo improvvisato a bordo di un veicolo contro l'obiettivo.Il 33% è stato ucciso in operazioni sul campo di battaglia non specificate, il 6% è morto mentre lavorava come propagandista all'interno di unità e il 4% si è suicidato in attentati contro civili. Per il resto del 18% si è trattato di morte in operazioni di saccheggio in cui un gruppo di combattenti, per lo più adulti, s'infiltra e attacca una posizione nemica usando armi automatiche leggere prima di uccidersi facendo esplodere cinture suicide. Il 40% delle volte, i bambini e i giovani sono morti in operazioni contro le forze di sicurezza, militari e polizia. E solo il 3% ha compiuto attacchi suicidi contro civili.I BAMBINI SOLDATOC'è ancora un elemento particolarmente esemplificativo e, secondo sempre il Combating Terrorism Center, è deducibile dalle fotografie diffuse.Nel 6 per cento delle fotografie, i bambini e i giovani sono mascherati. Dei rimanenti casi, il 46 per cento è rappresentato con sorrisi sui volti. Un ulteriore 28% dei bambini e dei giovani si trovava in frutteti e prati, uno scenario presumibilmente scelto per riecheggiare il paradiso a cui sono convinti di essere destinati. Si tratta del tema della felicità nella prospettiva del martirio islamico: quando ci si uccide per uccidere.Così come è altrettanto sorprendente che i bambini e i giovani dello Stato Islamico operino in modo simile agli adulti. I bambini stanno combattendo, e hanno combattuto, a fianco, piuttosto che al posto, di maschi adulti. In altre circostanze storiche i bambini soldato sono stati una strategia di ultima istanza, come un modo per "sostituire rapidamente le perdite sul campo di battaglia" o in operazioni specializzate per le quali gli adulti potrebbero essere meno efficaci. Nel contesto dello Stato islamico i bambini sono usati più o meno allo stesso modo degli adulti, il che significa che l'uso di bambini e ragazzi è stato normalizzato sotto il dominio dell'Isis. Invece di salutarli come giovani eroi, i media islamici li celebrano semplicemente come eroi.Secondo i dati Onu, attualmente, sono ben 58 i gruppi armati di matrice islamica, in 15 paesi del mondo, che radicalizzano, reclutano e si servono di bambini.Da più di un anno lo stato di allerta interessa anche la Germania. Dove, secondo Hans-Georg Maaßen, quando era ancora a capo dell'Ufficio per la protezione della Costituzione (i servizi segreti tedeschi), diverse centinaia di bambini sono a rischio di radicalizzazione islamica e rappresentano un rischio "non trascurabile" per la sicurezza nazionale.Sono bambini e adolescenti che crescono in famiglie da cui ricevono un'educazione radicalmente islamica. Devoti ad una "una visione del mondo estremista che legittima la violenza verso gli altri e sminuisce coloro che non appartengono al loro gruppo", riferiva un rapporto dell'anno scorso dell'Ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione.L'esposizione dei minori all'islam radicale è "allarmante" e rappresenta una "sfida" per gli anni a venire, ha detto oltre un anno fa Maaßen. E l'attenzione dei servizi di sicurezza tedeschi è contemporaneamente rivolta anche ai bambini che stanno tornando con le loro famiglie, o da soli, dai territori occupati dall'Isis.UNA STRATEGIA ANTI-RADICALIZZAZIONEIn Inghilterra lo stesso fenomeno e le medesime preoccupazioni hanno spinto il governo già nel 2015 ad attuare una strategia anti-radicalizzazione, "Prevent". Il che significa che tutti gli enti pubblici sono stati istruiti a riconoscere la radicalizzazione nei più giovani e, se necessario, costretti a segnalarlo all'autorità locali. "Prevent" è una strategia basata sul rischio; identificare i giovani che sembrano essere a rischio di radicalizzazione e mettere in atto interventi per impedire che si trasformi in violenza.Secondo il think tank Quilliam circa 50 bambini del Regno Unito sono cresciuti in un territorio controllato dallo Stato Islamico e si ritiene siano andati in Siria per combattere. "L'obiettivo è quello di preparare una nuova, più forte, seconda generazione di mujaheddin, istruita ad essere una risorsa futura per il gruppo", aggiunge il rapporto.Ritengono, inoltre, che lo Stato Islamico abbia preparato il suo esercito indottrinando i bambini nelle sue scuole e normalizzandoli alla violenza anche attraverso la testimonianza di esecuzioni pubbliche.Un caso eclatante in merito è il macabro video del 2016 che mostrava un bambino inglese di quattro anni ripreso mentre faceva esplodere un'autobomba, uccidendo quattro presunte spie intrappolate nel veicolo.La missione di assistenza delle Nazioni Unite per l'Iraq stima che l'Isis abbia rapito tra gli 800 e i 900 bambini di età compresa tra i nove e i 15 anni. Da agosto 2014 a giugno 2015, centinaia di ragazzi, tra cui Yazidi e Turkmeni, sono stati forzatamente prelevati dalle loro famiglie a Ninive e inviati ai centri di addestramento, dove ai ragazzi di otto anni, come già riportato, veniva insegnato il Corano, l'uso delle armi e le tattiche di combattimento.La radicalizzazione dei bambini è un fenomeno che riguarda anche il Nord America. La CNN ha riferito l'anno scorso che circa 1.000 indagini a riguardo sono state aperte in tutti i 50 Stati. Nell'agosto 2018, undici bambini sono stati trovati in un campo del New Mexico dove venivano addestrati all'uso delle armi da un radicale islamista americano. A Minneapolis, 45 ragazzi hanno lasciato la comunità somala locale per unirsi ad al-Shabab o all'Isis.A giugno un 22enne del Bangladesh, che vive a New York, è stato arrestato perché stava pianificando un attentato a Times Square. Dati parziali che evidenziano l'enorme pericolo rappresentato dalla radicalizzazione dei giovani anche in Occidente.lamentando la scarsa scientificità dell'iniziativa.

    Perché la Francia è un obiettivo prioritario del terrorismo islamico

    Play Episode Listen Later Aug 7, 2019 12:31


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5768PERCHE' LA FRANCIA E' UN OBIETTIVO PRIORITARIO DEL TERRORISMO ISLAMICO di Lorenza FormicolaGilles Kepel politologo, orientalista e accademico francese, specializzato negli studi sul Medio Oriente contemporaneo e sulle comunità musulmane in Occidente, ha provato a rispondere a una domanda diffusa e frequente: perché la Francia continua ad essere l'obiettivo privilegiato del terrorismo islamico?Dal 2004 gli attentati jihadisti hanno causato 280 morti e 952 feriti. Secondo Kepel il messaggio ideologico contenuto dell'islam, che impone la lotta contro i “miscredenti” e gli “apostati”, è talmente diffuso che l'Isis, o chi per esso, ha già vinto in partenza. Che venga combattuto o meno, “Non c'è più alcuna necessità di ordini o una logistica sofisticata”. Considerazioni, quelle dell'accademico francese, datate 2016, e che in qualche modo non sono mai state confutate dai fatti fino ad oggi.Sempre più spesso gli attentati hanno avuto come protagonisti dei radicalizzati, dei lupi solitari, neofiti dell'islam, costringendo la Francia negli ultimi anni ad essere testimone della minaccia di un terrorismo “endogeno” a cui con difficoltà riesce a far fronte. I coltelli, le bombe costruite comprando materiale su internet, armi di piccole dimensioni sono stati gli strumenti di attentati jihadisti “fatti in casa” oltralpe.E l'Isis non ha fatto che soffiare sotto un fuoco già appiccato e vivo nel Paese. Servendosi, per esempio, di internet e della propaganda costruita con lo streaming degli attentati o delle decapitazioni: qualcosa che nessuna organizzazione terroristica aveva ancora mai fatto. E che, nell'ottica di un eterno tentativo di galvanizzare i propri adepti, rappresenta una delle ragioni per cui anche alcuni attentati cosiddetti minori, sono stati rivendicati dal sedicente stato islamico.L'ISIS NON È SOLOCome quando un uomo al grido di ‘Allah Akbar' ha ucciso sua madre e sua sorella, in seguito ad un litigio familiare, e che dopo aver ferito un vicino e tentato di minacciare la polizia è stato ucciso. Era agosto 2018, a Trappes in una banlieu a ovest di Parigi. Qualche ora più tardi l'agenzia Amaq ne rivendicò la paternità.Perché l'Isis ha creato una minaccia dai contorni vaghi e dal chiaro pericolo, ma lo Stato Islamico non è solo.L'arresto del terrorista di al-Qaeda, Peter Cherif, a dicembre è la prova che, oltre al terrorismo “d'ispirazione”, le organizzazioni jihadiste sperano di trarre vantaggio da due fattori per finalizzare colpi diretti in un Paese che rimane uno dei loro obiettivi preferiti. Il primo è l'esistenza di un nucleo di jihadisti francesi esperti.Alcuni sarebbero ancora all'estero, come Mohamed el-Ayouni, altri lasceranno la prigione nei prossimi mesi e anni e per tornare spesso più radicalizzati di come vi sono entrati, altri invece stanno facendo ritorno dalle terre in cui sono partiti per il jihad come “influenti veterani”.Il secondo fattore è la dimensione a cui i terroristi attingono. Un terreno fertile che, ventiquattro anni dopo gli attacchi del 1995, ha raggiunto dimensioni senza precedenti. Quando nel luglio 1995, Khaled Kelkal, fece scoppiare un ordigno artigianale nella stazione della metro di Saint Michel, uccidendo otto persone, per la causa del Fronte Islamico di Salvezza, l'islam radicale aveva pochissimi sostenitori.Dal 1° dicembre 2018, 20.560 persone sono state registrate nei report per la prevenzione della radicalizzazione del terrorismo, in 9762 sono stati oggetto di dossier che l'intelligence francese chiama «prise en compte» perché vengano monitorati a stretto giro.LA MINACCIA PIÙ IMPORTANTELa Francia assiste ad un radicalismo di massa che ha subito un brusco incremento con il sogno della “jihad siriana”, ma che non costituisce la minaccia più importante per il Paese e già nel 2013 gli specialisti dell'anti-terrorismo ritenevano che le forze dell'ordine non potessero rappresentare la risposta a tutto questo.La possibilità di radicalizzarsi è offerta dagli imam importati e quelli che si crescono in casa da giovanissimi mandandoli però a studiare in Turchia, per esempio, e che magari non sono mai andati a combattere gl'infedeli con il kalashnikov.Il terrorista del maggio 2018 nel quartiere dell'Opera di Parigi ha agito da solo. Il giovane, Khamzat A., cresciuto in una famiglia di rifugiati a Strasburgo, nel famoso quartiere di Elsau, dove vive una grande comunità cecena, era stato schedato dal 2016 come “S” dai servizi di intelligence francesi. “S” sta per ‘Sûreté de l'État', individuo considerato pericoloso per la sicurezza dello Stato.Uno che l'organo di propaganda Amaq ha salutato come un “soldato dello Stato islamico” e che ha firmato il settantanovesimo attentato terroristico in Francia dopo gli omicidi commessi a Tolosa da Mohamed Merah. Il che conferma quanto poco possano farci, entro certi limiti e competenze, le forze dell'ordine.LA FRANCIA È L'OBIETTIVO NUMERO UNONegli ultimi dieci anni, la Francia è stato l'obiettivo numero uno, da quando al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) fu la prima organizzazione al mondo ad aver proclamato la sua volontà di “depredare” la Repubblica francese. Perché?Ad oggi nel Paese dovrebbero esserci circa 8,4 milioni di musulmani, secondo le stime del 2017 di François Héran, ex capo della Population Surveys Branch dell'INSEE e direttore dell'INED (Istituto nazionale francese per la ricerca demografica).Di questi abbiamo già scritto in quanti sono schedati come radicalizzati e quanti sono seguiti da vicino dalla polizia. Occorrerebbero circa quattro agenti per sospetto al giorno per monitorarne le tracce: impossibile per un Paese come la Francia, che non dispone di tali forze e che non si sta attrezzando a riguardo.Sarebbero circa 2000 i francesi che sono partiti per la jihad in Siria - è il Paese che ha fornito il maggior numero di combattenti stranieri e soprattutto di giovani -, di questi quasi 700 sono ancora sul posto o in fuga, circa 300 sarebbero morti e 244 sono stati arrestati al loro ritorno in Francia, ma di diverse centinaia di persone si sono perse le tracce. E i numeri vengono aggiornati molto di rado.Motivo, ma non l'unico, per cui la Francia è in stato di allerta dagli attentati del 2015, come un territorio costantemente in guerra. E il problema è che questa guerra promette di essere paradossalmente più lunga di quella condotta in Siria e in Iraq. Solo poche settimane fa, è stato registrato l'ultimo attentato a Lione, fortunatamente senza morti.Secondo gli analisti, il “nemico” è da tutte le parti in Francia perché non solo i radicalizzati sono un problema interno, ma perché la Francia si è schierata al fianco di Stati Uniti e Regno Unito in Siria e, con Sarkozy, è stata in Libia per rovesciare Gheddafi, attirando, pertanto sentimenti di vendetta. Questo punto di vista sposa la tesi secondo la quale l'intervento in questi paesi ha aperto la strada ai flussi di immigrati, di cui l'Isis si è servito per infiltrare i suoi combattenti verso l'Europa.TANTI MOTIVI, UN SOLO RISULTATOLe ragioni degli attacchi terroristici islamici in Francia sarebbero pertanto numerose per gli analisti. E includono, innanzitutto, la percezione negativa della Francia presso i musulmani.Il coinvolgimento di Parigi nella coalizione militare a guida USA contro lo Stato Islamico, la facilità con cui gli estremisti e le armi automatiche possono attraversare i confini francesi; il numero di giovani musulmani nel Paese ispirati all'ideologia islamica e la difficoltà dei servizi di sicurezza francesi nel tenere testa alle circa 20.000 persone considerate pericolose costituiscono gli elementi principali della vulnerabilità francese.La Francia non avrebbe neanche una buona tradizione circa il trattamento dei musulmani delle sue ex colonie. Più della metà dell'esercito di liberazione francese del 1943-44, che combatté in Italia e Francia, comprendeva soldati provenienti dall'Africa settentrionale e sub-sahariana, con 134.000 algerini, 73.000 marocchini, 26.000 tunisini e 92.000 uomini da altre colonie. Quando i loro paesi raggiunsero l'indipendenza dalla Francia, le loro pensioni francesi furono congelate.I musulmani francesi sono stimati circa il 10% della popolazione totale (o da sei a sette milioni di persone), mentre la popolazione carceraria francese è per circa il 70% composta da musulmani. Uno studio della Stanford University del 2010 ha dimostrato che un cittadino francese cristiano ha due volte e mezzo più probabilità di ottenere un colloquio di lavoro rispetto a un candidato musulmano altrettanto qualificato. Secondo quanto riferito, la discriminazione sarebbe peggiorata dopo l'attacco alla redazione di Charlie Hebdo nel gennaio 2015.

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