Uno sguardo da vicino alla religione che ha cambiato la storia del mondo
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7468DON CAMILLO DIFENDE LE CROCI IN CIMA ALLE MONTAGNE di Lorenzo BertocchiDalle finestre del tinello don Camillo aveva un meraviglioso panorama sulle cime, ma quella mattina all'orizzonte mancava qualcosa. Non aveva ancora finito di raccapezzarsi sulla faccenda paesaggistica che arrivò come un fulmine lo Sparalesto, in compagnia del presidente della Pro Loco.In nome dell'ambiente, il gruppo "Spirito libero in libera natura" aveva ottenuto dal comune il permesso di abbattere la Croce di vetta che era lì da duecento anni.Don Camillo fece irruzione nell'ufficio della nota assessora alla cultura e, mani sui fianchi, la guardò come si guarda un abusivo che scaccia di casa il padrone. Ma l'assessora era un osso duro.«Si calmi e non ne faccia una questione integralista», disse, «noi pensiamo che i frequentatori della nostra vetta più alta debbano avere la possibilità di attribuire liberamente alle loro esperienze in montagna i valori che sentono più affini. Senza alcun inquinamento prevaricatore. Lo diciamo anche per una questione di libera lode alla natura, senza preconfezionamenti».Il povero parroco, di fronte a un tale sfoggio di cultura, rimase per un momento al tappeto. E pensò che l'assessora colpiva molto più duro del vecchio Peppone.Uscito dal palazzo comunale don Camillo ebbe un'altra notizia da knock-out, i talebani dell'ambiente libero non si erano limitati a togliere la vecchia Croce di vetta, ma al suo posto avevano posizionato un monumento al libero pensatore che, pensoso, avrebbe atteso lo scalatore per dargli un vago senso di conquista della cima. Il vaso era colmo e al nostro parroco di crinale non rimase che andare dal Crocifisso dell'altar maggiore.«Signore, qui la vogliono sfrattare da casa sua».«Non preoccuparti don Camillo, ci sono abituato, sono salito sulla Croce per questo. Tu continua a salire la tua strada e non perdere di vista la meta».E fu sera, e fu mattina. Il giorno dopo verso mezzogiorno in piazza non si parlava d'altro, tutti a guardare la vetta. Nottetempo qualcuno, di fianco al libero pensatore, aveva piantato tre metri di Croce con su scritto In hoc signo vinces. Qualcuno gridava al miracolo. Quelli dello "spirito libero" erano già pronti a salire in vetta con l'assessora che voleva vedere con i suoi occhi. Don Camillo si rese subito disponibile per accompagnarli.Durante la salita raggiunsero il vecchio Paolino, che ogni anno in quaresima saliva alla Croce di vetta per lasciare un fiore. Era solo da anni, aveva perso in un colpo la moglie e il giovane figliolo, assassinati all'epoca della linea gotica.«Buongiorno reverendo, venite anche voi alla Croce?», domandò Paolino.«Andiamo a vedere chi ha rimesso la Croce in vetta, visto che questi signori l'avevano tolta per far posto ai pensatori».«Ma la Croce è sempre rimasta al suo posto», rispose Paolino, «da casa mia non ho mai smesso di vederla».Tutti conoscevano il vecchio Paolino e a qualcuno la storia del miracolo cominciava a far sudare freddo. A togliere tutti dall'impaccio pensò don Camillo: «Cari liberi pensatori, spesso solo un cammino molto accidentato può condurre a Dio, un cammino che solo nella Croce trova significato. Allora si sale per la strada giusta. Chi nel proprio cammino non vede più la Croce, allora è segno che è fuori strada. Ma si può sempre tornare sulla retta via e vedere così riapparire all'orizzonte il Segno della vera libertà». La comitiva girò i tacchi e scese a valle. Dal tinello di don Camillo il panorama era tornato a posto.Nota di BastaBugie: Ermes Dovico nell'articolo seguente dal titolo "Il Cai, le croci e le montagne (che ci parlano di Dio)" commenta la vicenda del portale il Club Alpino Italiano che prima disapprova l'installazione di nuove croci sulle vette, poi fa un parziale dietrofront, ma la toppa è peggiore del buco. All'origine, il mancato riconoscimento della meta eterna a cui la Croce e le stesse montagne ci richiamano.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il maggio giugno 2023:«Prima che nascessero i monti / e la terra e il mondo fossero generati / da sempre e per sempre tu sei, Dio» (Sal 89,2). Le lodi mattutine di ieri, 26 giugno, ci ricordano che l'intera creazione - dai monti a tutta la realtà di cui noi stessi facciamo parte - è opera dell'Eterno, cioè di Dio. Esse ci parlano dello stesso Dio che si è incarnato nella pienezza dei tempi, condividendo tutto della condizione umana (tranne il peccato) fino a lasciarsi crocifiggere per la nostra salvezza. È quindi curioso, sebbene non originale, che oggi, A. D. 2023, si possa definire «anacronistico» quel simbolo, la croce, che ricorda l'evento centrale nella storia dell'uomo, richiamando evidentemente Colui - Gesù Cristo - che ha voluto amare i suoi figli fino al dono della sua stessa vita.Il caso è già ben noto alle cronache: tutto nasce dalla posizione espressa da esponenti di spicco del Cai, il Club Alpino Italiano, a proposito delle croci innalzate sulle cime delle montagne. Ricostruiamo i fatti.Giovedì 22 giugno, all'Università Cattolica di Milano, si è tenuto un convegno con relatori di diversa estrazione che si sono confrontati sui temi presenti nel libro Croci di vetta in Appennino, di Ines Millesimi. Il convegno era stato annunciato il 13 giugno attraverso un articolo sulla testata online del Cai, Lo Scarpone, in cui Pietro Lacasella, curatore del portale, a proposito delle croci di vetta, scriveva che è sbagliato rimuoverle ma è «anacronistico» innalzarne altre, perché «la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale», mentre le vette dovrebbero essere considerate «come un territorio neutro».La stessa posizione - né rimuovere le croci esistenti né innalzarne di nuove - veniva espressa al convegno alla Cattolica dal direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del Cai, l'ateo dichiarato Marco Albino Ferrari. In un solco simile anche la linea dell'autrice del libro presentato all'evento, Ines Millesimi, secondo cui «la croce non può essere un segno divisivo». Lo Scarpone ritornava quindi sul tema con un articolo - Croci di vetta: qual è la posizione del CAI? - sempre a firma di Lacasella, per ribadire, a sintesi del convegno, il concetto che il Cai rispetta le croci esistenti e si occupa anche della loro manutenzione, ma il presente impone di «disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli», per via del «dialogo interculturale» e delle «nuove esigenze paesaggistico-ambientali». Anche questo è un paradossale segno dei tempi: accantonare Dio in nome dell'ambiente e delle religioni (e pazienza che quella rivelata sia una sola).La posizione del Cai ha suscitato malcontento tra diversi soci. E ha portato vari leader di centrodestra a intervenire, forse anche per un malinteso sulla rimozione: malinteso che comunque - stando a quanto riportava il sito del TgCom il 24 giugno - avrebbe coinvolto anche alcune guide di Alagna (provincia di Vercelli) che avevano già cominciato a rimuovere le croci «per ammassarle in un memoriale».A seguito dell'intervento della maggioranza al Governo - incluso il Ministero del Turismo, che vigila per competenza sul Club Alpino Italiano - il presidente dello stesso Cai, Antonio Montani, ha diffuso una nota per dire che non c'è «una posizione ufficiale» sulle croci di vetta e quanto pubblicato in precedenza «è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari […]. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce». La nota, a ben vedere, è solo un parziale dietrofront, perché toglie l'aura di ufficialità alla posizione espressa da Ferrari-Lacasella, ma nulla dice su eventuali nuove installazioni di croci.E questo non è un punto secondario. Le croci di vetta di cui si parla - come riporta il portale del Cai - risalgono per la maggior parte al periodo compreso tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo. Dunque, innanzitutto, oggi non c'è questa presunta "emergenza" di evitare chissà quale proliferazione di nuove croci. D'altra parte, presentare la croce come anacronistica e divisiva pone come minimo un problema di prudenza, perché il discorso investe evidentemente non solo le croci sulle vette - il che è già problematico - ma tutte le croci e i simboli cristiani negli spazi e luoghi pubblici. Le assurdità da politicamente corretto della nostra epoca - quelle sì divisive, nel senso negativo del termine - stanno lì a ricordarcelo. E la storia ci dice che quando serpeggia un clima culturale così, basta nulla perché dalla persecuzione ai simboli si passi a quella alle persone che in quei simboli si riconoscono.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7408AVVENIRE PUBBLICIZZA IL 5 PER MILLE A FAVORE DELL'ARCI di Mauro FaverzaniDi nuovo. È successo di nuovo. Non a caso, non per una svista, né per un errore. Bensì deliberatamente, consapevolmente, pervicacemente. Il quotidiano della Cei, Avvenire, che ama definirsi genericamente «di ispirazione cattolica», quasi la sua non fosse sequela, apostolato, testimonianza, missione, bensì un tenue sentimento, un timido stato d'animo, un'intuizione senza impegno, dallo scorso 3 maggio ha ripreso a pubblicare in prima pagina, come manchette, accanto alla testata, a destra ed a sinistra, quindi con la massima evidenza possibile, la pubblicità del 5 per mille a favore dell'Arci.Era già capitato l'anno scorso e già qui, con un articolo, evidenziammo l'anomalia: con tutte le associazioni e le realtà cattoliche benemerite, cui invitare i lettori a destinare il 5 per mille, sponsorizzare proprio l'Arci ha dell'incredibile. E proprio in quell'articolo ne sintetizzammo i motivi, ripercorrendo la storia di quest'organizzazione impregnata ancora oggi di Sinistra col pugno chiuso, di immigrazionismo spinto, di ideologia Lgbtqa+, di genderismo fatto di schwa e asterischi per Statuto e poi ancora di aborto, di suicidio assistito, di eutanasia, stracciando così pagine e pagine di Catechismo della Chiesa cattolica, infischiandosene della sua Dottrina con una foga che non fa certo rima con "accoglienza" dei valori altrui, con "ascolto" di chi solo la pensi diversamente, con un autentico "rispetto" di tutte le posizioni.L'Arci ne ha per tutti coloro che non cantino col (suo) coro: sul suo sito, bolla senza mezzi termini e senza appello il governo Meloni d'esser «a trazione post-fascista», «pericoloso per la nostra Costituzione e per la nostra democrazia», si scaglia contro il decreto «anti-rave», monopolizza il 25 aprile, promuove la «Giornata internazionale della visibilità transgender» con tanto di «Carriera Alias» nelle scuole e via elencando.L'ARCIGAYDel passato l'Arci non rinnega nulla, anzi: anche nell'ultima redazione dello Statuto, approvata al XVIII Congresso nazionale del dicembre 2022, ribadisce di rappresentare «la continuità storica e politica» dell'«Associazione Ricreativa Culturale Italiana delle origini, fondata a Firenze il 26 maggio 1957», quella che affondava le proprie radici nel Pci, nel Psi e nella Cgil, come evidenziato da Vincenzo Santangelo, ricercatore presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nel suo libro Le Muse del popolo.Nell'alveo dell'Arci sorse il 9 dicembre 1980 l'Arcigay, voluto da un sacerdote omosessuale, un teologo della liberazione sospeso a divinis, don Marco Bisceglia (riammesso nella Chiesa solo poco prima di morire, malato di Aids, dopo la supplica da lui inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, supplica in cui si pentì di quelli che chiamò «i miei errori e traviamenti»). Con lui collaborò a quest'avventura anche un allora giovane obiettore di coscienza in servizio civile, Nicola Vendola detto Nichi, che poi divenne suo convivente. Con la sua adesione al World Social Forum, l'Arci ha fatto sue le bandiere dell'antagonismo e della «globalizzazione alternativa» terzomondista, ribadendo la propria natura «antiliberista» ed «antimperialista».Insomma, ce n'è abbastanza per indurre chi si dichiari cattolico a prender le distanze da posizioni tanto estremizzate e tanto lontane dal proprio credo. Anche quando si tratti di contratti pubblicitari, specie quando i messaggi contrastino con i propri ideali (ammesso che contrastino davvero)...Perché a Vespasiano, che sentenzia «pecunia non olet» («il denaro non puzza»), risponde Orazio, che argomenta «Est modus in rebus» («v'è una misura nelle cose») ed aggiunge: «Sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum» («Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi ciò ch'è giusto»). Allora, perché insistere, un anno dopo, riproponendo la medesima pubblicità a scapito delle realtà cattoliche, che più e meglio l'avrebbero meritata? Allora è un vizio, verrebbe da commentare...Esattamente. Come conferma il Catechismo.AVERSIO A DEO, CONVERSIO AD CREATURASSecondo San Tommaso d'Aquino, infatti, il peccato è «aversio a Deo» ovvero allontanamento cosciente e volontario da Dio, da Colui che infonde l'essere e la vita, aderendo viceversa alle creature, al mondo («conversio ad creaturas»). Coincide con quanto recepito nel Catechismo della Chiesa cattolica, che, al n. 1849, definisce il «peccato» come «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo». Richiamando Sant'Agostino - e lo stesso San Tommaso, non a caso citato - bolla il peccato come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna».Ora, promuovere pubblicamente chi sostenga aborto, eutanasia e tutto quanto sopra richiamato allontana indubbiamente da Dio sé stessi ed, ahimè, anche il prossimo, essendo manifestamente contrario alla Legge eterna.Il peccato inizia come seduzione e, specie quando ripetuto, diviene schiavitù. Come scrive ancora il Catechismo al n. 1876, «la ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi». Ed ecco, dunque, per quale motivo non appaia né sbagliato, né esagerato ritenere un «vizio» la promozione di ideologie contrarie alla fede, alimentando la confusione tra credenti e non. Nelle sue parole di commiato, Marco Tarquinio, che ha recentemente lasciato la direzione di Avvenire al collega Marco Girardo, ha scritto d'aver voluto «offrire a tutti un'informazione sempre limpida e libera, ancorata ai grandi valori cristiani e civili del nostro umanesimo». Certamente la scelta degli inserzionisti non è stata oculata, né coerente: lascia anzi una brutta eredità ed una pesante ipoteca sulla linea editoriale del giornale della Cei, linea che sarebbe bene a questo punto chiarire: infatti, «nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16, 13).
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7412IL RE CARLO III APPROVA LA MODIFICA NELLA CORONA CANADESE: UN FIOCCO DI NEVE AL POSTO DELLA CROCE di Federica Di VitoCroce, stoltezza per i pagani. Ebbene sì. La riprogettazione della Corona reale canadese è stata raccomandata dal Primo ministro canadese Justin Trudeau. Croci e fleurs-de-lis sono ora rimpiazzati con «elementi che enfatizzano l'identità canadese della monarchia», afferma il sito web del governatore generale del Canada. Re Carlo ha approvato il "nuovo look" su consiglio del governo canadese. La designer è Cathy Bursey-Sabourin, che funge da Fraser Herald of Arms, ovvero artista principale dell'Autorità araldica canadese.L'emblema della Corona reale canadese è «un importante simbolo dell'autorità del sovrano, della monarchia canadese e del potere dello Stato che agisce in nome del sovrano», secondo l'ufficio del governatore generale del Canada, che rappresenta il re Carlo III nel suo ruolo di re del Canada. «Al posto della sfera e della croce in cima alla corona c'è un fiocco di neve stilizzato, un riferimento al fatto che il Canada è un regno settentrionale», continua. Il disegno canadese, a differenza dell'emblema ufficiale di re Carlo che utilizza la corona Tudor, sostituisce croci e fleurs-de-lis con foglie d'acero - un po' come le confezioni di sciroppo per pancakes. Il sito web del governatore generale ha descritto la foglia d'acero come «un simbolo canadese per eccellenza ampiamente utilizzato dal XIX secolo per rappresentare il Canada e tutti i suoi cittadini».La sfera e la croce in cima alla corona di re Carlo sono state a lungo utilizzate dai reali cristiani come promemoria che il mondo è soggetto al dominio di Gesù Cristo. Il simbolo fa parte delle insegne di incoronazione della monarchia britannica. Nella liturgia dell'incoronazione della Chiesa d'Inghilterra, l'arcivescovo di Canterbury Justin Welby ha dato in mano a re Carlo una sfera e una croce dichiarando: «Ricevi questa sfera, posta sotto la croce, e ricorda sempre che i regni di questo mondo sono diventati i regni di Nostro Signore e del suo Cristo». L'iconografia cristiana a volte mostra Gesù Cristo che tiene in mano la sfera e la croce.Ora, i gusti sono gusti. Ma senza girarci troppo intorno è evidente che in un Paese che è teatro di aggressioni sempre crescenti verso i cristiani, far fuori la croce non è di certo un gesto casuale. Ennesima prova di cancel culture? Probabile. Tra i commenti su Twitter si trova di tutto, c'è chi la prende sul comico «questo nuovo design sembra un cartone», chi si sente offeso «si sta scherzando con i nostri simboli e la nostra tradizione in modo così impertinente». E poi qualcuno centra il punto scrivendo: «Perché i canadesi ora odiano Dio? No, lo fa solo il governo che è senza Dio». Proprio così. Che questo continuo andare contro Dio passerà di moda? Perché qui di stile ce n'è ben poco.Nota di BastaBugie: Roberto de Mattei nell'articolo seguente dal titolo "Dall'Abbazia di Westminster alla piazza Rossa: due spettacoli simbolici" parla della cerimonia di incoronazione di Re Carlo d'Inghilterra che è stata ancora in larga parte medioevale. Questo rito non riflette l'Inghilterra decadente di oggi, ma appare come l'eco lontana di una nazione cattolica che, fino al XVI secolo, esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale.Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 10 maggio 2023:Viviamo nella "società dello spettacolo", ma non dobbiamo pensare che ogni rappresentazione simbolica della realtà sia finzione e mercificazione, come riteneva Guy Debord, un autore neo-marxista che a questo tema dedicò molti anni fa un noto saggio (La Société du spectacle, Buchet/Chastel 1967). Attraverso i simboli l'uomo può ascendere infatti da una dimensione puramente sensibile a una dimensione invisibile e più alta della realtà.Per questo nel corso della storia gli uomini sono sempre ricorsi a spettacoli, rappresentazioni, liturgie, per esprimere la loro concezione del mondo. Ed è anche in questa prospettiva che bisogna giudicare la cerimonia di incoronazione di Carlo III, re del Regno Unito, avvenuta nell'abbazia di Westminster a Londra il 6 maggio 2023. Una cerimonia ancora in larga parte medioevale, che non riflette l'Inghilterra decadente di oggi, ma appare come l'eco lontana di una nazione cattolica che, fino al XVI secolo, esprimeva nell'incoronazione dei propri Re una visione del mondo monarchica, cattolica e sacrale.Molte critiche si possono fare oggi alla Casa Reale Inglese, non solo per gli scandali di cui negli ultimi anni ha riempito le cronache. Un cattolico non può dimenticare che, sotto l'aspetto religioso, il sovrano inglese è il capo della chiesa anglicana, figlia di uno scisma avvenuto nel XVI secolo in seguito alle pretese matrimoniali del re Enrico VIII (1491-1547). L'Atto di Supremazia del 1534 fece di Enrico il «capo supremo sulla Terra della Chiesa d'Inghilterra», separando il suo regno dalla Chiesa di Roma, e da ogni uso, costume, legge o autorità che provenissero non solo dall'esterno, ma dalla sua stessa storia. Da allora si è aperta una lunga storia di persecuzione contro i cattolici, esauritasi con l'inizio del processo di dissoluzione dell'anglicanesimo. L'ultima fase di questo processo auto-distruttivo, purtroppo considerato come un modello da molti vescovi cattolici, è stata, nel febbraio del 2023, l'introduzione della benedizione delle coppie omosessuali, unite civilmente dalla legge britannica.Su questo e su altri punti le idee di Carlo III non sono chiare. Il nuovo sovrano sembra mischiare un certo amore alla tradizione, soprattutto in campo artistico, con una forma di sincretismo espresso dal suo desiderio, di essere difensore di tutte le fedi, non solo di quella protestante. Non è però la sua persona che ha spinto quattro miliardi di persone nel mondo ad assistere, per televisione o via Internet, alla cerimonia di incoronazione, ma il fascino di uno spettacolo che, nel suo rituale risale all'alba dell'anno Mille.Sant'Edoardo il Confessore (1043-1066), il santo più celebre a portare tale nome, insieme con il suo avo, sant'Edoardo II, fu incoronato il 3 aprile 1043 in un'epoca in cui regnavano sant'Enrico imperatore in Germania, san Canuto re di Danimarca, santo Stefano re di Ungheria, ed altri sovrani che, pur non essendo canonizzati, brillavano per la loro fede, dimostrando con il loro esempio la profondità dell'influsso cristiano nella società.La corona che essi portavano erano il simbolo dell'autorità del corpus mysticum del regno, dal Re agli ultimi vassalli, consapevoli di essere una nazione e di avere una patria. In Inghilterra, già dalla fine del XIII secolo, il Parlamento definiva la corona come esclusivo titolare dell'autorità suprema, affermando che il Re e il Parlamento erano entrambi al suo servizio. L'imposizione della corona sul capo del sovrano, la consegna delle spade e dello scettro, l'unzione del crisma, le risposte alle domande del vescovo, gli atti di obbedienza, facevano parte del rituale medioevale e si sono ripetuti il 6 maggio, dopo quasi mille anni, nell'abbazia di Westminster.Il rito religioso dell'unzione, che si è svolta in maniera privata è stato il punto culminante della cerimonia, dando luogo all'investitura regia vera e propria. Questo atto esprime una concezione della regalità antitetica a quella democratica, nata dalla Rivoluzione francese. Le moderne costituzioni sono fondate infatti sul potere che viene dal popolo. Nella cerimonia della consacrazione regia si esprime invece il principio secondo cui il potere proviene da Dio, secondo la massima evangelica "Non c'è autorità se non da Dio" (Rom. 13, 1). L'autorità regia è come una partecipazione della regalità sovrana di Cristo di cui, mediante l'unzione e l'incoronazione, il monarca diventa rappresentante nello Stato. [...]
VIDEO: Intervista di Gänswein a Verissimo ➜ https://mediasetinfinity.mediaset.it/video/verissimo/don-georg-ganswein-lintervista-integrale_F312058301058C58TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7407LE TRE INTERVISTE ESPLOSIVE DI GANSWEIN di Manuela AntonacciPochi conoscono la Chiesa come lui, lui che ne è stato fedele servitore ai massimi vertici. Parliamo dell'arcivescovo Georg Gänswein segretario particolare di Benedetto XVI, cui è stato accanto per quasi 30 anni. Al giornale tedesco Bunte ha raccontato come la sua vita abbia subito una svolta decisiva a partire dalla lettura del libro Introduzione al cristianesimo che lo avrebbe ispirato a studiare teologia e a diventare sacerdote, fino ad essere consacrato vescovo in Vaticano. Ma soprattutto, al giornale tedesco, avrebbe fornito delle risposte importanti sull'evoluzione attuale del sinodo tedesco che l'arcivescovo avrebbe commentato con una certa franchezza.In particolare ha sgombrato il campo dall'equivoco che sta generando l'espressione "chiesa tedesca": «Non c'è nessuna chiesa tedesca, c'è la Chiesa cattolica in Germania, e le cose al momento non sembrano rosee, anzi. In tutto il Paese sembra esserci un solo tema ed è il "cammino sinodale". La risposta alle sfide attuali non sono le dispute e dibattiti su questioni strutturali o di potere. Ciò che colpisce è che là dove si proclama autenticamente la fede, dove si celebra la liturgia con riverenza e coscienza e si vive l'amore fraterno cristiano, lì vive la Chiesa».E a proposito di questioni di potere, Bunde, non gli ha risparmiato la domanda su una delle questioni affrontate dal sinodo, quella del sacerdozio femminile, sottolineando come tra le obiezioni mosse alla chiesa cattolica dall'assemblea sinodale, sia quella di essere scarsamente al passo coi tempi, perciò in essa le donne "moderne" non si riconoscerebbero più. Obiezione a cui Gänswein ha risposto sostenendo che non esiste una "chiesa per gli uomini" e che l'affermazione che le donne di oggi non si sentano rappresentate nella chiesa sarebbe un «luogo comune, che viene ripetuto regolarmente ma non rappresenta l'opinione della maggior parte delle donne».Gänswein ha poi affondato il colpo denunciando la tendenza, che emerge in modo particolarmente eclatante dal sinodo in Germania, ma che è piuttosto diffusa, a creare non solo una fede personale, basata sul fai da te, ma persino una Chiesa a propria immagine e somiglianza: «La fede non è creta da modellare che può essere plasmata in un modo o in un altro, a seconda dello spirito dei tempi e delle circostanze del momento» -ha sottolineato- «Una fede ridotta, annacquata non ha efficacia. La misura della predicazione è il vangelo, è Gesù Cristo stesso».E non si tratta solo di belle parole, perché come sottolinea nella sua intervista, si tratta di convinzioni, di cui avrebbe pagato personalmente il prezzo. Infatti l'arcivescovo, ricorda di essere stato per lungo tempo stigmatizzato col marchio di "intransigente" e "fondamentalista". Ma si difende: «Qual è il mio reato? Credo e annuncio ciò a cui ho promesso di credere e ciò che ho promesso di annunciare durante la mia ordinazione sacerdotale prima e nell'ordinazione episcopale, dopo: la fede cattolica, opportuna o inopportuna che sia. Nient'altro».Chiunque lo definisca "fondamentalista" deve chiedersi se ha un problema con la propria fede.Nota di BastaBugie: Stefano Chiappalone nell'articolo seguente dal titolo "Gänswein: nient'altro che la verità sul sinodo tedesco" racconta di come il segretario di Benedetto XVI parli con schiettezza cammino sinodale tedesco e degli altri problemi nella Chiesa.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 aprile 2023:Da mons. Georg Gänswein arriva una stoccata al controverso "cammino sinodale tedesco": un percorso che ha aggravato la crisi di fede e non ha nemmeno forza giuridica. E lo dice da canonista: pochi ricordano infatti che il segretario di Benedetto XVI (e almeno formalmente Prefetto della Casa Pontificia) si è laureato alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco proprio in Diritto canonico, materia che ha poi insegnato a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce.Sembra ormai un ricordo il lungo silenzio seguito al "caso mediatico" esploso dopo la pubblicazione di Nient'altro che la verità. L'arcivescovo tedesco si è pian piano riaffacciato sulla scena pubblica, dalle occasioni liturgiche in suffragio e ricordo del Papa emerito al salotto di Bruno Vespa, all'inizio di marzo. Ma questa volta lo fa con ben tre interviste in tre giorni consecutivi (da far invidia a Papa Francesco che pure di interviste ne concede senza numero e a stretto giro). Domenica 16 aprile, 96° anniversario della nascita di Benedetto XVI, è stato ospite di Verissimo, condotto da Silvia Toffanin. Lunedì 17 aprile è stata la volta del programma austriaco Zib 2. Infine, nella sua Germania, martedi 18 aprile è comparsa un'ampia intervista al Passauer Neue Presse (alcuni stralci di queste ultime due sono stati rilanciati in Italia da Silere non possum).Roma ha mostrato chiaramente i limiti (Rom hat ganz klar die Grenzen aufgezeigt): titola così la testata di Passau e i «limiti» sono quelli che il sinodo tedesco non può travalicare. Al tema è dedicata tutta la seconda metà dell'intervista, mentre nella prima parte si parla del presente e del futuro dell'arcivescovo. Niente di nuovo sulla ventilata nomina in Costa Rica che sembrava imminente dopo l'udienza con Papa Francesco a marzo («No, non so più nulla»). Lasciato il monastero Mater Ecclesiae, dove fino al 31 dicembre scorso ha vissuto accanto a Benedetto XVI, «ora vivo in una casa accanto a Santa Marta, dove vive Papa Francesco» e «svolgo i miei doveri di esecutore testamentario». Gänswein ha ereditato «una bellissima croce di legno bavarese che lui stesso [Ratzinger] aveva nella sua casa da cardinale». E il compito di distruggere la corrispondenza privata («lettere che i genitori di Ratzinger scrivevano ai figli e poi anche loro, tra fratelli»): un «momento doloroso», «ma ovviamente ho eseguito il suo ultimo desiderio senza scuse».La conversazione si sposta poi sull'«11 settembre della Chiesa», cioè la piaga degli abusi, casus belli che ha innescato il Synodaler Weg con tutte le sue derive, ancora in corso. «Dubito che il percorso sinodale, così come si è sviluppato, sia stata la risposta giusta alla crisi degli abusi», afferma Gänswein, anche perché i «temi» del sinodo «vanno ben oltre la necessaria risposta alla crisi degli abusi», spostandosi «su obiettivi completamente diversi», che presentano piuttosto il rischio di condurre «fuori dall'unità della Chiesa universale». Più che risposte, il sinodo tedesco ha innescato «tensioni all'interno della Chiesa cattolica in Germania e con la Santa Sede», che in occasione della visita ad limina dei vescovi tedeschi nel novembre 2022 e poi con la lettera dei cardinali Parolin, Ouellet e Ladaria, «ha mostrato in modo chiaro e inequivocabile dei limiti che vanno presi sul serio».E anche Gänswein è chiaro e inequivocabile: «Non considero il cammino sinodale una risposta utile ai reali bisogni dei fedeli», aggiungendo «da canonista» (come abbiamo detto in apertura), che esso «non ha forza giuridica vincolante ai sensi del diritto canonico». Del resto, l'immediata risposta vaticana alla lettera dei vescovi di Colonia, Eichstätt, Augusta, Passau e Ratisbona (le poche voci controcorrente nell'episcopato tedesco) «dimostra l'urgenza con cui il Vaticano sta affrontando la questione». Una situazione così grave che l'arcivescovo confida: «Prego e spero che si possa evitare una scissione».In breve, la "via" tedesca si sta rivelando un rimedio peggiore del male. «Il declino della fede di fatto è aumentato in seguito al cammino sinodale», afferma Gänswein, smentendo l'altro "tormentone" (ricordato dall'intervistatore) che bisogna pur fare qualcosa per ravvivare la fede. Bisogna farlo, ma la vera risposta viene «dall'approfondimento della fede e non da questioni strutturali. La fede, se la prendo sul serio, si risveglia a nuova vita solo attraverso una vera conversione personale e un approfondimento», il che «presuppone impegno personale e determinazione. È una lotta e lo sarà sempre».Insomma, non è una Chiesa alla moda quella auspicata da Gänswein, che conclude rievocando le parole profetiche, risalenti al 1958, di «un giovane professore di teologia di nome Joseph Ratzinger», secondo il quale «la Chiesa del futuro» sarà «una Chiesa di piccole minoranze che vivono di fede e la testimoniano e la trasmettono in questo mondo. Non siamo forse oggi i testimoni di questa profezia?». Infatti, se a prima vista i "venti" sinodali possono riscuotere un illusorio consenso (ma a cosa: a un involucro svuotato dall'interno?), la Chiesa non deve tem
VIDEO: I castighi di Dio ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ehyTtby2rAITESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7404L'UMANITA' MERITA I CASTIGHI DI DIO di Roberto De MatteiIl padre Francescano Stefano Cecchin, presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, in una intervista pubblicata il 30 aprile da "Alfa&Omega" ha fatto una sconsiderata affermazione, che non può essere tenuta sotto silenzio.Dopo aver rivendicato l'autorità e la competenza dell'organismo che presiede, padre Cecchin ha testualmente dichiarato che un criterio per discernere la autenticità delle apparizioni mariane è questo: "le apparizioni che parlano di castighi di Dio sono assolutamente false".C'è da augurarsi che padre Cecchin corregga al più presto questa dichiarazione, perché se c'è qualcosa di assolutamente falso, e in contraddizione con l'insegnamento e la pratica della Chiesa cattolica sono proprio le sue parole.Non c'è bisogno di ricorrere alla Sacra Scrittura, e all'insegnamento dei Padri della Chiesa, di San Tommaso e dei Santi. [...] Mi limito a citare il Magistero di un Papa contemporaneo, Benedetto XVI.Nell'omelia tenuta il 5 ottobre 2008 per l'apertura del XII Sinodo dei Vescovi, papa Benedetto non esita a pronunciare la parola castigo, riferendola alle nazioni e alla Chiesa stessa. "Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E' spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l'influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna".Queste nazioni, dice il Papa, potrebbero essere castigate, come accadde alle comunità cristiane un tempo fiorenti e oggi dimenticate. Accadde a Cartagine, devastata dai Vandali e poi sommersa dall'Islam. Il Cristianesimo fu cancellato da quella terra. E cosa attende le nazioni europee che iscrivono i vizi di Cartagine, come la sodomia, nelle loro leggi? "Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca"? Questa domanda drammatica di Benedetto XVI interpella ognuno di noi.In un altro discorso, l'udienza generale del 18 maggio 2011, Benedetto XVI ha parlato della preghiera di intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra, le due città bibliche punite da Dio a causa dei loro peccati, perché Abramo non poté trovare in esse neppure dieci giusti, che ne meritassero la salvezza.Il Signore voleva questo: un numero anche minimo di giusti per salvare la città. "Ma - afferma il Papa - neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d'intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell'amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19)".Il Papa ricorda dunque che "non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell'amore che porta già in sé il castigo". Il peccato porta con sé, come conseguenza, il castigo, sia sul piano individuale che su quello collettivo.La prospettiva di un grande castigo per l'umanità, se non si fosse convertita, costituisce il nucleo del "segreto" di Fatima del 1917. Nelle parole di Benedetto XVI risuona l'eco di quel messaggio che proprio l'allora cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Fede, presentò e commentò il 26 giugno del 2000.A Fatima la Madonna avvertì i tre pastorelli che "Dio sta per castigare il mondo per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre (...) i buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Infine il mio Cuore Immacolato trionferà".Il Messaggio di Fatima, ufficialmente divulgato dalla Santa Sede, ci ricorda come la spada di Damocle di un terribile castigo incombe sull'umanità. La Pontificia Accademia Mariana, presieduta dal padre Stefano Cecchin, oggi avrebbe il dovere di ricordare ai fedeli la scelta radicale davanti a cui il messaggio di Fatima pone la società intera e ognuno di noi, tra la conversione e il castigo, individuale e collettivo.Se il mondo non si pente, e soprattutto se gli uomini di Chiesa tacciono, i castighi sono destinati ad aggravarsi sempre di più, fino ad arrivare all'annientamento di nazioni intere, come la Madonna ha annunciato a Fatima. E Fatima non è una rivelazione dubbia o discutibile, ma un annuncio divino, riconosciuto da ben sette Papi che si sono succeduti nell'ultimo secolo.Chi afferma che Dio non castiga, nel tempo e nell'eternità, è uno stolto e un insipiente, perché è privo di quel timore di Dio che è l'inizio della Sapienza ed è la prima condizione per la nostra salvezza.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7397LO SCANDALO DELLA FUNZIONE ANGLICANA IN LATERANO di Roberto De MatteiVorrei commentare un episodio che mi è sembrato grave e significativo. Lo abbiamo appreso da un comunicato ufficiale del venerando Capitolo di S. Giovanni in Laterano, rilasciato lo scorso 20 aprile 2023.Il comunicato dice questo: "Il Capitolo Lateranense, nella persona di Sua Ecc.za Mons. Guerino Di Tora, Vicario Capitolare, esprime profondo rammarico per quanto avvenuto martedì scorso, 18 aprile, all'interno della Basilica di S. Giovanni a Roma. Infatti, un gruppo di circa 50 sacerdoti, accompagnati dal loro vescovo, tutti appartenenti alla comunione anglicana, hanno celebrato sull'altare maggiore della cattedrale di Roma, contravvenendo alle norme canoniche. Mons. Di Tora ha anche spiegato che l'increscioso episodio è stato causato da un difetto di comunicazione."Mons. Di Tora è il Vicario dell'Arciprete della Basilica Lateranense, che è il cardinale Angelo De Donatis, a sua volta Vicario Generale di papa Francesco per la Diocesi di Roma. Mons. Di Tora ha attribuito l'accaduto a un "difetto di comunicazione" Secondo quanto ricostruito dal quotidiano "Messaggero", il gruppo di anglicani era di passaggio a Roma e uno di questi avrebbe chiesto a un religioso romano di trasmettere al Laterano la richiesta di celebrare la Messa. Ambasciata che sarebbe stata fatta senza specificare che si trattava di un gruppo di protestanti.LA GRAVISSIMA PORTATA DELL'EVENTOSembra strano però che un gruppo di cinquanta sacerdoti ottenga di concelebrare all'altar maggiore della Basilica Laterana, senza esibire il celebret, cioè il documento che le autorità ecclesiastiche rilasciano per consentire ai sacerdoti di amministrare lecitamente la Messa e i sacramenti. Se si fosse trattato solo di un malinteso, bisognerebbe dire che la superficialità delle autorità lateranensi è stata somma, tanto da coprire di ridicolo i responsabili. Ammesso pure che così sia stato, non si può ammettere però la buona fede degli anglicani, che non potevano ignorare come la funzione religiosa da essi svolta fosse in aperto contrasto con le leggi canoniche della Chiesa di Roma. Il loro gesto ha comunque un sapore provocatorio, che vi sia stata complicità o meno delle autorità del Laterano. Ma al di là dell'attribuzione delle responsabilità, ciò che rimane è la gravissima portata dell'evento.La cattedrale di Roma non è San Pietro, come molti credono, ma la Basilica di San Giovanni in Laterano, che è detta "Arcibasilica" perché è la più importante delle quattro basiliche papali maggiori. L'iscrizione latina scolpita sul marmo della facciata della Arcibasilica Lateranense recita «Omnium Urbis et Orbis Ecclesiarum Mater et Caput»: Madre e Capo della Chiesa universale.Il Laterano è il luogo in cui si trova la cattedra papale, simbolo dell'autorità e del magistero del Vescovo di Roma. Ed è proprio l'altare del Vescovo di Roma, cioè l'altare papale, quello dove si sarebbe svolta la cerimonia anglicana. Sullo scranno riservato al Papa si sarebbe seduto il vescovo che ha presieduto la funzione, Jonathan Baker, che ha avuto una lunga militanza massonica, ed è divorziato e risposato, secondo quanto permette la Church of England, ma soprattutto, per la Chiesa cattolica, non è nemmeno un vescovo.LO SCISMA ANGLICANOLo scisma anglicano risale al Re d'Inghilterra Enrico VIII (1534-1547). Durante il suo regno tutte le ordinazioni dei sacerdoti si fecero secondo il Rituale romano e furono considerate valide. Ma nel 1550 entrò in vigore il Book of Common Prayer di Edoardo VI, nel quale il Pontificale romano fu sostituito da un nuovo Ordinale, che manifestava, secondo la teologia cattolica, difetti di forma e di intenzione. In questo Ordinale, non solo si negava il Sacramento dell'Ordine, ma si eliminava dalla celebrazione della Cena, sostituita alla Messa, ogni idea di sacrificio e di consacrazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù Cristo.La regina Elisabetta (1558-1603) scelse come arcivescovo di Canterbury Matteo Parker, ordinato sacerdote secondo l'ordinale edoardiano, e quindi invalidamente. Da Parker vennero poi consacrati altri vescovi anglicani, tutti secondo l'ordinale di Edoardo VI, e dunque invalidi. Da essi, per successive consacrazioni, derivò l'episcopato anglicano di cui la Chiesa non ha mai riconosciuto la validità.Leone XIII, con la Lettera Apostolicae curae del 13 settembre 1896, confermò e rinnovò i decreti dei suoi predecessori, proclamando solennemente che, per difetto di forma e per difetto di intenzione, "le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle". La presente lettera, aggiungeva Leone XIII, "sarà ed è sempre valida e in vigore e deve essere osservata infallibilmente da tutti, di qualsiasi grado e onore nel giudizio e fuori". Benedetto XVI ha confermato questo decreto nella costituzione apostolica Anglicanorum coetibus del 4 novembre 2009.Ciò significa che i vescovi anglicani non sono vescovi, i preti non sono preti e le messe da loro celebrate non sono vere Messe. Sull'altare papale dell'Arcibasilica di San Giovanni in Laterano è stata messa in scena una pantomima, offensiva per l'autorità della Santa Sede e per la fede cattolica. Un comunicato come quello che è stato rilasciato dal Capitolo dell'Arcibasilica, al di là delle buone intenzioni, è del tutto inadeguato, perché ciò che è avvenuto è un oltraggio, che meriterebbe una solenne riparazione. E se non c'è stato dolo da parte di nessuno, la cosa appare ancora più grave, perché vuol dire che è stata permessa dalla Divina Provvidenza per mostrare l'abisso di confusione in cui oggi è immersa la Chiesa.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7390L'UNZIONE DEGLI INFERMI E' OBBLIGATORIA di Gelsomino Del GuercioPrima di morire [...] non è una formalità garantire un sacramento a una persona. Ma dovrebbe essere dovere di ogni cristiano. E vi spieghiamo perché.Come si legge in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" a cura di Don Marcello Stanzione (edizioni Segno), la morte non è qualcosa di spaventoso per il cristiano. "Vita mutatur non tallitura" (la vita è cambiata non è tolta) ci fa recitare la Liturgia (Prefazio della messa dei defunti); dopo la morte la nostra anima continua a vivere, per chi muore in stato di grazia; essa entra in una vita migliore, nell'attesa di ritrovare il suo corpo il giorno del giudizio universale per farlo partecipare alla felicità eterna.Un tempo, si legge nel libro di Stanzione, riguardo ai deceduti si diceva: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato?". Oggi invece si dice: "Ha sofferto?". Così spesso si nasconde ai malati la vicinanza della morte o per ignoranza (perché non si conoscono gli effetti dei sacramenti) o per mancanza di fede e di spirito cristiano. Purtroppo non si ha una concezione cristiana della morte e si pensa: "come reagirà il malato se si fa venire il sacerdote? Avrà paura, si dispererà?". Queste obiezioni purtroppo sono correnti.Per confutarle Stanzione cita, il dottor Pierre Barbet, che fece il resoconto di una lunga esperienza: «Vi sono nella malattia, nelle sofferenze, delle grazie particolari delle quali noi medici constatiamo gli effetti, esse mettono per bontà divina i malati gravi e moribondi in uno stato migliore che non si può supporre e al quale non pensano ordinariamente le loro famiglie. E' un fatto sul quale occorre insistere perché è poco conosciuto e il fatto di non conoscerlo comporta ad ogni istante dei malintesi spaventosi, mentre facilita moltissimo tutti gli interventi dei parenti: il malato grave, il morente ha quasi sempre un desiderio segreto del sacerdote e dei soccorsi della religione».QUANDO DARE L'UNZIONE DEGLI INFERMIL'autore del libro fa una sollecitazione ai lettori: domandate fin da adesso ai vostri cari che abbiano il coraggio di avvertirvi quando la morte sarà vicina o di farvi avvertire da un sacerdote. Certamente occorrerà farlo sempre con delicatezza e prudenza. Va ricordato che a Chiesa raccomanda di ricevere i sacramenti quando si è ancora sani di mente e con qualche speranza di vita. Infatti il Catechismo del Concilio di Trento, al paragrafo 269, afferma: "Ricordiamo che cadono in grave colpa coloro i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita. Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucide l'intelligenza, pronta la ragione e pia la volontà".Quanti malati gravi, purtroppo si lasciano nelle angosce e nelle prove, nascondendo loro che la morte si avvicina, privandoli così dei conforti della religione.L'Unzione degli infermi, che in passato era nota con il nome di «Estrema Unzione», si riceve mediante l'unzione con olio di oliva consacrato e la preghiera del sacerdote, la salute dell'anima e spesso anche quella del corpo.Ora cerchiamo di capire perché è così importante.Questo sacramento manifesta quanto è grande la bontà di Dio nei nostri riguardi, infatti con esso l'anima viene fortificata, perché col conferimento della grazia sacramentale, essa riceve le grazie attuali che l'aiutano a perseverare nel bene fino alla morte, rimette i peccati mortali che l'infermo pentito non potesse più confessare (purché l'infermo abbia almeno l'attrizione, cioè il dolore imperfetto dei propri peccati), e le pene dovute ai peccati; e se ciò è utile all'anima ottiene pure la guarigione del corpo.CHI DEVE E CHI NON DEVE RICEVERLE QUESTO SACRAMENTOAnche Roberti e Palazzini nel loro Dizionario di Teologia morale, come tutti gli altri buoni testi, ci confermano che: "È evidente che l'estrema unzione non può essere amministrata a coloro che sono già morti. Siccome però non è da escludere la possibilità di uno stato di vita latente che, almeno in certi casi, si protrarrebbe per qualche tempo, dopo cessate le pulsazioni del cuore e la respirazione, la Chiesa, quale pia madre, permette di amministrare entro breve tempo da questa cessazione, sotto condizione, l'estrema unzione a coloro che ci appaiono morti, ed entro un tempo ancor più lungo, se sono stati colpiti da morte improvvisa".Il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can. 940§1 riporta che per ricevere validamente l'Estrema Unzione è necessario che il soggetto sia in stato di viatore (cioè essere ancora in vita), sia stato battezzato abbia raggiunto l'uso di ragione, sia in pericolo di vita per causa di malattia o di debolezza senile e infine abbia l'intenzione di riceverla.Oggi, scrive ancora Stanzione in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" vi è l'abitudine di amministrare questo sacramento alle persone anziane di una certa età, anche se sane. Dobbiamo però precisare che: "può ricevere l'estrema unzione il battezzato che ha raggiunto l'età della discrezione e che si trova in pericolo di vita a cagione di malattia, non colui il quale benché prossimo alla morte è ancora in buona salute. (can. 940 §I)". [...]
VIDEO: Le migliori scene della passione di Cristo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=W6NvfJUMpyw&list=PLolpIV2TSebUsSP8uQi0qHD_QddjH-_R3TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7363NESSUNA VIRTU' E' ASSENTE DALLA CROCEIl Dottore Angelico ci spiega come e perché fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi nella sua passionedi San Tommaso d'AquinoFu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire.Fu anzitutto un rimedio, perché è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo infatti è sufficiente per orientare tutta la nostra vita.Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce.Se cerchi un esempio di carità, ricorda: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano.Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti «quando soffriva non minacciava» (1 Pt 2,23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca (cfr. At 8,32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: «Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia» (Eb 12,2).Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: «Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5,19).Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il re dei re ed il Signore dei signori, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3). Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perché «si son divise tra loro le mie vesti» (Gv 19,24); non agli onori, perché ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr. Is 53,4); non alle dignità, perché intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr. Mc 15,17) non ai piaceri, perché «quando avevo sete, mi han dato da bere aceto» (Sal 68,22).
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7344BASTA PADRINI E MADRINE SOLO PER LE FOTO di Federica Di VitoÈ frequente che nell'immaginario comune la scelta dei padrini sia legata unicamente alla relazione affettiva con i genitori del battezzando, con il risultato che questi durino il tempo della cerimonia. Ma c'è chi sta mettendo alcuni paletti. Dopo il decreto di un anno fa di monsignor Suetta vescovo di Ventimiglia-Sanremo, che prevedeva la sospensione di padrini e madrine per battesimi e cresime, poiché «nel contesto odierno la loro presenza risulta spesso una sorta di adempimento formale o di consuetudine sociale», anche la diocesi di Genova mette un freno alla scelta dei genitori.«A coloro che sono chiamati a svolgere il servizio di padrino e di madrina è chiesto di far parte della Comunità cristiana, attraverso un cammino di Fede condiviso con altri fratelli», spiega il decreto firmato da Monsignor Tasca, «e che comprenda anche in modo graduale la santa messa domenicale, un momento di riscoperta o approfondimento della fede, di nutrimento spirituale, di condivisione con i fratelli e di servizio nella carità». Il decreto arcivescovile entrerà in vigore con l'inizio del prossimo anno pastorale, il 3 dicembre 2023, prima domenica di Avvento. La nuova procedura sarà prevista inizialmente per una fase sperimentale della durata di un triennio. La Diocesi ha poi spiegato che «ogni comunità e ogni pastore saprà offrire occasioni per realizzare tutto ciò secondo la possibilità della parrocchia e quanto potrà essere suggerito dalla creatività pastorale. Tra i possibili cammini da proporre, si suggeriscono momenti di ascolto e condivisione della parola di Dio secondo modalità indicate attraverso appositi strumenti forniti dall'ufficio catechistico diocesano».REQUISITI DEL PADRINO O MADRINAInoltre, il decreto specifica che a quelle persone «indicate dalla famiglia che, pur non avendo i requisiti prescritti, esprimono pur sempre una positiva vicinanza parentale, affettiva ed educativa, si può, eventualmente, offrire l'opportunità di prendere parte alla Celebrazione solo come testimoni del Rito sacramentale» e che «in tal caso, sul Registro dei Battesimi e delle Cresime si indichi come "testimone" la persona scelta».Se ci appelliamo al diritto canonico, risaliamo all'origine della scelta del padrino. San Tommaso d'Aquino ricorderà che la rigenerazione spirituale operata dal battesimo assomiglia a quella carnale e, come in questa il bambino ha bisogno di una nutrice e di un pedagogo, così in quella spirituale c'è bisogno di qualcuno che lo istruisca nella fede e nella vita cristiana (Summa Th. III, q. 67, a. 7). Pertanto, codice di diritto canonico alla mano, ecco i requisiti del padrino o madrina: «Ogni cattolico che abbia ricevuto la Confermazione e l'Eucaristia, che abbia compiuto i 16 anni e che conduca, per quanto possibile, una vita conforme alla fede, può fare da padrino/madrina nel rito del Battesimo. [...] Non possono fare perciò da padrini quelle persone che: sono sposate solo civilmente, sono conviventi, sono divorziate, sono separate ma convivono con un altro partner» (Cf Codice di diritto canonico, 874).I BAMBINI APPRENDONO PER IMITAZIONESecondo la tradizione della Chiesa i padrini sono membri della comunità cristiana che presentano colui che deve essere battezzato o cresimato, li accompagnano nel loro itinerario di formazione e ne garantiscono la preparazione con serietà e sincerità. Il rischio è quello di pensare che qui si voglia far rispettare semplicemente uno sterile elenco di requisiti, ma, come ogni norma canonica, la verità è molto più profonda. Se quindi è palese che i bambini apprendano per imitazione e che la loro fonte di ispirazione primaria è l'esempio dell'adulto di riferimento, ecco che il cuore di questo elenco risulta più chiaro. I padrini si affiancano al genitore per rendere manifesta la presenza della Chiesa come madre che presenta e accoglie i nuovi figli, la loro vicinanza non può così concludersi con il Rito del Battesimo e non può limitarsi alle foto di rito e ai regali infiocchettati, ma è necessaria una presenza duratura chiamata a dare una decisa e costante testimonianza di fede.Allora se nell'elenco delle necessità da soddisfare dei nostri figli trovano spazio una scuola di alto livello, almeno una lingua straniera e un'alimentazione quanto più varia ed equilibrata, non si capisce perché la scelta del padrino e della madrina non debba ricevere la stessa attenzione. O ben superiore, mi verrebbe da dire. Perché qui è della crescita spirituale che si parla, della Vita eterna. E se perfetto qui non lo è nessuno, è anche vero che a monte della Grazia ricevuta per ogni nostro impegno, c'è sempre un'apertura, una disposizione, un sì che spetta solo a noi e senza il quale non possiamo portare nessun carico.Nota di BastaBugie: anche l'Arcidiocesi di Palermo ha sospeso "ad experimentum" il ruolo di padrino e madrina nel Battesimo e nella Cresima a partire dal 1° luglio 2023.Ecco il testo completo del decreto dell'Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice:Il ruolo del Padrino e della Madrina, in occasione della celebrazione dei Sacramenti del Battesimo e della Cresima, è un vero e proprio munus che la Chiesa affida ai fedeli che abbiano "l'attitudine e l'intenzione di esercitare questo incarico" (can. 874 §1,10) e che conducano una vita conforme alla fede e al compito che si assumono (cfr. can. 874 §1,30).Nel corso del tempo convenzioni sociali e abitudini consolidatesi hanno compromesso l'autentico significato di questo ufficio esercitato a nome e per mandato della Chiesa. Confuso spesso con relazioni di parentela - se non addirittura con legami ambigui - e relegato, il più delle volte, al solo momento rituale, ha perso l'originario significato di accompagnamento nella vita cristiana del battezzato e del cresimato, riducendosi a semplice "orpello coreografico" in una cerimonia religiosa.Da tempo, ormai, si discute sull'opportunità o meno di sospendere o abolire l'istituto del "padrinato", ritenuto, di fatto, non obbligatorio dallo stesso Codice di Diritto Canonico, che a tal proposito rimanda a una valutazione discrezionale significata dalla clausola "per quanto possibile" (cfr. cann. 872 e 892).Il superamento della cognatio spiritualis che, fondata su un'antica tradizione recepita dal Codice di Diritto Canonico del 1917, si instaurava tra padrini e figliocci, così come le mutate esigenze pastorali delle nostre comunità parrocchiali e la necessità di dare nuovo impulso alla prassi sacramentale, inducono a ripensare il ruolo del Padrino e della Madrina anche nella nostra Arcidiocesi.Pertanto, alla luce di tali considerazioni:VISTA la normativa liturgica vigente riguardo l'ufficio dei Padrini, come definita nelle Premesse al Rito del Battesimo dei Bambini (1970) al n. 6; nelle Premesse al Rito della Confermazione (1972) ai nn. 5-6 e nelle Premesse al Rito dell'lniziazione Cristiana degli Adulti (1978) ai nn. 8-10;TENUTE PRESENTI le disposizioni del Codice di Diritto Canonico riguardanti l'ufficio dei padrini nella celebrazione del Battesimo (cfr. cann. 872 - 874) e della Confermazione (cfr. cann. 892 - 893);CONSIDERATO che la normativa codiciale recepisce e precisa, ampliandole, le disposizioni dei libri liturgici, appena richiamate;ALLA LUCE di esperienze analoghe avviate in diverse diocesi italiane;SENTITO il parere del Consiglio Presbiterale nella sessione dell' 1/03/2022 e del Consiglio Pastorale Diocesano in quella dell' 11/03/2022;CONSIDERATO che, ai sensi dei richiamati cann. 872 e 892, l'ufficio dei padrini nella celebrazione del Battesimo e della Confermazione, come detto in premessa, non ha carattere di essenzialità;DISPONGO1. È sospeso «ad experimentum», dal 1° luglio 2023 e per la durata di un triennio, l'ufficio di Padrino e di Madrina nel Battesimo dei bambini, nella Confermazione degli adolescenti e degli adulti, nonché nell'lniziazione Cristiana degli adulti.2. Nei riti rispettivi si ometta tutto quanto riguarda i Padrini.3. I ministri ordinati, soprattutto i parroci, hanno la responsabilità di ottemperare alle presenti disposizioni e di illustrare adeguatamente ai fedeli le ragioni pastorali che hanno indotto a questa decisione.4. Gli Uffici Liturgico e Catechistico, insieme al Servizio Catecumenale, hanno mandato di monitorare e verificare, durante questo triennio, l'andamento della nuova prassi e, contemporaneamente, di studiare possibili nuove forme di accompagnamento che richiamino e recuperino il vero senso ecclesiale dell'ufficio del padrino e della madrina.Palermo, dalla Sede Arcivescovile, 31 gennaio 2023
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7327VESCOVO CONDANNATO A 26 ANNI DI CARCERE DALLA DITTATURA COMUNISTA DI ORTEGA IN NICARAGUA di Mauro FaverzaniDrammatici sviluppi nella vicenda, che vede come involontario protagonista il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez Lagos, vittima della dittatura comunista imposta in Nicaragua da Daniel Ortega sin dal suo ritorno al potere, nel 2007, dopo aver fatto imprigionare la maggior parte dei suoi rivali in corsa per la presidenza.Mons. Álvarez è stato condannato a 26 anni e 4 mesi di carcere effettivo (già tenendo conto degli sconti previsti in successione), ad una sanzione equivalente a circa 1.550 dollari, nonché all'interdizione a vita dalle cariche pubbliche, alla perdita perpetua dei diritti di cittadinanza, con una sentenza-lampo, emessa con largo anticipo rispetto ai tempi previsti per il processo, in un primo tempo fissato in realtà per questo 15 febbraio. L'inverosimile accusa, servita come pretesto per la condanna al giudice Héctor Ernesto Ochoa Andino, presidente della Camera Penale 1 della Corte d'Appello di Managua, è addirittura quella di «tradimento della Patria, compromissione dell'integrità nazionale, propagazione di notizie false attraverso la tecnologia dell'informazione, ostruzione delle funzioni, disobbedienza aggravata o disprezzo per l'autorità, tutti commessi in reale concorrenza e a danno della società e dello Stato della Repubblica». Perché? Semplicemente perché mons. Álvarez si è rifiutato di lasciare il Paese e di salire sull'aereo con cui, il giorno prima della sentenza, il regime aveva deportato negli Stati Uniti ben 222 prigionieri politici.Sempre con l'insostenibile accusa di «tradimento» e di diffusione di notizie false il mese scorso sono stati condannati a dieci anni di carcere anche quanti si trovavano col vescovo al momento dell'arresto, avvenuto lo scorso agosto, e quindi quattro sacerdoti, due seminaristi ed un cameraman. Ma in carcere sono finiti anche altri sette sacerdoti e due collaboratori della Diocesi di mons. Álvarez.Stando a questa sentenza, il vescovo Álvarez dovrà restare in galera fino al 13 aprile 2049. A nulla è valso il sostegno giunto nei giorni scorsi al clero ed ai prelati nicaraguensi, a nome dei vescovi europei, dal card. Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali dell'Unione europea. Il card. Hollerich, in una lettera indirizzata al vescovo di Jinotega, mons. Carlos Enrique Herrera Gutiérrez, presidente della Conferenza episcopale nicaraguense, ha chiesto l'immediato rilascio dei molti, troppi sacerdoti rinchiusi dietro le sbarre solo per la loro opposizione ad un governo comunista sempre più autoritario, citando espressamente, tra questi, mons. Álvarez. Nella missiva, il card. Hollerich ha dichiarato che i recenti eventi, «tra cui la chiusura delle stazioni radio cattoliche, il blocco dell'accesso alle chiese da parte della Polizia ed altri gravi atti, che turbano la libertà religiosa ed il giusto ordine sociale, mostrano l'aggravarsi di una situazione iniziata anni fa. In mezzo a circostanze così avverse, le testimonianze di impegno nella fede nel Vangelo e nel bene sociale comune della nostra amata Chiesa in Nicaragua sono ammirevoli e non passano inosservate», costituendo anzi «un esempio vivo e un modello da seguire in tante altre situazioni di persecuzione, che purtroppo si stanno moltiplicando in varie parti del mondo». Il card. Hollerich ha infine promesso che la Comece farà tutto quanto in suo potere «con le istituzioni europee per il rilascio» di mons. Álvarez e «per promuovere la libertà, lo stato di diritto, la giustizia e la democrazia» nel Paese.Va ricordato che l'anno scorso il governo comunista ha espulso dal Nicaragua l'ambasciatore del Vaticano, l'arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, e 18 Suore Missionarie della Carità. Sono stati bloccati anche i pellegrinaggi e le processioni in tutto il Paese. Stando all'avvocato e ricercatrice nicaraguense Martha Patricia Molina, dal novembre 2018 ad oggi la Chiesa cattolica in Nicaragua ha subìto circa 400 attacchi da parte del regime tra pestaggi, arresti, diffamazioni, esilio e minacce. Dura la condanna dell'accaduto, pubblicata anche dall'agenzia InfoCatólica, secondo cui, con questo nuovo atto, la dittatura di Ortega si starebbe «spingendo sempre più in là nella sua follia e nel suo totalitarismo» con una condanna, che rappresenterebbe solo «una delle sue ultime azioni contro il popolo nicaraguense e contro il Cristianesimo».Nota di BastaBugie: Nicola Scopelliti nell'articolo seguente dal titolo "Il vescovo ucciso a Los Angeles aveva un'arma segreta: Maria" parla di Mons. David O'Connell che è stato trovato morto con un colpo d'arma da fuoco a Los Angeles, città dove il presule irlandese era vescovo ausiliare. Affidava alla protezione della Madonna di Guadalupe il suo impegno per evangelizzare e strappare i giovani alla violenza e alle bande criminali.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 21 febbraio 2023:«Non ho parole per esprimere il mio dolore. Che la misericordia di Dio scenda su chi ha ucciso mons. O'Connell». È quanto ha dichiarato José Horacio Gomez, arcivescovo metropolita di Los Angeles, dopo aver appreso la notizia della morte violenta del suo ausiliare, il vescovo David O'Connell, avvenuta a Hacienda Heights, poco dopo le tredici di sabato scorso.L'arcivescovo è stato contattato dall'Ufficio dello Sceriffo della contea di Los Angeles, dopo che il corpo di mons. O' Connell era stato rinvenuto in un'abitazione, al civico 1500 di Janlu Avenue. Agli agenti era pervenuta una telefonata anonima, che indicava il luogo con "il cadavere di un sacerdote cattolico". «Come prete prima e come vescovo poi, David è stato un uomo di profonda fede, un uomo che portava la pace, che aveva a cuore i poveri e gli immigrati e una grande passione per la comunità», ha commentato l'arcivescovo Gomez.Mons. David O'Connell era il vicario episcopale per la regione pastorale di San Gabriele, una delle cinque dell'arcidiocesi di Los Angeles. Era stato papa Francesco, nel 2015, a chiamarlo all'episcopato e a nominarlo vescovo titolare di Cell Ausaille e ausiliare di Los Angeles. «Non me lo aspettavo, non credevo di avere il profilo per una simile posizione - aveva dichiarato appena gli era stata comunicata la notizia della sua nomina a vescovo -. Ma poi ho ricordato che Papa Francesco sceglie i "pastori" che siano parte attiva delle loro comunità, e allora ho pensato che forse mi avesse scelto proprio per questo».O'Connell era nato nel 1953 in Irlanda, aveva studiato a Dublino e dal 1979 faceva parte dell'arcidiocesi di Los Angeles, dove era stato sacerdote in varie parrocchie e dove era diventato membro del gruppo interdiocesano per l'assistenza all'immigrazione della California del Sud, dove garantiva il coordinamento dell'azione della Chiesa a favore delle famiglie provenienti dal Centro-America.A Los Angeles ci sono cinque milioni di cattolici e trecento parrocchie. La domenica, le chiese sono affollate ovunque, sia quelle delle zone meno abbienti, che nei quartieri più ricchi. Il vescovo O'Connell era noto e molto amato per il suo infaticabile lavoro a favore dei migranti, e in particolare dei bambini, ne favoriva l'iscrizione a scuola e molti lo ripagavano, non solo diplomandosi, ma continuando gli studi fino alla laurea. «Esistono comunque dei problemi - aveva detto nel corso di un'intervista rilasciata al periodico KeKaKo, rivista della Koinonia Giovanni Battista, nel marzo del 2020 - l'età media dei parrocchiani sta aumentando. Ci sono tante persone che hanno ormai superato i 50 anni. Abbiamo oltre cinquantamila bambini che hanno ricevuto la comunione, dopo due anni di catechismo, ma 25mila di quelli che hanno ricevuto la cresima, si sono allontanati dalla Chiesa, crescendo in famiglie che non coltivano la fede».L'impegno pastorale prevalente di mons. O'Connell era tra la gente. Tra i giovani, in particolare. Aveva deciso di annunciare il Vangelo utilizzando, come la definiva lui, un'arma segreta: fare evangelizzazione sotto la protezione di Nostra Signora di Guadalupe. Voleva allontanare i ragazzi dalle bande giovanili violente, incontrando, però, tanti ostacoli, ma ottenendo anche dei risultati. «Tanti ragazzi ora frequentano le scuole e anche le parrocchie. È un cammino lungo e tortuoso», sottolineava. Ed è proprio in questi ambienti di Los Angeles che gli agenti dell'Ufficio dello sceriffo hanno concentrato le loro indagini. Gli investigatori non hanno fornito dettagli, né spiegato se il vescovo fosse il bersaglio dell'assassino. «Non possiamo lasciare che i giovani vengano "catturati" dalle bande - diceva - è compito dei pastori aiutarli con tutti i mezzi, affinché intraprendano strade alternative che li riconducano sulla retta via. È questa la nostra sfida».
VIDEO: Chiesa Cattolica, benvenuti a casa! ➜ https://www.youtube.com/watch?v=zUSdXf8_xeE&list=PLolpIV2TSebUYAolUy8XGKkkSVK1dUyXFTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7315NON POSSIAMO ANDARE VIA DALLA CHIESA CATTOLICA PERCHE' NON CE N'E' UN'ALTRA di Luisella ScrosatiLa lampada è stata messa sotto il moggio e dappertutto è tenebra. E nella tenebra, confusione, disorientamento, paura. È perciò assolutamente comprensibile che in questa situazione, non appena si veda una fiammella accesa, ci si avvicini per godere un po' di quella luce e di quel calore.La tremenda crisi della fede che stiamo vivendo è davvero una prova grande, tanto più che appare alimentata proprio da quel centro di unità, che trova la sua ragion d'essere nel confermare i fratelli (cf. Lc 22, 32) e non nel seguire ogni «vento di dottrina» (Ef 4, 14). Una crisi che sposta il fronte dei cattolici ad approvare qualsiasi atto, parola e scritto del Pontefice, in quanto proviene dal Papa, oppure a riconsiderare il ministero petrino in una modalità che cattolica non è.Sul primo versante si dimentica che il papa non è la Chiesa, ma il centro di unità della Chiesa. Che il papa non è un monarca assoluto, quasi possa agire legittimamente anche distruggendo la Chiesa. Che il papa non è la fonte della verità, ma il primo a dover obbedire alla verità rivelata. Che il riferimento ultimo non è il suo arbitrio, ma la volontà di Dio, verso la quale papa, vescovi, sacerdoti e fedeli sono rivolti. Ed è per questo che nella tradizione teologica è previsto il caso in cui si possa e si debba resistere di fronte a ordini iniqui del papa, a suoi insegnamenti o disposizioni che risultano oggettivamente contrari al bene della Chiesa e alla verità.Sul secondo versante, si presenta un ampio ventaglio di situazioni in atto, differenti tra loro: il passaggio all'autocefalia ortodossa, le svariate posizioni che ritengono la Sede vacante, formazioni che riconoscono ufficialmente il legittimo pontefice, ma che si ritengono l'istanza ultima di decisioni dottrinali, e che hanno dato vita ad una gerarchia di fatto autocefala, nata da ordinazioni senza mandato pontificio e che di fatto si mantiene canonicamente indipendente dalla Sede romana. La confusione è molta e vede i cattolici, anche tra i sacerdoti, rivolgersi ora agli uni ora agli altri, per ritrovare il senso della fede.La posizione cattolica intende la successione petrina all'interno della successione apostolica, ma con una singolarità: quella cioè della successione del capo del collegio apostolico. Nei Vangeli emerge chiaramente che Pietro non è semplicemente uno dei Dodici; all'interno del collegio apostolico egli è capo, per volontà di Cristo, ed è pietra su cui è edificata la Chiesa. Questo è generalmente riconosciuto dagli ortodossi, mentre invece in loro difetta il fatto della successione petrina; possono accettare che al solo Pietro sia stato riconosciuto questo primato, mentre rifiutano la successione lineare dei successori di Pietro, accogliendo solamente la successione da collegio apostolico a collegio episcopale. Il centro di unità della Chiesa non si troverebbe pertanto nei successori di Pietro, ma in Cristo stesso e nello Spirito Santo.UNA, SANTA, CATTOLICA, APOSTOLICANon si tratta di negare quest'ultima affermazione, ma di riflettere sulla necessaria "visibilità" e "incarnazione" delle quattro notae della Chiesa, che professiamo nel Credo, e che ne sono proprietà indefettibili. La Chiesa è visibilmente apostolica nel collegio episcopale; nei successori degli apostoli prende carne la sua apostolicità. È visibilmente cattolica (kath'olon, ossia secondo la totalità) nella sua universalità e nella pienezza di verità e dei mezzi della grazia; la sua presenza in ogni angolo della terra, il suo Magistero e i sacramenti incarnano la sua cattolicità. È visibilmente santa, perché, santificata da Cristo, diviene santificante: possiede cioè visibili mezzi di santificazione e visibili frutti di santificazione; da qui il senso delle canonizzazioni, che manifestano l'incarnazione della santità. Dove la Chiesa è visibilmente una? Dove si incarna questa unità? Nell'unità del primato di Pietro, che ha il compito di «presiedere questa comunione universale; di mantenerla presente nel mondo come unità anche visibile, incarnata» (Benedetto XVI, Omelia, 29 giugno 2006). Senza la successione petrina, la nota dell'una non troverebbe la sua espressione visibile e tangibile. Senza la successione petrina, Pietro non avrebbe trasmesso nulla di "proprio" e quella pietra su cui viene fondata la Chiesa rimarrebbe un cimelio storico.Il collegio episcopale è a sua volta individuabile proprio grazie alla sua comunione con il successore di Pietro, e non può esistere, come collegio, senza di lui. Il carattere sacramentale dell'ordine episcopale fa, a sua volta, riferimento alla comunione gerarchica. Se pertanto un vescovo rifiuta il primato sovverte il senso del sacramento che gli è stato conferito. Ed è per questa ragione che, per un'ordinazione episcopale, è necessario (non ad validitatem, ma ad liceitatem) che vi sia il mandato papale, o che questo sia, nelle situazioni di grave necessità per la Chiesa, almeno presunto.Ancora, il successore di Pietro, essendo «perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (LG, 23), è in stretta relazione con il sacramento dell'unità, ossia l'Eucaristia. Per questo, la comunione con il papa «è un'esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico» (Ecclesia de Eucharistia, 39).È Cristo che ha voluto la sua Chiesa una, e ha voluto che questa unità fosse chiaramente visibile e tangibile, che vi fosse un riferimento certo ed individuabile. E noi siamo legati a questa espressa volontà del Signore. Non vi è ragione al mondo che autorizzi a contraddire questa sua volontà. Per questo, nella struttura della Chiesa, al netto delle flessibilità di alcune forme organizzative, non può mai mancare l'espressione concreta di questa unità. Né può mancare questo concreto riferimento all'unità nelle sue "parti": diocesi, comunità, monasteri, istituti.L'ERRORE DEGLI ORTODOSSI, DEI LEFEVRIANI E DEI SEDEVACANTISTIQuella dell'autocefalia del mondo ortodosso è una di queste forme che contraddicono la volontà di Cristo. Non si vogliono negare gli innumerevoli elementi di verità, bontà e bellezza, ma nemmeno si può tacere che la mancanza del riconoscimento del primato petrino sia un problema grave, causa degli innumerevoli problemi di unità in esso presenti. Il teologo ortodosso Alexander Schmemann faceva notare, per esempio, che, dal punto di vista canonico, il principio affermato della piena cattolicità di ogni chiesa locale, riunita attorno al suo vescovo, non è di fatto applicato, dal momento che il potere di giurisdizione del vescovo è ricevuto dal primate (analogamente a come, nella Chiesa cattolica, il vescovo lo riceve dal papa). Problema all'origine dei vari scismi e delle varie tensioni relative alla questione della Diaspora.Vi è poi tutto il filone del sedevacantismo, che teorizza la Sede vacante a causa dell'eresia da Giovanni XXIII (per altri da Paolo VI), o nella sua versione più recente, che non riconosce Francesco come papa. Le motivazioni a sostegno di queste posizioni sono chiaramente diversificate, ma l'effetto è quello di ritenere che la Chiesa universale sia rimasta senza il suo centro di unità per un tempo minimo di quasi dieci anni (per chi considera "solo" Francesco un antipapa) ad uno massimo di oltre sessanta. In questo periodo di tempo, mancando il papa, non si può fare nulla che abbia valore per la Chiesa universale, che rimane, in qualche modo, sospesa.La storia della Chiesa ha conosciuto un tempo massimo di sede vacante di 1006 giorni, ossia il tempo intercorso tra la morte del beato Clemente IV e l'elezione del beato Gregorio X; ci vollero quasi tre anni per eleggere il nuovo papa, perché i cardinale riuniti in conclave a Viterbo, nel Palazzo dei papi, non riuscivano a mettersi d'accordo. Fu una situazione più unica che rara, che portò i viterbesi a ridurre il loro vitto e scoperchiare il tetto della sala, per cercare di accelerare l'elezione. In ogni caso si tratta di un tempo contenuto, motivato dal tempo di un'elezione. Situazioni analoghe quelle della Sede vacante per poco più di due anni, che portarono all'elezione di Giovanni XXII e poi di Celestino V. Un altro caso riguarda l'elezione di Martino V, che mise fine allo scisma d'Occidente, dopo due anni di antipapi.Il problema del sedevacantismo sta nel fatto che, sostanzialmente, non si sa più come porre fine alla situazione di Sede vacante: c'è chi si elegge il papa riunendo alcuni fedeli, c'è chi ne attende uno "cattolico" (e non si capisce bene chi decida dell'integrità dottrinale del neo-eletto). Nel frattempo, la Chiesa in quanto universale rimane inerte, svuotando sostanzialmente di senso la promessa del Signore che le porte degli inferi no
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7306SEMPRE MENO CRISTIANI RESISTONO IN TERRA SANTA di Giulia TanelLa situazione in Terra Santa, per i fedeli cristiani, è sempre più complicata. Tanto che i rappresentanti in loco delle varie confessioni - nelle figure del patriarca greco-ortodosso Teofilo III, del Custode di Terra Santa, Francesco Patton, dell'ex vescovo luterano di Gerusalemme, Munib Younan e del Patriarca latino, cardinale Pierbattista Pizzaballa - hanno voluto accendere sulla questione i riflettori del mondo mediatico, nella speranza che la diffusa conoscenza della situazione possa avere ricadute concrete nella quotidianità di tante persone.Nell'affrontare l'argomento è necessario innanzitutto partire da un dato numerico, che nella sua precisione è assai utile per inquadrare la questione: qualche decennio fa i cristiani di Gerusalemme rappresentavano circa l'11% della popolazione; oggi, invece, a portare avanti il vessillo della Fede in Gesù Cristo in quella che è la città santa per ben tre confessioni - cristianesimo, ebraismo e islam - è rimasto uno sparuto gruppo di appena 10.000 persone, ossia meno del 2% del totale della popolazione, delle quali - riporta Infocatolica - «la stragrande maggioranza sono arabi palestinesi, sebbene vi sia anche una piccola e consistente comunità armena». E, se è pur vero che la storia ci insegna che sono bastati i Dodici per diffondere il cristianesimo nel mondo, il dato è significativo nella sua drammaticità.UNA QUOTIDIANITÀ MOLTO DIFFICILEAd ogni modo, il nodo dolente non è solamente questo: vi è anche il fatto, di certo in parte conseguente, per via del loro "scarso peso", che i fedeli che ancora resistono a Gerusalemme vivono una quotidianità molto difficile, sotto diversi aspetti. Scrive Melanie McDonagh del Catholic Herald, che si è recata di persona in Terra Santa e ha potuto ascoltare le parole dei leader delle diverse confessioni, che le chiese di Gerusalemme «affrontano particolari difficoltà a causa delle attività di un certo numero di gruppi di coloni ebrei radicali (spesso finanziati dagli Stati Uniti) i cui obiettivi sono in contrasto con la cultura tripartita di ebrei, musulmani e cristiani che ha dato a Gerusalemme un aspetto unico carattere di città santa per tre confessioni».In particolare, registra la giornalista irlandese ma operante principalmente in Inghilterra, un problema importante è l'abuso, sia verbale sia fisico, nei confronti dei rappresentanti del clero, che alimentano un clima di ostilità.Accanto a questo, vi è il problema inerente «la proposta di istituire un'estensione del Parco Nazionale attorno al Monte degli Ulivi, un'area strettamente legata alla vita di Cristo: sarebbero interessati 20 siti cristiani».La questione, a prima vista, potrebbe non sembrare così preoccupante, tuttavia nella sua realizzazione pratica comporterebbe che l'area diventerebbe pericolosa per i palestinesi, in quanto «il parco rientrerebbe sotto l'autorità della Israel Nature and Parks Authority e non delle autorità municipali» e, conseguentemente, «le chiese e i residenti palestinesi perderebbero il controllo delle loro proprietà». Il già citato Francesco Patton, in merito alla questione, ha scritto quanto segue alle autorità governative, richiamando l'attenzione sul nocciolo della questione: «Questi luoghi sono sacri. [...] E per questo, per noi, è importante che i luoghi santi possano essere e continuare ad essere luoghi di preghiera, luoghi di culto, e non semplicemente luoghi aperti al pubblico».I CRISTIANI SONO SCHIACCIATI TRA EBREI E ISLAMICIUn altro punto di difficoltà per i cristiani a Gerusalemme è quindi quello che «anche le autorità municipali di Gerusalemme ignorano la sensibilità delle chiese»: permettono l'organizzazione di feste in aree appartenenti alle chiese, transennano intere parti della Città Vecchia, danno luogo a iniziative culturali senza confrontarsi con le autorità religiose sul posto... il tutto creando diversi disagi per quanti vivono, o vorrebbero vivere, la città precipuamente nella dimensione di fede.Un'altra questione spinosa, e non del tutto trasparente, è poi quella dell'acquisto di immobili strategici nella Città Vecchia da parte dei militanti di Ateret Cohanim: un disegno che va avanti da anni, che vede anche un ruolo da parte degli Stati Uniti, e che secondo Daniel Seidemann, avvocato israeliano specializzato in questioni geopolitiche, «si inserisce nella trama di una politica generale, che è quella di circondare e penetrare la Città Vecchia con insediamenti e attività legate ai coloni. E questa non è solo una minaccia per gli hotel, ma una minaccia per il carattere di Gerusalemme e, più specificamente, una minaccia per la vitalità della presenza cristiana a Gerusalemme, ed è così che le Chiese la percepiscono».Ad ogni modo, pur dentro questo quadro complicato e del quale è bene parlare, e pur nella consapevolezza che - come nota il cardinale Pizzaballa - «purtroppo a Gerusalemme tutto è politico», la chiosa dei leader religiosi è di speranza, nelle parole di Teofilo III: «Siamo qui da quasi 2000 anni. Le cose sacre e profane sono andate e venute, e la Chiesa è ancora qui. Questo, almeno, è qualcosa a cui aggrapparsi».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7217CHI ERANO E DOVE SONO FINITI I RE MAGIMelchiorre rappresentava la razza di Sem, Gaspare la razza di Cam, Baldassarre quella di Jafet (i tre figli di Noè saliti sull'arca con lui e le proprie mogli)di Roberto De MatteiNella festa dell'Epifania e nei giorni successivi, la liturgia della Chiesa ci ricorda la presenza dei Re Magi nella Grotta di Betlemme. I Re Magi non erano "Maghi", ma principi che vivevano in Oriente, dove studiavano i moti celesti per comprendere, attraverso i loro movimenti, le divine profezie. Questi re furono docili alla voce della grazia, che mormorava loro: "Orietur stella", si leverà una stella. Per seguire la stella che apparve loro, lasciarono la loro patria, le loro ricchezze, il loro riposo. Dio, che li aveva chiamati da terre diverse, li riunì in uno stesso viaggio come in una stessa fede. Malgrado le difficoltà materiali e morali di un viaggio di cui ignoravano la fine, non persero mai la fiducia nella stella che li guidava. I Magi, dice il padre Faber, seguivano la stella come si segue una vocazione, senza sapere chiaramente di seguire un impulso divino. Giunsero finalmente a Gerusalemme. "Ed ecco la stella, che avevano veduta in Oriente, andar loro innanzi, finché venne a fermarsi sopra il luogo dove era il bambino" (Mt, 2, 9).Entrarono nella misera Grotta di Betlemme e videro un bambino su una mangiatoia, vegliato da una giovane madre e da un uomo un poco più anziano, ma altrettanto attento e premuroso. Non ebbero un attimo di dubbio. Compresero immediatamente di trovarsi di fronte al Messia promesso, il Re dei Re, il Salvatore dell'umanità. Il carattere distintivo dei Magi fu la fede che li animava. Dopo la fede di san Pietro e di Abramo, secondo il padre Faber, mai vi fu al mondo una fede come quella dei Magi. "La fede è quella che risaltò in essi a ogni istante; è una fede che fu eroica fin dai primordi".IL PRIMO ATTO DI CULTO SOLENNE E UFFICIALE AL BAMBINO DIVINOAdorarono l'Uomo-Dio.e si prostrarono davanti alla Madre Divina. Ebbero la grazia di essere i primi, dopo Maria e Giuseppe, ad offrire sulla terra un atto di adorazione esterna al Bambino di Betlemme. Il Corpo Mistico della Chiesa, è rappresentato in questo momento dalla Sacra Famiglia, dai Magi e dai Pastori. È i Magi offrono il primo atto di culto solenne e ufficiale al Bambino Divino, che è il Capo di questo Corpo Mistico. Betlemme, dice dom Guéranger, non è soltanto il luogo della nascita del Redentore, ma è anche la culla della Chiesa. Betlemme, aggiungiamo, è anche l'atto di nascita della Civiltà cristiana, rappresentata da questi Re che rappresentano il potere secolare che si sottomette a Cristo, riconoscendolo come Signore del Cielo e della terra. Il principio della Regalità sociale di Cristo, ha la sua origine nell'adorazione dei Re Magi a Betlemme.I nomi dei Magi, secondo la tradizione della Chiesa, erano Gaspare, Baldassarre e Melchiorre. Melchiorre rappresentava la razza di Sem, Gaspare la razza di Cam, Baldassarre quella di Jafet. Sono i tre rami della famiglia umana discendente da Noè. Le nazioni, scrive Ernest Hello, sono presentate nella persona dei loro rappresentanti: tutte sono chiamate dalla medesima stella. "La stessa attrazione, in ugual modo celeste e maestosa, le riunisce e le inchina nella stessa adorazione".I Magi offrirono all'Uomo-Dio l'oro, l'incenso e la mirra, che simboleggiano, secondo i Padri della Chiesa, la regalità, la divinità e l'umanità del Salvatore. A Lui erano dovuti, con l'oro, gli onori di Re; con l'incenso, il culto divino; con la mirra, la fede nella sua umanità. La lunga attesa del Messia si dissolve in quest'istante, che ha in sé tutta la fecondità dei secoli futuri.IL RITORNO A CASARitornati a casa, i Magi conservarono fedelmente la memoria di Betlemme. Vivevano ancora quando l'apostolo san Tommaso arrivò nei loro paesi. San Tommaso aveva visto Gesù risuscitato, i Magi lo avevano visto bambino nella capanna di Betlemme. Il loro incontro fu certo emozionante. I Magi dedicarono tutto il resto della loro vita alla predicazione del Vangelo. Poi tornarono a Gerusalemme per contemplare i luoghi della Passione, morte e Resurrezione di Gesù Cristo e qui morirono. Sant'Elena fece trasferire le loro spoglie a Costantinopoli, nella basilica di Santa Sofia. In seguito l'imperatore ne fece dono al vescovo Eustorgio che le portò a Milano, dove fece erigere una basilica in loro onore. Quando Federico Barbarossa prese e saccheggiò questa città, i loro resti, nel 1164, furono trasferiti a Colonia, in Germania. Reinoldo, arcivescovo di Colonia, fece fabbricare per loro il reliquiario più prezioso dell'intero mondo cristiano e su di esso fu elevato un reliquiario ancora più grande: il Duomo di Colonia. Con Gerusalemme la "Città Santa", con Roma la "Città Eterna", con Santiago di Compostela in Spagna, Colonia, grazie ai Magi, è divenuta nel corso dei secoli uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti dell'Occidente cristiano. Lo ha ricordato Benedetto XVI nel 2005, quando, visitò la cattedrale di Colonia, e si raccolse in preghiera davanti al reliquiario che raccoglie i resti dei Magi. Benedetto, che parlava spesso dei Re Magi disse: "I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora." (Discorso del 20 agosto 2005).Ai quei Re Magi, che venivano da Oriente, affidiamo oggi le sorti dell'Occidente, affidiamo le sorti della Cristianità, affidiamo in particolare le sorti della chiesa di Germania che sembra voler propagare un incendio alla Chiesa intera. E che Maria stella matutina, Maris stella, guidi la nostra strada, come la stella di Betlemme guidò la loro.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7262LA MORTE DI BENEDETTO XVI: CARI PROGRESSISTI BASTA IPOCRISIE, VOI NON LO AVETE MAI AMATO di Giuseppe De LorenzoLe prime pagine dei siti di tutto il mondo sono dedicate alla morte di Benedetto XVI. L'Italia non fa eccezione. Racconti accorati. Foto emozionali. Il ricordo di un papa conservatore "che ha rivoluzionato la Chiesa". Per lui, molti elogi e dichiarazioni di ringraziamento. Balle. Non nel senso che Joseph Ratzinger non sia stato davvero un gigante nella storia della Chiesa. Ma perché sono riti di circostanza, spesso e volentieri ipocriti.Diciamolo: Papa Ratzinger non lo avete mai amato. Non trasmetteva l'empatia che vi sareste aspettati. Era molto teologo e poco star. Portava le scarpe rosse e la catena d'oro al collo. Viveva in Vaticano. Ha delineato una Chiesa ancorata ai principi che non piacevano a un certo cattolicesimo "adulto", "progressista", aperto al mondo e alla modernità.Non lo avete mai amato. E forse non lo avete mai capito. Lo dimostrano le dichiarazioni che si leggono nei lanci di agenzia, più concentrate sulla scelta di dimettersi che su quanto fatto in otto anni di pontificato. Nei messaggi dedicati a Benedetto, nessuno - se non poche eccezioni - tra alti prelati, vescovi, presidenti della Cei, teologi e via dicendo ha mai citato la difesa dei "principi non negoziabili" e la lotta alla dittatura del "relativismo", quel cancro sociale che "non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie". Nessuno lo ha enfatizzato. Eppure era questo il fondamento del suo ministero.IL DIRITTO A NON EMIGRARENessuno ha sottolineato la forza con cui difese "la tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale" (no all'aborto e all'eutanasia). Nessuno ha ricordato il suo sforzo per promuovere la "struttura naturale della famiglia", senza tentennamenti, "quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio" (no alle unioni gay). Nessuno ha citato la frase di Ratzinger in cui sosteneva "il diritto dei genitori di educare i propri figli", contro qualsiasi forma di indottrinamento statale, parastatale, gender e fluidità affini. Nessuno, infine, ha enfatizzato la lotta in difesa della famiglia "dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione" (no alle unioni civili). La Chiesa la modernità deve cercare di guidarla, non subirla. "Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il matrimonio di prova, fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell'uomo".Sarà un caso. Ma nel messaggio diffuso da Monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, tutto si cita tranne che l'invito di Ratzinger a riaffermare "il diritto a non emigrare", cioè "a essere in condizione di rimanere nella propria terra". "Il cammino di integrazione - diceva Benedetto XVI - comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono". Era così difficile includere questa parte?LE DIMISSIONISarebbe bastato un poco di coraggio per dire che quando nel 2013 Benedetto XVI rassegnò le dimissioni, molti dei commentatori tirarono un mezzo sospiro di sollievo. Lo dimostrano i fatti. Quando pronunciò la storica lectio magistralis di Ratisbona sul rapporto tra fede e ragione, su religione e violenza, in pochi si presero la briga di difenderlo (salvo dargli ragione in seguito con la nascita dell'Isis). Nello scandalo pedofilia non ebbe la stessa benevolenza della stampa, e della curia, oggi assicurata a Bergoglio. La sua scelta di reintrodurre la Messa in latino venne vista come una mossa reazionaria. Lo stesso dicasi per il tentativo di giungere ad una riconciliazione con i Lefebvriani. In Germania lo chiamarono "il Grande Inquisitore". In Italia aprirono i quotidiani col titolo "il Pastore tedesco". Nel 2008 Ratzinger, già Papa, venne invitato dalla Sapienza di Roma per l'inaugurazione dell'anno accademico: 67 tra professori e docenti diedero vita ad una protesta contro la "sconcertante iniziativa" di far parlare un pontefice all'Università. Alla fine Benedetto XVI annullò la visita, in quello che è uno dei più grandi atti censori mai avvenuti in un Ateneo.Tutto sommato, alla fine, a tanta ipocrisia è preferibile l'onestà intellettuale di Vladimir Luxuria. L'attivista, dispiaciuto per "la perdita della persona", ha deciso di non "tacere i grandi contrasti" che "Benedetto ha avuto con la comunità Lgbtq+" e che "si sono affievoliti" solo "con Papa Francesco". [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7264NATALE: GIORNO DI GIOIA, DI LOTTA E DI VITTORIA di Roberto de MatteiDom Prosper Guéranger, il grande abate di Solesmes e autore del celebre Anno Liturgico è l'autore a cui attingiamo per meditare nei giorni del Santo Natale. E dom Guéranger ci invita a cercare in questi giorni con il nostro pensiero soprattutto tre luoghi.Il primo è Betlemme, la grotta della Natività, l'umile asilo che il figlio dell'Eterno, disceso dal Cielo, ha scelto per la sua prima residenza. Tuttavia cercheremmo invano oggi a Betlemme la beata mangiatoia che accolse il Bambino Gesù. Da tredici secoli essa ha lasciato quei luoghi ed ha trovato accoglienza nel centro della Cattolicità, a Roma. La città sacra di Roma è dunque il secondo luogo del mondo che il nostro cuore deve cercare, e in questa città, il luogo che in questi giorni chiede tutta la nostra venerazione e tutto il nostro amore è la basilica di Santa Maria Maggiore che ospita la mangiatoia del Divino Infante, una delle più preziose reliquie della Cristianità.IL NOSTRO CUOREMa c'è un terzo luogo, un terzo santuario, che a Natale deve ospitare il divino figlio di Maria. Questo terzo santuario è in noi: è il nostro cuore. E questa la Betlemme che Gesù vuole visitare, nella quale vuole nascere e stabilirsi. Noi veneriamo Gesù nel santo presepio, ma egli viene a noi in quella mangiatoia che deve diventare il nostro cuore. Però, avverte dom Guéranger, "O soldato di Cristo, impara che bisogna combattere per meritare di avvicinarsi al divino bambino: combattere per conservare in sé la sua presenza piena di amore; combattere per arrivare al giorno beato che ti farà tutt'uno con lui nell'eternità".Combattere significa ricordare, anche nel giorno di Natale e in quelli successivi, che la vita cristiana è milizia sulla terra e che non c'è gioia, neppure quella sublime del Santo Natale, che sia inseparabile dalla sofferenza. Per questo Maria, che fu inondata di gioia nel dare alla luce il Redentore, fu anche inondata dal dolore, conoscendo le sofferenze che avrebbero accompagnato il suo Divin Figlio da Betlemme al Calvario, come prezzo da pagare per la salvezza degli uomini.I MARTIRI DI NICOMEDIAÈ per questo che ogni cristiano deve essere pronto a dare la vita per Nostro Signore, come fecero quei cristiani di Nicomedia che il giorno di Natale dell'anno 303, sotto l'Imperatore Diocleziano, subirono il martirio ed ascesero al Cielo, mentre Gesù scendeva sulla terra.Diocleziano e i suoi colleghi nell'impero avevano appena pubblicato il famoso editto di persecuzione che dichiarava alla Chiesa la più sanguinosa guerra che essa abbia mai subita. L'editto affisso a Nicomedia, residenza dell'imperatore, era stato strappato da un cristiano che pagò tale atto di santa audacia con un glorioso martirio. I fedeli pronti alla lotta osarono sfidare la potenza imperiale, continuando a frequentare la loro chiesa condannata alla demolizione. Si era giunti al giorno di Natale. Essi si raccolsero in numero di parecchie migliaia nel sacro tempio per celebrarvi un'ultima volta la Nascita del Redentore. A quella notizia, Diocleziano inviò uno dei suoi ufficiali con l'ordine di chiudere le porte della chiesa, e di appiccare ai quattro angoli dell'edificio il fuoco che doveva distruggerla. Quando tutto fu disposto, squilli di tromba si udirono sotto le finestre della basilica, e i fedeli intesero la voce del banditore che annunciava, da parte dell'imperatore, che quelli i quali volevano aver salva la vita potevano uscire, a condizione di offrire l'incenso sull'altare di Giove eretto davanti alla porta della chiesa; diversamente, sarebbero stati tutti preda delle fiamme.Un cristiano rispose a nome della pia assemblea: "Siamo tutti cristiani; onoriamo Cristo come unico Dio e unico Re, e siamo pronti a sacrificargli la nostra vita in questo giorno". A tale risposta i soldati ricevettero l'ordine di appiccare il fuoco. In pochi istanti la chiesa fu un immenso rogo, le cui fiamme salivano verso il cielo, inviando in olocausto al Figlio di Dio, che si era degnato in quel giorno di iniziare una vita umana, l'offerta generosa di quelle migliaia di vite che rendevano testimonianza alla sua venuta in questo mondo.Dom Guéranger conclude: "Così fu glorificato, nell'anno 303, a Nicomedia, l'Emmanuele disceso dal cielo per abitare fra gli uomini. Uniamo, con la santa Chiesa l'omaggio dei nostri voti a quello di questi coraggiosi cristiani la cui memoria si conserverà, attraverso la sacra Liturgia, sino alla fine dei secoli".Facciamo nostre le parole di dom Guéranger, aggiungendo alla memoria che ci trasmette un'altra da conservare nel nostro cuore. Erano passati 10 anni esatti dalla terribile persecuzione di Diocleziano, che sembrava dover estirpare il Cristianesimo dalla faccia della terra, quando, nell'anno 313 dopo Cristo, l'Imperatore d'Occidente Costantino da Milano e quello di Oriente Licinio da Nicomedia proclamavano l'Editto che concedeva ai Cristiani la piena libertà di professare la loro religione. Una nuova Civiltà, la Civiltà cristiana nasceva.Di questa Civiltà siamo eredi e nel giorno di Natale alziamo le sue bandiere, pronti alla lotta.Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Roberto de Mattei, nell'articolo seguente dal titolo "La nostra preghiera nella notte di San Silvestro" parla si san Silvestro I che fu papa al tempo della conversione di Costantino.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il giugno luglio 2022:Il 31 dicembre la Chiesa iscrive nella sua liturgia il nome di un santo che non è un martire, ma un Confessore, il primo confessore della Chiesa: san Silvestro I, Papa per 22 anni dal 314 al 336.Il suo regno iniziò all'indomani della grande vittoria di Costantino a Saxa Rubra e dell'Editto di Milano del 313, con cui il nuovo sovrano, dopo aver pacificato l'Impero, concedeva libertà alla Chiesa. Scrive Louis Veuillot: "La storia dei successori di Pietro, per duecentocinquant'anni, è terminata sempre con le stesse parole: "Coronato dal martirio". Dove si arriva così? A Costantino. San Marcello da poco era morto, schiavo, condannato ad bestias; le acclamazioni del circo avevano da poco salutato Massenzio; la croce appare nel cielo, Costantino la pianta sul Laterano: ab aevo vinces!. Cesare battezzato affida il governo di Roma al Papa Silvestro e ai suoi successori, non ritenendo che l'imperatore della terra debba serbare il potere, là dove l'Imperatore del cielo ha posto il principato del sacerdozio e la capitale della religione"Ma il pontificato di Silvestro conobbe una tempesta più terribile delle persecuzioni di Diocleziano: la nascita e la diffusione, ad opera del prete Ario, di un'eresia che negava la divinità di Gesù Cristo. Papa Silvestro, d'accordo con l'imperatore Costantino, nella primavera dell'anno 325 convocò un Concilio a Nicea. In questo Concilio, il primo Concilio ecumenico della Chiesa, l'eresia ariana fu condannata e fu formulato il famoso simbolo niceno, che trasmise ai secoli la prima grande formula di fede cattolica i canoni del Concilio. Le sue reliquie riposano nella Chiesa di San Silvestro, detta in Capite, perché conserva anche il capo di san Giovanni Battista.A Roma, accanto alla Basilica di san Giovanni in Laterano, si conserva un mosaico, detto del Triclinio Leoniano, in cui a sinistra è raffigurato Gesù Cristo che consegna le chiavi pontificie a papa san Silvestro e il vessillo della Chiesa all'imperatore Costantino; a destra san Pietro che conferisce il pallio a papa Leone III e il vessillo a Carlo Magno. Il vessillo di Costantino e di Carlo Magno è quello che sventolò sui campi delle crociate e nelle acque di Lepanto. È la bandiera della Chiesa, mai ammainata. [...]Nella notte di San Silvestro un anno scompare nel vortice del passato e un altro anno si apre in un abisso di incertezza. Ma per noi quello che conta è solo il tempo presente, l'unico momento in cui incontriamo l'eternità. E in questo momento, chiediamo a Dio che sia fatta, ora e sempre, in noi la Sua volontà.
VIDEO: La Santa Casa di Loreto ➜ www.youtube.com/watch?v=pb-_uPDejWw&list=PLpFpqNiJy93vpo09XwkVtUp8W-0qcHkloTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7236LA TRASLAZIONE DELLA SANTA CASA A LORETO di Ermes DovicoOgni 10 dicembre si ricorda la traslazione della Santa Casa di Nazaret che il 10 dicembre 1294 fu trasportata in volo dagli angeli nel territorio delle Marche, allora parte dello Stato Pontificio. Non era la prima traslazione miracolosa né sarebbe stata l'ultima, per cui vale la pena accennare al quadro storico in cui ciò avvenne.Nel maggio 1291 la città di Nazaret e l'intera Palestina si trovavano sotto il dominio dei Turchi Selgiuchidi, che erano una minaccia tanto per i pellegrini quanto per i luoghi santi in cui Cristo aveva vissuto, insegnato e sofferto la Passione per la nostra salvezza. Fu allora che per preservare la Santa Casa, dove era nata Maria e dove il Verbo di Dio si era incarnato in seguito al fiat pronunciato dalla Vergine davanti all'Arcangelo Gabriele (Lc 1, 26-38), gli angeli la staccarono dalle fondamenta e la traslarono a Tersatto, in Dalmazia. Vi rimase per tre anni e sette mesi («ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine», si legge in una cronaca del 1465 di Pier Giorgio Tolomei, che aveva tratto la notizia da una vecchia 'tabula' risalente all'inizio del XIV secolo), fino appunto al 10 dicembre 1294 quando la Santa Casa venne posta per la prima volta sulla terra del Vicario di Cristo.LA TRASLAZIONE MIRACOLOSANell'anno successivo la sacra dimora fu spostata altre tre volte in luoghi vicini, prima a causa dei briganti che derubavano i fedeli e poi perché due fratelli (i conti Stefano e Simone Rinaldi) avevano cercato di ottenere il titolo di proprietà sulla Santa Casa, che alla fine gli angeli posero al centro della strada che da Recanati va al suo porto: e ciò, si badi bene, costrinse i magistrati dell'epoca a ordinare una deviazione del percorso. In quel luogo, poi chiamato Loreto, la Santa Casa si trova ancora oggi dopo oltre sette secoli, custodita da un rivestimento marmoreo all'interno dell'omonima basilica, eretta a partire dal XV secolo e divenuta uno dei santuari mariani più visitati al mondo, meta di pellegrinaggio di pontefici, cardinali, re, regine e milioni di altri fedeli che vi hanno lasciato doni ed ex voto per le innumerevoli grazie ricevute.Dal XIII secolo ai giorni nostri, sia a Loreto che a Nazaret, sono stati condotti numerosi studi archeologici e storici sulla Santa Casa che sostengono la soprannaturalità della traslazione. Sono del tutto inventate, invece, le storie moderne (e moderniste), accompagnatesi perfino alla produzione - dal XIX secolo in poi - di atti falsi, che vorrebbero la traslazione operata per mano dei crociati o di una presunta famiglia "Angeli" o "De Angelis". Accenniamo brevemente ai fatti che avvalorano la traslazione miracolosa.Tra le ricerche più recenti si ricordano quelle di padre Bellarmino Bagatti, uno degli archeologi più importanti del XX secolo, di Nereo Alfieri, anche lui famoso archeologo, e di Nanni Monelli (La Santa Casa a Loreto. La Santa Casa a Nazareth), architetto e ingegnere. Innanzitutto, nel suo nucleo originario, la casa è costituita da sole tre pareti perché era appoggiata a una grotta con la quale costituiva un unico blocco abitativo. Le misure della casa di Loreto e lo spessore dei suoi muri corrispondono perfettamente alle fondamenta che si trovano a Nazaret, nel luogo che per 13 secoli è stato venerato dai fedeli come casa di Maria. Le pietre della Santa Casa sono tipiche della Palestina e lavorate con una tecnica specifica di quei luoghi; a ciò va aggiunto che nelle Marche non vi erano cave di pietra e tutte le costruzioni erano fatte in laterizi, senza contare che la collocazione della porta sulla parete lunga e l'orientamento dell'intera casa sono anomalie per gli usi edilizi dell'epoca in terra marchigiana.PROVE CERTELe pietre della Santa Casa risultano saldate da una malta anch'essa tipica della Palestina, costituita da gesso impastato con polvere di carbone di legna grazie a una tecnica mai usata in Italia, e uniforme in tutti i punti: altro fatto che, come ha spiegato il docente di elettrochimica Emanuele Mor, esclude l'ipotesi di una rimozione e traslazione della casa per mano umana, perché «qualora fosse avvenuta una nuova rimessa in opera dei singoli blocchi di pietra, si sarebbe dovuta evidenziare per la differenza della composizione chimica della malta in questione». Sulle pietre sono presenti numerosi graffiti che recano segni cristologici (compresa la scritta in ebraico «O Gesù Cristo, Figlio di Dio») del tutto simili a quelli ritrovati a Nazaret nei primissimi secoli della cristianità.Questi e diversi altri particolari convergono verso l'unica conclusione plausibile, figlia della ragione illuminata dalla fede: la Santa Casa di Loreto, traslata dagli angeli, è la stessa di Nazaret dove avvenne il mistero al centro della storia della salvezza, l'Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo. E per la presenza di questo segno tangibile in mezzo a noi dovremmo versare lacrime di gratitudine: perché - come ha detto Giovanni Paolo II - è «la casa universale di tutti i figli adottivi di Dio. La storia di ogni uomo, in un certo senso, passa attraverso quella casa».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7249PAPA FRANCESCO PUO' PIACERE O NO, MA E' IL LEGITTIMO PAPA di Emmanuele BarbieriL'articolo del prof. Roberto de Mattei su Corrispondenza Romana del 20 novembre 2022 (clicca qui http://www.bastabugie.it/it/edizioni.php?id=798) ha provocato tra i nostri lettori alcuni quesiti, che possiamo così riassumere: "Benedetto XVI, annunciando l'11 febbraio 2013 le sue dimissioni, ha dichiarato di rinunziare al ministero del Pontificato, ma non al 'munus' petrino. Benedetto inoltre si è auto-definito 'Papa emerito', continua a indossare la veste bianca, che caratterizza lo status di Papa, e impartisce la benedizione apostolica. Ma poiché nella Chiesa cattolica ci può essere un solo Papa, e non due, non avrà ragione chi sostiene che il legittimo Pontefice è ancora Benedetto e non Francesco?"La questione nasce dall'anomalia della rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, su cui più volte Corrispondenza Romana ha espresso la sua opinione. Il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana, e oggi Commissario dei Francescani dell'Immacolata, il 2 marzo 2013, dieci giorni prima l'elezione di papa Francesco, confutò la figura ratzingeriana del "Papa emerito" in un lungo e argomentato saggio su La Civiltà Cattolica, spiegando che «colui che cessa dal ministero pontificio non a causa di morte, pur evidentemente rimanendo vescovo, non è più papa, in quanto perde tutta la potestà primaziale, perché essa non gli era venuta dalla consacrazione episcopale, ma direttamente da Cristo tramite l'accettazione della legittima elezione». Infatti, la dottrina comune della Chiesa ha sempre distinto tra potere di ordine e potere di giurisdizione. Il primo è ricevuto attraverso i sacramenti, il secondo per missione divina, nel caso del Papa, o per missione canonica nel caso dei vescovi e dei sacerdoti. Il Papato non è un "supersacramento", ma il governo supremo della Chiesa, fondato sul potere di giurisdizione.PAPA BENEDETTO HA RINUNCIATO AL PAPATO IN MANIERA VALIDA, ANCHE SE AMBIGUASul blog di Sandro Magister il 15 settembre 2014, il prof. de Mattei notando che tra i cattolici di orientamento conservatore, alcuni già cominciavano a contrapporre il "Papa emerito" Benedetto XVI al "Papa in esercizio" Francesco, osservava che questa posizione, diversa da quella sedevacantista, era però caratterizzata dalla stessa debolezza teologica. Infatti, «se il papa è, per definizione, colui che governa la Chiesa, rinunciando al governo egli rinuncia al papato. Il papato non è una condizione spirituale, o sacramentale, ma un "ufficio", ovvero un'istituzione. (...) Il Papa è colui che ha il supremo potere di giurisdizione, la "plenitudo potestatis", perché governa la Chiesa. È per questo che il successore di Pietro è prima Papa e poi vescovo di Roma. È vescovo di Roma in quanto Papa e non Papa in quanto vescovo di Roma».Benedetto XVI, quali che siano state le ragioni per dimettersi, lo ha fatto in maniera valida, ma ambigua, creando una profonda confusione tra i fedeli. Il 15 gennaio 2020, Corrispondenza Romana scriveva che Benedetto XVI: «conservando il titolo di Papa emerito, come avviene per i vescovi, sembra ritenere che l'ascesa al Pontificato imprima sull'eletto un carattere indelebile analogo a quello sacerdotale. In realtà i gradi sacramentali del sacerdozio sono solo tre: diaconato, presbiterato ed episcopato. Il pontificato appartiene ad un'altra gerarchia della Chiesa, quella di giurisdizione, o di governo, di cui costituisce l'apice. Quando viene eletto, il Papa riceve l'ufficio della suprema giurisdizione, non un sacramento dal carattere indelebile. Il sacerdozio non si perde neanche con la morte, perché sussiste "in aternum". Si può invece "perdere" il pontificato, non solo con la morte, ma anche in caso di volontaria rinuncia o di manifesta e notoria eresia. Se rinuncia ad essere pontefice, il Papa cessa di essere tale: non ha diritto a indossare la veste bianca né ad impartire la benedizione apostolica. Egli, dal punto di vista canonico, non è neanche più un cardinale, ma torna ad essere un semplice vescovo».In un suo importante saggio, dal titolo Renuntiatio Papae. Alcune riflessioni storico-canonistiche (in Archivio Giuridico, 3-4 (2016), pp. 655-674), il cardinale Walter Brandmüller ha ribadito che uno e solo uno è il Papa, e inscindibile nella sua unità è il suo potere. «La sostanza del Papato è così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica, cosicché nessun Papa può essere autorizzato a ridefinire il suo ufficio».ANCHE BENEDETTO XVI RICONOSCE PAPA FRANCESCOSe Benedetto XVI ritenesse di essere davvero Papa, simultaneamente a Francesco, negherebbe la verità di fede per cui esiste un solo Vicario di Cristo e dovrebbe essere considerato eretico o sospetto di eresia. Il prof. Enrico Maria Radaelli, che è persona più preparata e conseguenziale di Andrea Cionci, nel suo libro Al cuore di Ratzinger, sostiene che l'abdicazione di papa Benedetto è invalida e nulla, proprio perché è stata elaborata sulle basi di una dottrina eretica, di stampo hegeliano. Ma a questa tesi il prof. de Mattei già rispondeva il 1° luglio 2020 su Corrispondenza Romana: «Se fosse provato che Benedetto XVI aveva l'intenzione di scindere il pontificato, modificando la costituzione della Chiesa, sarebbe caduto in eresia; e poiché questa concezione eretica del Papato sarebbe certamente anteriore alla sua elezione, l'elezione di Benedetto dovrebbe essere ritenuta invalida per lo stesso motivo per cui si ritiene invalida l'abdicazione. Egli non sarebbe in nessun caso Papa. Ma questi sono discorsi astratti, perché solo Dio giudica le intenzioni, mentre il diritto canonico si limita a valutare il comportamento esterno dei battezzati. Una sentenza celebre del diritto romano, ricordata sia dal cardinale Walter Brandmüller che dal cardinale Raymond Leo Burke, afferma che «De internis non iudicat praetor»; un giudice non giudica le cose interne. D'altra parte il canone 1526, § 1 del nuovo Codice di Diritto Canonico ricorda che "Onus probandi incumbit ei qui asserit" (L'onere di fornire le prove tocca a chi asserisce)». Inoltre, "se il legittimo Papa è Benedetto XVI, che cosa accadrebbe se egli da un giorno all'altro morisse, o se invece, prima della sua morte, venisse a mancare papa Francesco? Dal momento che molti degli attuali porporati sono stati creati da papa Francesco e nessuno dei cardinali elettori lo considera un antipapa, la successione apostolica sarebbe interrotta, pregiudicando la visibilità della Chiesa. Il paradosso è che per provare l'invalidità della rinuncia di Benedetto si utilizzano sofismi giuridici, ma poi per risolvere il problema della successione di Benedetto o di Francesco, si dovrebbe ricorrere a soluzioni extra-canoniche. La tesi del visionario francescano Jean de Roquetaillade (Giovanni di Rupescissa: 1310-1365), secondo cui, nell'imminenza della fine dei tempi, apparirebbe un "Papa angelico" alla testa di una Chiesa invisibile, è un mito diffuso da molti pseudo-profeti, ma mai accolto dalla Chiesa. E' questa la strada che imboccherebbe una parte del mondo conservatore? Sembra più logico ritenere che i cardinali riuniti in conclave per eleggere un nuovo Papa, dopo la morte o la rinunzia al pontificato di papa Francesco, sarebbero assistiti dallo Spirito Santo. E, se è vero che i cardinali potrebbero rifiutare l'influsso divino, eleggendo un Pontefice peggiore di papa Francesco, è anche vero che la Provvidenza potrebbe riservare sorprese».CONCLUSIONEIn conclusione: l'essenza del Papato non è nel munus, come nei vescovi, ma è nell'esercizio del governo, ovvero nel ministerium, che non è un sacramento indelebile, ma un potere di giurisdizione, che si può perdere o a cui si può rinunciare. Il Papato non è una condizione spirituale o sacramentale, ma un "ufficio", o più precisamente un'istituzione. Chi rinuncia al ministerium, cioè al governo, perde il Papato. E questo era ben chiaro a Benedetto XVI, che nella sua Declaratio del 13 febbraio 2013 afferma con chiarezza: «[Declaro] Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem (...) convocandum esse» ("dichiaro che va convocato un conclave per eleggere un nuovo Sommo Pontefice"). Benedetto XVI non ha inteso conservare per sé la condizione papale, affidando il governo a un facente funzione, ma ha formalmente aperto la sede vacante (e non impedita), ordinando l'elezione di un nuovo Papa. Questo Papa è stato eletto con il nome di Francesco ed è stato riconosciuto come tale dalla Chiesa universale. Potrà piacere o no, ma è il legittimo Papa. Se Benedetto XVI continua ad atteggiarsi a Pontefice, vestendo di bianco e impartendo la benedizione apostolica, commette un errore, creando confusione tra i fedeli, ma non rivendica certo una legittimità pontificia alla quale ha rinunciato il 13 febbraio 2013. Nessuna sua parola o gesto apparentemente contrario è stato finora più forte di quella solenne Declaratio con cui ha concluso il suo pontificato.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7228SACERDOZIO AL FEMMINILE? NO, GRAZIE... LO DICO DA DONNA di Raffaella FrulloneCi sono cose che non passano mai di moda: il tubino nero nell'armadio, la Ferrarelle nei ristoranti di Roma, i richiami alla responsabilità di Mattarella e dire che la Chiesa è maschilista, anzi misogina. «Ma avrà anche dei difetti», mi viene spesso da commentare, ma poi devo aggiungere che è una battuta prima che scatti la pubblica gogna. Ovviamente la maxima culpa è una: la prerogativa maschile del sacerdozio, oltraggio supremo alla parità di genere che ormai è il vangelo dei tempi contemporanei. Qualunque cosa significhi poiché, dato che vorrebbero farci credere che i generi sono 57, un'ipotetica parità sarebbe difficile da calcolare. Comunque le capisco, le femministe dico, o le nonunadimenoquandiste, ma anche le donne che in buona fede sposano questa causa senza comprenderla a pieno, le capisco dicevo, se manca la dimensione verticale e si legge tutto nell'ottica del potere è chiaro che il no al sacerdozio femminile venga visto come un'inspiegabile ingiustizia. Io invece, a San Pietro per il capitolo nazionale del monastero Wi-Fi, mi sono ritrovata a pensare agli scenari apocalittici che si presenterebbero se le donne dovessero, ad esempio, confessare. Non confessarsi, ma confessare, ovvero sedersi in confessionale dalla parte del confessore, cioè colui che ascolta in silenzio. Già qui siamo all'ossimoro, ma proviamo a giocare al "what if".Intanto partiamo dalla durata media di una confessione: si passerebbe dai cinque minuti circa attuali, a una forbice che va tra i venticinque minuti e le due ore e cinquanta, qualora dall'altra parte ci fosse un'altra donna. Ogni informazione uscita dalla bocca della eventuale penitente si trasformerebbe in oggetto di analisi approfondita: «Sì, ma come mai non hai invitato tua suocera a Natale? Ah, lei non ti ha invitato a Pasqua. Come? Viene a pranzo tutte le domeniche? Beh, allora ci sono delle attenuanti al peccato, non è così grave, parliamone». Più che una confessione scatterebbe una sorta di ibrido tra un the con le amiche e una seduta di psicanalisi in cui però vengono dati dei consiglio tutt'altro che spirituali: «Secondo me devi invitarla a Santo Stefano e solo per il caffè.» E poi, mi immagino il marito e padre che ha tradito la moglie che si inginocchia e la confessora lo apostrofa con: «Sì, ma con chi l'hai tradita?», «Quanti anni ha lei?», «Ma non ti vergogni?» e via proseguendo in un crescendo che si fa sempre più somigliante a un interrogatorio di Criminal in onda su Neftlix.Ma poi, osiamo credere, come la metteremmo con il famigerato segreto confessionale? La confessora è tenuta all'obbligo di non rivelare ad alcuno quello che ha ascoltato. A nessuno. Non "solo alla migliore amica che non lo dice a nessuno" (che però lo dice alla sua migliore amica che non lo dice a nessuno), sarebbe chiamata a custodire tutto nel silenzio, anche i fardelli più pesanti, quelli che lacerano il cuore anche di chi li ascolta, che soffrirebbe per giorni con l'anima in pena. Non solo, il confessore, la confessora in questo caso, dovrebbe comportarsi come se non sapesse nulla, dovrebbe far finta di niente insomma, anche di fronte alle menzogne più terribili, ai peccati più indicibili, alle miserie più atroci.Riassumendo: ascoltare in silenzio, custodire nel silenzio, non tentare di risolvere situazioni intricate con consigli pratici non richiesti, comportarsi come se non si sapesse nulla. Non so voi, ma io passo la mano, grazie, non è per me. Tenetevi la parità, a ciascuno la sua parte.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7233I PRESUNTI MESSAGGI SEGRETI DI BENEDETTO XVI di Roberto De MatteiC'è in Italia un giornalista che scrive di cose della Chiesa e si lamenta essere ignorato da una serie di intellettuali e di testate cattoliche di orientamento tradizionale, di cui riporta un puntiglioso elenco, accusandole di sottrarsi a un confronto che il giornalista giudica doveroso data l'importanza del tema: i presunti messaggi in codice che l'unico papa legittimo, Benedetto XVI, trasmetterebbe per denunciare l'impostura dell'antipapa, Jorge Maria Bergoglio. Il giornalista non si duole delle numerose critiche che ha già ricevuto, ma di quelle che non sono ancora arrivate, impedendo, con questo silenzio, che la sua ricostruzione delle vicende della Chiesa venga presa nell'«attenta, serissima e approfondita considerazione» che, a suo avviso, merita.Poiché tra le testate che egli accusa di non avere ancora espresso un giudizio su di lui e sulla sua opera, c'è anche Corrispondenza Romana, non abbiamo difficoltà a soddisfare il suo desiderio: si chiama Andrea Cionci, un giornalista di cui abbiamo apprezzato gli articoli fino ai primi mesi del 2020 quando, con la pandemia, sembra aver completamente perso la bussola, come altri promettenti ingegni.Cionci si vanta di aver pubblicato centinaia di articoli e un libro che ha venduto 12.000 copie ed è stato tradotto in due lingue, ma si illude se pensa che questi numeri corrispondano a un ampio consenso di pubblico. La ragione del suo successo sta nella "curiosità" che le sue cervellotiche tesi suscitano tra lettori amanti del sensazionalismo. La vana curiositas che, come spiega san Tommaso, è l'aspetto vizioso del desiderio di conoscere (Somma Teologica, II-II, q. 167), è una malattia della mente da cui ogni cattolico deve guardarsi. Questa è la ragione per cui non riteniamo necessario pubblicizzare il suo libro e i suoi articoli, senza che di ciò ci si debba far rimprovero.SCRIVERE SENZA NESSUNA COMPETENZALa ragione per la quale il silenzio ha accompagnato la sua "inchiesta" sul conclave del 2013 sta anche nel fatto che egli pretende di parlare di una questione non solo seria, ma drammatica, riguardante la vita della Chiesa, senza avere la pur minima competenza per farlo. Cionci infatti non ha alcuna conoscenza teologica o canonica, ma soprattutto sembra privo di quel buon senso, prima ancora che di quello spirito cattolico, che è condizione necessaria per affrontare problemi delicati e complessi che toccano la vita delle anime. Gli "esperti" a cui si richiama per giustificare le sue tesi sono citati a sproposito, perché nessuno di essi le condivide. E l'unica arte di cui egli si dimostra padrone è purtroppo quella del sofisma.L'abdicazione di Benedetto XVI e il modo con cui essa è avvenuta sono considerati da molti studiosi e anche da eminenti membri del Sacro Collegio come un grave errore, mentre per Cionci è un'astutissima manovra del "Papa emerito" per mettere con le spalle al muro il suo rivale Francesco. Cionci ha coniato l'espressione di "auto-impedimento" per descrivere un'inedita situazione in cui Benedetto XVI, unico vero Papa, combatte in maniera occulta contro l'usurpatore Bergoglio. Papa Benedetto, a suo parere, si esprime in maniera criptica, attraverso una comunicazione in codice che solo Cionci è in grado di decifrare. Ma se il linguaggio di Benedetto è volutamente segreto, non si capisce perché Cionci, che è un suo ammiratore, lo riveli al mondo intero. Benedetto, direttamente o attraverso il suo segretario mons. Georg Gänswein, ha più volte smentito la tesi che lo vuole ancora Papa regnante, ma ogni smentita è per Cionci una conferma, perché, a suo avviso, se Benedetto confermasse pubblicamente il suo piano, svelerebbe il gioco che conduce. E se Benedetto dicesse che Cionci è matto, il nostro sarebbe pronto a dichiarare che, in senso spirituale, la follia può rappresentare il passaggio ad un alto livello di conoscenza. Non a caso nelle carte dei Tarocchi il "matto" cambia il suo significato a seconda di come esce nel giuoco, positivo se è diritto, negativo se è a rovescio.UNA TESI INCONSISTENTECionci afferma che il prof. Roberto de Mattei, direttore di Corrispondenza Romana, «non ha colto che la questione della legittimità di Bergoglio è canonica, anni luce prima di essere teologica». In realtà è proprio il Diritto canonico, prima ancora della dottrina teologica, a rendere inconsistente la tesi di Cionci, per cui la Chiesa cattolica sarebbe prossima alla sua fine, a causa di un'illegittima successione al pontificato. Cionci sembra ignorare che la Chiesa è necessariamente, e per sua natura, una società visibile. Pio XII lo esprime in questi termini: «La Chiesa cattolica è il gran mistero visibile, perché visibile è il suo capo sulla terra, il Vicario di Cristo, visibili sono i suoi ministri, visibile la sua vita, visibile il suo culto, visibile l'opera e l'azione sua per la salvezza e la perfezione degli uomini" (Discorso del 4 dicembre 1943).Se la Chiesa cattolica non fosse visibile, non potrebbe essere riconosciuta ed essa può e deve essere riconosciuta da ogni uomo sulla terra proprio per le proprietà visibili che la caratterizzano. Questa visibilità è data innanzitutto dalla successione apostolica, un carattere che si trova solo nella Chiesa cattolica romana. Chi proclama l'interruzione della successione apostolica si situa nel solco delle innumerevoli conventicole eretiche di cui sant'Alfonso Maria de' Liguori ha fatto un esauriente e sempre attuale compendio (Storia delle eresie colle loro confutazioni, Phronesis, Palermo 2022). Nell'orgoglio, nota sant'Agostino, hanno la loro radice tutte le eresie e le apostasie della fede (Sermo 46, n. 18). Solo un uomo pieno di presunzione può anteporre l'opinione propria al giudizio della Chiesa universale fondata da Dio. Per mortificare quella forma di orgoglio della mente che è la vana curiositas, potrebbe essere utile sostituire alle letture mattutine o serali di tanti blog pseudo-cattolici, le meditazioni illuminanti sull'Avvento del grande abate di Solesmes, dom Prosper Guéranger (1805-1875). Le parole della Liturgia spiegate da don Guéranger parlano di tenebre che Dio solo può dissipare e di piaghe che solo la sua bontà può risanare: sono le piaghe della Chiesa e sono le tenebre in cui è immerso chiunque rifiuta di accettarne il Mistero.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7197GLI SCACCHI E LA CHIESA: UN MATRIMONIO REALIZZATO di Roberto BerettaIl Bianco muove e matta in tre mosse. Se è difficile dare scacco al Re, figuriamoci al Papa. [...] Giovanni Paolo II, infatti, potrebbe essere un avversario ostico anche sulla scacchiera.Wojtyla dispone i pezzi da lunga data, pratica gli arrocchi con disinvoltura fin dai tempi del liceo, sposta pedoni e alfieri secondo le regole del giocatore scaltrito. Lo rivela la rivista L'Italia scacchista, [...] proprio con un articolo sul Papa, pubblicando tre problemi (di cui uno inedito) che Wojtyla avrebbe composto negli anni anteguerra per una rivista polacca. Il futuro Papa, infatti, allora diciottenne, si dilettava (come peraltro molti connazionali) di scacchi ed era diventato persino compilatore della colonna di settore sulla rivista degli universitari cattolici di Cracovia; in quella sede avrebbe pubblicato, come usa nelle rubriche di genere, dei "problemi" scacchisti anonimi, che sono stati conservati negli archivi della Federazione polacca e ora tornano alla luce a lui attribuiti con una sicurezza del 90% in particolare uno, del 1938, appare persino in un manuale inglese del 1984 per principianti. L'autore della "scoperta" è Adolivio Capece, direttore de L'Italia scacchistica, che ha ripreso la notizia da riviste di settore e l'ha rilanciata in Italia. Ma Capece è anche "maestro nazionale" ed ha quindi titolo per commentare il livello tecnico di Giovanni Paolo II: "Non si tratta di problemi trascendentali, le sue sono composizioni semplici e lineari da giocatore medio. Sono temi che si basano su quello definito in gergo "scacco di scoperta", ovvero il pezzo che muove e ne "scopre" un altro che dà scacco: un approccio abbastanza comune, ma sempre simpatico. Soprattutto è importante che non siano presenti le cosiddette "demolizioni", ovvero la possibilità di più soluzioni". [...]UNA PARTITA PAPALE PAPALENon solo: di Giovanni Paolo II, allora neppure prete, si sarebbe conservata un'intera partita, giocata con una signora dell'aristocrazia di Cracovia; ma qui l'attribuzione è molto più incerta. Mentre due altri, problemi del Papa, pubblicati nel 1987 in Inghilterra e spacciati addirittura come composti nei primi anni di pontificato, si sono presto rivelati apocrifi; anzi, in quell'occasione la Segretaria di stato chiese (e ottenne) la pubblicazione di una smentita e le scuse del falsario. I falsi scacchistici non sono del resto materia nuova per i Pontefici. Già di Giovanni Paolo I, conosciuto per discreto giocatore, era stata tramandata una partita giocata da Vescovo di Vittorio Veneto contro il suo medico personale; ma si tratta di un'attribuzione molto dubbia. E anche Leone XIII, appassionato giocatore (da cardinale sfidava spesso un prete di Perugia), è stato vittima di un falso, in quanto gli venne assegnata un match disputato invece da altri. Tra i Papi scacchisti si segnalano poi il cinquecentesco Leone X, che fin da quando era solo Giovanni de' Medici risultava gran giocatore e continuò anche dopo (tanto da meritarsi una citazione in tal senso persino nell'austera Storia dei Papi del von Pastor), e in misura minore Pio V (1566-1572), mecenate di alcuni noti scacchisti dell'epoca.Prima di loro, tuttavia, non è che gli scacchisti godessero di una buona fama in casa cattolica, come documenta l'articolo di Capece. San Pier Daminani, per esempio, nel 1061 scrisse una filippica contro torri e cavalli, "disonesti, assurdi e libidinosi" perché distoglievano i sacerdoti dai doveri pastorali e perché erano troppo simili a un gioco d'azzardo: in quel periodo, infatti, per quanto assurdo possa sembrare la mossa dei pezzi era decisa dal lancio dei dadi, così da vivacizzare le partite e non far vincere sempre i più bravi, e la cosa si prestava alle scommesse. Ancora nel 1128 Bernardo di Chiaravalle interdisse la scacchiera ai Templari e una serie di concili locali del XIII secolo (particolarmente severo il Bitterrense del 1255) ribadirono la proibizione. [...] Pure San Luigi IX di Francia vietò gli scacchi nel 1254, mentre San Bernardino da Siena in una predica del 1425 riuscì a far bruciare in piazza un numero imprecisato di scacchiere. Medesimi roghi innalzò, e per due volte, il Savonarola (che pure sapeva giocare) sul finire del secolo XV. Invece un concilio messicano nel 1585 minacciò di scomunica i chierici che giocavano in pubblico. La "svolta" era però già in atto, soprattutto per opera di quattro grandi santi: Francesco Saverio, che convertì un marinaio battendolo a scacchi durante uno dei suoi viaggi missionari; Teresa d'Avila, che nel cammino di perfezione cita in dettaglio e in più punti gli scacchi (e per questo verrà proclamata nel 1944 "patrona degli scacchisti"); Francesco di Sales, che ufficialmente dichiara lecito il gioco, purché non si ecceda al punto da stancarsi troppo psichicamente; e infine il grande Carlo Borromeo, che - sorpresa! - una volta vinse in una memorabile partita notturna la dote di una monaca. [...]APERTURE DA PRETE: LA SPAGNOLA, LA SICILIANA, LA PONZIANIFu così che primo "campione del mondo" degli scacchi divenne un vescovo, lo spagnolo Ruy Lopez de Segura, il quale nel 1560 - venuto in Italia per un conclave - sfidò e vinse tutti i più forti giocatori nazionali; al ritorno scrisse un manuale in 5 volumi, ideò la "spagnola" (una delle aperture oggi più in voga) ed ebbe da Filippo II un vitalizio come "miglior scacchista del secolo".Un exploit solo parzialmente ripetuto da altri ecclesiastici, come il siciliano Pietro Carrera che nel 1617 compose prima un poemetto latino e poi un trattato sugli scacchi sostenendo la "difesa siciliana", l'apertura tuttora e di gran lunga più giocata. Oppure don Domenico Ponziani, canonico a Modena, autore de Il giuoco incomparabile degli scacchi (1769). O ancora il cappellano inglese Henry Loveday, che a Delhi intorno al 1850 elaborò la composizione scacchistica nota come "problema indiano".Per finire [...] tuttora si contano parecchi preti giocatori: qualcuno nei tornei, qualcuno per posta; il migliore, monsignor Pierluigi Sartorelli, prima categoria nazionale, era addirittura arcivescovo e nunzio apostolico. [...]Nota di BastaBugie: il problema di scacchi attribuito a Carol Wojtyla (vedi immagine: la casella in alto a sinistra è a8) ha la seguente soluzione: 1. c8=C Ra3 2. Cb6 axb6 3. axb6#
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7198SE IL SACERDOTE VUOLE SALVARE LE ANIME, DEVE MIRARE ALLA SANTITA'... LA SUA! di Padre Adolphe TanquereySantificare e salvare le anime, tal è il dovere del proprio stato per un sacerdote. Quando Gesù sceglie gli apostoli, li sceglie per farne pescatori d'uomini; perché producano in sé e negli altri copiosi frutti di salute: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". A questo fine devono predicare il Vangelo, amministrare i sacramenti, dar buon esempio e pregar con fervore.Ora è di fede che ciò che converte e santifica le anime è la grazia di Dio; noi non siamo che strumenti di cui Dio si degna servirsi, ma che non producono frutto se non in proporzione della loro unione con la causa principale, instrumentum Deo conjunctum. Tal è la dottrina di S. Paolo: "Io piantai, Apollo irrigò, ma Dio fece crescere. Quindi né chi pianta è qualchecosa, né chi irriga, ma chi fa crescere, Dio". D'altra parte è certo che questa grazia s'ottiene principalmente con due mezzi, con la preghiera e col merito. Nell'uno e nell'altro caso noi otteniamo tanto maggiori grazie quanto più siamo santi, più ferventi, più uniti a Nostro Signore [...]. Se dunque il dovere del nostro stato è di santificar le anime, vuol dire che dobbiamo prima santificar noi stessi: "Per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati nella verità".Arriviamo del resto alla stessa conclusione, facendo passare i principali mezzi di zelo, cioè la parola, l'azione, l'esempio e la preghiera.La parola non produce salutari effetti se non quando parliamo in nome e nella virtù di Dio. Così fa il sacerdote fervoroso: prima di parlare, prega affinché la grazia avvivi la sua parola; parlando, non mira a piacere ma a istruire, a far del bene, a convincere, a persuadere; e perché il suo cuore è intimamente unito a quello di Gesù, fa vibrar nella voce un'emozione, una forza di persuasione, che scuote gli uditori; e perché, dimenticando sé stesso, attira lo Spirito Santo, le anime restano tocche dalla grazia e convertite o santificate. Un sacerdote mediocre invece non prega che a fior di labbra, e perché cerca sé stesso, per quanto si venga sbracciando, non è spesso che un bronzo sonoro o un cembalo fragoroso.Il buon esempio non può essere dato che da un sacerdote sollecito del suo progresso spirituale. Allora può con tutta fiducia invitare, come S. Paolo, i fedeli a imitar lui come egli si studia d'imitar Cristo: "Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo". Vedendone la pietà, la bontà, la povertà, la mortificazione, i fedeli dicono: è un sacerdote convinto, un Santo; lo rispettano e si sentono tratti ad imitarlo: verba movent, exempla trahunt; la parola muove, l'esempio attrae. Un sacerdote mediocre potrà essere stimato come un brav'uomo; ma si dirà: fa il suo mestiere come noi facciamo il nostro; e il ministero ne sarà poco o punto fruttuoso.Quanto alla preghiera, che è e sarà sempre il più efficace mezzo dello zelo, qual differenza tra il sacerdote santo e il sacerdote ordinario? Il primo prega abitualmente, costantemente, perché le sue azioni, fatte per Dio, sono in sostanza una preghiera; non fa nulla, é dà consiglio, senza riconoscere la propria incapacità e pregar Dio di supplirvi con la sua grazia. Dio copiosamente gliela concede "dà grazia agli umili", e il suo ministero è fruttuoso. Il sacerdote ordinario prega poco e prega male; quindi anche il ministero ne è sterile.Chi dunque vuol efficacemente lavorare alla salute delle anime, deve sforzarsi di quotidianamente progredire: la santità è l'anima dell'apostolato.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7193IL LEGAME INSCINDIBILE TRA CREDERE E PREGARESe si prega bene, si crede bene e se si crede bene, si prega benedi Corrado GnerreC'è un rapporto tra la preghiera e il nostro credere e, viceversa, tra il nostro credere e la preghiera? E inoltre: che rapporto c'è tra la preghiera per eccellenza, la Messa, e il vivere in un determinato modo la propria fede?Per rispondere a questi interrogativi bisogna dire qualcosa in merito al rapporto tra lex orandi (regola della preghiera) e lex credendi (regola del credere). Diciamo subito che nel Cattolicesimo c'è un rapporto strettissimo tra Credo e Preghiera, ma anche tra Preghiera e Credo.Insomma, se si prega bene, si crede bene. Se si crede bene, si prega bene.1) TRA CREDO E PREGHIERALa successione tra Credo e Preghiera è una successione logica. Infatti, c'è un legame propedeutico tra conoscenza e amore. Non si può amare ciò che non si conosce. Bisogna prima conoscere e poi si può amare.Indubbiamente la conoscenza da sola non basta, ma è altrettanto indubbiamente necessaria, pena la riduzione della fede a fatto puramente intimistico ed emozionale. Cosa che accade molto spesso oggi, dove c'è una deriva sentimentalista della fede. Tutto viene ridotto ad "esperienza", senza sapere che è sempre la verità a garantire la correttezza di un esperienza, non il contrario: l'esperienza a garantire la verità.Succede che molti non sanno perché sono cristiani e si limitano a dire: sono cristiano perché sono felice di esserlo. Ma anche il musulmano potrebbe dire la stessa cosa: sono musulmano perché sono felice di esserlo. E come risolviamo il problema? Felicità per felicità chi ha ragione? Ecco dunque che è importante la Verità che giudica e deve giudicare tutto.2) TRA PREGHIERA E CREDOMa non c'è solo la successione logica Credo-Preghiera, vi è anche quella ontologica Preghiera-Credo.Infatti, c'è un primato ontologico, nella sostanza, cioè nel valore, dell'amore sulla conoscenza. D'altronde Gesù dice nel Vangelo che noi saremo giudicati sull'amore.Il demonio conosce benissimo la teologia, ma non si è salvato. La conosce molto meglio di tanti qui sono su questa terra, ma a nulla gli è valso, anzi... non gli è valso nulla proprio perché non ha amato.L'amore è la conformazione alla volontà di Dio. Nel Pater non diciamo sia pensato il tuo pensiero, ma sia fatta la tua volontà.CONCLUSIONEQuesto rapporto Credo-Preghiera e Preghiera-Credo è presente solo nel Cristianesimo. In un certo qual modo possiamo dire che costituisce una peculiarità cristiana. E ciò per due motivi.Prima di tutto perché solo il Cristianesimo ha un Dio che è Verità e Amore, cioè un Dio che è Padre.Secondo, perché solo il Cristianesimo si basa sul concetto di "vita interiore". In merito a questo ci sarebbe tanto da dire. [...]Ci basti solo dire che il Cristianesimo è fondamentale la Teologia della Grazia. Senza la Grazia, nessun atto è meritevole della vita eterna, come ben afferma l'immagine giovannea della vite e dei tralci. Possiamo fare anche le cose più grandi, ma senza la Grazia a nulla ci varranno: "Io sono la vite e voi i tralci, se i tralci non sono innestati nella vite, si seccano e devono essere buttati nel fuoco." (Giovanni 15). In queste parole non compare la parola "linfa", ma è proprio essa ad essere la protagonista. È la linfa ciò che i tralci attingono dalla vite per portare frutto, altrimenti si seccano e servono solo per alimentare il fuoco.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7165IL VESCOVO DI TERNI INAUGURA LA SEDE DELLA MASSONERIA di Roberto De MatteiIl 27 settembre la Casa Massonica del Grande Oriente d'Italia, in via Roma a Terni, ha aperto le proprie porte al pubblico, in occasione dell'inaugurazione della nuova sede. Un evento, comunica il Grande Oriente, al quale hanno partecipato istituzioni e autorità oltre ai "liberi muratori" delle logge cittadine. Il Gran Maestro della Massoneria Stefano Bisi, è stato accolto da Luca Nicola Castiglione, presidente del Collegio dei Maestri Venerabili dell'Umbria, da Gabriele Cardona, presidente del Consiglio dei Maestri Venerabili di Terni e da numerosi affiliati. Dopo la cerimonia ha avuto luogo la visita alla Casa Massonica che conta al proprio interno due templi. Alla visita quale hanno preso parte il sindaco Leonardo Latini, il prefetto Giovanni Bruno, e il vescovo Terni-Narni-Amelia Francesco Antonio Soddu, che "nei loro messaggi di saluto hanno ringraziato per l'invito ed espresso l'auspicio che iniziative come questa possano alimentare il dialogo e il confronto tra realtá diverse sconfiggendo i pregiudizi".Uno dei primi atti di mons. Francesco Antonio Soddu, vescovo di Terni dal 29 ottobre 2021, è stato dunque quello della visita a una sede della Massoneria, un'associazione segreta, condannata da innumerevoli documenti della Chiesa, che propone una visione del mondo direttamente antitetica a quella cattolica.La condanna della Massoneria non è mai stata abolita. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, in un suo documento del 26 novembre 1983, stabilisce che "rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono sempre stati considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione".E questo vale per ogni tipo di Massoneria, latina o anglosassone. Non ci sono due o più massonerie, alcune buone, altre cattive. La Massoneria, fin dal suo documento fondativo, le "Costituzioni di Anderson" del 1717, presenta un'ideologia, che mette da parte ogni verità religiosa e morale, riducendo le religioni tradizionali a opinioni soggettive. Il relativismo costituisce in questo senso l'anima della Massoneria, anche se non ne racchiude tutta l'essenza. La Massoneria, infatti, presume di essere una "religione universale", depositaria di un segreto di cui il massone prende gradualmente coscienza attraverso i riti, i simboli, i testi che assimila, ma anche attraverso l'atmosfera coinvolgente che respira nelle logge in cui è inserito. Il tempio della Massoneria di Terni, appena inaugurato, sarà un luogo in cui l'incauto aspirante massone abbandonerà la Chiesa cattolica per essere immesso in una setta anticristiana in cui perderà la sua anima e smarrirà la strada al destino di eterna felicità a cui la fedeltà al Vangelo lo chiama.Il vescovo di Terni è un successore degli Apostoli. C'è un aureo libretto di sant'Alfonso Maria de' Liguori, dal titolo Riflessioni utili ai vescovi per la pratica di ben governare le loro chiese, ripubblicato qualche anno fa proprio in Umbria (a cura di Mario Colavita, Edizioni Tau, Todi 2015), di cui consigliamo la lettura a mons. Soddu e a tutti i vescovi italiani.Il compito dei Pastori è quello di salvare le anime del loro gregge, non di portarle all'apostasia e alla perdizione. Perciò, spiega sant'Alfonso, se il vescovo è negligente circa la salute delle sue pecorelle, "sarà reprobo nel tribunale di Gesù Cristo". Questa è purtroppo la strada su cui si è messo mons. Francesco Antonio Soddu, vescovo di Terni-Narni-Amelia, partecipando all'inaugurazione del Grande Oriente di Terni, fianco a fianco con il Gran Maestro della Massoneria italiana.Che cosa si può fare di fronte a un evento così grave, se non denunciarlo apertamente e pregare per un intervento della Divina Provvidenza che ponga fine a questi scandali che si moltiplicano in Italia e nel mondo?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7156NUOVA MODA: IL COMPOSTAGGIO DEI DEFUNTI di Mauro FaverzaniLa nuova frontiera dell'orrore si chiama «compostaggio umano» ed è già realtà in diverse regioni degli Stati Uniti: si tratta di un nuovo metodo di smaltimento dei corpi dei defunti, metodo che consiste appunto nel compostaggio dei loro resti e nell'utilizzo del ricavato per fertilizzare gli alberi. Aberrante.Ciò accade già negli Stati di Washington per primo, poi New York, in Oregon ed in Colorado: dal 2027 accadrà anche in California, dove lo scorso 18 settembre il governatore, Gavin Newsom, democratico, ha firmato la legge Assembly Bill 351, che autorizza tale pratica, caldeggiata dal deputato Cristina Garcia, pure democratica, convinta che tale metodo sia più economico e più ecologico della sepoltura tradizionale. Ma la modalità è lontana anni luce dal concetto di corpo come «tempio dello Spirito», contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 364, concetto che implica la pia usanza di seppellire i defunti con riverenza e grande dignità, non certo di trattarli come humus.Come si svolge la pratica del «compostaggio umano»? Il cadavere viene posto in un contenitore d'acciaio riutilizzabile e coperto di trucioli di legno, erba medica ed altri materiali biodegradabili, assieme a microbi e batteri, per consentirne la decomposizione entro un mese, un mese e mezzo, fino a trasformarsi in una sorta di terreno ricco di sostanze nutritive.COSA DICE LA CHIESAPrevedibilmente i vescovi statunitensi si sono già opposti con vigore alla nuova normativa. La resurrezione di Cristo ha indicato con chiarezza il futuro eterno tanto per il nostro corpo quanto per la nostra anima, come si legge nel Catechismo: «Con la morte, separazione dell'anima e del corpo, il corpo dell'uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella Sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi, riunendoli alle nostre anime, in forza della risurrezione di Gesù» (n. 997). Il «compostaggio umano» ne rappresenta l'antitesi. Secondo Environmental Advocates of New York si tratterebbe di un'alternativa ecologica, in linea coi programmi di riduzione delle emissioni di carbonio e di contrasto al cambiamento climatico. In realtà, si pone in contrasto con la fede della Chiesa, poiché ricade nel divieto previsto dall'Istruzione Ad resurgendum cum Christo, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nell'agosto 2016, la stessa che proibisce di disperdere le ceneri dei defunti o di tenerle in casa. In essa si legge: «La Chiesa raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro», ritenendo essere l'inumazione «la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale». Spiega: «Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne e intende mettere in rilievo l'alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia. Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti, che coinvolgano concezioni errate della morte, ritenuta sia come l'annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l'universo», esattamente ciò invece in cui cade in pieno il concetto e la pratica del «compostaggio umano».LA PRATICA DELLA SEPOLTURA È DA PREFERIREAggiunge ancora la Congregazione per la Dottrina della Fede: «La sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, "come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone"». La pratica della sepoltura, inoltre, «favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi», custodendo così «la comunione tra i vivi e i defunti», evitando di «privatizzare l'evento della morte ed il significato che esso ha per i cristiani».Anche il fatto che negli Stati Uniti il "compost umano" ottenuto venga restituito alla famiglia, affinché scelga se spargerlo nel proprio giardino o donarlo ad una struttura di conservazione, non va bene. Si specifica opportunamente nell'Istruzione Ad resurgendum cum Christo: «La conservazione delle ceneri nell'abitazione domestica non è consentita», né è possibile la loro spartizione «tra i vari nuclei familiari». Non solo: «Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell'aria, in terra o in acqua o in altro modo». In una parola, la pratica del «compostaggio umano» è assolutamente e totalmente anticristiana, oltre che disumana. E non a caso è stata subito fatta propria, accolta e normata da Stati a guida democratica, quali Washington, New York, Oregon, Colorado e California. A riprova, caso mai ve ne fosse bisogno, di quanto immanente, materialista e positivista, quindi errata, sia una concezione progressista della persona e del mondo.