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La pandemia ha accelerato l'adozione dell'AI da parte di tutte le industrie, anche quella sanitaria. Ma l'intelligenza artificiale è davvero efficace nel contrastare il Covid 19 e aiutare i pazienti? Vediamo quali sono i dubbi ma anche casi di successo delle nuove tecnologie sviluppate nel corso della pandemia.Come l'intelligenza artificiale ha aiutato nella lotta al Covid 19Nonostante non abbia da subito ottenuto i risultati sperati, l'Intelligenza Artificiale ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta al Covid 19.Secondo Giovanni Vizzini, chief operating officer e direttore medico-scientifico della divisione italiana di Upmc, senza l'utilizzo dell'intelligenza artificiale e dei Big Data non sarebbe stato possibile riuscire a sviluppare un vaccino già adesso.Ma ci sono altre situazioni in cui l'utilizzo dell'intelligenza artificiale è stato utile nella lotta alla pandemia.Il caso BlueDotA fine 2019 la società BlueDot dell'infettivologo canadese Kamran Khan annunciava di aver identificato un nuovo tipo di polmonite a Whuan. Ha predetto inoltre che, in base ai dati raccolti sui viaggi programmati da e per la città, il virus si sarebbe diffuso velocemente in altre parti del mondo.Le tecnologie di BlueDot sono state successivamente utilizzate dal Canada per monitorare l'effettivo rispetto del distanziamento sociale da parte dei cittadini, attraverso la localizzazione in forma anonima dei telefoni cellulari.L'algoritmo DeepCOVID-XRQuesto algoritmo è riuscito a individuare la presenza del Covid in 300 radiografie, scansionandole in 18 minuti e con un'accuratezza dell'82%. Al suo confronto cinque radiologi specializzati hanno impiegato dalle due alle tre ore, con un'accuratezza che va dal 76 all'81%.Lo studio Curial AICurial AI è uno dei più grandi studi mai svolti fino a oggi e utilizza i dati clinici dei pazienti ricoverati in ospedale per diagnosticare i sintomi del Covid in tempi minori rispetto agli screening classici.I dubbi sull'efficacia dell'intelligenza artificiale contro il Covid 19Questi sono ovviamente casi di successo, però è doveroso fare alcune riflessioni riguardo l'utilizzo dell'intelligenza artificiale nella lotta al Covid 19. Entriamo nel merito della veridicità dei dati, della loro effettiva utilità e della tutela della privacy dei cittadini.Veridicità dei datiPer restituire risultati validi gli algoritmi hanno bisogno di elaborare grandi moli di dati, qualitativamente e quantitativamente utili.Per questo, dato che non conosciamo ancora a sufficienza il Covid, il timore è che i risultati ottenuti grazie all'AI possano essere falsati e non veritieri. Questo porterebbe ovviamente più danni che benefici.Lo studio Curial AI ad esempio non è stato ancora sperimentato in larga scala, ma solo su pazienti britannici.Sicurezza e tutela della privacyIl problema della tutela della privacy dei cittadini non è ancora stato risolto. I Paesi dove l'intelligenza artificiale ha avuto un ruolo centrale nella lotta alla diffusione del virus infatti sono gli stessi in cui i cittadini sono stati sottoposti a misure di sicurezza fortemente restrittive, come geolocalizzazione e controlli a domicilio.Intelligenza artificiale e Covid 19: un successo o un fallimento?Al momento non ci sono ancora dati certi per capire se l'Intelligenza artificiale è utile nella lotta al Covid.Quello che è certo è che questa tecnologia non potrà arrivare a sostituire figure centrali come gli operatori sanitari, ma potrà sicuramente velocizzare i tempi delle procedure in ambito medico e migliorarne i processi.È inoltre fondamentale che i modelli di AI messi in campo in ambito sanitario siano sviluppati insieme agli operatori sanitari. Questo per garantire una reale utilità ma soprattutto efficacia delle tecnologie che abbiamo a disposizione, che altrimenti si rivelerebbero uno spreco di risorse che in piena pandemia sono vitali per la lotta al Coronavirus.
I Fast Data rappresentano un'evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi. Scopri perché le aziende hanno deciso di dirottare la loro attenzione sui fast data per incrementare il proprio business. Quante volte avrai sentito parlare dei big data, ma quello che forse non sai è che la vera rivoluzione non è più big ma fast. Oggi vogliamo parlarti dei fast data che rappresentano l'evoluzione dei big data fino ad ora conosciuti ed utilizzati nei vari processi produttivi delle aziende e non solo. Le necessità delle aziende, infatti, cambiano continuamente e rapidamente. Se pensiamo ai dati, poi, questa affermazione è ancora più evidente: nuovi strumenti e nuove metodologie di raccolta, analisi e utilizzo dei dati si susseguono a un ritmo impressionante. Ma andiamo con ordine e partiamo dal capire bene di cosa stiamo parlando. Cosa sono i big e i fast data? Il termine Big Data è entrato nel linguaggio comune verso la fine dello scorso decennio, quando le aziende hanno iniziato a investire nella raccolta ed elaborazione di grandi moli di dati per generare insight di valore per il proprio business. L'utilizzo di questi dati si è molto diffuso nelle grandi aziende, soprattutto negli ultimi anni, specialmente allo scopo di realizzare analisi predittive. I Fast Data, invece, sono dati raccolti e trasmessi in tempo reale tramite tecnologie IoT e successivamente analizzati in tempi brevissimi per prendere rapide decisioni di business o per attivare operazioni di vario tipo. I fast data non sostituiscono i big data, ma li affiancano, in quanto ad oggi la velocità di analisi dei dati è molto più importante. Perché si passa dai big data ai fast data? Uno dei limiti dei big data che hanno riscontrato le aziende nello sviluppare il proprio business è la lentezza e a tratti l'incapacità tecnologica di elaborare in tempi utili questa grande mole di dati. Nonostante gli sforzi, infatti, la maggior parte di queste informazioni, costituita da dati non strutturati, spesso rimane ancora inutilizzata per l'incapacità di elaborare, organizzare e analizzare i dati in tale stato. La conseguenza? A questo punto i tanti dati raccolti rischiano di diventare un costo più che un valore. Una mole infinita di dati molto costosi da conservare e difficile da analizzare e quindi utilizzare per gli scopi definiti inizialmente. È proprio in questo momento e per questo motivo che entrano in gioco i fast data. Le aziende a questo punto hanno iniziato a concentrarsi non tanto sulla quantità di dati, quanto sulla loro qualità e velocità. In conclusione possiamo affermare con sicurezza che i fast data non andranno a sostituire i “colleghi” big data, perché ne sono semplicemente una fisiologica quanto importante evoluzione. I Fast Data, infatti, rappresentano un'evoluzione dei Big Data, nella ricerca di una maggiore velocità di elaborazione e di analisi. Permettono, infatti, alle aziende di raccogliere subset di dati da diverse sorgenti e di elaborarli contestualmente, ottenendo così informazioni aggregate e sempre disponibili in tempo reale.
L'istruzione sta attraversando un periodo di massiccia transizione e la pandemia ha riacceso i riflettori sull'e-learning e sull'importanza strategica della Smart Education, ovvero l'istruzione digitale remota tra insegnanti, genitori e studenti. Scopriamo perché l'Open Source si rivela una risorsa indispensabile e inevitabile. In un mondo in continua evoluzione anche la formazione scolastica deve viaggiare di pari passo con le innovazioni e i trend più recenti. E in un mondo in cui siamo bombardati da stimoli di ogni tipo e in cui mantenere alta l'attenzione è sempre più difficile, è ormai impensabile fermarci e limitarci ai tradizionali metodi di insegnamento basati su lezioni frontali. La didattica della scuola italiana, infatti, si basa ancora sulla convinzione che il metodo più efficace perché bambini e ragazzi apprendano un argomento consiste nel leggere loro un testo, a cui segue la spiegazione dell'insegnante. La lezione frontale, però, non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l'alunno. Le restrizioni a cui siamo sottoposti in questo particolare momento storico, hanno reso necessario confrontarsi con il mondo dell'e-learning e della Smart Education basata sui principi di condivisione, trasparenza e collaborazione dell'Open Source, per rispondere alle esigenze di continuità didattica, di scuole e università. Non poteva essere altrimenti. L'interesse per il software Open Source nella scuola italiana è, infatti e per fortuna, un fenomeno in continua crescita. L'utilizzo effettivo non si limita più a casi esemplari, concentrati per lo più in istituti tecnici o professionali dove l'informatica è materia di insegnamento, ma si sta diffondendo a più livelli d'istruzione. Ovviamente esistono diversi strumenti Open Source disponibili per insegnanti, studenti e genitori anche fuori dal mondo scolastico; libri e giochi in grado di ispirare e motivare adulti e bambini a scoprire il mondo dell'Open Source, ma le potenzialità per la didattica sono davvero infinite. Perché l'Open Source è inevitabile Negli ultimi anni sempre più imprenditori e venture capitalist hanno mostrato interesse per il mercato dell'apprendimento digitale perché ne hanno percepito il valore potenziale, e a quanto pare molti segmenti di mercato raggruppati sotto l'ombrello della “tecnologia educativa” iniziano a consolidarsi. Abbiamo appena iniziato a vedere gli esordi di questa trasformazione ma è ormai ufficialmente avviata, complice l'accelerazione data dalle esigenze del momento ed è impossibile far finta di nulla e soprattutto tornare indietro. Perché l'open source è importante per l'istruzione Che tu ci creda o meno la tecnologia Open Source vincerà nell'ecosistema dell'apprendimento digitale. La Smart Education, infatti è un modello di didattica più vicino alle caratteristiche delle nuove generazioni native digitali. In un mondo stravolto dalle tecnologie, i metodi di apprendimento, la scuola e le università non potevano restarne al di fuori. Solo sviluppando percorsi didattici innovativi, si possono formare studenti in grado di adattarsi a un mondo e un mercato del lavoro in continua evoluzione. Il modello di Smart Education basandosi sull'apertura al mondo del lavoro e delle imprese, sul forte orientamento all'uso dei social media e delle nuove tecnologie e sull'uso dei nuovi media all'interno della didattica è quello che più di tutti si presta ad essere introdotto e utilizzato nella didattica ai più vari livelli.
Il mondo è fatto di dati. Dati strutturati, facilmente leggibili ed elaborabili, anche dati semi e non strutturati, difficilmente interpretabili e che necessitano di algoritmi di machine learning per essere analizzati. Ecco perché il Cloud Computing è una risorsa sempre più preziosa per le aziende Big Data è il termine comunemente utilizzato per indicare un'ingente mole di materiale informativo. Materiale che racchiude al suo interno milioni di dati e che, oggi, rappresenta un patrimonio prezioso per le aziende di ogni ambito. I dati, infatti, possono fornire suggerimenti preziosi al business aziendale, sia singolarmente sia una volta aggregati e trasformati cioè in trend in grado di guidare le decisioni strategiche. In sintesi, i Big Data sono uno tra i più grandi vantaggi competitivi in possesso di un'impresa, cui spetta il compito di procurarsi gli strumenti necessari alla loro analisi. Tra questi, troviamo anche la tecnologia del Cloud Computing. Perché le aziende scelgono il Cloud Computing I primi a riconoscere l'importanza dei Big Data sono stati gli operatori del marketing, che hanno riconosciuto nei dati una preziosa fonte di informazione per conoscere gli aspetti sociodemografici e comportamentali dei propri clienti, intercettandone i bisogni e offrendo così un'offerta mirata e personalizzata. Col tempo, però, anche altri ambiti hanno riconosciuto il valore dei data: dall'amministrazione alla produzione, fino alla digital governance, l'intera azienda è oggi interessata all'utilizzo dei Big Data. Per proteggere i preziosi dati da abusi e furti, come ad esempio i data breach, esistono piattaforme cloud che forniscono analisi dati e servizi strutturati per le diverse funzioni aziendali, dal marketing all'amministrazione. I vantaggi offerti dal cloud sono la possibilità di proteggere i data, mantenendo la loro accessibilità da remoto senza tuttavia venir meno alle vigenti normative in materia di privacy. Big Data e Cloud Computing nelle aziende italiane Anche le aziende italiane, nel loro percorso di digital transformation, hanno iniziato a porre sempre maggiore attenzione al Cloud Computing e ai Big Data, optando spesso per l'utilizzo di stack tecnologici in grado di trattare i dati attraverso l'implementazione di sistemi in cloud. Una scelta le cui conseguenze sono esclusivamente positive. L'uso dei Big Data, infatti, rappresenta un grande vantaggio competitivo in termini di scelte strategiche, mentre il cloud consente di aumentare la cybersecurity efficientando allo stesso tempo le prestazioni di velocità e accessibilità del database aziendale. Senza considerare, infine, l'ottimizzazione economica degli investimenti garantita dalla forte scalabilità del Cloud Computing, anche su moli di dati progressive.
L'analisi dei competitor, da effettuare attraverso la Competitive Intelligence, è un'attività articolata da eseguire fissando con attenzione e logica alcune linee guida da seguire per poterla svolgere nel modo corretto. Solo un'attenta analisi dei concorrenti permette sia di emularne i punti di forza, sia di andare a soddisfare le esigenze del mercato che ancora nessuno si è preoccupato di colmare Il primo settore in assoluto a comprendere l'importanza di possedere informazioni attendibili e di qualità è stato quello dell'intelligence, che svolge un ruolo fondamentale grazie al ricorso a professionalità provenienti da ambienti diversi che agiscono nel rispetto di peculiari procedure volte a salvaguardare la riservatezza degli operatori e delle loro attività. Si parla di Business Intelligence (BI) in riferimento a un insieme di processi aziendali per raccogliere dati e analizzare informazioni strategiche, oppure alla tecnologia utilizzata per realizzare questi processi o ancora alle informazioni ottenute come risultato di tali processi. La Business Intelligence combina business analytics, data mining, visualizzazione dei dati, strumenti e infrastrutture per i dati, nonché le best practice per permettere alle organizzazioni di prendere più decisioni basate sui dati. In principio era la Business Intelligence In economia aziendale, il termine “intelligenza economica” indica l'insieme di attività sistematiche di back office finalizzate a fornire al management aziendale informazioni utili o strategiche (azioni di ricerca, trattamento, diffusione e protezione dell'informazione) sull'ambiente esterno all'impresa (mercato, clienti, concorrenti, tendenze, innovazioni, norme, leggi) a supporto dei processi decisionali della dirigenza. Usare la Business Intelligence significa acquisire la visione completa dei dati della propria organizzazione e usarli per stimolare il cambiamento, eliminare le inefficienze e attuare un rapido adattamento ai cambiamenti di mercato e forniture. Il principio fondamentale della disciplina, la cui missione è “sapere per anticipare”, è stato enunciato da Michael E. Porter della Harvard Business School: “dare l'informazione giusta alla persona giusta, nel momento giusto per prendere la giusta decisione”. Nata contemporaneamente alla globalizzazione dei mercati e alla necessità di adottare un processo di anticipazione dei cambiamenti dei mercati e dell'ambiente economico, la Business Intelligence supporta il processo strategico usando lo strumento dell'informazione per ottimizzare le performance economica e/o tecnologica. L'importanza di studiare i competitor Nel 2020 sono molto aumentate le richieste di servizi di Competitive Intelligence quali: attività di raccolta, monitoraggio e analisi di informazioni esterne a un'azienda. Si tratta di peculiari attività – o, per meglio dire, investigazioni – finalizzate a supportare i processi decisionali aziendali e generalmente con software di Business Intelligence. Le imprese italiane investono sempre di più nello studio dei concorrenti, ricercando anche informazioni sulla clientela, sulle nuove tecnologie e sulle normative del settore. Gli esperti di Central Marketing Intelligence, agenzia che si occupa da anni di Competitive Intelligence e ricerche di mercato tramite Big Data online, assicurano che da un'analisi della concorrenza professionale un'azienda può ricavare grandi vantaggi per il proprio business. Studiare la concorrenza con un'indagine di mercato L'analisi dei competitor, o benchmarking, si rende necessaria per le aziende interessate a posizionarsi strategicamente nel settore di appartenenza. Analizzare i competitor significa studiare la concorrenza per capire quali possono essere i punti di forza e di debolezza del proprio prodotto sul mercato. La Competitive Intelligence può rispondere a domande essenziali: Quali servizi offrono i competitor? Qual è il loro target ideale? Come comunicano e attraverso quali ...
Con l'affermazione della fabbrica intelligente si fa sempre più importante comprendere la posizione del futuro Smart Worker. Quali saranno le conseguenze di questa rivoluzione? Del rapporto tra uomo e macchina la letteratura ne ha fatto un caposaldo della prima metà del ‘900, quando intellettuali e autori diedero spinta al genere “industriale”. Colpa della rivoluzione industriale del secolo precedente, che segnò il prepotente ingresso nella vita operaia della macchina, mostruoso e remunerativo prodotto della scienza e della tecnica. Alienazione e sostituzione i temi principali, preoccupazione per la propria dimensione lavorativa la conseguenza più esplicita. Ebbene oggi, quasi cento anni dopo, l'argomento torna alla ribalta con la veloce affermazione della Smart Factory. Come saranno quindi i nuovi Smart Workers? E, soprattutto, esisteranno? Cos'è la Smart Factory? Descrivere in poche righe la Smart Factory è opera complicata, forse perché una definizione esaustiva e circoscritta oggi ancora non esiste. Ciò che è sicuro è la sua centralità nel futuro dell'impresa. Basata sul concetto di integrazione digitale la fabbrica intelligente prevede la coabitazione e collaborazione di elementi tecnologici, come robot e cobot, con le risorse umane. Si tratta quindi dell'ennesimo upgrade nel rapporto tra uomo e macchina, dove la macchina non si limita più ad essere un ripetitivo esecutore di mansioni, ma dà vita a un'interazione cooperativa con l'uomo, virando verso una sempre più evidente antropizzazione. Rapporto tra uomo e robot: niente allarmismi Si palesa quindi necessario ricominciare ad indagare in profondità il rapporto tra uomo e macchina, o meglio tra uomo e robot. Come sarà il rapporto tra le due forze in campo? La crescente antropizzazione dei robot accompagnerà ad una lenta scomparsa dell'uomo sul campo di lavoro? Le paure dei lavoratori delle Smart Factory sono senz'altro plausibili, anche alla luce di importanti studi di settore, come quello di McKinsey che prevede la sostituzione con robot di circa 800 mila posti di lavoro entro il 2030. Scenario agghiacciante? Non è proprio così. La grande novità apportata dalla Smart Factory è quella di generare macchine automatizzate, sempre più in grado di eseguire lavori di alta precisione. Merito dell'Intelligenza Artificiale e di altri prodigi della tecnologia. La naturale conseguenza è l'eliminazione di quei lavori che per l'uomo appaiono usuranti e ripetitivi. Ma la risorsa umana non deve abbandonare il posto di lavoro, bensì riconvertire il proprio operato verso attività collaterali, più gratificanti e meno faticose. È questo il centro nevralgico dell'idea della Smart Factory: robot sempre più umanizzati che collaborano a stretto contatto con l'uomo, eseguendo ordini con precisione impeccabile e offrendo all'uomo una nuova dimensione lavorativa. Veloci verso l'Umanesimo Tecnologico Questa rinnovata collaborazione tra uomo e macchina favorisce l'ottimizzazione della produzione industriale e velocizza i processi, anche in funzione di una sempre maggiore customizzazione del prodotto. Alla base di tale rivoluzione c'è la capacità dei robot di muoversi in ambienti umani e pensare come un umano, cooperando alla pari con il lavoratore. È così ormai tracciata la strada verso un vero e proprio Umanesimo Tecnologico, con tutte le valutazioni etiche e sociologiche che ne conseguiranno. Una nuova professionalizzazione Nell'epoca delle Smart Factory lo Smart Worker non dovrà quindi abbandonare il campo di battaglia, ma diventerà un ausiliario del lavoro dei robot. L'uomo sarà la mente e il robot il braccio, nessuno è destinato ad escludere l'altro. Ciò significa che la risorsa umana dovrà però apprendere nuove nozioni, ampliare le proprie conoscenze e aumentare la propria professionalizzazione. Questa è la vera sfida che attende il lavoratore delle Smart Factory.
In ambito Industria 4.0 l'adozione di soluzioni IoT permette di ottimizzare le attività legate al controllo qualità. Workflow, data management, software in grado di monitorare in tempo reale tutti i flussi produttivi. Vediamo nel dettaglio cosa si intende per controllo qualità e in che modo esso viene affrontato grazie al paradigma IoT “Parte della gestione della qualità mirata a soddisfare i requisiti della qualità”. Così viene ufficialmente definito dalla ISO 9000:2000 quello che nel gergo comune chiamiamo sbrigativamente ‘controllo qualità'. Stiamo quindi parlando di un'attività gestionale di verifica della conformità del processo e del prodotto/servizio ai determinati requisiti che ne costituiscono lo standard qualitativo. Quest'ultimo è l'insieme delle proprietà e delle caratteristiche fondamentali che riguardano sia il processo che il prodotto/servizio e che li rendono rispondenti alle aspettative dell'utilizzatore. Va da sé che un controllo qualità rigoroso ed efficiente è direttamente proporzionale alla soddisfazione dell'utente. Più nello specifico, un sistema di controllo qualità comprende: la raccolta dati in tempo reale, la verifica statistica di processo, la gestione degli strumenti di misura, i controlli in accettazione da fornitori e la gestione dei lotti di materiale, i controlli post-lavorazioni, il collaudo finale e la gestione delle partite di collaudo. A ciò si aggiunga poi la valutazione dei fornitori, la rilevazione dei parametri di qualità con collegamenti diretti alle macchine per la programmazione dei controlli in funzione dei pezzi prodotti, la gestione della tracciabilità. Vecchie esigenze, nuove soluzioni Nell'ottica industriale tradizionale gli aspetti sottoposti a controllo qualità sono solitamente suddivisi in tre livelli, a seconda del danno causato al processo/prodotto in caso di non conformità: Aspetti ‘critici' nel caso la funzionalità venga compromessa in modo pesante; ‘importanti' qualora venga intaccata la funzionalità ottimale; ‘secondari' se tali aspetti non pregiudicano in alcun modo la funzionalità. Nella più moderna e tecnologia visione industriale della Smart Factory i livelli di rischio...rimangono gli stessi! A cambiare è l'adozione di soluzioni IIOT capaci di ottimizzare le operazioni del controllo qualità grazie a un monitoraggio in tempo reale dei flussi produttivi: specifici software elaborano i dati forniti dai sensori posti nei punti strategici della linea di produzione, rilevando eventuali non conformità. Il controllo qualità secondo l'Industria 4.0 Un esempio pratico di automatizzazione nel controllo qualità in fase di collaudo è l'uso di software vocali durante le operazioni di verifica. Il controllo qualità ‘alla vecchia maniera' viene effettuato dall'operatore manualmente, trascrivendo le annotazioni su moduli cartacei. Grazie al software vocale, invece, i setting del macchinario possono essere confermati oppure modificati a voce. Come? Attraverso postazioni dotate di computer e cuffie cordless con cui comunicare in tempo reale e visualizzare i risultati delle modifiche effettuate. Ancora, è possibile impiegare sistemi di ‘computer vision', ovvero soluzioni di estrapolazione automatica di informazioni dall'elaborazione di immagini digitali con l'utilizzo di sensori di prossimità per controlli e monitoraggi in condizioni gravose. Insomma, l'adozione di soluzioni IIOT permette di ridurre i costi legati alle produzioni di articoli che risultano non conformi, agli sprechi e alle rilavorazioni. Il tutto apportando evidenti benefici in quanto ad aumento dei volumi prodotti e migliorata tracciabilità e sostenibilità. Una figura chiave: il Quality Control Manager Un addetto al controllo qualità, o Quality Control Manager, lavora per assicurare la conformità allo standard qualitativo del processo/servizio. Ha prima di tutto l'onere di capire quali sono i bisogni dell'utilizzatore, per poi impegnarsi per far sì ...
Un recente sondaggio di Red Hat evidenzia la crescita dell'uso di soluzioni “a codice aperto” nelle aziende, specie in ambito sicurezza e gestione del cloud. Tra le motivazioni, il risparmio non è la più determinante. Quindi, un grande passo avanti per soluzioni sempre più avanzate per una innovazione alla portata di tutti. L'open source attira sempre più aziende, perché conviene ma anche e soprattutto per tante altre buone ragioni. Il fattore costo non è risultato la motivazione principale per le aziende che scelgono di adottare soluzioni basate su software “aperto”, pur restando indubbiamente un solido incentivo. Un sondaggio sponsorizzato da Red Hat e condotto da Illuminis su 905 professionisti (di aziende suddivise tra Stati Uniti, America Latina, Regno Unito e regione Asia Pacifico) ha evidenziato che per il 33% di essi la principale ragione per cui l'open source è stato scelto è per la maggiore qualità del software. Tra le motivazioni citate seguono i minori costi totali di proprietà (30%), la superiore sicurezza garantita da questi programmi (29%), la predisposizione a funzionare pure nel cloud (28%) e il più rapido accesso alle più recenti innovazioni tecnologiche (27%). Perché scegliere un software Open Source I buoni motivi per scegliere l'open source sono, dunque, diversi e vanno ben al di là della possibilità di risparmio, che invece risultava molto più rilevante nello stesso sondaggio realizzato l'anno scorso. La percezione del fenomeno da parte delle aziende, dunque, sta cambiando. A tal proposito, va ricordato che i 950 intervistati sono stati scelti tra coloro che in azienda impiegano Linux anche solo in piccola misura (1% del software totale), tutti però ignari di chi fosse lo sponsor dell'indagine. “In questo modo abbiamo raccolto una visione più onesta e ampia del vero stato dell'open source aziendale”, sottolineano a Red Hat. Un altro punto di interesse aziendale riguarda il fatto che l'open source abbia ormai conquistato anche aree un tempo tipicamente associate ad applicazioni proprietarie: gli ambiti in cui è più usato sono, attualmente, la sicurezza informatica (per il 52% delle aziende interpellate), gli strumenti di gestione del cloud (51%) e i database (49%). Più in generale, il fenomeno è in ascesa. Nel sondaggio realizzato l'anno scorso una quota già molto alta di intervistati, 89%, aveva dichiarato che l'open source fosse rilevante per la strategia software della propria azienda, mentre quest'anno la percentuale è salita addirittura al 95 per cento. In questo ambito il sondaggio ha fatto una distinzione: le soluzioni di enterprise open source prevalgono su quelle community-based, cioè create da community di sviluppatori e contributori ma non appartenenti da alcun vendor. Entrambi gli approcci, in ogni caso, sembrano in crescita nei prossimi due anni e lo faranno a discapito del software proprietario. L'83% degli intervistati ha dichiarato che l'enterprise open source sia stato determinante per consentire all'azienda di sfruttare le architetture del cloud. L'affinità tra open source e mondo aziendale è sempre più forte e duraturo, non soltanto attraverso sondaggi come questo, ma anche attraverso le scelte strategiche dei vendor. Ha fatto scalpore, l'anno scorso, la maxi acquisizione di Red Hat da parte di Ibm, mentre nel giugno del 2018 la piattaforma GitHub è stata inglobata da Microsoft. Non a caso, allo stesso tempo, alcuni colossi del software proprietario, come Google e Adobe, sono ad oggi tra i principali contributori di progetti basati su codice aperto. Secondo i calcoli del sito Statista, il giro d'affari mondiale dei servizi open source aveva raggiunto nel 2019 i 17,4 miliardi di dollari, valore che dovrebbe continuare a salire fino a 21,6 miliardi di dollari quest'anno, per arrivare a sfiorare la quota di 33 miliardi di dollari nel 2022.
L'iper-connessione alla base del paradigma IoT è una visione sicuramente ambiziosa del futuro. Se da un lato l'aspirazione di connettere qualsiasi oggetto in qualsiasi luogo e in ogni momento rappresenta un'idea affascinante, dall'altro non si possono ignorare i rischi legati al concetto di ‘smart'. Vediamo cosa implica essere sempre connessi e quali minacce dobbiamo affrontare. L'obiettivo dell'IoT: iper-connettere gli oggetti Più un sistema cresce più diventa complesso. Un concetto fondamentale che si applica in modo esemplare all'ambito IoT e alla sua spinta all'iper-connessione. Un percorso nel pieno del suo sviluppo che ha grandi aspettative, ma altrettanti problemi da superare e rischi da calcolare. Problemi che, per l'appunto, sono destinati a crescere in funzione dell'aumento della complessità del sistema. Obiettivo dell'IoT è di iper-connettere il maggior numero di oggetti ‘smart' accedendo a quantità di dati immani, che devono essere disponibili in qualsiasi momento, così come i servizi e le applicazioni devono essere raggiungibili quando necessario. Automobili, ma anche oggetti di uso più personale come lo spazzolino da denti sono ormai hardware e software che nel futuro dell'Internet of Things rappresentano sicuramente un'ottima opportunità per il mercato. IoT e rischi: più livelli di sicurezza Il rovescio della medaglia, però, è il discorso della sicurezza e dei rischi di attacchi esterni che possono comprometterne l'integrità. E la conseguente fruibilità da parte dell'utente finale. Serve una visione comune e strutturata del ‘sistema IoT' ed è di estrema importanza che ‘smart' diventi al più presto sinonimo di ‘sicuro', anche grazie a un atteggiamento collaborativo tra i produttori in merito alla definizione di standard e linee guida affidabili. I requisiti di sicurezza non sono identici per tutti gli ambiti in cui l'IoT si muove. Sarebbe come dire che una camicia può ripararci dal freddo anche nei mesi invernali. Ogni stagione richiede un abbigliamento specifico, così come l'IoT funziona su diversi livelli, ognuno con specifici requisiti di sicurezza. Cyber security e perception layer Tutto è connesso con tutto e se non abbiamo a disposizione cavi estremamente lunghi, dobbiamo tenere in considerazione la modalità di collegamento e le caratteristiche del segnale wireless al quale affidiamo l'interconnessione. Ed ecco il primo evidente punto debole. Possiamo essere disturbati da altre onde, ma anche intercettati. Se poi il dispositivo è posizionato all'esterno dell'edificio diventa inevitabilmente bersaglio di manomissioni e intercettazioni. La responsabilità della sicurezza di chi è? Del produttore che deve farsi carico di progettare device protetti contro le violazioni, ma anche dell'utilizzatore che deve sapere di dover proteggere in modo adeguato la telecamera o il sensore di movimento installato all'esterno di casa. In questo caso, saranno da adottare contromisure come l'implementazione di robusti meccanismi di crittografia, autenticazione e controllo accessi (nei limiti delle capacità elaborative dei device che sono molto ridotte). Network layer Passando al layer di rete vediamo che l'IoT è vulnerabile agli stessi attacchi che riscontriamo su Internet: in particolare, le comunicazioni tra nodi possono essere intercettate a causa della debolezza dei meccanismi che sovrintendono allo scambio dei dati. La natura estremamente eterogenea dei dispositivi connessi, inoltre, implica un problema di compatibilità. Frigoriferi, termostati, telecamere, ma anche automobili e totem informativi possono avere difficoltà nello stabilire canali sicuri di comunicazione. E se questi oggetti, attaccati esternamente, non “capiscono” lo stato della rete e la relativa sicurezza non sono in grado di “percepire” l'anomalia di una situazione e quindi autoproteggersi. Application layer Anche in questo caso la complessità ed eterogeneità della natura dei vari elementi in gioco ...
Quanto incidono gli investimenti in Ict sulla produttività delle aziende, piccole o grandi che siano? In altre parole, come si può misurare la digitalizzazione delle imprese? Un nuovo dataset sperimentale dell'Istat ha provato a rispondere a questa domanda grazie all'integrazione di numerose fonti statistiche. Ha provato a indagare in modo dettagliato sugli effetti dell'investimento in tecnologie informatiche. Quali sono gli effetti reali dell'Ict sulla produttività aziendale? Quali sono gli indicatori presi in considerazione L'indagine si basa su quattro differenti indicatori riferiti a: 12 diverse attività digitali (Digital Intensity Index) indicate dall'agenzia europea di statistica; livello di connessione a Internet e di utilizzo dei PC da parte delle aziende; numero di addetti collegati online; efficacia della vendita online tramite e-commerce. Come si può misurare la digitalizzazione delle imprese: l'Istat indaga con un dataset enorme L'indagine sperimentale dell'Istat si basa su un dataset contenente dati relativi a oltre 4,4 milioni di imprese italiane con circa 16 milioni di addetti complessivi. Le informazioni comprendono caratteristiche essenziali delle aziende: settore, dimensione, luogo di attività e voci economiche principali (fatturato, valore aggiunto, costo del personale, margine operativo lordo). A questo dataset è stata aggiunta l'indagine annuale su aziende con almeno 10 addetti chiamata “Survey on ICT usage and e-Commerce in Enterprises”. I risultati dell'indagine Istat rivelano un primo aspetto: il rapporto tra utilizzo dell'Ict ed esportazione è positivo. La quota di imprese sale con l'aumento della digitalizzazione o con il supporto dell'e-commerce. L'eccezione è rappresentata dalle aziende tecnologiche (ad esempio, produttrici di software) che non esportano troppo. In determinati settori, il rapporto positivo tra investimenti in Ict e quota di fatturato esportata raggiunge risultati migliori: è il caso del settore manifatturiero. In altri settori, i risultati sono minori, ad esempio nei servizi. La connettività aumenta la produttività del lavoro Che si tratti di piccole, medie o grandi imprese, più la connettività in rete degli addetti aumenta, maggiori saranno i benefici, specie attraverso il sito web. Un maggior livello di connettività aumenta la produttività del lavoro (in termini di valore aggiunto) per ogni addetto, specie nel settore manifatturiero, dell'energia, commercio, ristorazione e alloggio, agenzie di viaggio, servizi di noleggio. I progressi produttivi legati alla digitalizzazione in questi particolari settori sono favoriti dalla presenza di un sito web. La crescita si accentua, anzi è l'unica nel settore commerciale, per le aziende che vendono online tramite canali indiretti. Nei servizi di comunicazione e informazione, l'incremento della produttività è legato a un canale di vendita online diretto. Dall'indagine Istat emerge un risultato curioso: il grande miglioramento avviene soprattutto passando da un utilizzo basso o nullo dell'Ict a uno più intenso, dopodiché, se si aumenta l'intensità, il rapporto tra Ict e produttività si fa meno evidente, talvolta diventa addirittura negativa. Misurare la digitalizzazione delle imprese: la dimensione incide? I risultati migliori si registrano nelle imprese già produttive, maggiormente capaci di sfruttare appieno i vantaggi della tecnologia. Ancor più se si tratta di grandi imprese. La dimensione delle imprese conta. Le grandi imprese presentano maggiori livelli di adozione di Ict, ne hanno bisogno e si dimostrano più pronte a cogliere i frutti della tecnologia rispetto alle piccole o medie imprese. Fatto sta che i valori di produttività risultano massimi nelle imprese con 250 addetti e oltre, si concentrano nelle aziende all'interno delle quali la connettività e l'utilizzo del PC interessa almeno il 75% degli addetti. Al contrario, quando gli strumenti ICT vengono utilizzat...
Maggiore preparazione al mondo del lavoro, corsi gratuiti, accesso rapido ad articoli e pubblicazioni, archivio illimitato di dati disponibili. Ecco come molte università hanno avviato nuove iniziative per attirare studenti grazie a sistemi di apprendimento Open Source. L'Open Source nelle Università rappresenta un'opportunità che non solo svincola dall'uso di software proprietario, costoso e spesso inaffidabile, ma inoltre consente di alimentare preziosi percorsi di conoscenza comune dove studenti e insegnanti si trovano, spesso, su un piano strettamente collaborativo. La produzione e l'uso di software libero ed Open Source costituiscono una grande opportunità per le attività di didattica e di ricerca svolte dalle Università Italiane. Questo software consente infatti di diffondere in modo più diretto la tecnologia e l'informazione, offrendo uno strumento ad alta efficienza caratterizzato da una forte valenza didattica. Il software libero e Open Source, quindi, si concilia bene con le esigenze delle Università, favorendo lo sviluppo della conoscenza e proponendo modelli basati sul lavoro cooperativo. Ma quali sono le leve principali che attirano gli studenti a preferire percorsi universitari più orientati all'apprendimento libero e collaborativo grazie a sistemi Open Source? Come attrarre gli studenti con l'Open Source Abbiamo appurato che il presente e soprattutto il futuro dell'apprendimento universitario è free e open. L'obiettivo è quello di contribuire a creare un ricco mix di apprendimento che dovrebbe includere esperienza lavorativa, formazione delle competenze, approfondimento di materie e corsi gratuiti, tenuti online da professori e leader di pensiero, in modo da costruire una comunità con altri studenti e soprattutto preparare al meglio gli studenti al mondo sempre più competitivo del lavoro. Ecco i vantaggi che le Università, attraverso sistemi di apprendimento Open Source, cercano di offrire ai propri studenti per renderli partecipi e protagonisti del fenomeno della formazione didattica libera, condivisa e personalizzata. La possibilità di lavorare con i dati illimitati e gratuiti Uno dei principali valori alla base dell'Open Source è quello della collaborazione aperta e condivisa: le community open source offrono supporto, risorse e nuovi spunti che, esulando gli interessi di un singolo gruppo o azienda, sono sfruttabili da chiunque. Le Università lo sanno ed è per questo che offrono ai propri studenti un accesso libero a dati e informazioni utili per i loro studi e approfondimenti. La possibilità di partecipare a corsi di approfondimento gratuiti Gli studenti, hanno nuove opportunità di seguire corsi, o parti di corsi, da qualsiasi istituzione nel mondo e di combinarli nel modo che desiderano con altre forme di apprendimento, per sviluppare il proprio “mixtape” di apprendimento personale, nella forma di un portafoglio di apprendimento online. La possibilità di prepararsi meglio al mondo del lavoro In un'era digitale che continua a mutare anche nella domanda di lavoro le competenze richieste non sono più soltanto quelle tecniche. Per quanto riguarda le assunzioni, le aziende pongono sempre più attenzione a quelle che vengono definite soft skills, che fanno davvero la differenza al momento della selezione dei candidati a parità di hard skills, vale a dire di competenze pratiche. Un apprendimento libero, completo, condiviso e personalizzato permette in ambito universitario permettere di affinare e acquisire le competenze necessarie ad un nuovo concetto di lavoro e soddisfare in maniera più completa le richieste delle aziende e del mercato attuale.
I Data sono stati definiti l'oro nero del nuovo millennio. Preziosa fonte di informazioni per aziende di tutti i settori, hanno ormai invaso la quotidianità. Dall'intrattenimento al credito, dallo shopping alla politica, non c'è ambito che non sia stato vittima dell'invasione dei Big Data Una silenziosa rivoluzione è in atto: è la rivoluzione dei dati, o meglio dei Big Data. Il successo di un'azienda, oggi, non può prescindere dalla capacità di analizzare le informazioni e metterle in relazione così da trasformarle in suggerimenti su cui basare la propria strategia. Che si tratti di campagne elettorali, intrattenimento, formazione, sanità o marketing, la questione non cambia. I dati sono la chiave per il raggiungimento dei propri obiettivi. Un trend sempre più in crescita Tutti siamo fonte di dati, ciascuno oggetto di profilatura ogni qualvolta si entri in internet. E il trend è destinato a una rapida crescita. Se, infatti, il numero di dati prodotti nel 2018 fu pari a quello prodotto in tutta la storia precedente; tra qualche anno, con l'avvento del 5G, basteranno 12 ore per produrre una quantità di dati pari a quella prodotta in tutta la storia dell'umanità. “Negli anni 20 del ventunesimo secolo i dati sono il fondamento dell'economia e della società, imprescindibili come è imprescindibile l'acqua per la vita. Le similitudini non finiscono qui, perché i dati per poter essere utilizzati devono essere puliti e accessibili, raccolti da fonti diverse e incanalati in una struttura in grado di gestirli. I dati, di per sé, non sono infatti sufficienti: sono le analytics che trasformano i dati in intelligenza attiva”, queste le parole di Stefano Nestani, regional director di Qlik Italia, azienda attiva nel campo dell'analytics e autore di un recente report sull'argomento. I Big Data e l'intrattenimento L'entertainment odierno si compone di numerose piattaforme on-demand, accomunate da una quantità infinita di titoli e, soprattutto, dalla proposta di un'offerta studiata su misura per ogni singolo utente. I titoli che compaiono sulla home sono infatti scelti dall'algoritmo sulla base degli interessi precedenti del visitatore e della popolarità momentanea. L'algoritmo di Netflix è senz'altro quello più raffinato, capace di modificare persino la locandina per renderla più adatta ai gusti dei singoli. Anche le banche usano i Data Per le banche è ormai prassi consolidata quella di utilizzare i Big Data per svolgere analisi e approfondimenti sull'affidabilità finanziaria dei propri clienti. Le scelte delle banche in materia di credito, oggi, tengono conto anche delle informazioni registrare dalle app di salute, dei post sui social che testimoniano un certo stile di vita, dei flussi di pagamento, nonché della reputazione digitale dei richiedenti credito. Shopping di Big Data Sempre più persone hanno fatto del web il proprio centro commerciale. L'e-commerce ha soppiantato le passeggiate tra i negozi, fenomeno accentuato ancor di più dall'emergenza sanitaria. Siamo spinti a comprare online, perché è online che ci vengono forniti i consigli per gli acquisti più convincenti. Raccomandazioni elaborate sulla base delle attività e degli acquisti precedenti di ogni singolo utente.
Molte PMI stentano ad avvicinarsi alle soluzioni Open Source a causa di alcune paure giustificate. Ma un tentativo è d'obbligo perché i vantaggi sono considerevoli. Le soluzioni Open Source sono sempre più apprezzate dalle aziende, soprattutto da quelle che possono sfruttare il supporto di un'area IT interna preparata. Allo stesso tempo le piccole PMI, che non hanno a disposizione delle professionalità adeguate, stentano ad avvicinarsi con fiducia verso l'Open Source. È una distanza tra i due approcci attualmente considerevole e che potrebbe riversarsi poi su una competitività completamente squilibrata. Ma dinanzi alle ritrosie ragionevoli delle PMI si può comunque trovare una strada vantaggiosa per adottare i software Open Source in azienda. Vediamo come. Perché le PMI rifiutano le soluzioni Open Source? Alla base della renitenza forzata di molte PMI ci sono delle problematiche evidenti e senz'altro plausibili. La prima riguarda l'aspetto meramente economico. Se la promessa delle soluzioni Open Source è quella di abbattere i costi legati alle licenze e alla manutenzione, è altresì vero che la spesa relativa ad operazioni come installazione, configurazione e valutazione potrebbe aumentare sensibilmente. Il motivo? Semplicemente chi promuove queste soluzioni non accompagna la consegna ad adeguato materiale informativo, come guide, brochure e documentazione tecnica. Da qui ne deriva la difficoltà nell'interiorizzare il funzionamento delle soluzioni Open Source e un relativo spreco di tempo e risorse. Molte proposte Open Source vengono scartate e accantonate per questo motivo. L'impressione, agli occhi degli acquirenti, è che si tratti di software poco professionali e quindi poco affidabili. Ad appesantire la soluzione vi è poi tutto il discorso legato all'assistenza. Come fare in caso di malfunzionamenti? La più grande paura delle PMI è quella di non potersi affidare ad un referente qualificato, ma doversi arrangiare internamente. Paura comprensibile, che ad onor del vero negli ultimi tempi sta per essere superata grazie a specifici contratti di assistenza forniti dai produttori. Open Source: i vantaggi sono considerevoli Se siamo qui a discernere sulla possibilità di utilizzare programmi Open Source è perché, oltre ai disagi, ci sono innegabili vantaggi operativi. Come già accennato nel paragrafo precedente i costi di licenze e aggiornamenti vengono quasi completamente abbattuti, consentendo alle aziende di eliminare una zavorra economica consistente. Altro elemento favorevole è l'interoperabilità con software esterni già installati. L'Open Source in questo campo garantisce facilità di integrazione e flessibilità che nessun programma proprietario (solitamente molto ingessati nella loro struttura) riesce a garantire. A tutto questo si aggiunge la possibilità, per chi possiede professionalità IT opportunamente formate, di aumentare e personalizzare le funzionalità del software a seconda delle esigenze aziendali. Proposta per una strategia OS Per fare un sunto del dubbio legato all'implementazione o meno di soluzioni Open Source all'interno delle PMI si potrebbe ridurre tutto ad un problema di costi: se in azienda ci sono professionalità IT in grado di dedicare tempo e risorse alla configurazione e valutazione del software allora vale la pena avvicinarsi all'Open Source. Se al contrario queste competenze latitano allora forse è preferibile spendere per licenze e aggiornamenti. L'ideale comunque è sempre fare un tentativo, un test. Le soluzioni Open Source hanno la forza di integrarsi perfettamente con l'ecosistema di soluzioni già presente in azienda, cosa invece non garantita dai software proprietari. Per le PMI che stanno pensando a questa strada il consiglio è quello di strutturare una prima ricerca sul software più indicato per le proprie esigenze e successivamente spendere un lasso di tempo per provare ad integrarlo in azienda. In questo modo è possibile capirne le poten...
La presenza di “cervelli elettronici” capaci di fornire una logica e un senso all'enorme volume di dati generati in intervalli di tempo sempre più ristretti si spiega perfettamente all'interno dell'attuale “rivoluzione informatica” orientata a soluzioni atte a porre in interconnessione oggetti, esseri viventi, edifici, strumenti medicali... attraverso IoT o l'edge computing L'infrastruttura digitale di un Paese è costituita dalla rete di telecomunicazioni, dalla rete elettrica, dai punti di scambio Internet e dai centri dati. Nessuno di loro può essere concepito senza gli altri. Un fatto curioso da tenere a mente è che il 99% del traffico di rete a un certo punto scorre su cavi, sia interrati che sott'acqua, collegati ai Data Center, unità organizzative che all'interno delle strutture aziendali governano, gestiscono e mantengono efficienti le apparecchiature e i servizi di gestione dei dati, cioè l'infrastruttura e i sistemi informativi a servizio dell'organizzazione aziendale. Non è più pensabile, ormai, una tipologia di business che non poggi la gestione dei propri asset e risorse su un Data Center, unità organizzativa che all'interno di una struttura aziendale governa, gestisce e mantiene le apparecchiature e i servizi di gestione dei dati, cioè l'infrastruttura e i sistemi informativi a servizio dell'organizzazione aziendale. Cuore pulsante della Digital Transformation e, più ampiamente, dell'economia digitale, i Data Center sono gli edifici che contengono infrastrutture, sistemi, risorse e asset tecnologici invisibile agli utenti ma senza i quali non potrebbero lavorare o accedere a dati, applicazioni, servizi digitali. Impatto politico e strategico della delocalizzazione dei Data Center Non va sottovalutato l'effetto della delocalizzazione dei Data Center in particolari aree geografiche: nell'ambito del diritto informatico internazionale, ancora in fieri, non sono ancora definiti i vincoli normativi e i poteri di giurisdizione in capo ai diversi Stati nei confronti di strutture la cui funzione è elaborare dati provenienti da tutto il mondo. Molto recente è l'apertura in Irlanda, da parte di Tik Tok, di un centro di elaborazione dati dedicato a raccogliere video, messaggi e altri dati generati da utenti europei. La mossa del colosso cinese – un investimento di circa 500 milioni di euro con conseguente creazione di centinaia di posti di lavoro – appare ancora più significativa se posta in relazione con la controversia che negli Stati Uniti era stata aperta dal Governo Trump, allarmato per i rischi sulla sicurezza nazionale connessi al continuo fluire di dati di cittadini americani verso i quartieri generali di Tik Tok con sede a Singapore. Data Center e tecnologie emergenti Le tecnologie definite “disruptive” (Cloud, 5G, blockchain, IoT) stanno rivoluzionando il nostro modo di vivere e agire. Società ed economia sono ormai letteralmente fondate su architetture digitali e software che acquisiscono, producono, scambiano ed elaborano informazioni in tempo reale e, senza soluzione di continuità, ai Data Center spetta un un ruolo di primo piano. Non lascia dubbi sulla futura rilevanza dei Data Center di nuova generazione la grande varietà di applicazioni in cui l'IoT interverrà congiuntamente a 5G, non una semplice evoluzione nel campo delle telecomunicazioni, ma l'apertura all'interconnessione continua di uomini, dispositivi ed oggetti, creando una rete universale in grado di scambiare quantità ingenti di dati. L'Intelligenza Artificiale richiede, per sua natura, l'impiego di elevate risorse computazionali, difficilmente trasportabili su dispositivi di tipo “client” orientati verso la dinamicità e la leggerezza più che verso la potenza di calcolo. Ancora, ad imprimere una svolta nella storia e nella fisionomia dei Data Center è uno dei “trend topic” digitali degli ultimi anni, la blockchain, che in sintesi, potrebbe arrivare a utilizzare Data Center super-sicuri in tutto il mondo per ...
Parlando di IoT nell'ambito dell'automotive spesso si rischia di limitare il discorso alla tematica dei veicoli connessi a guida autonoma. Ebbene, lo scenario che si sta aprendo si presenta molto più ricco e variegato. Vediamo insieme i molteplici vantaggi per utenti e fornitori che questa tecnologia mette a disposizione. A partire dalla sicurezza È indubbio che il mondo automotive risulta essere fra i più avanzati nell'adozione dell'Internet of Things. Il motivo? È presto detto! Si tratta di una tecnologia abilitante che permette di realizzare una vasta gamma di funzioni e servizi impossibili da ottenere in altri modi. Insomma, non solo veicoli connessi e guida autonoma nelle potenzialità dell'IoT. IoT nell'automotive: la sicurezza in primis Un primo esempio di quanto detto è quello dei sistemi di sicurezza contro il furto degli automezzi. Un dispositivo connesso fa sì che il veicolo rubato possa essere rintracciabile in ogni momento, indicandone in maniera estremamente precisa la posizione e addirittura impedendone l'accensione. Oppure inviando alle forze dell'ordine informazioni fondamentali per il suo recupero. Beneficio estremamente vantaggioso per il proprietario, ma altresì per il venditore, per cui questo tipo di servizi rappresenta un interessantissimo potenziale commerciale. Servizi che, tra l'altro, possono rientrare nell'ambito dell'offerta autonoma, così come in un quadro più generale proposto da società di fleet management, operatori delle telecomunicazioni se non direttamente dalle case automobilistiche medesime. Sempre a proposito di sicurezza in ambito automotive, altrettanto importante è la possibilità offerta dall'IoT per quanto concerne gli interventi in caso di incidente. Cosa accade in questo caso? Il dispositivo montato a bordo veicolo sarà in grado di rilevare in modo automatico una collisione, valutando in tempo reale la gravità dell'evento e comunicandolo alla centrale operativa. Gli operatori saranno quindi pronti a intervenire in modo sollecito. Altri benefici “sociali” (per un automobilista contento) Per quanto riguarda il sistema di assistenza stradale, le società operanti nel settore possono godere di ampi benefici dalle tecnologie IoT. La comunicazione bidirezionale con veicolo e conducente rende infatti molto più interattivo e tempestivo l'intervento di soccorso all'automobilista rimasto in panne. Serve un carro attrezzi? In questi casi l'uso di sensoristica e sistemi di gestione IoT minimizza disagi e tempi di attesa. Un servizio di questo genere è senza dubbio un asso nella manica del venditore e un motivo di tranquillità per il potenziale acquirente. Ancora, la manutenzione degli automezzi. Anche da questo punto di vista le tecnologie IoT rappresentano senza tema di smentita un preziosissimo supporto. Basandosi su parametri preimpostati (come i chilometri percorsi o gli anni di attività), è infatti possibile comunicare al momento giusto la necessità di effettuare interventi di manutenzione programmata. Non solo. Attraverso la capacità di calcolo erogata da sistemi di edge computing vengono analizzati i parametri del veicolo ed è pertanto possibile allertare gli operatori riguardo a eventuali criticità. Il che consente di avvisare tempestivamente il conducente evitando l'insorgere di danni gravi, preservando altresì l'incolumità stessa di chi si trova a bordo. I dispositivi IoT possono essere estremamente utili anche per le compagnie assicurative. Facciamo l'esempio delle “scatole nere”, ultimamente sempre più presenti nei pacchetti proposti ai propri clienti. Pensiamo solo al vantaggio di poter contare su dati oggettivi in caso di incidente (la velocità a cui viaggiava un veicolo, per esempio, oppure se era fermo e non in movimento), che abbatte i rischi di frode assicurativa e al contempo tutela i conducenti onesti. Non certo un aspetto di poco conto! In conclusione, appare importante ribadire che gli utilizzi della tecnologia IoT nel campo ...
Per anni i programmi open source hanno affascinato milioni di programmatori. Poi, hanno destato l'interesse di migliaia di PMI che hanno creduto subito in questa tipologia di software. Infine, grazie all'investimento epocale di IBM, il modello open source si è aperto un futuro ricco di opportunità. Se l'obiettivo di ogni impresa è quello di massimizzare il profitto, allora, tale scopo si può raggiungere solo tenendo conto di tutti gli aspetti che riguardano l'azienda, dalla gestione del personale a quella magazzino, dalla sostenibilità delle spese alla produttività. Ai tempi dell'Industria 4.0, per ottenere un completo controllo di una società c'è bisogno solamente di una connessione di rete, di una serie di computer e degli specifici software. Una delle migliori soluzioni per gestire efficacemente la propria impresa è quello di utilizzare i software gestionali open source, ovvero delle potenti applicazioni facilmente scalabili a proprio piacimento e integrabili con altre piattaforme. I programmi in questione prendono il nome di ERP, ossia Entreprise Resource Planning (ossia, Pianificazione delle Risorse di Impresa). L'esigenza sempre maggiore di limitare i costi ha decretato il successo dei gestionali open source, che attualmente vengono impiegati con grande soddisfazione da imprese di ogni tipo e livello, dai semplici negozi di piccola portata a importanti aziende attive nell'import-export. Il numero crescente di imprese operanti nell'e-commerce è dovuto anche alla possibilità di gestire in maniera facilitata vendite, spedizioni e pagamenti con l'ausilio dei gestionali con codice aperto. Come funziona un gestionale open source Un classico esempio riguardo il funzionamento di un ERP è rappresentato dalla semplice gestione di un ordine. Non appena il cliente completa le operazioni di acquisto di un determinato prodotto, nasce automaticamente un ciclo di interazione che coinvolge diversi reparti, dipendenti e collaboratori. Infatti, l'ufficio vendite vendite, potrà immediatamente verificare il buon fine del pagamento e in seguito trasmettere l'ordine al magazzino, che penserà a evadere la merce e, simultaneamente, ad aggiornare le disponibilità di quel preciso articolo. L'intero processo di vendita, chiaramente, è consultabile anche dal servizio amministrativo, che emetterà i vari documenti fiscali e contabili, oltre a riconoscere le eventuali commissioni per i venditori. Vantaggi di un ERP Che sia open source o a pagamento, un gestionale presenta dei vantaggi innumerevoli. Uno dei principali è quello di accorciare i tempi di comunicazione tra i reparti, i quali possono scambiare, aggiornare e consultare informazioni quando opportuno. Ciò ha dei risvolti positivi sia sulla produttività, poiché permette ai lavoratori di gestire diversi processi in contemporanea, che sull'efficienza del lavoro, in quanto ogni situazione è sempre accessibile e verificabile. In questo modo si possono gestire con la massima comodità una serie di aspetti fondamentali, dagli acquisti alle vendite, dallo storico dei clienti agli eventuali servizi di assistenza richiesti. Tutto questo significa consumatori soddisfatti, personale efficiente e amministrazione costantemente sotto controllo. I vantaggi di un ERP open source Il primo vantaggio che naturalmente viene in mente è quello inerente alla gratuità. Trattandosi di software open source, i gestionali di questa categoria sono scaricabili e installabili in via del tutto gratuita collegandosi al sito dello sviluppatore, risparmiando importanti cifre. In secondo luogo si ha la possibilità di implementare le funzioni originali messe a disposizione dell'applicazione. Per fare ciò vi sono varie soluzioni: avere delle conoscenze informatiche avanzate e specifiche degli ERP; rivolgersi allo sviluppatore per ottenere le modifiche richieste; iscriversi a delle comunità dedicate al mondo dei gestionali open source, così da entrare in possesso delle informazioni desid...
L'Intelligenza Artificiale (IA) sarà il maggiore protagonista tecnologico di questo secolo. Sono molti gli indicatori e le ricerche che non hanno dubbi in proposito. Secondo il World Economic Forum, entro il 2022 l'Intelligenza Artificiale creerà 133 milioni di nuovi posti di lavoro, chiaramente allo stesso tempo 75 milioni andranno persi, così potremo contare un saldo netto pari a ben 58 milioni di posti di lavoro aggiuntivi nei prossimi anni che riguarderanno in particolare i data analyst e i data scientist. Altri dati interessanti sono stati pubblicati su “Big Data e Intelligenza Artificiale. Condivisione e accesso ai dati tra mercato, concorrenza e regole”, lo studio realizzato da ITMedia Consulting guidato da Augusto Preta, con il contributo scientifico del Centro di Ricerca Ask Università Bocconi, secondo cui l'impatto delle tecnologie di frontiera è paragonabile a quello generato “dal motore a vapore nel 1800 – si legge nel report – dall'automazione introdotta dai robot nella produzione industriale negli anni '90, e dalla diffusione delle tecnologie informatiche e delle Tlc negli anni Duemila”. In questo contesto l'Intelligenza Artificiale si candida a occupare una posizione preminente emergendo come l'elemento principale della nuova digital wave e rappresentando di fatto una sorta di super-abilitatore che consente di liberare appieno l'enorme potenziale rappresentato dai dati e più in generale da un approccio data-driven. L'AI a livello mondiale Con un contributo del 40% all'evoluzione fanno da capofila in questa svolta Cina e Stati Uniti: una partita commerciale e geopolitica che vede fronteggiarsi le due super-potenze alle prese con una forte spinta delle attività di R&D nel settore. Queste due potenze mondiali stanno giocando una partita che va al di là della mera competizione tecnologica. Il ruolo dei governi, infatti, è cruciale per poter integrare l'Intelligenza Artificiale nella società: nel tempo saranno avvantaggiati solo i governi che stanno moltiplicando le applicazioni dell'Intelligenza Artificiale e investono nella formazione o incoraggiano le aziende a farlo per i loro dipendenti. “Leader globali forti e responsabili – si legge nel report – con una visione strategica e a lungo termine dovranno intensificare e gestire queste sfide per assicurare la stabilità mondiale”. Il ruolo dell'Intelligenza Artificiale in Europa Le iniziative messe in campo dall'Unione Europea hanno l'intento di farle conquistare un ruolo di primo piano nella ricerca e sperimentazione in ambito AI e Big Data. Nel febbraio 2020, la Commissione ha presentato la nuova strategia digitale europea per i prossimi cinque anni, caratterizzata da un cambio di metodo sulla trasformazione digitale con un focus più accentuato sullo sviluppo di capacità e tecnologie europee e sulla leadership europea nei dati industriali. La Commissione intende puntare sulla sovranità tecnologica europea con l'obiettivo di assicurare l'integrità e la resilienza delle infrastrutture europee di dati, reti e comunicazioni. Cosa succede in Italia? In questo contesto di grande vivacità, anche l'Italia, pur con risorse molto più limitate, ha cominciato a considerare seriamente questa tecnologia, mediante una strategia volta a favorire l'utilizzo di strumenti di Intelligenza Artificiale applicati ai servizi. Una bella iniziativa è data dal Piano Triennale per l'informatica nella Pubblica Amministrazione, che ha come punto di arrivo quello di far entrare questo tipo di tecnologia nella vita quotidiana e, più specificamente, nella costruzione di una nuova e forte relazione digitale tra Stato e cittadini.
Sono tante le piattaforme Open Source a disposizione per la didattica in rete, ognuna cerca di rispondere alle esigenze dei professionisti dell'e-learning. Ecco come scegliere la migliore in base alle proprie esigenze di apprendimento. Le caratteristiche delle varie piattaforme della didattica in rete, mettono in evidenza come il modo di fare formazione è cambiato se rapportato all'ambito dell'e-learning. La nuova tecnologia richiede contenuti più mirati, riusabili, leggeri e velocemente fruibili. Unità formative troppo ampie rischiano sia di essere troppo dispersive sia di portare ad un crollo totale dell'attenzione dell'utente. Il mondo della formazione a distanza necessita di materiale molto interattivo, dinamico, che avvicina ad un nuovo modo di pensare e di riorganizzare la conoscenza. Le 5 migliori piattaforme Open Source per l'e-learning Moodle La prima proposta è Moodle, uno dei sistemi di gestione dell'apprendimento più diffusi e del tutto free. A guidarlo è una community globale di insegnanti, amministratori e studenti. È un sistema integrato in grado di creare degli ambienti di apprendimento personalizzati. La filosofia pratica di Moodle è quella di ridurre al minimo la figura di un Amministratore e di dare in mano al Docente i permessi per le impostazioni dei corsi. La strutturazione e gestione dei corsi è fatta in modo che possano essere visualizzati sia per area tematica che per data. I cambiamenti e le novità vengono visualizzate sul desktop personale. Tra tutte le piattaforme a disposizione, Moodle è forse quella un po' più complicata per i nuovi utenti, ma gli strumenti di personalizzazione dei singoli corsi danno il vantaggio della libertà di modellare il sito a proprio piacimento. ILIAS ILIAS permette la creazione di contenuti fra loro intercambiabili ed interoperabili a seconda delle necessità di ciascun utente e delle caratteristiche di ciascun corso. Infatti ogni corso è formato da tutta una serie di moduli intesi come dei “blocchi di contenuti strutturati ed auto-consistenti incastrabili fra loro ogni volta in modo diverso e dinamico. Con ILIAS è possibile partecipare a gruppi di forum che a loro volta presentano la caratteristica di essere “aperti” o “chiusi” a seconda che il corso cui si riferiscono sia accessibile da tutti gli studenti della piattaforma oppure no. Claroline Claroline è una piattaforma “in Progress” e per tale motivo richiede all'amministratore un aggiornamento continuo del sistema in uso. Punto di forza è che si tratta di uno strumento flessibile che permette a professori, assistenti universitari e formatori di creare, amministrare e gestire corsi Web-based. Con Claroline è possibile personalizzare la Home page di un corso, inserendo nuove voci ad hoc anche con riferimenti ad altri siti o ad altri script in modo da completare l'offerta dei supporti a completamento della piattaforma FAD. La possibilità di gestire gruppi e sottogruppi e l'assegnazione di diversi livelli di “privilegi” permette una gestione ottimale delle attività didattiche online. Risulta pertanto possibile creare più corsi ed affidare la “conduzione” degli stessi a docenti diversi. PLONE PLONE è uno strumento semplice per la creazione di documenti strutturati anche complessi come i modelli PIQ e UPC, con differenti parti di ogni documento visibile a differenti gruppi di utenti e con un percorso di approvazione personalizzabile. Un sito basato su Plone è facile e veloce da usare; ciò lo rende utilizzabile per compiti amministrativi, a differenza della maggior parte dei CMS che sono adatti primariamente alla pubblicazione piuttosto che alla elaborazione dei contenuti. Ada Ada, progetto sviluppato da Unitre La Sapienza di Roma in collaborazione con la software house Lynx, è una piattaforma didattica italiana che dispone di risorse e di un buon gruppo di sviluppatori. Ada non è un prodotto pienamente open source: il software è infatti diviso in due parti: ...
Il lockdown ha cambiato definitivamente il panorama economico dell'Italia. Per i prossimi mesi sarà difficile recuperare le posizioni precedenti, però le aziende sono sempre più convinte che gli investimenti nel settore digitale possano essere un'opportunità da sfruttare anche in un'ottica smart working La pandemia ha bloccato l'economia italiana. Una fotografia della situazione è stata fatta dall'Osservatorio piccole imprese italiane di Credimi, realizzata con il supporto operativo di Nextplora, agenzia di Insight Management, con un campione di 1.200 aziende con un fatturato fino a 10 milioni di euro, suddivise in parti uguali tra i settori industria, commercio, edilizia, servizi, e analizzate per forma giuridica (ditte individuali, società di persone, società di capitali). Le conseguenze del lockdown Le piccole imprese italiane rischiano di portare a lungo il segno delle cicatrici lasciate dalla pandemia. Tante hanno dovuto chiudere la scorsa primavera durante il periodo di lockdown imposto per legge: il 42% delle piccole imprese nell'industria, il 36% nel commercio, il 75% nell'edilizia e il 48% nei servizi. Qualcuna è riuscita ad andare avanti con formule come il delivery, ma con grandi difficoltà. Come arginare la crisi? Il crollo del fatturato è il problema più diffuso, secondo l'Osservatorio. Il 60% delle piccole imprese ha registrato una contrazione dei ricavi che oscilla tra il 10% e il 30%: un dato simile sia per le ditte individuali con incassi nell'ordine dei 100mila euro l'anno, sia per le realtà più strutturate. Il 10% di imprenditori che ha intenzione di sfidare il Covid mantenendo i propri piani di crescita, invece, ha le idee chiare su come spingere l'acceleratore: aumenterà gli investimenti sulla digitalizzazione (lo dichiara il 16% delle imprese dell'industria, il 21% di quelle del commercio e il 28% dei servizi), in ricerca e sviluppo (secondo il 20% delle aziende dell'industria, 17% servizi, 18% commercio), nel lancio di nuovi prodotti (16% industria, 15% commercio e 17% servizi) e nell'ampliamento della rete commerciale, oltre che nel marketing (17% industria, 22% commercio, 26% servizi) e nella pubblicità. Una strategia di ampio respiro con obiettivi temporali di medio periodo che però può rappresentare la differenza tra morire e sopravvivere in un contesto in rapida evoluzione. La digitalizzazione come soluzione Sono proprio le aziende più piccole e giovani a essere più ricettive e dinamiche in questo momento, forse perché sono state quelle che hanno dovuto apportare più cambiamenti. “In molti hanno necessità di avere liquidità per investire e cercare di andare oltre questa crisi”, sottolinea Ignazio Rocco, fondatore e Ceo di Credimi, che aggiunge: “però, sono ancora troppo poche le imprese nelle condizioni di potere effettuare quei cambiamenti che questa pandemia richiede. Gli imprenditori che stanno utilizzando il digitale e approfittando dei cambiamenti nel comportamento dei clienti per modificare il proprio approccio di vendita, di consegna, di logistica, e di relazione con il cliente, sono quelli che emergeranno più forti da questa crisi. È importante che la finanza per le piccole imprese, in questo frangente, non si limiti a contenere la crisi di liquidità, ma faciliti gli investimenti che servono a questa trasformazione”. Quest'analisi, precisa Bruno Lagomarsino di Nextplora, “è un'importante fotografia dello stato delle imprese italiane, in grado di cogliere le caratteristiche dei diversi settori e tipologie di aziende, necessaria in un momento storico peculiare come quello attuale. Sono emerse dinamiche sorprendenti come la capacità di reazione delle ditte individuali che, spinte da una maggiore necessità, sono state particolarmente reattive nel cambiamento e nel processo di digitalizzazione. Lo studio si configura come un Osservatorio, che potrà essere aggiornato nel tempo per individuare i trend in atto. Siamo felici di essere coinvolti ...
Anche per il sistema sanitario l'innovazione è trainata dal potere di dati. Le nuove frontiere della Sanità 4.0 puntano su tecnologie innovative come Big Data, Cognitive Computing, Intelligenza Artificiale, IoT (Internet of Things), Realtà Aumentata, 5G, robotica. La trasformazione digitale della sanità mira a perfezionare l'efficienza strutturale e l'esperienza dei pazienti con percorsi di assistenza e cura sempre più efficaci. Nell'era digitale data-driven, la chiave dell'innovazione è riuscire a generare informazioni utili dai Big Data utilizzandole per ottimizzare le strutture sanitarie, i percorsi di cura e prevenzione, l'implementazione di un sistema avanzato. Tecnologie abilitanti nell'ambito della Sanità 4.0 La digitalizzazione della sanità necessita di diverse tecnologie abilitanti a seconda dello scopo e dei destinatari: diagnostica, nuovi metodi e percorsi terapeutici più sicuri, efficaci e personalizzati per medici e ricercatori; processi clinico-sanitari nelle strutture (Cartella Clinica Elettronica); servizi digitali (prenotazioni, eliminacode, totem, ecc.) e telemedicina per i cittadini; sensori e connettività pervasiva per chiunque, che permette un'esperienza più attiva con la sanità. La lista delle tecnologie abilitanti è lunga. Si passa da firme digitali e procedure automatizzate a piattaforme avanzate di analisi data-driven, dalla stampa 3D di apparecchi come i ventilatori polmonari all'Intelligenza Artificiale e Machine Learning per test clinici e diagnosi, dalla teleassistenza alla Big Data Analysis per la medicina personalizzata. Sanità 4.0: Intelligenza Artificiale e Cognitive Computing L‘Intelligenza Artificiale occupa un posto di primo piano anche nella Sanità 4.0 sia in termini di automazione delle procedure cliniche e amministrative sia per la diagnosi e la medicina personalizzata. Vediamo quali sono i campi di applicazione dell'AI più interessanti: process automation per la refertazione delle immagini; patient experience, che prevede nuovi tipi di servizi come il medico generico virtuale (MMG) in alternativa o affiancato a quello tradizionale oppure il chatbot/virtual assistant che raccoglie in automatico dati inseriti poi nella cartella clinica. Avanza l'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale con tecniche di Cognitive Computing per supportare l'attività diagnostica e interpretare dati non strutturati (telefonate, video). Un sistema basato sul Cognitive Computing può individuare diagnosi compatibili con i sintomi, cartelle cliniche e altri dati del paziente. La Medicina di Precisione grazie ai Big Data I Big Data Analytics per la Medicina di Precisione avranno un grande impatto sull'innovazione digitale della Sanità 4.0. Allo scopo di fornire i migliori risultati terapeutici, la Medicina di Precisione si basa sulla relazione dei dati genetici di ogni paziente con il suo stile di vita e il contesto ambientale. La migliore cura fornita si affianca a un costante monitoraggio degli effetti terapeutici che può richiedere interventi correttivi. I Big Data permetteranno un trattamento personalizzato ed esami non invasivi grazie alla radiomica e radiogenomica nell'ambito dell'oncologia attraverso la medicina di precisione. Per curare alcune tipologie di tumori, le già esistenti terapie ‘a bersaglio molecolare' prevedono esami invasivi e dolorosi. Radiomica e radiogenomica sono tecniche innovative che interpretano esami di routine come Risonanza Magnetica e TAC. Evidenziano nelle immagini certe caratteristiche ‘radiomic' da mettere in relazione con dati clinici come gli effetti di una certa terapia. Dal semplice esame di routine è possibile ottenere importanti indicazioni sulla terapia personalizzata da seguire. Le informazioni legate alle ‘radiomic features' vengono incrociate anche con altri dati come lo stile di vita del paziente o la sua storia clinica rendendo la cura ancora più personalizzata. IoT e Realtà Aumentata L'IoT applicato ...
Integrazione, collaborazione e facilità di accesso rendono le soluzioni Cloud ideali per le PMI che vogliono mantenersi competitive in questi tempi di pandemia, ma anche nel futuro. Con l'imporsi del Lavoro Agile affidarsi al Cloud è oggi un'esigenza sempre più impellente per le aziende. Se prima dell'arrivo della pandemia da Coronavirus già alcune aziende stavano sperimentando lo smart working, ora questa modalità di lavoro sta diventando sempre più centrale in ogni organizzazione operativa. Ne consegue che optare per le soluzioni Cloud sia la strada migliore per garantire la corretta gestione dei processi aziendali e per far fronte alle difficoltà di questo periodo storico. Software Cloud per la contabilità, per la gestione del personale e per la fatturazione si stanno rivelando dei preziosi alleati per le PMI in questi tempi di emergenza sanitaria. La sensazione però è che si stia assistendo ad una rivoluzione assolutamente non temporanea, ma destinata a restare nel tempo. Più Smart Working e meno lavoro in presenza, con la garanzia di poter appoggiarsi a soluzioni Cloud sempre più efficienti e flessibili. Un solo software, più aree integrate Le proposte per le PMI che giungono dal mercato dei software Cloud sono sempre più invitanti. Qualche anno fa, nella fase embrionale del Cloud, abbiamo assistito all'introduzione di piattaforme solitamente dedite a “cloudizzare” un solo processo aziendale. Sulla “nuvola” quindi finivano programmi specificatamente pensati per la contabilità, come per la fatturazione oppure per altre operazioni peculiari. Oggi la rivoluzione Cloud ha raggiunto un ulteriore step e i programmi moderni permettono di integrare vantaggiosamente più operazioni in unico sistema: contabilità, fatturazione, gestione commerciale e così via. La collaborazione al centro dell'idea di Cloud Ma un altro aspetto che rende le soluzioni Cloud determinanti per le PMI è legato al concetto di collaborazione. Benché lo Smart Working, per definizione, conduca le persone a lavorare senza presenza in ufficio, quindi senza possibilità di contiguità fisica, le soluzioni Cloud massimizzano ogni intenzione partecipativa. Il centro della collaborazione sono i software stessi, come si trattasse di un ufficio condiviso nell'etere. Qui i vari dipendenti, comodamente sistemati nelle proprie dimore, possono condividere dati, documenti, informazioni, piani operativi. L'accesso è garantito da qualsiasi posizione e utilizzando ogni tipo di device, dal Pc al tablet, passando per lo smartphone. Non solo, l'aspetto collaborativo tocca anche le figure professionali strettamente connesse alle aziende che si affidano alla soluzione Cloud. Si pensi a titolo di esempio ai commercialisti. Dalla propria postazione possono accedere alla piattaforma, analizzare e lavorare la documentazione di cui necessitano. I vantaggi del Cloud e del lavoro da remoto per le PMI È innegabile che i vantaggi per le PMI nella gestione del business da remoto, tramite soluzioni Cloud, siano numerosi. La possibilità di garantire un accesso multiutente da qualsiasi postazione dotata di connessione consente di mantenere un controllo continuo sull'intera operatività aziendale, oltre che agevolare la collaborazione operativa. Contestualmente l'opportunità di integrare diverse funzioni e aree aziendali in unico software rende più efficiente l'intera gestione del lavoro, nonché semplifica il supporto di studi professionali come consulenti e commercialisti. Da non sottovalutare infine la possibilità di mantenere intatte la produttività e la competitività in questi tempi emergenziali. La rivoluzione Cloud, iniziata come sfida e diventata necessaria in questi tempi di pandemia, è destinata ora a trasformarsi un caposaldo per le aziende del futuro, sempre più incantate dal business da remoto.
Bastano pochi elementi per prendere atto della significativa influenza che la massiccia presenza delle tecnologie esercita sulle attività sociali e non soltanto nel mondo del lavoro. La tecnologia si sviluppa, per necessità prima di tutto, una necessità che la pandemia ha esasperato. Mentre le nuove tecnologie rimodelleranno milioni di posti di lavoro nell'Ue, le competenze digitali e trasversali sono sempre più necessarie per cogliere le opportunità di lavoro emergenti Con l'emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19, le tecnologie digitali si sono rese indispensabili – ma non mancano le criticità. Da una parte, la digitalizzazione e le piattaforme favoriscono lo smart working e l'e-commerce, ma dall'altra con il lockdown aumentano le disuguaglianze: ne fa le spese soprattutto chi non può lavorare da casa ed è più a rischio contagio, come addetti alla vendita al dettaglio, lavoratori della sicurezza e della logistica. Le 5 P della World Social Agenda Agganciandosi agli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall'ONU nel 2015, configurati come linee guida programmatiche per le azioni da intraprendere entro il 2030 a livello globale, World Social Agenda ha individuato cinque “pilastri”, cinque parole che iniziano con la lettera P: Partnership, Planet, People, Prosperity, Peace. Nel presentare l'offerta formativa docenti, la World Social Agenda pone il focus sulla quarta “P”, quella di ”Prosperity” valore particolarmente connesso al lavoro. Va fatta piena luce su diritto al lavoro, disuguaglianze e fragilità, sfruttamento (nelle varie forme di schiavitù, caporalato, lavoro minorile) e precariato, impedimenti nella costruzione di un tessuto sociale atto a contenere esistenze “prospere e soddisfacenti all'interno di un progresso economico, sociale e tecnologico in armonia con la natura” come detta l'Agenda 2030. In quanto medium di relazione con il mondo e fonte di identità per ognuno, il lavoro coincide con la possibilità di aspirare ad un futuro in cui le differenze siano punti non di debolezza, ma di forza per l'affermarsi della giustizia sociale. Smart working in continua crescita Un mondo del lavoro con posizioni professionali sempre più fluide, l'Intelligenza Artificiale che si impone nella vita quotidiana, la connessione h24, la necessità di frequentare più luoghi e più lingue in modo quasi ubiquo stanno totalmente cambiando il concetto di benessere. Il Digital Learning permette di aumentare le competenze in modo flessibile, dinamico, veloce, e facilita l'immersione nella realtà portando a un cambiamento sia a livello personale, sia a livello lavorativo. Cominciando proprio dai legami tra attività lavorative e mondo digitale, appaiono all'orizzonte le questioni connesse a futuri sviluppi economici e sociali. A giugno 2020 i dati relativi alla diffusione dello smart working ne evidenziavano la crescita esponenziale: 90% grandi imprese, 73% medie imprese, 28% piccole imprese. Il “lavoro digitale”, però, pur frequente oggetto di dibattito pubblico, è evoluto verso la stratificazione e l'esternalizzazione, grazie anche al ruolo di intermediazione tra domanda e offerta svolto dalla piattaforma digitale. Diverse tipologie di lavoro “digitale” Così Elinor Wahal, dottoranda presso l'École Normale Supérieure Paris-Saclay ed esperta in Digital Economy e intelligenza artificiale per la salute, definisce le principali tipologie di lavoro digitale: il lavoro uberizzato, il lavoro free lance online e il microlavoro. Nel dettaglio: il lavoro definito “uberizzato”, con un aggettivo che fa riferimento alla nota ditta di servizi di trasporto, geograficamente connotato e svolto fuori casa, è caratterizzato da “mansioni relativamente lunghe da eseguire”. Caso particolare, all'interno di questa tipologia, le “click farms”, espedienti applicati all'online marketing per attrarre in maniera fraudolenta i click su contenuti sponsorizzati: sono compiti eseguibili fuori casa, assimilabili al lavoro ...
Dopo il grande successo dei primi due bandi, il Competence Center bolognese lancia il terzo round a supporto dei processi di innovazione tecnologica 4.0. Diverse le novità e molte le aree di finanziamento coinvolte, in modo da poter coinvolgere più aziende possibili Sono 19 le aziende che hanno vinto il secondo bando del Competence Center Bi-Rex che ha messo a disposizione 1,2 milioni di euro per idee innovative in ambito Industria 4.0. Sette i progetti selezionati, tutti con un obiettivo comune: realizzare progetti di Ricerca, Sviluppo e Innovazione orientati alla sperimentazione, prototipazione e adozione di soluzioni basate proprio sull'utilizzo di queste tecnologie. Per ogni progetto vincitore è stato finanziato il 50%, fino a una spesa di 200.000 euro. Dopo il successo dei primi due bandi, che sono stati in grado di coinvolgere e premiare ben 65 imprese (di cui la metà PMI) e 10 università/centri di ricerca per la realizzazione di 24 progetti di innovazione, Bi-Rex conferma nuovamente il proprio ruolo strategico giocato a livello nazionale nell'ambito dell'innovazione tecnologica 4.0, soprattutto alla luce di tutte le attività sviluppate nel corso di questi ultimi mesi: dall'inaugurazione della Linea Pilota, prima Smart Factory in Italia, al lancio dell'Osservatorio Soluzioni e Tecnologie Industria 4.0, fino ai 22 webinar organizzati sulle tematiche delle tecnologie abilitanti 4.0. Il terzo bando Bi-Rex Bi-Rex compie un successivo passo concreto a sostegno delle imprese e del sistema produttivo italiano, in ottica Industria 4.0: il Centro di Competenza bolognese ha infatti pubblicato il suo terzo bando (scadenza: 16 febbraio), volto allo sviluppo di nuove idee progettuali di innovazione tecnologica. Le aree tematiche su cui si focalizzerà questo nuovo bando sono: Big Data per il manufacturing; ICT per macchine e linee di produzione; Sistemi avanzati per la gestione dei processi di produzione; Security e Blockchain; Additive & Advanced Manufacturing; Sostenibilità e responsabilità sociale. Il progetto prevede una dotazione finanziaria complessiva di circa 1.1 milioni di Euro. “Il lancio di questa terza call giunge a coronamento di un percorso importante: i bandi emessi ad ottobre 2019 e maggio 2020 sono stati un grande successo per il nostro Centro – afferma Stefano Cattorini, General Director Bi-Rex – tra tutti i Competence, Bi-Rex è stato quello che ha assegnato il cofinanziamento più cospicuo, pari a 5.4 milioni di Euro, a dimostrazione di come i bandi si configurino come attività chiave dal grande valore aggiunto, che si pone l'obiettivo di valorizzare le aziende più innovative. Trasversalità e capillarità sull'intero territorio nazionale sono state due caratteristiche distintive dei nostri bandi – prosegue Cattorini – fino ad ora siamo riusciti a coinvolgere ben 9 regioni italiane e 14 differenti filiere: obiettivo della terza call è proseguire proprio su questo percorso, fornendo una grande opportunità a tutte le aziende che considerano l'innovazione tecnologica come un processo di cruciale importanza per poter rimanere competitive sul mercato”. La scelta dei progetti vincitori Il Competence Center valuterà le migliori idee e iniziative di Ricerca, Sviluppo e Innovazione orientate alla sperimentazione, prototipazione e adozione di soluzioni basate proprio sull'utilizzo di queste tecnologie: per ogni progetto vincitore sarà co-finanziato fino ad un massimo del 50% delle spese e per un importo massimo di co-finanziamento di 100.000 Euro. Anche in questo caso saranno premiati progetti qualitativi con una durata massima di 18 mesi (prevista la possibilità di proroga motivata di ulteriori 6 mesi) e le scelte di Bi-Rex saranno assunte in linea con i principi fondanti del consorzio. Innovatività, qualità e ricadute economiche del progetto sul tessuto industriale italiano, inclusività delle PMI, valorizzazione dei progetti collaborativi tra pubblico e privato (ovvero ...
Anche i trend in ambito Technology, media e telecomunicazioni (Tmt) risentono della crisi socio-economica causata dall'avvento della pandemia Covid-19, influenzando le scelte di consumatori e aziende a livello globale. La ventesima edizione del report “Tmt Predictions” di Deloitte ha cercato di capire in che modo ciò avverrà “La pandemia ha portato con sé un'accelerazione tecnologica senza precedenti, soprattutto in Italia”. Così si legge nella ventesima edizione del report “Tmt Predictions” di Deloitte, lo studio che analizza i trend in ambito Technology, media e telecomunicazioni (Tmt). La pandemia Covid-19, nonostante la crisi socio-economica a essa conseguente, ha accelerato i processi di digitalizzazione in atto in Italia, rivoluzionando il modo di vivere e lavorare di cittadini e aziende. Tecnologie come 5G e cloud continueranno a offrirsi come strumenti di business all'avanguardia, mentre molti falsi miti sul tech sembrano destinati a svanire. Ecco tutte le novità che dovremo aspettarci nei prossimi anni. L'avvento della telemedicina Il “Tmt Predictions” di Deloitte ipotizza che, nel 2021, il 5% delle persone in tutto il mondo effettuerà visite mediche in modalità virtuale, contro l'1% stimato nel 2019. Si tratta di uno dei principali trend innestati dal Covid-19, che ha spinto i pazienti, anche gli ultrasessantenni, a ricorrere alle app di videochiamata per i propri appuntamenti medici, abbattendo così numerose barriere normative precedentemente valide. La crescita del cloud La crisi sanitaria, con i conseguenti lockdown, ha costretto numerose aziende a adottare lo smartworking, intraprendendo di conseguenza il passaggio verso piattaforme cloud. Di questo passo, le tecnologie cloud potrebbero divenire la soluzione principale per molteplici tipologie di business. Al punto che si stima che, tra il 2021 e il 2025, l'aumento dei ricavi dei player del settore supererà il 30%. Sport al femminile Il numero di eventi sportivi nel 2020 è notevolmente diminuito, ma lo stesso non si può dire per il loro potenziale di crescita. Il report Deloitte, infatti, prevede per il futuro una maggiore capitalizzazione degli sport femminili e un aumentato utilizzo delle tecnologie digitali nell'allenamento degli atleti. Il mercato degli sport femminili potrebbe superare il miliardo di dollari, grazie alla sempre maggiore capacità di attrarre un ampio pubblico televisivo. Così come dimostrato da uno studio multi-country, secondo cui il 66% delle persone è interessato ad almeno uno sport femminile, cifra che sale all'84% tra gli appassionati. Infine, già entro la fine dell'anno in corso, potrebbero essere numerose le leghe sportive professionistiche che formalizzeranno nuove politiche sulla raccolta, l'utilizzo e la commercializzazione dei dati che le nuove tecnologie traggono in tempo reale dagli atleti. L'Industria 4.0 e l'Intelligent Edge Tra gli altri trend rilevati per il 2021 dal “Tmt Predictions” troviamo la crescita dell'Industria 4.0 e dell'Intelligent Edge. Entro la fine dell'anno, il mercato globale di Intelligent Edge potrebbe raggiungere i 12 miliardi di dollari, grazie alle nuove reti 5G e all'implementazione della tecnologia Cloud. Tecnologie che favoriranno anche l'accelerazione delle Ran di nuova generazione. Deloitte stima poi che le vendite di Tv 8K potrebbero raggiungere i 5 miliardi di dollari nel 2021 e che le vendite di visori di realtà aumentata cresceranno del 100% rispetto al 2019, grazie soprattutto all'utilizzo massiccio che se ne farà nei settori dell'istruzione e delle aziende.
Nell'ambito del Programma Europa Digitale, si prevede la creazione di una rete di poli per la digital transformation europea. Questo network prende il nome di European Digital Innovation Hubs (Edih). La sua costruzione ha un obiettivo preciso: garantire la transizione digitale della PA e dell'industria mediante l'adozione di tecnologie avanzate (Cyber security, Intelligenza Artificiale, High Performance Computing). La trasformazione digitale si appresta a rivoluzionare società ed economie europee. In tale contesto, è stata pubblicata sul sito istituzionale del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) la lista dei 45 Poli italiani candidati a partecipare alla ristretta call europea che andrà a costituire il network degli Edih. Viene affidato a questi 45 progetti il compito di garantire la transizione digitale industriale (soprattutto per le PMI) e della PA. Il prossimo step del Mise consisterà nell'aggregare alcune delle proposte selezionate per creare una serie di partenariati più competitivi. European Digital Innovation Hubs (Edih): la selezione dei 45 Poli italiani L'individuazione dei 45 Poli italiani comprende due fasi: 1. preselezione nazionale di soggetti con determinate capacità tecnico-scientifiche e giuridico-amministrative; 2. gara ristretta gestita dalla Commissione UE con invito dei candidati presentati dai vari Stati europei. La rete dei Poli di innovazione, in Italia, copre il territorio nazionale in modo uniforme: il 40% delle proposte è a valenza nazionale, il 60% con focus regionale. Il programma italiano legato agli European Digital Innovation Hubs (Edih) scaturisce da un Protocollo d'intesa siglato nel mese di agosto 2020 dal Ministro dello Sviluppo Economico, il Ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione ed il Ministro dell'Università e della Ricerca. Tale protocollo è finalizzato a strutturare la collaborazione istituzionale per la preselezione e cofinanziamento nazionale. Gli Edih italiani prescelti, una volta stipulato un contratto con il Mise, riceveranno agevolazioni del cofinanziamento composte da una quota nazionale e da una quota europea. Il cofinanziamento consentirà ai Poli selezionati una copertura dei costi ammissibili fino al 100%. Alcuni dei 45 Progetti italiani Tra i 45 Progetti selezionati dalla Cabina di Regia interna al Mise, segnaliamo: Bi-Rex++ (che fa capo al bolognese Bi-Rex); EDIH Lombardia (competence milanese Made); Network for European Security and Trust (competence romano Cyber 4.0); Neural (competence veneto Smact): Expand (competence torinese Cim 4.0); Amave (competence genovese Start 4.0); Artes 5.0 (competence toscano Artes); P.R.I.D.E. (competence campano-pugliese MediTech); InnovAction (guidato dal Cefriel). Mise: stanziamento di 97 milioni di euro Con direttiva del 13 agosto 2020, il Mise ha stanziato 97 milioni di euro per il cofinanziamento nazionale sul Fondo per la crescita sostenibile. Potranno concorrere a tale quota tramite risorse proprie disponibili anche altri Ministeri, Regioni, Province e amministrazioni pubbliche. Lo stanziamento del Ministero dello Sviluppo Economico tiene conto della dotazione finanziaria massima europea prevista per il nostro Paese nel periodo compreso tra il 2021 e il 2027. L'Europa ha destinato complessivamente al Digital Europe Programme (programma per la digitalizzazione europea) oltre 7,5 miliardi per il periodo 2021-2027. Per i soli Edih sono stati stanziati 900 milioni. I 45 Progetti italiani ritenuti idonei parteciperanno alla seconda fase di selezione (la ‘call' ristretta) in sede europea prevista nei primi mesi di quest'anno. Questa seconda fase ha l'obiettivo di selezionare i Poli d'innovazione digitale che entreranno a far parte del network europeo. Per il nostro Paese, il numero di Poli previsto va da un minimo di 14 ad un massimo di 28.
Il Cloud Manufacturing si è rivelato una preziosa risorsa per la continuità aziendale durante la pandemia. Ecco cos'è e perché è determinante per il futuro delle imprese. Il settore manifatturiero sta attraversando una fase di grandi cambiamenti, forte di un approccio sempre più digitale e innovativo. In tempi di pandemia questa nuova propensione ha garantito all'intero sistema di mantenere elevata la produttività e la continuità aziendale. Se tutto ciò è stato possibile lo si deve al Cloud Manufacturing, una rivoluzionaria strada perseguita dalle aziende per consentire standard produttivi sempre più soddisfacenti e flessibili. Cos'è il Cloud Manufacturing e perché è così importante Il Cloud Manufacturing è una metodologia di lavoro fondata sul Cloud e sulla possibilità di affidare a provider esterni la gestione di importanti sistemi, infrastrutture e servizi aziendali IT. Chiamata anche Collaborative Manufacturing o Manufacturing As a Service, questa soluzione consente alle imprese di affidare a terze parti la gestione di infrastrutture come server, storage e networking e di applicazioni specifiche per il successo aziendale. L'importanza del Cloud Manufacturing è strettamente legata ai benefici offerti dal Cloud: riduzione dei costi, flessibilità e maggiore efficienza produttiva. Si pensi ad esempio ad una realtà manufatturiera standard, con più comparti produttivi, magari dislocati in diverse zone geografiche. Grazie alle soluzioni Cloud è possibile estendere la gestione delle attività oltre i confini del presidio fisico. Tutte le aree coinvolte nell'intero processo produttivo (ideazione prodotto, sviluppo, produzione, commercializzazione) possono agilmente accedere alla “nuvola”, comunicare, collaborare e agire in modo centralizzato. I vantaggi del Cloud Manufacturing I vantaggi del Cloud Manufacturing a livello operativo sono evidenti. In primis la capacità di rispondere in modo elastico ai nuovi paradigmi del mercato, che vedono la customizzazione al centro delle esigenze produttive. Grazie alle soluzioni Cloud i tempi di produzione si riducono sensibilmente, le risorse vengono ottimizzate e i tempi di fermo quasi eliminati. Un altro beneficio importante è legato alla metodologia di accesso al Cloud. Ogni operatore può collegarsi in ogni momento, da qualsiasi dispositivo e in qualunque luogo si possa trovare. Un'esigenza oggi determinante ma che facilmente si trasformerà in operatività ordinaria nel futuro. Affidarsi al Cloud Manufacturing infine rappresenta per le aziende un'enorme opportunità di crescita. Tutte le soluzioni Cloud sono create per garantire scalabilità assoluta alle aziende. Ciò significa che sono predisposte per accogliere un numero sempre crescente di dati e transazioni, assicurando alle imprese la possibilità di crescere senza incappare in fastidiosi malfunzionamenti. Cloud Manufacturing: che tecnologie sfrutta? Ovviamente il Cloud Manufacturing, essendo la strada del presente e del futuro per il settore manufatturiero, si affida alle più recenti innovazioni tecnologiche al servizio della produzione. Nelle aziende “cloudificate” l'Internet of Things e la Robotica si trasformano nelle colonne portanti dell'intera infrastruttura. Mediante queste tecnologie le macchine “umanizzate” diventano sempre più efficienti e soprattutto in grado di comunicare in real time il loro stato. Un toccasana soprattutto nei casi di malfunzionamenti e problematiche operative: comunicandole rapidamente i tempi di manutenzione si abbreviano e la produzione non rallenta. In ambito di creazione e sviluppo un enorme supporto è dato dalla modellazione e dalla stampa 3D, un metodo rivoluzionario per creare prototipi perfettamente aderenti alla realtà. Da non dimenticare infine l'ambito dei Big Data e degli Analytics. Con le infrastrutture cloud, per definizione data-centriche, il flusso dei dati è sempre più veloce e valutabile quasi in tempo reale. Una soluzione ottimale...
Nuovo anno e nuova occasione per finanziare lo sviluppo digitale della propria azienda. È infatti arrivato il secondo bando di finanziamento per Progetti di Ricerca Industriale e Sviluppo Sperimentale in tema di tecnologie abilitanti 4.0 per la sicurezza delle infrastrutture critiche A seguito del successo ottenuto con il primo round di finanziamenti, il Competence Center genovese Start 4.0 ha recentemente pubblicato il suo secondo bando per supportare progetti di ricerca e sviluppo su tecnologie abilitanti per la sicurezza delle infrastrutture critiche. Start 4.0 si prepara ad investire una somma pari a 510.000 euro, per un massimo di 170.000 euro per progetto. Il Competence Center Start 4.0 Il Centro di Competenza Start 4.0 attua un programma di supporto a progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale in tecnologie abilitanti 4.0 per la sicurezza e ottimizzazione delle infrastrutture strategiche che parte dallo sviluppo di tecnologie abilitanti negli ambiti tematici di interesse per il Centro e mira al loro consolidamento attraverso la realizzazione di applicazioni nei domini di interesse di Start 4.0. In linea con la missione riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il Centro di Competenza ha tra i propri obiettivi quello di promuovere lo sviluppo e/o il miglioramento di prodotti, processi, servizi e soluzioni finalizzati alla resilienza e alla sicurezza delle infrastrutture critiche attraverso l'applicazione di tecnologie 4.0. Sviluppo e realizzazione di tecnologie abilitanti Pertanto, rimanendo negli ambiti strategici previsti dal MISE, le aziende che intendono partecipare dovranno specificare il dominio applicativo, gli ambiti tematici (anche più di uno) e le tecnologie abilitanti necessarie al loro progetto. Scopo di questa nuova occasione di finanziamento è quello di sviluppare e realizzare le tecnologie abilitanti relativamente a uno o più ambiti tematici declinandole su uno dei domini applicativi. Le tecnologie abilitanti sono quelle che potranno traghettare le nostre imprese verso il futuro digitale. Parliamo di tecnologie 5G, IoT, Machine Learning, Intelligenza Artificiale, Big Data Analytics, realtà virtuale e aumentata, robotica, sensori software e hardware per real-time, Edge/Fog computing, virtualizzazione. Per quanto riguarda i domini applicativi, Start 4.0 ha chiaramente indicato il porto, l'energia, i trasporti, i sistemi idrici e i sistemi produttivi. Il bando (che scade il prossimo 4 febbraio ed è scaricabile dal sito di Start 4.0) è aperto pure alle micro imprese e alle PMI, singolarmente o in partenariato. Le grandi aziende possono essere soggetti beneficiari solo se aggregate in partenariato alle Micro, Piccole e Medie Imprese (MPMI), ma in ogni caso non possono assumere il ruolo di capofila. Supportare le PMI nella crescita tecnologica e digitale Questo progetto di Start 4.0 è il secondo tassello di un percorso in tre fasi che è iniziato un anno fa con l'erogazione della prima tornata di contributi (quasi 2 milioni di euro). Il buon risultato del primo bando ha portato il Comitato Tecnico Scientifico di Start 4.0, presieduto da Giorgio Metta, direttore scientifico di IIT, a proseguire sullo stesso percorso tracciato, nell'ottica di sviluppare nuove conoscenze e identificare nuove soluzioni tecnologiche innovative per la sicurezza delle infrastrutture strategiche. “In un contesto in evoluzione come quello che stiamo vivendo, per le imprese è fondamentale tradurre i cambiamenti in nuove opportunità di competitività e questo passa attraverso l'investimento in innovazione”, ha dichiarato Paola Girdinio, presidente di Start 4.0. “L'obiettivo del Centro di Competenza, con questo secondo bando, è proprio quello di supportare ancora di più le PMI nella loro crescita tecnologica e digitale, rafforzandone il posizionamento e la competitività anche in campo internazionale”.
Diciamo Industria 4.0 e pensiamo alla Smart Factory. Ossia a quel variegato e flessibile sistema di soluzioni grazie alle quali è possibile ottimizzare la produzione. Quello che ogni imprenditore desidererebbe per la propria impresa. Analizziamo dunque i requisiti per realizzare una Smart Factory, basandoci su concetti quali data management e workflow Come si realizza la Fabbrica 4.0? Attraverso l'integrazione di informazioni provenienti dai macchinari utilizzati (Operational Technology) e dai sistemi gestionali (IT – Information Technology). La classificazione del MISE Per capire meglio di che tipo di informazioni si tratta ci viene in aiuto il Ministero dello Sviluppo Economico che, con il suo Piano Industria 4.0, ha classificato la natura dei beni coinvolti nel processo di realizzazione di una Smart Factory. Beni che permettono lo scambio di informazioni con sistemi interni (per esempio, il sistema gestionale e i sistemi di pianificazione, progettazione e sviluppo del prodotto) e/o esterni (clienti e fornitori, ad esempio, piuttosto che eventuali partner nella progettazione e sviluppo). Informazioni veicolate a loro volta grazie all'impiego di beni immateriali quali software, piattaforme e applicazioni oppure di sistemi complementari come i sistemi CAD/CAM. È proprio la possibilità di avere a disposizione queste informazioni e di poterle condividere con tutte le risorse coinvolte nel ciclo produttivo a rappresentare la base da cui partire per il miglioramento dei processi aziendali. La piattaforma ideale per realizzare una Smart Factory Naturalmente per una mole di dati caratterizzati da un'estrema eterogeneità, non esiste una soluzione standard, valida a 360°. Si tratta quindi di trovare una piattaforma di raccolta che sia più di un semplice collettore di informazioni e che abbia funzioni di analisi dei dati altamente flessibile. In tal senso sono disponibili sul mercato ormai da diversi anni software di document, data e workflow management progettati per connettersi con il maggior numero possibile di sistemi informatici. Delle vere e proprie suite in grado di mettere in comunicazione fra loro ambienti molto differenti, che magari risultano già presenti in azienda ma non vengono ancora utilizzati al massimo delle loro potenzialità. Per realizzare un progetto di Smart Factory efficace si deve preventivamente partire da un puntiglioso lavoro di analisi, per definire quali dati acquisire per ottenere informazioni complete e attendibili. Dopo di che si procede con la modellazione della piattaforma che dovrà farsi carico di una serie di funzioni. L'acquisizione dei dati provenienti da bordo macchina può avvenire direttamente caricandoli in un database di raccolta oppure prelevando i dati da uno già esistente. La medesima cosa può essere effettuata per i piani di produzione e i dati di estrazione logistica. Fase in cui le funzioni di data e workflow management permettono di creare alert automatici al verificarsi di determinate condizioni e soprattutto di attivare tempestivamente procedure correttive. L'andamento complessivo del processo di produzione può essere controllato aggregando dati e rappresentandoli grazie a report spesso disponibili all'interno della stessa suite software di data management. In tal modo il numero di piattaforme operative può essere sfoltito, le regole di lettura e di utilizzo vengono semplificate e gli operatori possono fare riferimento a uno strumento unico e condiviso. Da ultimo, ma non ultimo quanto a importanza, l'aspetto legato all'accesso ai dati da parte dei vari utenti coinvolti a diverso titolo (anche gli esterni, quindi clienti e fornitori), che ricevono autorizzazioni specifiche relativamente ai propri ambiti operativi.
Il settore automotive si sta trasformando. Sul mercato non più solo produttori (manufacturer), ma anche fornitori di servizi di mobilità (mobility provider). La scommessa in gioco è ambiziosa: dal rapporto coi concessionari a quello con i clienti, dai volumi di produzione allo sviluppo delle partnership. Tutto quello che c'è da sapere e cosa aspettarsi Il comparto dell'auto è ormai chiamato a una transizione che vede i principali costruttori sempre più decisi a passare dal semplice ruolo di manufacturer a quello di mobility provider. Uno stimolo nato sicuramente dalla visione dei servizi finanziari non più come meri accessori rispetto alla commercializzazione delle auto, ma come strumenti essenziali per fidelizzare il cliente grazie a offerte di lungo periodo. Ecco quindi che quello che un tempo era l'acquisto di un auto si sta evolvendo in un servizio di mobilità all-inclusive. I principali cambiamenti nell'automotive Nel passaggio da manufacturer a mobility provider nulla sarà come prima. Vediamo quali sono i cambiamenti che più impatteranno sul settore dell'auto. Il rapporto con i concessionari Come sappiamo una rete di rivenditori forte sul territorio è fondamentale per i servizi di manutenzione e assistenza tecnica post vendita. Ma per essere un vero mobility provider, il produttore dovrà prendere in carico il cliente evitando le intermediazioni. Il che sarà possibile solo possedendo tutti i dati di profilazione a partire dalle fasi di pre vendita. Conoscere l'uso che il cliente fa del mezzo anche attraverso l'intervento di nuovi profili professionali, come ad esempio i data scientist. La gestione del cliente Indispensabile per il manufacturer sarà modificare la struttura organizzativa dotandosi di call-contact center, chat bots, assistenti virtuali, staff professionalmente preparato e multilingua per poter raggiungere tutti i mercati interessati. Una riflessione particolare merita poi l'analisi sull'età media dei clienti che acquistano auto. La generazione più giovane è attratta dallo sharing e da sistemi di mobilità alternativa. Una bella sfida che potrebbe portare a un'offerta di servizi creativa e versatile: un parco auto in condivisione di veicoli di piccola cilindrata per gli spostamenti urbani infrasettimanali, ad esempio, che contempli anche modelli più performanti per il weekend fuori porta piuttosto che versioni eleganti per l'uscita del sabato sera. La smart mobility Altro tema molto caldo è quello della mobilità elettrica. I produttori non dovranno limitarsi a fornire servizi finanziari di leasing e noleggio, ma si troveranno anche a incentivare la diffusione di infrastrutture di ricarica sul territorio, diventando, perché no, operatore attivo in questo business. Certo un veicolo costantemente connesso alla rete richiede capacità che i produttori di auto dovranno acquisire. Saper gestire un numero spropositato di dati che vanno raccolti, trasmessi dal veicolo a un server, archiviati ed elaborati è la condizione essenziale. Altrimenti l'idea di veicolo connesso sarà solo fonte di problemi. I volumi di produzione Essere mobility provider comporta una quota crescente di auto condivise da più clienti. Attualmente la capacità produttiva mondiale annua è di circa 100 milioni di auto. Tali volumi saranno sostenibili in futuro? La sfida è diventare fornitore di servizi a parità di volumi. L'equazione è del resto abbastanza immediata: più car sharing, meno auto vendute. Servizi di car sharing più smart, d'altronde, potrebbero attrarre più clienti, tra i quali anche quelli che dismetteranno il loro veicolo datato in cambio di una vettura di ultima generazione. È bene dunque chiedersi quali effetti tutto ciò avrà sul numero di auto prodotte. Quali partnership per il futuro Si tratta sostanzialmente di un duplice scenario possibile. Da un lato i produttori, utilizzando il proprio marchio, si dotano di società operative capaci di offrire un po...
Digital Industrial Transformation: è quel processo che sta rivoluzionando e continuerà a rivoluzionare il modo in cui l'industria funziona. Processo che trova nella tecnologia dell'Internet of Things uno strumento prezioso, in particolar modo nel settore manifatturiero Con il termine Digital Industrial Transformation si intende quel processo in grado di trasformare dal profondo il modo in cui un'industria funziona. Alla base della trasformazione restano i Big Data, il petrolio dell'era digitale, dalla cui analisi le imprese possono tranne informazioni utile a implementare la produzione e offrire ai clienti un servizio migliore. Per raggiungere tali obiettivi, in un panorama competitivo a livello internazionale, è necessario ripensare dal profondo i processi preesistenti, i business model in uso e le strategie aziendali fin qui attuate. Farlo nel mondo giusto potrebbe comportare un aumento fino al 20% dei profitti, purché si utilizzino le soluzioni di Digital Transformation più opportune. Ecco allora una lista di strumenti per migliorare l'attività di Manufacturing attraverso l'utilizzo della tecnologia dell'Internet of Things. La Digital Industrial Transformation per il settore manifatturiero La Digital Industrial Transformation è quel processo in grado di portare le imprese manifatturiere a utilizzare con efficienza tecnologie digitali avanzate come Internet of Things, Intelligenza Artificiale, Robotic Process Automation, Machine Learning, Mobile Applications e Cloud per modernizzare l'ecosistema produttivo, interconnettendo i processi e capitalizzando le informazioni derivate dai dati. L'impatto dalla Digital Industrial Transformation sull'industria manifatturiera si realizza in 5 ambiti: Implementazione delle operazioni; Supporto delle tecniche di produzione del prodotto; Nuovi processi innovativi di produzione; Interconnessione tra macchinari, operatori umani e processi; Reperimento istantaneo dei dati. L'Internet delle Cose per una maggiore efficienza Sono svariati i modi in cui l'utilizzo della tecnologia IoT può incrementare l'efficienza di un'azienda. Di seguito qualche esempio. Gestione dell'inventario Basta collegare dei sensori RFID – Radio Frequency Identification – agli scaffali o alle mensole del magazzino per avere una visione in tempo reale e sempre aggiornata dello stock merci. Un grande aiuto per le aziende manifatturiere che non si perderanno nulla di ciò che entra o ciò che esce dal deposito. Monitoraggio dei prodotti Così come alle mensole del magazzino, i sensori industriali RFID possono essere applicati anche ai singoli prodotti, così da sapere sempre dove si trovano e il loro stato di manutenzione e analizzare il loro uso effettivo. Monitoraggio dei macchinari I sistemi dell'Internet of Things installati sui macchinari possono aiutare a prevedere e prevenire guasti e problemi di funzionamento. L'IoT può inoltre fornire dati utili in tempo reale come, ad esempio, la velocità di un pistone o la temperatura in raggiunta durante il funzionamento. Gestione della forza lavoro La tecnologia dell'Internet of Things connessa con dispositivi mobili può aiutare manager e supervisori a gestire al meglio il proprio staff, monitorando e migliorando la produttività dei dipendenti senza neppure il bisogno di lasciare il proprio ufficio. Migliorare la qualità dei prodotti Un prodotto difettoso o reso può comportare significativi costi, oltre a danneggiare l'immagine del brand. Utilizzare l'IoT per analizzare in modo approfondito il ciclo produttivo e il funzionamento del prodotto può aiutare a migliorarne la resa. Ogni azienda ha a cuore la qualità, ma solo quelle che hanno già adottato soluzioni tipiche dell'Industria 4.0 come IoT, Intelligenza Artificiale o Machine Learning sono in grado di implementarla in modo considerevole.
Ima Digital (portfolio 4.0) presenta due nuovi servizi. Dna Map consente di raccogliere dati dalle macchine, traducendo dati grezzi in informazioni significative e di valore, arrivando a un'accurata pianificazione della produzione. Si affianca a Digital Room, una vera e propria centrale di controllo remoto per macchinari connessi Il confronto attivo con i paradigmi emergenti dell'Industria 4.0 e con la digital transformation ha portato la Ima Group a mettere a punto un'offerta di servizi digitali capaci che si traducono in vantaggi concreti e che modificano il tradizionale rapporto fornitore/cliente rendendolo più simile a quello fra advisor/cliente, se non a una vera e propria partnership. Dna Map e Digital Room In questo quadro si inserisce il lancio di Dna Map, una piattaforma aperta, basata su un software in grado di dialogare con tutti i principali sistemi Erp e Mes, di connettersi a ogni tipo di macchinario, la cui funzione è raccogliere dati dalle macchine per il packaging che l'azienda bolognese produce, monitorandone le condizioni in tempo reale, e di tradurre in seguito i dati grezzi in informazioni significative, fornendo agli operatori: elenchi intelligenti e dinamici di azioni utili a migliorare l'efficienza; dati statistici sulla macchina per l'armonizzazione delle linee di produzione smart; misure realistiche delle performance, utili a pianificare la produzione. A Dna Map si affianca Digital Room, una vera e propria centrale di controllo remoto per macchinari connessi, presidiata ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, da un team di ingegneri preposti al controllo delle condizioni operative del macchinario, monitorando e analizzando tutti i parametri rilevanti, sia tecnici sia fisici. In caso di fermi macchina o allarmi o nel caso che il sistema in autonomia evidenzi qualche anomalia, sia gli operatori della Digital Room che i clienti ricevono degli alert generati automaticamente. Due servizi complementari I due servizi sono complementari, con Dna Map rivolto soprattutto alle aziende in grado di gestire da sole le proprie linee di produzione, e Digital Room pensato per chi preferisce demandare monitoraggio e controllo all'esterno. Oltre la complementarietà, le diverse caratteristiche li rendono adatti ad esigenze diverse e utilizzabili sempre anche separatamente, indipendentemente uno dall'altro. La Digital Room garantisce sempre – in caso di bisogno – un intervento da remoto. Dna Map, invece, viene incontro al bisogno di essere autonomi e indipendenti, in possesso delle informazioni necessarie per ottimizzare i processi produttivi. Paradossalmente, con Dna Map un direttore di produzione potrebbe seguire anche da casa l'andamento della produzione, reagire a eventuali criticità ed eventualmente ottenere un supporto da remoto tramite il collegamento con la Digital Room. E la crisi scatenata da Covid-19 ha dimostrato a tutti quanto questi aspetti diventino ancora più cruciali, laddove il monitoraggio da remoto di macchine e fabbriche ha permesso di aziende di continuare la propria operatività nonostante il lavoro da casa, i divieti di spostamento, le aree in quarantena, le risorse limitate. “Raccogliere dati non è sufficiente, la vera sfida è raccogliere i dati giusti e dare agli utilizzatori la possibilità di usarli concretamente, perché lì si gioca veramente il successo di questo genere di applicazioni, – ha puntualizzato Martina Stefanon, Responsabile progetto Ima Dna Map – tant'è che i servizi dispongono di un'applicazione che consente ai tecnici di consultare il quadro della situazione direttamente sui loro smartphone, con viste diverse relative da una parte all'efficienza della linea, dall'altra all'andamento della produzione”. Un diverso approccio al mercato Fondato nel 1961, il gruppo Ima è oggi una delle principali realtà mondiali nel settore della produzione di macchinari per il packaging, con un fatturato 2019 di 1,6 miliardi di euro, il 90% del ...
Il Covid ha segnato un forte cambiamento i cui effetti non si arresteranno nel prossimo futuro. Tali effetti dovranno essere un punto centrale per i team di sicurezza informatica. Check Point Software Technologies Ltd. ha fatto le sue previsioni per il 2021 riguardo alla cyber security post-pandemia con 5G, cloud e Internet of Things. Quali sfide alla sicurezza bisognerà affrontare il prossimo anno? Nella sua analisi, Check Point Software evidenzia che gli effetti della pandemia hanno notevolmente contribuito a creare uno scenario che, prossimamente, influirà sulle scelte da fare in termini di protezione dati e asset aziendali. L'effetto positivo del Covid-19 è stato sicuramente quello di accelerare la trasformazione digitale nelle aziende. Ad esempio, nell'ambito dello smartworking, ha costretto a cambiamenti drastici e rapidi anche aziende poco preparate. Covid o meno, certi effetti sono destinati a far parte di una “prossima normalità” basata su trasformazioni permanenti. Di sicuro, il peso della tecnologia è notevolmente aumentato. Cyber security post-pandemia con 5G, cloud e Internet of Things: cosa ci aspetta? Gartner prevede che, nel 2024, il 30% dei dipendenti a livello globale lavorerà da remoto e non ci stupisce. La pandemia, in Italia, ha costretto molte aziende e dipendenti a lavorare da casa e succede ancora. Lo smartworking ha richiesto un maggiore e più diffuso utilizzo di accessi Vpn e dispositivi mobili, un'adozione più ampia del cloud per questioni di agilità. Specie nel primo periodo di lockdown, le aziende hanno pensato più a salvare il business trascurando il ricorso a soluzioni di cyber sicurezza aziendale. Di conseguenza, si è verificata un'impennata di cyber attacchi con picchi di phishing da 210.000 a settimana e ransomware con doppia estorsione (prima bloccando i sistemi, poi chiedendo il riscatto per il recupero dei dati). I cyber criminali hanno sfruttato anche altri canali come il contact tracing. Le priorità della cybersicurezza oggi sono due: 1. prevenzione automatizzata; 2. integrazione tra sicurezza informatica e operativa per l'evoluzione verso il cloud e l'Internet of Things. La seconda priorità è una questione delicata in quanto implica ambienti maggiormente vulnerabili, estende la superficie di attacco e non dispone ancora di un adeguato sistema di protezione tecnologico. È necessario, dunque, superare questi limiti tecnologici lavorando sulle prassi di aggiornamento delle patch e delle password. Minacce alla mobility, 5G, cloud e IoT Quelle appena citate sono le massime priorità cui seguono la protezione delle minacce associate alla mobility (43%), una strategia per azzerare i blind spot (39%) e il potenziamento dell'infrastruttura cloud (29%). Non meno critico è il 5G che comporta un aumento del rischio di accessi malevoli a una trasmissione su banda larga. Attualmente, la cybersecurity è instabile a causa delle reti ibride e della scarsità di specialisti cloud. Ciò che serve alle aziende, per prepararsi alla ‘prossima normalità', è un partner affidabile in grado di gestire i problemi più complessi difficilmente risolvibili con le sole risorse interne. Servono soluzioni erogabili anche attraverso managed service provider professionali. Si prospetta un futuro che porterà sempre più verso una fruizione della cybersecurity simile a ciò che avviene attualmente per il noleggio operativo sulle auto. L'enorme quantità di dati presenti in dispositivi 5G sempre attivi dovrà essere protetta da violazioni, furti e manomissioni. Una volta lanciate le reti 5G, aumenterà in modo significativo il numero di dispositivi IoT connessi e la vulnerabilità delle reti agli attacchi informatici su larga scala. Device IoT connessi alle reti e cloud: sono questi gli anelli deboli della cyber security. Serve una combinazione di controlli di sicurezza tradizionali e nuovi per salvaguardare queste reti in costante crescita in tutti i settori azienda...
Di Intelligenza Artificiale se ne parla molto e spesso, ma quanto quest'innovativa tecnologia è davvero utilizzata all'interno delle imprese italiane e no? All'interrogativo risponde il white paper ‘Intelligenza artificiale. Tecnologie e applicazioni industriali' realizzato da Anie Automazione in collaborazione con il Politecnico di Milano “Guardando queste cifre, che fotografano lo stato dell'arte, francamente ci si poteva aspettare qualcosa di più”, così Giovanni Miragliotta, direttore dell'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano ha commentato i dati raccolti sui progressi compiuti dalle aziende italiane per quel che riguarda l'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale. Numeri alla mano, sembra che di Artificial Intelligence se ne parli molto, ma se ne faccia poca. L'applicazione della tecnologia all'interno delle imprese è ancora allo stato embrionale, tanto in Italia quanto all'estero. Questo quanto riportato dal white paper intitolato ‘Intelligenza artificiale. Tecnologie e applicazioni industriali' (scaricabile gratuitamente qui), realizzato dal Gruppo software industriale di Anie Automazione, in collaborazione con gli Osservatori Artificial Intelligence e Industria 4.0 del Politecnico di Milano. I dati sull'AI nelle imprese italiane Lo studio condotto da un lato approfondisce il tema dell'Artificial Intelligence, per rendere tutti i suoi aspetti e le sue applicazioni più chiari e comprensibili a imprenditori, manager e operatori sul campo; dall'altro mostra lo sviluppo attuale della tecnologia all'interno della rete produttiva nazionale. L'utilizzo nelle aziende Secondo i dati forniti, circa i 2/3 delle imprese italiane considerano l'AI un'opportunità di sviluppo, soprattutto come strumento di elaborazione e interpretazione dei data. Eppure, un'azienda su tre (34% aggregato) non ha alcun progetto in corso riguardo l'intelligenza artificiale. Il 18% ha dichiarato di avere intenzione di fare qualcosa a riguardo, ma in futuro, e l'11% del totale censito ha almeno un'idea allo stato progettuale. Tra le imprese già operative con l'AI, il 24% (1 su 4) ha almeno un progetto in fase di sperimentazione; il 15% degli intervistati si trova allo step successivo, di implementazione, e solo il 16% delle imprese italiane possiede un progetto e un'applicazione di Artificial Intelligence oggi attualmente operativo. La situazione non è molto diversa in ambito internazionale. Tra tutti gli oltre 150 progetti di AI di cui si ha notizia nelle maggiori imprese, meno della metà (40%) ha concluso la progettazione giungendo alla fase di implementazione e appena il 16% applica già sistemi di intelligenza artificiale nel proprio sistema produttivo. Dato che corrisponde a quello riscontrato nel panorama italiano. I principali casi applicativi “Finora – ha spiegato Miragliotta – a fare la parte del leone nello sviluppo e nell'applicazione di soluzioni AI è essenzialmente la fabbrica, la manifattura, protagonista della cosiddetta Industria 4.0”. Guardando alle aree di implementazione, è infatti l'area Factory quella dove si riscontra il maggior numero di casi applicativi. Al momento, l'Intelligenza Artificiale è utilizzata principalmente in ambito produttivo, ad esempio nella pianificazione delle attività o nel monitoraggio delle prestazioni. Al centro di un ampio processo di trasformazione digitale si trovano poi i processi non operativi, in particolare nell'ambito del marketing, come le dynamic advertising, e in quello dell'assistenza clientela, dove i chatbot trovano sempre più spazio. Seguono poi le aree Product life cycle, con numerosi progetti nei settori chimi e farmaceutici, e le supply chain per fornitura e logistica. L'uomo resta al centro L'Intelligenza Artificiale permette alle imprese di semplificare la gestione della produzione e della conduzione aziendale, lasciando che sia la macchina a prendere in autonomia decisioni critiche e complesse. Tuttavia, ciò non può e non dev...
Il Data Monetization e il progetto Ducopod rappresentano l'obiettivo più delicato e ambizioso inerente il valore dei dati. In cosa consiste? Il progetto europeo Ducopod vuole rispondere alla domanda: la monetizzazione dei dati è tabù o realtà? Intende dare valore ai dati personali scambiandoli per l'erogazione di beni o servizi. L'obiettivo dei ricercatori di questo progetto europeo è analizzare l'istituto del Diritto alla portabilità dei dati (art. 20 del GDPR). Il Data Monetization tocca una delle problematiche più delicate in termini di protezione dei dati personali. La questione è, senza dubbio, prematura e non è facile dare risposte univoche. Prima di rispondere, tanto le istituzioni quanto gli interessati devono acquisire una progressiva consapevolezza sulla monetizzazione dei dati. Le norme vigenti consentono di monetizzare dati personali senza, però, disciplinare con chiarezza questa materia. Data Monetization e progetto Ducopod: cosa dice l'art. 20 del GDPR Il caso/studio del progetto Ducopod è finalizzato a individuare rischi ed opportunità sulla monetizzazione dei dati personali. Prima di cercare risposte, è necessario porsi le giuste domande riguardo al Data Monetization per orientare al meglio la questione. L'art. 20 del GDPR che affronta il Diritto alla portabilità dei dati rappresenta per molti il ‘nocciolo' della questione per delineare una prossima economia della monetizzazione dei dati. Il comma 1 di questo articolo stabilisce che l'interessato ha il diritto di ricevere i dati personali che lo riguardano forniti a un titolare del trattamento. Specifica anche che può trasmettere questi dati a un secondo titolare del trattamento senza che il primo lo impedisca. C'è di più: l'interessato, se possibile, può richiedere e ottenere la trasmissione diretta dei dati da un titolare del trattamento all'altro (comma 2). Tale trasmissione diretta è fattibile se il trattamento si verifica tramite mezzi automatizzati e solo se si basa, ovviamente, sul consenso o su un contratto (art. 6). In altre parole, il GDPR permette a un titolare del trattamento, su richiesta dell'interessato, di trasmettere con mezzi automatizzati dati personali a un altro titolare. Monetizzazione dei dati in una Smart City Meglio di altri scenari, una Smart City (con i suoi confini fisici e digitali) ci fa riflettere sulla questione del Data Monetization. Il destinatario di dati personali (art. 13 e 14 del GDPR) può essere l'autorità pubblica, una persona fisica o giuridica o un altro organismo tra cui un titolare o responsabile del trattamento che riceve dati da altri titolari su richiesta o consenso dell'interessato (diritto alla portabilità). In base all'art. 4 del GPDR, il consenso dell'interessato è qualunque manifestazione di volontà libera. Facciamo un esempio. Una persona prenota online un biglietto della metro dando il suo consenso alla società di trasporti di trattare i propri dati personali. La società di trasporti gli cede il biglietto gratis a patto che possa trasmettere i suoi dati di geolocalizzazione ad altri titolari del trattamento. L'interessato accetta. Durante il tragitto riceve notifiche pubblicitarie tra cui quella di un bar (nella zona dove l'utente deve recarsi) che gli offre uno sconto sulla colazione. Accetta lo sconto e fa colazione in quel bar. Ricevendo il biglietto gratis e lo sconto al bar, l'interessato esprime il suo consenso liberamente oppure è condizionato da queste offerte in cambio dei suoi dati personali? Il Considerando 43 fa una precisazione: il consenso liberamente espresso deve essere separato in base ai diversi trattamenti di dati personali. Nel caso preso ad esempio, l'utente ha espresso due consensi separati (alla società di trasporti ed al bar). Ovviamente, i soggetti terzi destinatari dovranno trattare i dati personali in modo adeguato, pertinente, nei limiti delle finalità per cui vengono trattati (in questo caso, i dati di geolocalizzazi...
Smartworking, didattica a distanza, acquisti online, dematerializzazione dei processi, eventi in streaming, remotizzazione dei processi produttivi: punti di riferimento nel disegno della “nuova normalità”, così come si configura, segnata dall'emergenza sanitaria da Coronavirus e dal conseguente distanziamento sociale Nel corso della presentazione delle ultime rilevazioni sul digitale in Italia e sulle previsioni di mercato al 2022, in collaborazione con NetConsulting cube, Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, ha affermato: “La digitalizzazione è la scelta più efficace e sostenibile per superare le difficoltà e ripartire. I segnali che vengono dal mercato ora ci dicono che è nelle aspettative. Serve ora la determinazione e un approccio di sistema per passare dalle dichiarazioni alle azioni e sfruttare tutto il supporto dell'Europa”. I prossimi due anni, secondo Gay, saranno decisivi per far sì che la crisi pandemica sia ricordata anche come causa della significativa accelerazione per il processo di digitalizzazione italiano. I risultati dello studio dell'associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende dell'Ict gli danno ragione: nel lockdown il digitale ha sostenuto l'attività di famiglie, imprese, istituzioni e ha dimostrato di aver tutte le carte in regola per dare energia alla ripresa. Strategicità dell'ICT Nel primo semestre del 2020, in piena pandemia, il mercato digitale in Italia è riuscito a limitare il calo al 2,9% rispetto al primo semestre del 2019. “Si tratta di andamenti che, in una fase recessiva, confermano le potenzialità dell'ICT per resistere e per ripartire – ha spiegato Gay – ma anche per promuovere la buona ripresa del mercato nel prossimo biennio, come rilevano le proiezioni per il 2021 e il 2022.” Andrà anche meglio nella valutazione dell'intero 2020 che, per effetto del relativo recupero nella seconda metà dell'anno, dovrebbe chiudere in calo per non più del 2%, a 70,5 miliardi di euro. Un più ampio respiro deve essere garantito, dunque, ai settori più vivaci e promettenti: “dalle infrastrutture di rete e all'evoluzione dell'amministrazione pubblica, dal sostegno alla digitalizzazione diffusa delle imprese, al rafforzamento del settore ICT in Italia e della sua capacità di ricerca e sviluppo, e così via, sino alla creazione massiva delle competenze digitali evolute di cui siamo carenti”, ha precisato Gay. Nel quadro generale, le tecnologie traversali a tutti i settori d'offerta, i “Digital Enabler”, sono stati trainanti. Tutti quelli di maggior peso sono stimati in crescita: il mobile business del 4,4% a 4.326 milioni; l'Internet delle cose (IoT) del 3,5% a 3.625 milioni; il cloud del 16% a 3.284 milioni; la cybersecurity del 9% a 1.239 milioni; le tecnologie big data dell'8,7% a 1.152 milioni; le piattaforme per il web del 5,8% a 507 milioni. In miglioramento anche quelli emergenti come wearable (+3,1%), intelligenza artificiale (+14%) e blockchain (+18,2%). Le proiezioni per il biennio 2021-2022 Nel biennio 2021-2022 è attesa una dinamica più marcata per la componente business (+5,3% nel 2021 a circa 43,2 miliardi di euro, e +4,6% nel 2022, a più di 45,1 miliardi) e per quella consumer (+ 0,9% nel 2021, a circa 29,7 miliardi, e +1,5% nel 2022 (a circa 30,2 miliardi). In ambito business, si riproporrà la centralità di Industria (+7,7% nel 2021 e +5,8% nel 2022) Banche (+4,6% nel 2021 e +3,5% nel 2022), Telecomunicazioni e Media (+4%, nel 2021 e +3,5% nel 2022), Distribuzione e Servizi (+5,4% nel 2021 e + 4,4% nel 2022). Crescite simili sono anche attese da Assicurazioni e Finanza, Utility, Traporti e Sanità. E si profila anche la conferma del cambio di passo della Pubblica Amministrazione, sia Centrale (+4,3% nel 2021 e +4,1% nel 2022) che Locale (+3,7% nel 2021 e +4,4% nel 2022). Altri esempi sono quelli dell'AI – con progetti dedicati a contenere la circolazione della popolazione, o alla previsione dell'evoluzione dei dati, o ancor...
Piccole e medie imprese hanno una forte necessità di innovare i propri impianti e di utilizzare le nuove tecnologie. La crisi ha accentuato la precarietà del mondo imprenditoriale italiano. Il governo ha quindi deciso di migliorare la Sabatini con la quale ha già ottenuto dei risultati importanti La nuova Sabatini è l'agevolazione che permette alle imprese di ottenere un significativo beneficio fiscale se investono in beni strumentali nuovi funzionali all'attività d'impresa. Le novità introdotte partono dal luglio 2019, con la circolare 296976 e giungono all'autunno/inverno 2020, con diverse modifiche introdotte con i decreti governativi di gestione della ripresa economica durante la pandemia e successive modificazioni attraverso normative specifiche. A quanto ammontano i finanziamenti La notizia più importante per gli imprenditori è il fatto che è stato eliminato il limite dei 200mila euro di finanziamento per avere il contributo statale previsto dalla Nuova Sabatini in un'unica soluzione: nello specifico, lo prevede una norma della Legge di Stabilità 2021, che potenzia uno degli strumenti per gli investimenti più utilizzati dalle imprese negli ultimi anni. Il contributo statale, è bene sottolinearlo, risulta pari al valore degli interessi sul prestito calcolati, in via convenzionale, su un finanziamento della durata di cinque anni, a un tasso d'interesse annuo minore per gli investimenti ordinari e maggiore per quelli in tecnologie digitali e in sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti (Industria 4.0). I finanziamenti Nuova Sabatini vanno dai 20mila euro ai 4 milioni, durano al massimo cinque anni e vanno integralmente a coprire l'investimento. La domanda di sovvenzione si presenta alla banca (scelta fra quelle che aderiscono a specifica convenzione), mentre per il contributo statale si utilizza la piattaforma del ministero, certificando l'avvenuta ultimazione dell'investimento. Quest'ultimo è un punto importante: infatti, con la modifica normativa della manovra, il contributo viene erogato a investimento ultimato ma, come dicevamo, non più in sei quote annuali, bensì in un'unica soluzione. Cosa viene concesso alle imprese Per il resto, l'incentivo non ha subito modifiche e va a concedere alle imprese: un finanziamento agevolato da parte di banche e intermediari convenzionati, anche a copertura totale; un contributo ministeriale rapportato agli interessi di tale finanziamento; l'eventuale garanzia del “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” fino all'80% dell'ammontare del finanziamento purché di durata non superiore a 5 anni, di importo compreso tra 20.000 euro e 4 milioni di euro, interamente utilizzato per coprire gli investimenti ammissibili. I tassi d'interesse Molto interessante per gli imprenditori è il tasso d'interesse annuo applicato che è di: 2,75% per investimenti ordinari; 3,575% per investimenti in tecnologie e sistemi rientranti nella sfera “Industria 4.0” (big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, Radio frequency identification – RFID e sistemi di tracciamento e pesatura dei rifiuti). Non è un aiuto di Stato La Nuova Sabatini non viene considerata nel cosiddetto regime “de minimis” e quindi non è considerato come un aiuto di Stato. In questo modo è cumulabile con altre agevolazioni: lo stesso bene può quindi essere fatto valere su linee di aiuto pubblico diverse. Alla luce dei tassi di interesse applicati da istituti di credito e intermediatori finanziari negli ultimi anni, rappresenta la migliore agevolazione sul mercato per chi ha necessità di acquistare beni nuovi funzionali all'attività d'impresa. Le normative intervenute in seguito all'emergenza pandemica hanno ulteriormente agevolato l'istituto e i beneficiari, sia quelli che avevano già richiesto l'agevolazione, che quelli potenziali.
L'importanza della tecnologia e dei dati nell'era digitale è stata confermata dalla pandemia. Avere a disposizione le informazioni, però, non è sufficiente: bisogna analizzarle, connetterle e utilizzarle nel modo giusto per trasformarle in uno strumento utile alle imprese. Una sfida che, oggi, spetta anche alle Pmi Non si può parlare di trasformazione digitale senza trattare il tema dei Big Data, elemento imprescindibile per la digitalizzazione delle imprese, la cui importanza è emersa chiaramente durante il periodo di emergenza Covid-19. Raccogliere i dati, tuttavia, non è sufficiente. La sfida che spetta alle aziende del domani, Pmi comprese, è riuscire a trasformare i data in un proficuo strumento di business. Per farlo, è necessario analizzarli in tempo reale e individuarne le connessioni. Solo in questo modo, infatti, è possibile trasformare le informazioni provenienti dai dispositivi tecnologici in suggerimenti utili a decisioni aziendali strategiche nel medio e lungo termine. Le sopracitate non sono certo questioni inedite. Di Big Data si parla ormai da tempo e la digitalizzazione è la priorità per la quasi totalità delle imprese italiane e no. Tuttavia, è stato proprio in questi ultimi mesi che la necessità di una visione Data-Driven è emersa con ancor più forza, in risposta alle nuove esigenze e abitudini dei consumatori, che hanno trasferito sul web le proprie abitudini di consumo, determinando un a dir poco considerevole picco della domanda di acquisti digitali, customizzati e celeri. Il futuro sarà guidato dai Data “I dati – ha spiegato Mirella Cerutti, regional vice president Sas, in una recente intervista – giocano sempre più un ruolo chiave nella crescita di ogni business, indipendentemente dal settore e dalle dimensioni. La possibilità di estrapolarne informazioni permette di coglierne i benefici in ogni settore produttivo. Solo le aziende in grado di trasformare questa nuova abbondanza di dati in conoscenza, attraverso gli analytics, saranno in grado di creare valore reale”. Non c'è dubbio, dunque: per innovarsi, crescere e diventare competitive all'interno di un panorama internazionale, le aziende, di qualsiasi tipo e dimensioni, dovranno assumere una strategia data-driven. Sono i dati, infatti, lo strumento oggi più efficace per comprendere il posizionamento sul mercato proprio e dei concorrenti e per capire a fondo le caratteristiche dei diversi settori produttivi. Una sfida per le Pmi A dover rispondere alla sfida lanciata dai Big Data dovranno essere anche e soprattutto le piccole e medie imprese, che potrebbero beneficiare dei nuovi modelli di business da diversi punti di vista. Ad esempio, l'utilizzo dei data e dei relativi strumenti di analytics permetterebbe al settore manifatturiero di prevedere anomalie dei macchinari, migliorare la qualità dei prodotti e le performance dei lavoratori. Il retail avrebbe l'opportunità di prevedere la domanda e ottimizzare così la logistica, riducendo i costi e, conseguentemente, aumentando il profitto. Ancora, i data potrebbero agevolare i reparti marketing nella comprensione di ciò che il cliente desidera. Infine, le applicazioni trasversali dei dati convertiti in decisioni e suggerimenti potrebbero portare vantaggi all'intera filiera. E così la rivoluzione digitale ha comportato una “democratizzazione” nel settore produttivo, con le piccole e medie imprese alle prese con le stesse problematiche e riorganizzazioni che si trovano ad affrontare le più grandi multinazionali. La digitalizzazione richiede a tutti lo stesso know how che, tuttavia, nelle Pmi chiede di essere raggiunto grazie a un maggiore aiuto iniziale, in particolare per quel che riguarda la ridefinizione delle tecnologie e dei processi.
L'economia digitale ha bisogno di politiche nazionali convincenti da parte dei governi. Coordinamento e forti investimenti si sono rivelati fondamentali per contrastare l'epidemia, non c'è più tempo per sottovalutare lo sviluppo dell'Economia 4.0 La pandemia ha reso ancora più evidenti i limiti di tutti quei Paesi che non hanno investito seriamente nelle tecnologie digitali. Pertanto, in quest'ultimo periodo, sono stati amplificati tutti gli aspetti della trasformazione digitale nei vari Paesi dell'OCSE, con il conseguente aumento della domanda di connettività e la crescita dell'importanza di tecnologie come l'Intelligenza Artificiale e i Big Data. Altrettanto rilevanti sono diventate le sfide connesse al loro utilizzo e al rischio dell'aumento del divario tra le varie componenti sociali, che poi sono solo alcune delle tendenze individuate dal nuovo Rapporto OCSE sulle prospettive dell'economia digitale nei Paesi membri. L'epidemia e la trasformazione digitale Il rapporto “Digital Economy Outlook 2020”, giunto alla terza edizione, ha come finalità quella di fornire una serie di indicazioni sulle tendenze degli sviluppi politici e dei dati relativi alla domanda e all'offerta dei servizi e delle tecnologie digitali nei Paesi membri. Nel documento si sottolinea come la trasformazione digitale stia condizionando le economie e le società, con un'attenzione speciale su come la pandemia abbia accresciuto le opportunità e le sfide della trasformazione digitale. “Le tecnologie digitali hanno aiutato le nostre economie e le nostre società ad evitare un arresto completo durante la crisi di COVID-19, e ci hanno permesso di saperne di più sul virus, di accelerare la ricerca di un vaccino e di seguire lo sviluppo della pandemia”, ha dichiarato, Ulrik Vestergaard Knudsen, Vice Segretario Generale dell'OCSE. Ma non bisogna dimenticare che la pandemia ha fatto anche emergere nuove sfide, come la crescente domanda di connettività (soprattutto di reti ultra veloci) e ha tristemente evidenziato i divari digitali esistenti, rafforzando la necessità di un approccio più inclusivo alla trasformazione digitale. Con il telelavoro e lo sviluppo ulteriore del commercio elettronico, inoltre, l'epidemia ha purtroppo creato un ambiente ideale per gli attacchi informatici. Le strategie adottate per la digital transformation Per rispondere a questa situazione di emergenza, i Paesi dell'OCSE hanno adottato diversi approcci strategici nello sviluppo di politiche dirette alla trasformazione digitale del tessuto imprenditoriale e sociale. I trentaquattro aderenti all'OCSE si sono tutti prodigati nell'implementare una strategia nazionale digitale, al fine di migliorare il coordinamento delle politiche ai più alti livelli di governo, soprattutto nei riguardi delle tecnologie emergenti. Non a caso nei primi mesi di quest'anno, i membri OCSE si sono dotati di una strategia nazionale di Intelligenza Artificiale, con una forte enfasi sull'adozione e sulle competenze da assegnare. Negli ultimi tre anni, inoltre, molte nazioni hanno sviluppato strategie relative all'adozione del 5G e dei sistemi di sicurezza informatica, anche se rimangono profonde disuguaglianze tra i Paesi per l'estensione di queste strategie digitali nazionali, dovute alla mancanza di un budget adeguato e di strumenti di valutazione per l'impatto di queste tecnologie. Per sfruttare i benefici e affrontare le sfide della trasformazione digitale c'è bisogno, secondo il rapporto, del coordinamento di tutte le politiche identificate dal quadro di riferimento. Esse hanno bisogno soprattutto della presa in considerazione di questioni politiche trasversali (ad esempio, il genere, le competenze, il governo digitale e la governance dei dati). In pratica, tutte le dimensioni della politica devono essere considerate congiuntamente, per far funzionare la trasformazione digitale, per la crescita e il benessere dei vari Paesi. Lo studio OCSE intende, inoltre, fornire gli str...
Pubblicando le previsioni per il mondo IoT nel 2021, Forrester, una delle più influenti firm di ricerca e consulenza alle imprese in tutto il mondo, ha sottolineato il ruolo chiave dell'edge computing che passerà dalla fase sperimentale alla tecnologia concretamente applicabile, guidata in gran parte da Intelligenza Artificiale e 5G Quando riapriranno gli uffici? Lo smartworking diventerà la norma? Le aziende hanno attraversato il 2020 in una situazione di continua emergenza, per l'alternarsi di periodi di lockdown e normalità. Ed ora è difficile fare ipotesi, impossibile decretare il destino del futuro modus per quanto riguarda i diversi ambiti della vita, dal lavoro alla salute. Sono veramente molte le prassi della vita comune drasticamente mutate durante la pandemia di Coronavirus: e in tutti questi cambiamenti si ritrova, quasi una sorta di denominatore comune, lo sviluppo delle tecnologie di rete. La pandemia ha accelerato il processo di trasformazione digitale, concentrando – per fare un solo esempio – in pochi mesi il passaggio dalla presenza quotidiana dei dipendenti in ufficio al lavoro remoto. Un ritorno alla completa sicurezza Secondo Forrester, una delle più influenti firm di ricerca e consulenza alle imprese in tutto il mondo, le tecnologie si sono fatte più “consistenti” nella misura del 300%. Ricorrendo a un altro esempio, l'individuazione di clienti e dipendenti è risultata essenziale ai fini del distanziamento sociale. È una delle esigenze connessa alla pandemia, a cui le aziende hanno dovuto abituarsi a far fronte, sempre più spesso con l'ausilio delle tecnologie di connettività, superando di slancio un passato (peraltro recente) in cui gestire una grande quantità di PC connessi da remoto e a tempo pieno, con gli ovvi rischi per la sicurezza dell'infrastruttura, semplicemente non si era mai reso necessario. Nel 2021 è verosimile il ritorno alla completa sicurezza, purché sia garantito alla tecnologia un ruolo fondamentale: solo chi avrà investito su rete, cloud e IoT gestirà al meglio la transizione. Tecnologia tra le più promettenti, “IoT” è ormai trasversale a molti settori e soluzioni: Smart City, IIoT, M2M (Machine to Machine communication)... si prevede che, entro il 2025, il 55% dei dati in tutto il mondo sarà generato dall'IoT. “Durante la pandemia, le aziende europee hanno portato a termine, talvolta anche da un giorno all'altro, attività che un tempo sembravano impossibili”, ha detto Laura Koetzle, VP e Group Director di Forrester. “Conversione al telelavoro, realizzazione di piattaforme di e-commerce per la vendita online e organizzazione di eventi in modalità virtuale sono solo alcuni degli esempi su cui hanno dovuto lavorare rapidamente le organizzazioni europee”. Il “caos di connettività di rete” Uno scenario in cui si evidenzia, però, una criticità. Non esiste una sola opzione di connettività atta a soddisfare ogni caso d'uso per l'IoT, per cui le aziende dovranno familiarizzare con l'insufficienza delle reti degli operatori telefonici, supplite da reti private distribuite da aziende, basate in gran parte sulle piattaforme cloud in competizione con l'intelligenza artificiale e con la diffusione del 5G. In quello che Forrester descrive come “caos di connettività di rete”, sarà accessibile una varietà molto più ampia di connettività wireless, con connessioni mobili di quinta generazione cui si affida il compito di fare da volano decisivo per la crescita economica. Dati generati dal comportamento umano diretto o indiretto Non si tratta dei dati comportamentali sui social media, ma di quelli generati dall'interazione umana monitorati e letti da dispositivi intelligenti. Muovendosi nella rete, gli utenti finali generano la cronologia delle posizioni e l'applicazione della mappa la registra. Le aziende utilizzano i dati così ricavati per condurre attività di marketing o rilasciare nuovi prodotti e servizi esclusivi basati su dati reali. Pur pr...
Portare il concetto di raccolta differenziata a un livello superiore, sviluppando un metodo di riciclaggio completo della plastica attraverso l'intelligenza artificiale. Questo l'obiettivo del progetto ReCircE (dall'inglese ‘Digital Lifecycle Record for the Circular Economy'), promosso dall'associazione non-profit Technologie-Initiative SmartFactory KL. Sono 50 i membri, fra istituti di ricerca, università e aziende operanti nel settore della produzione di imballaggi in plastica, che hanno aderito all'iniziativa lanciata da un'organizzazione non-profit tedesca attiva da una quindicina d'anni. Si tratta più nel dettaglio di una piattaforma di ricerca e dimostrazione dove le tecnologie innovative dell'informazione e della comunicazione e la loro applicazione vengono testate e sviluppate in un ambiente di produzione industriale realistico. Una cinquantina di realtà, dunque, che a diverso titolo hanno scommesso sulla possibilità di dare un nuovo volto alla raccolta differenziata così come l'abbiamo conosciuta fino ad ora. L'idea è quella di ricorrere all'intelligenza artificiale per facilitare la separazione e il riciclaggio della plastica. La raccolta differenziata e il riciclo della plastica oggi La spettroscopia nel vicino infrarosso è la metodologia alla base dell'attuale processo di analisi e smistamento dei materiali plastici conferiti. Una tecnica grazie alla quale è possibile individuare e smistare la maggior parte dei polimeri più comuni in modo automatico. La sua efficacia, però, si ferma nel caso di prodotti complessi formati da materie plastiche di tipo diverso o da più materiali diversi fra loro (alcuni dei quali possono anche contenere sostanze nocive). È proprio questa difficoltà, unita a considerazioni di costi e di qualità del prodotto, a spingere sempre più produttori a scegliere di lavorare con nuovi granulati plastici anziché con prodotti riciclati. Con buona pace degli sforzi profusi per incentivare la raccolta differenziata. Il progetto di cui stiamo parlando nasce proprio per ovviare a questi limiti e rendere il riciclo della plastica più efficace. In che modo? Creando un pass digitale per i prodotti che contenga tutte le informazioni relative ai materiali utilizzati e ai processi di lavorazione e smaltimento. Un concetto che combina alla perfezione il potenziale del machine learning con i metodi di smistamento basati sulla sensoristica. Il futuro del riciclo della plastica Il progetto vede già alcuni dei partner alle prese con la sperimentazione. Si tratta di un'organizzazione specializzata nella ricerca su materiali riciclati e strategie di gestione delle risorse (il Fraunhofer IWKS), che sta sperimentando questa tecnologia nel suo impianto di smaltimento. Un impianto che utilizza attualmente tecnologie a infrarossi e strutture di oggetti tridimensionali per analizzare la composizione dei rifiuti. Un procedimento che, grazie all'introduzione dell'Intelligenza Artificiale, può notevolmente migliorare. L'obiettivo è infatti quello di utilizzare i dati dei sensori e il machine learning per addestrare l'impianto. Il ruolo dell'AI in tal senso è determinante, perché capace di riconoscere le singole catene molecolari ed elaborare la plastica fusa in modo da scomporla, in futuro, nelle sue rispettive componenti. Al termine del processo avremo quindi la creazione di quattro o cinque tipi differenti di plastica riciclati, caratterizzati da una qualità comparabile a quella della plastica primaria. Un altro esempio di sperimentazione in atto da parte di uno dei partecipanti al progetto è quello portato avanti dalla società Papier-Mettler. In uno dei primi step sperimentativi si prevede di aumentare la percentuale di plastica riciclabile recuperata in sacchi e pellicole semplici dall'attuale 80% a quasi il 100%. In una seconda fase, poi, il granulato riciclato verrà utilizzato nella produzione di film industriali di alta qualità. Le conoscenze acquisite dal progetto di r...
Il livello di innovazione tecnologica (articolato nel livello di accesso a internet tramite banda larga e ultra larga; nel grado di competenze digitali; nel numero di attività svolte in via informatica e digitale) riferito nel Desi dev'essere letto correttamente per conoscere le potenzialità di sviluppo e di crescita economica di un Paese Nel 2015 la Commissione europea creò uno strumento per monitorare la competitività digitale degli Stati membri. Si tratta dell'indice Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società), il cui scopo è riferire come i singoli Paesi riescano a garantire ai propri cittadini livelli di benessere, spesso proprio nel rapporto con le istituzioni, superiori alla media. Nell'Indice di digitalizzazione dell'economia e della società (Desi 2020) della Commissione europea, top performer risultano i paesi nordici, Finlandia, Svezia e Danimarca, tutti e tre intorno ai 70 punti. Spagna (57,5) e Germania (56,1) ottengono un punteggio sopra la media europea, mentre la Francia (52,2) è in linea. Davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria, l'Italia è 25ma su 28 Stati membri dell'Ue, con un punteggio di 9 punti inferiore alla media Ue (43,6 vs 52,6). Per invertire la tendenza e scalare posizioni, Niccolò Invidia, un parlamentare del Movimento 5 Stelle, ha promosso una mozione per cercare di integrare l'indice nel prossimo Documento di economia e finanza (Def). La struttura dell'indice Desi La relazione DESI, che rileva i progressi compiuti dagli Stati membri in termini di digitalizzazione, è strutturata in cinque capitoli: 1. Connettività – Reti fisse a banda larga, reti mobili a banda larga e relativi prezzi; 2. Capitale umano – Uso di Internet, competenze digitali di base e avanzate; 3. Uso dei servizi Internet – Uso di contenuti, canali di comunicazione e transazioni online da parte dei cittadini; 4. Integrazione delle tecnologie digitali – Digitalizzazione delle imprese e e-commerce; 5. Servizi pubblici digitali – eGovernment e sanità digitale. Le relazioni Desi (Indice di digitalizzazione dell'economia e della società) sono lo strumento mediante cui la Commissione Europea monitora la competitività digitale degli Stati membri dal 2015. L'insieme di relazioni si compone di profili nazionali e di capitoli tematici. Le relazioni nazionali Desi raccolgono prove quantitative derivanti dagli indicatori Desi sotto i cinque aspetti dell'indice, con approfondimenti specifici per Paese riguardanti le politiche e le migliori prassi. Un capitolo di approfondimento in materia di telecomunicazioni è allegato alla relazione di ciascuno Stato membro. I capitoli tematici presentano un'analisi a livello europeo della connettività a banda larga, delle competenze digitali, dell'utilizzo di Internet, della digitalizzazione delle imprese, dei servizi pubblici digitali, del settore TIC e delle relative spese in R&S, nonché del ricorso ai finanziamenti di Orizzonte 2020 da parte degli Stati membri. I dati italiani nel dettaglio Nell'indice Desi, per la dimensione “Capitale umano”, che riguarda le competenze digitali, il punteggio molto basso porta l'Italia all'ultimo posto nell'Ue. Infatti, dai dati riferiti al 2019, solo il 42% delle persone (tra i 16 e i 74 anni) possiede almeno competenze digitali di base (58% in Ue, 70% Germania); la percentuale di specialisti ICT occupati è del 2,8% (3,9% in Ue e in Germania); solo l'1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT, il dato più basso nell'Ue (3,6% in Ue, 4,7% in Germania). Al basso livello di competenze digitali si connette l'altrettanto basso “Uso dei servizi Internet”, dove l'Italia risulta al 26° posto, con enorme gap rispetto all'Ue: il 17% delle persone non ha mai utilizzato Internet (9% in Ue, 5% in Germania); solo il 48% utilizza servizi bancari online (66% in Ue e in Germania); lettura di notizie online, shopping online, vendita online sono attività particolarmente poco diffuse. N...
Il mercato dei dati è diventato uno dei settore economici più profittevoli. Un risultato raggiunto grazie all'importanza, sempre più strategica, che le informazioni hanno assunto nel panorama commerciale moderno Il mercato dei dati è diventato un settore dai ricavi più che considerevoli, un traguardo tagliato grazie all'importanza che le informazioni commerciali hanno nel mondo digitale di oggi. Secondo un recente studio della società “Statista”, il comparto legato ai Big Data valeva ben 169 miliardi di dollari nel 2018 soltanto negli USA, con una stima di crescita interna fino a 274 miliardi entro il 2022. Se consideriamo, il rapporto McKinsey 2019, negli ultimi anni le aziende che hanno preso decisioni guidate dai dati hanno aumentato i ricavi tre volte di più rispetto alle altre, con il 20% degli utili provenienti dall'uso di ricerche di mercato data-driven. La rivoluzione dei social media e le nuove regole del marketing Tutti gli imprenditori e i manager sono ben consapevoli di come i dati valgano oggi molti soldi per le aziende, in quanto garantiscono un elevato ritorno sull'investimento, consentono di anticipare le tendenze di mercato, di ottimizzare i processi aziendali e migliorare costantemente la customer experience. Comunque, non basta raccogliere grandi quantità di informazioni e analizzarle: infatti, la qualità dei sistemi utilizzati per la comprensione dei dati è essenziale per assicurarsi indicazioni realmente utili per il business aziendale. Pertanto, dobbiamo aggiungere che questa grande mole di dati a disposizione ha riscritto le regole del marketing che, per le sue ricerche di mercato, oggi tende ad affidarsi ad analisi più innovative e dettagliate. Si considerano, per esempio, sempre di più i social network e la capillarità dei processi di comunicazione, metodi silenziosi e discreti per analizzare ciò che pensano i consumatori. È la cosiddetta rivoluzione dei social media: una risorsa globale in continua crescita, attualmente impiegata da molte realtà per conoscere e anticipare le scelte dei consumatori. I big data rappresentano un'opportunità di crescita per le aziende Non bisogna comunque dimenticare che al centro di questo successo c'è la tecnologia, che permette la supervisione e la raccolta di un grande volume di informazioni, analizzabili con supporti sempre più efficienti e sofisticati. In questo scenario, si è aggiunto pure un improvviso aumento di domanda, che ha visto piccole e medie aziende -nonché multinazionali- interessarsi a una consultazione di dati sempre più dettagliati. I big data permettono, infatti, di accedere a una mole di informazioni esaustive e particolarmente accurate, che per le aziende più attente alle tendenze della propria clientela, possono trasformarsi in vere e proprie opportunità di crescita. In questo modo i big data sono un'ottima fonte alternativa alle classiche ricerche di mercato: l'osservazione dell'utenza, in questo modo, passa per il web e per ciò che si dice sui social, e non più attraverso i questionari dei classici panel di sondaggi. L'utilizzo dei big data per condurre indagini di mercato Ad analizzare i dati, invece, sono sempre più le agenzie di ricerche di mercato come Central Marketing Intelligence (CMI), le quali, attraverso una metodologia innovativa, “intercettano” ciò che gli utenti dicono e come interagiscono sul web per scoprire cosa pensano di aziende e prodotti. Le indagini di mercato di CMI, infatti, vengo realizzate con software di ultima generazione al fine di acquisire un numero sempre più elevato di informazioni, necessarie per poter progettare e sviluppare una strategia di marketing adatta al proprio business. Le analisi realizzate da CMI, in particolare, si avvalgono del metodo di ricerca Market X-Ray, un sistema che permette di individuare il livello di frammentazione dei competitor, scoprire quale possa essere la risposta dei consumatori a un nuovo prodotto e quale sia il target della cl...
Per proteggere la rete aziendale da possibili attacchi cyber è necessario studiare tali minacce, progettando soluzioni di sicurezza adeguate e gestendo in modo efficace la loro governance e compliance. Attività che rientrano nell'ambito della Threat Intelligence, che consente di automatizzare e gestire la sicurezza aziendale a livello tattico, operativo e di management. La Threat Intelligence, chiamata dagli inglesi Cyber Threat intelligence (CTI) è una recente disciplina della sicurezza informatica volta a coordinare le attività aziendali di ricerca, conoscenza e ostacolo alle minacce degli hacker, con l'obiettivo finale di definire contromisure adeguate. Parliamo dunque di capacità di Intelligence sviluppate in ambito di cybersecurity che, nella pratica, si concretizzano in attività di raccolta e analisi di informazioni riguardo a possibili attacchi cyber, dal punto di vista tecnico, di risorse, motivazioni e intenti. La Threat Intelligence Ciò che contraddistingue i sistemi di Threat Intelligence dai tradizionali strumenti di cyber security è la sua capacità di agire a un livello a largo spettro, intercettando indicatori di threat noti e meno noti e connettendo le informazioni raccolte all'esterno con la totalità dei sistemi di sicurezza informatica utilizzati in azienda. Le funzioni della CTI Sono quattro le principali funzioni di un sistema di Threat Intelligence: 1. Aggregazione di indicatori di rischio informatico provenienti da sorgenti esterne; 2. Classificazione e arricchimento dei dati raccolti; 3. Integrazione al sistema di tutti i preesistenti sistemi di cybersecurity aziendali; 4. Condivisione delle analisi svolte sui dati tramite workflow, dashboard e avvisi alle funzioni interessate. Le attività sopraelencate hanno la capacità di aumentare notevolmente la resistenza della rete a possibili attacchi informatici. Attacchi che potrebbero essere evitati in presenza di personale competente, carente nell'85% delle aziende (fonte: 2020 Cyberthreat Defense Report di Cyberedge Group). Figure professionali come IT security architect ed engineer, risk analist o IT security analist, formate per garantire la cybersecurity in ambiente aziendali, sono infatti rare nella realtà attuale. Ecco perché, in loro mancanza, è utile automatizzare i compiti di loro competenza. E se i professionisti scarseggiano, i criminali aumentano. Nel 2019, il 78% delle aziende di ogni settore, a livello mondiale, è stata vittima di un attacco informatico. Mentre il 32,5% delle organizzazioni ha subito, nel corso di un solo anno, sei o più attacchi. E con l'emergenza Covid-19 il cybercrime è ulteriormente cresciuto. Dati allarmanti in un panorama industriale sempre più digitalizzato e sede di flussi di Big Data contenenti segrete e importanti informazioni e formule. I vantaggi della CTI Come fare per contrastare il sempre più cospicuo e sofisticato Cybercrime? L'advanced security analytics potrebbe essere una soluzione, lo pensa l'84% dei player del settore Manufacturing, che si dichiara disposto a investire in soluzioni di automatizzazione della gestione della sicurezza aziendale. Cioè, in sistema di Threat Intelligence, la disciplina che, appunto, automatizza il management della sicurezza informatica. Per le aziende non esiste al momento arma più efficace delle soluzioni di Cyber Threat Intelligence, sviluppate nelle aree dell'apprendimento automatico e del riconoscimento di pattern e in grado di incorporare al proprio interno funzionalità del machine learning e dell'Intelligenza Artificiale per scovare intrusioni e comportamenti anomali e reagire con tempestività.
Il trasporto aereo è stato tra i primi settori più colpiti dalla pandemia da Covid-19. I nuovi dati di Assaeroporti confermano la crisi senza precedenti dell'intero comparto con una perdita a settembre di circa il 70% dei passeggeri (58 milioni) rispetto al 2019 (193 milioni). Tradotto in euro: 2 miliardi di contrazione. Da marzo a settembre, il sistema aeroportuale italiano ha perso l'83% dei passeggeri. Lufthansa rischia 30mila esuberi. Per ripristinare le sorti del trasporto aereo, la ripresa passa per la digitalizzazione. Ne è fermamente convinta l'azienda Dynabook Europe GmbH. Massimo Arioli, Business Unit Director Italy di Dynabook Europe GmbH, afferma che, secondo una recente ricerca, l'89% dei responsabili delle compagnie aeree è ottimista. Crede nella ripresa del settore. Il 69% pensa, addirittura, che ne uscirà rafforzato, cambierà in meglio. In che modo? Risponde la Dynabook, azienda pionieristica dell'innovazione in ambito business e industriale. Trasporto aereo: la ripresa passa per la digitalizzazione secondo Dynabook Per Dynabook Europe, la digitalizzazione sarà la chiave di volta per supportare le compagnie aeree attualmente in piena crisi. Consentirà un incremento dei profitti nel trasporto aereo e nell'aviazione rendendo il comparto più efficiente attraverso l'automazione della produzione. Tutto questo assicurando una riduzione di contatti interpersonali in termini di frequenza e durata, favorendo il distanziamento di sicurezza. Sarà l‘IoT a svolgere un ruolo di primo piano in questa fase di cambiamento, insieme ad altre tecnologie come l'edge computing, gestendo un'enorme quantità di dati. Nel prossimo futuro, adottando l'Internet degli oggetti, robotica e automazione si riveleranno essenziali nelle aziende del settore. Entreranno in scena, in questo senso, noti produttori di apparecchiature OEM ma anche fornitori minori. Industria aerea e controllo da remoto Anche i dispositivi wearable contribuiranno all'ottimizzazione del flusso di lavoro. Anzi, probabilmente, l'adozione della tecnologia wearable offrirà una maggiore opportunità. Prendiamo, ad esempio, gli smart glass di AR (realtà assistita). Grazie alla proiezione di informazioni aggiuntive nel campo visivo dell'utente, gli smart glass permettono ai professionisti che si occupano di produzione e manutenzione di aerei, di operare a mani libere ottimizzando i flussi di lavoro. In caso di difficoltà, un meccanico di bordo impegnato in un'ispezione o in una riparazione rapida per garantire sicurezza può sfruttare la funzionalità cosiddetta ‘see-what-I-see‘. Con questa funzionalità, il meccanico può collegarsi a distanza in tempo reale con esperti, ricevere supporto e indicazioni senza dover sospendere la propria attività. Allo stesso modo, è possibile ricevere istruzioni, recuperare documenti, acquisire immagini e video in real time, trasmettere aggiornamenti. Le soluzioni di controllo da remoto sono pane in tempi di Covid perché riducono i contatti fisici interpersonali e aumentano l'efficienza. Innovazione e ripresa a budget ridotti grazie all'edge computing Abbiamo accennato che, insieme all'IoT, la tecnologia edge computing può contribuire alla digitalizzazione nel trasporto aereo attraverso la gestione di enormi quantità di dati. A differenza della robotica e dell'automazione, che comporta un'integrazione di queste tecnologie con la dotazione attuale, l'edge computing non costringe a rinnovare l'intera architettura tecnologica aziendale. Con l'edge computing è possibile andare incontro all'innovazione e alla ripresa disponendo di budget ridotti in quanto l'impatto sui sistemi in essere risulta minimo. Con questa tecnologia le aziende possono approcciarsi all'IoT e all'automazione in modo più semplice ed economico.
Le nuove tecnologie portano nel tessuto operativo aziendale trasformazioni che sono la premessa di affascinanti prospettive di crescita. Tuttavia, le aumentate connessioni con l'esterno e l'installazione di infrastrutture d'ultima generazione espongono di fatto ogni realtà ad attacchi informatici finalizzati alla sottrazione di dati aziendali o al puro ricatto economico I continui cambiamenti in atto nel mondo del lavoro hanno innumerevoli ricadute: alla luce dell'inedita attuale immediatezza ormai raggiunta nelle transazioni economiche, cambiano i gusti dei consumatori, cambiano i comportamenti dei clienti, cambia il modo di operare decisioni all'interno del contesto d'impresa e cambiano soprattutto le modalità d'ingresso nei mercati mondiali. Ad aprire nuove possibilità verso mercati parzialmente sconosciuti ma promettenti contribuiscono le nuove tecnologie, il cui avvento porta con sé, nel tessuto operativo aziendale, trasformazioni che sono altrettante premesse per la crescita. Le più frequenti connessioni con l'esterno e l'installazione di infrastrutture d'ultima generazione espongono, però, ogni realtà ad attacchi informatici finalizzati alla sottrazione di dati aziendali o al puro ricatto economico. Saper valutare il rischio tecnologico è importante Affinché l'innovazione digitale possa svilupparsi in un ambiente controllato e securizzato, è imprescindibile individuare le vulnerabilità sui propri apparati e, sul piano organizzativo, bisogna ben ponderare l'implementazione del sistema di cyber security, così da adottare le misure più efficienti di prevenzione delle cyber minacce. Nell'era delle connessioni ad alta velocità, le aziende trasformano i paradigmi operativi a causa della “digital disruption”, il momento cioè in cui una nuova tecnologia origina il cambiamento di una determinata attività e modifica il modello di business preesistente. Ma nei progetti di innovazione digitale non basta inserire una nuova tecnologia, occorre talvolta spingersi fino a ridisegnare i processi aziendali. Ciò implica un massiccio uso di dati ed è perciò fondamentale conoscere il regime giuridico per poterli sfruttare. L'Italia si muove sul fronte della digital transformation con varie iniziative, volte a promuovere l'adozione delle nuove tecnologie, tramite i piani e gli incentivi di Industry 4.0, e con l'istituzione dell'albo dei consulenti per l'innovazione. Ma la digital transformation comporta una grande quantità di azioni, che spesso includono perfino il ripensamento dei business model aziendali. È necessario basarsi scrupolosamente sull'analisi dei dati, provenienti da varie fonti, per ottimizzare, migliorare e dare impulso ai vari processi aziendali, dalla produzione dei beni e servizi da vendere, alla loro distribuzione e promozione. Un progetto di digital transformation non può prescindere dalle normative, variabili a seconda della natura, dell'origine e dell'impiego dei dati. Sviluppo del software e connesse criticità Alcune tecniche note, fino a qualche anno fa, solo nella comunità scientifica sono oggi diventate parte integrante dei principali linguaggi e sistemi per lo sviluppo del software. È il caso dei linguaggi formali per la specifica delle proprietà del software, che permettono di comparare (semi-)automaticamente le specifiche, tipicamente prodotte in fase di progettazione, con il codice sviluppato in fase di realizzazione. I linguaggi di programmazione sono stati influenzati significativamente dalle ricerche sulla sicurezza del software. Un esempio interessante è costituito dai permessi, nati come meccanismo di gestione delle autorizzazioni per l'accesso dei programmi alle risorse sotto il controllo del sistema operativo. Nel tempo i permessi, e la loro gestione, sono diventati complessi e raffinati, come sa ogni utente di smartphone che, dopo aver installato una nuova app, riceve un avviso su quali permessi necessitano all'applicazione per essere eseguita. I permes...
Si fa presto a dire Digital Transformation. Le aziende italiane del comparto industriale rischiano infatti troppo spesso di rimanere bloccate ai primi step. Ma lo stallo nella digitalizzazione del business si può evitare, grazie all'adozione di best practices che aiutano a raggiungere tutti gli obiettivi di trasformazione digitale. La trasformazione digitale rappresenta ormai un aspetto indispensabile per il successo del settore manifatturiero. In generale, non si può dire che i produttori non si stiano sempre più convincendo del potenziale delle nuove tecnologie per il proprio business. Nonostante questo, però, è piuttosto alto il numero delle aziende che non vanno oltre la fase di sperimentazione. Parliamo di progetti pilota di Industrial Internet of Things (IIoT) che rimangono in stallo anche per un paio di anni. Rendendo di fatto inattuabili i benefici di una completa digitalizzazione dei processi aziendali e del business. Questo perché molte realtà imprenditoriali sviluppano un percorso di trasformazione digitale che non crea un valore sufficiente da giustificarne il costo. Superare lo stallo grazie alle best practices Una tech company berlinese fornitrice di soluzioni di trasformazione digitale risk free, la Relayr, ha preso spunto da queste considerazioni per proporre quattro soluzioni per ovviare al rallentamento della Digital Transformation del business. Si tratta di un approccio quasi “filosofico” al problema, basato su una strategia di business chiara, sull'impegno da parte della leadership aziendale, sulla piena valorizzazione dei talenti e su partnership solide e affidabili. In questo modo si spiana la strada a una trasformazione dell'intero modello di business che viaggia di pari passo con la digitalizzazione. Il motto potrebbe essere: “se l'obiettivo è trasformare il business, lo strumento è il digitale”. Gli elementi per un IIoT vincente Nel momento in cui un'azienda intraprende un percorso in ambito Industria 4.0 la strategia di business rischia di essere messa in secondo piano, mentre ci si focalizza maggiormente sulla scelta della migliore soluzione tecnologica a disposizione. È invece importante che all'inizio del processo di trasformazione digitale si definiscano in modo chiaro gli obiettivi che ci si prefigge. Solo in questo modo, infatti, lasciando che sia il business a guidare la tecnologia e non il contrario, è possibile creare nuove opportunità capaci di generare ricavi e valore. Un altro aspetto fondamentale è la condivisione di una visione unitaria di tutti i reparti. I vertici aziendali dovranno quindi considerare le esigenze delle diverse unità di business, coinvolgendo e motivando l'intera società che dovrà avere un obiettivo comune: il raggiungimento degli obiettivi prefissati. In tal senso può essere utile l'istituzione di una task force dedicata al processo di digitalizzazione, che faciliterà la comunicazione tra tutti gli stakeholder coinvolti. Un ulteriore impedimento allo sviluppo della trasformazione digitale oltre la fase pilota è il fattore umano. Non sempre infatti le aziende possiedono mentalità improntate a pianificare e implementare nuove soluzioni. Affinché un progetto di innovazione possa concretizzarsi, è indispensabile guidare il personale a un cambio di visione o, se vogliamo dirlo in altri termini, a un cambiamento culturale. A ciò si aggiunga che è fondamentale avvalersi di nuove competenze e risorse che rendano più fluido il processo di trasformazione nel medio e lungo periodo. Infine, per portare a termine le operazioni di trasformazione digitale, le aziende del comparto manifatturiero dovranno prendere in considerazione la possibilità di implementare le soluzioni IIoT affidandosi a partner esterni. Certo, per quelle realtà che intendono contenere i costi, snellire i processi o incrementare l'efficienza, rivolgersi a un partner IIoT esterno potrebbe apparire una spesa inutile. In realtà la cosa non va vista necessariamente in ...
La possibilità di digitalizzare i processi aziendali permette alle imprese di effettuare interventi di manutenzione più efficienti e sviluppare modelli di business nuovi. Per poter intraprendere questo percorso di digitalizzazione, le aziende ricorrono sempre più spesso all'IIoT e all'aggiornamento dei loro sistemi di sensori. La maggior parte dei decision maker del settore produttivo, così come di quello della logistica piuttosto che degli impianti di approvvigionamento e smaltimento, vede l'IIoT (Industrial Internet of Things) come uno strumento fondamentale per favorire il processo di trasformazione digitale. Nonostante ciò, molte aziende si trovano ancora a dover affrontare problematiche legate all'implementazione, che comprendono difficoltà in termini di sicurezza dei dati e della rete, oltre a dubbi circa la scelta di piattaforme e processi adeguati. La tecnologia dei sensori a servizio dei processi aziendali È necessario in prima battuta adattare i macchinari e gli impianti in uso per rispondere alle nuove esigenze. Come? Dotandoli di sensori aggiuntivi, nell'ottica di quell'aggiornamento tecnologico che è bandiera e fulcro della Fabbrica 4.0. Affinché le applicazioni IIoT diano il massimo in termini di potenzialità, devono essere in grado di elaborare il maggior numero di dati possibile. Da qui l'importanza che anche le strutture esistenti vengano ampliate grazie a una tecnologia basata su sensori di misurazione che forniscano ai sistemi di livello superiore informazioni sui parametri fisici e sulle condizioni dell'impianto. Il tutto per poter prendere decisioni su controllo e regolazione, così come sul funzionamento e sulla manutenzione dell'impianto. Va da sé che informazioni il più possibile precise e dettagliate consentono di automatizzare l'intero processo produttivo attraverso le macchine. Migliorando l'efficienza complessiva dell'impianto e aumentando la competitività dell'azienda sul mercato. Il dispositivo giusto per ogni attività La gamma di sensori per il rilevamento e la misurazione dei parametri fisici è sicuramente un mare magnum di opzioni: dalla posizione, inclinazione, angolo e distanza, fino ad arrivare a corrente, energia, pressione e temperatura. Esistono poi sistemi di elaborazione delle immagini digitali, come i sensori LIDAR per la misurazione ottica della distanza e della velocità. Ciò che fa la differenza è riuscire a selezionare il dispositivo più adatto per l'attività che si deve andare a svolgere. In primis questo si traduce nella determinazione di dimensioni e caratteristiche, aspetti da valutare attentamente prima di effettuare una scelta. Sensori che si adattano all'ambiente Anche l'ambiente operativo è sicuramente una discriminante nella scelta di sensori aggiuntivi per l'IIoT. Generalizzando al massimo possiamo dire che solitamente vengono prese in considerazione per il loro impiego negli impianti di produzione solo le versioni robuste adatte alle linee di produzione e agli impianti industriali. Anche il metodo di misurazione però deve essere giusto per le condizioni ambientali: in particolare, non deve essere influenzato dall'accumulo di polvere e di sporcizia, olio o umidità. L'intervallo di temperatura dei sensori deve essere infine scelto in base allo scenario di applicazione previsto. Stessa cosa per la classe di protezione. Sensori capaci di interfacciarsi Parlare di idoneità dei sensori per la costruzione di sistemi IIoT efficaci significa renderli capaci di un'interfaccia con sistemi di livello superiore. In certi casi, come per esempio nel prossimo standard per le comunicazioni mobili 5G, ha perfettamente senso che essi siano collegati direttamente con l'IT, bypassando i sistemi di controllo esistenti. Rimane però il fatto che la maggior parte dei sensori non è collegata direttamente ai livelli superiori della soluzione. È bene invece sottolineare che, in un'ottica di integrazione degli aspetti dell'IIoT in ambito Industr...