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BASTA BUGIE - Santi e beati
Il sacerdote ucciso per aver corretto un professore nazista

BASTA BUGIE - Santi e beati

Play Episode Listen Later Dec 2, 2025 9:37


TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8366IL SACERDOTE UCCISO PER AVER CORRETTO UN PROFESSORE NAZISTA CHE IRRIDEVA CRISTO di Federica Di Vito Sono molte le storie di sacerdoti giustiziati dai nazisti, tra queste oggi riportiamo quella - forse poco nota - di Heinrich Dalla Rosa, ghigliottinato all'età di 36 anni a Vienna nel gennaio 1945. Quale la sua colpa? Dire ciò che pensava difendendo la Chiesa e Cristo.Heinrich Dalla Rosa prima di essere sacerdote abitava a Lana, nato da papà trentino e mamma meranese. Quando i suoi emigrarono in una zona rurale dell'Austria decise di intraprendere il percorso del sacerdozio. In seguito studiò a Vienna in un istituto della congregazione Regina degli Apostoli, fondata in quella città nel 1923 ispirato dal gesuita Antonio Maria Bodewig. Il primo superiore generale di questa congregazione, Theodor Innitzer, sarebbe stato cardinale arcivescovo di Vienna e primato d'Austria quando Hitler annesse il Paese nel 1938. Il giovane Heinrich si laureò con ottimi voti nel 1930. Ha poi studiato al seminario di Graz (Austria) fino al 1935, anno in cui è stato ordinato a 26 anni. Nel 1939, con l'Austria già completamente controllata dai nazisti, fu nominato parroco di Sankt Georgen im Schwarzwald, un piccolo villaggio di 300 abitanti a 1000 m di altezza.Sono gli anni della guerra e dei nazisti e anche solo dire che mettere insieme Vangelo e propaganda, o Gesù con Hitler, era impossibile, diveniva un crimine. La decisione di ghigliottinarlo venne presa a Pasqua del 1941 quando gli eserciti nazisti celebravano l'occupazione di Salonicco e niente sembrava fermarli. Fu allora che padre Heinrich sorprese tutti affermando di non essere sicuro che la Germania avrebbe vinto la guerra. A denunciarlo al partito fu nello specifico Hladnig, un maestro di musica poi divenuto preside. Così, messo in atto un sistema di controllo del prete che aveva parlato troppo sia a scuola che in chiesa, arrivò l'arresto, la prigionia nel carcere di Leoben, le torture e la condanna.Hladling era una figura controversa: aveva iniziato una carriera ecclesiastica da giovane, ma era stato in seguito attratto dal nazionalismo austriaco. Aveva iniziato a covare odio contro la Chiesa e lo avevano messo a insegnare religione. All'inizio manteneva la preghiera con i bambini in classe, ma la sospese quando il regime proibì di pregare nelle scuole. Alla fine di dicembre 1943, Hladnig, intriso di ideologia anticristiana, arrivò a proclamarla apertamente ai bambini durante la lezione di religione. Prese a farlo anche con gli adulti: tenne una conferenza sull'esercito tedesco a un gruppo di insegnanti e colse l'occasione per criticare duramente Cristo e il cristianesimo.IL CANTO E LA MUSICAAnche se temporalmente pochi, i dieci anni da sacerdote padre Heinrich li visse con energia e passione, lavorando molto con bambini e giovani. Trovava una connessione con i giovani attraverso il canto e la musica, incoraggiandoli a partecipare in chiesa. Amava la montagna e spesso organizzava escursioni, anche difficili, che portavano su percorsi complicati a paesaggi mozzafiato. Non sopportava la continua e costante provocazione delle camicie naziste e il loro vagabondaggio per i villaggi con l'obiettivo di controllare tutto. Temeva che facessero il lavaggio del cervello ai suoi parrocchiani, specialmente ai bambini.Il sacerdote cantava canzoni d'amore e di pace con i bambini e dava loro lezioni di musica. Nella sacrestia insegnava che la religione di Cristo richiede di amare gli altri, prendersi cura dei deboli e dei bisognosi. Il Vangelo era il suo libro di riferimento, la sua lettura di ogni sera prima di andare a letto e lo contrastava con le falsità ideologiche del sistema nazista, che esaltava la forza e il disprezzo per i deboli. Va tenuto presente infatti che da un certo punto in poi, il regime nazista proibì agli insegnanti della materia di religione nelle scuole di essere sacerdoti. La materia è stata mantenuta, ma a carico di insegnanti che compiacevano il Partito. Da parte loro, i bambini continuavano ad andare nelle parrocchie per la catechesi. Spesso, lì i preti dicevano loro una cosa, e a scuola, i funzionari ideologizzati dicevano loro il contrario.All'inizio della sua prigionia, il sacerdote scrisse ai suoi genitori con ottimismo considerando che tutto si basava su una questione irrilevante: «Una situazione del genere può essere molto utile per un pastore nella sua esperienza di vita. Nella cella siamo in 17 e questa è una piccola comunità dove posso continuare a svolgere i miei servizi di sacerdote». Con il passare dei giorni, meditò sul suo amore per la Chiesa, che stava crescendo: «Qui c'è un desiderio ancora più profondo di Chiesa, un'istituzione necessaria, un polo che bilancia i tempi che cambiano. Naturalmente dovrà riformarsi e adattarsi ancora molto e capire che le affermazioni teoriche non convincono le persone. Solo la partecipazione alla vita, l'ancoraggio alla terra e l'Incarnazione, creano un contatto immediato con le persone alla ricerca di questa ancora di salvezza».LA CONDANNA A MORTEIn prigione, con la condanna a morte, scriveva ai genitori mettendosi nelle mani di Dio: «Sono orgoglioso di correre la stessa sorte di Cristo. So di essere pieno della più santa gioia. Come sacerdote, sono stato disprezzato e condannato. Niente di mondano o terreno opprime la mia mente. Sono felice di essere stato segnato come testimone di Cristo. Mi renderebbe felice dentro di me sapere che voi siete in grado di pensare all'eternità tanto quanto la penso e la immagino io». Anche tre giorni prima dell'esecuzione il cardinale Innitzer di Vienna stava cercando di chiedere la revisione del processo o un rinvio, ma senza successo. Il giorno della sua esecuzione, il 24 gennaio 1945, Heinrich scrisse a sua sorella Elizabeth: «Mi è stato detto che non avrei dovuto lasciare che tutto accadesse con tanta calma. Penso che sia anche la provvidenza di Dio. Sono totalmente soggetto all'incomprensibilità di Dio, o meglio, sono totalmente soggetto alla sua guida più misericordiosa». Dalla cella disse ai suoi compagni: «Salutate le mie montagne!» e prima che la lama cadesse, proclamò ancora ad alta voce: «Viva il vero Re, viva Cristo!». Un modo per rivendicare Cristo di fronte al falso “Reich” del nazismo.Dopo la liberazione dell'Austria, un becchino aiutò a localizzare il corpo che, su richiesta della madre e del defunto, fu sepolto nel 1946 nella sua parrocchia di San Giorgio. Dal 1986, una targa commemorativa nella chiesa di San Pietro a Lana (Alto Adige) ricorda Heinrich Dalla Rosa. Nel 2010 è stata posta una lapide nell'atrio del Seminario di Graz (Austria) per ricordare i sacerdoti perseguitati e giustiziati dai nazisti. Il vescovo di Graz, Egon Kapellari, ha detto in quell'occasione a proposito dei martiri: «Non vogliamo né dobbiamo dimenticarli, ma anche la società civile dovrebbe assumersi la responsabilità della loro memoria perché hanno vissuto e sono morti per difendere valori che sono parte fondamentale di ogni società democratica: l'onestà e il coraggio».

Il Nostro Pane Quotidiano
Ci penso io - 26 Novembre 2025

Il Nostro Pane Quotidiano

Play Episode Listen Later Nov 26, 2025 2:46


Ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.2 Pietro 3:18

Antisilêncio
#EP102 - EU SOU O QUE EU PENSO? | Kativeiro Cast

Antisilêncio

Play Episode Listen Later Nov 25, 2025 18:27


A sua mente é tipo um cavalo selvagem: linda, forte… e capaz de te arrastar pra longe de tudo que você realmente quer se você largar as rédeas.Pensamento não é ordem. Não é verdade absoluta. Não é você.Se você vive acreditando no primeiro pensamento que aparece, você só tá gastando energia, criando problemas que não existem e deixando seu foco ir pro ralo.Quando você começa a observar antes de acreditar, tudo muda: você escolhe pra onde sua energia vai, o que merece sua atenção e qual narrativa interna vai sustentar a vida que você quer construir.Domar o cavalo é autocuidado. É maturidade. É liberdade.

Convidado
"A UE tem de deixar de olhar para África como um projecto de caridade"

Convidado

Play Episode Listen Later Nov 25, 2025 11:12


Termina esta terça-feira, 25 de Novembro, em Luanda, a 7.ª Cimeira União Africana–União Europeia, sob o lema “Promover a Paz e a Prosperidade através do Multilateralismo Eficaz”. Sérgio Calundungo, Coordenador do Observatório Político e Social de Angola, afirma que esta reunião de alto nível “é o palco ideal para se fazer um reset, dado o seu simbolismo pós-colonial, e criar uma parceria mais justa e equilibrada”. A cimeira de Luanda marca os 25 anos da parceria estratégica União Europeia–União Africana. Que balanço se pode fazer desta parceria? Devia haver o reconhecimento de que o modelo anterior, muito assente na ajuda dos países da União Europeia África, está esgotada do ponto de vista moral e político. Acredito que a cimeira de Luanda é o palco ideal para se fazer um reset, dado o seu simbolismo pós-colonial. Um reset para uma parceria mais justa, mais equilibrada? Sim. Eu acho que o sucesso desta cimeira, ao contrário do que se fazia anteriormente, já não se mede pelo volume de fundos prometidos, mas pela demonstração de que há uma clara mudança de mentalidade. Ou seja, há uma predisposição do lado da União Europeia para abordar a relação não mais como aquele projecto de caridade, como o grande doador, mas como um investimento estratégico, num parceiro que é fundamental para os desafios globais. Estamos a falar da segurança climática, do problema das migrações e da inovação digital. Há aqui uma clara tendência de mudança que deve evoluir de um instrumento de influência para um mecanismo de corresponsabilidade, porque muitas vezes a ajuda que era prestada a esses países era vista sobretudo como um instrumento de influência. E aí poderá estar o ponto de viragem. Esta reunião acontece numa altura em que a União Europeia tenta impor-se face a concorrentes como a China, a Rússia e outros países. Exactamente. Eu creio que deve haver um novo paradigma. Em vez de a União Europeia chegar com soluções ou com a sua agenda de interesses, a cimeira deve lançar bases para o diálogo permanente sobre temas específicos: transições energéticas; quais são os interesses dos países africanos? Quais são os interesses da União Europeia para haver uma transição energética justa? Criação de emprego jovem, governação em termos de assuntos globais. Penso que europeus e africanos, independentemente de depois virem os asiáticos, os norte-americanos ou outros povos, deviam estar nesta fase a desenhar juntos políticas e investimentos cujo objectivo final é uma parceria perceptível e benéfica para cidadãos comuns que estão em Luanda, em Paris, em Lisboa. Que as pessoas pensem que, desta parceria, os cidadãos dos diferentes Estados europeus e africanos sintam melhorias concretas. No centro da agenda está o mecanismo Global Gateway. Este mecanismo poderá contribuir para uma parceria mais justa? A expectativa é que este mecanismo global signifique também uma mudança não só de narrativa, mas sobretudo de mentalidade na interacção entre os povos. Mas, por enquanto, por mais queiramos ser optimistas, a prudência ensina-nos a dizer: “Está lançada uma base. Vamos ver como é que isto se materializa”. A presidente da Comissão Europeia afirmou que a economia global está mais politizada do que nunca, com tarifas e barreiras comerciais utilizadas de forma agressiva. Ursula von der Leyen admitiu que, face a este cenário, a resposta está numa parceria mais forte entre o continente africano e a Europa. O ponto de partida é o comércio. Acredita que esta é a melhor solução para os dois continentes? O comércio foi sempre o grande mote que impulsionou a interacção entre os povos. Quando os navegadores europeus se lançaram pelos mares e tiveram contacto com outros povos, foi exactamente o comércio a mola impulsionadora. Agora é urgente um outro tipo de comércio que assente em vantagens mútuas, dos vários países. Um comércio feito com corresponsabilidade de ambos os povos e assente noutras bases. É preciso que o continente africano também ganhe com este comércio? Eu acredito que há aqui elementos que têm de ser tidos em conta. O primeiro é que esta prosperidade gerada pelo comércio não foi partilhada historicamente - e esta é a grande queixa dos países africanos, ainda que também haja responsabilidades próprias. Não podemos culpar apenas os outros povos. A prosperidade rendeu para alguns povos e para algumas pessoas de ambos os lados; não foi é justamente partilhada. Portanto, a prosperidade partilhada, a responsabilidade com as questões ambientais e sociais inerentes ao comércio e aos projectos é essencial. Ou temos a capacidade de transformar o peso histórico das relações comerciais, que teve muitas vezes um peso negativo, ou não avançamos. É preciso uma parceria comercial entre entes verdadeiramente iguais - e isto nem sempre foi assim. A grande queixa de África é precisamente essa. Reconhecer as mais-valias do continente em termos de recursos minerais, energias renováveis e até também o seu papel nas questões de segurança. É isso a que se refere? Exactamente. É importante incluir abordagens como a capacitação humana. Os nossos recursos naturais são importantes, mas mais importantes ainda são os africanos, as pessoas, e as pessoas contam. É importante trazer ao debate a sustentabilidade, a igualdade de género. Mais do que recursos minerais, mais do que recursos naturais, importa considerar a implicação da exploração desses recursos na sustentabilidade. Que cada negócio com África tenha em conta, no mínimo, três elementos: se é economicamente viável, se é socialmente justo e se é ambientalmente sustentável. A questão migratória está também no centro desta cimeira. O que se pode esperar da política migratória da União Europeia para com o continente africano? A política migratória é incontornável. Há uma crise do paradigma da política migratória europeia. África está num impasse porque a migração foi sempre tratada como uma questão de segurança e controlo, e não como uma questão de desenvolvimento humano, de oportunidades. A nível da União Europeia, sobretudo na ala mais conservadora, o tema é movido pelo pânico político interno. Isto não é apenas uma questão de segurança e controlo de fronteiras; é uma questão de desenvolvimento humano e de oportunidades para os africanos. Há africanos retirados das condições básicas no seu próprio território, o que os obriga a migrar. E era importante deixarmos de olhar para isto com hipocrisia. Temos de debater as causas profundas. Que levam os africanos a deixar o país? Sim. As guerras em África têm uma dimensão internacional muito grande, com vários tipos de interesses. Muitas vezes podem não ser muitos Estados, mas há instituições e empresas ligadas à União Europeia com interesses… Ganham com a instabilidade no continente? Exactamente. Veja o que acontece na RDC, a exploração do Congo. Eu acredito que os países têm de olhar para isto sem grandes complexos e apontar as causas. E dar as respostas certas? Dar as respostas certas, sim. Acho que é isso. A cimeira é também uma oportunidade para se falar desses aspectos. O chefe de Estado de Angola, que lidera a presidência rotativa da União Africana, apelou a mecanismos de reestruturação da dívida mais justos e a uma reforma da arquitectura financeira mundial, dando mais peso aos países africanos nas instituições financeiras internacionais. O apelo de João Lourenço será levado em conta? Eu acredito que o Presidente esteve muito assertivo e corporiza muito do que várias vozes africanas têm defendido. E, antes de falar da reforma da arquitectura financeira internacional, fala-se já da reforma dos grandes sistemas - como o sistema das Nações Unidas. Não faz sentido termos um sistema montado desde 1945 ou 1947 pelos vencedores da Segunda Guerra Mundial. A União Europeia tem vários países membros do Conselho de Segurança. Sem hipocrisias, poderia ser a primeira a dar o empurrão para que essa reforma ocorra. A segunda reforma necessária é claramente a do sistema financeiro internacional. Os africanos já perceberam que aquilo que recebem, como ajuda ou doação, é muitas vezes inferior ao que sai dos seus países, por vezes de forma ilícita. Há uma fuga enorme de capitais. Há um sistema internacional que, por vezes de forma ilegal, facilita isso. É uma hemorragia de recursos financeiros do nosso continente. Faz sentido, portanto, repensar. E há ainda a questão da Ajuda Internacional ao Desenvolvimento. Eu acho que o Presidente da República de Angola assume aqui um posicionamento que tem sido defendido por muitas vozes em África e também, embora minoritárias, na Europa. Ou seja, que seja reconhecido o peso do continente africano? Que seja reconhecido o peso e que seja reconhecida a necessidade de uma nova arquitectura financeira. No fim destas cimeiras fazem-se grandes promessas, renova-se a esperança e o compromisso. Mas, com este sistema financeiro, não chegamos lá. Há que o renovar. O sistema financeiro é um instrumento fundamental para materializar aquilo a que nos comprometemos neste tipo de cimeiras. A FLEC-FAC instou a União Europeia e a União Africana a tomarem medidas práticas para garantir o processo de descolonização de Cabinda, permitindo ao povo de Cabinda exercer o direito à autodeterminação. Acha que esta questão estará em cima da mesa? Tenho muitas dúvidas de que esta seja uma questão que estará em cima da mesa, até porque imagino que Angola, nesta cimeira, está reunida entre pares e, até onde sei, todos os países reconhecem o território angolano como uno e indivisível. Portanto, não vejo como poderá ser acolhida. Entendo que, para a FLEC, é sempre uma boa oportunidade para lançar ao público a sua reivindicação histórica. Mas não acredito que os líderes presentes nesta cimeira dediquem tempo a discutir isso, até porque este é um tema tabu e muitos entenderiam esta discussão como ingerência em assuntos internos do nosso país.

Radio Rossonera
Inter-Milan, la moviola di Marelli: “Rigore complesso, la penso così”

Radio Rossonera

Play Episode Listen Later Nov 24, 2025 1:17


L'intervento di Luca Marelli, commentatore tecnico arbitrale di DAZN, sul rigore perl'Inter nel derby contro il MilanDiventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/radio-rossonera--2355694/support.

Learn Italian with LearnAmo - Impariamo l'italiano insieme!
Padroneggia il Congiuntivo INDIPENDENTE: Desideri, Dubbi e Ordini in Italiano

Learn Italian with LearnAmo - Impariamo l'italiano insieme!

Play Episode Listen Later Nov 23, 2025


Ti sei mai chiesto perché in italiano diciamo "Che tu sia benedetto!" oppure "Magari avessi più tempo!"? In questi casi il congiuntivo appare in frasi che stanno in piedi da sole, senza dipendere da nulla. Questo è il congiuntivo indipendente, molto diffuso nella lingua italiana per esprimere desideri, ordini, dubbi e supposizioni. Con questa guida completa, imparerai a usarlo come un vero madrelingua italiano. Il Congiuntivo INDIPENDENTE: Quando usarlo da solo Cos'è il Congiuntivo Indipendente? Facciamo chiarezza su questo concetto. Normalmente, quando studi il congiuntivo, lo vedi sempre in frasi dipendenti, giusto? Per esempio: "Penso che tu abbia ragione" oppure "Voglio che tu venga con me". In questi casi, il congiuntivo dipende da un verbo principale (penso, voglio) che regge l'intera costruzione. Tuttavia, il congiuntivo può anche essere indipendente, cioè può apparire in frasi che stanno in piedi da sole, senza dipendere da un'altra frase. Ecco perché si chiama "indipendente" – è autonomo nella sua funzione comunicativa. Queste frasi esprimono emozioni, desideri, dubbi, ordini o supposizioni in modo diretto e immediato. Il congiuntivo indipendente è estremamente comune nella lingua parlata italiana, specialmente nelle espressioni emotive e colloquiali. Una volta che padroneggerai questo uso, il tuo italiano suonerà molto più naturale e autentico. I Diversi Tipi di Congiuntivo Indipendente Vediamo ora tutti i casi principali in cui si usa il congiuntivo indipendente. Presta attenzione, perché sono diversi e ognuno ha una funzione comunicativa specifica. Analizzeremo ogni tipo nel dettaglio con numerosi esempi pratici che potrai utilizzare fin da subito nelle tue conversazioni quotidiane. 1. Congiuntivo Esortativo (per Dare Ordini o Inviti) Il congiuntivo esortativo si usa per dare ordini, inviti o esortazioni. Si usa in sostituzione dell'imperativo per le persone mancanti (terza persona singolare/plurale, prima persona plurale) o per il Lei con cortesia. È molto formale ed elegante, perfetto per situazioni professionali o quando si vuole mantenere un tono rispettoso. Quando si Usa il Congiuntivo Esortativo? Si utilizza questa forma quando si vuole: Dare ordini formali alla terza persona singolare o plurale Fare inviti cortesi usando il "Lei" formale Proporre azioni di gruppo alla prima persona plurale (noi) Esortare qualcuno a fare qualcosa con eleganza Esempi Pratici con la Terza Persona Singolare (Lei Formale) "Entri pure, signora!" (Lei formale – equivale a "entra!" ma con cortesia)"Venga con noi, professore!" (invito formale a una persona di riguardo)"Si accomodi, prego!" (ordine/invito cortese molto comune in contesti formali)"Stia attento!" (ordine alla terza persona singolare)"Prenda questa strada e poi giri a destra!" (indicazioni formali)"Mi dica pure tutto, dottore!" (invito a parlare liberamente) Esempi con la Terza Persona Plurale (Loro Formale) "Si accomodino, prego!" (ordine/invito cortese al plurale)"Entrino pure, signori!" (invito formale a più persone)"Facciano ciò che vogliono!" (permesso totale con tono formale)"Abbiano pazienza, per favore!" (richiesta cortese di attesa) Attenzione alla Prima Persona Plurale (Noi)! Alla prima persona plurale (noi), il congiuntivo esortativo è comunissimo nella lingua parlata italiana: "Andiamo al cinema!" (proposta di attività)"Facciamo una pausa!" (suggerimento di riposare)"Parliamo di questo problema!" (invito alla discussione)"Usciamo a cena stasera!" (proposta per la serata)"Vediamo cosa possiamo fare!" (esortazione a trovare soluzioni) Nota importante: In questo caso, congiuntivo e indicativo hanno la stessa forma per la prima persona plurale, ma la funzione è esortativa, quindi si sta di fatto usando il congiuntivo. La differenza si percepisce dal contesto e dall'intonazione: quando si propone o si invita, si usa il congiuntivo esortativo. 2. Congiuntivo Ottativo (per Esprimere Desideri) "Ottativo" deriva dal latino "optare" e significa "desiderare". Si usa questo congiuntivo per esprimere un desiderio, un augurio o una speranza. Spesso è introdotto da parole come "magari", "se solo", "oh se", "almeno" oppure "che". Questo è probabilmente l'uso più emotivo e personale del congiuntivo indipendente. Funzione e Uso del Congiuntivo Ottativo Esprime un desiderio realizzabile nel presente o futuro: "Magari venisse!" (desiderio che potrebbe avverarsi) Esprime un rimpianto per il passato: "Oh, se avessi studiato di più!" (rimpianto per qualcosa che non è accaduto e ora è troppo tardi) Esprime auguri e benedizioni: "Che Dio ti benedica!" (augurio formale) Esprime fantasie irrealizzabili: "Se fossi un uccello!" (desiderio impossibile) Esempi con "Magari" (Molto Comune!) Desideri per il presente/futuro (congiuntivo imperfetto):"Magari piovesse un po'!" (desiderio che piova)"Magari vincessi alla lotteria!" (desiderio di vincere soldi)"Magari ci fosse un corso sui verbi pronominali!" (desiderio di avere qualcosa che non c'è)"Magari smettesse di nevicare!" (desiderio per il presente)"Magari tornasse presto!" (speranza che qualcuno ritorni) Rimpianti per il passato (congiuntivo trapassato):"Magari avessi studiato di più!" (rimpianto per non aver studiato abbastanza)"Magari avessi ascoltato i tuoi consigli!" (rimpianto per non aver seguito i consigli)"Magari avessimo preso l'altra strada!" (rimpianto per una scelta passata)"Magari non fossi andato a quella festa!" (rimpianto per un'azione passata) Esempi con "Che" (Auguri Formali) "Che Dio ti benedica!" (augurio religioso)"Che tu possa essere felice!" (augurio di felicità)"Che il cielo ti aiuti!" (augurio solenne)"Che la fortuna ti assista!" (augurio di buona sorte)"Che tu possa realizzare tutti i tuoi sogni!" (augurio per il futuro)"Che vada tutto bene!" (augurio comune prima di un evento importante) Esempi con "Se" o "Se Solo" (Desideri Impossibili) "Se solo avessi più tempo!" (rimpianto per la mancanza di tempo)"Oh se potessi tornare indietro!" (desiderio impossibile di cambiare il passato)"Se fossi ricco!" (fantasia sulla ricchezza)"Se avessi le ali!" (desiderio impossibile di volare)"Oh se potessi leggere nel pensiero!" (fantasia sui superpoteri) Esempi con "Almeno" (Desiderio Minimo) "Almeno smettesse di piovere!" (desiderio minimo sul tempo)"Almeno mi avesse avvertito!" (rimpianto per mancanza di comunicazione)"Almeno provasse a capirmi!" (desiderio di comprensione)"Almeno facesse silenzio!" (richiesta di tranquillità) 3. Congiuntivo Concessivo (per Fare Concessioni) Il congiuntivo concessivo si usa per ammettere o concedere qualcosa, spesso seguito da un'opposizione o da un'obiezione. È accompagnato da parole come "pure", "anche" o semplicemente senza introduttori, oppure introdotto da espressioni come "ammettiamo che", "sia pure che" o "anche se". Come Funziona? È come dire: "Ok, ammetto questo punto, MA..." – è una concessione seguita spesso da un'opposizione. Si usa quando si vuole riconoscere un punto di vista altrui pur mantenendo la propria posizione. È molto utile nelle discussioni e nei dibattiti per apparire ragionevoli pur non cedendo completamente. Esempi Pratici "Sia anche come dici tu, ma io non sono d'accordo!" (va bene, ammetto che potrebbe essere così, ma...)"Dica quello che vuole, a me non interessa!" (può dire tutto ciò che vuole, ma non mi importa)"Faccia pure come crede!" (libertà totale, fai come vuoi)"Venga pure, tanto non cambierà nulla!" (può venire, ma sarà inutile)"Ammettiamo pure che la tua casa sia più piccola della mia: non per questo devi provare odio nei miei confronti!" (concessione seguita da obiezione)"Siano pure più bravi di noi, ma noi abbiamo più esperienza!" (ammissione con riserva)"Dica quel che vuole, io non cambio idea!" (concessione di libertà di parola ma mantenimento della propria posizione) 4. Congiuntivo Dubitativo (per Esprimere Dubbi e Incertezze) Il congiuntivo dubitativo esprime dubbio, incertezza o perplessità. Spesso è introdotto da "che", "non" oppure appare in domande retoriche. Questo tipo di congiuntivo è estremamente comune nella lingua parlata italiana, specialmente quando si pensa ad alta voce o si esprime preoccupazione. Quando si Usa? Quando usi il congiuntivo dubitativo, stai fondamentalmente pensando ad alta voce, esprimendo un'ipotesi o un'incertezza su qualcosa. È il modo più naturale per un italiano di esprimere dubbi senza fare affermazioni categoriche. Molto usato in contesti informali tra amici e familiari. Esempi con "Che" (Forma più Comune) "Che sia lui il colpevole?" (mi chiedo se sia lui...)"Che abbiano dimenticato l'appuntamento?" (dubbio, perplessità sul motivo della loro assenza)"Che abbia detto la verità?" (incertezza sulla veridicità)"Che stia male?" (preoccupazione e dubbio sulla salute di qualcuno)"Che siano già partiti?" (dubbio su un'azione già compiuta)"Che abbia perso il treno?" (ipotesi sul ritardo di qualcuno)"Che siano troppe informazioni?" (dubbio sulla quantità di informazioni fornite) Esempi con "Non" (Dubbio con Negazione) "Non sappia lui la risposta?" (domanda dubitativa con tono di sorpresa)"Non abbia capito bene?" (dubbio sulla comprensione)"Non sia il caso di chiamare un medico?" (dubbio che suggerisce un'azione) Contesto d'Uso Il congiuntivo dubitativo è particolarmente utile quando: Non si vuole fare un'affermazione diretta Si cerca di essere diplomatici Si esprime preoccupazione in modo delicato Si vuole coinvolgere l'interlocutore nel ragionamento 5. Congiuntivo Suppositivo (per Fare Supposizioni) Il congiuntivo suppositivo è simile al dubitativo, ma si usa per fare supposizioni e ipotesi più che per esprimere veri dubbi. Spesso è introdotto da "che" oppure da espressioni come "poniamo che", "ammesso che", "supponiamo che",

Impara l'inglese con LinguaBoost
Lezione 29: Opinioni

Impara l'inglese con LinguaBoost

Play Episode Listen Later Nov 9, 2025 7:31


In questa lezione imparerai le seguenti frasi: Penso di sì. / Forse. / Vabbé. / Davvero? / Non ricordo. / Certo. / Certo che no.

Impara lo spagnolo con LinguaBoost
Lezione 29: Opinioni

Impara lo spagnolo con LinguaBoost

Play Episode Listen Later Nov 9, 2025 7:44


In questa lezione imparerai le seguenti frasi: Penso di sì. / Forse. / Vabbé. / Davvero? / Non ricordo. / Certo. / Certo che no.

Impara il francese con LinguaBoost
Lezione 29: Opinioni

Impara il francese con LinguaBoost

Play Episode Listen Later Nov 9, 2025 7:45


In questa lezione imparerai le seguenti frasi: Penso di sì. / Forse. / Vabbé. / Davvero? / Non ricordo. / Certo. / Certo che no.

Vox Vampyrica
A Própria Carne e o Horror Cósmico na Vox Vampyrica

Vox Vampyrica

Play Episode Listen Later Nov 7, 2025 19:52


Hoje o papo é sobre o filme "A Própria Carne" um terror nacional de primeira linha que tem na produção Deive Pazos, Alexandre Ottoni e Carolina Alves, direção de arte de Martino Piccinini e como diretor Ian SBF (Entre Abelhas, Porta dos Fundos)temos uma combinação explosiva e muito bem alinhada que leva os filmes de terror produzidos no Brasil para além da sua bolha social dos seus numerosos apreciadores para uma audiência ainda maior. Fato é que Deive (Azhagal) e Alexandre são as mentes criativas do icônico Jovem Nerd e uma referência inabalável da cultura geek sul-americana. Penso que a criação de “A Própria Carne” traz esse tom apaixonado de insiders e apreciadores da obra lovecratitiana e também a coragem para romper alguns dos seus grilhões e o atualizarem muito bem para a cultura pop dos nossos dias.Já nas primeiras semanas entre a pré-estreia, as primeiras exibições em eventos de nicho e a grande estreia alinhada em parceria com a Cinemark o filme já abocanhou prêmios, prestígio e reconhecimento. O destaque dado a equipe e a produção durante a edição 2025 da Horror Expo, posicionam a película, como um marco incontornável neste nicho. A declaração de que “este é um filme que José Mojica Marins teria adorado”, feita por sua filha e herdeira Liz Marins nas redes sociais, coroou a obra.Às vezes, sinto um arrepio quando penso que a maior misericórdia do universo é nos deixar meio cegos e surdos para a realidade maior. Lovecraft acertou: não enxergamos o todo porque, se víssemos, um surto irrestrito seria nossa próxima parada. Não há herói, não há centro — só um vazio que não nos odeia, simplesmente não nos vê. Somos formigas num experimento esquecido por deuses que dormem ou nem sabem que existimos largados em uma prateleira qualquer - tipo um planeta, por exemplo. Um filósofo norueguês e montanhista chamado Peter Wessel Zapff acrescentaria que consciência da realidade é um equívoco biológico, mais consciência, mais dor sendo a mesma uma sirene de alerta interminável sobre a dor e a morte que se entendida pela humanidade esta deixaria de reproduzir e se findaria. A esperança para evitar isso eram algumas estratégias e a capacidade de tornar esta dor em arte. O terror enquanto gênero artístico é a maneira com a qual lidamos e aliviamos tudo isso.

Voz de Cama
10 anos depois ainda penso nele

Voz de Cama

Play Episode Listen Later Nov 6, 2025 8:49


Uma ouvinte sente-se angustiada e culpada pelo fim de uma relação do passado e questiona-se se devia retomar contacto

Artes
Sons da Liberdade: 50 anos de independência de Angola ouvidos através do Semba

Artes

Play Episode Listen Later Nov 5, 2025 17:25


Angola celebra 50 anos de independência e a sua história pode ouvir-se no Semba, através do ritmo que denunciou o colonialismo, uniu o país e continua a pulsar nas novas gerações. Para o antropólogo André Castro Soares, o Semba é “um testemunho histórico e político”, uma expressão da dor, da festa e da esperança de um povo que, mesmo entre guerras e desafios, nunca deixou de dançar pela liberdade.  Angola assinala na próxima semana 50 anos de independência, a 11 de Novembro, meio século de caminhos cruzados entre a esperança, a reconstrução e os desafios de um país que continua a reinventar-se. Desde 1975, a música tem sido uma das mais fiéis testemunhas da história angolana: um espaço onde se escutam as memórias da luta, as vozes da resistência e as novas sonoridades que dão forma à identidade contemporânea. O antropólogo português André Castro Soares, autor da tese “Semba enquanto património material, políticas e imagens e sonoridades da cultura em Angola”, tem dedicado a sua investigação a compreender esse percurso. Para ele, “o Semba não é apenas uma expressão artística, mas um testemunho histórico e político capaz de revelar as múltiplas camadas da vida angolana desde 1975 até hoje”. Ao olhar para os 50 anos de independência, André Castro Soares defende que a história de Angola pode ser lida através das suas canções. “É o Semba que vai, de alguma forma, denunciar a presença colonial e o jugo colonial, sobretudo a partir dos anos 60 e 61. 61 é um ano horríbilis do governo do Estado Novo de Salazar”, recorda. Foi nesse momento que começou a guerra colonial, e “esse movimento vai ser acompanhado pelos músicos, pelos que começam, de forma encapotada, a lançar as suas mensagens, aquilo que chamo na minha tese de recados, para que a população se juntasse à luta pela independência fora do jugo colonial português”. Entre esses músicos, destaca-se Liceu Vieira Dias, figura central na génese do nacionalismo musical. “O grande autor, o grande pensador e poeta dessas sonoridades foi, sem dúvida, Liceu Vieira Dias, que com a música Feiticeira, isso está bem descrito num filme de Jorge António, vai, de forma encapotada, anunciar a forma como o poder colonial podia ser combatido”, explica o antropólogo. “Essa música Muxima, coração, vai marcar sonoramente esse período”, acrescenta, sublinhando que outras canções, como Umbi Umbi, exprimem esse mesmo sentimento de resistência e de dor. “O Muxima é o mais emblemático”, afirma Castro Soares. “É um lamento. O Semba tem várias formas, há o Semba de carnaval, festivo, mas também há o Semba de lamento. E essas músicas de lamento são universais, acompanham as formas de vivência dos povos negros subjugados à escravatura e à violência. Quando falo de lamento, falo, por exemplo, da Soul music nos Estados Unidos, do Semba em Angola e do Samba no Brasil.” Essa dimensão espiritual e emocional faz do Semba, segundo o investigador, “um género que surge do sofrimento das pessoas negras e que é, por isso, fundamental para marcar a paisagem sonora da independência”. Com o fim do domínio colonial, o Semba tornou-se património simbólico e material da nova nação. “A angolanidade não é um conceito consensual”, reconhece Castro Soares, “mas através da música podemos pensar num aglutinador do que seria o mais próximo deste conceito, um espaço de consensualidade cultural, onde as pessoas daquele território se revissem de alguma forma”. Num país de enorme diversidade étnica e linguística, o Semba, explica, “é talvez o género musical que melhor se aproxima desse trabalho de consenso, dessa procura de unidade nacional”. “Luanda tem um poder magnético muito grande”, acrescenta o antropólogo. “Concentra grande parte de todas as populações do vastíssimo território das 18 províncias. Penso que o Semba poderá ser uma boa banda sonora da angolanidade, ou o mais próximo daquilo que é a angolanidade, apesar de algumas pessoas não gostarem de o pôr aí. Mas o Semba retrata, relata e ilustra de forma sonora a vivência dos angolanos.” Essa vivência é inseparável das chamadas festas de quintal, que, segundo o investigador, “são uma célula cultural onde se ouve todo o tipo de música, mas onde o Semba tem um papel fundamental de união e de construção de diálogo”. Essa dimensão comunitária da música estende-se, para Castro Soares, à vida familiar e quotidiana. “A sentada familiar é uma marca de angolanidade até mais importante que a própria música”, defende. “É o lugar onde se transmite conhecimento, aquilo que chamo transmissão de conhecimento aural — não apenas oral, porque envolve a escuta e o corpo todo. É uma incorporação de saberes ancestrais que vai muito para além da construção da nova nação.” Mas o percurso musical de Angola também foi marcado por silêncios e medos. “O espaço musical foi muito afectado por um acontecimento: a purga dentro do MPLA em 1977”, lembra André Castro Soares. “Esse episódio, que teve contornos de massacre, implicou uma imposição de medo geral em relação à contestação ao poder instituído, e esse medo vai acompanhar até aos dias de hoje.” Mesmo assim, a música nunca deixou de ser um território de resistência. “Os músicos conseguiram ler muito bem os limites impostos pela política. Hoje continuam a falar através de recados, como o Paulo Flores, que usa a canção para denunciar as injustiças do poder político.” Com o passar das décadas, novos estilos emergiram e redefiniram o espaço sonoro angolano. “Depois do Semba, vieram o Kuduro e a Kizomba, que tiveram grandes impactos na diáspora africana e angolana no exterior”, observa o antropólogo. “A Kizomba, que eu costumo chamar um abraço que os angolanos dão a todas as pessoas, até às pessoas racistas, é uma música que consegue juntar pessoas muito diferentes, dentro e fora do país. É um excelente antídoto contra o racismo. Essa é, para mim, a principal lição que os angolanos deram à contemporaneidade: é possível juntarmo-nos e abraçarmo-nos independentemente das nossas diferenças.” Sobre as novas gerações, André Castro Soares vê nelas um diálogo vivo com o passado. “Há todo um diálogo feito pelas novas gerações, ainda que algumas sem memória directa desse passado, mas transmitido pelos pais e pelos antepassados e também por via da educação.” O antropólogo insiste que “Angola não é um Estado falhado, é um Estado com dificuldades e idiossincrasias, que ainda não teve grande alternância política, nem uma democratização plena, mas o caminho está a ser construído e deve ser marcado pelos próprios angolanos. É uma população muito jovem e capaz de fazer releituras e visões para o seu futuro.” Quando se escuta a Angola de hoje, os sons são múltiplos, mas há sinais de regresso às origens. “Tem havido uma procura da essência do que é angolano”, afirma. “As pessoas perderam a utopia dos anos 80, tornaram-se mais realistas, e há uma vontade de voltar aos instrumentos acústicos e tradicionais, como a Dikanza, um instrumento de fricção feito a partir da natureza.” Essa recuperação, diz, “é uma forma de resgatar património, um passado que foi negado pela guerra civil e por um sistema educativo débil, mas que as pessoas estão a reconstruir de forma informal, fora da tutela do Estado.” Entre os artistas actuais, André Castro Soares destaca “Yúri da Cunha, que tem uma proposta musical muito interessante no sentido de procurar as raízes e a festa de quintal”, bem como “Paulo Flores, que continua a apresentar trabalhos com grande profundidade”, e ainda “Eduardo Paim, vindo da Kizomba, que tem feito remisturas com outros estilos como o Zouk”. Também as novas fusões mostram vitalidade: “Dentro do Afrobeat, há várias misturas entre o Kuduro e o Amapiano da África do Sul, o continente influencia-se mutuamente e vai marcando os gostos de uma juventude que tem outras preocupações do que a juventude que fez a independência.” Cinquenta anos depois da proclamação da independência, a música continua a ser, como conclui André Castro Soares, “um marcador cultural fundamental” e “o espaço onde os angolanos se escutam, se reencontram e se reinventam”. Entre o lamento e a festa, o Semba permanece a batida da liberdade, o som de um povo que aprendeu, mesmo em tempos de silêncio, a falar através da música.

Convidado
Guiné-Bissau: PAIGC apoia Fernando Dias para “combater tentativa de impor tiranias no país”

Convidado

Play Episode Listen Later Nov 4, 2025 9:54


O PAIGC formalizou o apoio ao candidato presidencial independente Fernando Dias da Costa. O acordo surge depois da rejeição da candidatura do presidente do PAIGC às presidenciais e da coligação PAI-Terra Ranka às legislativas. Em entrevista à RFI, Domingos Simões Pereira, presidente do partido PAIGC, explica que “perante a supressão quase total dos direitos fundamentais, não há sacrifício que não possa ser consentido” para “combater esta tentativa de impor tiranias no nosso país”. O Partido Africano para a Independência da Guiné e Cabo verde, PAIGC, formalizou esta segunda-feira, 03 de Novembro, o apoio ao candidato presidencial independente Fernando Dias da Costa, herdeiro do barrete vermelho de Kumba Ialá e dirigente de uma das alas do PRS, Partido da Renovação Social. O acordo surge depois da rejeição da candidatura do presidente do PAIGC, Domingos Simões Pereira, às presidenciais e da coligação PAI-Terra Ranka às legislativas. RFI Português: Em que é que consiste este acordo? Domingos Simões Pereira, presidente PAIGC: Quem acompanha a actualidade política guineense deve saber que através de uma manipulação flagrante e escandalosa da nossa Corte Suprema, o PAIGC, os partidos que constituem a coligação e o seu respectivo candidato às eleições presidenciais, que era eu próprio, foram impedidos de participar nas eleições marcadas para o dia 23 de Novembro. Durante as últimas semanas, demos a conhecer o carácter escandaloso dessa decisão porque, por exemplo, no caso do candidato presidencial, a sua candidatura nem chegou à plenária do Supremo Tribunal de Justiça. Portanto, é este o quadro político actual na Guiné-Bissau. O PAIGC e, mais uma vez, os partidos que constituem a nossa condição compreendem que têm uma missão, têm uma missão de representar o povo guineense, de convocar o povo guineense para resgatar a liberdade, os direitos fundamentais e repor a normalidade constitucional. Para esse efeito, dos cinco candidatos que manifestaram interesse de poder contar com o nosso apoio, a nossa análise conduziu-nos à retenção do Fernando Dias da Costa, como o que está melhor posicionado, o que reúne os critérios que nós estabelecemos para decidir aportar-lhe o nosso apoio. Prefiro precisar da seguinte forma: em vez de dizer que nós estamos a aportar o nosso apoio, nós achamos que o Fernando Dias da Costa é a personalidade que neste momento encaixa melhor na nossa estratégia para continuar esta luta e poder resgatar o Estado de Direito Democrático na Guiné-Bissau. Quais foram os compromissos estabelecidos com esta formalização do apoio do PAIGC ao candidato Fernando Dias da Costa? Há aqui um compromisso para a campanha eleitoral, mas para o pós-eleitoral, em caso de vitória, também há? Sim. No pré-eleitoral nós aportamos o apoio possível, convocamos os nossos apoiantes, militantes, simpatizantes, o povo em geral a se juntar a nós e a votar no candidato Fernando Dias da Costa. E o Fernando Dias da Costa se compromete a repor a normalidade constitucional: a permitir que a Assembleia Nacional Popular possa ser restabelecida e, uma vez estabelecida, os outros órgãos de soberania possam funcionar em estrito respeito da nossa Constituição, o que não tem sido o caso. Portanto, temos todos os órgãos da soberania ameaçados ou condicionados no seu funcionamento. Mas quem é que ganha com este acordo? É o PAIGC ou é Fernando Dias? Espero que seja o povo guineense a quem nós estamos a dar uma opção. Porque não participar seria pedir ao povo guineense que seja o próprio a decidir de que forma enfrentar este quadro ditatorial. Sabemos que estamos perante um quadro difícil de explicar. Sabemos que estamos constrangidos a realidades que não são as normais. Compete a partidos políticos, neste caso com a missão histórica que o PAIGC tem, apresentar um quadro que facilite essa decisão junto do povo. É o que nós tentamos fazer. Portanto, não estamos aqui numa avaliação de quem ganha. Estamos numa lógica de propor ao povo guineense uma solução que possa manter-nos activos na luta política para o restabelecimento da normalidade. É a primeira vez que o PAIGC se vê impedido de participar numas eleições na Guiné-Bissau. Estavam esgotadas todas as diligências na Justiça? E porque não o boicote em vez de apoiarem um candidato? Se estavam esgotadas? Eu estou inclinado em dizer-lhe que não. Até porque até este momento, enquanto falamos, não há nenhuma decisão do Supremo Tribunal de Justiça a dizer por que razão é que eu não sou candidato e a participar das eleições presidenciais. Portanto, nós conhecemos as regras e se há uma entidade que se devia sentir obrigada a respeitar as regras, devia ser o Supremo Tribunal de Justiça. Mas esta é a realidade que nós vivemos na Guiné-Bissau. Uma realidade em que é impossível convencer a plenária do Supremo, uma vez que os dossiers não chegam à plenária do Supremo. Portanto, esta é a realidade.  Fala-me em boicote e eu garanto-lhe que nós consideramos essa opção. Mas o fenómeno boicote funciona bem e tem impacto nos países onde há uma prestação de contas, onde há um acompanhamento, onde a ética e a moral acompanham o exercício político. E, portanto, a partir de uma determinada fasquia de abstinência, se consideraria pouco legitimada a decisão popular. Mas nós sabemos o que temos em frente e sabemos que, mesmo que fossem só 10% dos guineenses a votar, Umaro Sissoco Embaló iria se autoproclamar como legítimo, plenamente reconhecido no cargo.  Por isso é que depois de analisar todas as opções, os partidos que constituem a nossa coligação entendem manter-se no activo neste processo político e escolher ir ao combate e tentar, por via do Fernando Dias da Costa, que o povo guineense tenha a opção de poder derrotar Umaro Sissoco Embaló nas urnas. Esta decisão não pode, eventualmente, deixar o eleitorado guineense confuso. Como é que o PAIGC vai convencer os seus eleitores a votar em Fernando Dias? Trata-se de uma candidatura independente, mas Fernando Dias é o herdeiro do barrete vermelho de Kumba Ialá e representa uma ala do PRS. Até agora; PRS e PAIGC eram rivais políticos, deixaram de o ser? Obviamente que não. Até porque se estivéssemos a falar de eleições legislativas, estaríamos a falar de outra forma. Mas deixe-me expandir esta minha análise em três grandes momentos. Penso que há uma coisa que não deve surpreender aos guineenses, desde 2014 que eu fui escolhido para dirigir o PAIGC, em três ocasiões vencemos eleições legislativas e eu nunca deixei de convidar outros partidos, nomeadamente o PRS, a nos acompanhar na governação. Tanto em 2014 como em 2018, como em 2023. Portanto, há aqui um princípio estabelecido de juntar a família guineense e propor soluções que sejam nacionais. Por outro lado, é importante que as pessoas conheçam a própria resenha histórica, o PRS sai do PAIGC. No período da luta de libertação, aquele a que nós designávamos por combatente, juntava, de um lado, o político e, do outro, o guerrilheiro. Com o evento da independência e posteriormente com o fenómeno democrático, o PAIGC foi o partido que se sentiu obrigado a separar de novo o político do combatente, aquele que passou a ser membro das Forças Armadas. Essa imposição foi exclusiva ao PAIGC, o que levou a que muitos militantes do PAIGC, por força da sua pertença às Forças Armadas, abandonassem o PAIGC e isso favoreceu a criação do PRS. Portanto, pode ser que até esta circunstância venha a favorecer uma reunificação que poderia ter um impacto político importante. Há ainda um outro elemento que eu não considero menos importante: todo o guineense é obrigado a acompanhar os últimos seis anos, que são os anos do mandato de Umaro Sissoco Embaló. E compreender que, perante aquilo que nós temos vivido, que é a supressão quase total dos direitos fundamentais, não há sacrifício que não possa ser consentido. Nós estamos a convocar a nação guineense para, todos juntos, esquecermos um bocado as nossas diferenças e salvarmos aquilo que é essencial.   Ou seja, pôr de lado as diferenças em nome de um bem maior. Absolutamente. Eu penso que não encontro dificuldade nenhuma em sustentar esta tese, porque esta tese corresponde àquilo que eu sempre representei no contexto político da Guiné-Bissau. Enquanto presidente do PAIGC vai participar na campanha eleitoral? Absolutamente. Sou um cidadão livre e militante de um partido que está a aportar o seu apoio a um candidato. E, portanto, obviamente que vou participar da campanha eleitoral. E não é uma campanha com sabor amargo por ter sido excluído da corrida? É muito amargo. Mas, tal como estou a convidar a nação guineense, devemos transformar esse amargo numa determinação para lutar e não o contrário. Devemo-nos mobilizar, devemos compreender que há uma coisa que não nos conseguem tirar, que é o direito ao voto. E esse voto deve servir de arma para, de facto, combater esta tentativa de impor tiranias no nosso país.

Zuppa di Porro
Cori fascisti nella sede di FdI, ecco cosa ne penso

Zuppa di Porro

Play Episode Listen Later Nov 1, 2025 23:51


Zuppa di Porro. Sfida per i referendum: l’anm fa il comitato per il No. Travaglio trova l’occasione buona per sparare sulla famiglia Vespa. Cori fascisti nella sede di Fdi e succede un casino. Sondaggi cdx avanti come sempre. Maxisequestro azioni Campari. Le femministe e lo stalking e le loro chat di insulti: ok ma non […]

Medita Cristão
O modelo cartesiano de sujeito pensante

Medita Cristão

Play Episode Listen Later Oct 27, 2025 26:52


Para Thomas Merton nada é mais estranho para a Contemplação do que o modelo cartesiano do "Penso, logo existo" de René Descartes. No caminho contemplativo, o ser humano descobre que sua existência não depende do pensamento, mas de algo mais profundo: a consciência silenciosa que permanece quando o pensamento se aquieta."No silêncio do intelecto, Deus é conhecido. Quando o pensar cessa, o Ser se revela".

Learn Italian with LearnAmo - Impariamo l'italiano insieme!
La Concordanza dei Tempi in Italiano: una Guida Facile

Learn Italian with LearnAmo - Impariamo l'italiano insieme!

Play Episode Listen Later Oct 23, 2025 24:51


La consecutio temporum (o concordanza dei tempi) è uno dei pilastri fondamentali della grammatica italiana. Si tratta di un insieme di regole che stabiliscono quale tempo verbale deve essere utilizzato nelle frasi subordinate in relazione al tempo del verbo della frase principale per esprimere un determinato legame temporale. La Consecutio Temporum: Esprimere Anteriorità, Contemporaneità e Posteriorità in Italiano Che Cos'è la Consecutio Temporum La consecutio temporum determina la relazione temporale tra l'azione della frase principale (o reggente) e quella della frase subordinata. Questa relazione può esprimere tre rapporti temporali fondamentali: contemporaneità (le azioni avvengono nello stesso momento), anteriorità (l'azione della subordinata avviene prima) e posteriorità (l'azione della subordinata avviene dopo). Il sistema della consecutio temporum italiano distingue principalmente tra due modalità: la concordanza con l'indicativo (per esprimere fatti reali e certi) e la concordanza con il congiuntivo (per esprimere possibilità, dubbi, desideri o dipendenze da verbi che richiedono il congiuntivo). La Consecutio Temporum con l'Indicativo Quando la frase principale ha il verbo all'indicativo, la subordinata utilizza anch'essa l'indicativo per esprimere azioni reali e concrete. La scelta del tempo dipende dal rapporto temporale tra le due azioni. Quando la Principale è al Presente Se il verbo della principale è al presente indicativo, nella subordinata si usa: Presente per la contemporaneità: "So che Maria studia in biblioteca" Passato prossimo o imperfetto per l'anteriorità: "So che Maria ha studiato ieri" / "So che Maria studiava quando l'hai chiamata" Futuro semplice per la posteriorità: "So che Maria studierà domani" Quando la Principale è al Passato Se il verbo della principale è a un tempo passato (passato prossimo, imperfetto, passato remoto, trapassato prossimo), nella subordinata si usa: Imperfetto per la contemporaneità: "Sapevo che Marco lavorava in banca" Trapassato prossimo per l'anteriorità: "Sapevo che Marco aveva lavorato fino a tardi" Condizionale passato per la posteriorità: "Sapevo che Marco avrebbe lavorato tutto il weekend" Quando la Principale è al Futuro Se il verbo della principale è al futuro semplice, nella subordinata si usa: Futuro semplice o presente per la contemporaneità: "Saprò se Giovanni arriverà in tempo" / "Saprò se Giovanni arriva in tempo" Futuro anteriore o passato prossimo per l'anteriorità: "Saprò se Giovanni sarà arrivato" / "Saprò se Giovanni è arrivato" Futuro semplice per la posteriorità: "Saprò quando Giovanni partirà" La Consecutio Temporum con il Congiuntivo Il congiuntivo si usa nelle subordinate che dipendono da verbi che esprimono opinione, dubbio, desiderio, timore, volontà, o dopo congiunzioni come "sebbene", "benché", "affinché", "prima che". La consecutio temporum con il congiuntivo segue regole precise e particolarmente importanti per comunicare correttamente in italiano. Quando la Principale è al Presente o Futuro Se il verbo della principale è al presente o futuro, nella subordinata si usa: Congiuntivo presente per la contemporaneità o posteriorità: "Spero che tu stia bene" / "Penso che domani piova" Congiuntivo passato per l'anteriorità: "Credo che Laura sia partita ieri" Quando la Principale è al Passato Se il verbo della principale è a un tempo passato, nella subordinata si usa: Congiuntivo imperfetto per la contemporaneità o posteriorità: "Pensavo che tu fossi a casa" / "Credevo che arrivasse più tardi" Congiuntivo trapassato per l'anteriorità: "Pensavo che Marco fosse già partito" Quando la Principale è al Condizionale Se il verbo della principale è al condizionale presente, nella subordinata si usa: Congiuntivo imperfetto per la contemporaneità o posteriorità: "Vorrei che tu venissi con me"

Rádio Cruz de Malta FM 89,9
Santa Catarina alcança 96% de adesão ao programa “Penso, Logo Destino” do IMA

Rádio Cruz de Malta FM 89,9

Play Episode Listen Later Oct 20, 2025 10:12


Santa Catarina atingiu um marco expressivo na gestão ambiental: 96% dos municípios catarinenses já aderiram ao programa “Penso, Logo Destino”, desenvolvido pelo Instituto do Meio Ambiente de Santa Catarina (IMA). A iniciativa tem como objetivo promover a destinação ambientalmente adequada dos resíduos sólidos, fortalecer a logística reversa e estimular o consumo responsável em todo o território catarinense. O programa já beneficia diretamente mais de 6 milhões de pessoas e vem apresentando resultados concretos. Somente no primeiro semestre de 2025, o “Penso, Logo Destino” contribuiu para o recolhimento de mais de 83 mil pneus e cerca de 100 toneladas de equipamentos eletroeletrônicos, evitando o descarte irregular e reduzindo impactos ambientais. De acordo com o coordenador estadual do programa, Cícero Brasil, que participou de entrevista no Cruz de Malta Notícias nesta segunda-feira (20), o sucesso da iniciativa se deve à ampla articulação entre o poder público, empresas e sociedade civil, que tem se mostrado comprometida com práticas sustentáveis. Com ações integradas, parcerias e resultados visíveis, o programa “Penso, Logo Destino” reafirma o protagonismo catarinense nas políticas ambientais e aponta para um futuro mais limpo, consciente e sustentável. Ouça a entrevista completa com Cícero Brasil no Cruz de Malta Notícias:  

Easy Italian: Learn Italian with real conversations | Imparare l'italiano con conversazioni reali

Questa settimana vi portiamo in giro per la riviera adriatica, da Venezia a Bari! Quindi si mangia, si va al teatro, e forse facciamo anche un po' di sport! Pronti? Mettetevi comodi, stiamo per iniziare. Trascrizione interattiva e Vocab Helper Support Easy Italian and get interactive transcripts, live vocabulary and bonus content: easyitalian.fm/membership Come scaricare la trascrizione Apri l'episodio in Transcript Player (https://play.easyitalian.fm/episodes/qtmtxduxxf9bjv7lufy8k) Scarica come HTML (https://www.dropbox.com/scl/fi/qtmtxduxxf9bjv7lufy8k/easyitalianpodcast191_transcript.html?rlkey=jq16em22sid7aq6mta27r5bsm&st=9ejyb2ye&dl=1) Scarica come PDF (https://www.dropbox.com/scl/fi/giajujft5xrq1er3j82fp/easyitalianpodcast191_transcript.pdf?rlkey=42h5fplvp70ivzx11gx6k6t23&st=jf0men1f&dl=1) Vocabolario Scarica come text file (https://www.dropbox.com/scl/fi/d1sxtl5jeyv2oz4vpl7qa/easyitalianpodcast191_vocab.txt?rlkey=t1yyg0aejeljmqrldz170q4ol&st=kz1z0e7u&dl=1) Scarica come text file with semicolons (https://www.dropbox.com/scl/fi/a1i2glrz2foccz9paelcn/easyitalianpodcast191_vocab-semicolon.txt?rlkey=u7k62q7biqd4cby67x0nc9dsj&st=9m7m9c86&dl=1) (per app che utilizzano flashcard) Iscriviti usando il tuo feed RSS privatoper vedere la trascrizione e il vocab helper subito sulla tua applicazione per ascoltare i podcast sul tuo cellulare. Note dell'episodio Making a Panino! Vlog in Slow Italian

il posto delle parole
Antonio Scommegna "Sempre ritorni come l'onda"

il posto delle parole

Play Episode Listen Later Oct 14, 2025 20:57


Antonio Scommegna"Sempre ritorni come l'onda"Prefazione di Gianfranco LauretanoSBS Edizioniwww.sbsedizioni.itIn "Sempre ritorni come l'onda", Antonio Scommegna affida alla poesia il suo canto, una riflessione profonda sulla vita, il tempo, la fede e l'amore per la propria terra. I suoi versi, densi di memoria e interrogativi, attraversano il dolore e la speranza, sfiorando l'anima con immagini vibranti e sensazioni che si imprimono nella mente del lettore. La crisi del sacro, il legame con le radici, il desiderio di infinito si intrecciano in un dialogo intimo con l'esistenza, mentre la parola diventa onda, in un perpetuo ritorno di emozioni e consapevolezza. Una silloge intensa e toccante, in cui il poeta si confronta con l'impermanenza delle cose e con la necessità di dare un senso ai propri passi. Il suo canto, pur segnato dalla malinconia, non rinuncia alla luce: come il mare che non cessa di tornare a riva, la poesia diventa un rifugio, un atto di resistenza alla fugacità del tempo.Penso che l'Autore della silloge, Antonio Scommegna, si possa quasi identificare con il mare, il suo mare, quello di Margherita di Savoia, una pagina bianca su cui scrivere la sua vita. Leggiamo, infatti: “Al mare che ho dentro affido i miei pensieri”, i sogni, i desideri e soprattutto i ricordi, sempre vividi, salati e frizzanti nelle narici e nel cuore. Il mare è metafora della vita e dell'amore, calmo, sereno o tempestoso, che, però, offre sempre un porto sicuro. È per lui abbraccio, incanto, sogno, respiro, similitudini che ho ricavato dai titoli di alcune poesie. Nel libro, diviso in sezioni o argomenti, Scommegna affronta temi importanti. Inizia con riflessioni sul tempo della pandemia, che ci ha segnati tutti; nella poesia “Pandemico Natale” aleggia una nota di pessimismo, confrontando il Natale dei nostri giorni con quello vissuto nella sua terra in passato. Si chiede: “Perché affannarsi tanto, se poi non cambia nulla”; in affetti non è una domanda, è un'amara constatazione: ”Oggi di quel bambinello di gesso, che si baciava in chiesa non sanno più che farsene”. Emerge un senso di vuoto, di fede annebbiata. Torna, però la speranza: “Forse l'anno nuovo porterà qualcosa di buono”. Maria Franca Dallorto PeroniPresidente dell'Associazione Culturale “Massimiliano Kolbe” - Premio di Poesia.Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/il-posto-delle-parole--1487855/support.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/

Convidado
Autárquicas em Portugal: "É importante que a esperança fale mais alto do que o medo”, Tcherno Amadú Baldé

Convidado

Play Episode Listen Later Oct 10, 2025 8:32


Quase 10 milhões de eleitores podem, no próximo domingo, 12 de Outubro, participar nas eleições autárquicas portuguesas. Em disputa, a escolha de 308 presidentes de câmaras municipais, os seus vereadores e assembleias municipais, bem como 3259 assembleias de freguesia. Apesar de as eleições serem autárquicas, os grandes temas como a habitação, saúde, educação e emigração estiveram sempre presentes nos debates.  Depois do grande crescimento que a extrema-direita, representada pelo partido Chega, conseguiu nas Legislativas do ano passado, a questão que muitos comentadores políticos têm colocado é se a extrema-direita vai conseguir afirmar-se no poder local. A RFI falou com Tcherno Amadú Baldé, formado em Ciência Política e Relações Internacionais, é Gestor de Projectos Educativos, considera que, na hora de votar, “é importante que a esperança fale mais alto do que o medo”. O guineense e cidadão português, começa por realçar como seria importante que todos aqueles que residem em Portugal pudessem participar nas eleições autárquicas. Tcherno Amadú Baldé: Eu tenho o direito de participar porque também sou cidadão português. Porque, no caso da Guiné-Bissau não existe o acordo de reciprocidade que permite aos cidadãos guineenses que não tenham a cidadania portuguesa que possam participar e votar ou serem eleitos, como acontece, por exemplo, no caso do Cabo Verde. Isso até era uma boa questão a ser debatida. Temos comunidades imigrantes grandes que estão a viver em Portugal, que não têm cidadania portuguesa, seja porque ainda não completaram o número de anos que são necessários para poderem fazer esse pedido ou porque simplesmente não querem, mas que trabalham, estão integrados neste país, contribuem para este país. Portanto, a questão da participação política acaba por ser muito importante porque influencia diretamente as nossas vidas. E estas eleições são relevantes, todas as eleições são importantes, mas estas, sobretudo, tendo em conta todo o ambiente político e social que está a ser vivido no país. Neste momento, infelizmente, os imigrantes estão a ser o bode expiatório praticamente para tudo o que corre mal, e o que corre mal afeta também os imigrantes. Se há problema na habitação, em vez de pensarmos na solução para esses problemas, começamos a apontar a quem vem de fora. Há problemas em termos de vagas nas escolas, nas creches, no pré-escolar, em vez de procurarmos soluções para estes problemas, apontamos para os imigrantes ou os seus filhos, que estão a tirar lugar aos portugueses.  Mas, quer dizer, quem está aqui tem os seus direitos e esses direitos têm que ser salvaguardados. O filho de imigrante que está na escola está lá porque é um direito que tem, não está, apesar de todo o discurso que é feito nesse sentido, não está a tirar lugar a ninguém. O que se tem que fazer, e o Governo e o Estado no seu todo, é procurar respostas para que ninguém fique de fora, seja ele português ou imigrante, seja ele português de origem ou português que tenha adquirido a nacionalidade portuguesa.  Portanto, (participar nas eleições) é importante também para os próprios imigrantes e combater o extremismo. RFI: Reside no Conselho de Sintra, onde há uma grande comunidade imigrante. O que é que percepciona dos contactos com os outros habitantes do Conselho? Tcherno Amadú Baldé: Sintra é dos conselhos mais interessantes, ou seja, nestas eleições, também porque estas eleições estão a acontecer a muito pouco tempo de distância das últimas eleições legislativas, onde no concelho de Sintra, salvo erro na área metropolitana de Lisboa, foi o único concelho onde o partido extremista, o Chega, ganhou, ficou na primeira posição.  Então, tendo em conta isso tudo, está a ter também um grande destaque porque ninguém sabe o que poderá acontecer em termos de mudanças. Mudanças vão acontecer, com certeza, porque o presidente que lá está, já está no limite do mandato. Agora, pronto, não sabemos o que irá acontecer.  Mas há esta preocupação, não é? Para que lado é que os sintrenses vão olhar nestas eleições? Se é olharmos e focarmos na esperança ou se vamos focar no medo. Com o medo, elegermos o extremismo, que não nos vai trazer solução nenhuma, só vai colocar-nos todos uns contra os outros. Ou então pensarmos em soluções democráticas de esperança e que nos responsabilize a todos, coletivamente, para procurarmos soluções e respostas para os desafios que todos nós enfrentamos, que todos nós sentimos. RFI: É facilmente constatável, nestas eleições autárquicas, a ausência de pessoas com raízes no estrangeiro, com raízes em África. A ausência dessas pessoas das listas de candidatos, a que é que se deve? Tcherno Amadú Baldé: Sim, pelo menos assim, com posições de maior destaque, como aconteceu nas outras eleições. Não existem, mas existem, em algumas listas, candidatos a cargos de variação, ou nas assembleias municipais ou de freguesias. Existem, mas deveria haver mais. Penso que, eventualmente, poderá também ser porque a ausência, vai acabar por reforçar e continuar a alimentar as ausências. Isso é importante, porque tem a ver também com a questão da identificação. Será que isto é para mim? Será que este espaço é para mim? Por isso é que o dar destaque ao que há também é importante, no sentido de chamar a atenção e convidar os outros também a se envolverem. Ou, às vezes, também tem a ver com a questão da integração, que muitas vezes não está completa. E aí, existe uma responsabilidade, também, das próprias organizações de imigrantes, no sentido de trabalhar isso, mas também e, sobretudo, da própria sociedade de acolhimento, para promover esta integração plena e que permita, também, a participação plena, para que os imigrantes, sobretudo aqueles que já têm a cidadania portuguesa, não fiquem só como meros espectadores. E tentarmos participar, também, no debate público. Todos têm responsabilidade nisso. Os partidos têm responsabilidade. A comunicação social tem uma grande responsabilidade, por exemplo, agora, nas questões das migrações. O tema central acaba por ser os imigrantes, mas que, muitas vezes, estão ausentes desses debates. RFI: Como guineense e, neste caso, como eleitor em Portugal, vai votar nas eleições autárquicas. É importante essa participação? Tcherno Amadú Baldé: Os votos têm sempre impacto nas nossas vidas.  Por isso, é importante participarmos, exercermos esse direito. Estamos a exercer por nós, estamos a exercer pelos outros, que não podem, mas estamos a exercer por toda a sociedade. Porque, se a sociedade portuguesa for boa, é boa para todos nós que estamos aqui. É que, muitas vezes, a forma como o debate é feito, como se os imigrantes não quisessem o bem-estar. Se escolhemos Portugal para viver, é porque apostamos nesse país e nós queremos tirar proveito da sociedade no sentido das oportunidades que a sociedade oferece para todas as pessoas que vivem nela, mas também contribuirmos para a própria sociedade, como, de resto, tem acontecido. Porque, se não, é má para todos nós e, depois, partimos daqui todos à procura de uma coisa que seja melhor. E, agora, o apelo generalizado, que também é importante, que não seja só para os imigrantes, mas para todos nós, enquanto sociedade portuguesa, a participação, primeiro, é importante e é importante que a esperança fale mais alto do que o medo. É muito importante porque o medo não nos vai levar ao lado nenhum, só nos vai colocar uns contra os outros e, se estivermos de costas viradas, não há cooperação e, sem cooperação, não há sociedade melhor.

Convidado
Cabo Delgado: Entre o discurso político e a realidade do terrorismo

Convidado

Play Episode Listen Later Oct 8, 2025 9:22


Há oito anos, o norte de Moçambique, mais especificamente a província de Cabo Delgado, rica em gás, tem sido palco de ataques terroristas. Esta semana, o Governo classificou como esporádicas as recentes incursões na região, contradizendo a versão das Nações Unidas, que alerta para o aumento da violência em Cabo Delgado e aponta para a possibilidade de um recorde de ataques em 2025. O cientista político moçambicano Justo Nauva considera que o executivo tem adoptado um discurso "eufemista" sobre a situação, que está actualmente fora de controlo. O Governo moçambicano classificou, esta semana, como esporádicas as recentes incursões na região de Cabo Delgado, contradizendo a versão das Nações Unidas, que alerta para o aumento da violência no norte do país e aponta para a possibilidade de um recorde de ataques em 2025. Como se explicam estas duas narrativas? Penso que o Governo tem tido um discurso “eufemístico” em relação ao fenómeno de Cabo Delgado. Mas, no fundo, o que nós estamos a constatar é que o conflito, em Cabo Delgado, está a ganhar uma dimensão que, em algum momento, no início, não se esperava que pudesse chegar a estas proporções, que vão até, digamos assim, aos impactos dos deslocamentos internos, da insegurança humana, entre outros factores. E, por outro lado, temos a perspectiva das Nações Unidas que, por ser um órgão internacional, lida com relações interestatais e relações com outros Estados. Existe, portanto, uma ideia vital relativamente a esta dinâmica de evolução do conflito. O Governo quer enviar uma mensagem de que o país está estabilizado para garantir que os investidores regressem ao norte do país? Isto quando a empresa francesa TotalEnergies veio dizer que só regressaria ao país quando as condições de segurança estivessem reunidas… Este discurso governamental deve ser compreendido como um mecanismo de justificação de acções de interesse do próprio Governo, face às dinâmicas de investimento e face aos diversos actores que estão interessados, digamos assim, na exploração dos recursos naturais naquela região. Esse é um ponto de partida. O outro ponto de partida é compreender, também, a securitização do Estado naquela zona, que, muitas das vezes, está ligada ao controlo, particularmente da zona que alberga os próprios recursos. Zona que é rica em gás… Exactamente. Então, muitas das vezes, a actuação das Forças Armadas de Moçambique e das forças ruandesas tem sido muito mais de acção quando se identifica, digamos assim, o actor adverso, no contexto do combate ao conflito em Cabo Delgado. É preciso compreender que Moçambique está numa situação bastante complicada, sob o ponto de vista de resposta estratégica face a este conflito. E esta fase complicada e de crise não se resolve com a suavização do discurso governamental de estabilização. A realidade é outra em Cabo Delgado. Todo o mundo sabe disso. Quando nós acompanhamos, quando vamos ao terreno, percebemos que as coisas estão complicadas. As Nações Unidas avançam que, desde o mês de Agosto, os testemunhos dão conta da expansão da urgência do norte para o sul de Cabo Delgado. Ancuabe, Chiúre e Balama têm sido alvos preferenciais dos insurgentes. Neste momento, as forças moçambicanas, apoiadas pelas forças ruandesas, lutam contra o terrorismo. O que é que tem falhado? É preciso que se compreenda que, diante desta instabilidade, é necessário que o Governo comece a pensar em estratégias, respostas específicas e claras em relação ao conflito em Cabo Delgado. Existe aqui uma problemática que diz respeito à forma como se actua concretamente para fazer face a este conflito. Talvez a grande questão que se deve colocar é: como é que tem sido a nossa acção de segurança? Como é que tem sido a acção de combate ao terrorismo, ao movimento jihadista que opera em Cabo Delgado? Só depois se poderá definir uma estratégia clara. Que estratégias seriam essas? Essas estratégias devem estar aliadas às políticas de segurança em Moçambique e em Cabo Delgado. Perceber as falhas de segurança no norte do país. O que é que falhou para que um grupo terrorista se tenha instalado? O fenómeno de Cabo Delgado é um fenómeno que lida com a segurança, que lida com a questão da militarização. Penso que existe uma profunda fragilidade institucional de segurança, sob o ponto de vista da actuação das nossas Forças Armadas em Moçambique. E, quiçá, por mais que nós tenhamos o apoio da força ruandesa, há uma fragilidade do ponto de vista material, bélico, e de outros recursos transversais que possam fazer face a este fenómeno. Numa entrevista ao canal de televisão Al-Jazira, o Presidente de Moçambique, Daniel Chapo, voltou a admitir a possibilidade de dialogar com as lideranças do grupo terrorista. De que forma poderia ser viabilizado este diálogo? E com a ajuda de quem? É necessário que se identifiquem as lideranças, as pessoas desses grupos terroristas, para que se possa conversar, negociar. Porque, partindo do pressuposto da forma como nós saímos da guerra de 16 anos, em que tínhamos dois beligerantes identificados na história de Moçambique, a FRELIMO e a RENAMO, que conseguiram, digamos assim, colmatar uma espécie de diálogo e chegaram a um processo de pacificação, por um lado. Por outro lado, temos um grupo que se militarizou em Cabo Delgado e o Governo, desde o final de 2017, não foi capaz de mostrar uma estratégia concreta de negociação com este grupo. A questão que mais me preocupa é: se pretendemos negociar com este grupo, é preciso que se identifique o espaço geográfico do grupo. Esta é a primeira questão. Depois, há outra questão: com quem é que nós queremos negociar? Porque é um grupo específico que demonstra ter lideranças que comandam, que dão uma certa autoridade para operações militares. O embaixador da Rússia, em Maputo, declarou a disponibilidade do país para partilhar a experiência com Moçambique, para travar a insurgência armada na província de Cabo Delgado, garantindo ter nomes dos terroristas para partilhar com as autoridades. Que conhecimento pode dar a Rússia a Moçambique? E que interesses tem a Rússia nesta zona? É expectável que tenhamos diversos actores, numa perspectiva de ajuda, por um lado, mas também numa perspectiva de interesses desses actores em relação ao Governo de Moçambique e à região, nomeadamente interesses económicos. Mas também devemos recordar que as relações entre Moçambique e a Rússia remontam aos tempos da luta de libertação nacional. Já tivemos, também, um grupo específico que operou entre 2017 e 2018 em Cabo Delgado. O grupo Wagner… O fenómeno do terrorismo não poderá ser apenas resolvido pelas autoridades moçambicanas. Intervenientes de outras esferas globais poderão apoiar na luta contra este fenómeno em Cabo Delgado. A União Europeia, por exemplo. Portugal também se veio mostrar disponível para ajudar e cooperar com o Governo moçambicano no fortalecimento das Forças Armadas… Quando temos o Governo a justificar que o conflito de Cabo Delgado se trata de um problema de terrorismo, assume-se a ideia de que não se pode resolver apenas a partir de um Estado nacional. É necessário o envolvimento de outros intervenientes externos, organizações, Estados de cooperação. Não só Portugal, mas a União Europeia tem vindo a fazer um trabalho, desde o início do conflito até cá, no apoio ao Governo de Moçambique, entre outros intervenientes. Temos essa abertura do mundo para ajudar Moçambique.

Capital City Soccer Show
Playoff Scenarios, Back 5 vs Back 4, LAFC Preview, and more

Capital City Soccer Show

Play Episode Listen Later Oct 7, 2025 79:14


This week Landon and Jeremiah commiserate over a tough week, then look ahead to Austin's potential playoff scenarios. Other questions and topics include:- Stuver's comments about the locker room- Austin FC officially clinch a playoff spot- Should Nico have strayed from the back 5?- Open Cup Final recap- Criticizing and defending referees- Penso making an example of Dani?- Hungover vs St. Louis City- Which contract options should be picked up?- Players missing for international duty- How will Austin look vs LAFC?- Could Dani stay home for this game?- Join the Patreon- Free parking at Amplify  - Free Ticket Giveaway by Sage Wilson RealtyMoontower Soccer is brought to you by FVF Law and McGuire Woods ConsultingSupport the show

Podcast JR Entrevista
Tensão com EUA não vai prosperar, diz Haddad após conversa de Lula e Trump

Podcast JR Entrevista

Play Episode Listen Later Oct 7, 2025 33:48


O convidado do JR ENTREVISTA desta segunda-feira (6) é o ministro da Fazenda, Fernando Haddad. À jornalista Tainá Farfan, ele detalhou a conversa entre o presidente Luiz Inácio Lula da Silva e o presidente dos Estados Unidos, Donald Trump, que transcorreu com muita “naturalidade” e “tranquilidade”. Haddad manifestou as “melhores expectativas” de que, a partir desse primeiro diálogo, os EUA podem rever a tarifa de 50% imposta ao Brasil. O ministro destacou não haver justificativa para o tarifaço e afirmou acreditar que, à medida que as “informações corretas forem chegando pelos canais devidos, os canais institucionais de parte a parte”, as coisas transcorrerão com mais normalidade.Haddad afirmou que a tarifa não se sustenta do ponto de vista comercial e reiterou que o Brasil é deficitário em relação aos Estados Unidos. Na avaliação dele, o tarifaço se deve à "desinformação que estava sendo patrocinada" para induzir o governo dos EUA a erro.O ministro destacou que o momento é de uma "nova fase" e de "boa vontade" dos dois lados, e que essa tensão "não tem razão para prosperar".“Penso que nós estamos numa nova fase, que é a fase da boa vontade. Desde a reunião da ONU, aquele encontro muito breve que os dois tiveram, os discursos que foram feitos de parte a parte já foi no sentido de buscar uma aproximação”, disse Haddad. “Do anúncio do tarifaço para cá, muita informação chegou. Nós também passamos a conhecer melhor as engrenagens do governo Trump, para fazer chegar as informações corretas. Então, eu realmente não acredito que essa tensão vai prosperar. Ela não tem razão para prosperar”, acrescentou.Haddad também fala sobre o projeto de lei que amplia a faixa de isenção do Imposto de Renda para quem recebe até R$ 5.000 por mês, aprovado na Câmara na semana passada. O ministro tem "muita certeza" de que o Senado fará o mesmo que a Câmara e reconhecerá o problema da desigualdade no Brasil.Além disso, Haddad declarou ter “praticamente certeza” de que o presidente Lula sancionará a lei ainda em outubro. O ministro acrescentou que o projeto é “neutro do ponto de vista fiscal” e “fiscalmente responsável”.O ministro afirmou que o governo teve a coragem de começar um trabalho de correção das desigualdades, que se soma a outras ações do Estado em áreas como educação, transferência de renda e SUS, buscando maior igualdade de oportunidades.“As pessoas que ganham R$ 5.000, R$ 6.000, R$ 7.000 pagando imposto, e pessoas que ganham mais de R$ 1 milhão por ano pagando uma alíquota muito menor. Alguém tinha que tomar coragem de começar a corrigir. Não é que nós estamos corrigindo, nós estamos começando um trabalho de correção das desigualdades, que vai se juntar ao da educação, que vai se juntar à transferência de renda, que vai se juntar ao SUS. São várias ações no sentido de buscar alguma igualdade de oportunidades no Brasil.”O JR Entrevista também está disponível na Record News, no R7, nas redes sociais e no RecordPlus.

La finanza amichevole
Cosa succede davvero quando gli Stati Uniti vanno in blocco federale

La finanza amichevole

Play Episode Listen Later Oct 6, 2025 13:54


Vediamo che cos'è, perché accade, quali sono le conseguenze concrete per i cittadini americani e per l'economia nel suo complesso, e cosa possiamo imparare noi osservandolo da fuori. “Penso che chi è della Casa Bianca debba solo sedersi e osservare.” Robert Gibbs, parlando dello shutdown del 2013 Sigla di Eric Buffat Per chi vuole acquistare i libri, il cui ricavato andrà totalmente in beneficenza: ⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠⁠https://www.amazon.it/kindle-dbs/entity/author/B08FF1ZFV9⁠⁠⁠⁠ Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices

Vida em França
Isabela Figueiredo: “Quero falar de vidas invisíveis, tão importantes como a minha”

Vida em França

Play Episode Listen Later Oct 2, 2025 18:56


A escritora Isabela Figueiredo está esta semana em Paris para apresenta "Um Cão no Meio do Caminho", agora traduzido em francês "Un chien au milieu du chemin" pelas edições Chandeigne & Lima, deu uma aula na Sorbonne e esteve em Lyon para falar de literatura e das suas inquietações. Porque na sua obra nada é ornamento, nada é complacência, apenas a exigência da verdade, o incómodo necessário, a lucidez que recusa o panfleto. Nascida em Lourenço Marques, hoje Maputo, Isabela Figueiredo pertence à geração marcada pela descolonização de Moçambique. Filha de retornados, viveu de perto o corte violento, a perda de lugar, o desenraizamento. A experiência cristalizou-se numa escrita onde se confundem memória íntima e memória colectiva, sempre contra a tentação do silêncio. Assim nasceram o Caderno de Memórias Coloniais, um texto fundador sobre o peso da herança colonial, e A Gorda, romance onde o corpo é campo de batalha e metáfora de estigmas sociais. Agora, com Um Cão no Meio do Caminho, Isabela Figueiredo convoca duas solidões que se encontram, como duas margens de um rio: José Viriato, homem que resiste à engrenagem capitalista dando nova vida a objectos descartados, cercado de cães que são família e refúgio, e Beatriz, "a matadora", acumuladora compulsiva, cercada por caixas e dores. Do acaso nasce um gesto de cuidado e da vulnerabilidade, uma possibilidade de salvação. “O que eu quis foi falar de vidas invisíveis, tão importantes como a minha, a sua, a de toda a gente. Vidas puras, ligadas ao essencial”, explica a autora. “José Viriato é uma personagem que me é muito cara, porque pergunta: porque temos de pagar para viver? Nascemos e já nos cobram pela água, essencial à sobrevivência. Um dia pagaremos pelo ar.” O título do romance é menos simples do que parece. O cão não é adorno, nem mero símbolo, mas é ponte, espelho, mediador. Aproxima os personagens, reflecte-lhes a fragilidade e oferece-lhes um lugar de ternura. “Os cães têm nomes católicos. O primeiro, Cristo, foi encontrado ferido, ensanguentado, como uma aparição. Mas a mãe proíbe-o de chamar Cristo a um animal e fica apenas Cris. Depois vêm a Nossa Senhora – a quem chama apenas Nossa, para não ofender – e o Revoltado, o Rev. Os nomes são pensados. Os animais pacificam-me neste mundo agressivo. Eles estão sempre lá, conectam-me com o transcendental”. É uma ética que atravessa o romance: a do antiespecismo, a denúncia de uma violência escondida. “Vivemos um genocídio de animais em campos de concentração, mergulhados em sangue e sofrimento. Mesmo que não veja imagens, eu sofro com elas”. Apesar da urgência dos temas, Isabela Figueiredo recusa a retórica militante. A sua escrita escolhe a subtileza, a dúvida, a faísca silenciosa. “É muito importante não obrigar o leitor a pensar como nós. O que quero é que o livro provoque um sobressalto, que abra uma pergunta. Muitos leitores falam de solidão, de consumismo, de acumulação. Mas quase nenhum se atreve a falar do antiespecismo. Quando José Viriato pergunta: e se da nossa barriga nascesse um crocodilo em vez de uma criança, seríamos capazes de amar? Eu acho que sim”, responde. A oposição entre os espaços das personagens é também metáfora da nossa vida contemporânea. José Viriato vive uma casa despojada, com um quintal onde recupera os objectos resgatados do lixo. Beatriz vive entre paredes saturadas de caixas, num corredor estreito por onde mal consegue passar. “Na nossa cabeça também é assim: um pequeno trilho livre e todo o resto bloqueado por excesso de informação. O livro mostra que, mesmo nesse labirinto, é possível encontrar uma saída”. Aos poucos, a matadora abre-se ao diálogo, ao riso, à relação com a avó de José Viriato. “Ela parecia uma personagem desagradável, fria. Mas o simples facto de começar a trocar palavras com alguém muda tudo. Abre-se à vida”, explica a autora. Na literatura de Isabela Figueiredo, a solidão é matéria-prima e condição de trabalho. “Quando escrevo, desligo o telemóvel. Não quero interrupções. Estou metida no livro. Tudo o que faço, até fritar ovos, é pensando no livro. A solidão não é perfeita, mas é necessária”. Esse treino vem de longe. “Sou filha única, cresci a brincar sozinha, com formigas, cães, gatos. Quando fui trazida de Moçambique, aos 13 anos, fui deixada em casas onde não me queriam. Vivi isolada, em colégio interno, separada dos meus pais. Aprendi a viver no meu mundo”. Entre a avó com Alzheimer e famílias de acolhimento que a tratavam como criada, o silêncio foi escola dura. “Fui uma menina só, mas habituei-me. Claro que a solidão não é perfeita. Precisamos desesperadamente de falar com alguém. Talvez por isso os leitores sejam para mim um conforto. Sinto-me amada por eles”. Essa experiência de desenraizamento atravessa também os protagonistas do novo romance. “O José Viriato leva apenas um lenço e o cão Cristo, quando a vida lhe é cortada. Eu saí de Moçambique com uma mala. A matadora viveu abusos, ditadura, a falta de afecto. São ambos cortados de amor, mas resistentes”, descreve. É curioso ouvi-la confessar que admira as suas próprias personagens. “Eu ligo-me a elas. Quando um leitor me atribui uma intenção que não escrevi, tenho de corrigir: desculpe, não, não é isso. Eu não escrevi isso”. A tradução francesa abre nova vida ao romance. “Já ouvi leituras em francês do Caderno de Memórias Coloniais que me fascinaram, estavam melhores do que em português. Tenho muita confiança nos tradutores. Eles telefonam-me, fazem perguntas, discutimos soluções. Quando a Myriam Benarroch me disse que não havia tanques em França, resolvemos: José Viriato deixaria os objectos junto de uma torneira. A tradução também é diálogo”. No fim da conversa, a escritora resume a sua obra numa frase: “O livro fala da necessidade de pertencermos uns aos outros. Não existimos sozinhos. Somos células individuais que fazem parte de uma célula maior. Não nos rejeitemos. Juntemo-nos. Respeitemos também aquilo que não é humano: os animais, os objectos. Penso que é um livro humanista”, concluiu. Isabela Figueiredo escreve contra a indiferença. Escreve com a coragem dos que sabem que as palavras não salvam, mas iluminam. No rasto do cão que aparece no meio do caminho, deixa-nos este aviso: não há solidão que não seja espelho da nossa condição comum.

Llapis de memòria
Alain Hernández: "Penso molt en què hauria passat si no arribo a deixar els pernils per la interpretació"

Llapis de memòria

Play Episode Listen Later Oct 2, 2025 55:37


L'actor repassa la seva trajectòria vital i artística, des dels inicis en el negoci dels pernils fins a la televisió, passant per la mili, la música, la paternitat i el dol

Convidado
Nicolas Sarkozy "fez ataque violento à separação dos poderes" em França

Convidado

Play Episode Listen Later Sep 26, 2025 8:20


O antigo Presidente francês, Nicolas Sarkozy, foi condenado a cinco anos de prisão efectiva por associação de malfeitores no caso do financiamento líbio da sua campanha em 2007. Para Jorge Mendes, advogado franco-português, está é uma sentença coerente já que os factos foram provados e Sarkozy é reincidente, tendo já sido condenado noutros casos ligados a abuso de poder e corrupção. Com as câmaras apontadas, após saber que passará cinco anos na prisão, Nicolas Sarkozy disse que os juízes do Tribunal de Paris tinham mostrado "ódio" pelos políticos e que se tratou de uma sentença "de uma gravidade extrema para o Estado". Jorge Mendes, advogado franco-português instalado em Marselha considera que o antigo Presidente "fez um ataque violento à separação dos poderes" já que tanto o facto de os cinco anos serem cumpridos em prisão e que a sentença tenha execução provisória - ou seja, o antigo Presidente vai para a cadeia mesmo que haja recurso - se deve a leis votadas pela Assembleia Nacional, por onde passou Sarkozy e outros políticos que criticam hoje a Justiça. "O que se está a aplicar a Sarkozy é exactamente a lei que foi votada pelos parlamentares. E não é nada de especial, a não ser a originalidade que claro que se trata de um antigo Presidente da República e que ainda por cima tem uma reacção contra a separação dos poderes criticando o ódio do juiz, o que é um escândalo, porque isso é um ataque violento à separação dos poderes. A justiça em França, quando condena um presidente da República, tem muita atenção ao que está a fazer e a lei a é a mesma para todos. É um ataque à democracia que está a ser feito. Quando ele ontem disse que o que foi feito era uma prova de ódio do juiz perante os políticos, eu acho que isto é um escândalo democrático. Está-se a fragilizar a separação dos poderes em França, sendo que o Presidente da República é o garante da separação dos poderes e da democracia. Penso que ele está a fazer muito, muito mal à democracia francesa, que já está em estado crítico", lamentou Jorge Mendes. Para além da condenação de Nicolas Sarkozy, também so seus antigos ministros e aliados, Claude Guéant e Brice Hortefeux, foram condenados a seis anos de prisão e dois anos, respectivamente. Publicamente, Marine Le Pen já veio criticar a decisão dos tribunais, sendo que ela própria está também a braços com a justiça no caso dos assessores parlamentares em que foi condenada a cinco anos de ineligibilidade para cargos políticos. Para Jorge Mendes, uma parte dos políticos franceses "não suportam" que as leis que votam no Parlamento se virem, um dia mais tarde, contra eles nos tribunais. No entanto, não são os juízes que inventam as leis e eles aplicam-nas mediantes processos judiciais onde há provas concretas dos delitos. "O juiz não inventa as leis. Se esta disposição da decisão provisória não existisse na lei, o juiz não a tinha aplicado. Portanto, tanto Marine Le Pen, como Sarkozy, foram parlamentares, votaram estas leis que hoje também se aplicam a eles. E é isso que eles não suportam. Não é só votar leis cada vez mais difíceis, mais duras, com mais penas de prisão, com mais violência e uma vez que estas penas chegam aos políticos, aos parlamentares que votaram, eles não compreendem e estão hoje a criticá-las. Sabendo que o Sarkozy foi condenado, o seu antigo primeiro ministro, François Fillon, foi condenado e Chirac, antigo Presidente da República, também já tinha sido condenado. Portanto, quando se aplica aos políticos é que eles descobrem a violência da justiça e a violência da lei", indicou o advogado. Nicolas Sarkozy deverá cumprir a sua pena na Prison de la Santé, em Paris, onde terá condições especiais devido ao cargo que ocupou, nomeadamente uma cela individual numa ala especial da prisão. "O presidente vai ter um tratamento especial, como todos os eleitos que já foram condenados e pessoas importantes. Ou seja, vai estar sozinho numa cela, o que é já um grande privilégio em França, onde hoje estão três pessoas numa cela de nove metros quadrados. Vai ter, portanto, o que se chama um acompanhamento psicológico reforçado. Na área da cadeia especial para as pessoas públicas, elas não estão misturadas com os outros condenados. Vai estar na cadeia, que é a privação de liberdade, mas com um tratamento um pouco específico, isolado", concluiu Jorge Mendes.

Easy Catalan: Learn Catalan with everyday conversations | Converses del dia a dia per aprendre català

Tema del dia Avui entrevisten en Reuben Constantine, un poliglot del Regne Unit que ha après el català per plaer i que ens explicarà en què consisteix això del mètode natural d'aprenentatge de llengües. Som-hi! Últims dies per apuntar-se als cursos de català d'Easy Catalan. Comencem el 29 de setembre! (https://classes.easycatalan.org/) Segueix en Reuben a Instagram! @reubenlingo (https://www.instagram.com/reubenlingo/) Vídeo d'Easy Catalan sobre el passat perifràstic (https://youtu.be/baR9Rw3xrkE?si=vNooNYWFaRj453uF) L'expressió de la setmana El Reuben ens explica l'expressió següent: Nen! Bonus La conversa continua i parlem sobre la IA i els efectes que pot tenir per als creadors de continguts. Transcripció Andreu: [0:15] Bon dia! Benvinguts un cop més al pòdcast d'Easy Catalan! Ja falta poquíssim per acabar el Repte de 30 Dies, i si els que l'esteu fent esteu escoltant ara mateix aquest episodi, només vull dir-vos que ho esteu fent molt i molt bé i que ja no queda res per la meta, així que va, ànims, vosaltres podeu! I recordeu que el dia 30 ens veiem a la videotrucada final per celebrar que hem acabat aquest gran Repte. Una altra cosa per a la qual falten molt pocs dies és l'inici dels pròxims cursos d'Easy Catalan. Ho hem estat dient al llarg d'aquest mes, però aquesta és l'última crida: el dia 29 comença el nou trimestre de català, així que si voleu aprendre i practicar en un grup petit en línia durant els pròxims tres mesos, entreu a classes.easycatalan.org i trieu el curs que millor s'adapti a vosaltres. Potser necessiteu un curs amb teoria, exercicis, etc., o potser preferiu un curs centrat en l'expressió oral. Sigui com sigui, ho trobareu tot a la web que he dit: classes.easycatalan.org. Tema del dia Andreu: [1:23] I ara sí, us presento el nostre convidat d'avui, el Reuben Constantin, conegut a Instagram com a @reubenlingo. Potser ja el coneixeu. Es tracta d'un autèntic poliglot del Regne Unit que domina llengües com el francès, el grec modern, l'italià o el català, entre moltes altres. A més, el Reuben va ser voluntari d'Easy Catalan durant un temps, en el qual ens va ajudar en la revisió dels subtítols en anglès dels nostres vídeos. I avui que el tenim aquí, doncs compartirà amb nosaltres algunes anècdotes, trucs i segurament alguna curiositat lingüística. Vinga, comencem! Bon dia, Reuben! Reuben: [2:02] Bon dia, Andreu! Moltes gràcies per la invitació. Oh, em fas posar vermell! Moltes gràcies per les teves paraules. Quin privilegi ser aquí avui amb tu i amb vosaltres que escolteu. Andreu: [2:13] Per nosaltres també, o sigui, per mi sempre és un gust entrevistar persones com tu, que heu après la llengua. No em refereixo a poliglots, sinó a algú que ha après la llengua, doncs, no per necessitat, perquè tu no vius a Catalunya, no?, sinó que l'has après per gust. Reuben: [2:27] Sí, sí, exacte. Bé, encara no visc a Catalunya. Andreu: [2:30] Encara no vius…? Ah, d'acord, d'acord. Reuben: [2:33] Però no, és veritat. Andreu: [2:35] D'acord. Bé, sigui per necessitat, sigui per interès lingüístic, per qualsevol raó, tot va bé. La qüestió és: tenir aquestes converses amb aprenents, crec que és una inspiració per a altres oients del pòdcast. Durant el Campus vaig fer aquesta pregunta als participants, no? "Què us semblen aquests episodis en què entrevistem altres aprenents?", no?, i hi havia opinions de tot. Hi havia gent que diu: "No, per mi… ai, a mi no m'agrada, perquè sento els errors que també faig jo i llavors em poso nerviós/nerviosa", o "Sí, a mi m'agraden molt perquè són una inspiració", no? "Penso, si aquesta persona ho ha pogut fer, va, jo també". Tu què diries, Reuben? Fes-te membre de la subscripció de pòdcast per accedir a les transcripcions completes, a la reproducció interactiva amb Transcript Player i a l'ajuda de vocabulari. (http://easycatalan.org/membership)

Convidado
ONU "está fragilizada e precisa de ser refundada"

Convidado

Play Episode Listen Later Sep 24, 2025 8:26


O Presidente dos Estados Unidos discursou nesta terça-feira, 23 de Setembro, perante a Assembleia Geral das Nações Unidas. Num discurso que durou cerca de 50 minutos, Donald Trump fez duras críticas à ONU, acusando a organização de estar "paralisada", de não ajudar nos esforços para a paz mundial e de estar a financiar "um assalto aos países ocidentais e às suas fronteiras", referindo-se ao apoio que a organização tem prestado aos migrantes necessitados. Osvaldo Mboco, especialista angolano em Relações Internacionais, reconhece que, sem a ONU, o mundo seria um lugar pior. No entanto, defende que a instituição está fragilizada e precisa de ser refundada. A ONU, enquanto organização internacional, está fragilizada? Isto é mais do que ponto assente, porque não tem conseguido dar respostas aos vários assuntos estruturais do ponto de vista do sistema internacional. Tem a ver com a paz, a estabilidade - ou, melhor dizendo, com a paz e segurança a nível mundial - que é, de facto, o objectivo central da ONU desde a sua criação. As alegações do Presidente Trump são muito fortes. Mas temos de ser honestos: sem a ONU, com certeza, o mundo seria pior, do ponto de vista dos vários problemas que existem - desde as crises, passando pelos conflitos, até ao número elevado de pessoas que vão morrendo. Mas a ONU precisa, de facto, de se refundar ou, então, de actualizar a sua matriz, consoante os novos desafios modernos. A última vez que o Conselho de Segurança da ONU funcionou eficazmente foi em 2011, quando os países chegaram a um consenso sobre uma resolução que autorizava o uso da força na Líbia. Desde então, os Estados não têm conseguido alcançar consensos. A Rússia exerce o seu poder de veto sempre que está em causa uma resolução relativa à Ucrânia, e os Estados Unidos fazem o mesmo no que diz respeito a resoluções ou decisões sobre Israel. Como é que se pode ultrapassar esta paralisação? O veto simboliza uma arma poderosa nas mãos dos países com assento permanente. Por isso, é frequentemente utilizado para impedir a aprovação de resoluções que contrariem os interesses desses Estados. Temos de ultrapassar este impasse. Sempre que estiverem em causa situações relacionadas com genocídios, crimes de guerra ou violações graves dos direitos humanos, o direito de veto não deveria ser exercido. Esta problemática não é nova. Já após a Conferência de Haia, em 1944, o Presidente Roosevelt enviou uma carta ao Presidente Estaline, na qual expressava a ideia de que, se um dos Estados membros permanentes do Conselho de Segurança estivesse envolvido directamente num conflito, não deveria usar o seu direito de veto. Claramente, Estaline rejeitou essa proposta, justificando que já havia sido acordado, por unanimidade, que todos os membros permanentes manteriam esse direito. É fundamental que os Estados compreendam que devem colocar em primeiro plano os interesses do sistema internacional. Contudo, essa visão é também falaciosa - ou, se quisermos, excessivamente romântica - pois, na prática, são os Estados mais poderosos que impõem a sua vontade sobre os mais fracos. Então, o que é que resta do multilateralismo? Quando uma decisão interessa, um Estado em concreto utiliza o direito internacional e as instituições multilaterais para legitimar a sua acção. Mas, quando o direito internacional entra em contradição com os interesses desse mesmo Estado, este tende a violá-lo. Foi o que aconteceu com a invasão dos Estados Unidos no Afeganistão; com a intervenção na Líbia, levada a cabo pela Inglaterra e pela França; e, mais recentemente, com a Rússia, que invadiu a Ucrânia e tem usado sistematicamente o direito de veto. Por isso, os Estados falam da necessidade de uma reforma. No entanto, uma reforma apenas ao nível do alargamento do Conselho de Segurança não resolve o problema. Os futuros membros permanentes poderão, à semelhança dos actuais, actuar segundo os mesmos princípios de defesa dos seus próprios interesses. Daí que eu afirme que é fundamental estabelecer limitações e excepções claras quanto ao uso - ou não uso - do veto em determinadas circunstâncias, especialmente quando estão em causa violações graves do direito internacional. Só assim poderíamos recuperar um multilateralismo mais actuante e abrangente, capaz, de facto, de responder aos grandes desafios que se colocam hoje ao sistema internacional. Nesta corrida para “salvar o multilateralismo”, há o caso do Brasil e da China, com o Sul Global… A China pretende tornar-se o próximo "Estado gendarme" do sistema internacional. E percebe que a configuração actual do sistema também a beneficia, permitindo-lhe alcançar mais rapidamente esse estatuto. Por isso, apela ao multilateralismo, embora com uma abordagem diferente da dos Estados Unidos. Contudo, se a China se tornar, de facto, o "Estado gendarme", é evidente que, em determinadas situações, também actuará em função dos seus próprios interesses nacionais. O Brasil, por sua vez, é um dos países que manifesta a pretensão de ter um assento permanente no Conselho de Segurança das Nações Unidas. O Brasil que procura afirmar-se na liderança dos BRICS… Sim, mas penso que a liderança efectiva dos BRICS continua a ser da China, sem sombra de dúvida, pelos factores estratégicos que detém, os quais são claramente superiores aos do Brasil. O Brasil assume muitas vezes o papel de porta-voz e de porta-bandeira do grupo, adoptando uma posição mais crítica e firme em relação a certas matérias. Ainda assim, o Brasil também ambiciona integrar o Conselho de Segurança, com base nos seus próprios interesses nacionais. Há anos que o continente africano reclama dois assentos permanentes e cinco não permanentes no Conselho de Segurança das Nações Unidas. Chegou a hora de ouvir o continente? Penso que é tempo de ouvir o continente, sim. Mas o continente africano não será ouvido apenas através de reclamações. A União Africana deve ganhar uma maior expressividade no próprio sistema internacional. E como é que se conquista essa expressividade? Do ponto de vista estratégico, o principal factor é demonstrar que a África é um dos actores centrais do sistema internacional contemporâneo. Quando olhamos para a necessária reforma do Conselho de Segurança das Nações Unidas, percebemos que a entrada de novos membros permanentes depende, em grande medida, do princípio da representatividade geográfica. Assim, a presença do continente africano no Conselho de Segurança - através de Estados africanos com assento permanente Mas já lá vão 20 anos desde a aprovação da Declaração de Sirte, que prevê dois assentos permanentes e cinco não permanentes para a África. Como é que essa decisão ainda não foi implementada? Por uma razão muito simples: não existe vontade política por parte dos países com assento permanente. Estes Estados sabem que uma reforma do Conselho de Segurança implicaria alargar a "mesa do poder" e permitir a entrada de novos membros. E percebe-se claramente que esse não é o objectivo. Mesmo países como a Rússia e a China, que discursam frequentemente em defesa do multilateralismo, não estão verdadeiramente interessados em abrir o Conselho de Segurança a novos membros permanentes. Porquê? Porque reconhecem que esse Conselho representa uma fonte de poder diferenciador, que lhes confere vantagens claras sobre os demais Estados - e que continuarão a utilizar sempre que necessário para bloquear decisões contrárias aos seus interesses. Permita-me regressar à questão da entrada de Estados africanos como membros permanentes do Conselho de Segurança, conforme previsto na configuração da Carta de Sirte. A grande questão é: quais serão os critérios para essa entrada? Será o continente africano a usar as Nações Unidas para definir quais os Estados que devem - ou não - ocupar esses assentos? E segundo que critérios? Isto levanta outro problema: mesmo que o princípio seja aceite, a operacionalização dessa decisão continua a ser adiada. Então, o que é que isto revela? A actual configuração das Nações Unidas nasce da ordem internacional criada no pós-Segunda Guerra Mundial. Ou seja, a estrutura reflecte os equilíbrios de poder dessa época, não os do presente. Se essa ordem internacional não for profundamente revista, continuaremos a assistir à exclusão de novos actores com expressão crescente no sistema internacional - como é o caso de muitos países africanos. Portanto, o alargamento do Conselho de Segurança será muito difícil de concretizar sem uma alteração profunda do sistema das Nações Unidas. E há quem defenda, com razão, que essa reforma deve ir além do Conselho de Segurança, ou seja todo o sistema das Nações Unidas. 

Artes
Ídio Chichava leva “o poder da dança” moçambicana à Bienal de Dança de Lyon

Artes

Play Episode Listen Later Sep 22, 2025 14:21


O coreógrafo e bailarino moçambicano Ídio Chichava apresenta dois projectos na Bienal de Dança de Lyon, considerada como o principal evento de dança contemporânea do mundo. “Vagabundus” é apresentado em Lyon esta quarta, quinta e sexta-feira, depois de ter estado em vários palcos internacionais, incluindo em Paris. Ídio Chichava também criou uma peça participativa durante a bienal, “M'POLO”, em que transformou os espectadores em intérpretes de rituais e danças moçambicanas. Ídio Chichava acredita profundamente no que chama de “poder da dança”, um lugar onde “o corpo tem capacidade para mudar o mundo”. É na “força do colectivo” que reside essa magia, alimentada por tradições ancestrais, mas também por saberes e vivências impressas nos próprios corpos. Ídio Chichava descreve Vagabundus como “uma experiência humana, uma experiência de vida sobre fronteiras e sobre raízes”. A força da peça reside nesse poder do colectivo, na exigência técnica dos bailarinos e da escrita coreográfica, não havendo decoração ou cenários. Uma simplicidade aparente que diz muito sobre a falta de financiamento para a cultura em Moçambique, mas que, com o tempo, se transformou “numa riqueza”, conta Ídio Chichava. Vagabundus tem corrido mundo e revelado o coreógrafo nos circuitos internacionais da dança contemporânea. Pelo caminho, Chichava venceu o Salavisa European Dance Award da Fundação Calouste Gulbenkian e com o prémio espera abrir uma escola de dança em Maputo. Agora, apresenta, pela primeira vez, Vagabundus na Bienal de Dança de Lyon, o ponto de encontro de programadores, directores de festivais e artistas, que decorre durante o mês de Setembro. O caminho para Lyon foi feito com o convite de Quito Tembe, director artístico da KINANI, Plataforma de Dança Contemporânea, em Maputo, e que é um dos cinco curadores internacionais nesta 21ª edição da bienal francesa. Cada curador podia escolher um artista dos seus países e Quito Tembe foi buscar Ídio Chichava e os seus bailarinos para representarem Moçambique. Além das conferências em que falou sobre a potência e as dificuldades da dança em Moçambique, Ídio Chichava criou, ‘in loco', um “espectáculo participativo”, segundo as palavras da bienal, “um ritual de encontro”, de acordo com o artista. Em três dias, transformou dezenas de espectadores em intérpretes e quis “desconstruir essa compreensão sobre o que é o espectáculo e a dança contemporânea”. O resultado tem como título M'POLO, Rituais do corpo vivo e insuflou uma rajada de liberdade, alegria, cânticos e dança para todos. Nas palavras de Ídio Chichava, o tal “ritual de encontro” pretendeu “reconectar o ser humano com ele próprio” e foi “um lugar onde todos podem estar juntos”.   Ídio Chichava: “Sou alguém que acredita muito no poder da dança” RFI: Como é que descreve “Vagabundus”, essa força da natureza que vos tem levado mundo fora? Ídio Chichava, coreógrafo e bailarino: “Eu descrevo como uma espécie de movimento que pensa muito colectivo e tenta encontrar sempre a força do colectivo a partir do olhar que eu tenho sobre cada indivíduo e a forma como nós vemos a relação inter-humana. ‘Vagabundus' é mais uma experiência humana, mais uma experiência de vida sobre fronteiras e sobre o sobre lugar, sobre raízes mesmo.” “Vagabundus” é profundamente ancorado em Moçambique, na sua ancestralidade. Quer falar-nos sobre isso? “Sim, está muito fixo nisso, muito apegado a isso. Primeiro, há um lugar que nós não podemos fugir. Eu não posso fugir, nem os intérpretes, nem qualquer pessoa que faça parte deste projecto ‘Vagabundus' pode fugir pelo facto de sermos todos formados em danças tradicionais. Somos pessoas que têm uma formação, que têm fundamentos sobre danças tradicionais e desenvolvemos o nosso trabalho sempre com essa consciência de quem somos e que queremos partilhar com os outros. Depois, é pelo facto de Moçambique também ter uma história de migração muito forte, principalmente com a África do Sul. A outra coisa é pelo facto de eu próprio ter escolhido ‘Vagabundus' não só como uma peça, mas também como um projecto que vai, de certa forma, afirmar aquilo que são as nossas vontades, a minha vontade, de criar uma instituição de dança, criar uma estrutura de dança, como eu sempre venho dizendo. ‘Vagabundus' foi a porta para isso. Sinto realmente essa ancoragem com Moçambique, essa base forte.” Como está o projecto dessa instituição? Já está criada? “Quer dizer, primeiro na ideia e no funcionamento já está criada. Quando criei a companhia, ainda não tinha bases, uma administração, então, sim, ela está criada. Existe uma espécie de estrutura e uma espécie de agenda. O que nós estamos a discutir ainda, mesmo com relação ao prémio da Gulbenkian que é um reforço maior para essa agenda, é um lugar. Então, ela existe pelo seu funcionamento, mas não existe ainda o físico. Nós estamos ainda a trabalhar no físico e principalmente agora, com a ajuda da Gulbenkian, que nos faz, pelo menos, ao meio do caminho. Só para contextualizar, recordo que é o prémio Salavisa European Dance Award da Fundação Calouste Gulbenkian. Eu gostava também que falássemos sobre as escolhas do espectáculo. São mesmo escolhas ou é porque tinha mesmo que ser assim? Não tem luzes, não tem cenários, é uma coisa muito natural e muito despojada… “Primeiro de tudo, eu faço confiança ao corpo. Eu penso que o corpo, ele é inteligente, ele próprio. Segundo, são as vivências do próprio corpo, não o corpo como lugar de memória, mas o corpo como um espaço tecnológico.” Como assim? “O corpo tem saberes a partir das experiências que passou, vai acumulando saberes. Então, eu acredito que o corpo, ele próprio, pode comunicar com qualquer outro corpo. Penso sempre o corpo como um lugar tecnológico que tem capacidade de desenvolver e de nos fazer aceder a outros lugares de forma emocional, de forma espiritual e também de uma forma física. Então, acredito o corpo como esse espaço com capacidade para mudar o mundo também.” No momento em que vivemos toda a aceleração tecnológica, em que passamos para a inteligência artificial, em que qualquer espectáculo tem tanta coisa, até ruído visual, vocês vão ao essencial. É político? “É político porque nós viemos de um lugar e temos opinião só por isso, mas sem uma intenção clara de reivindicação. A intenção clara é demonstrar justamente com o que nós fazemos, com o que nós desenvolvemos e do lugar que eu venho e de onde os Vagabundus vêm não há condições de criação técnica. A peça é forte justamente porque essa simplicidade, essa falta, é uma riqueza para nós. Usamos isso como riqueza, de certa forma. Por isso é que os ‘Vagabundus' têm essa exigência tão técnica, sem muita decoração e sem cenários. Essa simplicidade, nós usamos como riqueza porque é o que nós temos.” Mas isso não corre o risco de ser visto como uma ode à precariedade? Vocês não deveriam sempre pedir mais? “Pois, poderíamos sempre pedir mais. Só que aí é que está. Temos vindo a discutir muito sobre a falta, sobre co-produções, sobre quem nos ajuda. É sempre o meu pensamento, principalmente com relação aos nossos produtores e às pessoas que produzem a Vagabundus ,que produzem o nosso trabalho, nós estamos sempre a discutir isso. Apesar de eu estar sempre a precisar de dinheiro - mesmo para esta última peça que eu estou a desenvolver, preciso de dinheiro para desenvolver figurinos e tudo - preciso procurar dinheiro em algum lugar. Mas também me trava um bocadinho e sempre fico a pensar nesse lugar de dependências e interdependências.” Não quer perder a autonomia, a liberdade? “De que forma continuamos a guardar a nossa autonomia, de que forma continuamos a desenvolver, como queremos fazer apesar do dinheiro não ser nosso, mas justamente por esse lugar inter-humano.” É um espectáculo novo? “Sim, eu estou a preparar um espectáculo que eu chamo de ‘Dzudza', uma palavra em changana para dizer vasculhar.  ‘Dzudza-se' muito nos mercados, nas ruas caóticas de Maputo, cada um à procura de uma peça melhor para si, é dizer mais ou menos isso. Eu vejo o ‘Dzudza' como o oposto do ‘Vagabundus'. ‘Vagabundus' é mais energético, mais interno e é completamente alegre. É uma acção de graças. Na verdade, toda a peça é uma acção de graças. Canta-se todo o tempo, a expressão é a mesma, a estética é a mesma, mas com perspectivas totalmente diferentes de levar à sala e ao público. Há momentos mais alegres. Há momentos mais ecléticos da vida.” Numa das conferências no Fórum da Bienal de Dança de Lyon disse que não via o “Vagabundus' como uma peça, como uma obra, mas como “uma lógica moçambicana de fazer as coisas”. O que quer isso dizer? “Quer dizer que a forma como ‘Vagabundus' foi constituído, as coisas acontecem porque o colectivo tem vontade de fazer. E ‘Vagabundus' foi feita por essa força do colectivo e por essa força individual. Cada um sempre contribuía com o seu transporte até ao lugar, justamente porque acreditava nisso. Uma das características de Moçambique é realmente confiar no colectivo. Para te dar um exemplo muito claro, económico, social e político disso, tem um termo e tem uma acção de empréstimos e de crédito que se chama xitique. Isso só existe em Moçambique. Eu vou explicar. É um grupo de pessoas que se juntam, vão guardar dinheiro para ajudar-se uns aos outros. Eles vão dizer que têm um xitique mensal ou semanal e cada um tem que tirar um valor por semana que vai ajudar um do grupo. Existe essa lógica de confiança que tu tiras o teu dinheiro, dás a alguém e ficas à espera da tua vez chegar. E sempre chega. Mas eu não consigo encontrar nenhuma lógica para isso, senão uma lógica moçambicana de confiança mesmo.” Falemos agora do outro projecto, o espectáculo participativo que fez na Bienal de Dança de Lyon. Como foi a criação?   “O ponto de partida é esse mesmo, a palavra espectáculo, performance. Quando o Quito [Tembe, co-curador do Forum] me escolheu, a ideia era desconstruir essa compreensão que temos sobre o espectáculo e sobre a dança contemporânea. Para mim, espectáculo é convidar alguém para assistir. Na minha ideia, nestes ‘Rituais do Corpo Vivo', eu não tenho público, tenho participantes. Pensar o público como participante da acção que partilhamos e que, se ele participa, também chega a ser um membro que tem algo a partilhar e que dessa partilha se cria uma energia. Então ‘M'Polo' é inspirado de um de um termo maconde de rito de iniciação, que é o espaço onde os iniciados se vão concentrar durante essa formação para passarem para a vida adulta. Vão-se iniciar, vão-se conhecer. Então, esse espectáculo é muito ligado a isso e muito ligado a se reconectar o ser humano com ele próprio. É um lugar onde todos possam respirar juntos, um lugar onde todos possam estar juntos. É um lugar aonde cada um é importante. Então, é isso que nós partilhamos aqui, nessa ideia de desconstruir essa ideia de espetáculo.” E é uma festa também. “Tentamos celebrar o momento, tentamos celebrar esse encontro. Na verdade, eu não sei se podemos chamar isso de uma performance, um espectáculo, mas é mais um ritual de encontro mesmo em que o público não sabe o que é que vai ser. O público não sabe que ele também é participante deste espaço.” E o público como aderiu? Pode ser intimidante… “Sim. Pode ser intimidante, mas por causa do preconceito do que é que é um espectáculo, na verdade, porque eles vão para assistir alguma coisa e isso também cria uma resistência interna, uma luta interna. Eu não sei se eles têm consciência até agora, não sei se eles têm a resposta se eles viram um espectáculo ou se eles participaram do espectáculo.” Neste contexto do ritual colectivo, como é que a dança pode fazer corpo colectivo e ser ferramenta de resistência neste mundo cada vez mais polarizado e individualista? “Eu acho que a dança tem que ser isso, tem que ser um espaço ou tem que ser uma expressão ou um motor que convida as pessoas a dançarem. Também tem que ser um espaço onde as pessoas se sintam no lugar de doadores também, doadores da sua presença. Um espaço que qualquer pessoa pode, de certa forma, mudar uma situação. Eu vejo a dança como isso. Para mim, a dança tem que ser esse espaço que acolhe pessoas. Um espaço acolhedor.” Para terminarmos, para quem ainda não o conhece – e depois de ter ouvido aqui na Bienal que o Ídio Chichava é a moda do momento – quer falar-nos um pouco sobre si? “Sou formado em danças tradicionais. Sou alguém que viveu parte da sua formação como artista e bailarino na França, alguém que viajou muito pelo mundo sempre através da dança. E alguém que acredita muito no poder da dança.”    

Vida em França
Moçambique e Brasil mostraram “outras maneiras de pensar a dança” na Bienal de Lyon

Vida em França

Play Episode Listen Later Sep 22, 2025 16:24


A Bienal de Dança de Lyon contou, nesta 21ª edição, com um novo espaço internacional de debate, de pensamento e de criação, “Fórum”, animado por cinco curadores de Moçambique, Brasil, Austrália, Taiwan e Estados Unidos. O moçambicano Quito Tembe e a brasileira Nayse López integraram esta “primeira geração de curadores do Fórum” que mostrou “outras maneiras de pensar sobre a dança” e trouxeram artistas que ocuparam um edifício histórico com acções e espectáculos, como Ídio Chichava e o colectivo Original Bomber Crew. Quito Tembe é director artístico da KINANI - Plataforma Internacional de Dança Contemporânea de Maputo e convidou o coreógrafo moçambicano Ídio Chichava para criar um espectáculo com o público durante a Bienal de Dança de Lyon. Nayse López é jornalista e directora artística do Festival Panorama, um dos maiores festivais de artes cénicas do Brasil, e convidou o colectivo Original Bomber Crew para o Fórum. Ela também co-programou o foco de criação brasileira nesta bienal, intitulado “Brasil Agora!”. Fomos conversar com ambos sobre o que é este Fórum, o novo espaço internacional de debate, de pensamento e de criação da Bienal de Dança de Lyon, que durante uma semana ocupou o edifício histórico da Cité Internationale de la Gastronomie e mostrou que “as placas tectónicas da dança estão a mexer”. Nas palavras de Nayse Lopez, esta “primeira geração de curadores do Fórum” trouxe outras “maneiras de pensar sobre a dança e sobre a prática da criação artística em dança” e desafiou a Bienal de Lyon a “ir para o mundo, mais do que trazer o mundo para cá” e a focar-se em “outros trabalhos não conformativos com o que se chama na Europa de uma dança contemporânea de grande escala”. Quito Tembe lembra que Ídio Chichava e o colectivo Original Bomber Crew, por exemplo, têm em comum um “lugar de autenticidade” e de “verdade” artística da prática de uma dança alicerçada na realidade das suas comunidades. Afinal, “não é uma companhia de dança, não é um grupo de dança, é uma família que se constitui”.   RFI: O que é este Fórum da Bienal de Dança de Lyon? Nayse López, Curadora do Fórum: “O convite do Tiago foi um convite para que a gente trouxesse outras visões de mundo para dentro de uma Bienal que é o maior evento de dança do mundo, mas que também por conta desse tamanho, dessa história, está há muito tempo no mesmo lugar, dentro de uma lógica muito centro-europeia. Acho que a ideia do Tiago era justamente que nós os dois, mais a Angela Conquet, da Austrália, a Angela Mattox, dos Estados Unidos, e o River Lin de Taiwan, a gente pudesse trazer outros tipos de maneiras de pensar sobre a dança e sobre a prática da criação artística em dança. Aí chegámos a este formato, em que cada curador trouxe um artista e eles ocupam este prédio durante uma semana, com diversas acções.” Quito Tembe, Curador do Fórum: “Deixa-me dizer que estou muito contente de fazer esta entrevista porque também a fizemos há dois anos e era o início deste mesmo programa e lembro-me que na altura ainda não sabíamos definir muito bem o que é que isto ia ser. Hoje estamos aqui e hoje já estamos mais claros. Eu costumo dizer que este ainda não é o projecto, que este ainda é o início de um grande projeto que vem aí, ou melhor, que gostaríamos que viesse aí.” Que projecto seria esse? “O fórum tem que se transformar em tudo aquilo que a gente lá atrás prometeu que deveria ser. Penso que este momento que estamos a vivenciar do Fórum é de extrema importância porque marca o início de algo que ainda vai chegar à altura daquilo que nós gostaríamos que fosse.” O Quito Tembe convidou Ídio Chichava. Porquê? “Acho que é este o lugar do questionamento e o desafio que nos é colocado, e olhar para a cena africana e moçambicana, Ídio Chichava é um destes artistas que está a questionar muito. O trabalho dele é o espelho disso, do questionamento e de pôr não só em palavras, mas pôr em cena quais são estes questionamentos sobre a cena da dança internacional.” A Nayse López convidou o colectivo Original Bomber Crew. Porquê? Nayse López: “Eu conheço o Bomber Crew há muitos e muitos anos. São um colectivo que já existe há 15 anos com esse nome, mas antes era parte de um outro colectivo que era dirigido por um artista brasileiro muito conhecido aqui na Europa hoje em dia que é o Marcelo Evelin. Eles vêm dessa realidade, como a do Ídio, muito precária do ponto de vista financeiro, de falta de estrutura para a dança nos nossos países, especialmente, no caso do Brasil, fora da capital cultural do Rio e São Paulo. Eles vivem no Nordeste do Brasil, bem isolados do resto da função cultural, do dinheiro cultural, mas, ao mesmo tempo, sobreviveram no tempo graças à força da sua criação. Quer dizer, para mim interessava aqui no Fórum trazer artistas que sobreviveram à falta do que eles acham que é importante na Europa, que é dinheiro, reconhecimento, circulação, e que sobreviveram justamente do que eu sinto que falta aqui, que é essa verdade artística, esse aterramento na sua realidade, no seu quotidiano, nas suas comunidades. Então, não é por acaso, tanto o Ídio quanto o Bomber são artistas que nascem de uma colectividade ligada ao território e que também é o caso dos outros artistas, dos outros curadores. Acho que isso não é uma coincidência. Somos todos ex-colónias. Quer dizer, para nós, a ideia de ancestralidade foi sequestrada. Retomar essa ideia é importante artisticamente. É um processo de entendimento para eles - aqui na Europa, sobretudo - de que há outras formas de existir como artista contemporâneo que não é a fórmula que eles conhecem. Não é que é melhor ou que é pior, é só que é muito diferente. Nós somos a primeira geração de curadores do Fórum, por assim dizer. Começámos ocupando um prédio, começámos trazendo algumas ideias, começámos com alguns artistas na programação, outros apresentando estúdios abertos, oficinas. Mas eu acho que o que a gente quer deixar aqui é um pensamento de que a Bienal de Lyon, mais do que trazer o mundo para cá, precisa também de ir para o mundo, olhar para o mundo e entender que no mundo há lugares onde se faz dança de outra maneira. Isso é a ideia fundamental.” Essa foi uma das críticas que apontou durante uma conferência no Fórum, a ideia de uma Bienal eurocentrada. O Tiago Guedes defende que está a abrir e que convida novos nomes. A Bienal não está suficientemente aberta? “Não é que não esteja aberta. Eu acho que é interessante porque numa conversa com os curadores, o próprio Tiago começa falando que ele, quando chega na Bienal, encontra uma bienal muito eurocentrada. Não é que é só eurocentrada, não é nem uma questão geográfica, é uma questão de um tipo de dança que se tornou predominante, uma maneira de fazer, de pensar, um resultado estético que eu acho que ao longo dessas últimas décadas se tornou muito predominante aqui nos principais projectos europeus de dança. Eu acho que tem uma abertura, tem artistas que estão circulando, do Brasil, por exemplo, temos vários artistas circulando no mundo, mas eu acho que não é só a circulação de artistas, acho que nós estamos falando aqui no Fórum de uma circulação de saberes, de formas de trabalhar, de lógicas de produção, que não é só o resultado que viaja, viaja também a comunidade. Hoje falámos na noção de família. Tem artistas nas nossas realidades que quando trazem um trabalho, esse trabalho traz uma família, traz um colectivo, traz uma comunidade, não é um resultado de um projecto, de uma pessoa. Eu acho que isso é uma coisa que falta realmente explorar mais. Agora, eu acho que é uma bienal que este ano especificamente se abriu muito porque é uma bienal que marca um dos últimos projectos do ano da temporada França-Brasil – o que é já em si é uma discussão sobre essa abertura. Eu, como Festival Panorama, fui convidada pelo Tiago para pensar uma programação conjunta com ele de espectáculos brasileiros.” É o foco intitulado “Brasil Agora”? “É o 'Brasil Agora'. Então, o ‘Brasil Agora' é um marco dentro do festival que tem a ver com o ano do Brasil em França, mas que nasce antes, quando eu e o Tiago conversávamos que esta edição era 30 anos depois da primeira bienal que foi dedicada ao Brasil, aqui mesmo em Lyon, que foi onde Lia Rodrigues surgiu para o mundo europeu. A gente traz neste ano, por exemplo, a própria Lia, um artista do Sul do Brasil que é Alejandro Ahmed e um colectivo também do sul do Brasil, o Cena 11, o trabalho de Davi Pontes e Wallace Ferreira e o trabalho do Bomber. Esta programação que eu faço como Festival Panorama, nem como curadora do Fórum, mas como Festival Panorama, ela também já é uma abertura enorme da bienal a um universo bem grande do Brasil. Então, só é possível porque a gente conseguiu também que o próprio Tiago, pelas suas relações com o Brasil, olhasse de maneira mais generosa para dar tanto espaço para uma programação brasileira. Claro que dentro de uma lógica de ano cultural, com os apoios governamentais e patrocínios, mas é uma abertura que parte do próprio Tiago.” Houve esta abertura para o Brasil, impulsionada pela temporada Brasil-França. E Moçambique? Começa a haver visibilidade, aqui na Europa, em relação ao trabalho da dança em Moçambique? Quito Tembe: “Esta é a segunda vez que falamos aqui, este é o reflexo de Moçambique na Europa e esta é a abertura que a gente tenta, a todo o custo, dar não só para Moçambique, mas para o continente em si. Acho que este lugar do Fórum não só abre este lugar da mostra ou este lugar da presença, mas também abre este lugar de perspectivas. O que é que pode ser o amanhã? E é tão interessante como a conversa que tivemos esta manhã de noções de como fazer e as realidades de cada contexto. Para mim, isto é uma abertura não só para a gente estar aqui a dialogar sobre o Fórum, mas para trazer este lugar da honestidade de onde a gente vem e também perceber-se o que é que se pode procurar nestes lugares porque é fácil que a gente tenha artistas que sabem muito bem fazer o ‘make up' nas suas obras artísticas para vocês comprarem porque está dentro do vosso padrão a nível de programação, mas ao mesmo tempo, se vocês não têm a noção da realidade de onde estes artistas vêm, como é que estes artistas trabalham e que género de plataformas ou de encontros se pode incluir nas programações estes artistas, é muito complicado.” De certa forma, para os artistas que procuram visibilidade, não há uma certa ilusão em vir à Bienal à procura de apoios? “Mas aí é que está este lugar do diálogo e de irmos para a honestidade do que é que estamos a fazer. O Ídio e o Bomber Crew, com as suas próprias palavras, eles desconstroem este lugar da busca, da compra, de venda. Para nós, mais do que uma ilusão de estar aqui, acho que é trazer esta honestidade. A partir de um programa como este do Fórum, a gente abre este diálogo e este diálogo traz aqui um lugar de honestidade, traz aqui um lugar de desconstrução de compra e de venda e até este lugar de ‘O que é que nós programamos, para quem programamos e para quem é que estamos a vender'. A Nayse provocou o Ídio hoje, dizendo que ele é o que está na moda, é o que está a fazer tournées…” Nayse López: “E é.” Quito Tembe: “É, mas eu queria levar para o lado da humildade dele, no sentido de que nem respondeu directo, virou o assunto para o lugar da família. É este lugar da honestidade.” Nayse López: “E é verdade porque é alheio a ele. Ele ter entrado na moda não é por causa dele, é por causa do trabalho neste momento atender também a coisas que interessam aos programadores. Ele está fazendo o mesmo trabalho que ele sempre fez, ele não fez nada para isso acontecer nesse sentido. É verdadeiro o trabalho. Mas é que agora houve um outro olhar. Eu acho que esses olhares, que começaram a entender a Lia Rodrigues, por exemplo, há alguns anos, que começam a entender o Ídio agora, que começaram a entender outros trabalhos não conformativos com o que se chama aqui na Europa de uma dança contemporânea de grande escala e tal, eu acho que é um caminho que a gente vem construindo há muitos anos.” As placas tectónicas da dança estão a mexer? Nayse López: “Estão-se mexendo. Ninguém segura mais e vem com tudo!” O Quito Tembe disse, numa conferência, que o futuro da dança contemporânea é a tradição. Quer explicar? Quito Tembe: “É por causa de toda esta discussão sobre a narrativa de tentarmos definir a dança contemporânea e de procurarmos lugar na contemporaneidade das outras formas de fazer dança. Quando estamos a dizer que estamos a mexer as placas, de que maneira é que estão a ser mexidas estas placas? Como é que um artista como o Ídio, com aquele formato de espectáculo, hoje está a mexer o mundo? Porquê? Porque traz uma honestidade. Volta a devolver-nos, a todos nós, de onde ele vem e quem ele é, a nível da sua forma de estar na dança. Então, este lugar de dizermos que o futuro da dança está na tradição, quiçá, é aí onde um dia vamos encontrar as novas formas e o que podemos definir como o amanhã da dança contemporânea.” Não há o risco de se cair num exotismo na busca do folclore, na busca das raízes? Nayse López: “É porque o olhar que busca o folclórico nunca é o nosso porque para nós não é folclore, para nós é tradição. Eu não sou uma pessoa de origem africana, eu sou uma mulher branca num país maioritariamente negro. Mas quando você olha, por exemplo, o Bomber, quando Bomber vai buscar nos seus ancestrais indígenas e negros, movimentos, músicas, operações quotidianas que geram sons, eles não estão fazendo nada de exótico. Eles estão fazendo o que eles faziam na casa das avós. Quem acha exótico é o francês de Lyon, é o francês de Paris, é o alemão de Berlim que não sabe o que é aquilo e vê um chocalho e acha exótico. A gente acha chocalho normal porque tem na casa de todo mundo. Esse olhar é europeu, não é nosso. Há o risco de uma exotização, sempre houve, melhor que seja com artistas que estão fazendo coisas de qualidade do que com os que estão fazendo para turistas, não é mesmo? Então, já acho um ganho. Agora, eu acho que se tem que ter cuidado com a palavra ‘tradição' porque a ‘tradição' a que se refere Quito não é a ‘tradição' no sentido do conservadorismo. Acho que há um perigo nessa volta da ‘tradição', nessa busca, a gente não pode cair nessa porque o Nijinski já tinha caído lá no começo do século [XX]. Várias pessoas do ballet já tinham caído nessa ideia de buscar a dança pura, tradicional, uma dança histórica. Não é disso que a gente está falando. A gente está falando que talvez a tradição, de movimento, de arte, possa trazer elementos que devolvam essa verdade da criação. Essa palavra ‘verdade' também é ruim… RFI: Autenticidade? Nayse López: “Também é ruim, são ruins essas palavras porque foram capturadas por um discurso liberal e de direita e a gente tenta escapar delas. Bomber é um colectivo urbano, um colectivo de meninos que vêm do hip hop, que estão ligados a um movimento musical e de dança global. Quando a gente pensa que o Bomber se alimenta de ancestralidade, de coisas que vêm das suas famílias, mas o trabalho deles não tem nada de folclórico ou exótico ou tradicional. Não querendo ‘womansplaining' o Quito, eu acho que o Quito tem essa visão de quem está num continente africano, onde a ancestralidade é muito clara, muito forte, de que essas ideias de tempo linear, essas ideias de um corpo que nasce da relação com a natureza, essas coisas que são ancestrais, talvez sejam o que está faltando hoje na dança que se tornou tão desconectada do mundo.” Quito Tembe: “É muito interessante estarmos a ter esta conversa numa entrevista e estarmos a partilhar destas visões porque acho que é exactamente isso. É nesta linha que, ao mesmo tempo, trabalhos como o do Bomber devolvem-nos um lugar da autenticidade do bailarino, de autenticidade da prática em si. Se olhas para o colectivo Bomber ou para o coletivo do Ídio, há uma similaridade muito grande. Quando falo de similaridade é que ambos sem se conhecerem, o corpo como corpo bailante é autêntico, não é um corpo de um bailarino com algumas características que estão lá lineares. Há aí este lugar de autenticidade e voltamos mais uma vez para a questão da família, voltamos mais uma vez para como é que se constroem estes colectivos. Não é uma companhia de dança, não é um grupo de dança, é uma família que se constitui.”  

Em directo da redacção
Ídio Chichava levou “o poder da dança” moçambicana à Bienal de Dança de Lyon

Em directo da redacção

Play Episode Listen Later Sep 22, 2025 14:21


O coreógrafo e bailarino moçambicano Ídio Chichava apresenta dois projectos na Bienal de Dança de Lyon, considerada como o principal evento de dança contemporânea do mundo. “Vagabundus” chega a Lyon a 24, 25 e 26 de Setembro, depois de ter estado em vários palcos internacionais, incluindo em Paris. Ídio Chichava também criou uma peça participativa durante a bienal, “M'POLO”, em que transformou os espectadores em intérpretes de rituais e danças moçambicanas. Ídio Chichava acredita profundamente no que chama de “poder da dança”, um lugar onde “o corpo tem capacidade para mudar o mundo”. É na “força do colectivo” que reside essa magia, alimentada por tradições ancestrais, mas também por saberes e vivências impressas nos próprios corpos. Ídio Chichava descreve Vagabundus como “uma experiência humana, uma experiência de vida sobre fronteiras e sobre raízes”. A força da peça reside nesse poder do colectivo, na exigência técnica dos bailarinos e da escrita coreográfica, não havendo decoração ou cenários. Uma simplicidade aparente que diz muito sobre a falta de financiamento para a cultura em Moçambique, mas que, com o tempo, se transformou “numa riqueza”, conta Ídio Chichava. Vagabundus tem corrido mundo e revelado o coreógrafo nos circuitos internacionais da dança contemporânea. Pelo caminho, Chichava venceu o Salavisa European Dance Award da Fundação Calouste Gulbenkian e com o prémio espera abrir uma escola de dança em Maputo. Agora, apresenta, pela primeira vez, Vagabundus na Bienal de Dança de Lyon, o ponto de encontro de programadores, directores de festivais e artistas, que decorre durante o mês de Setembro. O caminho para Lyon foi feito com o convite de Quito Tembe, director artístico da KINANI, Plataforma de Dança Contemporânea, em Maputo, e que é um dos cinco curadores internacionais nesta 21ª edição da bienal francesa. Cada curador podia escolher um artista dos seus países e Quito Tembe foi buscar Ídio Chichava e os seus bailarinos para representarem Moçambique. Além das conferências em que falou sobre a potência e as dificuldades da dança em Moçambique, Ídio Chichava criou, ‘in loco', um “espectáculo participativo”, segundo as palavras da bienal, “um ritual de encontro”, de acordo com o artista. Em três dias, transformou dezenas de espectadores em intérpretes e quis “desconstruir essa compreensão sobre o que é o espectáculo e a dança contemporânea”. O resultado tem como título M'POLO, Rituais do corpo vivo e insuflou uma rajada de liberdade, alegria, cânticos e dança para todos. Nas palavras de Ídio Chichava, o tal “ritual de encontro” pretendeu “reconectar o ser humano com ele próprio” e foi “um lugar onde todos podem estar juntos”.   Ídio Chichava: “Sou alguém que acredita muito no poder da dança” RFI: Como é que descreve “Vagabundus”, essa força da natureza que vos tem levado mundo fora? Ídio Chichava, coreógrafo e bailarino: “Eu descrevo como uma espécie de movimento que pensa muito colectivo e tenta encontrar sempre a força do colectivo a partir do olhar que eu tenho sobre cada indivíduo e a forma como nós vemos a relação inter-humana. ‘Vagabundus' é mais uma experiência humana, mais uma experiência de vida sobre fronteiras e sobre o sobre lugar, sobre raízes mesmo.” “Vagabundus” é profundamente ancorado em Moçambique, na sua ancestralidade. Quer falar-nos sobre isso? “Sim, está muito fixo nisso, muito apegado a isso. Primeiro, há um lugar que nós não podemos fugir. Eu não posso fugir, nem os intérpretes, nem qualquer pessoa que faça parte deste projecto ‘Vagabundus' pode fugir pelo facto de sermos todos formados em danças tradicionais. Somos pessoas que têm uma formação, que têm fundamentos sobre danças tradicionais e desenvolvemos o nosso trabalho sempre com essa consciência de quem somos e que queremos partilhar com os outros. Depois, é pelo facto de Moçambique também ter uma história de migração muito forte, principalmente com a África do Sul. A outra coisa é pelo facto de eu próprio ter escolhido ‘Vagabundus' não só como uma peça, mas também como um projecto que vai, de certa forma, afirmar aquilo que são as nossas vontades, a minha vontade, de criar uma instituição de dança, criar uma estrutura de dança, como eu sempre venho dizendo. ‘Vagabundus' foi a porta para isso. Sinto realmente essa ancoragem com Moçambique, essa base forte.” Como está o projecto dessa instituição? Já está criada? “Quer dizer, primeiro na ideia e no funcionamento já está criada. Quando criei a companhia, ainda não tinha bases, uma administração, então, sim, ela está criada. Existe uma espécie de estrutura e uma espécie de agenda. O que nós estamos a discutir ainda, mesmo com relação ao prémio da Gulbenkian que é um reforço maior para essa agenda, é um lugar. Então, ela existe pelo seu funcionamento, mas não existe ainda o físico. Nós estamos ainda a trabalhar no físico e principalmente agora, com a ajuda da Gulbenkian, que nos faz, pelo menos, ao meio do caminho. Só para contextualizar, recordo que é o prémio Salavisa European Dance Award da Fundação Calouste Gulbenkian. Eu gostava também que falássemos sobre as escolhas do espectáculo. São mesmo escolhas ou é porque tinha mesmo que ser assim? Não tem luzes, não tem cenários, é uma coisa muito natural e muito despojada… “Primeiro de tudo, eu faço confiança ao corpo. Eu penso que o corpo, ele é inteligente, ele próprio. Segundo, são as vivências do próprio corpo, não o corpo como lugar de memória, mas o corpo como um espaço tecnológico.” Como assim? “O corpo tem saberes a partir das experiências que passou, vai acumulando saberes. Então, eu acredito que o corpo, ele próprio, pode comunicar com qualquer outro corpo. Penso sempre o corpo como um lugar tecnológico que tem capacidade de desenvolver e de nos fazer aceder a outros lugares de forma emocional, de forma espiritual e também de uma forma física. Então, acredito o corpo como esse espaço com capacidade para mudar o mundo também.” No momento em que vivemos toda a aceleração tecnológica, em que passamos para a inteligência artificial, em que qualquer espectáculo tem tanta coisa, até ruído visual, vocês vão ao essencial. É político? “É político porque nós viemos de um lugar e temos opinião só por isso, mas sem uma intenção clara de reivindicação. A intenção clara é demonstrar justamente com o que nós fazemos, com o que nós desenvolvemos e do lugar que eu venho e de onde os Vagabundus vêm não há condições de criação técnica. A peça é forte justamente porque essa simplicidade, essa falta, é uma riqueza para nós. Usamos isso como riqueza, de certa forma. Por isso é que os ‘Vagabundus' têm essa exigência tão técnica, sem muita decoração e sem cenários. Essa simplicidade, nós usamos como riqueza porque é o que nós temos.” Mas isso não corre o risco de ser visto como uma ode à precariedade? Vocês não deveriam sempre pedir mais? “Pois, poderíamos sempre pedir mais. Só que aí é que está. Temos vindo a discutir muito sobre a falta, sobre co-produções, sobre quem nos ajuda. É sempre o meu pensamento, principalmente com relação aos nossos produtores e às pessoas que produzem a Vagabundus ,que produzem o nosso trabalho, nós estamos sempre a discutir isso. Apesar de eu estar sempre a precisar de dinheiro - mesmo para esta última peça que eu estou a desenvolver, preciso de dinheiro para desenvolver figurinos e tudo - preciso procurar dinheiro em algum lugar. Mas também me trava um bocadinho e sempre fico a pensar nesse lugar de dependências e interdependências.” Não quer perder a autonomia, a liberdade? “De que forma continuamos a guardar a nossa autonomia, de que forma continuamos a desenvolver, como queremos fazer apesar do dinheiro não ser nosso, mas justamente por esse lugar inter-humano.” É um espectáculo novo? “Sim, eu estou a preparar um espectáculo que eu chamo de ‘Dzudza', uma palavra em changana para dizer vasculhar.  ‘Dzudza-se' muito nos mercados, nas ruas caóticas de Maputo, cada um à procura de uma peça melhor para si, é dizer mais ou menos isso. Eu vejo o ‘Dzudza' como o oposto do ‘Vagabundus'. ‘Vagabundus' é mais energético, mais interno e é completamente alegre. É uma acção de graças. Na verdade, toda a peça é uma acção de graças. Canta-se todo o tempo, a expressão é a mesma, a estética é a mesma, mas com perspectivas totalmente diferentes de levar à sala e ao público. Há momentos mais alegres. Há momentos mais ecléticos da vida.” Numa das conferências no Fórum da Bienal de Dança de Lyon disse que não via o “Vagabundus' como uma peça, como uma obra, mas como “uma lógica moçambicana de fazer as coisas”. O que quer isso dizer? “Quer dizer que a forma como ‘Vagabundus' foi constituído, as coisas acontecem porque o colectivo tem vontade de fazer. E ‘Vagabundus' foi feita por essa força do colectivo e por essa força individual. Cada um sempre contribuía com o seu transporte até ao lugar, justamente porque acreditava nisso. Uma das características de Moçambique é realmente confiar no colectivo. Para te dar um exemplo muito claro, económico, social e político disso, tem um termo e tem uma acção de empréstimos e de crédito que se chama xitique. Isso só existe em Moçambique. Eu vou explicar. É um grupo de pessoas que se juntam, vão guardar dinheiro para ajudar-se uns aos outros. Eles vão dizer que têm um xitique mensal ou semanal e cada um tem que tirar um valor por semana que vai ajudar um do grupo. Existe essa lógica de confiança que tu tiras o teu dinheiro, dás a alguém e ficas à espera da tua vez chegar. E sempre chega. Mas eu não consigo encontrar nenhuma lógica para isso, senão uma lógica moçambicana de confiança mesmo.” Falemos agora do outro projecto, o espectáculo participativo que fez na Bienal de Dança de Lyon. Como foi a criação?   “O ponto de partida é esse mesmo, a palavra espectáculo, performance. Quando o Quito [Tembe, co-curador do Forum] me escolheu, a ideia era desconstruir essa compreensão que temos sobre o espectáculo e sobre a dança contemporânea. Para mim, espectáculo é convidar alguém para assistir. Na minha ideia, nestes ‘Rituais do Corpo Vivo', eu não tenho público, tenho participantes. Pensar o público como participante da acção que partilhamos e que, se ele participa, também chega a ser um membro que tem algo a partilhar e que dessa partilha se cria uma energia. Então ‘M'Polo' é inspirado de um de um termo maconde de rito de iniciação, que é o espaço onde os iniciados se vão concentrar durante essa formação para passarem para a vida adulta. Vão-se iniciar, vão-se conhecer. Então, esse espectáculo é muito ligado a isso e muito ligado a se reconectar o ser humano com ele próprio. É um lugar onde todos possam respirar juntos, um lugar onde todos possam estar juntos. É um lugar aonde cada um é importante. Então, é isso que nós partilhamos aqui, nessa ideia de desconstruir essa ideia de espetáculo.” E é uma festa também. “Tentamos celebrar o momento, tentamos celebrar esse encontro. Na verdade, eu não sei se podemos chamar isso de uma performance, um espectáculo, mas é mais um ritual de encontro mesmo em que o público não sabe o que é que vai ser. O público não sabe que ele também é participante deste espaço.” E o público como aderiu? Pode ser intimidante… “Sim. Pode ser intimidante, mas por causa do preconceito do que é que é um espectáculo, na verdade, porque eles vão para assistir alguma coisa e isso também cria uma resistência interna, uma luta interna. Eu não sei se eles têm consciência até agora, não sei se eles têm a resposta se eles viram um espectáculo ou se eles participaram do espectáculo.” Neste contexto do ritual colectivo, como é que a dança pode fazer corpo colectivo e ser ferramenta de resistência neste mundo cada vez mais polarizado e individualista? “Eu acho que a dança tem que ser isso, tem que ser um espaço ou tem que ser uma expressão ou um motor que convida as pessoas a dançarem. Também tem que ser um espaço onde as pessoas se sintam no lugar de doadores também, doadores da sua presença. Um espaço que qualquer pessoa pode, de certa forma, mudar uma situação. Eu vejo a dança como isso. Para mim, a dança tem que ser esse espaço que acolhe pessoas. Um espaço acolhedor.” Para terminarmos, para quem ainda não o conhece – e depois de ter ouvido aqui na Bienal que o Ídio Chichava é a moda do momento – quer falar-nos um pouco sobre si? “Sou formado em danças tradicionais. Sou alguém que viveu parte da sua formação como artista e bailarino na França, alguém que viajou muito pelo mundo sempre através da dança. E alguém que acredita muito no poder da dança.”    

Easy Italian: Learn Italian with real conversations | Imparare l'italiano con conversazioni reali

"L'estate sta finendo e un anno se ne va...!" - Inizia cosi una delle canzoni più famose dell'italo-disco che ha spopolato prima in tutte le discoteche italiane e poi, in tutti gli stadi europei! Ma in che senso? Raffaele ci racconta dei Righeira e della loro storia. Trascrizione interattiva e Vocab Helper Support Easy Italian and get interactive transcripts, live vocabulary and bonus content: easyitalian.fm/membership Note dell'episodio The Best Way to Learn a Language (According to Italians) - https://www.youtube.com/watch?v=HJSaEnyUP24&t=5s Oggi ci tuffiamo per l'ultima volta, prima della fine dell'estate. Ma dove? Prima negli anni '80! Preparate il costume e le ciabatte. Spiagge lunghissime ed affollate. Il sole è forte e corriamo sulla spiaggia tra l'ombra di un ombrellone ed un altra, cercando di non bruciare i piedi. Dobbiamo arrivare al bar, è l'ora dell'aperitivo e si sento in lontananza le parole di una canzone che come un distinto portinaio, ci ricordano che qualcosa sta finendo e tanto altro sta per iniziare... _L'estate sta finendo e un anno se ne va Sto diventando grande lo sai che non mi va In spiaggia di ombrelloni non ce ne sono più È il solito rituale ma ora manchi tu La-languidi bri-brividi Come il ghiaccio bruciano quando sto con te Ba-ba-baciami siamo due satelliti in orbita sul mar È tempo che i gabbiani arrivino in città L'estate sta finendo lo sai che non mi va Io sono ancora solo non e una novità Tu hai già chi ti consola a me chi penserà... E' la canzone dei Righeira! Ma chi sono i Righeira? https://it.wikipedia.org/wiki/Righeira https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_disco E poi dove andiamo? Vicino Roma, in un borgo molto particolare, a partire dal nome: "Borgo Laudato Sì". E' un borgo molto interessante, nato per volontà del Papa precedente, Papa Francesco. Con Il cambio Papa, ci sarà probabilmente qualche cambio nel borgo e Raffaele ci racconta cosa, come e perché. Concludiamo con il CIBO! Finalmente per la gioia di Matteo parliamo di cibo. Ma cosa mangiamo? Oggi mangiamo tarallucci dolci, gli occhi di Santa Lucia. Matteo per l'evento che c'è stato da poco per la scuola di italiano online Joy of Languages ha cucinato con gli studenti i tarallucci. Curiosi? Trascrizione Raffaele: [0:23] Buongiorno, Matteo! Matteo: [0:26] Buongiorno, mi sarei aspettato una canzoncina... Raffaele: [0:30] Eh, ci ho pensato, però il punto è che se la cantavo nell'introduzione, poi subito dopo la sigla iniziale doveva esserci il jingle della sezione... Matteo: [0:41] Eh, ma io sono sempre pronto. [Musica] Maestro. Raffaele: [0:52] Musica, maestro: ormai è un classicone e allora io canto. L'estate sta finendo, e un anno se ne va. Conosci il resto? Matteo: [1:03] Eh no, mi spiace, questo... ero anche insicuro sul "un anno se ne va". Raffaele: [1:09] Penso dica così, no? Matteo: [1:11] Sì, mi suona giusto. ... Support Easy Italian and get interactive transcripts, live vocabulary and bonus content: easyitalian.fm/membership

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Investigadora alerta que França vive “crise democrática e social”

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Play Episode Listen Later Sep 17, 2025 11:15


Os sindicatos prometem uma “quinta-feira negra” em França, uma jornada de greves e manifestações contra cortes orçamentais anunciados no Verão e que descrevem como sendo de uma “brutalidade sem precedentes”. As pessoas pedem “justiça social” e que o Presidente Emmanuel Macron oiça os protestos, resume Luísa Semedo, investigadora doutorada em Filosofia Política e Ética. Para ela, a França está perante “uma crise democrática e social” e “um descrédito total em relação à Presidência de Macron”. Luísa Semedo avisa que se Emmanuel Macron “não tomar iniciativas para mostrar que percebeu que a crise é muito mais profunda, o movimento vai aumentar” e a extrema-direita vai continuar a subir. RFI: Quais as razões das greves e manifestações desta quinta-feira? Luísa Semedo, Investigadora doutorada em Filosofia Política e Ética: “De modo mais geral, o que se está a passar é o fim da ‘Macronia'. Ou seja, estamos mesmo a chegar ao fim de um sistema que não é assim tão democrático como isso. Macron já teve várias derrotas a nível de eleições, democráticas, e que fazem com que as pessoas já estão fartas da parte que tem a ver com a democracia e depois tem a ver também com as medidas que têm sido anunciadas, quer pelo governo de Barnier, quer pelo Governo de Bayrou, que vão sempre no mesmo sentido que é de cortar tudo o que tem a ver com o social, com a justiça social. As pessoas estão fartas, têm a sensação que são elas sempre a pagar e que continuamos a fazer a mesma política que é de não tocar nos patrimónios, nas empresas, nas pessoas mais ricas. É querer justiça social.” Caiu o antigo primeiro-ministro, François Bayrou. O novo primeiro-ministro, Sébastien Lecornu  já desistiu da supressão de dois feriados, por exemplo, e não rejeitou ainda totalmente as medidas fiscais sobre os altos rendimentos. Mesmo assim, as pessoas têm razões para se manifestarem esta quinta-feira? “Sim, sem dúvida, porque o primeiro-ministro está numa fase de negociação e de calibragem em relação àquilo que vai poder fazer ou não. O movimento pretende fazer com que a balança venha para o lado da justiça social, fazer com que haja pressão no primeiro-ministro para que ele perceba que a rua não quer, de todo, continuar com o mesmo estilo de governação.” O novo primeiro-ministro falou na possibilidade de rever todas as regalias vitalícias dos antigos primeiros-ministros e ministros. O que acha deste anúncio? “Isso é muito típico. São medidas simbólicas, cosméticas, para dar uma impressão de estar se a ocupar da doença democrática que é dizer: ‘Vejam, povo, como nós, enquanto classe política, estamos a tratar das nossas próprias regalias'. Para mim é só cosmética e é diversão, não tem, de todo, impacto na vida dos franceses.” Relativamente à dívida pública e à necessidade de poupanças de 44 mil milhões de euros, de acordo com o ex-primeiro-ministro, isto parece ser algo abstracto para os franceses, mas é um problema. “Sim, sim, é abstracto, mas os franceses sabem quem é que vai pagar. Foi o que aconteceu com Bayrou. Ou seja, mesmo que as pessoas não entendam exactamente do que é que estamos a falar e da amplitude daquilo que está em causa, as pessoas percebem perfeitamente quais são as medidas e em quem é que essas medidas vão tocar. E perceberam perfeitamente que o Bayrou, independentemente de ele poder ter razão em teoria, aquilo que ele queria meter em prática para tratar o problema, era ir tocar nas pessoas mais pobres. Ou seja, mais uma vez sem justiça social, e questão está aí: Ok, há um problema, mas quem é que vai pagar esse problema? Se é para haver ainda mais injustiça social, as pessoas não estão dispostas a isso e isso elas percebem perfeitamente.” No dia 10 de Setembro, as pessoas foram para a rua seguindo o apelo do movimento ‘Bloquons Tout', [‘Bloquer Tudo']. Agora é a intersindical que apela à greve e às manifestações na rua. Como é que olha para este movimento, para as perspectivas de desenvolvimento do próprio movimento e quais são as principais diferenças entre 10 de Setembro, quando finalmente não houve tanta gente quanto se esperava nas ruas, e esta quinta-feira? “Esta quinta-feira, o que se está a passar é que, pelo menos, a nível de organização foi alargada. Ou seja, temos mais sindicatos, temos mais organizações que vão participar. Isto tudo vai depender de uma espécie de diálogo. Ou seja, quanto mais pessoas estiverem na rua, mais pressão haverá sobre o primeiro-ministro e depois vai ser ao primeiro-ministro de responder. Ou seja, se ele responder ao que a rua está a pedir, eu penso que a coisa poderá ficar mais equilibrada, mas se continuar a não responder, penso que o movimento pode ser ainda maior porque penso que é esse o objectivo. Se aquilo que é requerido não está a ser respeitado, as pessoas vão continuar a manifestar. Mas eu penso que o problema ainda é mais geral porque não se trata só da questão da governação agora específica de mais um primeiro-ministro. Trata-se do Presidente Macron. Ou seja, há também um descrédito total em relação a Presidência de Macron e penso que enquanto Macron não sair, vai haver sempre este tipo de tensões até ao fim.” Aparentemente insensível ao descontentamento popular, aos pedidos de mais justiça social e fiscal, aos próprios resultados das legislativas antecipadas, Emmanuel Macron estaria disposto a uma mudança ou tudo o que está a ser feito pode contribuir para a chegada da extrema-direita ao poder? “Sim, sem dúvida. Eu acho que nós estamos a ir de forma acelerada para aí, sem dúvida. Ou seja, Macron foi eleito com votos de pessoas que nunca votariam por ele, mas que votaram para fazer com que a extrema-direita não chegasse ao poder. Aos poucos, ele vai perdendo toda a credibilidade, eu penso que há muitas pessoas que já não vão talvez fazer esse voto de compromisso para que a extrema-direita não chegue. Portanto, estamos mesmo às portas a que a extrema-direita chegue ao poder, sem contar com o facto que os Les Républicains também estão dispostos a fazer acordos com a com o Rassemblement National. Penso que sim. A questão é foi Macron quem tinha as cartas na mão, ou seja, ele foi votado exactamente para isso. Ele prometeu aos franceses que ia fazer tudo para que o Rassemblement National não chegasse ao poder e, no entanto, hoje estamos aqui com um Presidente que, por vezes, diz Não ao Rassemblement National, mas por vezes diz Não à esquerda; com governos que, apesar do voto dos franceses, não houve nada que fosse feito na direcção da esquerda, praticamente. Portanto, Macron só se pode culpar a ele mesmo da situação. É uma situação que é terrível, mas a questão é: até quando a França vai ser refém de Macron em relação à questão da extrema-direita? Infelizmente estamos a entrar numa espécie de impasse terrível. A mim parece-me que sim, que se continuamos assim, ou seja, sem que as pessoas tenham aquilo que querem que é a tal justiça social e a justiça fiscal, vamos direito, muito rapidamente, para a extrema-direita infelizmente.” Esta França que sai às ruas é uma França cansada, zangada, cada vez mais polarizada? Como é que a define? “A mim faz-me lembrar um bocado a questão da doença e do corpo. É como se houvesse uma doença, pelo menos, democrática em França e que o corpo está-se a exprimir. É isso que as pessoas estão a fazer, estão a exprimir algo que não está a funcionar neste momento, eu diria mesmo, profundamente, democraticamente, em França. É o que está a acontecer. Se o Macron não tomar iniciativas para mostrar que percebeu que a crise é muito mais profunda, acho que isto vai continuar e o movimento vai aumentar, sem dúvida.” Quando fala em “crise profunda”, por exemplo, estamos a falar na pauperização da vida quotidiana das pessoas? Isso nota-se? Há dados que mostrem que as pessoas estão a ficar mais pobres? “Sim, há a crise social em relação, por exemplo, aos estudantes, em relação aos salários de várias categorias profissionais, por exemplo, os professores. Mas também é uma crise democrática, no sentido do voto e da confiança que se tem nas instituições governativas. Ou seja, o povo, a partir dos seus representantes, tem dito não, e de forma bastante audível, aos sucessivos governos criados pelo Emanuel Macron e Emmanuel Macron continua a insistir. Ele continua a insistir, agora ainda mais com alguém que é originário do seu movimento, ou seja, é como se ele não estivesse a ouvir a rua, não estivesse a ouvir o Parlamento. Isto é uma crise democrática que é mais profunda no sentido de que é o regime ele próprio que está a ser posto em causa.” Como é que se cura aquilo que chamou de “doença democrática”? Essa “crise de regime”? “Em democracia, há uma parte que é absolutamente essencial que é os cidadãos, as pessoas que votam, os eleitores. A democracia é a voz do povo. Ou seja, normalmente nós deveríamos ir de novo para eleições presidenciais. Macron deveria se demitir e tomar a responsabilidade de tudo o que se está a passar. Qual é o problema que nós temos aqui? É a extrema-direita. Se a extrema-direita não estivesse presente na equação, tudo seria muito mais simples. Iríamos de novo para eleições e provavelmente poderíamos ter outro Presidente. O problema é que a extrema-direita bloqueia toda a gente. Para já, bloqueia a esquerda e é normal que assim seja porque a esquerda vai sempre fazer tudo o possível para que a extrema-direita não esteja no poder, inclusive votar a favorde políticas que não quer e foi por isso que votou Macron duas vezes para Presidente por causa de ser refém desta história da extrema-direita.” A mobilização vai durar, como aconteceu com os coletes amarelos, por exemplo? Há perspetivas nesse sentido? “Eu penso que sim. Agora, neste momento, a muito curto termo, vai depender do primeiro-ministro. Ele está a fazer as audições com os partidos. Vamos ver o que é que ele faz como compromisso com os partidos para manter ou não o seu governo e não cair também. Vai depender muito disso a muito curto termo. Mas a mim parece-me, como disse, que vai depender também de Macron, ou seja, eu acho que Macron é como se ele não ouvisse. Há meses e meses que ele não está a ouvir o que está a ser dito e, portanto, se ele próprio não muda, é o sistema que não muda e acho que vão continuar estes movimentos, sem dúvida.”

La mia vita spaziale
La teoria QIP di Faggin: come la penso…

La mia vita spaziale

Play Episode Listen Later Sep 13, 2025 11:00


La coscienza è solo un prodotto del cervello? Scopri perché Faggin crede che sia il principio creativo dell'universoIn questo episodio di "La mia vita spaziale", esploro la rivoluzionaria teoria QIP (Quantum Information-based Panpsychism) di Federico Faggin, un pensiero audace che sostiene che la coscienza non è solo un epifenomeno, ma il principio fondamentale dell'universo.Discuterò:• Come la teoria QIP ridefinisce la coscienza come architetto della realtà quantistica.• L'idea che ogni particella dell'universo custodisca un frammento di esperienza soggettiva, creando una vera "democrazia cosmica".• Le Unità di Coscienza (UC) come creatori attivi di nuove prospettive, capaci di trasformare l'informazione quantistica in vita pulsante.Riflettendo su tutto ciò, mi sorprende come ogni nostra decisione possa rispecchiare questa danza infinita tra informazione quantistica e libero arbitrio, rendendo ogni istante un atto creativo cosmico.Ti invito a condividere le tue riflessioni su questa affascinante teoria.Timestamps:00:00:00 Introduzione01:00:00 Approfondimento sulla teoria QIP01:01:00 Riflessioni su coscienza e libero arbitrio01:02:00 Conclusioni finali

Llapis de memòria
Vicenç Villatoro: "Com vinc de fer totxos de 600 pàgines, fer-ne un de 200 penso que m'ha quedat fresquet"

Llapis de memòria

Play Episode Listen Later Sep 12, 2025 55:50


Sogno Neroazzurro
Apple Event , cosa ne penso…

Sogno Neroazzurro

Play Episode Listen Later Sep 11, 2025 16:58


Speciale Evento Apple – iPhone 17, il nuovo Air e tante (mancate) novità su iOS 26Nel nuovo episodio analizziamo l'evento Apple del 9 settembre 2025: protagonista assoluto il nuovo iPhone 17 Air, il modello più sottile mai realizzato. Parliamo anche delle novità nella linea Apple Watch e della sorprendente assenza di approfondimenti su iOS 26, in uscita il 15 settembre, menzionato solo di sfuggita. Un episodio da non perdere per capire cosa c'è davvero dietro le scelte di Apple.

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França: Vazio de poder na véspera de mega-protesto

Convidado

Play Episode Listen Later Sep 9, 2025 11:03


Esta segunda-feira, 08 de Setembro, ao final do dia, a moção de confiança, pedida pelo primeiro-ministro francês François Bayrou, foi chumbada na Assembleia Nacional com 364 votos contra e 194 votos a favor. A votação levou à queda do executivo, que, de resto, já era previsível. A França mergulha assim num novo impasse político em vésperas de mobilização social. A grande incógnita é, segundo Eric Monteiro, professor de Ciências Políticas da Universidade de La Rochelle, saber quem terá condições para formar um Governo capaz de garantir estabilidade até 2027. Como é que fica a França?  A França fica numa situação previsível porque era quase certo que o Governo ia cair e imprevisível porque há várias possibilidades. O actual ex-primeiro-ministro, primeiro-ministro demissionário Bayrou, não tinha obrigação nenhuma de pedir o voto de confiança, coisa que fez. E, por isso, encontramo-nos, mais ou menos, na mesma situação da dissolução de há um ano, Junho de 2024, onde não era necessário ter havido dissolução. A situação ficou pior. Estamos outra vez no mesmo quadro, ou seja, um parlamento com, teoricamente, três grandes grupos. Mas são grupos ideológicos: extrema-esquerda, extrema-direita e bloco central. Só que o bloco central decompõe-se em muitos blocos, em mini-blocos. Outra questão é que ninguém vai querer assumir a presidência do Governo tão perto das eleições presidenciais.  Estamos a 18 meses das eleições presidenciais.  Exactamente. No bloco republicano que vai, mais ou menos, do tradicional Partido Socialista ao Les Republicain (Republicanos), passando pelo grupo parlamentar do actual Presidente da República, existem candidatos potenciais. Mas ninguém vai querer assumir a gestão da crise para não queimar as asas e não ter hipóteses de ser eleito em 2027.  Ou seja, para que a única figura que fique ‘queimada', a única figura política ‘queimada' seja Emmanuel Macron? Essa figura já está queimada. A questão já nem se põe. As sondagens ontem, 08 de Setembro, deram que a popularidade dele [Emmanuel Macron] atingiu uma taxa de 15%, ou seja, a mais baixa de toda a V República. Portanto, o papel presidencial até está posto em causa. Aliás, os extremos só querem isso. Querem a demissão do Presidente. A França Insubmissa e o Rassemblement Nacional [União Nacional] de Marine Le Pen só esperam uma coisa: que a situação esteja ingovernável a tal ponto que o presidente não tem outra solução que demitir-se.  A extrema-direita de Marine Le Pen pede a dissolução da Assembleia Nacional e novas eleições legislativas. Emmanuel Macron não quer novas eleições legislativas, devido à impopularidade dele e do seu partido. Arrisca-se a ter um resultado miserável nessas eleições. Por outro lado, os socialistas pedem uma figura de esquerda e a extrema-esquerda, a França Insubmissa pede a demissão de Emmanuel Macron.  Como é que se sai deste bloqueio?  Eu acredito que não haverá dissolução porque, efectivamente, todos têm a perder. Se houvesse uma dissolução hoje, o Rassemblement Nacional [União Nacional] seria o primeiro partido francês, sem dúvida, mas com uma percentagem entre 30% e 35% do Parlamento. Seria uma maioria insuficiente para governar e para validar um orçamento. Claro que o Rassemblement Nacional [União Nacional] tem toda a vontade que haja eleições presidenciais antecipadas, porque a campanha seria só de 35 dias e em 35 dias é impossível, a não ser eles que estão prontos, apresentar um programa de governo e um programa de sociedade para os franceses. Portanto, o bloco republicano, que está contra os extremos, tem que encontrar uma solução para governar. Penso que o consenso para governar será possível. O que falta é o nome da pessoa para dirigir este Governo.  Neste momento há nomes em cima da mesa, desde Xavier Bertrand - que o partido de Marine Le Pen já disse que não aceitaria; a presidente da Assembleia Nacional Yaël Braun-Pivet; a ministra do Trabalho e da Saúde Catherine Vautrin; o ministro da Defesa Sébastian Lecornu, e também o próprio ministro do Interior Bruno Retailleau. É preciso perceber qual destes nomes é que reúne o consenso necessário para aprovar o Orçamento de Estado para o próximo ano. Se não houver consenso, há uma lei especial que será votada, não ao shutdown' como nos Estados Unidos. O que acontece é que o orçamento do ano precedente é reconduzido nas mesmas modalidades para o ano seguinte. Isso permitiria a continuação do funcionamento da função pública, mas não é uma solução. Agora, todos os nomes que disse, Retailleau têm posições muito claras sobre a imigração. Poderia ter a adesão da extrema-direita, mas nunca teria a adesão da esquerda ou da extrema-esquerda. E ele próprio tem pretensões presidenciais. Portanto, duvido que qualquer dos nomes que disse, a não ser Sébastian Lecornu, que é o actual ministro da Defesa, que possa, porque a priori não têm pretensões presidenciais. Mas é complicado, dada a situação geopolítica mundial e ele tem sido um bom ministro da Defesa. Em todo o caso, em Dezembro, o próprio presidente Emmanuel Macron já tinha querido nomear Sébastian Lecornu, é um próximo de Macron. Mas foi nesse momento que François Bayrou se meteu no caminho e se impôs a Macron. Porque há muito tempo que François Bayrou queria ser primeiro-ministro. E não nos esqueçamos que ele vem do bloco mais ao centro, historicamente da direita, e foi um dos principais apoiantes de Macron em 2017. Portanto, não era do partido dele, mas trouxe-lhe o bloco central de centro direita. O que é dramático é a saída do Bayrou da maneira como saiu. Ele podia perfeitamente ter negociado durante o verão um consenso para validar um orçamento e não o fez. Disse: temos que fazer 44 mil milhões de poupança para o orçamento do ano que vem. A União Europeia só perdia 25 mil milhões por ano. E propôs medidas extremamente impopulares no momento em que a população francesa tem um descrédito total em relação aos políticos, qualquer que seja a origem partidária deles. A única expectativa para que haja estabilidade política em França passa por uma verdadeira campanha eleitoral, de vários meses, com um projecto de sociedade para 2027 e que atrás disso haja uma maioria parlamentar. Até aí, a única solução é garantir à União Europeia que a França fará esforços para reembolsar, pelo menos, 25 mil milhões de euros por ano até às presidenciais e que haja um consenso de "não moção" de censura. O que nos falta é o nome.   Pode, por exemplo, Emmanuel Macron fazer aquilo que o ex-primeiro-ministro Gabriel Attal pediu: a nomeação de um negociador para testar as coligações possíveis e pediu também que Emmanuel Macron deveria estar mais aberto à partilha de poder. É exequível? Acho pouco credível. Quem negocia é quem vai formar o Governo. É necessário, que, desde ontem à noite, haja alguém que esteja na sombra já a negociar um compromisso de Governo entre a esquerda progressista, o centro ex-macronista - embora tenham sido eleitos com a etiqueta Macron - e os Republicanos. Duvido muito que uma pessoa faça essa negociação para depois não ser primeiro-ministro. E pode esperar-se um primeiro-ministro ainda hoje para que amanhã não haja um vazio de poder. O movimento “Bloquons tout” [Bloquemos tudo] apela a uma mobilização geral nas ruas esta quarta-feira, há greves marcadas… Acho que nomear hoje seria aumentar a crise. Mas, Emmanuel Macron já teve 15 dias antes do chumbo da moção de confiança do primeiro-ministro, não foi apanhado de surpresa. Já teve algum tempo para pensar e para analisar os diferentes cenários. Mas Macron habituou-nos, desde que é Presidente, quer no primeiro mandato, quer no segundo, que cada vez que nos anuncia que vai rapidamente nomear um primeiro-ministro, demora semanas. Aliás, é o Presidente que demorou mais tempo a nomear governos de toda a V República. Na véspera de um dia de bloqueio nacional, seria insensato nomear alguém, porque, em regra geral, o primeiro-ministro é nomeado para poder formar um Governo e só 15 dias depois é que o Governo está completo. Imagino muito mal o Presidente da República nomear um primeiro-ministro na véspera de movimentos sociais importantíssimos, onde o ministro da Administração Interna tem que estar no gabinete dele a dar ordens. Suponho que não haverá nomeação hoje nem amanhã, depois do movimento social. Depende de como vai o dia amanhã? Só depois é que haverá a nomeação de um primeiro-ministro. Posso me enganar, mas todos os que têm aspirações políticas, ambição presidencial, vejo-os muito mal aceitar hoje a liderança de um Governo que poderia durar só três meses. O que é que se pode esperar do dia de amanhã? Uma mobilização que nos faz lembrar os coletes amarelos? Exactamente. À partida a ideia não era um movimento social que iria bloquear o país. A ideia era bloquear a economia, ou seja, ninguém comprava nada e mostrar que durante um dia podemos não fazer entrar IVA nos cofres do Estado. Isso era mais uma ideia de centro e da direita. Na prática, a extrema-esquerda incita à desobediência republicana e ao levantamento popular. Portanto, amanhã, provavelmente, todas as rotundas vão estar bloqueadas. Eu próprio não poderei dar aulas na minha faculdade. Suponho que os meus estudantes não conseguirão chegar à universidade. É diferente dos coletes amarelos, há um cansaço da população e acho que a própria população não aceitaria meses e meses de bloqueio como houve. Outra coisa, o movimento de amanhã é num dia de semana, ou seja, todas as pessoas que vão manifestar vão meter um dia de greve, vão perder um dia de salário. Portanto, fazer durar uma crise política onde os salários mais baixos iriam perder cinco, dez, 15 dias de salário é impensável, suponho. Espero que não haja destruições de bens públicos, porque é sempre terrível. Mas vai haver, provavelmente. Depois é essa imagem que fica, não a imagem das reivindicações, mas a imagem da destruição. São muito localizadas as destruições. Visto dos Estados Unidos, por exemplo, dá a impressão que a França está em guerra civil. É claro que vai haver confrontos com a polícia, vai haver cenas violentas, mas a França não está em estado de guerra e os franceses não querem isso. Veremos amanhã, mas provavelmente hoje não haverá novo primeiro-ministro nem amanhã, porque amanhã vai ser dia de crise e precisamos de um ministro da Administração Interna para gerir a situação.

Gameromancer, il podcast videoludicamente scorretto
Ep. 218: Processo a The Phantom Pain

Gameromancer, il podcast videoludicamente scorretto

Play Episode Listen Later Sep 1, 2025 63:25


Unisciti alla ribellione su Telegram – Iscriviti alla newsletter – Supportaci su Patreon Penso a "Luci guida anche nella morte" da quando ho finito The Phantom Pain la prima volta. Qualcuno la definirebbe una sezione Walking Simulator del cazzo. Alla fine devi solo attraversare i corridoi della Mother Base sparando in testa ai Diamond Dogs. Solo che sono i tuoi Diamond Dogs, quelli che hai speso ore a reclutare cercando tra le fila nemiche il meglio del meglio, soldati di Rango S che potessero essere degni della reputazione da Leggenda che ti stavi costruendo. Quella stessa reputazione che evapora 60 punti alla volta ogni volta che adesso ne fai fuori uno. La vocina dell'iDroid continua a ripetere "Staff member has died" e tu non puoi farci un cazzo. I tuoi commilitoni chiedono pietà e tu non puoi farci un cazzo. Ad un certo punto alcuni di loro gettano le armi a terra e ti rivolgono il saluto militare. "Viviamo e moriamo ad un tuo comando, Boss". È un brivido che mi porto dentro da 10 anni. Lo strumento più basilare che si possa trovare nei videogiochi, il punteggio, che viene usato così, per ricordarti che non conti un cazzo, che i Diamond Dogs che stai ammazzando non sono solo statistiche, hanno un nome e lo vedi nell'HUD ogni volta che stai per premere il grilletto. Giocando "Luci guida anche nella morte" mi sono chiesto per dieci anni come si possa pensare che i videogiochi desensibilizzano davanti alla morte. Difficilmente mi sono mai sentito così una merda come durante quella missione. Difficilmente riuscirò mai a prendere una vita IRL, se ho fatto così fatica a farlo usando un controller.

Dentro alla filosofia
L'io penso e gli schemi trascendentali

Dentro alla filosofia

Play Episode Listen Later Aug 13, 2025 21:54


Acquista il mio nuovo libro, “Anche Socrate qualche dubbio ce l'aveva”: https://amzn.to/3wPZfmCAbbiamo introdotto l'io penso, ma non abbiamo ancora detto per bene come funziona: oggi proviamo a farlo.Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/dentro-alla-filosofia--4778244/support.

Trip FM
Maria Ribeiro: "Não sei se é bom. Mas essa sou eu"

Trip FM

Play Episode Listen Later Aug 8, 2025


Jornalista, atriz e escritora, Maria Ribeiro transita entre artes e ideias com rara intensidade – mas confessa que às vezes queria ser outra "Está faltando um pouco de conversa entre mulheres e homens. O feminismo é bom para os homens também, porque libera todo mundo de papéis engessados", afirma a atriz e escritora Maria Ribeiro.No Trip FM, ela reflete sobre marcos de sua vida e fala do lançamento do livro "Não sei se é bom, mas é teu", uma coletânea de mais de 70 textos, parte de uma produção literária que começou nas páginas da Trip e da Tpm. “Esse livro cobre dos meus 42 aos 49 anos: um período crítico e maravilhoso. Tem pandemia, morte, separação, novos amores, crescimento dos meus filhos. É como se fosse uma autobiografia disfarçada, porque está tudo ali, mas filtrado pela literatura.”No papo com Paulo Lima, ela também fala sobre envelhecimento, menopausa e redes sociais. “Sempre gostei muito do Instagram porque ele me dava um canal direto, sem precisar da aprovação de ninguém. Eu podia falar o que queria, no meu tom, do meu jeito. Mas hoje estou de saco cheio. Talvez eu tenha menos público por isso, mas é o que eu posso dar. Minha bateria social está menor, e o que eu tenho para oferecer de mais verdadeiro talvez esteja no que escrevo, não no que posto o tempo todo."O programa fica disponível no Spotify e no site da Trip!Maria Ribeiro acaba de lançar uma coletânea de mais de 70 textos publicada pela Editora Record.Catarina Ribeiro @catarinaribeir.oeditarremoverNo livro, você fala de um período muito marcante, que coincidiu com a chegada da menopausa. Como foi atravessar esse momento?Maria Ribeiro. A menopausa foi um marco muito forte. Minha mãe caiu e quebrou o fêmur e, na mesma época, meu estrogênio despencou. Foi um ano de quedas — físicas, hormonais e simbólicas. É duro porque para a mulher o envelhecimento ainda é mais cruel. Os homens continuam vistos como interessantes, enquanto a gente precisa encarar a pergunta: quem eu sou se não for mais a “atraente” da história? No começo é difícil, mas depois do buraco vem também uma libertação.Você costuma dizer que pensa na morte todos os dias. Como isso afeta o seu jeito de viver? Penso na morte todo dia, e isso me dá uma consciência muito clara de que o meu tempo é o que tenho de mais precioso. Quando percebo que algo está me roubando tempo, seja raiva, ressentimento ou situações que me esgotam, eu corto. Hoje escolho muito melhor onde e com quem quero estar. Gosto de lembrar de uma frase do Gonçalo Tavares: “Aquele que vai morrer hoje toma um café com um pastel de nata”. Então, se eu for morrer hoje, que seja aproveitando a conversa, a música, o encontro.A Anitta escreveu o prefácio do seu livro. Como nasceu essa amizade? Demos um match inacreditável logo de cara. Temos uma história de amor. A gente se diz a verdade — e isso é raríssimo. Ela já me ligou para dizer que eu mandei mal num texto, que eu não deveria falar de algo que não conhecia. E eu também digo para ela o que acho que precisa ser dito. Isso, para mim, é amor. Ela me apresenta um Brasil que eu não conhecia e que quero conhecer mais.

Happy Daily di Giusi Valentini
Cosa penso della "prova costume"

Happy Daily di Giusi Valentini

Play Episode Listen Later Jul 19, 2025 14:31


In questa puntata voglio parlarti di un tema che ritorna puntuale ogni estate: la famigerata “prova costume”. Ti racconto cosa penso davvero di questo concetto che ci hanno venduto — e che troppo spesso finisce per farci sentire sbagliate, inadeguate, “da aggiustare”. Ti porto anche dietro le quinte della mia esperienza personale: di quanti anni ho trascorso a guardarmi allo specchio con ipercriticità, convinta che per meritarmi la spiaggia, il mare, il divertimento, dovessi prima cambiare qualcosa del mio corpo. Ma oggi la penso in modo completamente diverso. E in questo episodio ti spiego perché. Ti lascio anche un piccolo esercizio pratico, semplice ma potentissimo, per cambiare prospettiva e iniziare a vivere questa estate con più libertà e gioia — nel corpo che hai, adesso.

Luca Mastella Podcast
Come uso Notion, AI e dati del team per...

Luca Mastella Podcast

Play Episode Listen Later Jun 19, 2025 5:20


Penso che questo sia il futuro di come tutti i tool AI verranno usati

EmpreendaCast Brasil
a Nova Era da Resiliência de Dados no Brasil: PENSO como Referência Nacional

EmpreendaCast Brasil

Play Episode Listen Later Jun 18, 2025 132:56


a Nova Era da Resiliência de Dados no Brasil: PENSO como Referência Nacional| #podcast #empreendedorismo #podcastbrasil

Radio Rossonera
Modric esce allo scoperto: “Non ho preso alcuna decisione, penso alla Nazionale”

Radio Rossonera

Play Episode Listen Later Jun 9, 2025 1:37


CARROSSEL
CARROSSEL #286 ida a Paris, penso no nariz, dispensadores

CARROSSEL

Play Episode Listen Later May 24, 2025 33:53


ida a Paris, penso no nariz, dispensadores

JR SportBrief
FIFA Ref Tori Penso/ This Day in Sports History (Hour 4)

JR SportBrief

Play Episode Listen Later May 10, 2025 41:26


FIFA Ref Tori Penso joins JR & This Day in Sports History

Rem Tene!
Episodion Septuagesimum et Unum: De Penso Domestico

Rem Tene!

Play Episode Listen Later Apr 10, 2025 7:18


Salvete sodales! Welcome to our series, "Rem Tene;" a Latin podcast presented by Latinitas Animi Causa for beginner and intermediate learners of the Latin language built and designed for the acquisition and understanding of it as a language, not just a code to decipher. In this episode, I, Andreas, talk to you about homework in Latin!0:18 - Ovum Pascale 0:19 First Round (slow with subtitles)4:03 - Second Round (natural speed)7:07 - Rem tenete, verba sequentur!We gloss some words throughout the episode in English and repeat them. We don't, however, gloss everything. Our brains are really good at deducing meaning when we know a lot of the context surrounding words or phrases. The transcript for the show can be found ⁠⁠⁠⁠below so you can follow along. We hope you enjoy this show!Please take some time, if you enjoy this, to rate us and write to us! We love hearing from our listeners and receiving feedback on how we can improve! You can also support us on Patreon (link below); though everything is free, it helps us do what we do and reinvest in creating more Latin and ancient Greek content. Gratias vobis agimus et curate ut valeatis in proximum!Get the transcript here: www.habesnelac.com/rem-tene/septuagesimum-et-unumFIND THE LINKS TO ALL OUR LATIN AND ANCIENT GREEK CONTENT HERE: https://linktr.ee/latinitasanimicausa----- Support us on Patreon for as low as $3 a month; Your support means the world to us!: patreon.com/habesnelac----Want to improve your Latin or get some free resources? Check out our website: habesnelac.com-----Join our Twitch Community to chat with us directly tantum Latine!twitch.tv/latinitasanimicausa-----Also check out our new Bio Site to learn more about us! https://bio.site/latinitas-----Have a topic you want us to cover on Rem Tene? Let us know in the comments or here: habesnelac.com/contact----- Follow us on TikTok, YouTube, Instagram, and more by checking out the links on our LinkTree: https://linktr.ee/latinitasanimicausa----- Want to let us know something else? Contact us here: habesnelac.com/contactUt semper, gratias quam maximas patronis nostris sine quibus haec omnia facere haud possemus agimus!!!

Focus economia
Arriva la risposta cinese: dazi sul Made in Usa dal 34% all 84%

Focus economia

Play Episode Listen Later Apr 9, 2025


La Cina risponde ai dazi di Trump portando le sue tariffe sui beni Made in Usa dal 34% all'84% con effetto dalle ore 12:01 del 10 aprile 2025. Altre questioni, riferisce una nota del ministero delle Finanze, saranno implementate. Pechino esorta gli Stati Uniti a correggere immediatamente le proprie pratiche sbagliate, ad annullare tutte le misure tariffarie unilaterali contro la Cina e a risolvere adeguatamente le divergenze con la Cina attraverso un dialogo paritario basato sul rispetto reciproco. La decisione arriva dopo che Trump ieri ha portato i dazi verso Pechino al 104%. La Cina, il principale rivale economico e strategico Usa ma anche un importante partner commerciale, è la più colpita con aliquote aggregate salite al 104%, frutto del 20% precedentemente imposto, di un ulteriore 34% e di un aumento dell'ultimo minuto del 50% firmato da Trump ieri sera in risposta ai dazi che Pechino aveva portato al 34%. Allinearsi con la Cina sul commercio è "come tagliarsi la gola". Lo ha detto il segretario al Tesoro Scott Bessent, sottolineando che i Paesi che non reagiranno ai nuovi dazi del Presidente Donald Trump non dovranno affrontare tassi più elevati. "Penso che quello che molti non capiscono è che i livelli stabiliti mercoledì scorso rappresentano un limite massimo se non si reagisce", ha spiegato. Bessent ha messo in evidenza che sarebbe "suicida" per gli altri Paesi avvicinarsi alla Cina in termini commerciali nel tentativo di compensare gli effetti dei dazi statunitensi. "Sarebbe un suicidio", ha detto. La Cina non fa altro che "produrre e produrre" e "inondare" i mercati globali abbassando i prezzi, ha osservato. Interviene in trasmissione Fabio Scacciavillani, economista, editorialista Sole24 Ore.Dazi: 25 miliardi di aiuti alle imprese italianeLa rimodulazione del Pnrr su cui il governo è al lavoro da settimane entra in pieno nella partita delle potenziali contromisure ai dazi americani. Lo fa per inevitabili ragioni di calendario e per il fatto che dai fondi europei di Next Generation Eu e dalla Coesione passano le uniche leve azionabili dal governo per costruire un impalcatura di sostegno ai settori più colpiti. In gioco, come ha spiegato ieri la premier Giorgia Meloni incontrando le categorie produttive, ci possono essere fino a 25 miliardi, divisi tra i 14 recuperabili dal Pnrr e gli 11 dalla Coesione. Attenzione, però non si tratta di nuove politiche elaborate sul momento per riconoscere aiuti pubblici alle aziende esportatrici, ma dell adattamento in corsa di un lavoro di un riassetto del Pnrr reso inevitabile dai ritardi attuativi che mettono a rischio una quota dei fondi comunitari. È il caso prima di tutto di Transizione 5.0, fermo sinora a prenotazioni per 664 milioni su 6,23 miliardi: l idea già ampiamente maturata prima dell emergenza dazi (si veda Il Sole 24 Ore del 7 marzo) è quella di convogliare una quota consistente tra 3,5 e 4 miliardi non su sussidi o contributi a fondo perduto ma su contratti di sviluppo che finanzino gli investimenti in filiere produttive considerate strategiche.Ai tavoli, per strappare flessibilità, l esecutivo conta di presentarsi forte della «rinnovata credibilità italiana» riflessa nella conferma arrivata da Fitch del rating BBB con outlook positivo, rivendicata dalla premier insieme al primato in Europa nel numero di milestone e target Pnrr raggiunti e nel debito riavvicinatosi ai livelli pre-pandemici in tempi molto più rapidi rispetto alle previsioni di pochi anni fa. Anche l operazione che il governo ipotizza sui fondi di coesione è in realtà allo studio da alcuni mesi, anche se ora tornerà utile nel confezionamento del piano anti-dazi. Potrebbe trattarsi semplicemente della revisione di medio termine della programmazione dei fondi Ue 2021-2017 che, previa intesa con la Commissione, consentirà di tarare meglio su imprese e occupazione, presentando a quel punto le modifiche in chiave anti-dazi , innanzitutto due Programmi nazionali: il Pn Giovani, donne e lavoro, e il Pn Ricerca e competitività per la transizione digitale, che insieme arrivano a poco meno di 11 miliardi, la quota indicata da Meloni. La terza fonte alla quale il governo vorrebbe attingere è il Piano sociale per il clima, lo strumento che l Italia è chiamata a predisporre sulla scia di quanto stabilito dall Europa nel regolamento 2023/955 - con il quale è stato istituito il Fondo sociale per il clima per favorire una transizione equa verso la neutralità climatica - e che però è destinato solo alle categorie dichiarate vulnerabili. Gianni Trovati, del Sole 24 Ore.Salone del mobile 2025 fra incertezze e daziIl Salone del Mobile.Milano 2025, inaugurato l 8 aprile a Fiera Milano Rho e in programma fino a domenica 13 Aprile si conferma ancora una volta appuntamento cruciale per l intera filiera dell arredo-design. Ma quest anno, più che in passato, la manifestazione si carica di significati economici e politici importanti. L evento si apre infatti in uno scenario segnato da luci e ombre: da un lato, segnali positivi di ripresa; dall altro, l'incertezza internazionale acuita dai nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti, che hanno gettato molte aziende italiane in particolare quelle che hanno investito nel mercato americano in una situazione di grande instabilità. «E pensare che gennaio si era aperto con una ripresa robusta della produzione: +7,8% per il settore dell arredamento (+7,9% per quello del legno) rispetto a gennaio 2024», ha commentato Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, durante l inaugurazione. «Certo, un mese non basta per delineare una tendenza, ma era un segnale incoraggiante che, dopo un anno difficile come il 2024, confermava la nostra idea che il 2025 potesse rappresentare l anno della ripartenza.» Anche le esportazioni di mobili, che valgono circa 14,4 miliardi di euro sui 27,5 complessivi della filiera, avevano registrato dati incoraggianti: +4% a gennaio, con un forte recupero nell Unione Europea (+5,9%), nel Regno Unito (+8,1%) e nei Paesi del Mercosur (+39,9%). In calo, invece, USA (-2,7%) e Cina (-1,7%), segnali che hanno trovato conferma nella recente introduzione dei dazi americani che, inevitabilmente, sono diventati protagonisti scomodi anche tra i padiglioni affollati del Salone. Ne parliamo proprio con Maria Porro Presidente del Salone del Mobile.