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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8144I VERI PATRONI D'EUROPA, ALTRO CHE URSULA VON DER LEYEN di Cristina Siccardi I patroni d'Europa non sono Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, António Costa, Kaja Kallas e neppure Macron e Steinmeier, bensì i santi Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce, sui quali il Senato della Repubblica italiana scriveva nel 2017 in una pubblicazione dal titolo Patroni d'Europa. Percorsi di unità, di pace, di cultura: «In modi speciali essi sono stati tutti profondamente europei [...]. Se pace, cultura, dialogo, difesa dei diritti umani sono oggi imperativi morali per tutti i cittadini d'Europa, e non solo per chi si professa credente, dobbiamo riconoscere il merito a straordinari precursori. La loro voce, a distanza di secoli, ancora ha molto da dirci e da insegnarci». Leggendo queste considerazioni, occorre fare alcuni doverosi distinguo. L'allora presidente del Senato, Pietro Grasso, aveva riconosciuto il patronato dell'Europa dei santi menzionati; tuttavia, ha compiuto un'operazione conforme a tutti coloro che da molti anni cercano di assorbire le figure dei santi nell'agone del liberalismo laicista politico e religioso, strumentalizzando i loro insegnamenti.I santi patroni d'Europa hanno operato nella pace di Cristo e non del mondo; hanno tessuto le loro relazioni non in un vacuo dialogo, ma sulle linee costruttive del Vangelo; non hanno pensato e agito in modalità antropocentrica, ma evangelica e con spirito soprannaturale alla luce della Grazia di Dio; hanno dato priorità alla Gloria di Dio e non del mondo, concentrandosi sulla salvezza delle anime, considerando lesive le proposte e tentazioni mondane. Essi non sono stati «straordinari precursori» dell'ideologia europeista anticristiana, bensì Maestri nell'instaurare il Regno di Dio attraverso Cristo Re.San Benedetto da Norcia (480-547) è stato dichiarato «Santo patrono di tutta l'Europa» da papa Paolo VI il 24 ottobre 1964 con la lettera apostolica Pacis Nuntius. Cirillo e Metodio sono stati proclamati compatroni da papa Giovanni Paolo II il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica Egregiae virtutis; lo stesso Papa ha inoltre proclamato compatrone d'Europa santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce il 1º ottobre 1999.SAN BENEDETTO, SANTI CIRILLO E METODIOLa statura umana e cristiana di san Benedetto resta nella Storia un luminoso punto di riferimento in un'epoca di profondi mutamenti (come la nostra), quando l'antico ordinamento romano stava ormai crollando e stava per nascere una nuova era sotto l'impulso di nuovi popoli emergenti all'orizzonte dell'Europa. Attraverso la fondazione delle abbazie e dei monasteri nel continente, san Benedetto risanò le anime, bonificò i villaggi, promuovendo la coltivazione razionale delle terre, offrendo lavoro alle famiglie che vivevano e lavoravano intorno ai centri benedettini; salvò l'antico patrimonio culturale e letterario greco-romano, influì sulla trasformazione dei costumi dei barbari. La Regola benedettina portò ordine e civilizzazione grazie a due parole profondamente applicate «Ora et labora», che instillarono il senso del dovere, stando attenti alla propria coscienza e allo sguardo di Dio (ciò implicava, conseguentemente, il rispetto per i legittimi diritti altrui) e che promossero responsabilizzazione, coraggio, determinazione, tutto ciò, disse Giovanni Paolo II durante la sua visita pastorale a Norcia il 23 marzo 1980, «sulla base e in forza di una vita spirituale di fede e di preghiera assolutamente intensa ed esemplare».La missione dei fratelli Cirillo (826/827-869) e Metodio (815/825-885), evangelizzatori bizantini dei popoli slavi in Moravia e Pannonia (antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava, che comprendeva la parte occidentale dell'attuale Ungheria, il Burgenland oggi Land austriaco, fino a Vienna, la parte nord della Croazia e parte della Slovenia), produsse nel IX secolo l'invenzione dell'alfabeto glagolitico, noto come «cirillico», dal nome del suo inventore e nato dal geniale sforzo di conciliare le lingue latina, greca e slava. Come san Benedetto aveva posto le basi dell'Europa latina, i due fratelli di Tessalonica innestarono nel continente la tradizione greca e bizantina, come riconobbe papa Pio XI con la Lettera Apostolica Quod Sanctum Cyrillum del 1927, definendoli «figli dell'Oriente, di patria bizantini, d'origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi».Le nazioni europee, con le loro lingue, le loro culture, i loro usi e costumi furono unite sotto il Sacro Romano Impero, che si instaurò sotto l'egida e il faro del Cristianesimo, un credo non rivoluzionario, non distruttivo, ma forte nei suoi principi e nei suoi valori del Dio Uno e Trino, di patria, di famiglia e proprietà privata. È di tutta evidenza che il collante di tante diversità fu la Fede religiosa, che rispettava ogni identità, a differenza della surrettizia Unione Europea che vuole imporre, senza rispetto di quelle identità, il livellante pensiero unico alle genti europee.Aver eliminato il Cristianesimo dalla linfa europea, come ben vediamo, ha trasportato il continente nel baratro del pensiero neonietzschiano, che nega verità oggettive, imponendo una pluralità di prospettive opinabili, in cui le “verità soggettive” e i presunti diritti sono legati all'ideologia schizofrenica di chi domina con politiche sovranazionali, tiranniche e schiavizzanti, che vanno contro le Leggi di Dio, ma anche contronatura, riproponendo in definitiva il «non serviam» di matrice luciferina. Se l'Europa era stata ferita e incrinata dalla rivoluzione protestante, oggi la presunta Unione Europea, claudicante e persa in un labirinto di confusione, è il frutto del suo tradimento a se stessa.SANTA BRIGIDA DI SVEZIA ED EDITH STEINSanta Brigida di Svezia (1303-1373) fu sposa, madre, monaca, mistica, donna di grande carità e coordinatrice di ordine e di pace dentro e fuori la Chiesa. Si recò a Roma per celebrare l'Anno Santo del 1350 e qui trovò una situazione drammatica: il Papa si era trasferito ad Avignone e il popolo romano era come un gregge senza pastore. C'era la peste e in Europa infuriava il conflitto tra Francia e Inghilterra. Nelle stanze di Palazzo Farnese e nelle chiese romane ricevette rivelazioni divine, intanto parlava direttamente al Papa, ai cardinali, ai governanti europei, anche per intercedere per la pace in Europa al fine di porre termine alla guerra dei Cent'anni. Si prodigò per il ritorno del Pontefice a Roma, come fece anche vigorosamente la mistica domenicana e sua contemporanea santa Caterina da Siena (1347-1380), la quale, sopravvivendole, sarà testimone del ritorno definitivo a Roma di Gregorio XI nel 1377. Particolarmente devota della Passione di Cristo, giunse il tempo dei pellegrinaggi brigidini: da Assisi al Gargano, arrivando poi in Terra Santa, quando aveva quasi settant'anni.Cinque santi medioevali come patroni d'Europa ed una dell'età moderna, l'ebrea Edith Stein (1891-1942), atea convertita al Cattolicesimo, che divenne carmelitana scalza. Dalla brillante intelligenza, scelse il ramo universitario della filosofia e dopo essere stata allieva di Edmund Husserl, divenne membro della facoltà di Friburgo. Un giorno rimase folgorata quando vide una donna con i sacchetti della spesa entrare in una chiesa per pregare... un atto semplicissimo, ma che a Edith rivelò che Dio può essere pregato in qualsiasi momento e quindi apprese, grazie a quella donna, che il punto centrale del Credo cristiano è lo stabilire un rapporto personale fra l'anima e il Padre Creatore. Nel 1921, durante una vacanza, lesse l'autobiografia della mistica carmelitana Teresa d'Avila e da allora abbracciò Santa Romana Chiesa, ricevendo il battesimo il 1° gennaio 1922. Dopo un periodo di discernimento spirituale, entrò nel monastero carmelitano di Colonia nel 1934, prendendo il nome di Teresa Benedetta della Croce e qui scrisse il libro metafisico Endliches und ewiges Sein (Essere finito ed Essere eterno) con l'obiettivo di conciliare le filosofie di san Tommaso d'Aquino e di Husserl.Per proteggerla dalle leggi razziali, l'Ordine delle Carmelitane scalze la trasferì nei Paesi Bassi, ma non fu sufficiente: il 26 luglio 1942 entrò in vigore l'ordine di Hitler che anche gli ebrei convertiti dovevano essere catturati e internati. Fu così che Edith e sua sorella Rosa, anche lei divenuta cattolica, furono deportate nel campo di concentramento di Auschwitz, dove vennero uccise nelle camere a gas il 9 agosto 1942 e i loro corpi furono bruciati nei forni crematori.ROBERTO BENIGNI ESALTA IL MANIFESTO DI VENTOTENEAlcuni giorni fa Roberto Benigni ha teatralmente declamato e inneggiato con lo spettacolo intitolato «Il Sogno» il Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita, manifesto che è stato protagonista di una ormai nota manifestazione progressista a Roma, ma anche di molteplici polemiche politiche e mediatiche. Nel decantare l'Europa culturale e l'indiscutibile suo primeggiare nel mondo, Benigni si è però completamente “scordato” di far presente che è stata la religione cristiana ad aver dato vita ad uno straordinario sviluppo dell'arte, della letteratura, della musica nel segno della bellezza; ma ha anche “scordato” di dire che è stato il Cristianesimo ad avviare lo studio scientifico degli esseri animati e inanimati, si pensi alle realtà monastiche che si sono occupate della catalogazione del mondo vegetale e animale, nonché dello studio medico delle erbe officinali; ma si pensi anc
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8099LA MALATTIA DEL PAPA E LA DEVOZIONE AL PAPATO di Roberto de Mattei Il 22 febbraio, dopo qualche giorno di degenza al Policlinico Gemelli, Papa Francesco ha avuto un aggravamento delle condizioni di salute. Era il giorno della festa della Cattedra di San Pietro una tradizione molto antica, attestata a Roma fin dal secolo IV, con la quale si rende grazie a Dio per la missione affidata da Cristo all'apostolo Pietro e ai suoi successori di pascere, guidare e reggere il suo gregge universale.Nell'abside della Basilica di San Pietro, Gian Lorenzo Bernini, ha realizzato un monumento alla Cattedra dell'Apostolo in forma di grande trono bronzeo, sorretto dalle statue di quattro Dottori della Chiesa, due d'occidente, sant'Agostino e sant'Ambrogio, e due d'oriente, san Giovanni Crisostomo e sant'Atanasio.Un altro grande Dottore della Chiesa, san Girolamo, scrive: "Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa" (Le Lettere I, 15, 1-2).In questo passo, che risale alla fine del IV secolo, san Girolamo non solo proclama la dottrina del Primato di Pietro, che sarà definita come regola di fede dal Concilio di Firenze, dal Concilio di Trento e soprattutto dal Concilio Vaticano I, con la costituzione Pastor aternus, ma afferma anche la necessità della devozione al Papa, come elemento fondamentale della spiritualità cattolica. La devozione al Papa, come quella alla Madonna è un pilastro della spiritualità cattolica. Questa devozione non si rivolge a un principio astratto, ma a un uomo che incarna un principio e che, nella sua precarietà umana, è anche il Vicario di Cristo.Il Papa come uomo è debole e fallibile. La sua fragilità è fisica, psicologica, morale. Come persona privata il Papa può essere immorale, ambizioso, perfino eretico o sacrilego. Come persona pubblica il Papa, pur non essendo infallibile nel governare la Chiesa, può essere infallibile nel suo insegnamento. Per esserlo, deve rispettare determinate condizioni, che sono state chiarite dalla costituzione Pastor aeternus del 18 luglio 1870. Il Papa deve parlare come persona pubblica, ex cathedra, con l'intenzione di definire una verità di fede e di morale e di imporla come obbligatoria a credere a tutti i fedeli. Ciò purtroppo è avvenuto ben raramente nell'ultimo secolo.LA MORTE DEL PAPALa malattia del Papa, la morte del Papa, di ogni Papa ci ricorda l'esistenza di questo contrasto tra la persona privata del Papa, che può essere debole e vacillante, e quella pubblica, che esprime l'infallibilità della Chiesa.C'è una differenza tra la morte di un Papa e la morte di un sovrano temporale. Il Re deriva la sua legittimità, dal sangue, ovvero dal legame biologico che lo lega ai suoi antenati. Quando muore egli sopravvive nel suo erede, a cui lo lega lo stesso sangue. Il Papa invece è completamente estraneo a questa fisicità biologica. Il Papa non sopravvive in altri uomini, perché il Papa non ha eredi biologici. E' morto il Re, viva il Re, si dice nel momento in cui il monarca esala l'ultimo respiro. Ciò non avviene per il Papa, perché l'elezione del suo successore non avviene un attimo dopo la sua morte, ma solo dopo un conclave, che può anche essere lungo e contrastato. Si potrà dire semmai, è morto il Papa, viva la Chiesa, perché prima del Papa c'è la Chiesa, che lo precede e che gli sopravvive, sempre viva e sempre vittoriosa.Le monarchie e gli imperi terreni, come gli organismi umani, nascono e muoiono. Le civiltà sono mortali. La Chiesa, nata dal sangue del Calvario è invece immortale e indefettibile: durerà fino alla fine del mondo.Il contrasto tra la caducità fisica della persona e l'immortalità della istituzione. era espresso un tempo da un rito che è stato celebrato fino al 1963. Il Papa, dopo la sua elezione, appariva nella basilica di San Pietro, in tutta la sua maestà, sulla sedia gestatoria, circondato dalle guardie svizzere, e dalle guardie nobili, mentre due camerieri segreti, in cappa rossa con ermellino bianco, reggevano i flabelli. A un certo punto del percorso un cerimoniere, genuflettendosi tre volte dinnanzi al Pontefice, accendeva dei batuffoli di stoppa infilati su un'asta di argento, e mentre la fiamma ardeva, cantava lentamente: "Pater Sancte, sic transit gloria mundi!" "Padre Santo, così passa la gloria umana".SIC TRANSIT GLORIA MUNDIAll'uomo che quel giorno riceveva la corona destinata all'autorità più alta sulla terra, le parole Sic transit gloria mundi ammonivano: non ti vantare per la gloria che oggi ti avvolge, ricordati di essere un uomo fragile, destinato ad ammalarti e a morire.Questa cerimonia avvenne per l'ultima volta sul sagrato di San Pietro il 30 giugno 1963 in occasione dell'incoronazione di Paolo VI. Quando il Papa, dopo la Messa Pontificale, depose la mitra e assunse la tiara, risuonò, per l'ultima volta dopo molti secoli, la formula solenne: "Ricevi la tiara adorna di tre corone, e sappi di essere il padre dei principi e dei re, il reggitore del mondo, il Vicario in terra del Salvatore Nostro Gesù Cristo, al quale sia onore e gloria nei secoli dei secoli".Tra le prime decisioni del nuovo Pontefice fu proprio quella di abolire la cerimonia dell'incoronazione Pontificia, che era anteriore al IX secolo, come risulta dall'Ordo Romanus IX dell'epoca di Leone III.A partire dal gesto di Paolo VI iniziava quella confusione tra l'uomo e l'istituzione, che era destinata a dissolvere l'autentica devozione al Papato: una devozione che non è il culto dell'uomo che occupa la Cattedra di Pietro, ma è l'amore e la venerazione per la missione pubblica che Gesù Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori. Questa missione può essere svolta da un uomo debole, inadeguato al suo compito, che resta però il legittimo successore di Pietro e che va amato e seguito anche nella sua fragilità, nella sua sofferenza e nella sua morte.Per questo il prof. Plinio Corrêa de Oliveira ha scritto, molti anni fa, con parole straordinariamente attuali: "Nella gloriosa catena costituita dalla Santissima Trinità, dalla Madonna e dal Papato, quest'ultimo costituisce l'anello meno forte: perché più terreno, più umano e, in un certo senso, avvolto da aspetti che lo possono screditare. Si usa dire che il valore di una catena si misura esattamente dal suo anello più fragile. Così, il modo più eccellente di amare questa straordinaria catena è baciare il suo anello meno forte: il Papato. È consacrare alla Cattedra di Pietro, verso la quale vengono meno tante fedeltà, la nostra fedeltà intera!".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8100LO SVILUPPO DELLA DOTTRINA CATTOLICA SECONDO NEWMAN di Cristina Siccardi La figura di san John Henry Newman (1801-1890) spicca sullo sfondo della pesante e drammatica crisi in cui versa la fede da sessant'anni a questa parte, tanto da far pronunciare a Paolo VI (1897-1978) - un Papa che volle a tutti i costi modernizzare-mondanizzare la Chiesa per andare incontro ai "lontani" a scapito della tradizione - quella fatidica e realistica frase pronunciata durante l'omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo, nel 1972: «Da qualche fessura il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio».Dopo un estenuante percorso, anzi, una dura lotta di carattere sia intellettuale che spirituale, approdò alla Chiesa cattolica il 9 ottobre 1845. Tutto ebbe inizio studiando i Padri della Chiesa e in particolare quelli che difesero l'integrità della fede ai tempi dell'Arianesimo (IV secolo), pronti a presidiare dogmi e dottrina contro le eresie. Proprio grazie a loro il futuro cardinale vide finalmente chiaro, come descrisse sé stesso in quel capolavoro che è la sua autobiografia, Apologia pro vita sua: «Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita», il volto di un eretico anglicano e lo «scopersi quasi con terrore».Profondamente preoccupato dal relativismo che aveva già minato il senso religioso degli inglesi, Newman combatté, sinceramente e lealmente, il liberalismo, tracciando, con metodo sistematico e analitico, uno dei profili più reali dell'Europa del XIX secolo in fase di corruzione, di abbandono della civiltà cristiana, di incalzante apostasia. Dal ponte della propria nave riuscì a identificare i connotati secolarizzanti e relativistici anche dei nostri giorni, richiamando il valore della sana tradizione in campo religioso, che non è immobilismo, bensì quella linea costituita dai principi della Rivelazione (da Gesù Cristo fino a san Giovanni evangelista con l'Apocalisse) e dunque dei principi eterni, che vengono declinati nella storia attraverso impreziosimenti e riforme (si pensi alle molteplici riforme di san Pio X).Sul cardinale Newman, beatificato da Benedetto XVI nel 2010 e canonizzato da papa Francesco nel 2019, è uscito un interessante libro di padre Hermann Geissler, membro e formatore della Famiglia spirituale L'Opera (comunità di vita consacrata), direttore del Centro internazionale degli amici di Newman a Roma e docente di teologia in Italia e in Austria, dal titolo John Henry Newman. Un nuovo dottore della Chiesa? (Cantagalli).LA TRAPPOLA MORTALE DELL'ETÀ CONTEMPORANEALeggendo l'agevole testo di padre Geissler, ci si avvede che il pensiero di Newman si dipana in maniera logica e lineare, con perfetta onestà intellettuale, avendo come unico obiettivo quello di giungere alla Verità portata da Gesù Cristo e trasmessa agli Apostoli e dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e via di seguito nel tracciato della Chiesa fondata da Gesù Cristo, con i suoi dottori e santi, poi, facendo risaltare gli inganni delle teorie erronee, giunse a individuare nel liberalismo e, dunque, nel relativismo, dove ogni opinione differente, anche in materia di religione, ha lo stesso valore di tutte le altre, la «trappola mortale» dell'età contemporanea.Di particolare rilievo e profondità risulta il capitolo inerente il saggio che Newman elaborò alla fine del 1844, alle porte della sua decisione definitiva di entrare nell'unico ovile, Lo sviluppo della dottrina cattolica, tema sul quale l'autore si soffermò molto, ma non con occhio liberale (come qualcuno potrebbe supporre con metro di giudizio soggettivo e relativista), lungi da lui, che fu paladino della coerenza della Chiesa attraverso la sua connaturata tradizione, bensì con occhio oggettivo. Domanda padre Hermann: «Perché intraprese questo studio? Allora aveva già compreso, da una parte, di non poter più rimanere nella Chiesa d'Inghilterra, ritenendo che questa, costituendo una Chiesa nazionale, non era realmente cattolica. D'altra parte, non era ancora in grado di associarsi alla Chiesa romano-cattolica, le cui dottrine sviluppatesi col tempo aveva rigettato per lungo tempo come non apostoliche. Molte domande lo assillarono: come valutare le "innovazioni" cattoliche, come, ad esempio, il culto mariano, la venerazione degli angeli e dei santi, la preghiera per i defunti, la dottrina circa il papato? Si chiese: queste dottrine e pratiche sono sintomi di infedeltà e di corruzione nei confronti della fede originaria? Sono aggiunte arbitrarie fatte per motivi puramente umani? O sono forse espressioni di uno sviluppo organico del deposito della fede, affidato alla Chiesa da Gesù Cristo e dai suoi apostoli? Un forte bisogno di coscienza spinse Newman nel chiarire tali questioni al fine di trovare luce per il proprio cammino» (pp. 42-43).Ricerca appassionata, preghiera, riflessione intensa e un ritmo di vita profondamente monastica insieme ad alcuni amici nel College di Littlemore, lontano dal mondo universitario di Oxford che lo aveva estromesso e lontano da tutte quelle voci che dal mondo anglicano lo additavano già come traditore, egli era rimasto solo, solo davanti a Dio con la sua coscienza che ormai, però, si era formata alla scuola dei Padri della Chiesa e nelle chiese che aveva non solo visitato, ma vissuto in Italia con i suoi apparati iconografici e liturgici.LA LUCE GENTILELo sviluppo della dottrina cristiana fu il libro che lo condusse alla decisione ultima, ovvero abbracciare con slancio e amore, illuminato dalla «Luce gentile», la Chiesa cattolica, «ed è impossibile distaccarlo dalle circostanze in cui è nato, in quanto il saggio è lo studio di un anglicano che argomenta le ragioni per cui non può più continuare ad esserlo» (p. 44). Ecco perché Newman è provvidenziale per il nostro tempo, perché individua e chiarisce in maniera magistrale gli errori dai quali vuole liberarsi e per farlo offre sette criteri di discernimento per comprendere quali sono le differenze fra sviluppi veri-buoni e corruzioni-deformazioni.1. PERMANENZA DEL TIPOL'organismo Chiesa di esprime in diverse forme, ma la sua fisionomia generale permane, proprio come accade all'organismo umano: bambino, adolescente, adulto, anziano, ma è sempre lo stesso essere umano. Secondo Newman gli sviluppi genuini, a differenza di quelli falsi, si caratterizzano dal fatto che con essi il «tipo» Chiesa, con il suo carattere soprannaturale, cattolico e romano, rimane conservato.2. LA CONTINUITÀ DEI PRINCIPIIl «tipo» riguarda la fisionomia esteriore dell'organismo ecclesiastico, mentre i principi formano la sua vita e la sua dottrina dal di dentro, «se le dottrine sono avulse dai principi soggiacenti, possono essere interpretate in diverse maniere e condurre a conclusioni contrastanti. La continuità dei principi è quindi fondamentale» (p. 52). Newman individua quattro principi immutabili ed eterni: principio del dogma, principio della fede, principio della teologia (le verità accolte nella fede devono essere scrutate e approfondite dalla ragione), il principio sacramentale (vi sono segni visibili che esprimono e comunicano un dono invisibile e divino). Afferma Newman: «Mentre lo sviluppo della dottrina nella Chiesa è avvenuto in conformità ai principi immemorabili da cui tale dottrina discende, le varie eresie che sono nate in tempi diversi hanno in un modo o in un altro [...] violato questi principi [...]» (ibidem).3. IL POTERE DI ASSIMILAZIONEA causa del principio dogmatico il cristianesimo ha potuto incorporare nella sua dottrina vari ragionamenti teologici, pensieri filosofici ed espressioni linguistiche, respingendo però gli aspetti erronei e ciò, dichiara Newman, è avvenuto in complessi processi storici di scontro, di purificazione, di chiarificazione e di incorporazione.4. LA COERENZA LOGICALa Chiesa, nel corso della sua esistenza ha sempre operato e fatto le sue scelte dottrinali con la ragione e mai istintivamente o per emozioni, si pensi, per esempio, alla correlazione logica fra sacramento del battesimo, disciplina della penitenza e dottrina del Purgatorio.5. ANTICIPAZIONE DEL FUTUROLe diverse dottrine formano un corpo unitario e sono connesse fra loro in maniera coerente, perché si legano sempre e comunque alla forma originaria. Newman esemplifica questa affermazione attraverso l'anticipazione della dottrina della resurrezione dei morti: i cristiani hanno sempre trattato con rispetto, fin dall'inizio, i corpi dei defunti e la santità delle reliquie dei martiri in quanto tutto ciò nasce dalla glorificazione del corpo di Cristo nel mistero di Dio, che ha anticipato la resurrezione di coloro che saranno glorificati in Dio alla fine dei tempi.6. AZIONE CONSERVATRICE DEL SUO PASSATOSpiega padre Geissler: «Uno sviluppo è autentico quando conserva e tutela gli sviluppi precedenti. Se uno sviluppo contraddice l'idea centrale o le definizioni dogmatiche anteriori è una corruzione [...] le Comunità cristiane che venerano la santa Vergine continuano ad adorare Gesù Cristo, quelle invece che rifiutano tale devozione non di rado tendono ad abbandonare anche il culto del Signore» (p. 56).7. IL VIGORE PERENNETale criterio di discernimento è la cartina di tornasole: una corruzione è temporanea, inizia e finisce dopo un tot di tempo; ma se perdura conduce a un processo di decadenza e di disintegrazione; uno sviluppo fedele invece si distingue per la sua forza vitale che perdura, perciò si spiega come la Chiesa ha «prevalso con la sua dottrina malgrado tanti
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7962MIRACOLI RARI: I SANTI CON I CORPI INCORROTTI di Roberto de MatteiLo scorso 12 settembre 2024, al termine del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica, è avvenuta la traslazione da Roma a Beirut, in Libano, delle spoglie mortali del Servo di Dio, cardinale Gregorio Pietro (in armeno Krikor Bedros) Agagianian, quindicesimo patriarca di quella Chiesa, morto a Roma nel 1971. Il feretro è stato accolto nella capitale libanese dal Patriarca Minassian, dal Primo ministro Najīb Mīqātī e dalle massime personalità religiose e politiche. Ciò che ha reso straordinaria questa traslazione è che il corpo del cardinale Agagianian, oltre mezzo secolo dopo la sua morte, malgrado non sia stato imbalsamato, è incorrotto, perfettamente integro. Il suo volto è tranquillo e sorridente. Sul blog di Padre Livio troverete alcune immagini veramente sorprendenti.Il corpo del cardinale Agagianian, ha attraversato la città di Beirut, in un 'urna trasparente, applaudito dalla folla che lanciava petali di rose come al passaggio di un santo, fino alla cattedrale armena dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore, dove è stato sepolto.IL CARDINALE AGAGIANIANMa chi era il cardinale Agagianian? Nato in Georgia nel 1895, Gregorio Pietro Agagianian studiò a Roma fin da giovanissimo presso il Pontificio Collegio Armeno, di cui fu in seguito sia vice-rettore che Rettore e venne ordinato sacerdote nel 1917. Nominato Vescovo l '11 luglio 1935 da Papa Pio XI, il 30 novembre 1937 fu eletto Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici.Il 18 febbraio 1946 Papa Pio XII lo creò cardinale assegnandogli il titolo di San Bartolomeo all 'Isola. Alla morte di Pio XII, Silvio Negro, vaticanista del "Corriere della Sera", lo indicava come favorito dai pronostici in conclave, per la sua conoscenza della curia, la sua competenza di giurista e la sua pietà esemplare. Fu eletto invece Giovanni XXIII. Il cardinale Agagianian, sostenuto dai conservatori, fu un papabile anche nel conclave del 1963 che elesse Paolo VI. Guidò in veste di prefetto, la Congregazione di Propaganda Fide dal 1958 al 1970 e partecipò al Concilio Vaticano II. Morì a Roma il 16 maggio 1971, in fama di santità. Nel 2022 è stata avviata la sua causa di beatificazione e ha quindi il titolo di Servo di Dio.Nei processi di beatificazione e canonizzazione è prevista la ricognizione canonica dei resti dei candidati alla santità e quando, al momento della riesumazione, il corpo appare non decomposto, senza che vi sia stata un 'imbalsamazione, la Chiesa considera il corpo incorrotto come un segno soprannaturale. Il corpo incorrotto non è in sé stesso una prova di santità, ma ne costituisce una conferma, tanto che la Chiesa lo dichiara al momento della canonizzazione.I santi con i corpi incorrotti sono comunque rari. Infatti i santi canonizzati dalla Chiesa negli ultimi cinque secoli sono stati circa 1700 e di essi poco più di un centinaio sono stati trovati incorrotti. Tra questi santa Cecilia, il cui corpo fu scoperto intatto oltre 1500 anni dopo la morte, santa Chiara da Montefalco e santa Caterina da Bologna, santa Caterina Labouré e santa Bernadette Soubirous, san Giovanni Bosco e san Luigi Orione. Nel bel libro di don Charles Murr L 'anima segreta del Vaticano (Fede e Cultura, Verona 2024), tra i numerosi episodi che Suor Pascalina racconta al giovane sacerdote americano suo amico vi è anche questo. Quando nel 1956 Pio XII volle aprire la causa di beatificazione di Pio IX e fu riesumato il suo corpo, mandò la sua collaboratrice a rivestire il corpo del Papa, dopo che monsignor Enrico Dante e la commissione ne ebbero esaminato lo stato. «Quando la bara fu aperta - ricorda suor Pascalina - non riuscivo a credere ai miei occhi. Sembrava non morto, ma addormentato! Il corpo era perfettamente intatto! Non solo, ma le dita, i polsi, le braccia erano morbidi, flessibili». Suor Pascalina dovette tagliare i capelli, radere la barba e spuntare le unghie di Pio IX, prima di rivestirlo con gli abiti pontifici.Si è parlato di incorruttibilità del corpo anche per Giovanni XXIII, ma il corpo di papa Roncalli, a differenza di quello di Pio IX fu imbalsamato e quando i corpi dei Papi subiscono questo trattamento il fenomeno non può essere definito di origine soprannaturale e l 'ipotesi dell 'incorruttibilità viene esclusa.IL GIUDIZIO UNIVERSALEPerché il numero dei santi che sono sfuggiti al processo di decomposizione è così esiguo? La risposta sta nel dogma centrale della Chiesa cattolica, che è quello della Risurrezione dei morti. I corpi degli uomini sono destinati a decomporsi dopo la morte per poi ricongiungersi con le loro anime alla fine del mondo. La morte è la separazione dell 'anima dal corpo e quando il corpo degli uomini è privato dell 'anima, che è il suo principio unitario e vivificatore, si decompone e torna in cenere. Però, il giorno del Giudizio universale, tutte le anime si riuniranno con i loro corpi che verranno resi incorruttibili, sia quelle degli eletti che quelle dei dannati. In Paradiso e all 'Inferno si andrà con anima e corpo per l 'eternità. Tuttavia, solo i corpi di coloro che saranno in Paradiso riceveranno un corpo glorioso, spirituale, conforme a quello di Cristo risorto. Per questo san Paolo dice «E i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d 'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d 'immortalità» (1 Cor 15, 52-53).Dio, che destina gli uomini alla corruzione dei corpi, per renderli incorruttibili quando risorgeranno, ha disposto tuttavia che alcuni di essi, eccezionalmente, sfuggano al processo di decomposizione. I loro corpi possono essere accompagnati anche da altri fenomeni soprannaturali, quali il profumo che emanano, il ringiovanimento e talora il movimento. Nel caso del cardinale Agagianian colpisce, ad esempio il ringiovanimento. Basta paragonare le immagini del suo volto riesumato e quelle delle sue ultime fotografie per rendersi conto che il corpo del cardinale dimostra molto meno dei 76 anni che aveva quando è morto. Ciò che è inspiegabile deve rimandarci all 'esistenza di Dio Creatore, che nella sua infinita Sapienza ha la capacità di modificare le leggi della natura per il bene delle anime. Per questo non dobbiamo trascurare i segni che la Divina Provvidenza mette spesso davanti ai nostri occhi. Nel caso del Servo di Dio Gregorio Pietro Agagianian fa riflettere anche il suo arrivo nella Terra dei Cedri, il Libano, proprio nel momento in cui il Medio Oriente è in fiamme, come a significare che solo la santità può spegnere quelle fiamme che rischiano di incendiare il mondo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7955SAN TOMMASO, IL DOTTORE ANGELICO, IN CINQUE PUNTINel 1567 Papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa (a quel tempo i dottori della Chiesa erano solo i 4 più grandi Padri della Chiesa: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno)di Padre Giorgio CarboneNel 1317, cioè 43 anni dopo la morte e 6 anni prima della canonizzazione, Tommaso d'Aquino era abitualmente chiamato "communis doctor" presso l'Università di Parigi, all'epoca il più importante centro di studi di Filosofia e di Teologia. 250 anni dopo, esattamente il 15 aprile 1567, il papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa. Oggi i dottori della Chiesa sono 37, ma allora erano solo 4: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno. Pertanto sia il titolo in sé sia il numero esiguo dei santi proclamati tali ci segnalano una dote singolare e rara. (...)In altri termini la Chiesa segnala in Tommaso un eccellente maestro della fede cristiana e del pensiero umano, esemplare per gli scritti e per la fedeltà a Cristo Signore vissuta nella sua esistenza. (...) Se consideriamo che il Concilio Vaticano II indica solo Tommaso d'Aquino come maestro cui ispirarsi, e non altri teologi o dottori, allora questi due brani del magistero conciliare acquistano un significato peculiare per il nostro discorso. Questa presa di posizione ufficiale con grande probabilità fu ispirata da papa Paolo VI, il quale un anno prima, il 12 marzo 1964, rivolgendosi agli insegnanti e agli studenti dell'Università Gregoriana di Roma aveva detto: «I professori ascoltino con riverenza la voce dei dottori della Chiesa, tra i quali san Tommaso d'Aquino occupa un posto speciale. Infatti, la forza dell'ingegno del Dottore Angelico, il suo sincero amore per la verità e la sua sapienza nel ricercare le altissime verità, illustrarle e unirle in un nesso appropriatissimo sono talmente grandi che la sua stessa dottrina è uno strumento efficacissimo non solo per dare alla fede un solido fondamento, ma anche per sperimentare utilmente e con sicurezza i frutti di un suo sano sviluppo».RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONEGiovanni Paolo II nell'enciclica Fides et Ratio dedicata al rapporto tra fede e ragione cita ripetutamente san Tommaso e dedica un intero paragrafo alla «novità perenne» del suo pensiero (nn. 43-44). (...): «(...) Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo "esercizio del pensiero"; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole. E per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia. (...) Tra le grandi intuizioni di san Tommaso vi è anche quella relativa al ruolo che lo Spirito Santo svolge nel far maturare in sapienza la scienza umana. Fin dalle prime pagine della sua Summa Theologiae l'Aquinate volle mostrare il primato di quella sapienza che è dono dello Spirito Santo ed introduce alla conoscenza delle realtà divine. La sua teologia permette di comprendere la peculiarità della sapienza nel suo stretto legame con la fede e la conoscenza divina. Essa conosce per connaturalità, presuppone la fede e arriva a formulare il suo retto giudizio a partire dalla verità della fede stessa: "La sapienza elencata tra i doni dello Spirito Santo è distinta da quella che è posta tra le virtù intellettuali. Infatti quest'ultima si acquista con lo studio: quella invece viene dall'alto, come si esprime san Giacomo. Così pure è distinta dalla fede. Poiché la fede accetta la verità divina così com'è, invece è proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità divina". La priorità riconosciuta a questa sapienza, tuttavia, non fa dimenticare al Dottore Angelico la presenza di altre due complementari forme di sapienza: quella filosofica, che si fonda sulla capacità che l'intelletto ha, entro i limiti che gli sono connaturali, di indagare la realtà; e quella teologica, che si fonda sulla Rivelazione ed esamina i contenuti della fede, raggiungendo il mistero stesso di Dio. Intimamente convinto che "omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est", san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità. In lui, il Magistero della Chiesa ha visto ed apprezzato la passione per la verità; il suo pensiero, proprio perché si mantenne sempre nell'orizzonte della verità universale, oggettiva e trascendente, raggiunse "vette che l'intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare». Con ragione, quindi, egli può essere definito "apostolo della verità". Proprio perché alla verità mirava senza riserve, nel suo realismo egli seppe riconoscerne l'oggettività. La sua è veramente la filosofia dell'essere e non del semplice apparire».SAN TOMMASO, MAESTRO PERENNE, IN CINQUE PUNTIPossiamo così riassumere gli aspetti per cui san Tommaso è presentato come maestro perenne:- l'amore sincero per la verità che induce a dialogare con l'altro per conoscere le sue opinioni e a cercare sempre, non il rispetto umano o il concordismo, ma l'adesione anche spregiudicata dell'intelligenza alla realtà;- la fiducia nella ragione umana: questa è capace di conoscere la realtà, e quindi di approdare al vero;- l'armonia e la collaborazione tra la ragione e la fede: sono due modi diversi e complementari di conoscere il reale;- la capacità di esercitarsi nella speculazione delle cose conosciute per cogliere il nesso che le unisce (altrimenti il sapere è ridotto ad un'accozzaglia di nozioni) e per proporre un sistema coerente di idee;- il primato dato a Dio, che creandoci ci dà oggi la vita e la capacità di agire, e quindi il primato dato alla comunione con Dio nella preghiera, nella Messa e nell'Eucaristia offerta e adorata. Tommaso era solito dire ai suoi confratelli e ai suoi studenti che aveva imparato di più pregando che studiando.
Una puntata "speciale" per un film "speciale", musical, ma anche rock, ma anche jazz, toccante, a volte esasperato, ma sempre fedele.Prima di essere distribuito in Italia, il film fu sottoposto al vaglio dell'Osservatore Romano, ma addirittura presentato privatamente a papa Paolo VI, che ne rimase favorevolmente colpito, almeno secondo ciò che Ted Neeley ha affermato in un'intervista di recente. Il pontefice disse al regista: 'Mr. Jewison, non solo apprezzo il vostro film, ma credo che potrà avvicinare ulteriori persone al cristianesimo più di qualsiasi altra cosa in precedenza.'" Per il pontefice, pare che la canzone di Maria Maddalena "I Don't Know How to Love Him" "godesse di una bellezza ispirata".L'Osservatore Romano, all'epoca, aveva smentito quest'anteprima, mentre il Papa non si espresse mai, almeno ufficialmente. Chi di voi, cari ascoltatori, sa dirmi da cosa è stata ispirata la fantastica illustratrice del podcast, @senzarumore ?
Tra le ‘Vite' di Giorgio Vasari (1550) e quelle di Giovanni Battista Bellori (1672) si inserisce l'opera di catalogazione di Giovanni Baglione (1642) che raccoglie centinaia di biografie di pittori, scultori e architetti che hanno operato a Roma tra il Cinquecento e il Seicento. Pur mancando della visione storiografica di Vasari, l'opera di Baglione rappresenta una valida guida di Roma in un periodo di grande trasformazione, nel passaggio dal manierismo al barocco – commenta Barbara Agosti, autrice con Patrizia Tosini del libro “Giovanni Baglione. Le vite de' pittori, scultori et architetti (Roma 1642)” (Officina Libraria, 2 volumi, 924 p. + 342 p., € 80,00).RECENSIONI“Storia delle città in Italia” di Arsenio Frugoni (Morcelliana, 216 p., € 35,00)“Storia della pittura d'Italia” di Arsenio Frugoni (Morcelliana, 636 p., € 48,00)“Storia della scultura d'Italia” di Arsenio Frugoni (Morcelliana, 240 p., € 35,00)“Storia dell'architettura d'Italia” di Arsenio Frugoni (Morcelliana, 256 p., € 35,00)“La grammatica della calligrafia” di Barbara Calzolari e Alessandro Salice (Gribaudo, 216 p., € 24,00)“Scrivere (nel)la storia. Uno sguardo ai papi del XX secolo attraverso le loro grafie” di Lidia Fogarolo (Graphe, 284 p., € 15,90)“Due papi. I miei ricordi con Benedetto XVI e Francesco” di Julián Herranz (Piemme, 416 p., € 22,00)“Benedetto e Francesco. Due papi diversi, ma mai divisi” di Rosanna Virgili (Edizioni San Paolo, 176 p., € 16,00)“Benedetto XVI. Il teologo, il pontefice, l'uomo” di Andrea Tornielli (Piemme, 336 p., € 19,90)“Giovanni XXIII e Paolo VI. Due vite intrecciate” di Marco Roncalli (Morcelliana, 320 p., € 26,00)“Angelo Giuseppe Roncalli cappellano militare nella Grande Guerra” di Giorgio Cavalli (Gaspari, 140 p., € 18,00)IL CONFETTINO“Alla scoperta di Roma. Piccoli esploratori” di Daniela Celli (White Star - National Geographic Kids, 48 p., € 12,90)“Roma da scoprire” (Lonely Planet Kids, 104 p., € 14,00)
PALERMO (ITALPRESS) - “La lotta per la legalità e l'affermazione della trasparenza anche negli atti amministrativi è una caratteristica che contraddistingue l'impegno di Piersanti Mattarella. Uomo delle istituzioni, che nelle istituzioni intende finalmente affermare i principi dell'efficienza, dell'efficacia, dell'economicità e dell'indipendenza delle scelte e dal condizionamento di una politica asfissiante e della malavita organizzata”. Così il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, a margine della cerimonia di commemorazione di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione ucciso il 6 gennaio 1980 proprio sotto la sua abitazione, in via Libertà, nel capoluogo siciliano. “Piersanti rappresenta un esempio ed ecco perché è importante attualizzarne il ricordo, perché i testimoni, esattamente come diceva Paolo VI, sono fondamentali per affermare e incarnare i valori ma anche per tramandarli - aggiunge -. È stato un esempio, prima di ogni altra cosa per chi sta all'interno delle istituzioni, esempio di moralità, esempio di eticità, esempio di chiarezza degli atti amministrativi, esempio di verità nel racconto delle quotidiane fatiche istituzionali ai cittadini”. xd6/vbo
PALERMO (ITALPRESS) - “La lotta per la legalità e l'affermazione della trasparenza anche negli atti amministrativi è una caratteristica che contraddistingue l'impegno di Piersanti Mattarella. Uomo delle istituzioni, che nelle istituzioni intende finalmente affermare i principi dell'efficienza, dell'efficacia, dell'economicità e dell'indipendenza delle scelte e dal condizionamento di una politica asfissiante e della malavita organizzata”. Così il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, a margine della cerimonia di commemorazione di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione ucciso il 6 gennaio 1980 proprio sotto la sua abitazione, in via Libertà, nel capoluogo siciliano. “Piersanti rappresenta un esempio ed ecco perché è importante attualizzarne il ricordo, perché i testimoni, esattamente come diceva Paolo VI, sono fondamentali per affermare e incarnare i valori ma anche per tramandarli - aggiunge -. È stato un esempio, prima di ogni altra cosa per chi sta all'interno delle istituzioni, esempio di moralità, esempio di eticità, esempio di chiarezza degli atti amministrativi, esempio di verità nel racconto delle quotidiane fatiche istituzionali ai cittadini”. xd6/vbo
A pochi giorni dalla pubblicazione del nuovo messaggio di papa Francesco iniziamo un viaggio alla riscoperta dei Messaggi per le Giornate mondiali delle comunicazioni sociali. Cominciamo dal Messaggio di san Paolo VI per la prima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, celebrata il 7 maggio 1967. LINK AL TESTO: https://bit.ly/gmcs1967
Camminando per Betlemme si respira un'aria nuova. La città è deserta e quest'anno non ci saranno i festeggiamenti che ogni Natale attirano migliaia di turisti. Ne abbiamo parlato con Francesco Bono, rappresentante Paese di Avsi, e con suor Carmela della scuola Effetà “Paolo VI” di Betlemme.
Mercoledì 8 novembre un concerto in ricordo di Don Francesco Remotti, in favore del Centro Paolo VI
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7573SE HANNO RAGIONE I LEFEBVRIANI, LE PORTE DEGLI INFERI HANNO PREVALSO di Alfredo Maria MorselliVorrei esprimere la mia solidarietà alla dott.ssa Luisella Scrosati, che coraggiosamente ha spiegato come, nella devastante crisi che oggi colpisce gli uomini di Chiesa, pur con tanti pastori che remano contro la Verità, ebbene, pur in questa situazione, non è lecito schiodarsi dalla Croce e rifugiarsi presso i priorati della Fraternità Sacerdotale San Pio X.La vostra cara collaboratrice è stata oggetto, nei giorni successivi alla pubblicazione dei suoi articoli, di un impietoso tiro al bersaglio, maleducato nei modi ed errato nella sostanza. Se forse c'è un appunto (di natura strategica) da fare ai suoi ultimi scritti, è quello di essersi dilungata su questioni particolari, piuttosto che concentrarsi sui problemi dottrinali. Non che Ella non l'abbia fatto, ma, un dibattito punto a punto rischia di impantanarsi e di dividersi in tante sotto-questioni.Conviene concentrarsi dunque sulla questione essenziale, che, come ha scritto Benedetto XVI, è di natura dottrinale: «La remissione della scomunica era un provvedimento nell'ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall'ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. [...] Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l'istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa» (Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei 4 Vescovi consacrati dall'Arcivescovo Lefebvre, 10 Marzo 2009).E quali sono le questioni dottrinali? Sono soprattutto due principali (con altre minori, derivate dalle prime, ad esempio, l'allontanamento dalla dottrina tradizionale circa l'infallibilità delle canonizzazioni): il rifiuto della Nuova Messa e il rifiuto dell'autorità del Magistero dopo il 1962. Prendiamo in esame in dettaglio questi due punti.1) LA NUOVA MESSA VIENE RIFIUTATA IN SÉLa nuova Messa viene rifiutata in sé, ed è presentata come un rito che fa perdere la fede, tanto da vietarne ai fedeli la partecipazione. In pratica la partecipazione alla nuova Messa e la sua celebrazione (pur ritenuta sacramentalmente valida) sono diventati un assoluto morale, una cosa sempre da evitare, che né intenzioni né circostanze possono rendere buona, e quindi lecita. Nel 1976 Mons. Lefebvre così si pronunciava nei confronti del Novus Ordo Missae: «Ah! E questo proprio perché questa unione voluta dai cattolici liberali fra la Chiesa e la Rivoluzione è un'unione adultera! E da questa unione adultera non possono venire che dei bastardi. E chi sono questi bastardi? Sono i riti. Il rito della nuova messa è un rito bastardo. I sacramenti sono dei sacramenti bastardi. Noi non sappiamo più se sono dei sacramenti che danno la grazia o se non la danno più. Noi non sappiamo più se questa messa ci dà il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo o se non ce lo dà. I preti che escono dai seminarii, essi stessi non sanno più chi sono. [...] I preti che escono dai seminarii sono dei preti bastardi. Essi non sanno più chi sono» (Omelia di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre nella S. Messa celebrata a Lille, in Francia 29 agosto 1976).E queste sono le posizioni attuali immutate: don Philippe Toulza, in un articolo pubblicato sul sito italiano della Fraternità San Pio X, riassume in questi termini la soluzione del problema: «Non si può celebrare la messa con un rito non cattolico, né assistervi. Ora, la messa di Paolo VI è un rito non cattolico. Dunque non si può celebrare la messa di Paolo VI né assistervi». E nella presentazione di detto articolo, viene anche esposta la strategia pastorale per dissuadere i fedeli: «Benché nelle nostre cappelle si accolgano i nuovi fedeli così come sono, con le loro motivazioni, i loro dubbi, alcune ritrosie etc., il nostro compito è comunque quello di farli crescere nella fede, nelle nozioni, ammonendoli dei pericoli, sino ad approfondire la questione della messa, per giungere a questa consapevolezza: "Non possiamo assistere attivamente al novus ordo"».Che risposta dà le fede autenticamente cattolica a questa ostinazione? Se quanto asserito dalla Fraternità San Pio X fosse vero, sarebbero rese vane le promesse di Nostro Signore, il quale ci ha assicurato che le porte dell'inferno mai prevarranno contro la Chiesa: ora, visto che nel mondo ci sono oltre quattrocentomila sacerdoti, e che (se celebrano tutti i giorni) abbiamo circa 4,5 S. Messe ogni secondo (ammettiamo pure anche una riduzione a una sola S. Messa al secondo, contando gli orientali e le concelebrazioni)... ebbene, se da oltre 50 anni ogni secondo, la Chiesa, nel suo massimo atto di culto, compiuto dalla totalità morale dei Vescovi e dei Sacerdoti, compisse qualcosa di cattivo, come possono essere ritenute vere le promesse del Salvatore?2) IL MAGISTERO VALE SOLO FINO AL 1960Il secondo problema è il giudizio sul Magistero, una sorta di ortodossia ferma al 1960 piuttosto che ai primi sette concílî, un vero libero esame del Magistero, ovvero la trasformazione del cattolicesimo in una "religione del libro", piuttosto che fondata sull'assenso alla Rivelazione proposta continuamente a credere dal Magistero vivo, regola prossima della fede e ultimo e definitivo giudice della corretta ermeneutica. Naturalmente non ogni pronunciamento richiede il medesimo grado di assenso, ma nessuno "privatamente" può decidere che cosa, nel Magistero, vada bene o no a partire dal 1960.La prova di questo neo-protestantesimo è la frammentazione del mondo pseudo-tradizionalista, dove le varie componenti hanno le loro sacrosante ed evidenti ragioni: Fraternità San Pio X, resistenti, Viganò, sedevacantisti (a loro volta divisi in vari gruppi), senza contare alcuni liberi battitori che potremmo definire folcloristici, se non ammaliassero migliaia di persone distogliendole dalla pratica sacramentale. Ora, questa frammentazione, fondata sul Magistero post-conciliare portato innanzi all'esame tribunale della sola [loro] ragione, come non rassomiglia fin troppo a quella divisione in luterani, calvinisti, zwingliani e via via fino alle migliaia di denominazioni protestanti di oggi, ciascuna della quali è certa evidentemente delle sue ragioni?Sia che il punto di partenza sia la Bibbia ("Sola Scriptura"), sia il Denzinger ("Solo Denzinger"), sempre si tratta di libero esame di un libro, di una lettera che uccide in quanto priva dello Spirito vivificante che solo il Magistero vivo, accolto nella sua "autoritatività", può immettere nei cuori (Cf 2 Cor 3,6).PROVA DELLE MIE AFFERMAZIONI1) Chiedete a un sacerdote della Fraternità San Pio X se è lecito partecipare a una S. Messa, celebrata secondo il Novus Ordo, nel migliore dei modi (es.: come celebrava Benedetto XVI).2) Chiedete a un sacerdote della Fraternità San Pio X se accetta il nuovo Codice di diritto canonico, il Catechismo della Chiesa Cattolica, e se ritiene vincolanti i documenti del Magistero dopo il 1960, in base alla lor oggettiva nota teologica.Se vi risponde "No", purtroppo ho ragione io; se vi risponde "Sì", allora è fatto l'accordo dottrinale, e ciò significherebbe la fine alla divisione. E sarebbe accettare finalmente le condizioni che lo stesso Mons. Lefebvre accettò il 5 maggio 1988, ma che poi, disgraziatamente per tutta la Chiesa, ritrattò; ne riporto il nucleo essenziale:Protocollo fissato nel corso della riunione tenutasi a Roma il 4 maggio 1988 tra S. Em. il Cardinale Joseph Ratzinger e S. Ecc. Mons. Marcel Lefèbvre, e firmato dai due prelati il 5 maggio 1988.I - Testo della dichiarazione dottrinaleIo, Marcel Lefèbvre, arcivescovo e vescovo emerito di Tulle, insieme con i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X da me fondata:1) promettiamo di essere sempre fedeli alla Chiesa cattolica e al romano Pontefice, suo Pastore Supremo, Vicario di Cristo, Successore del Beato Pietro nel suo primato e Capo del corpo dei vescovi.2) Dichiariamo di accettare la dottrina contenuta nel n° 25 della Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II sul Magistero ecclesiastico e sull'adesione che gli è dovuta.3) A proposito di certi punti insegnati dal Concilio Vaticano II o relativi alle riforme posteriori della liturgia e del diritto, che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, ci impegniamo ad assumere un atteggiamento positivo di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando ogni polemica.4) Dichiariamo inoltre di riconoscere la validità del Sacrificio della messa e dei sacramenti celebrati con l'intenzione di fare ciò che fa la Ch
VANGELODal Vangelo secondo GiovanniIn quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con séCOMMENTONell'ora più buia, sul Calvario, con l'ultimo respiro, Gesù dona a Giovanni (e dunque a noi) una madre di cui prenderci cura. Nel cuore del dolore ci fa crescere e ci fa del bene tener vive le relazioni più preziose. CITAZIONEAve Vergine Maria, ricordati di coloro che soffrono nelle tribolazioni, nelle necessità, nei pericoli (S. Paolo VI)
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7517CATTOLICI DELUSI? I LEFEBVRIANI NON SONO LA SOLUZIONE di Luisella ScrosatiLa grave e prolungata crisi che stiamo vivendo nella Chiesa cattolica, venuta chiaramente alla luce durante gli anni del pontificato in corso, ha portato molti fedeli a cercare lidi considerati più sicuri. Gli anni della pandemia hanno ulteriormente esasperato la situazione, soprattutto dal punto di vista liturgico: obbligo di mascherine, nastri da carpentiere nella navata della chiesa, imposizione della Comunione sulla mano, gel, guanti e cotton fioc, ed altre trovate fantasiose dei preti che facevano a gara a realizzare la parrocchia più asettica del pianeta hanno portato molti all'esasperazione.Come naufraghi alla ricerca della terra ferma, molti fedeli hanno comprensibilmente iniziato a frequentare cappelle nelle quali vi fosse non solo almeno la parvenza della normalità, ma anche una liturgia celebrata in modo decoroso e solenne. Le cappelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) hanno senza dubbio costituito quest'oasi per molti. E di questo bisogna rendere merito ai loro sacerdoti.Tuttavia, molti non conoscono la situazione della FSSPX o perché non si sono affatto posti il problema, oppure perché, pur avendo sentito di qualche "irregolarità", sono stati rassicurati che sarebbero in tutto e per tutto cattolici dai fedeli di lunga data di queste cappelle e dai loro sacerdoti. La confusione è stata ulteriormente alimentata anche da alcune esternazioni di stimati vescovi e prelati che hanno cercato di sminuire la gravità della situazione della Fraternità, descrivendola come una semplice irregolarità canonica. La situazione che si è creata, insieme alle richieste di alcuni lettori, richiedono di dedicare una serie di articoli sulla dolorosa questione legata alla FSSPX.Perché la verità è purtroppo molto differente da come viene presentata. La Fraternità, fondata da Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), arcivescovo emerito di Tulle, fu eretta canonicamente come Pia Unione, ossia un'associazione pubblica di fedeli, a Friburgo il 1°novembre 1970, da Mons. François Charrière (1893-1976), vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo per un periodo di prova di sei anni. Questa configurazione canonica comporta che la Fraternità non poteva incardinare sacerdoti e dipendeva dall'autorità di Mons. Charrière. Il 21 novembre 1974, dopo una visita apostolica ordinata da Paolo VI, durante la quale i due visitatori avrebbero più volte pronunciato affermazioni errate o eretiche, Mons. Lefebvre pubblicò la famosa Dichiarazione nella quale rifiutava «la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite» ed affermava il «rifiuto categorico di accettazione della riforma» liturgica.NEL 1976 MONS. LEFEBVRE VENNE SOSPESO A DIVINISIl 6 maggio 1975, il successore di Mons. Charrière, il vescovo Pierre Mamie (1920-2008) sopprimeva la FSSPX, con approvazione di Paolo VI. Il 23 luglio 1976 Mons. Lefebvre venne sospeso a divinis per aver ordinato dei sacerdoti senza le legittime lettere dimissorie; per i restanti anni della sua vita, Lefebvre continuava ad esercitare il suo ministero, incluse le ordinazioni sacerdotali, senza tener conto della sospensione che gli proibiva di esercitare ogni atto derivante dal potere d'ordine.Il 30 giugno 1988 la decisione più grave: l'ordinazione di quattro vescovi contro l'espresso divieto di papa Giovanni Paolo II, che costò a loro e al vescovo consacrante la scomunica latæ sententiæ riservata alla Sede Apostolica, a norma del can. 1387. È importante sottolineare alcuni dettagli. Anzitutto, la Santa Sede, mediante la mediazione del Cardinale Joseph Ratzinger, aveva proposto a Mons. Lefebvre la possibilità di avere un vescovo per la FSSPX, scelto tra i sacerdoti della medesima, che sarebbe stato ordinato verso la metà del mese di agosto del 1988; Lefebvre dapprima accettò, ma il giorno dopo revocò il consenso al protocollo d'intesa. Seconda sottolineatura: le ordinazioni episcopali non vennero compiute semplicemente senza il mandato pontificio, ma contro la volontà del Papa, che aveva proibito in modo formale a Mons. Lefebvre di procedere con le ordinazioni, mediante un monitum inviato loro dal Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi il 17 giugno 1988. Infine, la scomunica prevista "è scattata" di per sé: non è dunque propriamente una sanzione inflitta dal Papa, ma una sanzione che Mons. Lefebvre e i quattro vescovi da lui ordinati si sono in qualche modo auto-inflitti.Nel Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta, Giovanni Paolo II, spiegava che questo atto era stato «una disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa»; una disobbedienza «che porta con sé un rifiuto pratico del Primato romano» e pertanto «costituisce un atto scismatico». Il Papa rivolgeva poi un appello a «rimanere uniti al Vicario di Cristo nell'unità della Chiesa Cattolica», e a «non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno deve ignorare che l'adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa», a norma del can. 1364.UN ATTO SCISMATICOLa FSSPX, dal canto suo, si è sempre difesa dall'accusa di scisma, ricorrendo ad una distinzione: Mons. Lefebvre non avrebbe compiuto un atto scismatico, in quanto non ha voluto trasmettere alcun potere di giurisdizione, ma solo il potere dell'ordine episcopale. In questo modo, non avrebbe usurpato quel potere che appartiene solo al Papa (giurisdizione), ma avrebbe comunicato il potere d'ordine che appartiene ad ogni vescovo e non solo al Papa. Quest'ultimo viene trasmesso con il rito delle sacre ordinazioni, mentre la giurisdizione mediante l'ingiunzione del Sommo Pontefice. Sulla base di questa distinzione, le consacrazioni episcopali conferite da Mons. Lefebvre non sarebbero state un atto scismatico - in quanto lo scisma si verificherebbe laddove si intenda trasmettere quello che solo il Papa può dare -, ma semmai un atto di disobbedienza, reso però necessario dallo stato di necessità provocato dalla crisi della Chiesa.L'argomento non regge. Prerogativa del primato di Pietro non è semplicemente trasmettere la giurisdizione, ma decidere chi può essere ammesso nel Collegio dei Vescovi e chi no; in sostanza, il primato di Pietro include anche il diritto esclusivo di nomina del vescovo (che può concretamente realizzarsi in differenti modalità). Nell'esortazione Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958), Pio XII ricordava che «i sacri canoni chiaramente ed esplicitamente sanciscono che spetta unicamente alla sede apostolica giudicare circa l'idoneità di un ecclesiastico per la dignità e la missione episcopale e che spetta al romano pontefice nominare liberamente i vescovi (...) ne consegue che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione (...) e gli atti di potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi ... sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi».Pio XII confermava che «nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l'esistenza dell'apposito mandato apostolico»; e sottolineava un principio fondamentale, di grande importanza per la questione che ci interessa: «Non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della Chiesa».Queste «leggi della Chiesa» non devono essere intese come mero diritto ecclesiastico, ma espressione di un diritto divino conferito a Pietro e ai suoi legittimi successori. Lo spiegava chiaramente Pio IX, nella sua condanna della chiesa armena: «Abbiamo ritenuto che non si dovesse tacere sul Nostro diritto di fare qualche elezione anche fuori della terna proposta, (...) poiché i diritti e i privilegi che le sono stati conferiti dallo stesso Cristo Dio possono essere sì contestati, ma non possono essere aboliti; e non è in potere di alcun uomo rinunciare ad un diritto divino, quando talvolta, per volontà di Dio, fosse costretto ad esercitarlo» (Enciclica Quartus supra, § 32).Dunque, la nomina dei vescovi è a tutti gli effetti di un diritto divino conferito al Papa «dallo stesso Cristo Dio». Ora, le consacrazioni effettuate da Lefebvre sono state un atto scismatico a tutti gli effetti, in quanto hanno usurpato un potere che appartiene solo al Papa per diritto divino, ossia quello di nominare i vescovi, e non semplicemente quello di conferire loro la giurisdizione. La distinzione portata avanti dalla FSSPX risulta di fatto non pertinente ed errata.
Bruno Gambarotta"Fuori programma"Le mie memorie dalla RaiManni Editorihttps://mannieditori.itEntro per recuperare l'obbiettivo della telecamera e sto per scostare una tenda quando intravedo che in quella stessa sala le suore hanno allestito un tavolo da pranzo e stanno servendo a Sua Santità un risotto alla milanese, lo riconosco dal color giallo zafferano.Decido di attendere che il sant'uomo termini in santa pace di mangiare.Da fuori arriva concitata la voce del caposquadra: «Dove si è cacciato Gambarotta? Se fra dieci minuti non si fa vivo noi ce ne andiamo».Mi faccio coraggio, scosto la tenda ed entro.Il papa è lì, a tre metri, alza il viso e smette di mangiare.Gli dico, indicando la scatola rettangolare posata sul pavimento: «Santità, lo zoom».Dal 1962 al 2011 Bruno Gambarotta ha lavorato in Rai districandosi, con il suo ironico aplomb, tra capricciose stelle dello spettacolo, grigi funzionari ancorati alle loro scrivanie e ruvide maestranze.La sua carriera, iniziata come cameraman, proseguita come programmista e terminata sotto i riflettori delle prime serate, ha accompagnato tutta la parabola del servizio pubblico, dalla Rai pedagogica a quella più commerciale.In questo libro racconta le vicende eccezionali vissute in cinquant'anni di carriera: le gaffes di Celentano che lo portano in diretta in prima serata a Fantastico '87 per porvi rimedio; l'irruzione per recuperare un microfono in una stanza dove Paolo VI sta pranzando con un risotto; gli intellettuali con cui lavora e che incontra, da Gore Vidal a La Capria, da Pasolini a Camilleri; le candid camera girate sui treni con Nanni Loy; i giorni trascorsi in casa di Simenon per intervistarlo; le follie registiche di Carmelo Bene; la nascita nella saletta di un bar di Bontà loro con Costanzo; la Cooperativa scrittori al fianco di Zavattini; il ruolo di tinca, ossia di attore che compare solo una volta, in film con i maggiori attori e registi italiani...In questo libro Gambarotta ricompone, con grazia e divertimento, il memoir di un uomo che ha attraversato la seconda metà del Novecento da un osservatorio più unico che raro, e ci restituisce dall'interno una visione originale della più grande e popolare industria culturale italiana.Bruno Gambarotta è nato ad Asti nel 1937, vive da sempre a Torino.Ha lavorato in Rai per quasi 40 anni, come autore e regista, conduttore e attore di serie televisive.Collabora con diverse testate giornalistiche tra cui “la Stampa”.Nella narrativa ha esordito nel 1977 con La nipote scomoda (scritto con Massimo Felisatti, edito da Mondadori), vincitore del Premio Gran Giallo - Città di Cattolica.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.itQuesto show fa parte del network Spreaker Prime. Se sei interessato a fare pubblicità in questo podcast, contattaci su https://www.spreaker.com/show/1487855/advertisement
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7473GLI INGLESI CHE PREFERIRONO LA MORTE PUR DI RIMANERE CATTOLICI di Roberto de MatteiMi sono trovato in Inghilterra il 29 giugno e mi ha molto colpito l'attaccamento che ancora oggi i cattolici inglesi hanno verso il Papa e verso la Chiesa di Roma. Questo attaccamento ha le sue radici nel doloroso scisma che si consumò nel XVI secolo, strappando l'Inghilterra alla vera fede. L'autore di questo scisma fu il re Enrico VIII, che in preda a una diabolica passione per una damigella di Corte, Anna Bolena, divorziò dalla moglie Caterina d'Aragona e, contro il divieto papale, la sposò nel 1533. Papa Clemente VII non riconobbe il matrimonio e l'anno successivo Enrico VIII fece votare dal Parlamento l'Atto di Supremazia con cui il Regno si separava dalla religione cattolica romana e costituiva una chiesa nazionale, detta poi anglicana, di cui il Re era il capo supremo. Il popolo inglese era cattolico ma furono pochi gli ecclesiastici, i dignitari e gli aristocratici, che osarono mettersi contro il sovrano, sfidando la prigione e la morte che li aspettava.SCISMA E GRANDI SANTII primi tra questi furono un eminente laico Tommaso Moro, Cancelliere del Regno, e un vescovo Giovanni Fisher, creato cardinale dal Papa prima del supplizio. Si aprì un periodo di contrastate lotte politiche e religiose, in cui il papa san Pio V scomunicò la regina Elisabetta I, figlia illegittima di Enrico VIII, e il re di Spagna Filippo II tentò di conquistare il Regno d'Inghilterra, ma la Provvidenza aveva disposto altrimenti. Per oltre due secoli la fedeltà a Roma fu testimoniata dall'epopea di una legione di santi, pronti ad affrontare la peggiore delle morti, in difesa della fede cattolica.Il condannato, condotto su un carretto al luogo dell'esecuzione, veniva squartato e orrendamente mutilato, ancora vivo e cosciente. Il carnefice dopo aver castrato il suppliziato, gli praticava un taglio nel ventre estraendone gli intestini, che venivano bruciati in un braciere davanti ai suoi occhi. Poi il carnefice gli tagliava la testa e procedeva allo squartamento del corpo. Con un'ascia lo divideva in quattro parti, prima tagliandolo verticalmente poi, orizzontalmente, quindi in altre due metà. I quarti del suo corpo venivano appesi in diversi angoli della città. Sant'Oliviero Plunkett fu l'ultimo martire cattolico inglese, squartato a Londra nel 1681, in seguito al Complotto papista (Popish Plot), una fittizia cospirazione gesuita per assassinare il re Carlo II di Inghilterra, ma in realtà inventata dal fanatico anglicano Titus Oates, per accreditarsi di fronte al sovrano.Degli innumerevoli martiri cattolici inglesi, Margarete Pole e quaranta compagni furono beatificati da Leone XIII nel 1886, e altri nove nel 1895. Thomas Hereford e altri centosei martiri vennero beatificati da Pio XI il 15 dicembre 1929. Il 25 ottobre 1970 vennero canonizzati da Paolo VI quaranta martiri, undici dei quali appartenevano al gruppo dei beati del 1886 e ventinove a quello del 1929. Il 22 novembre 1987, infine, Georg Haydock e ottantaquattro cattolici di Inghilterra, Scozia e Irlanda, sventrati a Tyburn, sono stati beatificati da Giovanni Paolo II.A Tyburn, proprio accanto al luogo in cui avvenivano le esecuzioni, che si affaccia su Hyde Park, è stato costruito un piccolo convento, dove si prega e si chiede l'intercessione di questi martiri. Vi aleggia lo stesso profumo soprannaturale che si respira in tante cappelle, chiese, santuari e monasteri cattolici del Regno Unito, da Londra fino alle brume della Scozia e alle coste della CornovagliaSANTI PIETRO E PAOLO, FESTA NAZIONALE INGLESELa festa dei Santi Pietro e Paolo che, il 29 giugno in Italia è di precetto solo per la diocesi di Roma, in Inghilterra è festa obbligatoria sul suolo nazionale e quel giorno si recita una bella preghiera che esprime tutto l'amore di questo popolo per la Cattedra di Pietro.Questa è la preghiera, rivolta a San Pietro:"O Beato Principe degli Apostoli, Vicario di Cristo, Pastore di tutto il gregge, Roccia su cui è costruita la Chiesa! Noi ringraziamo il Principe dei Pastori, che nelle epoche della fede ha legato questa terra così dolcemente e fortemente a voi e a quella sede di Roma da cui venne la sua conversione. Noi lodiamo e benediciamo Nostro Signore per quegli intrepidi confessori che hanno dato la vita per il vostro onore e il vostro primato, nell'ora in cui lo scisma e l'eresia divisero la nostra terra. Noi desideriamo ravvivare lo zelo, la devozione e l'amore dei tempi passati. Per quanto è in nostro potere, noi consacriamo il nostro Paese, con fervore ed amore, a Voi. Vi offriamo il nostro omaggio, rinnoviamo la nostra fedeltà al Pontefice, vostro Successore, che ora occupa la Sede Apostolica. Con la vostra potente intercessione confermate e rafforzate la fede dei Pastori e del popolo che vi invoca. Salvateci dall'apostasia, dalla disunione, dall'indifferenza religiosa e dalle perdite a cui l'ignoranza e la tentazione espongono il nostro piccolo gregge. O umilissimo e sincerissimo penitente, otteneteci lacrime di vero pentimento per i nostri peccati ed un amore ardente al Nostro Divin Maestro. O Clavigero del Regno dei Cieli, apriteci le porte del Cielo affinché possiamo entrare nel gaudio del Re della gloria. Ricordatevi del Regno d'Inghilterra che è cresciuto in grazia ed unità sotto la benedetta influenza apostolica per circa mille anni. Pregate Gesù affinché tutti possano ottenere la luce e ritornare al vostro gregge, che è l'unico gregge di Cristo."Non è una preghiera inglese, è una preghiera universale, come ogni preghiera cattolica. Oggi il fumo di Satana che, secondo le parole di Paolo VI, è penetrato all'interno del Tempio di Dio, avvolge la stessa Cattedra di Pietro, ma proprio per questo bisogna aumentare il nostro amore per il Papa e per il Papato, per la Roma immortale, di martiri e di santi, che inviò apostoli e missionari in ogni angolo della terra per diffondere la verità del Vangelo. Oggi c'è bisogno di nuovi apostoli che dall'Inghilterra alla Russia convertano il mondo alla Santa Chiesa romana, l'unica che è veramente una, cattolica e apostolica, e che ha nel successore del Beato Pietro, Vicario di Cristo, il suo fondamento. La preghiera è necessaria.
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Da ultimo mandò loro il proprio figlio (Mt 21)Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,33-43.45)In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:«Ascoltate un'altra parabola: c'era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:“La pietra che i costruttori hanno scartatoè diventata la pietra d'angolo;questo è stato fatto dal Signoreed è una meraviglia ai nostri occhi”?Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.Un'altra parabola che scuote: l'attesa del ritorno glorioso di Gesù non è forse diventata una lotta a chi, nella chiesa, abbia “più potere” o “più ragione”? Dovremmo tornare a prenderci cura dell'umanità partendo dall'attesa…A volte vediamo questi atei nobilmente pensosi, alla ricerca di un Dio che noi non abbiamo saputo dare (papa Paolo VI)
VIDEO: Chiesa Cattolica, benvenuti a casa! ➜ https://www.youtube.com/watch?v=zUSdXf8_xeE&list=PLolpIV2TSebUYAolUy8XGKkkSVK1dUyXFTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7315NON POSSIAMO ANDARE VIA DALLA CHIESA CATTOLICA PERCHE' NON CE N'E' UN'ALTRA di Luisella ScrosatiLa lampada è stata messa sotto il moggio e dappertutto è tenebra. E nella tenebra, confusione, disorientamento, paura. È perciò assolutamente comprensibile che in questa situazione, non appena si veda una fiammella accesa, ci si avvicini per godere un po' di quella luce e di quel calore.La tremenda crisi della fede che stiamo vivendo è davvero una prova grande, tanto più che appare alimentata proprio da quel centro di unità, che trova la sua ragion d'essere nel confermare i fratelli (cf. Lc 22, 32) e non nel seguire ogni «vento di dottrina» (Ef 4, 14). Una crisi che sposta il fronte dei cattolici ad approvare qualsiasi atto, parola e scritto del Pontefice, in quanto proviene dal Papa, oppure a riconsiderare il ministero petrino in una modalità che cattolica non è.Sul primo versante si dimentica che il papa non è la Chiesa, ma il centro di unità della Chiesa. Che il papa non è un monarca assoluto, quasi possa agire legittimamente anche distruggendo la Chiesa. Che il papa non è la fonte della verità, ma il primo a dover obbedire alla verità rivelata. Che il riferimento ultimo non è il suo arbitrio, ma la volontà di Dio, verso la quale papa, vescovi, sacerdoti e fedeli sono rivolti. Ed è per questo che nella tradizione teologica è previsto il caso in cui si possa e si debba resistere di fronte a ordini iniqui del papa, a suoi insegnamenti o disposizioni che risultano oggettivamente contrari al bene della Chiesa e alla verità.Sul secondo versante, si presenta un ampio ventaglio di situazioni in atto, differenti tra loro: il passaggio all'autocefalia ortodossa, le svariate posizioni che ritengono la Sede vacante, formazioni che riconoscono ufficialmente il legittimo pontefice, ma che si ritengono l'istanza ultima di decisioni dottrinali, e che hanno dato vita ad una gerarchia di fatto autocefala, nata da ordinazioni senza mandato pontificio e che di fatto si mantiene canonicamente indipendente dalla Sede romana. La confusione è molta e vede i cattolici, anche tra i sacerdoti, rivolgersi ora agli uni ora agli altri, per ritrovare il senso della fede.La posizione cattolica intende la successione petrina all'interno della successione apostolica, ma con una singolarità: quella cioè della successione del capo del collegio apostolico. Nei Vangeli emerge chiaramente che Pietro non è semplicemente uno dei Dodici; all'interno del collegio apostolico egli è capo, per volontà di Cristo, ed è pietra su cui è edificata la Chiesa. Questo è generalmente riconosciuto dagli ortodossi, mentre invece in loro difetta il fatto della successione petrina; possono accettare che al solo Pietro sia stato riconosciuto questo primato, mentre rifiutano la successione lineare dei successori di Pietro, accogliendo solamente la successione da collegio apostolico a collegio episcopale. Il centro di unità della Chiesa non si troverebbe pertanto nei successori di Pietro, ma in Cristo stesso e nello Spirito Santo.UNA, SANTA, CATTOLICA, APOSTOLICANon si tratta di negare quest'ultima affermazione, ma di riflettere sulla necessaria "visibilità" e "incarnazione" delle quattro notae della Chiesa, che professiamo nel Credo, e che ne sono proprietà indefettibili. La Chiesa è visibilmente apostolica nel collegio episcopale; nei successori degli apostoli prende carne la sua apostolicità. È visibilmente cattolica (kath'olon, ossia secondo la totalità) nella sua universalità e nella pienezza di verità e dei mezzi della grazia; la sua presenza in ogni angolo della terra, il suo Magistero e i sacramenti incarnano la sua cattolicità. È visibilmente santa, perché, santificata da Cristo, diviene santificante: possiede cioè visibili mezzi di santificazione e visibili frutti di santificazione; da qui il senso delle canonizzazioni, che manifestano l'incarnazione della santità. Dove la Chiesa è visibilmente una? Dove si incarna questa unità? Nell'unità del primato di Pietro, che ha il compito di «presiedere questa comunione universale; di mantenerla presente nel mondo come unità anche visibile, incarnata» (Benedetto XVI, Omelia, 29 giugno 2006). Senza la successione petrina, la nota dell'una non troverebbe la sua espressione visibile e tangibile. Senza la successione petrina, Pietro non avrebbe trasmesso nulla di "proprio" e quella pietra su cui viene fondata la Chiesa rimarrebbe un cimelio storico.Il collegio episcopale è a sua volta individuabile proprio grazie alla sua comunione con il successore di Pietro, e non può esistere, come collegio, senza di lui. Il carattere sacramentale dell'ordine episcopale fa, a sua volta, riferimento alla comunione gerarchica. Se pertanto un vescovo rifiuta il primato sovverte il senso del sacramento che gli è stato conferito. Ed è per questa ragione che, per un'ordinazione episcopale, è necessario (non ad validitatem, ma ad liceitatem) che vi sia il mandato papale, o che questo sia, nelle situazioni di grave necessità per la Chiesa, almeno presunto.Ancora, il successore di Pietro, essendo «perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (LG, 23), è in stretta relazione con il sacramento dell'unità, ossia l'Eucaristia. Per questo, la comunione con il papa «è un'esigenza intrinseca della celebrazione del Sacrificio eucaristico» (Ecclesia de Eucharistia, 39).È Cristo che ha voluto la sua Chiesa una, e ha voluto che questa unità fosse chiaramente visibile e tangibile, che vi fosse un riferimento certo ed individuabile. E noi siamo legati a questa espressa volontà del Signore. Non vi è ragione al mondo che autorizzi a contraddire questa sua volontà. Per questo, nella struttura della Chiesa, al netto delle flessibilità di alcune forme organizzative, non può mai mancare l'espressione concreta di questa unità. Né può mancare questo concreto riferimento all'unità nelle sue "parti": diocesi, comunità, monasteri, istituti.L'ERRORE DEGLI ORTODOSSI, DEI LEFEVRIANI E DEI SEDEVACANTISTIQuella dell'autocefalia del mondo ortodosso è una di queste forme che contraddicono la volontà di Cristo. Non si vogliono negare gli innumerevoli elementi di verità, bontà e bellezza, ma nemmeno si può tacere che la mancanza del riconoscimento del primato petrino sia un problema grave, causa degli innumerevoli problemi di unità in esso presenti. Il teologo ortodosso Alexander Schmemann faceva notare, per esempio, che, dal punto di vista canonico, il principio affermato della piena cattolicità di ogni chiesa locale, riunita attorno al suo vescovo, non è di fatto applicato, dal momento che il potere di giurisdizione del vescovo è ricevuto dal primate (analogamente a come, nella Chiesa cattolica, il vescovo lo riceve dal papa). Problema all'origine dei vari scismi e delle varie tensioni relative alla questione della Diaspora.Vi è poi tutto il filone del sedevacantismo, che teorizza la Sede vacante a causa dell'eresia da Giovanni XXIII (per altri da Paolo VI), o nella sua versione più recente, che non riconosce Francesco come papa. Le motivazioni a sostegno di queste posizioni sono chiaramente diversificate, ma l'effetto è quello di ritenere che la Chiesa universale sia rimasta senza il suo centro di unità per un tempo minimo di quasi dieci anni (per chi considera "solo" Francesco un antipapa) ad uno massimo di oltre sessanta. In questo periodo di tempo, mancando il papa, non si può fare nulla che abbia valore per la Chiesa universale, che rimane, in qualche modo, sospesa.La storia della Chiesa ha conosciuto un tempo massimo di sede vacante di 1006 giorni, ossia il tempo intercorso tra la morte del beato Clemente IV e l'elezione del beato Gregorio X; ci vollero quasi tre anni per eleggere il nuovo papa, perché i cardinale riuniti in conclave a Viterbo, nel Palazzo dei papi, non riuscivano a mettersi d'accordo. Fu una situazione più unica che rara, che portò i viterbesi a ridurre il loro vitto e scoperchiare il tetto della sala, per cercare di accelerare l'elezione. In ogni caso si tratta di un tempo contenuto, motivato dal tempo di un'elezione. Situazioni analoghe quelle della Sede vacante per poco più di due anni, che portarono all'elezione di Giovanni XXII e poi di Celestino V. Un altro caso riguarda l'elezione di Martino V, che mise fine allo scisma d'Occidente, dopo due anni di antipapi.Il problema del sedevacantismo sta nel fatto che, sostanzialmente, non si sa più come porre fine alla situazione di Sede vacante: c'è chi si elegge il papa riunendo alcuni fedeli, c'è chi ne attende uno "cattolico" (e non si capisce bene chi decida dell'integrità dottrinale del neo-eletto). Nel frattempo, la Chiesa in quanto universale rimane inerte, svuotando sostanzialmente di senso la promessa del Signore che le porte degli inferi no
Alle nove di questa mattina Papa Francesco ha fatto il suo ingresso nell'aula Paolo VI in Vaticano per l'udienza generale del mercoledì. Al suo arrivo, non in carrozzina, ma camminando con il sostegno di un bastone, il Santo Padre è stato accolto da applausi e grida di incitamento: “Viva il Papa”. All'esterno, in Piazza San Pietro, va avanti la processione dei fedeli per salutare il Papa Emerito Benedetto XVI.abr/gsl
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7254PROCLAMARE SANTO IL VESCOVO CAMARA SIGNIFICA CANONIZZARE IL COMUNISMOIl vescovo brasiliano Helder Camara potrebbe essere dichiarato venerabile: fu protagonista della teologia della liberazione, benevolo verso Urss e Cina, nella sua diocesi si pianificava la lotta armata rivoluzionariadi Stefano ChiappaloneUn deciso passo in avanti per la causa di beatificazione di mons. Helder Camara (1909-1999), il "vescovo rosso" brasiliano che a breve potrebbe essere dichiarato venerabile. Lo ha reso noto l'arcivescovo mons. Fernando Saburido, suo successore nell'arcidiocesi di Olinda e Recife, retta da Camara tra il 1964 e il 1985. Un prelato sui generis, schierato con l'ala più progressista dei padri conciliari e poi, a concilio concluso, desideroso di un Vaticano III che superasse il secondo (naturalmente a sinistra). Protagonista della teologia della liberazione, sul piano politico, si mostrò decisamente benevolo verso le dittature comuniste, dall'Unione Sovietica, alla Cina, a Cuba, sempre all'insegna della "difesa dei poveri" con cui è stato propagandisticamente identificato in vita e in morte. Qualora un giorno mons. Camara salisse agli onori degli altari, costituirebbe un modello a dir poco controverso. A sostenerlo, auspicando che la causa venga sospesa, è Tradizione Famiglia Proprietà (TFP), rete di associazioni nata proprio in Brasile dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), leader cattolico e impegnato nella "battaglia culturale" su posizioni opposte a quelle di dom Camara. Ne parla a La Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.Loredo, potremmo avere dunque un "vescovo rosso" sugli altari?Dom Helder Camara è stato una figura chiave del progressismo ecclesiale dagli anni ‘30 fino alla morte, protagonista della svolta a sinistra dell'Azione Cattolica in Brasile. In seno a questo processo è sorta anche la teologia della liberazione. Inoltre negli anni '50 e '60 ha avuto un ruolo centrale nel ricambio (generazionale ma anche ideologico) dell'episcopato brasiliano, favorendo la nomina di prelati progressisti insieme al nunzio dell'epoca, mons. Armando Lombardi.Una parabola partita però dal fronte opposto...E non da semplice militante: era il numero due del partito filo-nazista Azione Integralista Brasiliana, fondato da Plinio Salgado. Quando fu ordinato sacerdote, nel 1931, sotto la talare indossava la divisa delle milizie integraliste. Grazie a uno studio di Plinio Correa de Oliveira, che ne mostrava l'incompatibilità con la dottrina cattolica, venne meno l'appoggio ecclesiastico al movimento, poi messo fuorilegge dal presidente Getulio Vargas. Dopo la dissoluzione e l'esilio di Salgado, Camara iniziò il suo trasbordo ideologico verso sinistra - che abbiamo descritto in apertura - fino alla teologia della liberazione e alla costituzione di comunità ecclesiali di base (CEB), prefigurate dal pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, ispiratore del Movimento de Educação de Base.Come si mosse dom Camara durante il Concilio?Pur non avendo mai preso la parola in aula, è stato assolutamente centrale dietro le quinte del Vaticano II. Era lui a coordinare gli incontri fra esponenti dell'ala progressista (curiosamente anche sul fronte tradizionalista la spinta veniva dal Brasile, grazie agli incontri coordinati da Plinio Correa de Oliveira dai quali scaturì il Coetus Internationalis Patrum). In questi anni dom Helder, già parte integrante della teologia della liberazione, portava avanti il dissenso dal magistero anche sul piano morale fino alla critica della Humanae Vitae di Paolo VI e alla difesa dell'aborto.Un politico più che un vescovo?Nel 1969 tenne un celebre discorso a New York in cui appoggiava il comunismo internazionale. Difendeva l'URSS e la Cina di Mao. Al Sessantotto risale uno degli episodi più scioccanti: il documento Comblin. Nel giugno 1968 trapelò questo documento che pianificava una rivoluzione comunista armata in Brasile. Joseph Comblin era un sacerdote belga, professore presso l'istituto teologico di Recife. Dunque, nella diocesi e sotto l'egida di mons. Camara, il quale non negò l'autenticità del documento, limitandosi a dire che non era ufficiale. Il progetto contemplava, per esempio, l'abolizione della proprietà privata, delle forze armate, la censura di stampa, radio e tv, i tribunali popolari. In pratica una rivoluzione bolscevica in Brasile. Correa de Oliveira raccolse 2 milioni di firme chiedendo l'intervento di Paolo VI per bloccare questa infiltrazione marxista nella Chiesa brasiliana, ma non ebbe risposta.Anzi, il controverso presule rimase in carica fino ai 75 anni canonici.Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò suo successore José Cardoso Sobrinho, che ha cercato di mettere un po' d'ordine nella diocesi, addirittura chiudendo l'istituto teologico e creandone un altro. Nello stesso anno usciva l'istruzione vaticana Libertatis Nuntius che condannava gli aspetti esterni della teologia della liberazione, ma era come chiudere la stalla con i buoi già scappati.E lui personalmente non ha mai ritrattato le sue posizioni?Non risulta. E alla sua morte, nell'agosto 1999, godeva di una sorta di canonizzazione mediatica. Alcuni giornali italiani titolavano: «Profeta dei poveri», «Santo delle favelas», «Voce del Terzo Mondo», e addirittura «San Helder d'America».Una "fama di santità" ideologica, più che religiosa.Un'eventuale canonizzazione di dom Helder Camara sarebe la canonizzazione del comunismo, della teologia della liberazione, del dissenso. Lo chiamano già "Santo dei poveri", ma lui difendeva regimi che provocano la povertà, come aveva sintetizzato Indro Montanelli: «La sinistra ama tanto i poveri, che ogni volta che sale al potere ne aumenta il numero». Riguardo alla «falsificazione della fede cristiana» operata dalla teologia della liberazione, Benedetto XVI disse che « bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro».Nota di BastaBugie: mons. Helder Câmara appoggiava un progetto di rivoluzione comunista per l'America Latina conosciuto come il "Documento Comblin" preparato nel giugno 1968 sotto l'egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l'Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Si trattava di un Rapporto destinato al Consiglio Episcopale Latinoamericano. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una "dittatura popolare" di matrice comunista.In mezzo all'accesa polemica che ne seguì, padre Comblin non negò l'autenticità del documento, ma disse trattarsi "soltanto di una bozza".Eccone alcuni punti, riportati dal sito di Tradizione, Famiglia, Proprietà:CONTRO LA PROPRIETÀNel documento, il p. Comblin difende una triplice riforma - agraria, urbana e aziendale- partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.UGUAGLIANZA TOTALEL'obiettivo, afferma p. Comblin, è stabilire l'uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.RIVOLUZIONE POLITICO-SOCIALEIn campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di "gruppi di pressione" radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea "dittatura popolare" per imbavagliare la maggioranza, ritenuta "indolente".RIVOLUZIONE NELLA CHIESAPer consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell'autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di Politburo ecclesiastico.ABOLIZIONE DELLE FORZE ARMATELe Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.CENSURA DI STAMPA, RADIO E TVFinché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di "coscienza rivoluzionaria", la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Chi non è d'accordo deve abbandonare il Paese.TRIBUNALI POPOLARIAccusando il Potere Giudiziario di essere "corrotto dalla borghesia", p. Comblin propone l'istituzione di "Tribunali popolari straordinari" per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.VIOLENZANel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato.
Nel Motu Proprio Traditionis Custodes la condanna è scritta: la liturgia tradizionale deve sparire. Si può essere accomodanti, ma solo con e per un obiettivo: «provvedere da una parte al bene di quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare» al Novus Ordo Missæ». Come? Innanzi tutto, abrogando tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti; poi, ritenendo «i libri liturgici promulgati» da Paolo VI e da Giovanni Paolo II quale «unica espressione della lex orandi del Rito Romano» (art. 1 della Traditionis Custodes); infine, vietando la costituzione di nuovi gruppi Vetus Ordo.
La stampa italiana ha ricordato la scomparsa del principe Sforza Ruspoli, definendolo “l'ultimo principe dell'aristocrazia romana” (“La Repubblica”, 25 ottobre 2022). Le famiglie principesche romane sono infatti ancora numerose, ma non tutte conservano la coscienza del loro ruolo storico. Il principe Ruspoli, nella sua lunga vita, talvolta estrosa e contraddittoria, ma sempre generosa e appassionata, fu consapevole della necessità di una presenza pubblica dell'aristocrazia. Aveva inoltre la consapevolezza della romanità della sua casata, che significava servizio disinteressato alla città che ospita la Cattedra di Pietro e che ha nel Romano Pontefice il proprio sovrano. Sforza Marescotti Ruspoli nacque a Roma il 23 gennaio 1927, figlio di Francesco Ruspoli e di Claudia Matarazzo. Per parte di padre discendeva da una delle più illustri dinastie romane che conta, tra i personaggi storici, Mario lo Scoto, un condottiero al servizio di Carlo Magno, Fabrizio Ruspoli che comandò alcune galee pontificie a Lepanto, santa Giacinta, monaca francescana, e i due fratelli Costantino e Marescotti, paracadutisti della Folgore e medaglie d'oro al valor militare, che nell'ottobre del 1942 sacrificarono la loro vita durante la battaglia di El Alamein. Anche il padre di Sforza aveva combattuto valorosamente come aviatore nella Seconda Guerra mondiale e fu l'ultimo Gran Maestro del Sacro Ospizio, una delle grandi cariche civili della Corte Pontificia. Di istituzione antichissima il Gran Maestro interveniva a tutte le solenni funzioni pontificie, indossando un costume settecentesco nero con la spada dall'elsa d'argento e ricevendo onori pari a quelli dei cardinali, scortato da quattro guardie svizzere. A lui spettava ricevere e accompagnare i Sovrani che si recavano in udienza dal Santo Padre. Dal 1811 al 1968, quando Paolo VI abolì la Guardia Nobile, la carica, non ereditaria, fu conferita costantemente a membri della famiglia Ruspoli, in successione dell'antichissima famiglia Conti, estintasi nel Settecento.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7187MORTO IL GESUITA TEDESCO CHE HA SMONTATO PER SEMPRE LA LEGGENDA NERA SU PAPA PIO XII di Ermes DovicoIl 12 ottobre è morto padre Peter Gumpel, gesuita tedesco di 98 anni (ne avrebbe compiuti 99 il 15 novembre). Gumpel è noto in particolare per aver potuto accedere, fin dal 1965, alla documentazione sul pontificato di Pio XII contenuta nell'Archivio Segreto Vaticano (l'odierno Archivio Apostolico) e aver così contribuito a smontare, insieme ad altri storici, le leggende nere che circolavano su papa Pacelli.Leggende che avevano raggiunto il culmine nel ‘63, attraverso la rappresentazione teatrale Il Vicario del drammaturgo Rolf Hochhuth, che accusava il Pastore Angelico di essere rimasto passivo e indifferente di fronte al genocidio compiuto dai nazisti. Una "tesi teatrale" che fa a pugni con la realtà di un pontefice, quale Pio XII, che mise in piedi un'opera capillare per offrire rifugio, nutrimento e salvezza a migliaia di ebrei. Eppure, la suddetta tesi non è mai scomparsa dalla propaganda anticattolica, di cui lo stesso padre Gumpel, come testimoniava, faceva esperienza nel suo lavoro di storico.La Nuova Bussola ha intervistato don Nicola Bux, che ha conosciuto personalmente il gesuita tedesco.Don Bux, ci può tratteggiare innanzitutto la figura di padre Gumpel?Apparteneva a una famiglia nobile tedesca, che fu perseguitata sotto il governo nazista a causa delle sue origini ebraiche e costretta a emigrare. Il suo ruolo di storico ha avuto risalto, essenzialmente, per i suoi lavori di ricerca e di acclaramento della verità sulla figura di Pio XII. Era già noto ai tempi di Paolo VI, perché fu allora che si approfondirono le ricerche su Pacelli. Papa Montini stimava molto Pio XII (con il quale aveva lavorato quando era Sostituto alla Segreteria di Stato) e perciò volle che si pubblicassero documenti per attestare l'opera di Pacelli durante la guerra. Al Concilio Vaticano II lo stesso Paolo VI chiese che fosse avviata contemporaneamente la causa di beatificazione sia di Giovanni XXIII che di Pio XII. Poi, sotto Benedetto XVI, la postulazione della causa di Pacelli è stata affidata ai gesuiti, anche perché i gesuiti sono stati consiglieri di Pio XII, che si avvaleva molto del loro aiuto. Faccio notare che già due mesi dopo la sua morte era stata pubblicata la prima preghiera per chiedere la sua beatificazione: Pio XII morì infatti il 9 ottobre 1958 e già l'8 dicembre di quell'anno veniva dato l'imprimatur a un suo santino.Che ruolo ha avuto padre Gumpel nella causa?Padre Gumpel, in particolare, è stato il relatore della causa di beatificazione di Pio XII per trent'anni, dal 1983 al 2013. In quell'arco temporale, nel 2009, la Chiesa ha riconosciuto le virtù eroiche di papa Pacelli, che è quindi stato proclamato venerabile da Benedetto XVI. Papa Ratzinger si è servito fino alla fine della collaborazione di padre Gumpel, per fugare l'ultimo dubbio che pesava sul processo di beatificazione, e cioè se Pio XII avesse fatto tutto il possibile per aiutare e salvare gli ebrei. Gumpel, appunto, fugò con grande perizia gli ultimi dubbi in merito. Tra l'altro, incontrò il leader di un gruppo di circa 800 rabbini ebrei ortodossi nordamericani che gli diede una dichiarazione scritta in cui spiegava che gli ebrei ortodossi non erano d'accordo con quei fratelli nella fede che si intromettono nelle questioni interne della Chiesa. È noto che sulla vicenda di Pio XII hanno pesato condizionamenti politici di parte, che hanno rallentato l'iter per la beatificazione, ma che padre Gumpel riuscì bene a "dribblare" con la forza della documentazione storica, che attesta il comportamento esemplare del Santo Padre.Padre Gumpel si rammaricava per il fatto che ci fossero personaggi noti, anche in ambienti cattolici, che non sostenevano la beatificazione di Pio XII.Sì, io ho avuto modo di conoscerlo e di parlare con lui, quando era ancora in forze. Poi negli ultimi anni è stato ricoverato in infermeria e quindi non ha più seguito la postulazione, anche perché la causa - raggiunto il grado della venerabilità - attende solo il riconoscimento di un miracolo per la beatificazione e poi di un altro per la canonizzazione.Lui supervisionò la positio sulle virtù di Pio XII, un lavoro di tremila pagine.Certamente è un lavoro in cui ha avuto un grande ruolo, e si è avvalso di tanti collaboratori. Padre Gumpel era convintissimo della santità di papa Pacelli. Un'altra grande figura nella causa è stato il postulatore padre Paolo Molinari (†2014). Dopo la morte di Molinari, che faceva seguito a quella dello storico gesuita Pierre Blet (†2009) - uno dei quattro autori della monumentale opera in francese "Atti e documenti della Santa Sede relativi al periodo della Seconda Guerra Mondiale" - padre Gumpel era diventato una sorta di ultima memoria storica di Pio XII e dell'epoca in cui l'Archivio Vaticano sul suo pontificato (aperto dal 2020) era inaccessibile ai più. Come dicevo, fu Paolo VI che fece pubblicare quella documentazione sul periodo della guerra, per chiarire ulteriormente il ruolo di Pio XII.Ci può fare qualche esempio di ritrovamento storico illustrato da padre Gumpel?Lui ha fatto parecchie scoperte. Ma una che vorrei indicare, visto anche il 60° anniversario dal suo inizio, è quella sulla convocazione del Concilio ecumenico. Molti non sanno che Pio XII avrebbe voluto riprendere il Concilio Vaticano I che era stato interrotto a seguito della Presa di Roma. Con Pio XI non fu possibile concretizzare la cosa, per le contingenze storiche. Pio XII aveva ripreso il piano di convocazione del Concilio; a volte è stato detto che egli non l'abbia convocato perché si sentiva anziano: nel 1951 aveva 75 anni, con alle spalle le fatiche dell'Anno Santo (1950). Poi iniziarono a manifestarsi nel Santo Padre i prodromi della grave malattia che lo afflisse, come scriveva lo stesso Gumpel, e che nel ‘54 fecero seriamente temere per la sua vita. Ma questi non erano gli unici fattori, ce ne furono altri, che fanno capire perché Pio XII non abbia, per prudenza, convocato il Concilio: Pacelli sapeva bene che un eventuale Concilio - per le materie gravi da trattare, per i tempi e le divergenze di allora - si sarebbe protratto per un po' di anni. E quindi lui era convinto che in quell'epoca - siamo all'inizio degli anni Cinquanta, con la Cortina di ferro e l'impedimento per molti vescovi dell'Europa orientale - non ci fossero le condizioni per una convocazione conciliare. Comunque, come sappiamo, e questo Gumpel lo mette bene in evidenza, il magistero di Pio XII ha avuto un'influenza considerevole sul Vaticano II, al punto che è la fonte più citata nei documenti conciliari. A proposito vorrei fare una riflessione.Quale?Se ci sarà la beatificazione di Pio XII si ricomporrà forse quella "rottura" tra Chiesa preconciliare e postconciliare, menzionata da Benedetto XVI nel celebre discorso del 2005 sulla necessità di un'ermeneutica della continuità. Il fatto che Benedetto XVI abbia contribuito a rilanciare la causa di Pio XII con la dichiarazione sull'eroicità delle virtù, e quindi la venerabilità, dimostra che l'ermeneutica della continuità ha bisogno di un segnale. Pio XII ha collaborato tanto con i gesuiti e spero che ora che c'è un Papa gesuita possa arrivare questo segnale.Dagli studi di Gumpel è emersa anche la vicenda della religiosa addetta al governo dell'appartamento di Pio XII, la tedesca suor Pascalina Lehnert, che durante il conflitto coordinò - su incarico del Santo Padre - l'accoglienza degli ebrei in diversi monasteri e lei stessa andava in giro per Roma alla guida di un furgone, distribuendo cibo e vestiti.Sì, oltre che nelle ricerche di padre Gumpel, questo è un aspetto ben documentato da Dominiek Oversteyns, della Famiglia spirituale "L'Opera", che a Boccea (Roma) ha creato un piccolo museo, allestito grazie al contributo della stessa suor Pascalina. La cosa che impressiona quando si visita quel museo sono le scarpe - bucate nella suola - di Pio XII, che lui non faceva riparare per devolvere il più possibile ai bisognosi. Durante la guerra non faceva accendere i caloriferi in Vaticano, per solidarietà con le tante famiglie che stavano al freddo. La carità di quest'uomo, papa Pacelli, è stata grande, ma mai sbandierata. Sempre Oversteyns ha fatto una mole imponente di ricerche sulle famiglie ebraiche, raccolte su un sito Internet, in cui censisce tutti gli interventi fatti da Pio XII in favore degli ebrei a Roma.Nel 2021 è stato anche pubblicato il libro di Johan Ickx (Pio XII e gli ebrei), che da decenni lavora negli archivi della Santa Sede. Non so in che modo abbiano collaborato Gumpel e Ickx, ma quest'ultimo, nel volume, inserisce nei ringraziamenti il gesuita tedesco. In questo libro si descrive tra l'altro la storia del bureau, l'apposito ufficio creato da Pio XII per aiutare gli ebrei.Ickx ha contato - nell'archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato - 2800 richieste di aiuto, relative a circa cinquemila persone. E spiega che si tratta di cifre che potrebbero un giorno essere riviste al rialzo...Esatto. Perciò risultano avvilenti i tentativi da parte di certa pubblicistica anticattolica di dipingere Pacelli come "il Papa di Hitler", quando invece i nazisti, come spiegava padre Gumpel sulla base dei documenti dell'epoca, odiavano Pio XII. E tra i fedeli la devozione è molto viva. L'attuale postulatore generale dei gesuiti, padre Pascual Cebollada, mi ha detto che ogni giorno giungono alla postulazione richieste da tutto il mondo di santini di Pio XII (con le preghiere per impetrarne la beatificazione), a conferma della sua fama di santità.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7160BEATO GIOVANNI PAOLO I, PAPA PER SOLO UN MESE di Cecilia NonnatoPer motto episcopale, Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, beatificato domenica 4 settembre a San Pietro da papa Francesco, scelse quello di san Carlo Borromeo: Humilitas, termine andato in disuso nei nostri tempi, ricchi di vanagloria, non solo in ambito pubblico, ma anche privato, che privato spesso e volentieri non è più a causa dell'uso smodato e bulimico dei Social, dove l'edonismo esasperato fa da padrone sulle coscienze. Una volta affermò: «Dio certe cose grandi ama talvolta scriverle non sul bronzo o sul marmo, ma addirittura sulla polvere, affinché, se la scrittura resta, non scompaginata o dispersa dal vento, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio». [...]Qualcuno nel presentare la figura di Giovanni Paolo I evoca elementi come ecumenismo, liberalismo, relativismo... ma per conoscere veramente chi era occorre informarsi, studiare, raccogliere fonti. [...]Il suo pontificato, dal 26 agosto al 28 settembre del 1978, anche con la sua fulminea e tragica morte, suscitò aspettative e grandi speranze in una Chiesa entrata in profonda crisi di fede, di morale, di vocazioni e in una società del benessere materiale, ma del malessere spirituale, inquieta e ribelle, dove i valori perdevano ogni giorno di più consistenza e perfino senso.I PRIMI QUARANT'ANNINacque a Canale d'Agordo 110 anni fa, il 17 ottobre 1912, in provincia di Belluno, in una povera famiglia, dove si pativa veramente la fame, ma si conosceva la fede. Suo padre era Giovanni Luciani (1872-1952) e sua madre Bortola Tancon (1879-1948). Nell'ottobre del 1923 Albino entrò ad appena 11 anni nel Seminario interdiocesano minore di Feltre e in seguito, nel 1928, nel Seminario interdiocesano maggiore di Belluno.Fu ordinato diacono il 2 febbraio 1935 e sacerdote il 7 luglio di quell'anno nella chiesa rettoriale di San Pietro Apostolo a Belluno. Nominato cappellano e vicario cooperatore di Canale d'Agordo, di lì a poco venne trasferito ad Agordo, dove fu cappellano fino al luglio del 1937 e dove insegnò religione all'Istituto minerario, e poi al Seminario Gregoriano di Belluno (1937-1958), per divenire dal 1937 al 1947 vice-rettore. Il 27 febbraio 1947 si laureò in Sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.In prossimità delle elezioni politiche dell'aprile 1948 collaborò alla campagna di propaganda contro il fronte socialcomunista, sottolineando l'impossibilità di aderirvi per i cattolici. Inoltre, per tutta la sua esistenza ebbe una cura particolare per la catechesi, alla quale riservò un posto centrale nella sua azione pastorale a Vittorio Veneto, a Venezia, a Roma. Per Luciani era necessaria un'istruzione catechetica sana e capillare. Da buon veneto aveva di fronte a sé l'esempio di san Pio X.Nel 1954 divenne vicario generale della diocesi di Belluno e il 30 giugno 1956 fu nominato canonico della cattedrale di Belluno, fino a quando Giovanni XXIII, il 27 dicembre 1958, nella basilica di San Pietro, lo consacrò vescovo di Vittorio Veneto, dove si insidiò l'11 gennaio 1959, incontrando, suo malgrado, e scontrandosi con il malaffare interno alla Chiesa. Subito iniziò, a tappeto, le visite pastorali nelle parrocchie.DA PATRIARCA DI VENEZIA A SOMMO PONTEFICEI rapporti e i fatti torbidi che allacciavano figure ecclesiastiche e mondi finanziari vennero da lui attenzionati scrupolosamente, anno dopo anno, formandosi un bagaglio di presa d'atto della situazione, nell'attesa di poter avere lo spazio idoneo per operare ad una sanificazione morale. Fu elevato a patriarca di Venezia il 15 dicembre 1969 e il 5 marzo 1973 fu creato cardinale del titolo di San Marco da papa Paolo VI. Proprio a Venezia, Luciani ebbe modo di verificare le manovre che i poteri occulti, soprattutto la massoneria, conducevano attraverso il Banco Ambrosiano e come personalità del livello del monsignore statunitense Paul Marcinkus dello IOR (Istituto per le Opere di Religione) operassero maneggi finanziari con le grandi banche straniere. Non bisogna dimenticare che, dal punto di vista dottrinale, ampi settori progressisti nella Chiesa ritenevano possibile il dialogo tra cattolici e massoni.Nel 1974, in occasione della campagna elettorale per il referendum sul divorzio, sciolse la sezione veneziana della FUCI, la Federazione degli universitari cattolici, perché si era mostrata favorevole al no all'abrogazione della Legge Fortuna, contrariamente alle indicazioni della sua Curia.Come Patriarca di Venezia approfondì la conoscenza delle trame massoniche e finanziarie attraverso delle precise indagini, che molte figure di potere non gradirono. Divenne Pontefice con sommo sgomento, sentendosi inadeguato a questo tremendo incarico di responsabilità, non solo di carattere umano, ma anche soprannaturale. Quella elevatezza dell'onore di guidare la Chiesa, ed una Chiesa in piena crisi, con l'obiettivo di sanare le ingerenze massoniche, lo condusse ad una grande sofferenza, ma anche alla morte, naturale o indotta che sia stata. A tutt'oggi non si hanno prove certe in un caso come nell'alto.L'INCONCILIABILITÀ FRA CATTOLICESIMO E MARXISMOFra il 1962 e il 1965 partecipò al Concilio ecumenico Vaticano II, senza prendere mai la parola durante i lavori. L'esperienza conciliare lo indusse a valorizzare la Bibbia come strumento pastorale nell'esposizione della tradizionale teologia, a dimostrazione del fatto che la contrapposizione fra Scrittura e tradizione, allora in voga fra i teologi progressisti, era destituita di fondamento. Ingenuamente, rimase sempre convinto - o forse fu un suo illusorio auspicio - che il rinnovamento teologico promosso dal Concilio Vaticano II fosse una questione circoscritta alla pastoralità.Respinse con fermezza l'adozione da parte dei cattolici delle metodologie di critica economica e politica propugnate dai movimenti di ispirazione marxista e si oppose pubblicamente a ogni ipotesi di «apertura a sinistra» o di rottura dello schieramento cattolico a favore dei partiti socialista o comunista in occasione delle scadenze elettorali. Nel corso degli anni Settanta, ribadì più volte l'inconciliabilità fra cattolicesimo e marxismo, in cui scorgeva un programma di radicale scristianizzazione. Come patriarca di Venezia visse le tensioni sociali e politiche (sono gli anni del referendum abrogazionista sul divorzio, 1974, e sono gli anni di piombo), che ben presto consolidarono una significativa frattura fra il Patriarca e quella parte del clero e del laicato cattolico veneziani che erano più inclini a sperimentare nuovi criteri di azione nella pastorale e nella liturgia.Fu un estimatore del convertito Gilbert Keith Chesterton, al quale scrisse una lettera, nella quale si legge: «Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso - quel progresso - sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell'uomo, fa di lui una macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di numeri» (Giovanni Paolo I (Albino Luciani), Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, pp. 29-31).Giovanni Paolo I rimase fedele al battesimo, ricevuto nella pieve di San Giovanni Battista, nel cuore delle Dolomiti, fino alla fine dei suoi giorni, quando i cattolici di tutto il mondo rimasero scossi e profondamente addolorati per quell'improvvisa e inspiegabile morte.
San Leopoldo (nato Bogdan) Mandić nacque il 12 maggio 1866 a Castelnuovo, nella Dalmazia meridionale, all'epoca appartenente all'Impero Austro-ungarico. Era piccolo di statura, curvo e malfermo di salute. Si dedicò soprattutto al ministero della Confessione e in particolare a confessare altri sacerdoti. Dal 1906 svolse questo compito a Padova. Era apprezzato per la sua straordinaria mitezza. La sua salute man mano si deteriorò, ma fino a quando gli fu possibile non cessò di assolvere in nome di Dio e di indirizzare parole di incoraggiamento a quanti lo accostavano. Morì il 30 luglio 1942. La sua tomba, aperta dopo ventiquattro anni, ne rivelò il corpo completamente intatto. Paolo VI lo ha beatificato nel 1976. Giovanni Paolo II, infine, lo ha canonizzato nel 1983. San Leopoldo è stato riconosciuto il 6 gennaio 2020 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti patrono dei malati d'Italia colpiti da tumore. La notizia è stata diffusa dalla diocesi di Padova l'8 febbraio 2020. L'omelia è stata proclamata nel corso della Santa Messa nel Santuario di san Leopoldo Mandić a Padova, il 12 maggio 2014, nel corso delle celebrazioni della festa di San Leopoldo, che a Padova ricorre il 12 maggio. In generale la Chiesa lo ricorda il 30 luglio, anniversario della sua nascita al Cielo.
Nella puntata di Breccast di inizio agosto ci occupiamo del presidio contro il depuratore del Garda: il presidio che da un anno in piazza Paolo VI a Brescia protesta contro la decisione di realizzare a Gavardo e Montichiari (sul bacino del Chiese) la soluzione alla depurazione delle acque del Garda (bacino del Mincio) ha deciso di restare attivo fino alle prossime elezioni legislative del 25 settembre. Sentiremo dal presidio Raffaella Giubellini (Basta Veleni) e Alessandro Scattolo (Comitato ambiente territorio basso Garda). Proprio le elezioni vedranno una riduzione della rappresentanza parlamentare: per il territorio di Brescia si passerà dagli attuali 14 a 9 o 10. Facciamo il punto della situazione, riconoscendo che molte decisioni sono ancora da definire a cominciare dalle liste di chi si candida, anche se qualche scossone si è già visto come il passaggio di Mariastella Gelmini dalla direzione nazionale di Forza Italia al partito Azione di Calenda, alleato del Partito Democratico. Ci vediamo poi alla Riserva del Grande il 25 agosto alle 19 per parlare dell'ascensore in Castello: una puntata speciale Live di Breccast per discutere del progetto, di cui in città si è discusso molto poco. Puoi lasciare un tuo commento vocale (massimo un minuto) andando a questo indirizzo https://anchor.fm/breccast/message --- Send in a voice message: https://podcasters.spotify.com/pod/show/breccast/message
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6933L'IMITAZIONE DI CRISTO, UN BESTSELLER DEL MEDIOEVOL'autore voleva rendere la religione cristiana più comprensibile e scrisse il suo capolavoro per i monaci, ma ben presto ci si accorse che il libro andava benissimo per tuttidi Rino CammilleriLa morale, nel cattolicesimo, non viene più menzionata, perché i padroni del linguaggio sono riusciti a deformarla, nelle nostre teste, con la sua caricatura, il moralismo. Perciò, anche la Chiesa docente ormai le preferisce il termine «etica». La quale, a sua volta, è finita sinonimo di «educazione civica», in attesa di evaporare in niente del tutto. E dire che la morale sarebbe addirittura una branca della teologia (la quale a sua volta era la più importante delle discipline, visto che dobbiamo morire tutti, anche i positivisti). Ora, se questo è quel che accade attorno alla morale, figurarsi quell'altro ramo della teologia che si chiamava «ascetica». Sapendo che all'uomo odierno, intriso di edonismo, l'idea stessa di sforzo per motivi spirituali produce conati di vomito, per sicurezza l'ascetica è semplicemente sparita sotto al tappeto. Ragionavo con un prete mio amico, il quale, formatosi ai tempi del cardinale Carlo Maria Martini, sapendomi esperto di santi mi confessava di non capire come mai alcuni di loro usassero il cilicio, che senso aveva? Bella domanda. E dire che anche un papa molto caro al progressismo, Paolo VI, pare ne indossasse uno.UN COLLODI DELLO SPIRITOPersonalmente tengo molto caro, e leggo e rileggo e medito, un libretto che ha contribuito a insegnare l'ascetica ai cristiani, per la precisione alla gente semplice, nei secoli. E a spiegare che, senza, non si va da nessuna parte. «Il libro dell'Imitazione di Cristo è certo, dopo la Sacra Scrittura, il più gran libro che possiede la cristianità». Così scriveva nel 1934 il traduttore padre Vincenzo Mancardi, sacerdote paolino, nella prefazione della copia che possiedo. Tascabile e senza note: non ce n'è bisogno, perché il testo è già esplicativo di suo. Scritto verso il 1420 (dunque, ben 600 anni fa), il suo destino fu un po' come quello di Pinocchio, di autore mediocre ma geniale one-shot: Collodi scrisse molto, ma io stesso farei fatica a menzionare a memoria qualche altra sua opera. Lo stesso accadde a Tommaso da Kempis, il supposto autore dell'Imitazione (infatti, non si sa con certezza neppure se fu lui): le fonti lo danno come mistico, ma si tratta più che altro di una tradizione orale. E non è nemmeno stato beatificato. Era sacerdote e monaco, e scrisse il suo capolavoro per chi conduce vita monastica. Ma ben presto ci si accorse che, guidato da qualche angelo, aveva fatto una cosa che andava benissimo per tutti, anche per i laici. Infatti, dopa la Bibbia il suo fu il libro più stampato da quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Al 1650 le edizioni erano 740, ben 1.800 alle soglie dell'Illuminismo. E dire che l'autore voleva solo rendere la religione cattolica (ai suoi tempi, cristiana tout court) più comprensibile e accessibile.I FRATELLI DELLA VITA COMUNETommaso da Kempis era un tedesco nato verso il 1380 a Kempen, in quel di Colonia. Thomas Hemerken von Kempen era il suo nome esatto. Com'è che da Kempen si passa a Kempis? Misteri del tempo in cui le cose andavano scritte a mano (infatti, in certi documenti il cognome è Hamerken, in altri Hemerken). Non c'è da stupirsi: anche quando sono nato io gli impiegati dell'anagrafe scrivevano a mano, talché io sono Cammilleri, mia cugina Cammalleri e il mio prozio defunto Camilleri. Ora, Hemerken in tedesco sta per «nota», in norvegese per «osservazione», ma forse nel XV secolo significava «martelletto», tant'è che la latinizzazione del nostro divenne Tomas Malleolus (il latino era allora la lingua comune degli europei). Il Nostro, di cui non conosciamo il ceto d'origine, nel 1395 fu ammesso alla scuola che i Fratelli della Vita Comune tenevano nella non troppo lontana Deventer, nell'attuale Olanda. Questi Fratelli della Vita Comune erano stati fondati dal predicatore olandese Geert de Groote pochi decenni prima. Costui, ricco di famiglia, a un certo punto ebbe una fortissima esperienza spirituale che lo portò a vivere da eremita per sette anni; poi cominciò a predicare, e la sua passione trascinava le folle. Approvato dalla Santa Sede, riunì i suoi discepoli nella comunità in cui il Kempis andò a studiare. Attirato dalla fama di Florent Radewijns, teologo considerato un grande maestro e cofondatore della Comunità, in questa scuola scopri le sue doti di copista e anche la sua vocazione, tant'è che andò a farsi monaco agostiniano (come Lutero, per inciso) ad Agnietenberg (Monte Sant'Agnese), vicino alla cittadina olandese di Zwolle, dove c'era già suo fratello Johan che ne era il priore. Nel 1413 vi venne ordinato sacerdote. Nel 1429 fu eletto vicepriore, ma proprio in quell'anno lui e gli altri monaci dovettero sloggiare di fretta perché un tumulto di popolo aveva reso il luogo poco sicuro. Il fatto è che la zona era nella diocesi di Utrecht e il vescovo locale, Rudolf van Diephoit, era considerato un usurpatore da Roma. Ma non dai suoi partigiani. Da qui i disordini. Nel 1432 le acque si calmarono e il Kempis poté tornare alle sue incombenze, cui aggiunse la predicazione pubblica. Non si mosse più dal suo monastero, dove morì nel 1471 ultranovantenne. Fu sepolto nella chiesa, ma questa venne in seguito distrutta dai protestanti. I suoi resti, portati via in tempo, si trovano a Zwolle. Dopo l'immenso successo dell'Imitazione si provò a canonizzarlo, ma quel che pare sia successo merita di essere riportato perché mostra con quale serietà la Chiesa di quel tempo procedeva. L'iter prevedeva (e prevede) per prima cosa la riesumazione della salma. Ebbene, l'accuratezza di tale ricognizione riscontrò la presenza di schegge di legno sotto le unghie. Le aveva già quando fu sepolto? Era, la sua, una morte apparente e, rinvenuto, aveva cercato disperatamente di liberarsi? O si trattava di uno spasmo involontario? Non c'era modo di saperlo, perciò, per sicurezza, niente canonizzazione. Anche se pure un santo non è meno santo se cerca di uscire da una bara in cui è stato chiuso troppo frettolosamente.Il Kempis scrisse molte altre opere, ma qui lo ricordiamo per quella fondamentale. Imitazione di Cristo, perché Cristo stesso ha detto «prendete esempio da Me». Per andare nel regno dei Cieli, che è (o dovrebbe essere) lo scopo della vita di ognuno, non importa fare altro. Ma la domanda è: si può imitare con successo Cristo? La risposta è sì, e ne sono esempio i santi, che sono i primi della classe in questo esercizio. E, come in ogni classe, non c'è bisogno di essere per forza i primi per essere promossi. Un esempio della prosa dell' Imitazione: «Sii cauto (mi dice uno); sii cauto, tieni in segreto quanto ti dico. Eppure, mentre io taccio e credo che la cosa resti nel segreto, egli non sa osservare il silenzio che lui stesso mi raccomandò, ma tosto scopre sé e me, e mi lascia così».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7048CINQUANT'ANNI FA LE MARTELLATE SULLA PIETA' DI MICHELANGELO di Valerio PeceAlle undici e mezza del mattino del 21 maggio 1972, un uomo si fa largo tra la folla di pellegrini, schiva cinque guardie, si arrampica sulla balaustra e al grido di «sono Gesù Cristo!» e sferra dodici colpi di martello sulla Pietà di Michelangelo. Il suo nome è Laszlo Toth, geologo australiano di origini ungheresi. I colpi mandano totalmente in frantumi il braccio sinistro della Vergine e scheggiano gravemente il naso, l'occhio sinistro e il velo.Quel giorno di 50 anni fa il mondo puntò gli occhi sul gruppo scultoreo posto all'inizio della navata destra della basilica di San Pietro. Prima di essere ricoperta da un drappo, poco dopo le 14, la Pietà venne visitata da Papa Paolo VI. Dal New York Times si legge che il Pontefice bresciano «apparve nella Cappella della Pietà per ispezionare i danni. Si inginocchiò brevemente per pregare davanti alla scultura vandalizzata. Poi indossò gli occhiali mormorando con un'espressione più seria del solito: "Sono gravissimi anche i danni morali"». Le cronache raccontano che dopo aver benedetto in silenzio la folla radunata davanti alla cappella, Paolo VI fece collocare davanti alla Pietà il mazzo di rose bianche e gialle che gli era stato donato quella mattina, domenica di Pentecoste.UN RESTAURO PERFETTOIl restauro della scultura realizzata a ridosso del giubileo del 1500 - quando il cardinale Jean Bilhères commissionò al giovane Buonarroti «una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio» - diede risultati insperati. I timori iniziali degli esperti erano più che fondati: le martellate inferte avevano fatto cadere una cinquantina di frammenti più o meno grandi, alcuni completamente polverizzati, come quelli della palpebra sinistra. L'asso nella manica, per quella che all'epoca molti consideravano un'impresa impossibile, fu il calco di gesso dell'opera, realizzata nel 1933 e conservato nei Musei Vaticani. Fu grazie all'utilizzo di quella copia dimenticata che l'équipe di restauratori (tutti italiani) poté ottenere le matrici per realizzare le parti mancanti. Sebbene a distanza ravvicinata può intravedersi un leggerissimo ingiallimento rispetto al marmo dell'opera (il timore era che, con l'invecchiamento naturale del marmo, le protesi sarebbero saltate all'occhio in maniera molto più evidente), a distanza di 50 anni il restauro continua a regalare all'opera un aspetto assolutamente omogeneo.Laszlo Toth, capelli lunghi e barba rossiccia, dopo di versi minuti di violenza inaudita, fu prima bloccato da un vigile del fuoco, quindi immediatamente arrestato. Sandro Barbagallo, curatore delle collezioni storiche dei Musei Vaticani, per spiegare il ritardo con cui l'autore del gesto fu fermato, ha riferito con candido realismo che «i fedeli erano sotto shock, tanto che nessuno capì realmente cosa stesse succedendo». L'entità dei crimini commessi avrebbe dovuto portare ad una reclusione di nove anni. I giudici, però, ritennero Toth infermo di mente, così, dopo due anni passati in un manicomio italiano, il geologo con brama d'artista fu trasferito in Australia. Da allora se ne sono perse le tracce.Il suo nome, però, sopravvive ancora, specie in certi ambienti artistici di area radicale, in cui Toth viene evocato come un innovatore. Donald Novello, attore e regista italo-americano (noto per aver creato la figura di padre Guido Sarducci, uno dei personaggi più longevi del Saturday Night Live) ha intitolato un suo libro Le lettere di Laszlo. Ken Friedman, compositore americano, ha scritto un oratorio musicale in onore di Laszlo Toth. Esiste perfino una Scuola d'arte, la Laszlo Toth School of Art, che elogia «l'artista del martello», il quale - si legge sul sito - «ha modellato alcune sculture popolari di Michelangelo a una sensibilità più moderna». Un altro intellettuale debitore di chi ha vandalizzato la Pietà Vaticana è Roger Dunsmore, docente di letteratura all'Università del Montana, vincitore di diversi premi di poesia. Dunsmore ha pubblicato un libro-omaggio dal titolo inequivocabile, Laszlo Toth, in cui, tra gli altri, spicca questo verso: «Dove sei Laszlo Toth, dal martello gentile?».VIOLENZA DELIRANTECosa spinse Laszlo Toth a scagliarsi con quella violenza sulla Pietà michelangiolesca non è così semplice da dire (le suore spagnole, responsabili dell'ostello per pellegrini dove Toth visse negli ultimi quattro mesi, riferirono che il geologo era stato «un ospite modello»). Se certi sfregi alle opere d'arte sono dovuti all'azione di squilibrati, altre volte la causa è il puro teppismo. Altre volte ancora - ma sono categorie interscambiabili - i danni alle opere d'arte sono opera di artisti falliti, che riversano la loro insoddisfazione sui capolavori altrui. Celebre è il caso di Pietro Cannata, ex studente di estetica e pittore mancato, autore di una serie-record di sfregi. Non pago di aver rotto il dito del piede sinistro al David di Michelangelo, ha prima scarabocchiato con un pennarello "Sentieri ondulati", quadro di Pollock, per poi vandalizzare, nel duomo di Prato, "Le esequie di Santo Stefano" di Filippo Lippi.Per cercare di capire come si comporta il nostro cervello di fronte ad un capolavoro, da non molti anni le neuroscienze hanno cominciato a interessarsi di arte. Ursula Valmori - esperta del ramo e collaboratrice di State of Mind, rivista di scienze psicologiche - scrive: «Il corpo del fruitore reagisce come se fosse esso stesso direttamente coinvolto nella scena raffigurata». Ciò è risultato con maggiore evidenza soprattutto dopo lo studio dei neuroni-specchio, «capaci», spiega Valmori, «di elaborare, contemporaneamente, una rappresentazione dei propri atti e di quelli altrui».Se la Pietà di Michelangelo, simbolo di bellezza ed armonia, ha potuto provocare turbamenti così violenti da arrivare a quello scandaloso atto vandalico, il motivo va forse ricercato nella perfezione con cui Michelangelo, a soli 23 anni, impressionò il suo tempo. Troppa era la bellezza di quel Cristo, sorretto da una Vergine così dolce e giovane da essere, anche in quel marmo di Carrara, "figlia del suo figlio".
Episodio 2: Da sacerdote a vescovo di Vittorio Veneto. Il salto per Albino Luciani non è indolore, la sua natura è timida, votata ad un servizio silenzioso, ma Papa Giovanni XXIII lo sceglie a 46 anni, sfidando le supposizioni sulla salute di Luciani che si diceva fosse precaria e anche su quel disturbo che in tanti avvertivano per la sua voce flebile. Accanto alle persone, attento ai suoi sacerdoti e alle sofferenze dei lavoratori: lo stile del vescovo Luciani era chiaro, a Vittorio Veneto come a Venezia, una sede che inizialmente aveva rifiutato. Da pastore vicino alla gente e ai problemi quotidiani delle famiglie, Luciani aveva partecipato alla discussione che precedette l'uscita dell'enciclica Humanae vitae, esprimendosi in senso possibilista sulla pillola. Poi, quando Paolo VI decise di dichiarare illeciti gli anticoncezionali, accolse e difese il pronunciamento del Papa aiutando i fedeli a comprenderne il significato…
Cupello don FrancescoMotu improprio. Traditionis Custodes di Papa Francesco tra ambiguità e contraddizioni Edizioni Fede&CulturaL'autore, nella Prefazione, dichiara di aver percepito il motu proprio Traditionis Custodes di papa Francesco come uno schiaffo a Benedetto XVI, che dichiarò di aver emanato il precedente motu proprio, Summorum Pontificum, dopo aver a lungo riflettuto, dopo essersi a lungo consultato e soprattutto dopo aver invocato lo Spirito Santo, contando sull'aiuto di Dio ed affidandosi all'intercessione di Maria. Precisa don Cupello come questo schiaffo gli avesse richiamato «quello ricevuto da Gesù davanti al sommo sacerdote Caifa. E come Gesù rispose pacatamente a chi Lo aveva colpito, invitandolo a ragionare, così ho pensato di fare io, rispondendo a papa Francesco, che in tal modo ha schiaffeggiato tutti coloro che devotamente – e tra questi mi annovero anch'io – senza alcun fanatismo, senza alcuna intenzione di opporsi alle indicazioni pastorali del Concilio Vaticano II e senza per nulla sognarsi di ripudiare il messale di Paolo VI, semplicemente in talune circostanze si trovano meglio a celebrare Messa con il plurisecolare messale di Pio V, traendone grandi benefici spirituali».Don Cupello pertanto ha analizzato una ad una le ragioni addotte da papa Bergoglio, per cancellare di fatto le disposizioni assunte dal suo predecessore ancora vivente, evidenziandone «inesattezze e contraddizioni, sulle quali non si può sorvolare»: «A prima vista Traditionis Custodes mi è sembrato in alcuni punti contraddittorio, in altri dottrinalmente debole, in altri ancora piuttosto precipitoso», col rischio implicito che tutto questo possa produrre gravi divisioni, rischio che non era proprio il caso di correre e divisioni di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.
Di fronte ad un baratro di accelerata ateizzazione, papa Francesco ha frenato bruscamente sulla Messa tradizionale con il motu proprio Traditionis custodes: dopo 14 anni di fervida vitalità, dal Summorum Pontificum del 2007 ad oggi, la liturgia del Santo Sacrificio dell'altare ha formato in tutto il mondo un vasto bacino di sacerdoti e di fedeli, ma questo rito continua ad essere pietra d'inciampo e viene nuovamente colpito e perseguitato. È la dimostrazione più emblematica del fatto che la Santa Messa in Vetus Ordo sia il cuore della Fede, perché la lex orandi si lega indissolubilmente alla lex credendi: rendere culto a Dio nel solco della Tradizione significa rimanere fedeli al magistero di sempre della Chiesa; rendere culto all'uomo (come si legge nel discorso di Paolo VI per la chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965) non è più difendere la Fede e la cattolicità.Il polo d'attrazione gravitazionale della Chiesa è sempre e solo stato la Santa Messa: un rito non costruito a tavolino, come invece è accaduto con la rivoluzione liturgica del 1969, ma che si è formato intorno all'altare, mattone dopo mattone. E proprio attorno alla Santa Messa di sempre, martoriata e perseguitata dai protestanti prima e dai novatori del cattolicesimo in svendita dopo, si sono innalzate chiese, cattedrali, abbazie, santuari, monasteri… dando vita e vigore all'immensa Civiltà cristiana.Nel libro troviamo così per la prima volta la storia della Santa Messa attraverso le fonti storiche, dall'Ultima Cena di Nostro Signore Gesù fino ai nostri giorni.
La notizia è ufficiale e ha una straordinaria rilevanza. Il 25 marzo 2022, Papa Francesco consacrerà la Russia e l'Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. Il Papa, inoltre, come ha confermato, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni, “ha invitato i vescovi di tutto il mondo e i loro presbiteri a unirsi a lui nella preghiera per la pace e nella consacrazione e affidamento della Russia e dell'Ucraina al Cuore Immacolato di Maria”. A Fatima il 13 luglio 1917 la Madonna annunziò che Dio si apprestava a “punire il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre”. Per evitare queste sciagure la Madonna chiese la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, fatta dal Papa in unione con tutti i vescovi del mondo, e la propagazione della pratica dei primi sabati del mese, consistente nell'unirsi a Lei, confessati e comunicati, per cinque sabati consecutivi, meditando quindici minuti e pregando il santo rosario. “Se si accetteranno le Mie richieste- disse la Madonna - la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Infine il Mio Cuore Immacolato trionferà.” Dopo le apparizioni di Fatima del 1917 ci sono stati vari atti di consacrazione e di affidamento al Cuore Immacolato di Maria, ma tutti parziali e incompleti, anche se non privi di effetti, tanto che, fin dal 1931 il Signore si lamentò con suor Lucia sulla mancata consacrazione della Russia: “Non hanno voluto ascoltare la mia richiesta! Come il Re di Francia, se ne pentiranno, e la faranno, ma sarà troppo tardi. La Russia avrà già sparso i suoi errori nel mondo, provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa: il Santo Padre dovrà soffrire molto”.Pio XII nel Radiomessaggio al Portogallo del 31 ottobre 1942, consacrò al Cuore Immacolato di Maria la Chiesa e il genere umano. Lo stesso Papa Pacelli, il 7 luglio 1952, con la lettera apostolica Sacro Vergente anno consacrò tutti i popoli della Russia alla Madre di Dio. La Russia venne esplicitamente nominata, ma mancò l'unione solenne con i vescovi cattolici di tutto il mondo. Il Concilio Ecumenico Vaticano II sarebbe stata un'occasione straordinaria per adempiere alla richiesta della Madonna. Nel 1965, ben 510 arcivescovi e vescovi di 78 paesi sottoscrissero una petizione in cui si chiedeva che il Papa in unione con i Padri conciliari consacrasse al Cuore Immacolato di Maria il mondo intero, ed in modo speciale la Russia e le altre nazioni dominate dal comunismo. Paolo VI non accolse però la richiesta. Giovanni Paolo II, dopo essere stato drammaticamente ferito nell'attentato del 13 maggio 1981, attribuì alla Madonna di Fatima una miracolosa protezione e il 13 maggio 1982 si recò pellegrino al suo santuario, dove affidò e consacrò alla Madonna “quegli uomini e quelle nazioni che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno”. Un'analoga consacrazione fu da lui ripetuta il 25 marzo 1984, in piazza San Pietro, alla presenza della statua della Vergine giunta appositamente dal Portogallo. Il Papa aveva scritto ai vescovi di tutto il mondo chiedendo di unirsi a lui, ma non tutti ricevettero l'invito e pochi lo fecero proprio. Neanche in questa occasione fu espressamente nominata la Russia, ma ci fu solo un riferimento “ai popoli di cui tu ti aspetti la nostra consacrazione e il nostro affidamento”. Un terzo atto di affidamento della Chiesa e dell'umanità alla Vergine Maria, fu pronunciato l'8 ottobre 2000, davanti alla statua della Madonna di Fatima, da Giovanni Paolo, insieme ad oltre 1500 vescovi rappresentanti dell'episcopato mondiale. Benedetto XVI fece divulgare il Terzo segreto di Fatima (il cui testo viene però da molti giudicato incompleto) e il 12 maggio 2010, inginocchiandosi davanti all'immagine della Madonna nella cappella delle Apparizioni di Fatima, elevò a Lei una preghiera di affidamento, chiedendo la liberazione “da ogni pericolo che incombe su di noi”. Il 13 ottobre 2013, sul sagrato di San Pietro, papa Francesco pronunziò parole di affidamento, ricordando "tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità", in particolare "i malati e i disabili, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati", e invitando a "riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore". Mancò però la consacrazione della Russia, che molti attendevano.Il 13 maggio 2017, papa Francesco si recò a Fatima per la canonizzazione dei due pastorelli Francesco e Giacinta, di 9 e 11 anni, che, assieme alla cuginetta Lucia dos Santos, videro e ascoltarono le parole della Madonna nel 1917. Della cugina Lucia, morta nel 2005, è in corso il processo di beatificazione. Però, anche in questo caso il Papa ignorò le richieste della Madonna.Oggi lo scenario internazionale è drammaticamente cambiato e papa Francesco ha deciso di compiere ciò che nessuno dei suoi predecessori ha mai fatto. Dal 1917 al 2022, infatti, nove Papi hanno conosciuto Fatima e tutti, dopo Benedetto XV, ne hanno approvato la devozione. Sei di essi hanno visitato il Santuario, come Papi o come cardinali. Alcuni di essi, come Pio XII e Giovanni Paolo II, hanno mostrato grande devozione verso le apparizioni del 1917. Nessuno di essi però ha finora esaudito le insistenti richieste della Madonna. L'atto che Papa Francesco compirà il 25 marzo sembra corrispondere pienamente a queste richieste ed è accompagnato da un'adesione di vescovi, sacerdoti e laici, mai prima di oggi avvenuta. L'importanza dell'evento non è di natura geopolitica, ma metafisica e soprannaturale, perché esso appare come uno di quei momenti in cui il mistero della storia sembra squarciarsi e la luce di Dio illumina le vicende del mondo, al di là delle intenzioni dei protagonisti. Ciò accade mentre le bombe della Russia da Kiev minacciano di estendersi al mondo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6900SANTA SCOLASTICA, LA SORELLA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA di Ermes DovicoLa sorella di san Benedetto è invocata contro le tempeste e i fulmini perché fu l'unica, per quanto ne sappiamo, a tenere in scacco l'amatissimo fratello con il celebre miracolo narrato nei Dialoghi di san Gregorio Magno (540-604), da cui si ricavano gran parte delle informazioni sulla sua vita. In base a una tradizione che risale al IX secolo circa, santa Scolastica da Norcia (480-547) e Benedetto erano addirittura gemelli e la madre Abbondanza Claudia - sposa di Eutropio, un discendente della gens Anicia - morì dopo averli partoriti.Scolastica si consacrò al Signore già da fanciulla, come in perfetta comunione spirituale con il fratello, che era stato mandato a Roma per compiere gli studi letterari ma era rimasto talmente sconvolto dalle dissolutezze del mondo da abbandonare prestissimo quella strada e scegliere decisamente la vita religiosa. Molti anni dopo, quando il fratello lasciò Subiaco e si diresse verso Cassino, la santa fondò un monastero a pochi chilometri di distanza dal luogo in cui Benedetto aveva già fondato l'Abbazia di Montecassino. Assieme alle consorelle seguì la Regola benedettina e si tramanda che una delle maggiori raccomandazioni di Scolastica era l'osservanza del silenzio, specialmente con persone estranee al monastero. Così diceva: «Tacete, o parlate di Dio, poiché quale cosa in questo mondo è tanto degna da doverne parlare?».Una volta all'anno, come ci informa san Gregorio, Scolastica e Benedetto si incontravano a metà strada in un casolare di proprietà dei monaci, scambiandosi esperienze della loro ricchissima vita spirituale. Un giorno, tra lodi a Dio e santi colloqui, l'incontro tra i due si prolungò più del consueto e, quando già l'ora si era fatta tarda, la santa pregò il fratello di rimanere con lei fino al mattino «a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del cielo». Al rifiuto di Benedetto, che non voleva mancare alla Regola pernottando fuori dal monastero, Scolastica chinò il capo, poggiandolo sulle mani conserte sopra il tavolo, e si immerse in una profonda orazione. Nell'istante in cui la religiosa risollevò la testa, non solo il tavolo appariva ricoperto da un fiume di lacrime ma nel cielo, da sereno che era, si scatenò un tale diluvio, con tuoni e lampi, che né Benedetto né i suoi discepoli osarono mettere un piede fuori dal casolare.Il santo si lamentò e chiese conto del prodigio: «Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta. Ma che hai fatto?». E Scolastica: «Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e Lui mi ha ascoltato». Rimasero così insieme a vegliare tutta la notte, rallegrando le loro anime con discorsi sui beni del Paradiso. Commentò san Gregorio: «Poté di più, colei che più amò». Fu quello il loro ultimo incontro terreno. Quattro giorni dopo Benedetto, raccolto in preghiera nella sua cella, vide l'anima gloriosa di Scolastica elevarsi in cielo sotto forma di una colomba. Ripieno di gioia, lodò Dio e chiese ai confratelli di recuperare il corpo della sorella per seppellirlo nel sepolcro che si era preparato per sé. Era il 10 febbraio. Quaranta giorni più tardi anche il santo morì. «Avvenne così - si legge ancora nei Dialoghi - che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un'anima sola in Dio».Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Ermes Dovico, nell'articolo seguente dal titolo "San Benedetto da Norcia" parla del fratello di Santa Scolastica, il patrono d'Europa.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11-07-2020:La ricerca di Dio come primo fine dell'uomo e i monasteri benedettini sorti in ogni angolo d'Europa testimoniano la grandezza dell'opera di san Benedetto (480-547), che con la sua vita ha al tempo stesso glorificato il Creatore e dato un fondamentale contributo alla formazione della civiltà europea. Per questo il 24 ottobre 1964, consacrando la chiesa dell'Abbazia di Montecassino, ricostruita dopo i bombardamenti, Paolo VI volle proclamarlo patrono d'Europa. E ricordò a tutto il Vecchio Continente, nel secolo delle due guerre mondiali e dei totalitarismi atei (nazismo e comunismo), che la storia benedettina «tocca l'esistenza e la consistenza di questa nostra vecchia e sempre vitale società ma oggi tanto bisognosa di attingere linfa nuova alle radici, donde trasse il suo vigore e il suo splendore, le radici cristiane, che san Benedetto per tanta parte le diede e del suo spirito alimentò».Benedetto, fratello di santa Scolastica, era nato a Norcia intorno al 480, nel bel mezzo dell'epoca segnata dalle invasioni barbariche e dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Era discendente della nobile gens Anicia, la stessa a cui apparteneva papa Gregorio Magno (540-604), che attinse alle informazioni di quattro discepoli del santo per scriverne una famosa Vita, contenuta nel secondo libro dei suoi Dialoghi. Da adolescente era stato mandato dai genitori a compiere gli studi letterari a Roma. Ma la constatazione della vita dissoluta di molti giovani (unita alle insidie per l'anima che trovava in parte del sapere mondano) lo convinse presto a lasciare la città in cerca di un luogo solitario, dove poter stare in raccoglimento con Dio. Dopo una tappa intermedia, il giovane raggiunse Subiaco. Qui visse per tre anni in una grotta in totale solitudine.Quel primo periodo a Subiaco segnò la maturazione spirituale di Benedetto. Non gli mancarono gli assalti del diavolo e in particolare tre grandi tentazioni: l'amor proprio, la sensualità e l'ira, che il santo superò con la preghiera e la penitenza. Accettò poi di fare da guida a dei monaci che vivevano in un monastero lì vicino, ma li lasciò presto perché questi si stancarono della sua austera disciplina e cercarono di avvelenarlo.Nell'arco di circa trent'anni arrivò a fondare 13 monasteri nella valle dell'Aniene. Venne poi il 529, un anno cruciale nella storia del monachesimo occidentale, perché il santo si stabilì a Cassino e decise stavolta di edificare il monastero in un punto ben visibile: in cima al monte. Benedetto XVI, prendendo spunto dalle parole di papa Gregorio, ha visto in questa scelta un valore simbolico, legato allo sviluppo interiore del santo patrono d'Europa: «La vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d'essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza della vita».Sull'altura di Montecassino, san Benedetto compose la sua celebre Regola, che fissa il principio della stabilità del luogo per i monaci e raccoglie il meglio dell'antica tradizione monastica, da san Pacomio a san Basilio (del quale richiamò esplicitamente gli insegnamenti). Perciò san Gregorio ebbe ragione a scrivere: «L'uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l'eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina», spesso riassunta con la massima Ora et labora. Benedetto, infatti, scandì mirabilmente la giornata in momenti di lavoro e preghiera (fu lui a codificare la Liturgia delle Ore, rifacendosi alle parole del salmista: «Sette volte al giorno ti ho lodato»); e indicò nell'equilibrio tra azione e contemplazione la via verso Dio. Centrale è il proposito di fare la volontà divina, attraverso l'obbedienza: «Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che avendo deciso di rinunciare alla volontà propria impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza», scrisse nel prologo della Regola.L'obbedienza è dovuta anzitutto all'abate, che nel monastero «fa le veci» di Cristo e deve a sua volta essere tenero padre e severo maestro. Grazie ad essa, l'anima può progredire nella virtù dell'umiltà, secondo un cammino suddiviso dal santo in 12 gradi. Nel pensiero di Benedetto, ogni attività - dallo studio della Parola al lavoro manuale - deve essere orientata alla maggior gloria di Dio e perciò alla conquista del Paradiso. «Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'Inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna».La sete di salvezza, per sé stesso e per le anime, fu dunque la stella polare di tutta la sua vita. È ben nota la visione che Benedetto ebbe nei suoi ultimi anni terreni, quando, mentre vegliava in preghiera, «fu posto davanti ai suoi occhi tutto intero il mondo, quasi raccolto sotto un unico raggio di sole». Commentò papa Gregorio: «Tutto il mondo si dice raccolto davanti a lui, non perché il cielo e la terra si fossero rimpiccioliti, ma perché lo spirito del veggente si era dilatato, sicché, rapito in Dio, poté senza difficoltà contemplare quel che si trova al di sotto di Dio». È uno sguardo, quello di san Benedetto, che l'Europa è chiamata a riscoprire.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6921IL CARDINALE JOSYF SLIPYJ E LA SUA UCRAINA di Roberto de MatteiVi sono uomini che incarnano le virtù e i valori più profondi di un popolo. Tale fu il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Halyč e di Leopoli degli Ucraini, di cui ricorre il 130esimo anniversario della nascita, proprio mentre la sua terra natale conosce una nuova immane tragedia.Nato 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell'Ucraina occidentale, a diciannove anni Josef Slipyj entrò nel Seminario di Leopoli, dove fu ordinato sacerdote il 30 settembre 1917 e poi inviato a Roma per completare i suoi studi presso l'Istituto Orientale e l'Università Gregoriana. Nel 1925 venne nominato Rettore del seminario di Leopoli e nel 1929 dell'Accademia teologica della stessa città. L'Ucraina intanto era caduta sotto il giogo sovietico e Stalin, tra il 1932 e il 1933, requisì tutta la produzione agricola per imporre la collettivizzazione forzata del paese attraverso la carestia, conosciuta come Holodomor [il miglior film che parla dell'Holodomor è senza dubbio Raccolto amaro del 2017; per approfondimenti e per vedere il trailer, clicca qui http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=80].Mentre si avvicinava la guerra, il metropolita greco-cattolico dell'Ucraina Andrej Szeptycki (1865-1944), che lo aveva avviato al sacerdozio, lo richiese a Pio XII come suo coadiutore con diritto di successione. Così, nel 1939, mons. Josef Slipyj venne nominato esarca dell'Ucraina orientale e alla morte del metropolita Szeptycki, il 1° novembre 1944, divenne Capo e padre della Chiesa cattolica ucraina. Era un momento terribile per il suo Paese, stretto tra la morsa dei nazisti e dei comunisti. L'11 aprile 1945 il metropolita Slipyj venne arrestato dai sovietici e condannato a otto anni di lavori forzati nei gulag, mentre veniva inscenato un Sinodo illegale che proclamava la "riunificazione" della Chiesa cattolica ucraina con il Patriarcato ortodosso di Mosca, dominato dal regime sovietico. Le chiese dei greco-cattolici, circa 3.000, vennero date agli ortodossi e quasi tutti i vescovi e i sacerdoti furono uccisi o incarcerati. Nel 1953 l'arcivescovo Slipyj subì una seconda condanna a cinque anni di Siberia e nel 1958 una terza a quattro anni di lavori forzati. Nel 1962, a settant'anni, patì la quarta condanna, consistente nella deportazione a vita nel durissimo campo di Mordovia. In tutto, l'eroico presule passò 18 anni nelle carceri e nei gulag.PIO XII E GIOVANNI XXIIIIl padre gesuita Pietro Leoni (1909-1995), sopravvissuto ai lager sovietici, descrivendo gli orrori del campo di transito di Kivov, racconta che un giorno alcuni detenuti furono introdotti nella sua cella. "Sull'imbrunire mi sentii chiamare da una voce sconosciuta: un uomo anziano, con la barba, stava in piedi davanti al mio posto; mi porse la mano presentandosi: Giuseppe Slipyj. Fu allo stesso tempo una gioia e un dolore sapermi insieme al mio metropolita".Pio XII intervenne ripetutamente in favore degli ucraini e del loro metropolita incoraggiandoli a resistere alle persecuzioni, soprattutto con l'enciclica Orientales Omnes Ecclesias del 23 dicembre 1945. Tuttavia, nel 1958, dopo la morte di Pio XII, i rapporti tra la Russia e il Vaticano iniziarono a mutare. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio Vaticano II, volle che ad esso partecipassero i rappresentanti del Patriarcato di Mosca. Le autorità del Cremlino imposero come condizione il silenzio del Concilio sul comunismo. Un accordo segreto fu siglato, nell'agosto del 1962, nella cittadina francese di Metz tra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il vescovo ortodosso Nikodim da parte russa. La grande assemblea convocata per discutere sui problemi del proprio tempo avrebbe taciuto sulla maggiore catastrofe politica del Novecento.In quegli anni i gulag comunisti pullulavano di prigionieri per motivi religiosi, specialmente della Chiesa cattolica ucraina. Sarebbe stato uno scandalo se nell'aula del Concilio fossero stati assenti i vescovi vittime della persecuzione e presenti invece gli esponenti del Patriarcato di Mosca, che appoggiavano i carnefici. Fu svolta dunque una trattativa tra la Santa Sede e il Cremlino, per permettere al metropolita Slipyj di partecipare al Concilio. Il capo della Chiesa ucraina non voleva abbandonare il suo paese, ma ubbidì al Papa e prima di lasciare Mosca consacrò clandestinamente vescovo il sacerdote redentorista ucraino Wasyl Welyckowskyj.Giunse a Roma il 9 febbraio 1963, ma non tacque. L'11 ottobre 1963 Slipyj intervenne in Concilio parlando della testimonianza di sangue della Chiesa ucraina e proponendo di elevare la sede di Kiev-Halyč al rango patriarcale. Egli ricorda di aver rivolto questa richiesta numerose volte a Paolo VI ma di avere sempre ricevuto un diniego per ragioni politiche. Il riconoscimento del Patriarcato ucraino avrebbe infatti ostacolato l'Ostpolitik e il dialogo ecumenico con la chiesa ortodossa di Mosca. Però, il 25 gennaio 1965 fu creato cardinale da papa Paolo VI, che elevò la Chiesa greco-cattolica ucraina al rango di Arcivescovato maggiore di Leopoli degli Ucraini.IL FUTURO DELLA CHIESA UCRAINAFra il 1968 e il 1976, malgrado l'età avanzata, il cardinale Slipyj intraprese lunghi e faticosi viaggi presso le comunità della diaspora ucraina nelle Americhe, in Australia e in Europa, continuando a svolgere il ruolo di Pastore del suo popolo. Nel 1976 lanciò un appello alle Nazione Unite in favore delle vittime del comunismo e nel 1977, in un drammatico intervento presso il Tribunale Sakharov, denunciò ancora una volta la persecuzione religiosa in Ucraina. Il mondo guardava a lui e al cardinale József Mindszenty (1892-1975) come a due grandi testimoni della fede cattolica nel Novecento.Per assicurare il futuro della Chiesa ucraina, il cardinale Slipyj non arretrò di fronte a gesti estremi. Peter Kwasniewski ha recentemente ricordato come il 2 aprile 1977 egli ordinò clandestinamente tre vescovi, senza l'autorizzazione di Paolo VI, incorrendo automaticamente nelle censure canoniche previste dal can. 953 del Codice allora vigente. Però, a differenza di quanto accadrà per mons. Marcel Lefebvre, scomunicato nel 1986 per la stessa infrazione della legge canonica, nessuna misura scattò ipso facto, nei confronti del cardinale Slipyj. Uno dei vescovi da lui ordinati era mons. Lubomyr Husar (1933-2017), che Giovanni Paolo II nominò, dopo Slipyj, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica e cardinale. A lui successe come primate Svjatoslav Ševčuk, che si trova in questo momento sotto le bombe nella città assediata di Kiev. Nel 2004 la sede dell'arcivescovato maggiore è stata trasferita a Kiev e ha mutato il proprio nome in quello attuale di Kiev-Halyč.Il cardinale Josef Slipyj morì in esilio a Roma a novantadue anni il 7 settembre 1984 ed è ora sepolto a Leopoli, nella cripta della cattedrale di San Giorgio, accanto al metropolita Andrej Szeptycki. Giovanni Paolo II lo definì «uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa» (L'Osservatore Romano, 19 ottobre 1984).Mentre l'identità religiosa e politica della sua terra è ancora una volta brutalmente calpestata, la memoria dell'eroica resistenza del cardinale Josyf Slipyj ci aiuta a confidare nel futuro dell'Ucraina. Kiev fu il luogo della conversione del popolo russo alla Chiesa cattolica, e da Kiev, non da Mosca, è destinata a partire la seconda grande conversione della Russia annunciata dalla Madonna a Fatima. Del messaggio di Fatima il cardinale Slipyj fu un grande zelatore. Nel 1980 egli presentò a Giovanni Paolo II due milioni di firme raccolte dall'Armata Azzurra, insistendo in un lungo colloquio con il Papa sulla necessità di consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Questa consacrazione non è ancora avvenuta secondo le modalità richieste dalla Beatissima Vergine, alla quale il cardinale Slipyj così si rivolse nel suo testamento: «Seduto sulla slitta e facendomi strada verso l'eternità... recito una preghiera alla nostra protettrice e Regina del Cielo, la sempre Vergine Madre di Dio. Prendi la nostra Chiesa ucraina e il nostro popolo ucraino sotto la tua efficace protezione!». Facendo nostre le sue parole in questo momento tragico della storia del mondo non possiamo che proclamare a voce alta: "Onore al cardinale Slipyj e al suo popolo martire".
A Natale si celebra il “sacramento” della povertà e, prendendo forza anche dalle restrizioni, si leva la supplica a Dio perché “venga a risollevare l'umanità stremata dalla lunga prova della pandemia”. “Parole forti”, riconosce il cardinale Raniero Cantalamessa, “ma fondate”. E così nella terza e ultima predica di Avvento - tenuta la mattina del 18 dicembre 2020, nell'aula Paolo VI, alla presenza di Papa Francesco - il predicatore della Casa Pontificia ha fatto presente come “di Maria e Giuseppe si legge nel Vangelo che 'non c'era posto per essi nell'albergo' (Luca 2,7)”. Osservando che “anche oggi non c'è posto per i poveri nell'albergo del mondo: la storia ha mostrato da che parte stava Dio e da che parte deve stare la Chiesa. Andare verso i poveri è imitare l'umiltà di Dio”. “San Giovanni XXIII, in occasione del concilio Vaticano II, ha coniato l'espressione 'Chiesa dei poveri'”, ha ricordato, evidenziando che non si tratta “solo dei poveri della Chiesa: in un certo senso, tutti i poveri del mondo - siano essi battezzati o meno - le appartengono”. Ma, ha aggiunto, “si obbietta: non hanno la fede né ricevuto il battesimo! È vero, ma neppure i santi innocenti che festeggiamo dopo Natale li avevano avuti. La loro povertà e sofferenza, se è incolpevole, è agli occhi di Dio il loro battesimo di sangue. Dio ha molti più modi di salvare di quanti ne immaginiamo noi, anche se tutti questi modi – nessuno escluso – passano attraverso Cristo”. --- Support this podcast: https://anchor.fm/esercizi-spirituali/support
“Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. È il tema con cui si è inaugurato, nel primo venerdì d'Avvento 2020, il ciclo di meditazioni del predicatore della Casa Pontificia, cardinale Raniero Cantalamessa. Il porporato ha aperto la propria riflessione, nell'aula Paolo VI, citando i versi del poeta italiano Giuseppe Ungaretti che descrive lo stato d'animo dei militari in trincea durante la prima guerra mondiale con la poesia "Soldati” fatta di poche parole: "Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie". Oggi, ha detto il cardinal Cantalamessa riferendosi a questo periodo scosso dalla pandemia, è l'umanità intera “che sperimenta questo senso di caducità della vita”. Il predicatore della Casa Pontificia ha esortato a riflettere sulla morte, sul suo orizzonte ineluttabile nell'esistenza di ogni uomo. E ha ricordato che la vita del credente “non finisce con la morte perché ci attende la vita eterna”. --- Support this podcast: https://anchor.fm/esercizi-spirituali/support
Luca Violoni"La donna delle decisioni"Maria nei Vangeli e negli AttiAncora Librihttps://www.ancoralibri.it/Un nuovo libro su Maria? Per aggiungere che cosa? Semplicemente un'angolatura specifica, una chiave di lettura del mistero della sua persona, madre di Gesù di Nazareth e madre di Dio. Ripercorrendo otto testi del Nuovo Testamento, Maria viene considerata analizzando le sue decisioni, come sono maturate, che cosa possono significare oggi per noi.Maria infatti è stata chiamata a prendere molte decisioni, alcune davvero fondamentali, per lei e per l'umanità intera; in questo volume emerge il suo modo di porsi di fronte a Dio e al prossimo, il suo modo di abitare il mondo. Don Luca Violoni è Parroco, Prevosto di San Giuliano Milanese e ivi Responsabile della Comunità pastorale “S. Paolo VI”, Decano del Decanato di San Donato - Peschiera, Presidente della Commissione della Diocesi di Milano “L'interesse è la comunione” (perequazione delle parrocchie).Laureato all'Università L. Bocconi in Discipline Economiche e Sociali, è stato Segretario generale del VII Incontro mondiale delle famiglie di Milano (2012), dal 2009 al 2014 Vice responsabile dell'Ufficio Amministrativo della Diocesi di Milano, dal 2005 al 2012 docente di “Etica ambientale e d'impresa” all'Università degli Studi dell'Insubria (Varese) e ivi cappellano universitario dal 2001 al 2009, Assistente ecclesiastico degli Scout Agesci della Zona di Varese dal 2002 al 2009 e della Zona di Milano dal 2012 al 2016, dal 2014 al 2018 docente a contratto di “Finanza etica” all'Università di Parma, dal 2015 al 2020 Presidente della Fondazione Ambrosiana per la Cultura e l'Educazione Cattolica (F.A.C.E.C.).Ha pubblicato: “Il significato della sofferenza” (Franco Angeli, 2004, come cocuratore), “C'è sempre una strada” (Macchione, 2009), “Natale è oggi” (San Paolo, 2010), “La sfida educativa di Gesù” (San Paolo, 2011), “Tommaso, la beatitudine della fede” (Ancora, 2013), “La disciplina della misericordia” (Ancora, Milano, 2016), “La notte dei Magi” (Ancora, 2018). E' autore di vari saggi di etica e spiritualità in libri e riviste.IL POSTO DELLE PAROLEascoltare fa pensarehttps://ilpostodelleparole.it/
L'abito del sacerdote e il suo significato. Il dono inestimabile del celibato. La Chiesa non ha (da Cristo) ricevuto alcun potere di conferire il sacerdozio ministeriale alle donne. Documenti di riferimento: Sacerdotalis caelibatus di Paolo VI, Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II, "Dal profondo del nostro cuore" (Cardinal Sarah - Benedetto XVI), L'abito ecclesiastico (Michele De santi). Ciclo di catechesi la sana dottrina cattolica, trentasettesima puntata, Lunedì 5 Luglio 2021
Discorso di Paolo VI del 10 Settembre 1969
a cura di Giovanni Milazzo. In questa nuova puntata vi offriamo le parole che il cardinale Paul Poupard dedica al rapporto tra fede e cultura nel suo libro dal titolo Scoprire il Concilio Vaticano II: l'autore, indimenticabile presidente del Pontificio consiglio della Cultura e stretto collaboratore di Giovanni XXIII e Paolo VI, ci comunica la sua esperienza e la sua sempre attuale riflessione. Scenografie musicali di Acoustic Alchemy.
«Fra una settimana sarà il Venerdì santo e subito dopo la Domenica di risurrezione. Risorgendo, Gesù non è tornato alla vita di prima come Lazzaro, ma a una vita migliore, libera da ogni affanno. Speriamo che sia così anche per noi. Che dal sepolcro in cui ci ha tenuti rinchiusi per un anno la pandemia, il mondo — come ci va ripetendo continuamente il Santo Padre — esca migliore, non lo stesso di prima». Con questa speranza il cardinale Raniero Cantalamessa ha concluso, venerdì mattina 26 marzo, la quarta e ultima predica di Quaresima che ha tenuto nell’aula Paolo VI, alla presenza di Papa Francesco. Una meditazione centrata sul fatto che tutto gira ancora intorno a «un certo Gesù» — come si legge negli Atti degli apostoli — che il mondo ritiene morto e la Chiesa proclama essere vivo. «Gesù di Nazareth — ha testimoniato il predicatore della Casa Pontificia — è vivo! Non è una memoria del passato, non è solo un personaggio, ma una persona. Vive “secondo lo Spirito”, certo, ma questo è un modo di vivere più forte di quello “secondo la carne”, perché gli permette di vivere dentro di noi, non fuori o accanto». --- Support this podcast: https://anchor.fm/esercizi-spirituali/support
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6512LA VERA STORIA DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANOLa fondazione 100 anni fa a Livorno, poi il compromesso storico con la DC, poi il finto scioglimento per cambiare il nome più volte, fino all'attuale presenza al governodi Roberto de MatteiIl Partito Comunista d'Italia nacque a Livorno il 21 gennaio 1921 da una scissione del Partito Socialista. I suoi principali fondatori furono Antonio Gramsci (1891-1937), Palmiro Togliatti (1893-1964) e Amedeo Bordiga (1889-1970), poi espulso e sottoposto a damnatio memoriae, secondo la dialettica interna tipica di ogni partito comunista.Nel 1917 il partito bolscevico aveva conquistato il potere in Russia, sotto la guida di Vladimir Lenin e Lev Trotzski. Il PCI fu la sezione italiana del Komintern, l'organizzazione internazionale fondata a Mosca nel 1919, con lo scopo di diffondere la rivoluzione comunista nel mondo. Nella storia del comunismo, la Rivoluzione russa è un evento più importante della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista con cui Karl Marx e Friederich Engels, nel febbraio del 1848, lanciarono un appello ai proletari di tutto il mondo per abbattere la borghesia e realizzare la «società senza classi».Nella «undicesima tesi» del suo commento alla filosofia di Feuerbach, Marx sostiene che il compito dei filosofi non è di interpretare il mondo, ma di «trasformarlo». Questa affermazione sembrò realizzarsi nel 1917 a Mosca, dove, per la prima volta nella storia, il comunismo prese il potere e iniziò a diffondersi nel mondo. A Lenin, morto nel 1924, successe Stalin, eliminando la dissidenza di Trotzski, che lo accusava di "tradire" la Rivoluzione. In Italia, mentre Gramsci, imprigionato dal fascismo, elaborava, nei Quaderni dal carcere, la sua «filosofia della prassi», Palmiro Togliatti, il più fedele tra gli stalinisti, guidò il Partito Comunista nella clandestinità e poi nel dopoguerra. Con l'aiuto, anche finanziario, dell'Unione Sovietica, il Partito Comunista divenne il secondo partito italiano dopo la Democrazia Cristiana.OSTPOLITIKIl 7 marzo 1963 Giovanni XXIII ricevette in Vaticano Alexis Adjubei, genero di Krusciov e direttore dell'agenzia Izvestija. Pochi giorni dopo Togliatti, in piena campagna elettorale, propose ufficialmente una collaborazione tra cattolici e comunisti (Rinascita, 30 marzo 1963). Nelle elezioni del 29 aprile, il PCI aumentò di un milione di voti, provenienti soprattutto da ambienti cattolici. Togliatti morì a Yalta nel 1964, mentre la Democrazia Cristiana, con la benedizione del nuovo Pontefice, Paolo VI, formava i primi governi di "centro-sinistra". Il Concilio Vaticano II si chiuse l'8 dicembre 1965 senza aver pronunciato una sola parola sul comunismo, sebbene quasi 500 Padri conciliari ne avessero chiesto un'ufficiale condanna.Nel 1973, dopo l'ascesa e la caduta del governo socialcomunista di Salvador Allende, in Cile, il nuovo segretario del PCI Enrico Berlinguer (1922-1984) pubblicò sulla rivista del partito Rinascita, una serie di Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, in cui avanzava la proposta di un «compromesso storico», che portasse i comunisti al governo in maniera indolore, con l'appoggio della Democrazia Cristiana. L'interlocutore privilegiato di Berlinguer era Aldo Moro, che godeva della piena fiducia di Paolo VI e che iniziò a tessere la trama di un governo con i comunisti.IL COMPROMESSO STORICOGli anni fra il 1974 ed il 1976 furono quelli del maggior successo elettorale del PCI, che nelle elezioni del 21 giugno 1976 raggiunse il 34,4% dei voti espressi. Nel 1978, tuttavia, la morte tragica di Aldo Moro, a cui seguì, pochi mesi dopo, quella di Paolo VI, rallentò la realizzazione del "compromesso storico", mentre in Unione Sovietica, colpita da una colossale crisi economica, nasceva la perestrojika di Mikail Gorbaciov. Nel 1989 crollò il Muro di Berlino e l'Unione Sovietica iniziò la sua auto-dissoluzione. «La decomposizione dell'Unione Sovietica e di conseguenza del suo impero per il modo in cui è avvenuta resta misteriosa», scrive François Furet nel suo studio su Il passato di un'illusione (Mondadori, Milano 1995, p. 354). Senza spargimenti di sangue, tra il 1989 e il 1991, la nomenklatura sovietica sciolse la vecchia azienda e si mise alla testa della nuova. Il comunismo si liberò del suo apparato burocratico, in Russia e nel mondo, lasciando che l'idea comunista potesse esprimersi in nuove forme e modalità di azione.Il 3 febbraio 1991 anche il Partito Comunista Italiano deliberò il proprio scioglimento, promuovendo la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS). Il 14 febbraio 1998 il PDS, al termine degli Stati Generali della Sinistra, cambiò ulteriormente nome in Democratici di Sinistra (DS), una compagine che fu a sua volta soggetto fondatore dell'Ulivo, sorto per iniziativa di Romano Prodi, che finalmente, nel 1996 portò i comunisti al governo in Italia. L'Ulivo confluì poi nel Partito Democratico (PD), fondato nel 2007 e oggi al governo.Nota di BastaBugie: in Italia c'è stato il più grosso Partito Comunista d'occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Si può approfondire il tema leggendo il seguente articolo.IL PCI COMPIE CENTO ANNI ED E' AL POTERE IN ITALIA (SOTTO ALTRO NOME)I dirigenti del Partito Comunista si sono autoassolti senza chiedere scusa, hanno accantonato la bandiera marxista, ma non l'arroganza ideologica, la pretesa superiorità morale e la demonizzazione degli avversaridi Antonio Soccihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6322 Titolo originale: La genealogia del PCIFonte: Radici Cristiane, 12 Marzo 2021Pubblicato su BastaBugie n. 708
Nella terza predica di Quaresima alla presenza del Papa in aula Paolo VI, il cardinale Raniero Cantalamessa prosegue la riflessione sul tema evangelico: “Ma voi chi dite che io sia?” (Matteo 16, 15) e si sofferma in particolare sulla fede nella "divinità di Cristo" e sulla sua potenza salvifica. Solo Gesù ci salva dall’essere “ritratti” mentre, disperati, lanciamo un “urlo” come fossimo in un quadro “alla Edvard Munch”. Sì, dall’essere noi quella persona "che attraversa correndo un ponte - sorpassando due individui che sembrano ignari e indifferenti a tutto - con gli occhi sbarrati, le mani intorno alla bocca emettendo un grido di disperazione". Proprio dal rischio di ritrovarsi - tragicamente - in uno dei più famosi dipinti dell’arte moderna, che rappresenta visivamente dove porta la convinzione che la vita non ha senso, il cardinale Raniero Cantalamessa ha suggerito di stare in guardia nella terza predica di Quaresima che ha tenuto, questa mattina nell’aula Paolo VI alla presenza del Papa e con un’Ave Maria per i frutti del viaggio in Iraq. --- Support this podcast: https://anchor.fm/esercizi-spirituali/support
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6365OMELIA MARIA MADRE DI DIO - ANNO B - (Lc 2,16-21)Maria, da parte sua, custodiva tutte queste coseda Il settimanale di Padre PioÈ iniziato un nuovo anno ed è iniziato nel Nome di Maria. Con questa celebrazione vogliamo affidare questo nuovo anno a Colei che è Madre di Dio e Madre nostra tenerissima. L'"Ottava del Natale", ovvero gli otto giorni di festeggiamenti natalizi, si conclude con questa bella solennità che ci ricorda una verità fondamentale della nostra fede: la Maternità Divina di Maria. La Madonna è Madre di Dio! Nei primi secoli del Cristianesimo si discusse a lungo sull'opportunità di usare questo titolo, che ad alcuni sembrava alquanto esagerato. Come può una creatura, per quanto santa possa essere, diventare Madre di Dio? Dio è infinito, senza origine nel tempo; come può avere una Madre terrena? Questi quesiti furono motivo di grandi dibattiti; ma, alla fine, si comprese una cosa molto importante: se neghiamo la Maternità Divina di Maria miniamo alle radici la nostra fede cristiana. Noi possiamo dire in tutta verità che la Madonna è vera Madre di Dio per il fatto che Gesù è il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, e per il fatto che Egli si è fatto uomo nel grembo della Vergine Maria, prendendo una vera natura umana. Dunque, se Gesù è Persona divina, in due nature, quella umana e quella divina, la Madonna è Madre di Dio. L'essere Madre di Dio esalta grandemente l'Onnipotenza e la Bontà del Figlio di Dio, il quale volle nascere da una umile fanciulla e donarle la più grande dignità alla quale possa arrivare una creatura.Divenendo Madre di Dio, Maria è divenuta anche Madre nostra. Dando alla luce il Capo del Corpo mistico, Gesù, Ella ha dato alla luce anche le membra di questo Corpo, che siamo noi. Come abbiamo avuto bisogno di una madre per nascere a questo mondo, così abbiamo avuto bisogno della Madre Celeste per rinascere alla vita di grazia.Da questa verità deriva tutta l'importanza della devozione alla Madonna. Insegnava il papa Paolo VI che non possiamo essere cristiani senza essere mariani. La devozione alla Madonna è qualcosa di essenziale al Cristianesimo, per il fatto che Dio ha scelto Maria per venire in questo mondo, e ha scelto Lei quale nostra Madre Celeste.Il cristiano deve assomigliare in tutto a Gesù e deve assomigliargli anche nell'aspetto più caro al suo Cuore di Figlio: l'amore alla Madre sua. La nostra devozione alla Madonna deve essere come un prolungamento dell'amore che Gesù porta e continuerà a portare nei confronti della Madre sua. Si capisce allora come non potremo mai eguagliare in intensità l'amore di Gesù per Maria; non riusciremo mai ad amarla abbastanza.Il cristiano sentirà pertanto il desiderio di soffermarsi con gioia davanti alle immagini sacre raffiguranti la Madonna; sentirà il desiderio di invocare questa creatura che è stata posta da Dio come Mediatrice tra noi e Gesù; e sentirà soprattutto una grande fiducia nella sua potente intercessione.È celebre una visione avuta da frate Leone, uno dei primi compagni di san Francesco d'Assisi. Egli vide una scala alla cui cima vi erano Gesù e san Francesco: tutti quelli che cercavano di salire su per quella scala cadevano, chi prima chi dopo; allora san Francesco indicò a tutti un'altra scala, una scala bianca, alla cui sommità vi era la Vergine Santa. Tutti quelli che salivano su per quella scala riuscivano a raggiungere la cima e, quindi, a salire in Cielo. Il significato di questa visione è molto chiaro: come Gesù è venuto a noi per Maria, così anche noi dobbiamo andare a Dio per mezzo di Lei.Se veramente amiamo la Madonna, se veramente vogliamo essere suoi devoti, dobbiamo cercare di imitarla fedelmente. Nel Vangelo di oggi c'è un versetto che ci fa comprendere un aspetto molto bello della vita di Maria. I pastori, dopo aver reso omaggio al Bambino Gesù, si misero a riferire ciò che del bambino era stato detto loro. Allora, «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,9). Ecco in che cosa dobbiamo particolarmente imitarla: nella sua assidua meditazione interiore. Anche noi, sul suo esempio, proponiamoci di meditare frequentemente sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù. In questo modo diventeremo sempre più simili a Lei, e la nostra devozione mariana diventerà sempre più perfetta.All'inizio di questo nuovo anno chiediamo una grazia alla Madre di Dio: la grazia di trascorrere questo tempo che il Signore ci offre nel modo migliore possibile. Chiediamo a Lei che in questo nuovo anno avvenga una vera e profonda conversione. Chiediamo la grazia che questo nuovo anno sia un anno di pace, pensando a una cosa molto importante: la pace, quella vera, è un dono di Dio e regna solo dove non regna il peccato.Domandiamo questa pace, per il nostro cuore e per il mondo intero. Fonte: Il settimanale di Padre PioPubblicato su BastaBugie n. 697
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6364OMELIA SANTA FAMIGLIA - ANNO B (Lc 2,22-40)di don Angelo SceppacercaIl tempio di Gerusalemme, unico e sommo luogo sacro del popolo d'Israele, che custodiva le tavole della Legge di Dio (segno della gloria e della vicinanza di Jahvé al popolo eletto) brulicava quotidianamente di pellegrini, sacerdoti, addetti, mercanti. Una folla chiassosa e indaffarata. Quel giorno, quasi nascosti e anonimi, Maria e Giuseppe portano il loro piccolo per adempiere le prescrizioni e compiere l'offerta. Solo due vecchi, Simeone e Anna, si accorgono di loro, li riconoscono e, dopo tanti anni di silenzio e attesa, tornano a profetizzare. Simeone riconosce in quel bambino il Signore, il Messia di Israele, l'atteso delle genti. Finalmente l'ha visto! Ora può morire in pace. La paura della morte è vinta, perché finalmente è possibile trovare Dio nel proprio limite, nella condizione della carne umana. Anche Anna, ormai vecchia e vedova da tanti anni, trova finalmente lo Sposo di Israele. Le grandi paure dell'uomo, la morte e la solitudine, si dissolvono: Dio si fa compagno dando senso alla vita e speranza dinanzi alla morte.ORA LASCIA O SIGNOREIl segno della circoncisione diceva l'appartenenza al popolo che si era impegnato con Dio in un patto di alleanza e di fedeltà. A questo patto Israele, come ogni uomo, non è mai stato fedele, è sempre venuto meno. Dio no. Anzi, in Gesù trova la via per compiere finanche la parte dell'uomo. Gesù è, allo stesso tempo, il sì di Dio all'uomo e il sì dell'uomo a Dio.Il canto di Simeone ("Ora lascia o Signore...") è la preghiera che chiude la liturgia di ogni giorno, a "Compieta": mentre scende la notte, si alza l'inno di gioia e di salvezza. Come il vecchio Simeone, anche l'uomo, al limite del suo giorno e dei suoi giorni, non è più stretto dall'abbraccio delle ombre di morte, ma egli stesso abbraccia il piccolo che dà la vita, il Signore che salva, Gesù.SEGNO DI CONTRADDIZIONEMaria e Giuseppe ascoltano con stupore le parole di Simeone che predice il destino di Gesù, segno di contraddizione. Già si intuisce il mistero di morte e resurrezione del Signore che trapassa il cuore della Madre e di ogni discepolo.Anna, molto avanzata negli anni, riceve anch'essa la grazia di vedere il volto di Dio in Gesù. Sembra avere l'età di tutta l'umanità che, dopo una giovinezza brevissima (il paradiso delle origini!), ha perso lo sposo e vive una vita vuota e disperata. Come Anna, anche noi non dobbiamo "lasciare il tempio", ma continuare ad attendere e cercare, con preghiera e desiderio, di vedere il volto di Dio e di ascoltarne la voce.LA SANTA FAMIGLIALa festa della Santa Famiglia fa sì che ciascuno si ritrovi in qualcuno dei suoi protagonisti: i padri potranno rispecchiarsi in San Giuseppe, le madri in Maria, i figli in Gesù. Meglio ancora sarebbe che ogni famiglia cristiana si recasse oggi spiritualmente a Nazareth e qui apprendere l'arte di vivere in famiglia. È quello che, con parole ispirate, ricordava Paolo VI, pellegrino in Terra Santa nel gennaio del 1964: "Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere come è dolce e insostituibile l'educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell'ordine sociale".Nella domenica della Santa Famiglia emblematiche sono le figure di due profeti, Anna e Simeone. Anche la famiglia in quanto tale è profezia per l'umanità, perché (queste le parole di Giovanni Paolo II) "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia".Quand'è che una famiglia è vincente? Il modello di Nazareth spinge a cercare il criterio del successo della vita familiare nell'esercizio dell'amore, nel continuo superamento del proprio egoismo. Un amore che ben conosce il sacrificio personale, la spada che ti trapassa l'anima. La profezia di Anna su Maria si avvererà sotto la croce, dove Maria, pietrificata, stava, in piedi, a nome di tutta l'umanità. Fonte: Agenzia SIRPubblicato su BastaBugie n. 696
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6391GISCARD D'ESTAING FAVORI' L'INVASIONE ISLAMICA di Luca VolontèL'ex presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d'Estaing è morto ieri, 3 dicembre, a 94 anni. Tutto il globo terracqueo ne ha fatto memoria, quasi fosse stato un 'santo laico' della modernità francese ed europea. In realtà è stato uno sterminatore dei costumi cristiani, della vita umana sacra dal concepimento. 'Padre europeo', è stato definito. Ma si può dire così di chi rifiutò di ricevere una lettera del Santo Giovanni Paolo II per confermare il suo disprezzo verso le radici giudaico-cristiane europee? Piuttosto è stato l'uomo che ha iniziato il processo di immigrazione selvaggia, primo ispiratore delle attuali trasandate pulsioni favorevoli alla liberalizzazione dell'immigrazione dai paesi islamici. Può essere così ipocriticamente celebrato un uomo che piantò il seme dell'aborto e quello del divorzio, dai quali son cresciuti milioni di morti innocenti e l'erosione della coseione sociale francese? No. Punto. L'unica celebrazione possibile è quella di prender atto dei suoi malvagi intenti e delle sue devastanti decisioni e porvi rimedio.INVASIONE ISLAMICAGiscard d'Estaing (presidente dal 1974 al 1981) recentemente aveva espresso un certo rammarico per il "ricongiungimento familiare", la legge introdotta con un semplice decreto di Jacques Chirac nel 1976. "L'idea di far entrare famiglie di immigrati sembrava naturale in quel momento. Con l'aumento massiccio dell'immigrazione dai Paesi musulmani, ha invece prodotto profonde divisioni nella società francese". Raymond Barre (Primo Ministro dal 1976 al 1981), la sospese per tre anni, prima che il Consiglio di Stato annullasse questa decisione con la motivazione che il "ricongiungimento familiare faceva ormai parte dei principi generali del diritto". A causa di questa decisione di Giscard è iniziata l'invasione in Francia e, senza ombra di dubbio, in questa decisione possiamo ritrovare tante delle attuali idee político-istituzionali europee, favorevoli alla immigrazione incontrollata e ferocemente contrarie a chiunque vi si opponga, o ne chieda una valutazione temperata. Oggi la Francia è preda di una intolleranza, cristianofobia ed islamizzazione senza precedenti [leggi: LA SHARIA E' LEGGE IN FRANCIA, http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6331 clicca qui, N.d.BB].Giscard d'Estaing, ricordato sui giornali transalpini di ieri come un grandissimo innovatore sociale, dovrebbe invece esser ricordato come il più sistematico distruttore della coesione sociale e culturale di Francia: promosse ed approvò la legge del divorzio ed indebolì l'istituzione familiare, l'unità fondamentale della società, con la legge dell'11 luglio 1975 , introducendo il divorzio "per mutuo consenso" o "per la rottura della vita comune". In quello stesso anno, fu ancora Giscard a promuovere e approvare la legge sull'aborto. Il 17 gennaio 1975 si depenalizzava l'aborto e si forniva un quadro di riferimento per l'interruzione volontaria della gravidanza (aborto) e l'interruzione medica della gravidanza (IMG). La norma, promossa anche dall'allora Ministro della Salute, Simone Veil, incontrò una forte opposizione degli stessi deputati e senatori gollisti e fu infine adottata con il voto dei deputati di sinistra e di centro-sinistra. La visita in Vaticano nelle settimane successive, la gelida accoglienza di Paolo VI e la crisi diplomatica che ne seguì, segnarono la profonda rottura tra il presidente e i cattolici. L'attuale discussione parlamentare sulla nuova Legge di Bioetica, con le devastanti previsioni inumane che contiene, non sarebbe stata possibile senza le rotture compiute da Giscard d'Estaing nel 1975.NEGATE LE RADICI GIUDAICO-CRISTIANE DELL'EUROPAGiscard è stato anche il Presidente della Costituente, o Convenzione Europea (2002-2003), e redattore di quel testo poi approvato col nome di "Trattato di Lisbona". Tutti ricordiamo gli appelli accorati di San Giovanni Paolo II affinché si inserissero le radici giudaico cristiane nel testo 'costituzionale' europeo, ricordiamo anche quali e quanti interessi si mossero per evitare che ciò avvenisse. Tuttavia un fatto è certo, Giovanni Paolo II scrisse una lettera da consegnare al presidente della Convenzione europea Valery Giscard d'Estaing per perorare direttamente con lui la causa dell'inserimento del riferimento alle radici giudaico-cristiane dell'Europa nella Costituzione europea cui la Convenzione stava lavorando. Giscard D'Estaing rifiutò la consegna della missiva rispondendo che "se la poteva tenere in tasca".Le recenti rivelazioni di Mons.Fisichella confermano e storicizzano i sospetti di molti: "Giscard d'Estaing disse che 'altri' non avevano voluto accettare quel riferimento, ma da mie fonti so che lui stesso non volle". Da questa scelta cosciente e determinata, ben al di là della superbia illimitata che quel gran rifiuto rappresentò, oggi possiamo ben dire che la eliminazione sistematica del cristianesimo, promossa attivamente anche dalle stesse istituzioni europee, ed il tentativo ridicolo e rabberciato di sostituire le radici giudaico cristiane con un neo paganesimo ambientalista e un libertinaggio tanto innaturale quanto aggressivo, sono parte della eredità di Giscard d'Estaing. Non c'è da stupirsi se Macron lo abbia celebrato, vengono entrambi dalla medesima covata anti cristiana. L'Europa piuttosto dovrebbe piangere e redimersi per quel 'gran rifiuto' di Giscard a San Giovanni Paolo II, dal quale discendono le terribili conseguenze e follie che oggi ci troviamo a vivere, inclusa l'inimicizia promossa dai Paesi dell'Ovest verso quelli dell'Est.
In questo suo ultimo lavoro l’amico Gianfranco Amato mette in luce un episodio poco noto nel mondo cattolico italiano e legato alla tradizione liturgica della Chiesa. Si tratta dell’appello rivolto a Paolo VI per salvare la Messa Tridentina sottoscritto il 6 luglio 1971 da cinquantasette esponenti del mondo culturale inglese, tra i quali la nota scrittrice Agatha Christie, il cui nome è stato successivamente associato all’indulto concesso dallo stesso Pontefice.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6355IL SANTO MULATTO: SAN MARTINO DE PORRESIl frate del Perù, umilissimo e mistico, medico e barbiere, che consigliava i potenti e parlava ai topida Radio Roma LiberaIl domenicano san Martino de Porres aveva per madre una serva panamense di origine africana, che era stata liberata ed aveva preso il nome di Anna Vasquez e per padre un nobile spagnolo, Giovanni de Porres, che per qualche tempo non riconobbe il figlio mulatto. Martino nacque a Lima, nel Perù, il 9 dicembre 1579 e fu battezzato nella parrocchia di San Sebastiano. Dapprima visse nella miseria insieme alla madre e la sorellina Giovanna. Ma all'età di circa otto anni, il padre si occupò dell'educazione dei figli. Li portò con sé a Guayaquil in Ecuador, dove i due fratellini poterono vivere con maggior serenità e agiatezza.Frequentando due farmacisti, Martino prese confidenza con la medicina in genere, passione che continuò a coltivare anche quando apprese l'arte del barbiere nella bottega di Marcello de Rivera. A quindici anni sentì la chiamata del Signore, che lo spinse verso l'Ordine domenicano già attivo a Lima sin dai tempi del primo vescovo del Perù, il domenicano fra' Vincenzo Valverde, che era stato il consigliere di Francisco Pizarro, il conquistatore. Si presentò perciò ai domenicani della chiesa del Rosario, che era anche la prima chiesa americana dedicata alla Madonna del Rosario, costruita poco prima del 1539, anno in cui si costituì la provincia domenicana del Perù. Annesso alla chiesa c'era un grande convento con un centinaio di frati, che ospitava anche il Seminario, centro di studio di filosofia e teologia.I Domenicani accolsero Martino come aiutante, detto "donato", dedito ai lavori più umili, con grande disappunto di suo padre. Tuttavia, Martino era gioioso di essere chiamato alla semplicità, tenendo spesso la scopa in mano, perché dedito alle pulizie e nelle pause era di aiuto alla comunità religiosa con le acquisite conoscenze mediche; non di rado aiutando anche coloro che l'avevano deriso e offeso.Si tramanda che, trovandosi il convento in gravi difficoltà finanziarie ed oppresso dai debiti, il priore uscì con alcuni oggetti preziosi allo scopo di venderli e con il ricavato pagare i debiti. Memore probabilmente di san Domenico di Guzman che si era offerto di riscattare il fratello di una povera donna consegnandosi lui come schiavo, Martino rincorse e raggiunse il priore che stava andando alla piazza del mercato. Ancora affannato per il cammino spedito, gli propose di non vendere i preziosi del convento, ma di vendere lui stesso come servo. Cosciente dell'immensa umiltà del frate e del suo amore per il convento, il priore gli disse: «Torna indietro, fratello, tu non sei da vendere».UMILISSIMO, MA NON IGNORANTEUmilissimo, ma non ignorante, tanto che vengono tramandate testimonianze sulle sue competenze in merito alla filosofia e teologia tomista. Frequenti erano i suoi incontri con gli studenti del Seminario e con essi si intratteneva sulle questioni della cosiddetta Filosofa Scolastica, come ad esempio quella dell'essenza e dell'esistenza in Dio. Un giorno due studenti stavano parlando fuori dalla scuola proprio di questo tema e vedendo passare Martino, gli chiesero cosa ne pensasse. Probabilmente nella loro voce ci doveva essere una nota di presa in giro, pensando che l'argomento non fosse alla sua portata. Come se nulla fosse, Martino diede questa risposta: «Non dice san Tommaso che l'esistenza è più perfetta dell'essere, ma che in Dio l'essere è lo stesso che esistere?». Tanto rimasero sorpresi da questa risposta, che i due allievi riferirono l'episodio al direttore degli Studi, il quale commentò così l'accaduto: «Martino ha la scienza dei Santi».San Martino accoglieva poveri e malati con sorprendente carità: li soccorreva, senza mai dimenticare di parlare della fede in Dio e di come questa fede dovesse essere vissuta quotidianamente. Divenne, in pratica, un catechista.Scrive padre Gerardo Cioffari OP: «Dovette essere proprio questa sua dedizione all'Ordine, questa scienza dei Santi e tutta la sua preziosa opera in convento a spingere i superiori a non tenerlo più soltanto come "donato", ma a fargli emettere la professione solenne come frate converso (2 giugno 1603). Martino impresse allora alla sua vita una svolta più ascetica, con lunghe ore dinanzi a Santissimo Sacramento e flagellazioni notturne. Particolari meditazioni faceva intorno alla Passione di Gesù. Anzi, secondo alcune deposizioni al processo apostolico del 1683, ebbe il dono dell'estasi e fu visto sollevarsi diversi palmi da terra».LE SANTE AMICIZIEFra' Martino cercò sovente la compagnia di altre anime elette, come il converso domenicano Giovanni Macìas del convento di Santa Maria Maddalena. Benché semplice cooperatore, Martino divenne punto di riferimento di saggezza e di spiritualità, perciò andavano nel convento per incontrarlo uomini di alto lignaggio, come per esempio il governatore ed il viceré. Inoltre, si occupava dei bisogni degli indigenti e in particolare degli indios. Quando Lima venne colpita dalla peste, si prodigò nel servizio e nell'assistenza sanitaria, prendendosi cura di ben sessanta frati.Servitore, uomo delle pulizie, consigliere, infermiere, medico, ma anche barbiere del convento. Un giorno del 1635 nel loro cimitero trovò un quattordicenne seminudo che, in risposta alla sua domanda, disse di venire da Jeres de los Caballeros in Estremadura. Portatolo nella sua cella e datogli qualche vestito, gli disse che per mangiare e dormire poteva tornare là, ma che durante il giorno doveva darsi da fare per trovare un lavoro. Nel frattempo, gli insegnò il mestiere di barbiere. Poi, Giovanni, affezionatosi a Martino, gli chiese di accettarlo come suo assistente. Egli allora lo accolse e lo incaricò di una missione particolare: portare l'elemosina a quelle famiglie già ricche, ma ora ridotte in miseria.Oltre alle medicine, preparate con le erbe officinali provenienti dalla fattoria di Limatambo, fra' Martino curava attraverso i miracoli: la sua fede era così grande che il Signore interveniva direttamente per risolvere i casi che egli gli sottoponeva con la preghiera e i sacrifici. Con la fama della sua santità, nobili e prelati che passavano da Lima raramente omettevano una visita al convento e a Martino, anche per una veloce visita medica. Di questi nobili sono noti alcuni casi, come quello di Feliciano de la Vega, eletto arcivescovo del Messico, e del governatore. Alla proposta di seguire l'arcivescovo in Messico, Martino preferì, però, restare in convento e guarire i poveri.GRANDE FAMILIARITÀ CON TUTTE LE CREATUREFece edificare per i bambini indigenti il collegio di Santa Cruz, fra i primi sorti in America, un'iniziativa molto complessa perché non riuscì a sensibilizzare né l'autorità civile, né quella ecclesiastica. Il convento, da parte sua, sempre oppresso dai debiti, si limitò a dargli la facoltà di raccogliere i fondi per la costruzione del collegio. Finalmente trovò alcuni benefattori, grazie ai quali cominciò i lavori, affidando la gestione a Matteo Pastor, suo amico e sostenitore. Scelse quindi gli insegnanti che stabilmente dovevano occuparsi di questi bambini orfani o abbandonati, che qui trovarono una casa e una valida istruzione ed educazione cattolica.San Martino è ricordato anche per la sua grande familiarità con tutte le creature di Dio, compresi gli animali, aspetto che lo riconduce a san Francesco d'Assisi. Nella letteratura che lo riguarda - a tal proposito rimandiamo a due libri seri e ben scritti: Giuliana Cavallini, I fioretti del beato Martino, Roma 1957 e Reginaldo Frascisco dell'ordine dei Predicatori, San Martìn de Porres. Il primo santo dei negri d'America, Bologna 1994 - si racconta di dialoghi che egli teneva con gatti, cani e soprattutto topi. Il suo essere completamente in Dio, Uno e Trino, e tutto di Dio, gli permise di entrare nell'armonia del Suo Regno, sia quello naturale che soprannaturale; ecco che, la sua perfetta innocenza lo rese capace di doni straordinari di fronte agli occhi degli uomini comuni. Tanti i testimoni oculari che narrarono i suoi prodigi, compiuti come amico e dominatore degli animali, al suo processo di beatificazione.Fra' Martino morì la sera del 3 novembre 1639, circondato dai frati in preghiera. Il giorno dopo, con la partecipazione di Feliciano de Vega, arcivescovo di Città del Messico, e delle autorità cittadine, la salma veniva tumulata nella cripta sottostante alla sala capitolare del convento domenicano. La sua fama di santità, già molto diffusa in vita, continuò a circolare ed ampliarsi fra la gente, e tutt'oggi, specie in Sud America, la devozione nei suoi confronti continua ad essere radicata. Proclamato patrono delle opere di giustizia sociale del Perù da papa Pio XII nel 1945, Martino fu canonizzato da Giovanni XXIII il 6 maggio 1962 e poi designato patrono dei barbieri da Paolo VI nel luglio del 1966. Titolo originale: San Martino de Porres. L'umilissimo e mistico frate, medico e barbiere, che consigliava i potenti e parlava ai topiFonte: Radio Roma Libera, 4 Novembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 691
Il titolo dell'ottava puntata della terza stagione di J-TACTICS, trae spunto da: "Amico Fragile”, che è un brano che fa parte di Volume 8, ottavo disco di Faber pubblicato nel 1975 e realizzato con l’aiuto di De Gregori.Canzoni De André ne ha scritte molte, 131 per l’esattezza, tanti i brani memorabili, i capolavori, le canzoni toccanti, quelle addirittura struggenti.C’è una canzone su tutte che merita però l’attenzione degli affezionati deandreiani, una canzone che per vari motivi può essere considerata la più importante del cantautore, si tratta appunto di “Amico fragile”.Amico fragile è la chiosa perfetta dell’album, una coltellata che arriva dritta all’ipocrisia e al perbenismo di un ambiente disprezzato eppur frequentato da de André (“lo scandalo del contraddirmi” per dirla con Pasolini).Ma bisogna raccontare la genesi di questa canzone per capirne il significato e il valore.De André stesso raccontò in merito a questo brano: «Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa nord. Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi “Perché, invece, non parliamo?”. Era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio.Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: “Perché non parliamo di quello che sta succedendo in Italia?”. Macché, avevano deciso che dovessi suonare.Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto Amico fragile. La Puny mi ha stanato alle otto del mattino, non mi trovava né a letto né da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere.»“Evaporato in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte… con un bisogno d’attenzione e d’amore troppo, Se mi vuoi bene piangi “.Così recita la prima strofa del capolavoro del cantautore genovese.Facendo la nostra solita trasposizione, questa volta non dalla cinematografia, ma dalla musica al mondo del calcio, ed in modo particolare alle vicende juventine, potremo utilizzare il titolo e le vicende narrate nel brano per analizzare la partita giocata in una calda giornata autunnale all’Olimpico di Roma tra i biancocelesti della Lazio e la Juventus, per l’occasione vestita total Blu.Un match che vede una Juve arrembante e propositiva, contro una Lazio rimaneggiata ma mai comunque doma.A detta di alcuni, la miglior Juventus della stagione la quale finalmente mostra sprazzi veri del gioco più volte illustrato da mister Pirlo ma rimasto in molte occasioni in questo scorcio di stagione, più sulla carta che sul campo da gioco.In un assolato primo pomeriggio, in un Olimpico ancora spettrale e surreale per l’assenza di pubblico per la ben nota emergenza sanitaria, i campioni d’Italia riescono a mandare all’aria quanto di buono fatto vedere per oltre 93 minuti in termini di gioco e di prestazione collettiva, infatti a poco meno di un minuto dal termine del recupero, Paulo Dybala ha la possibilità di far rifiatare una Juventus in sofferenza, ma l’argentino pur ritrovandosi tra i piedi un pallone da portare semplicemente nella metà campo avversaria, senza particolari pressioni dei capitolini, si rende protagonista di un errore grossolano: con un brutto controllo, perde palla facendola finire in fallo laterale.Mentre lo stesso giocatore argentino si rammaricava per il banale errore commesso, i padroni di casa battono velocemente dando il via all’azione che ha poi portato al sorprendente pareggio in extremis di Caicedo.Una delusione cocente per la Juventus,che vede sfumare la vittoria e 3 punti oramai certi, e una responsabilità pesante per Dybala in un’altra giornata da dimenticare in questo difficile avvio di stagione.Un pallone che sarebbe dovuto essere gestito meglio per far correre il cronometro e che invece è stato regalato attraverso un errore agli avversari, che grazie alla giocata di Correa e all’ormai solito guizzo di Caicedo hanno trovato un gol pesantissimo ed un pareggio più che insperato.“Amico fragile”, così come il titolo del brano di Fabrizio De Andrè da cui trae spunto l’odierna puntata di J-TACTICS.Paulo Dybala che nonostante una classe cristallina e numeri da fuoriclasse nei 5 anni in bianconero ha manifestato in determinate occasioni (soprattutto occasioni decisive, secondo i suoi detrattori) evidenti limiti caratteriali per avvenimenti calcistici e soprattutto negli ultimi anni per fatti che col campo poco hanno a che vedere.Un talento puro, come detto, ma più volte sottoposto a feroci critiche per il suo non essere campione fino in fondo, anche a livello caratteriale.Un deficit caratteriale che, in un ingeneroso paragone, non ha l’alieno Cristiano Ronaldo e che renderebbe il “picciriddu” (vezzeggiativo attribuitogli nella sua esperienza palermitana) un mezzo campione ed un mezzo uomo nelle situazioni nelle quali è necessario mostrare i cd. attributi.Volendo fare un’analisi doverosamente onesta del match dell’Olimpico scevra da ogni pregiudizio nei confronti del numero 10 bianconero, il pareggio che scaturisce a meno di un minuto dal termine dell’incontro non ha come unica spiegazione o causa l’errore, seppur grossolano ed inspiegabile, che il fantasista commette, ma bensì una gestione poco cinica ed attenta del match da parte dell’intera compagine bianconera.Troppa imprecisione sotto porta, alcuni contropiedi sfruttati non al meglio, la solita sfortuna delle ultime settimane con un incrocio dei pali colpito da Ronaldo, e una difesa che nell’azione del gol gioca, così come con lo Spezia, a fare le belle statuine, sanciscono un risultato che lascia l’amaro in bocca e che fa perdere altri punti preziosi in classifica agli uomini di Pirlo.Tutto vero, ma secondo l’opinione di molti supporters juventini in quest’occasione come in tante altre, sarebbe la Joya “l’amico fragile” orpello magari bello ma non decisivo e non in grado di vestire la gloriosa maglia numero 10.Una fragilità che potrebbe portare Paulo lontano da Torino.Sarà nostro gradito ospite l’amico Marco Piccari, giornalista, fine intenditore di calcio, scrittore nonché speaker di TMW Radio.Diteci la vostra, interagiremo con voi in chat live!Ecco i link dei nostri social:CANALE TELEGRAM:https://t.me/joinchat/AAAAAE2Dp-yj5b1N4SNcMQINSTAGRAM:https://instagram.com/jtactics_?igshid=1fg7nrkzhl2mtFACEBOOK:http://m.facebook.com/jtacticsmdn/
#comeandiamobene le Interviste - Stagione Due Puntata Tre - Ospite Daniele Fossati del Settimale Radar Il settimanale Radar è un giornale di informazione locale della Martesana. È in edicola il giovedì mattina Il SETTIMANALE RADAR, edito dalla cooperativa "Paolo VI", segue la vita politica, sociale, culturale, ecclesiale e sportiva dei Comuni di Gorgonzola, Bellinzago Lombardo, Gessate e Pessano con Bornago, Bussero e Cassina de' Pecchi. Si propone come strumento di informazione, di dibattito e confronto per il territorio. Sulle sue pagine hanno spazio gruppi e associazioni. Il lettore può trovarvi dalla notizia di cronaca nera alle date di concerti, teatri e altre iniziative culturali, dai risultati sportivi delle squadre locali a riflessioni di più ampio respiro, di carattere generale, anche a contenuto religioso, essendo Radar nato in ambito cattolico, ambito da cui trae la propria chiave di lettura della realtà. Il giornale, per la ricchezza di informazioni, frutto di decenni di radicamento nel territorio, risulta comunque utile strumento di conoscenza e aggiornamento per lettori di qualsiasi estrazione culturale. Ascolta la WebRadio qui Visita il nostro sito www.gorgoradio.it --- Send in a voice message: https://anchor.fm/gorgoradio/message
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6324IUL CARDINALE TORTURATO DAI NAZISTI E CONTRARIO AI COMPROMESSI VATICANI CON IL COMUNISMO di Rino CammilleriA quarantacinque anni dalla morte, la figura-simbolo dell'insurrezione anticomunista ungherese del 1956, il cardinale Jozsef Mindszenty, Primate d'Ungheria, può ancora oggi insegnare qualcosa.Nato nel 1892, aveva in realtà un cognome tedesco, Pehm. Figlio di un coltivatore diretto, fu sacerdote nel 1915 e professore nel liceo di Zalaegereszeg. Al crollo dell'impero asburgico nel 1918 venne arrestato dal governo rivoluzionario di Károly e poi espulso da quello successivo, comunista, di Béla Kun. Caduto questo, poté rientrare. Si oppose fin da subito all'alleanza con la Germania nazista, fino al punto di cambiare il suo cognome con il luogo di nascita, Csehimindszent. Nel 1944 i tedeschi occuparono l'Ungheria e Mindszenty divenne vescovo di Veszprém; in tale veste salvò moltissimi ebrei. Alla fine dell'anno i sovietici entrarono nel Paese saccheggiando e stuprando (il vescovo di Györ, Apor, venne assassinato mentre cercava di difendere le donne rifugiatesi nel suo palazzo).Mindszenty protestò col governo e fu incarcerato. Poté uscire quando i secondini fuggirono davanti ai sovietici. Nel 1945 i comunisti presero il potere ed espulsero il nunzio apostolico. Lo stesso anno morì il Primate e il papa Pio XII nominò Mindszenty al suo posto, quantunque fosse il più giovane dei vescovi ungheresi. Le carceri e i campi di concentramento si riempirono di dissidenti, i comunisti bloccarono i soccorsi americani alla popolazione affamata, le scuole cattoliche furono nazionalizzate, la censura calò sulla stampa.Il cardinale, in risposta, guidò un pellegrinaggio di centomila persone al santuario di Máriaremete e nel 1947 indisse un Anno Mariano ai cui riti parteciparono in cinque milioni. I comunisti cominciarono a disturbare le sue Messe e a calunniarlo a mezzo stampa. Nel frattempo, creavano il gruppo collaborazionista dei «Sacerdoti per la pace». Nel 1948 per intimidire il cardinale arrestarono il suo segretario, Zakar, riducendolo alla demenza a forza di torture. Poi presero anche Mindszenty e lo chiusero nel palazzo che a suo tempo era stato sede della Gestapo. Qui lo denudarono e vestirono da pagliaccio, poi lo pestarono coi manganelli. Ogni notte lo svegliavano e cercavano di fargli firmare una confessione; se rifiutava, giù botte. Così per un mese e mezzo. Alla fine, fisicamente e mentalmente distrutto, firmò una falsa confessione (ma aggiunse accanto «c.f.», cioè «coactus feci», lo faccio costretto).Al processo-farsa del 1949 fu dato il massimo clamore. Per non farne un martire gli diedero l'ergastolo. Quando la vecchia madre vide che aveva perso metà del suo peso, protestò, ma ne ottenne solo il trasferimento in un carcere più duro. Otto anni così, fino all'insurrezione del 1956. In quell'occasione il governo gli chiese di adoperarsi per far rientrare la protesta ma lui rifiutò. I soldati insorti lo liberarono e lo riportarono in trionfo a Budapest. Trovò che nel clero tutti i posti-chiave erano stati occupati da «sacerdoti per la pace». Il premier supplente, Tildy, gli chiese di mediare e lui suggerì di non fidarsi dei comunisti ma di rivolgersi all'Onu.Il 3 novembre il cardinale parlò alla radio agli ungheresi ma a mezzanotte l'Armata Rossa invase il Paese. Seguì la repressione, che fece trentamila vittime e centinaia di migliaia di profughi. Mindszenty si rifugiò nell'ambasciata americana, dove il presidente Eisenhower gli offrì asilo politico. Non poté più uscirne, nemmeno per il funerale di sua madre: la polizia segreta stazionava in permanenza davanti all'ambasciata. Nel 1958 morì Pio XII. Il nuovo papa, Giovanni XXIII, aprì trattative che furono concluse da Paolo VI. L'ostpolitik vaticana si accontentava di riempire le diocesi vacanti con «sacerdoti per la pace» (suppergiù come oggi con la Cina).Ma alla «distensione» ostava l'irriducibile cardinale che esigeva una pubblica riabilitazione. Nel 1971 fu «graziato» e poté raggiungere Roma, dove il papa gli chiese di dimettersi da Primate. Ci mise tre anni per capitolare, poi accettò di farsi da parte e prese a viaggiare per assistere gli ungheresi della diaspora. Morì a Vienna nel 1975 e fu sepolto nel santuario austriaco di Mariazell, la cui icona è anche patrona d'Ungheria. Le sue spoglie tornarono in patria solo nel 1991. Fu nell'interpretarne la figura, nel 1955, che Alec Guinness si convertì al cattolicesimo. Il film, "Il prigioniero", venne rifiutato a Cannes e a Venezia. Titolo originale: Il cardinale torturato dai regimi contrario ai compromessi vaticaniFonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 31-08-2020Pubblicato su BastaBugie n. 687
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=32L'ESORCISMO DI EMILY ROSE (2005) ***** di Rino CamilleriAnneliese Michel, questo il vero nome, acconsentì alla richiesta della Madonna di espiare i peccati dei giovani tedeschi e dei sacerdoti: tale espiazione consistette nelle sofferenze della possessione demoniacaLa storia che oggi raccontiamo [...] si svolse ai tempi di Paolo VI e scosse la Germania, anche se praticamente non ne superò i confini. Data l'epoca sessantottarda, la Chiesa stessa ne fu imbarazzata e la cosa finì lì. Si trattava infatti di una indemoniata, Anneliese Michel, che morì nel 1976 a soli ventiquattro anni. Gli esorcisti che l'avevano trattata furono condannati in tribunale appunto perché avevano fatto il loro mestiere, mestiere che la "scienza" rubricava sotto la voce «ciarlatanerie medievali». Poco importava che la ragazza parlasse con voci maschili e diversificate, che manifestasse una forza sovrumana, che si esprimesse in aramaico e latino e greco antichi, che facesse a pezzi ogni oggetto sacro che vedeva, che avesse piaghe incurabili nei punti della Passione, che dicesse di essere posseduta dallo spirito malvagio di un personaggio storico realmente esistito ma di cui né lei né nessuno aveva mai sentito parlare. Anneliese morì il giorno esatto che aveva predetto. Ci sono molte registrazioni audio al riguardo del suo caso. Ma il tribunale sentì solo il parere dei "periti" (cioè, medici e psichiatri) e giudicò la ragazza semplicemente epilettica. Però lei i farmaci per l'epilessia li prendeva, perché il vescovo locale, correttamente, prima di autorizzare l'esorcismo si era assicurato che non si trattasse solo di un male fisico e/o psichico. L'esorcismo non si sostituì alle cure, bensì le affiancò, perché Ia "malata" manifestava fenomeni che andavano ben oltre una normale, per quanto grave, malattia. Niente, esorcisti e pure i genitori di lei vennero condannati, in pratica, per abbandono di incapace, perché, Anneliese, quando morì, era così debilitata che pesava solo trenta chili. Il caso, prevedibilmente, scatenò le solite accuse alla Chiesa. Tanto che teologi e vescovi tedeschi, intimiditi, chiesero al Papa di abolire tout court l'esorcistato. Il Vaticano si limitò a farsi consegnare l'intero dossier, e tutto finì nel silenzio. Ma del caso di Anneliese non si scordò il cinema che sfornò [...] "The Exorcísm of Emily Rose" del 1999. [...]Anneliese era la prima dei quattro figli di un falegname bavarese. Nata a Leibfing nel 1952, amava il tennis e il pianoforte. Come i suoi familiari, era cattolica e, anzi, manifestava una religiosità particolarmente accentuata: recitava il rosario, seguiva incontri di preghiera, si dice che ogni tanto dormisse sul pavimento per penitenza. Nel 1968, a sedici anni, ebbe il primo attacco epilettico che la costrinse al ricovero a Wurzburg, dove fu adeguatamente curata. Nel 1970 si aggiunse la tubercolosi e un altro ricovero, a Mittelbert. Tornata a casa, la notte cominciò a vedere volti demoniaci, a sentire un orribile fetore, a ritrovarsi col torace e le mani deformati, a non poter muoversi né parlare. Ma poteva trattarsi di forme dell'epilessia, e continuò a curarsi. Però non guariva. Così, nel 1973 la famiglia la portò in pellegrinaggio in Italia, a San Damiano nel piacentino, dove si diceva che nel 1961 era apparsa la Madonna a Rosa Quattrini. La Chiesa non ha riconosciuto queste apparizioni né si sa se mai lo farà, anche se i pellegrini continuano ad andarci a vedere il famoso pero fiorito miracolosamente e a bere l'acqua, anch'essa ritenuta miracolosa. Comunque, Anneliese non riuscì nemmeno a entrare nella cappella. Si bloccò, disse che sentiva il terreno bruciare. Al ritorno, sul pullman, gli altri pellegrini udirono una voce bassa e roca che proferiva maledizioni, mentre una puzza insopportabile costringeva ad aprire i finestrini.In quello stesso anno Anneliese finì il liceo e si iscrisse a Pedagogia a Wurzburg, dove si innamorò, ricambiata, di uno studente, Peter Himsel. Che non la lasciò mai, nemmeno quando si accorse che la sua ragazza ogni tanto, e sempre più spesso "dava di fuori": di punto in bianco aggrediva i compagni, urlava come una pazza, smetteva di mangiare. Una domenica, mentre lui e lei passeggiavano in campagna, Anneliese ebbe un attacco dolorosissimo del suo male. Di colpo, però, il suo viso si illuminò e lei sembrò parlare con qualcuno. Quando la "visione" svanì, il dolore era scomparso e Anneliese rivelò a Peter di aver visto la Madonna. La Vergine le aveva chiesto se accettava di farsi carico di tante anime che rischiavano la dannazione: aveva tre giorni per pensarci. Peter testimoniò in seguito tutto questo, e pure che Anneliese aveva deciso di offrire a Dio se stessa, così come avevano fatto le due mistiche tedesche a cui era molto devota, Theresa Neumann (1898-1962) e Barbara Weigand (1845-1943). La Neumann, stigmatizzata, si nutrì di sola comunione per quasi quarant'anni. La Weigand, terziara francescana, vedeva continuamente la Madonna, apparizioni che il suo vescovo riconobbe.Quanto ad Anneliese, in breve tempo le vessazioni demoniache (evidentemente, era questo il tipo di espiazione riparatoria che doveva sopportare) diventarono vere e proprie possessioni, e fu lei stessa a rivolgersi al suo confessore, Ernst Alt. Questi si rese conto che il caso era serio e chiese al vescovo di Wurzburg, Josef Stangl, il permesso di procedere con l'esorcismo. Stangl (che poi divenne Primate e nel 1977 consacrò vescovo Joseph Ratzinger) dapprima consigliò di continuare con le cure. Poi, consultata un'autorità in materia, il gesuita Adolf Rodewyk, autorizzò Alt affiancandogli l'ex missionario Arnold Renz. I due eseguirono il cosiddetto Grande Esorcismo secondo il rituale del 1614. Dal 24 settembre 1975 al 30 giugno 1976 tre volte alla settimana la povera Anneliese venne esorcizzata. Ma sempre invano. I fenomeni di cui era vittima erano spaventosi ed era difficile pure riuscire a tenerla ferma, data la forza disumana che manifestava. Quando la possessione le lasciava un po' di tregua, si metteva in ginocchio e pregava da spezzare il cuore. Ci fu un momento in cui si credette ottenuta la vittoria, tanto che Anneliese riuscì a conseguire il titolo di studio. Ma fu gioia di breve durata, perché i problemi ricominciarono peggio di prima. Il rituale prevedeva che l'esorcista chiedesse il nome del diavolo che voleva scacciare. Si presentarono in tanti, ognuno con una voce diversa. Dissero di essere Giuda, Caino, Nerone, Belial, Hitler, Legione (il demone multiplo esorcizzato da Gesù a Gerasa) e Valentin Fleischmann. Quest'ultimo destò stupore, perché nessuno sapeva chi fosse. Dopo qualche ricerca si scoprì trattarsi di un prete bavarese di Ettleben, donnaiolo e ubriacone, che nel 1575 era stato condannato per aggressione e omicidio. L'ultimo demone disse di essere addirittura Lucifero. Anneliese, comunque, non era in grado di mangiare né di dormire. Morì, infatti, di denutrizione e strapazzo. Nell'aprile del 1976 disse che sarebbe morta il primo di luglio, e così fu.Anneliese Michel, dunque, acconsentì a espiare i peccati dei giovani tedeschi e dei sacerdoti (così pare si sia espressa la Madonna), e tale espiazione consistette nelle sofferenze della possessione demoniaca? In effetti, l'epoca in cui tutto ciò accadde era quella dei "ragazzi dello zoo di Berlino" e del terrorismo della Rote Armee Fraktion (le brigate rosse tedesche). Per quanto riguarda il clero cattolico di Germania, be', ancora oggi le posizioni di non piccola parte di esso danno qualche pensiero al Vaticano. La forma di espiazione, poi, pur sconcertante, non sarebbe una novità. Il vaticanista Marco Tosatti nel 2004 ci fece un libro apposito: Santi posseduti dal demonio (Piemme), nel quale ricordò in particolare le beate Christina di Stommeln (1242-1313), Eustochio di Padova (1445-1469) e Maryam Baouardy (1846-1878). Agli esorcisti che, sfiniti, chiedevano ai demoni che infestavano la povera Anneliese perché non se ne andassero, quelli rispondevano di non potere: una forza più potente di loro lo impediva. Il che confermerebbe l'assunto: Anneliese aveva accettato di sacrificare la propria vita per evitare che molte anime si dannassero. II caso di Anneliese è tornato alla luce solo nel 1997 e dalle trascrizioni è emerso anche questo suo sfogo col padre Alt: «Ho voluto soffrire per altre persone di modo che non finiscano all'inferno. Ma non avrei mai pensato che sarebbe stato così spaventoso, così orribile». Dopo la sua morte, una suora carmelitana rivelò ai coniugi Michel che la figlia le era apparsa in sogno. Sulla scorta di quel sogno, nel 1978 il corpo di Anneliese venne riesumato e ci fu chi disse che era rimasto incorrotto. Ma, a parte questa voce, nulla è mai trapelato. Così, la parola passò al cinema. Ma questo, quando non ha le autorizzazioni necessarie, deve cambiare nomi e contesto, col risultato che lo spettatore non saprà mai se sta assistendo a un film horror o no, e a poco serve scrivere nei titoli di coda «ispirato a un fatto realmente accaduto». Un eventuale iter di beatificazione per Anneliese Michel dovrebbe riportare alla luce l'intera vicenda, ma qual vescovo tedesco, oggi, avrebbe voglia di finire sotto ai riflettori per una storia di diavoli, possessioni ed esorcismi?Rino CammilleriFonte: Il Timone, maggio 2014
Augusto Del Noce (1910-1989), scomparso trent’anni fa, è stato uno dei pensatori più originali e stimolanti del Novecento, anche perché dotato di una singolare capacità di prevedere gli scenari politici e culturali del suo tempo. Fu profondamente cattolico, il che non gli impedì di essere critico nei confronti di Paolo VI, ma considerò positivamente il papato di Giovanni Paolo II.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6132LA STORIA DI DON MINUTELLA, IL SACERDOTE SCOMUNICATO NEL 2018 PER SCISMA ED ERESIA di Simone OrtolaniIl «piccolo resto cattolico» guidato da don Alessandro Maria Minutella è realmente cattolico o è semplicemente diventato, in breve tempo, una delle tante sette di ispirazione cristiana? Cosa sta accedendo al movimento di fedelissimi del prete siciliano, che assicura i suoi oltre 43 mila follower della pagina Facebook Radio Domina Nostra di essere spronato da battagliere locuzioni interiori nell'opporsi alla «falsa Chiesa bergogliana», giudicata «eretica ed apostata»?Il protagonista della vicenda è nato a Palermo il 13 settembre 1973 ed è entrato nel seminario del capoluogo dell'isola nell'ottobre del 1992. Dopo essere stato ordinato sacerdote il 27 dicembre 1999 dal cardinale Salvatore De Giorgi, è stato nominato parroco di San Giovanni Bosco nella zona di Romagnolo nella stessa città. Si è laureato in Teologia sistematica presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia con una tesi sulla mistica del Purgatorio in Santa Caterina da Genova nel 2002 e ha conseguito il dottorato in Storia del dogma cristiano presso la Pontificia Università Gregoriana nel 2007 con una tesi sull'Escatologia cristologico-trinitaria di Hans Urs von Balthasar, diventata un corposo volume presentato a Roma e a Palermo nel marzo 2014. Oratore brillante e facondo, autore di alcune pubblicazioni - fra cui una su San Gregorio Magno -, uomo di forte temperamento, appassionato ed ironico, don Minutella afferma di avere avuto come guide spirituali don Pino Puglisi e don Gabriele Amorth. Grazie ai social network assurge ad ampia notorietà con infuocate catechesi trasmesse online: parla con trasporto di spiritualità, devozioni e mariofanie sia riconosciute sia non riconosciute; si presenta come paladino della sana Dottrina cristiana, si richiama incessantemente al Catechismo e, facendo leva sulle sue qualifiche accademiche, combatte eresie e polemizza con i «modernisti».I Sinodi sulla Famiglia del 2014-2015 e, nel 2016, la promulgazione dell'esortazione apostolica Amoris Laetitia sono lo spartiacque nei rapporti fra don Minutella e la gerarchia: papa Francesco è accusato pubblicamente ed esplicitamente da lui di avere autorizzato la Comunione ai divorziati risposati, di avere profanato sia il sacramento del Matrimonio che quello dell'Eucaristia e di avere tradito il Magistero. Nel 2017, il sacerdote inizia un tour per l'Italia per la presentazione del libro I tempi di Maria. [...]Pur avendo celebrato l'Eucaristia per alcuni anni in comunione con papa Francesco seguendo le rubriche del Messale di Paolo VI, don Minutella arriva gradualmente a sostenere che il pontefice «venuto dalla fine del mondo» non è mai stato nemmeno legittimamente eletto, a causa del complotto della «mafia di San Gallo» e della rinuncia di Benedetto XVI, pretesa come del tutto invalida. In seguito, opta per l'uso esclusivo della liturgia ante-conciliare trasmettendo da Radio Domina Nostra le funzioni da lui stesso officiate secondo il Rito romano antico.PRESUNTO MEDIUM PER CONTO DELLA SANTA VERGINEL'esibizione costante delle pretese comunicazioni celesti lo aiuta ad accreditarsi presso piccole fasce di sacerdoti e gruppi di laici maggiormente propensi a lasciarsi suggestionare dal racconto di apparizioni, rivelazioni private e profezie.«Eravamo in parte delusi e scandalizzati da una certa deriva modernista e il passo successivo è stato quello di vedere in don Minutella un profeta dei nostri giorni. Ci diceva di essere stato scelto dalla Madonna come Suo inviato dal Cielo e di riceverne locuzioni», spiega un ex attivista del «piccolo resto». «Molti di noi eravamo realmente ispirati dal desiderio di servire il Vangelo, ma altri erano soltanto anticlericali guidati dall'odio verso la gerarchia, pontefice compreso, e vedevano in don Minutella un "liberatore dai cattivi", il capo di una rivoluzione per liberare Roma dagli apostati».Il parroco assicura di ricevere queste locuzioni interiori da parte del Cielo e ne fa uno dei suoi principali argomenti di persuasione. In un'occasione, documentata, egli cerca grottescamente, di fronte ad alcuni fedelissimi, di imitare la voce di Padre Pio - che ne starebbe possedendo il corpo - intimando agli stessi la più stretta fedeltà alla sua persona. In un'altra, egli parla in falsetto, cercando di presentare se stesso come medium per conto della «Santa Vergine».Era stato proprio il ricorso al presunto elemento soprannaturale che aveva contribuito a turbare i rapporti fra questo vivace quanto indocile curato, in precedenza stimato come brillante studioso, e l'arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo. Il porporato, ricevendolo nel settembre del 2015 in episcopio gli aveva ordinato il silenzio sulle propagandate rivelazioni a causa del turbamento dei fedeli. Questo precetto era coerente con le disposizioni dell'arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, nell'ambito della cui giurisdizione territoriale, a Carini, sorge, su un terreno di proprietà privata, il centro Piccola Nazareth, gestito da don Minutella: «Le locuzioni sono ingannevoli». Commentando anche la distribuzione a Piccola Nazareth di acqua nemmeno potabile ma spacciata come «prodigiosa», il presule protestava che era «quanto meno strumentale l'invenzione dell'acqua miracolosa, che avrebbe poteri soprannaturali e terapeutici, perché gioca con la sacra sensibilità dei semplici che vivono seri momenti di prova. Corre l'obbligo di avvertire tutti i fedeli che tali pratiche oltre ad essere contrarie al volere della Chiesa, sono fortemente sospette di manipolazione delle coscienze». L'arcivescovo di Monreale si diceva certo della «sicura falsità delle sue affermazioni quando si dichiara "profeta" di messaggi soprannaturali, la cui diffusione mette seriamente a rischio la genuina devozione popolare verso la Madonna, gli Angeli e i Santi».SACRE DEVOZIONI E PROFANO MARKETING ONLINEQuesto esibizionismo che mescola con disinvoltura sacre devozioni e profano marketing online irrita alcuni fra i simpatizzanti della prima ora. Per i meno ingenui, sono le stesse catechesi di don Minutella ad apparire ambigue e confuse: egli inizia a citare, senza un vero e proprio criterio, come maestri di ortodossia autori del tutto diversi fra di loro, da Hans Urs von Balthasar a monsignor Marcel Lefebvre, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, fino ad esprimere apprezzamento per i sedevacantisti di varie correnti, ricercando recentemente contatti con i loro rappresentanti, forse per ottenere una certa legittimazione dal confronto pubblico con i sacerdoti di questo ambiente. Ed è proprio dalle pubblicazioni dell'Istituto Mater Boni Consilii di Verrua Savoia, appartenente a questa costellazione, che don Minutella ricava l'espressione «Una cum», tanto da farne una propria bandiera. L'espressione latina è parte del Canone della Messa in cui è commemorato il nome del Papa regnante: «Una cum famulo tuo Papa nostro Francisco», cioè, «Insieme col Tuo servo nostro Papa Francesco». Per i sedevacantisti non è lecito celebrare i sacramenti in comunione con gli occupanti della Sede apostolica dai tempi di Giovanni XXIII; don Minutella sceglie invece di celebrare «una cum Papa Benedicto».«Don Minutella ha iniziato a celebrare in comunione con papa Benedetto XVI dichiarando che fosse ancora lui in carica. Ci disse che fu la Madonna a rivelargli che Francesco non fosse il vero papa e che non bisognava assolutamente menzionarlo perché, partecipando alle celebrazioni eucaristiche in unione con Francesco, si rischiava la dannazione eterna delle nostre anime, di tradire Gesù Cristo, di contaminarsi con le eresie», sostiene un gregario ormai deluso. Ma nemmeno la fiducia nei confronti di Joseph Ratzinger è piena. Quando il vescovo bavarese sceso dalla Cattedra di San Pietro ribadisce «ancora una volta», nel contesto dell'intervista contenuta nel libro di Peter Seewald Benedetto XVI. Una vita, la sua «amicizia» con il suo successore, don Minutella appare smarrito ed esclama incredulo che «è in gioco la fede stessa», come in occasione nella catechesi trasmessa da Radio Domina Nostra la sera del 5 maggio 2020. «Dov'è Pietro, chi è Pietro, che fine ha fatto Pietro?», si chiede in diretta su Facebook. Ormai è innegabile una «crepa profonda nei confronti del Romano Pontefice che rimane Benedetto XVI ma che però ci disorienta, ci smarrisce e ci mette alla dura prova. Quest'uomo - denuncia don Minutella - che ha continuato a vestirsi di bianco dopo aver detto che non sarebbe più intervenuto, lì, a 93 anni, scrive questi libri dove dice e non dice, parla e non parla, rendendoci ancora più confusi di quanto fa Bergoglio».SCOMUNICA PER ERESIA E SCISMAIl preteso campione della «Resistenza cattolica» - affermano alcuni testimoni - «avalla le sue dottrine con autori come San Tommaso d'Aquino stravolgendone i contenuti. Ha esortato tutti a non confessarsi più con altri sacerdoti che non appartengano al suo "piccolo resto". Ha chiesto di non ricevere la santa Eucaristia da costoro, che se celebrata in comunione con papa Francesco non sarebbe il Corpo del Signore, ma quello di satana; ha ordinato di non far battezzare i propri bambini da costoro, a non farsi nemmeno benedire dai pastori della Chiesa "ufficiale" per non riceverne maledizioni».Sono diverse le registrazioni audio e video che confermano queste parole, diffuse fra i seguaci su WhatsApp e su Telegram.«Ha detto in modo imperativo di non entrare nemmeno nei Santuari. Molte persone, credendo alle sue tesi, hanno iniziato a nutrire dubbi sulla validità dei propri matrimoni, dei battesimi, delle comunioni ricevute, precipitando nella desolazione più nera.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6045IL CORONAVIRUS E I MERCENARI CHE ABBANDONANO LE PECORE di Antonio SocciSi dicevano rivoluzionari e si sono svelati tanti pavidi don Abbondio. Niente più ponti, ma muri e molto alti, invalicabili. [...]Non si vede in giro nessun san Carlo Borromeo. Tutti rintanati nelle Curie. I "medici" che avrebbero dovuto curare le anime hanno abbandonato il gregge, addirittura aderendo senza nulla obiettare al decreto governativo che sospende in tutta Italia, fino al 3 aprile, le messe con la presenza di fedeli. Un fatto senza precedenti. [...]Per la prima volta in duemila anni il paese che è il centro della cristianità resterà totalmente, e per giorni, senza messa.Un evento che potrà lasciare indifferenti atei e agnostici, ma per milioni di cattolici è un vero choc. Non solo perché vengono privati del sacrificio eucaristico proprio in una tragica situazione epidemica, nella quale più si avverte il bisogno di pregare, ma anche per quello che la messa è di per sé. Padre Pio da Pietrelcina diceva: "il mondo potrebbe stare senza sole, ma non potrebbe stare senza la Santa Messa".Un paradosso con cui il santo mistico intendeva far capire l'infinito potere di intercessione e protezione che è - per l'umanità intera - il rinnovarsi quotidiano del sacrifico di Cristo sulla croce: il grande esorcismo che protegge il mondo dal male e dall'autodistruzione.Qualcuno evoca la profezia apocalittica di Daniele che vide un giorno "abolito il sacrificio quotidiano" ed "eretto l'abominio della desolazione". Di certo è un evento traumatico per la Chiesa.C'è chi sostiene che, in base al Concordato e anche alla Costituzione, è discutibile che le generiche parole del decreto governativo possano significare abolizione delle messe. Di certo la Segreteria di Stato vaticana e la Cei non hanno neanche tentato di opporsi o discuterne.Eppure avrebbero avuto ottime ragioni. Infatti non si vede perché sospendere le messe quotidiane in tutta Italia, quando centri commerciali, bar, ristoranti e metropolitane non vengono chiusi nemmeno nelle zone rosse. Così come viaggiano treni e aerei e tutti continuano a lavorare.MESSE, PERCHÉ NO?Perché mai a messa dovrebbe essere più facile il contagio che in ufficio, in metro o al ristorante? Oltretutto alle liturgie feriali partecipano quattro gatti e possono dunque stare molto distanziati.Sembra che il governo italiano [...] abbia - a dir poco - un pregiudizio negativo sulla messa... Ma Vaticano e Cei sono perfino peggio.Infatti - se anche avessero dovuto cedere - avrebbero potuto proporre che in ogni città venissero scelte almeno alcune chiese in cui poter celebrare messe continue (diciamo ogni due ore) per mandare ai fedeli e agli italiani il messaggio di una preghiera continua di intercessione per il nostro Paese e per permettere ai partecipanti di diluirsi in tante messe e quindi presenziare fisicamente a un metro di distanza.Nelle altre parrocchie i vescovi avrebbero potuto disporre l'adorazione permanente, per tutto il giorno, ancora una volta come preghiera costante per l'Italia, contro l'epidemia.Non solo. I vescovi che sospendono le messe e chiudono le chiese avrebbero dovuto mandare sacerdoti - o meglio andare loro stessi - come presenze fisse negli ospedali a disposizione dei malati (quelli di coronavirus e gli altri) e del personale medico e infermieristico.Che testimonianza se tutti i vescovi, in questi giorni, si fossero stanziati negli ospedali. Invece no, se ne stanno rintanati nelle curie.Talvolta sprofondando nell'assurdo come il vescovo di Firenze che è arrivato a scrivere: "il provvedimento governativo... sembra in qualche modo indicare nella preghiera privata una strada per continuare a nutrire la vita spirituale".Quasi che Conte, Casalino e Speranza fossero diventati i nuovi pastori della vita spirituale dei cristiani. [...]I vescovi hanno abdicato alle loro responsabilità. Potevano lanciare una grande preghiera per l'Italia lasciando tutte le chiese aperte, anche di notte. [...]Oggi tutta l'Italia è materialmente in ginocchio eccetto chi dovrebbe essere fisicamente in ginocchio: papa, cardinali e vescovi.Il messaggio che è arrivato al popolo - se ne sia coscienti o no - è terribile: sembra che nella disgrazia e nella sofferenza sia meglio lasciar perdere Dio, perché non serve a nulla. Ma se non serve lì, non serve mai (o bisogna ricordarsene solo per firmare l'otto per mille?).LA TESTIMONIANZA DEI MARTIRI E DEI SANTIPer la prima volta da secoli in una calamità come questa è stato totalmente cancellato Dio. Per venti secoli nella nostra terra è avvenuto il contrario. Tutte le nostre città hanno chiese che sono ex voto per la fine delle pestilenze, durante le quali le città si mettevano sotto la protezione della Madonna. Oggi si cancella Dio.È una situazione inaudita, che sta disorientando del tutto i cattolici, che si sentono abbandonati da quelli che dovrebbero essere i pastori, ma che si sentono anche privati della presenza di Dio nel momento in cui più forte è il bisogno di affidarsi e pregare. [...]La messa custodisce il vero tesoro della Chiesa e non saperlo difendere significa annientare la Chiesa.Nel Catechismo della Chiesa cattolica, voluto da Giovanni Paolo II e dal card. Ratzinger, si legge: " 'Senza la domenica non possiamo vivere' diceva il sacerdote e martire Saturnino all'inizio del secolo quarto, durante una delle più feroci persecuzioni anticristiane, quella di Diocleziano nel 304 d.C. Accusato di aver celebrato l'Eucaristia per la sua comunità, Saturnino ammette senza reticenza: 'Senza l'Eucaristia non possiamo vivere'. E una delle martiri aggiunse: 'Sì, sono andata all'assemblea e ho celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana' ".La Chiesa ha sempre indicato come esempio la loro testimonianza. E oggi? Il problema è il venir meno della fede e la dimenticanza di Cristo.C'è una domanda di Gesù, nel Vangelo, che faceva riflettere Paolo VI. Dove chiede: "Quando il Figlio dell'uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?" (Lc 18, 8).In Italia, per ora, sì. [...] Nelle curie la ricerca sarebbe molto più faticosa e forse senza esito.Nota di BastaBugie: diversi parroci in tutta Italia hanno cercato di stare vicini ai fedeli in questo momento particolare trovando soluzioni possibili senza disobbedire alla legittima autorità.C'è chi si fa trovare più spesso del solito al confessionale e dopo la confessione propone immediatamente la comunione fuori dalla Messa, c'è chi espone il Santissimo Sacramento in chiesa (almeno la domenica) affinché la preghiera personale sia comunque una preghiera fortemente eucaristica (in attesa di poter partecipare di nuovo la Santo Sacrificio), c'è chi è sempre a disposizione per i fedeli per benedire le loro bottigliette d'acqua che poi portano a casa per utilizzarle come sacramentale.Insomma problemi nuovi trovano soluzioni antiche che hanno sempre aiutato spiritualmente il popolo cristiano a superare i momenti di difficoltà.Scriveteci le idee più originali che vedete applicare dai vostri pastori. Pubblicheremo le più significative.DOSSIER "CORONAVIRUS"Per vedere tutti gli articoli, clicca qui! Titolo originale: Contro il Covid2019 dovevano bloccare l'Italia e invece hanno sospeso le MesseFonte: Libero, 9 marzo 2020Pubblicato su BastaBugie n. 655
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5905OMELIA MARIA MADRE DI DIO - ANNO A (Lc 2,16-21)Oggi è il primo giorno dell'anno e, come ogni anno, in questa giornata celebriamo la solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Questa Festa è stata collocata dal papa Paolo VI otto giorni dopo la solennità del Natale. Secondo la legge d'Israele, otto giorni dopo la nascita di un bambino ci doveva essere il rito della circoncisione; per questo motivo il brano del Vangelo di oggi riporta anche il racconto di quell'avvenimento nella vita del piccolo Gesù. Provvidenzialmente questo ottavo giorno dopo il Natale coincide con il primo dell'anno, ed è cosa molto bella iniziare un nuovo anno nel Nome di Maria, celebrando una Festa che è tra le più belle in suo onore.Dire che la Madonna è Madre di Dio sembrava cosa troppo ardita, anzi, impossibile. Come può una creatura essere chiamata con il titolo di Madre di Dio? Ecco che nei primi secoli del Cristianesimo si discusse molto se era lecito o no usare un tale termine. La risposta definitiva venne con il Concilio di Efeso nel 431. Durante questo Concilio, i vescovi lì riuniti insegnarono che è Verità di fede affermare che la Madonna è Madre di Dio per il semplice fatto che Gesù è la Seconda Persona della Santissima Trinità che, nella pienezza dei tempi, si è incarnata, ha preso la nostra natura umana. Gesù, dunque, è vero Dio e vero uomo. È un'unica persona, la Seconda Persona della Santissima Trinità, in due nature: la natura divina preesistente e la natura umana. Dal momento che la persona è comunque divina, la Vergine Maria è Madre di Dio.Diventare Madre di Dio è il massimo a cui possa arrivare una persona umana. Per questo motivo, alcuni antichi teologi parlavano di Maria come il confine tra il creato e l'increato: al di là di questo confine vi è solo Dio.La Madonna non è solamente Madre di Dio ma è anche Madre nostra. Questa è una verità molto consolante. Diventando Madre di Gesù, Maria è diventata anche Madre nostra, di noi che siamo le membra del Corpo mistico di Cristo. Oggi, in questa bella Solennità, siamo chiamati a riflettere sull'importanza della devozione mariana. Il papa Paolo VI, in una predica, insegnava che non si può essere cristiani senza essere mariani, ovvero senza nutrire una tenera devozione alla Madonna. La devozione alla Madonna non è qualcosa di facoltativo, lasciato alla nostra libera decisione, ma è qualcosa di essenziale per il semplice fatto che siamo cristiani e Gesù vive in noi. Se vive in noi, Gesù ama in noi. Ama il suo Padre Celeste e ama la sua Madre Immacolata. Per questo motivo possiamo dire che la devozione mariana è come un segno bellissimo della presenza di Gesù in noi: non siamo noi ad amare l'Immacolata, ma è Gesù che la ama in noi. Tutti pertanto devono essere devoti alla Madonna e, quanto più lo saremo, tanto più assomiglieremo a Gesù.Una grande devozione alla Madonna è il modo più bello e più facile per giungere alla salvezza eterna. Diversi Santi ci assicurano che non si perderà colui che ama la Madonna e la prega con perseveranza. Sia questo dunque il nostro impegno nel nuovo anno che è appena iniziato: pregare con fiducia e perseveranza Colei che è la nostra Madre.Si racconta che san Bernardino da Siena, quando era ancora giovane, giunta la sera, usciva di casa e vi ritornava dopo diverso tempo. Una sua parente, temendo che il giovane Bernardino avesse trovato qualche brutta compagnia, una sera lo seguì di nascosto; ma fu grande la sua consolazione quando vide che egli, uscito dalla porta della città, si fermava davanti ad una immagine mariana che aveva "rapito il suo cuore", e lì pregava a lungo. Rassicurata da ciò, la parente tornò a casa in pace.Imitiamo questo esempio. Cerchiamo anche noi una immagine mariana che ci piaccia e che parli al nostro cuore; rechiamoci spesso a visitarla, e parliamole "con il cuore in mano". Saranno quelli i momenti più belli della giornata. Ella, la nostra Madre tenerissima, avrà sempre qualche nodo da scioglierci.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5712PER CONOSCERE DAVVERO L'AUTORE DEL SIGNORE DEGLI ANELLI VA LETTA LA SUA BIOGRAFIA di Rino CammilleriDormiva non più di cinque ore per notte. Dopo quattro figli, lui e la moglie decisero per le camere separate, perché lui russava. Si alzava prestissimo al mattino, svegliava i tre maschietti e, con loro, in bicicletta faceva qualche chilometro per andare a messa nella chiesa cattolica più vicina. Al ritorno faceva colazione (a quel tempo per fare la comunione occorreva essere digiuni dalla sera precedente) e si sbarbava.Da buon inglese conservatore era metodico nelle sue abitudini. Odiava i dandy (che sospettava di omosessualità) alla Oscar Wilde e perciò si vestiva in modo usuale a comodo, flanella e tweed. Tanto, a lezione indossava la toga e si metteva il tight solo se c'era qualche cena accademica a cui dover presenziare. Unici svaghi, la pipa e la conversazione con gli amici davanti a una pinta.Si innamorò di sua moglie quando aveva sedici anni, e fu un amore contrastato. Edith si chiamava, e fu l'unica donna della sua vita. Quando doveva portare i bambini in vacanza al mare, era nei luoghi più scontati e banali della media borghesia inglese. Odiava tutto ciò che era francese, a cominciare dalla cucina. Conoscendo i sapori e la varietà di quest'ultima rispetto a quella inglese ci sarebbe da restare allibiti, ma questo aiuta a capire l'uomo e il suo amore sconfinato per tutto quanto era inglese. Per lo stesso motivo viaggiò pochissimo e solo per necessità.Nel Signore degli Anelli ciò che scoraggia la lettura nel neofita sono le prime quasi trecento pagine, tutte dedicate alla descrizione del mondo degli Hobbit. Ebbene, qualcuno ha arguito che Tolkien non dovette fare altro che osservare se stesso, la sua passione per la tradizione, per le abitudini consolidate, per la vita pacifica e senza scossoni. Infatti, Bilbo, the hobbit, piange perché «le avventure non finiscono mai».Per tutto ciò Tolkien «fu, per dirla con un'espressione moderna, un uomo di destra». Così scrive Humphrey Carpenter nel suo corposo J.R.R.Tolkien. La biografia (Lindau, pp. 438, €. 28). Un uomo di destra «per il fatto che onorava il suo re e la sua patria e non credeva nella capacità di governo del popolo». Per lui la democrazia richiedeva «princìpi spirituali» che si corrompevano nel «tentativo di renderli meccanici e formali». Così scriveva lui stesso. E concludeva, profeticamente: «Fino al giorno in cui qualche Orco non entrerà in possesso dell'Anello del Potere: e allora quello che otterremo, e stiamo ottenendo, sarà la schiavitù».Sempre per gli stessi motivi, «un'altra fonte di infelicità fu, in età avanzata, l'abolizione della messa in latino». Proprio lui, il linguista, lui che aveva creato un'intera mitologia per supportare con una saga le lingue che aveva inventato, il quenya e il sindarin di radici finniche e celtiche: se c'era uno che conosceva in profondità il significato di una lingua antichissima e universale era lui, lui che nella sua opera immortale aveva spiegato come certe porte potessero aprirsi solo al suono di una certa lingua, e solo a quello. Forse era troppo vecchio per firmare l'appello che una sessantina di intellettuali inglesi (tra cui lord Acton, Malcom Muggeridge, Agatha Christie) rivolse in quegli anni a Paolo VI affinché la messa di san Pio V restasse immutata.Tolkien, come si è detto, non amava viaggiare. Non ne aveva bisogno, viaggiava la sua fantasia, capace di creare «un progetto grandioso e stupefacente, che ha pochi eguali nella storia della letteratura». Cominciò con un quaderno di appunti, The Book of Lost Tales, «Il libro dei racconti perduti», che poi sarebbe stato conosciuto come Il Silmarillion. Le storie della Terra di Mezzo (Middle Earth, dal norvegese Midgard) costituiscono, con Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, compresi i mille rivoli che da essi si dipartono (come I figli di Hurin, per esempio), l'invidia di ogni scrittore, il cui sogno è passare alla storia con una sola invenzione. E magari farci tanti quattrini, come la Rowling con il suo Harry Potter. Con la differenza che la profondità del lavoro di Tolkien il maghetto se la sogna. Non per niente Tolkien «aveva sempre la sensazione di registrare qualcosa che esisteva già, da qualche parte, e non di "inventare"».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5657LIBERTA' DI RELIGIONE NON VUOL DIRE CHE LE RELIGIONI SONO TUTTE UGUALI ED HANNO GLI STESSI DIRITTI di Silvio BrachettaDal 1969 è attiva la Commissione teologica internazionale (CTI), istituita da Paolo VI per «aiutare la Santa Sede e precipuamente la Congregazione per la Dottrina della Fede nell'esaminare delle questioni dottrinali di maggior importanza». L'ultima questione esaminata - in un recente documento - è lo stato dell'arte della libertà religiosa nel nostro tempo, alla luce della Dignitatis humanae.Il lettore trova ora le medesime difficoltà che aveva leggendo la Dignitatis humanae: non è quasi mai possibile distinguere se il discorso è da applicarsi a tutte le religioni o alla sola religione cristiana cattolica. S'intuisce, nella lettura, che il redattore chieda il rispetto della libertà religiosa da parte degli stati, in forza di un certo numero di elementi in comune tra le religioni, nella simultanea esposizione delle peculiarità del cattolicesimo. La redazione, tuttavia, è posta in modo che non si possa mettere a fuoco quali siano esattamente le analogie e le differenze tra il cattolicesimo e le altre credenze, generando in chi legge l'idea dell'equivalenza sostanziale di ogni religione. Non solo, ma si è portati a pensare che ci sia qualcosa al di sopra delle religioni - la libertà, appunto - che le trascende e le supera, come se la religione (in generale, ma la cattolica in particolare) fosse solo il penultimo orizzonte di senso per l'uomo. IL MAGISTERO NON EVOLVEIl documento si fonda su di un presupposto teologico errato: la «più approfondita intelligenza della fede» - della quale è espressione sia la Dignitatis humanae che il pronunciamento attuale - implicherebbe «una novità di prospettiva e un diverso atteggiamento a riguardo di alcune deduzioni e applicazioni del magistero antecedente». In altre parole, in questo come in altri casi, si avrebbe «una maturazione del pensiero del magistero». Il magistero della Chiesa, al contrario, non è il risultato di «deduzioni» o di un «pensiero», come se si trattasse di costruire una filosofia in continuo sviluppo verso la verità. Il magistero è l'insegnamento attraverso cui la Chiesa trasmette inalterato il deposito della fede, qualunque sia il livello storico dell'intelligenza della fede raggiunto da una data civiltà.Certamente il cristianesimo ha sviluppato una teologia, che si basa pure su pensieri e deduzioni, ma il magistero non è teologia. Il magistero, inoltre, ha a che fare con l'unica e corretta interpretazione delle Sacre Scritture: una tale interpretazione proviene esclusivamente dalle parole e dalle opere dei santi (anche dottori della Chiesa) e dei martiri, non da un concilio, da un pontefice o da una commissione che si occupa di un aspetto della Rivelazione. I concili e i pontefici ratificano e confermano infallibilmente l'autorità dei santi e dei martiri, ma non la creano e, soprattutto, non la deducono da elucubrazioni umane. La stessa teologia non piega il dato della fede alla ragione ma, viceversa, piega la ragione al dato della fede, fermo restando che la ragione umile (guidata alla fede) non viene piegata, ma rafforzata.È fuorviante, per questi motivi, scrivere di «evoluzione omogenea della dottrina», perché si presta all'equivoco: il termine «evoluzione» porta istintivamente a pensare ad una trasformazione, ad un cambiamento della verità rivelata e del dogma. FORO INTERNO E FORO ESTERNOE proprio nel nome dell'evoluzione, il documento è critico nei confronti del magistero precedente in tema di libertà religiosa. È critico soprattutto con la Mirari Vos di Gregorio XVI e con la Quanta Cura di Pio IX: le encicliche avrebbero espresso il magistero circa la libertà di coscienza non in quanto verità rivelata, ma viziate da contingenze storiche. Sorprende l'affermazione della CTI secondo cui i due pontefici si sarebbero pronunciati condannando la libertà di coscienza per via di «una certa configurazione ideologica dello Stato, che aveva interpretato la modernità della sfera pubblica come emancipazione dalla sfera religiosa». Non sono, però, le contingenze storiche che condizionano il magistero ordinario dei pontefici ma, al contrario, le contingenze storiche sono lette alla luce della Rivelazione.In realtà il problema è un altro. Proprio a partire sulla dottrina circa la libertà di coscienza, la Mirari Vos e la Quanta Cura riespongono l'insegnamento della Chiesa secondo cui in foro interno - ovvero all'interno della coscienza di ognuno - l'uomo non può essere forzato a scegliere cosa credere, mentre in foro esterno - nella società - non si ha alcun diritto di professare l'errore. L'errore, infatti, provoca non solo peccati personali, ma incide sull'ordinamento stesso del consorzio umano: per questo, tra l'altro, si tratta di un insegnamento che fa parte della Dottrina sociale della Chiesa.Pio IX, citando Gregorio XVI, in particolare, definisce un «delirio» il pensiero secondo il quale «la libertà di coscienza e dei culti» è un «diritto proprio di ciascun uomo, che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società», così che i cittadini abbiano «diritto ad una totale libertà». Non solo, ma nel Sillabo allegato alla Quanta Cura è riconosciuto come falso il principio che concede a tutti «qualsivoglia culto», in modo che si possa «manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico»: si tratta dell'errore riconducibile all'«indifferentismo religioso». SOVRASTRUTTURE A MONTE DELLA RELIGIONENel pronunciamento della CTI non solo non è presente l'insegnamento summenzionato dei pontefici, ma è persino criticato, in vista del fatto che la dottrina dev'essere rivista alla luce del presente, in modo che possa subire l'evoluzione auspicata. Vengono, in tal modo, riproposti i quattro argomenti cardine della Dignitatis Humanae, tra cui quello dell'«integrità della persona umana», ossia «l'impossibilità di separare la sua libertà interiore dalla sua manifestazione pubblica». Se è certo che esista una tale impossibilità - poiché l'uomo opera quello che crede - è altrettanto certo (secondo il magistero) che lo Stato ha il dovere di reprimere le opere conseguenti a convincimenti errati. Non si può non prendere in considerazione che una cosa è il libero convincimento interiore e un'altra è la conseguenza pubblica che segue alla convinzione.Si giunge così ad affermare il «principio di libertà religiosa ormai chiaramente definito in quanto diritto civile del cittadino» e non già come espressione del magistero. Il tutto è rivisto, insomma, «in una prospettiva aperta alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo». Ritorna così di continuo il problema della sovrastruttura: a monte della religione - e a maggior ragione la cattolica - ci sarebbe, per i redattori del documento, un principio ultimo a cui dover rendere conto, che supera la legge di Dio e che corrisponde alle prospettive moderne dello stato liberale. Parrebbe, ci sarebbe, sembrerebbe: non si può fare a meno di usare il condizionale, perché il documento è ambiguo circa molti aspetti del magistero. Ritorna spesso il riferimento al «bene comune», senza tuttavia definirlo con precisione e senza relazionarlo chiaramente con la verità o con la necessità di aderire alla religione vera. RELIGIONE IN SENSO ORIZZONTALELa CTI alle volte si esprime apoditticamente: c'è un «dovere morale di non agire mai contro il giudizio della propria coscienza - persino quando questa sia invincibilmente erronea», per cui esiste un «diritto della persona di non essere mai costretta da nessuno ad agire contro la propria coscienza, specialmente in materia religiosa». Non è esattamente così: il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «l'essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza». La CTI, quindi, omette di dire che c'è sì il dovere morale di non agire contro la propria coscienza, ma solo se il giudizio è «certo». Proprio perché anche la CTI insiste sulla necessità della formazione di una coscienza retta, è strano che non insista con altrettanta forza sul dovere dello stato di contrastare i frutti di una scelta fondata sul giudizio di una coscienza (ancorché certa) vincibilmente o invincibilmente erronea.C'è solo un riferimento - peraltro presente anche nella Dignitatis Humanae - al fatto che «le autorità civili hanno il dovere correlativo di rispettare e di far rispettare» il diritto alla libertà religiosa «nei giusti limiti del bene comune». Tutto qui. Non si ammette che le religioni acattoliche e l'eresia in genere sono fonti storiche di grandi ingiustizie e sconvolgimenti sociali, di cui il potere politico non ha mai potuto prescindere. È taciuta la regalità sociale di Cristo, è taciuto il fatto che «l'obbedienza della fede» paolina è sì una libera adesione della coscienza, ma viene realizzata anche con l'educazione cristiana, che i genitori impartiscono obbligatoriamente ai propri figli.C'è il riferimento alla «priorità della suprema signoria di Dio», a cui bisogna obbedire, immediatamente contrastata però dal noto "ma" avversativo, proprio della teologia moderna. Questa obbedienza - continua la CTI - non è «tuttavia in alternativa al costituirsi di un legittimo potere di governo del popolo, che risponde a regole intrinseche [...]». Al di là del gioco retorico, il ragionamento è chiaro: la suprema signoria di Dio viene prima di tutto, «tuttavia» ("ma" avversativo) lo stato ha regole intrinseche che possono avere la priorità sulla signoria di Dio.Lo stato dunque, secondo il documento, deve solo prendere atto che vi è un diritto alla libertà religiosa, di qualunque religione si tratti. Le religioni - qualunque religione - sono tenute alla ricerca del dialogo e della pace, nel rifiuto della violenza.
Caterina Benincasa, senese, fu canonizzata da papa Pio II nel 1461 e dichiarata Dottore della Chiesa da papa Paolo VI nel 1970. È Patrona d’Italia con San Francesco d’Assisi ed è considerata ancora oggi una vera e propria “maestra di spiritualità”.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6502IL TERRORISTA CESARE BATTISTI HA AMMESSO I QUATTRO OMICIDI E CHIESTO SCUSA AI FAMILIARI di Roberto de MatteiIl terrorista rosso Cesare Battisti, interrogato nel carcere di Oristano dal Pubblico Ministero di Milano Alberto Nobili, ha «ammesso tutti gli addebiti, ossia i quattro omicidi, tra cui due di cui è stato esecutore». Lo ha detto il procuratore di Milano Francesco Greco in una conferenza stampa.Quattro di questi delitti sono stati materialmente commessi da Battisti: quello del maresciallo di polizia penitenziaria Antonio Santoro, ucciso a Udine il 6 giugno 1978 perché «perseguitava i detenuti politici»; quello del gioielliere Pierluigi Torregiani e del commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Movimento Sociale Italiano, uccisi entrambi il 16 febbraio 1979, il primo a Milano e il secondo a Mestre, «perché si erano armati contro i rapinatori, quindi erano miliziani schierati dalla parte dello Stato e andavano puniti».Infine, quello dell'agente della Digos Andrea Campagna, al quale Battisti ha sparato a Milano il 19 aprile 1978. L'esponente dei Proletari Armati per il Comunismo (PAC) ha ammesso anche tre ferimenti. A essere «gambizzati» sono stati Giorgio Rossanigo, un medico del carcere di Novara «troppo severo nei confronti dei detenuti politici», Diego Fava, medico dell'Alfa Romeo che «non rilasciava facilmente certificati ai lavoratori politicizzati», e Antonio Nigro, guardia nel carcere di Verona.Al PM Nobili, che gli chiede chi l'abbia aiutato nella latitanza, Battisti risponde che all'estero sono stati «partiti, intellettuali e mondo editoriale» a dargli «sostegno ideologico e logistico. Lo hanno fatto per ragioni ideologiche e di solidarietà. Non so se queste persone si siano mai chieste se fossi responsabile di ciò per cui sono stato condannato». «Per molti non si poneva il problema», ma «sono stato anche supportato perché mi dichiaravo innocente, perché in molti paesi non è pensabile una condanna in contumacia e perché davo l'idea di un combattente per la libertà».CHIEDO SCUSA AI FAMILIARIQuando il pm gli chiede se ha altro da dire, Battisti, risponde: «Chiedo scusa ai familiari delle persone che ho ucciso o alle quali ho fatto del male. La lotta armata è stata disastrosa ed ha stroncato la rivoluzione positiva, sociale e culturale, cominciata nel '68. Per me e per gli altri era una guerra giusta, oggi provo disagio a ricostruire momenti che non possono che provocare una mia revisione. Parlare oggi di lotta armata per me è qualcosa privo di senso» (Corriere della Sera, 25 marzo 2019).Questa "auto-assoluzione" non ha niente a che fare con il pentimento. Questo presuppone infatti un giudizio sui propri atti alla luce del bene e del male, e un conseguente sentimento di dolore e di contrizione, mentre il criterio di giudizio di Battisti resta quello gramsciano della filosofia della prassi: i suoi atti sono sbagliati, perché la lotta armata è stata incapace di attuare la Rivoluzione comunista in Italia. Ciò che di più grave emerge nell'intervista è però l'ammissione dell'esistenza di una rete di copertura ideologica, composta da uomini che ancora oggi occupano posti chiave e che mai saranno pubblicamente condannati.Tra i personaggi che hanno affermato l'innocenza di Cesare Battisti ci sono Gabriel Garcia Marquez e Bernard Henry-Levy e molti intellettuali di diversi Paesi, che escludevano a priori che Battisti potesse essere un assassino e accusavano di violenza e di repressione lo Stato italiano. Le loro opinioni, erano diffuse dai mass media che, costretti ad ammettere l'evidenza, hanno però evitato di mettere sotto accusa i 1500 firmatari della richiesta di scarcerazione di Battisti, dopo il suo arresto avvenuto in Francia nel 2004.La maggior parte dei terroristi, condannati o sotto inchiesta da parte della magistratura italiana nei cosiddetti "anni di piombo" trovarono accoglienza oltralpe, grazie alla "dottrina Mitterand" (1982), con cui l'allora presidente francese concedeva loro lo status di rifugiati politici. Questo riconoscimento li sottraeva alle indagini e bloccava ogni richiesta di estradizione.L'ABBÉ PIERRE, ISPIRATORE DELLA DOTTRINA MITTERRANDL'unica condizione era che i destinatari non fossero ricercati per atti diretti contro lo Stato francese e avessero rinunciato (almeno a parole) a ogni forma di violenza politica. L'ispiratore della "dottrina Mitterrand" fu un noto sacerdote francese, Henri Antoine Grouès, detto Abbé Pierre (1912-2007), attivista politico vicino all'estrema sinistra, fondatore nel 1949 dei Compagnons d'Emmaüs, un'organizzazione fondata sul mito dell'accoglienza agli emarginati. Tra questi erano i terroristi rossi, di cui l'abbé Pierre era un protettore (cfr, Silvano De Prospo e Rosario Priore, Chi manovrava le Brigate Rosse, Ponte alle Grazie, 2010).L'abbé Pierre criticò spesso sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, pronunciandosi a favore della possibilità di ordinare sacerdoti anche le donne e gli uomini sposati e sostenendo il diritto degli omosessuali di avere relazioni stabili e ad allevare figli. Prima di morire confessò di aver avuto con delle donne delle relazioni sessuali, anche se non stabili.Nel libro autobiografico, Mon Dieu... pourquoi? ("Dio mio... perché?"), parlando della "forza del desiderio", afferma: «Mi è accaduto di cedervi in modo passeggero. Ma non ho avuto mai un legame regolare, perché non ho lasciato che il desiderio sessuale prendesse radici» (La Repubblica, 27 ottobre 2005).In Italia l'abbé Pierre fece tappa più volte nell'aretino, dove prosperavano quattro comunità di Emmaus e incontrava spesso i vescovi della diocesi che le proteggevano, fra cui il cardinale Gualtiero Bassetti, vescovo di Arezzo dal 1998 al 2009 e oggi presidente della Conferenza Episcopale Italiana.In una recente intervista, il cardinale Bassetti ha preso le distanze dal prossimo Congresso di Verona sulla famiglia, affermando che l'unica famiglia umana è quella composta dai migranti che «sono gli ultimi, i piccoli e i poveri di questo mondo e come disse Paolo VI i poveri appartengono alla Chiesa per "diritto evangelico". Con altrettanta fermezza vorrei ribadire un concetto che forse scomoda i benpensanti: per un cattolico è assolutamente immorale vedere nel migrante un nemico da combattere o da odiare».L'abbé Pierre morì il 22 gennaio 2007, a 93 anni. «Merci l'abbé Pierre de nous avoir donné un tel exemple», disse nella sua omelia funebre a Notre Dame il cardinale Philippe Barbarin, condannato il 19 febbraio 2019, in primo grado, a sei mesi di carcere con la condizionale per aver coperto gli abusi sessuali di un sacerdote francese. «Voi scomparite - disse allora - e noi, come i compagni di Emmaus, ripartiamo di buon passo, oggi, per testimoniare questo amore e servire gli altri, fino al nostro ultimo respiro».«Grazie all'Abbé Pierre di averci dato un tale esempio», commentò
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5602IL TERRORISTA CESARE BATTISTI HA AMMESSO I QUATTRO OMICIDI E CHIESTO SCUSA AI FAMILIARI di Roberto de MatteiIl terrorista rosso Cesare Battisti, interrogato nel carcere di Oristano dal Pubblico Ministero di Milano Alberto Nobili, ha «ammesso tutti gli addebiti, ossia i quattro omicidi, tra cui due di cui è stato esecutore». Lo ha detto il procuratore di Milano Francesco Greco in una conferenza stampa.Quattro di questi delitti sono stati materialmente commessi da Battisti: quello del maresciallo di polizia penitenziaria Antonio Santoro, ucciso a Udine il 6 giugno 1978 perché «perseguitava i detenuti politici»; quello del gioielliere Pierluigi Torregiani e del commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Movimento Sociale Italiano, uccisi entrambi il 16 febbraio 1979, il primo a Milano e il secondo a Mestre, «perché si erano armati contro i rapinatori, quindi erano miliziani schierati dalla parte dello Stato e andavano puniti».Infine, quello dell'agente della Digos Andrea Campagna, al quale Battisti ha sparato a Milano il 19 aprile 1978. L'esponente dei Proletari Armati per il Comunismo (PAC) ha ammesso anche tre ferimenti. A essere «gambizzati» sono stati Giorgio Rossanigo, un medico del carcere di Novara «troppo severo nei confronti dei detenuti politici», Diego Fava, medico dell'Alfa Romeo che «non rilasciava facilmente certificati ai lavoratori politicizzati», e Antonio Nigro, guardia nel carcere di Verona.Al PM Nobili, che gli chiede chi l'abbia aiutato nella latitanza, Battisti risponde che all'estero sono stati «partiti, intellettuali e mondo editoriale» a dargli «sostegno ideologico e logistico. Lo hanno fatto per ragioni ideologiche e di solidarietà. Non so se queste persone si siano mai chieste se fossi responsabile di ciò per cui sono stato condannato». «Per molti non si poneva il problema», ma «sono stato anche supportato perché mi dichiaravo innocente, perché in molti paesi non è pensabile una condanna in contumacia e perché davo l'idea di un combattente per la libertà».CHIEDO SCUSA AI FAMILIARIQuando il pm gli chiede se ha altro da dire, Battisti, risponde: «Chiedo scusa ai familiari delle persone che ho ucciso o alle quali ho fatto del male. La lotta armata è stata disastrosa ed ha stroncato la rivoluzione positiva, sociale e culturale, cominciata nel '68. Per me e per gli altri era una guerra giusta, oggi provo disagio a ricostruire momenti che non possono che provocare una mia revisione. Parlare oggi di lotta armata per me è qualcosa privo di senso» (Corriere della Sera, 25 marzo 2019).Questa "auto-assoluzione" non ha niente a che fare con il pentimento. Questo presuppone infatti un giudizio sui propri atti alla luce del bene e del male, e un conseguente sentimento di dolore e di contrizione, mentre il criterio di giudizio di Battisti resta quello gramsciano della filosofia della prassi: i suoi atti sono sbagliati, perché la lotta armata è stata incapace di attuare la Rivoluzione comunista in Italia. Ciò che di più grave emerge nell'intervista è però l'ammissione dell'esistenza di una rete di copertura ideologica, composta da uomini che ancora oggi occupano posti chiave e che mai saranno pubblicamente condannati.Tra i personaggi che hanno affermato l'innocenza di Cesare Battisti ci sono Gabriel Garcia Marquez e Bernard Henry-Levy e molti intellettuali di diversi Paesi, che escludevano a priori che Battisti potesse essere un assassino e accusavano di violenza e di repressione lo Stato italiano. Le loro opinioni, erano diffuse dai mass media che, costretti ad ammettere l'evidenza, hanno però evitato di mettere sotto accusa i 1500 firmatari della richiesta di scarcerazione di Battisti, dopo il suo arresto avvenuto in Francia nel 2004.La maggior parte dei terroristi, condannati o sotto inchiesta da parte della magistratura italiana nei cosiddetti "anni di piombo" trovarono accoglienza oltralpe, grazie alla "dottrina Mitterand" (1982), con cui l'allora presidente francese concedeva loro lo status di rifugiati politici. Questo riconoscimento li sottraeva alle indagini e bloccava ogni richiesta di estradizione.L'ABBÉ PIERRE, ISPIRATORE DELLA DOTTRINA MITTERRANDL'unica condizione era che i destinatari non fossero ricercati per atti diretti contro lo Stato francese e avessero rinunciato (almeno a parole) a ogni forma di violenza politica. L'ispiratore della "dottrina Mitterrand" fu un noto sacerdote francese, Henri Antoine Grouès, detto Abbé Pierre (1912-2007), attivista politico vicino all'estrema sinistra, fondatore nel 1949 dei Compagnons d'Emmaüs, un'organizzazione fondata sul mito dell'accoglienza agli emarginati. Tra questi erano i terroristi rossi, di cui l'abbé Pierre era un protettore (cfr, Silvano De Prospo e Rosario Priore, Chi manovrava le Brigate Rosse, Ponte alle Grazie, 2010).L'abbé Pierre criticò spesso sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, pronunciandosi a favore della possibilità di ordinare sacerdoti anche le donne e gli uomini sposati e sostenendo il diritto degli omosessuali di avere relazioni stabili e ad allevare figli. Prima di morire confessò di aver avuto con delle donne delle relazioni sessuali, anche se non stabili.Nel libro autobiografico, Mon Dieu... pourquoi? ("Dio mio... perché?"), parlando della "forza del desiderio", afferma: «Mi è accaduto di cedervi in modo passeggero. Ma non ho avuto mai un legame regolare, perché non ho lasciato che il desiderio sessuale prendesse radici» (La Repubblica, 27 ottobre 2005).In Italia l'abbé Pierre fece tappa più volte nell'aretino, dove prosperavano quattro comunità di Emmaus e incontrava spesso i vescovi della diocesi che le proteggevano, fra cui il cardinale Gualtiero Bassetti, vescovo di Arezzo dal 1998 al 2009 e oggi presidente della Conferenza Episcopale Italiana.In una recente intervista, il cardinale Bassetti ha preso le distanze dal prossimo Congresso di Verona sulla famiglia, affermando che l'unica famiglia umana è quella composta dai migranti che «sono gli ultimi, i piccoli e i poveri di questo mondo e come disse Paolo VI i poveri appartengono alla Chiesa per "diritto evangelico". Con altrettanta fermezza vorrei ribadire un concetto che forse scomoda i benpensanti: per un cattolico è assolutamente immorale vedere nel migrante un nemico da combattere o da odiare».L'abbé Pierre morì il 22 gennaio 2007, a 93 anni. «Merci l'abbé Pierre de nous avoir donné un tel exemple», disse nella sua omelia funebre a Notre Dame il cardinale Philippe Barbarin, condannato il 19 febbraio 2019, in primo grado, a sei mesi di carcere con la condizionale per aver coperto gli abusi sessuali di un sacerdote francese. «Voi scomparite - disse allora - e noi, come i compagni di Emmaus, ripartiamo di buon passo, oggi, per testimoniare questo amore e servire gli altri, fino al nostro ultimo respiro».«Grazie all'Abbé Pierre di averci dato un tale esempio», commentò a sua volta il giornale dei vescovi italiani, annunziando la «partenza» dell'abbé Pierre «per le Grandi vacanze», come egli chiamava la morte (Avvenire, 21 gennaio 2017). [...]Nota di BastaBugie: per approfondire la storia di Cesare Battisti e soprattutto perché è finalmente in prigione, clicca sul seguente link per leggere l'articolo da noi precedentemente rilanciato.CHI E' CESARE BATTISTI E PERCHE' SCONTERA' FINALMENTE I SUOI CRIMINI IN PRIGIONEMembro dei Proletari Armati per il Comunismo, tanti reati, quattro delitti, condanne definitive... eppure Battisti ha goduto di immunità e coperture per quarant'anni (ed è tuttora difeso da fior di intellettuali di sinistra)di Stefano Magnihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5503
Le canonizzazioni sono atti infallibili della Chiesa? Il prof. de Mattei risponde a questa questione prendendo spunto dalla recente canonizzazione di Paolo VI.
Le canonizzazioni sono atti infallibili della Chiesa? Il prof. de Mattei risponde a questa questione prendendo spunto dalla recente canonizzazione di Paolo VI.
Chi era davvero Rol? Quali erano le sue incredibili doti? Ce lo spiegherà Giuditta Dembech una delle persone a lui più vicine, nel corso della nuova puntata di Border Nights - La notte ai confini in diretta dalle 22 su Web Radio Network . Gli altri ospiti saranno Paolo Rumor sulle origini occulte dell'Europa e Pietro Orsatti sulla strage di Portella della Ginestra.Inizio di puntata come sempre con Paolo Franceschetti e Federica Francesconi, per commentare una delle notizie della settimana.ROL RACCONTATO DA GIUDITTA DEMBECHPrimo collegamento della serata con Giuditta Dembech. Vicina per 25 anni al grande Gustavo Adolfo Rol. "La nostra amicizia, durata vent'anni, fino al giorno in cui ci ha lasciati per una dimensione diversa... già da quel primo attimo al telefono, Lui ha "visto " o sentito qualcosa, che ho compreso soltanto molti anni dopo; in quell'attimo, Lui mi ha scelta...Non so dirvi perchè, ma Lui SAPEVA che poteva fidarsi. Ero giovane, spigliata, coraggiosa, intelligente, scrivevo in modo semplice e scorrevole, sapevo parlare in pubblico (lavoravo già nell'emittenza privata e avevo pubblicato quattro titoli) ma soprattutto, sapeva con assoluta certezza che gli avrei voluto bene e che non lo avrei mai tradito.... Nel corso degli anni, decise di accettare di dialogare con me davanti all'odiato registratore, o di essere registrato al telefono (lo ha sempre saputo)... Mi raccontò la sua vita, le cose che voleva tramandare, il suo rammarico per non essere stato capito, le sue speranze per un'umanità migliore...Quei nastri, che negli anni avevo sparpagliati qua e là, divennero il suo Testamento Spirituale, preziosissimi. Talmente preziosi che non potevo permettermi di perderli o che andassero distrutti, così li ho pubblicati in CD, allegati a quel libro che lui desiderava tanto, con il titolo e la copertina che mi aveva richiesto...Lui poteva scegliere fra le centinaia di scrittori che gli ruotavano attorno, non so perchè ma mi ha scelta.... A Renzo Allegri e Remo Lugli ha concesso di raccontare i suoi esperimenti, a me ha raccontato il suo pensiero, dalla sua stessa voce, perchè non ci fossero equivoci!! Personaggio simbolo della "New Age" italiana, Giuditta Dembech è scrittrice, giornalista, teosofa e divulgatrice. Ha dedicato la sua vita alla ricerca e alla comunicazione. Autrice di successo ha scritto molti libri. Tiene conferenze, seminari e spesso partecipa a trasmissioni. Recentemente, Giuditta Dembech, è stata invitata a tenere lezioni sulla New Age alla Facoltà di Teologia dell'Università di Torino ed all'Università di Verona, dipartimento di Scienze della Comunicazione.L'ALTRA EUROPA: LE ORIGINI OCCULTE DELL'UNIFICAZIONENella seconda parte sarà con noi Paolo Rumor autore insieme a Giorgio Galli e Loris Bagnara de "L'altra Europa - Miti, congiure ed enigmi all'ombra dell'unificazione europea". Paolo Rumor è nato a Vicenza nel 1946 dove vive. Ha svolto la professione di avvocato. È figlio di Giacomo Rumor, noto uomo politico vicentino, personalità di primo piano nella ricostruzione del secondo dopoguerra. "Questo libro nasce da una telefonata, un incontro personale e un manoscritto. La telefonata avviene tra Paolo Rumor, discendente dell'omonima famiglia protagonista di molte vicende della Democrazia Cristiana, e Giorgio Galli, il massimo esperto italiano dei rapporti tra esoterismo e politica. Oggetto della telefonata e del successivo incontro tra i due è un manoscritto per molti versi sconcertante. Si tratta di un ampio segmento delle "Memorie riservate" di Giacomo Rumor, padre di Paolo ed esponente di punta della DC del dopoguerra. Al centro del memoriale vi è la collaborazione tra Rumor senior (fiduciario di monsignor Montini, futuro papa Paolo VI) e Maurice Schumann, insigne statista francese all'epoca del Trattato di Roma (1957), cioè del primo concreto passo verso l'Unione Europea. Dalle pieghe di questa sinergia emergono confidenze a dir poco inquietanti: dietro al lavoro diplomatico che porta al Trattato sembrano nascondersi alcune centrali occulte, portatrici di una loro idea unitaria di Europa, con sensibili interferenze non solo della Cia e del Vaticano, ma anche di misteriosi, antichissimi circoli esoterici"LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA: PIETRO ORSATTIStefania intervista il giornalista Pietro Orsatti parliamo della strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio 1947 in Sicilia: la prima strage italiana dopo la nascita della Repubblica. Orsatti è autore del libro "Il bandito della guerra fredda", in cui vengono analizzati la figura di Salvatore Giuliano e il ruolo di vari poteri internazionali e dei servizi segreti soprattutto americani in quella che fu la prima di una lunga serie di stragi di Stato, atte a destabilizzare la politica e la società italiane.Completeranno la puntata la ruota libera con Paolo Franceschetti, il maestro Di Dietrologia e l'angolo di Barbara Marchand. Per Vetrina Bn spazio questa sera all'associazione SalusBellatrix. Si tratta di una associazione senza scopo di lucro che organizza incontri, corsi e conferenze al fine di permettere a tutti, gratuitamente, di accedere a determinati ambiti della conoscenza tenuti nell’ombra. Gli argomenti trattati sono prevalentemente di educazione tesa al raggiungimento della salute psico-fisica dell’individuo.Per intervenire: redazione@bordernights.it
Chi era davvero Rol? Quali erano le sue incredibili doti? Ce lo spiegherà Giuditta Dembech una delle persone a lui più vicine, nel corso della nuova puntata di Border Nights - La notte ai confini in diretta dalle 22 su Web Radio Network . Gli altri ospiti saranno Paolo Rumor sulle origini occulte dell'Europa e Pietro Orsatti sulla strage di Portella della Ginestra.Inizio di puntata come sempre con Paolo Franceschetti e Federica Francesconi, per commentare una delle notizie della settimana.ROL RACCONTATO DA GIUDITTA DEMBECHPrimo collegamento della serata con Giuditta Dembech. Vicina per 25 anni al grande Gustavo Adolfo Rol. "La nostra amicizia, durata vent'anni, fino al giorno in cui ci ha lasciati per una dimensione diversa... già da quel primo attimo al telefono, Lui ha "visto " o sentito qualcosa, che ho compreso soltanto molti anni dopo; in quell'attimo, Lui mi ha scelta...Non so dirvi perchè, ma Lui SAPEVA che poteva fidarsi. Ero giovane, spigliata, coraggiosa, intelligente, scrivevo in modo semplice e scorrevole, sapevo parlare in pubblico (lavoravo già nell'emittenza privata e avevo pubblicato quattro titoli) ma soprattutto, sapeva con assoluta certezza che gli avrei voluto bene e che non lo avrei mai tradito.... Nel corso degli anni, decise di accettare di dialogare con me davanti all'odiato registratore, o di essere registrato al telefono (lo ha sempre saputo)... Mi raccontò la sua vita, le cose che voleva tramandare, il suo rammarico per non essere stato capito, le sue speranze per un'umanità migliore...Quei nastri, che negli anni avevo sparpagliati qua e là, divennero il suo Testamento Spirituale, preziosissimi. Talmente preziosi che non potevo permettermi di perderli o che andassero distrutti, così li ho pubblicati in CD, allegati a quel libro che lui desiderava tanto, con il titolo e la copertina che mi aveva richiesto...Lui poteva scegliere fra le centinaia di scrittori che gli ruotavano attorno, non so perchè ma mi ha scelta.... A Renzo Allegri e Remo Lugli ha concesso di raccontare i suoi esperimenti, a me ha raccontato il suo pensiero, dalla sua stessa voce, perchè non ci fossero equivoci!! Personaggio simbolo della "New Age" italiana, Giuditta Dembech è scrittrice, giornalista, teosofa e divulgatrice. Ha dedicato la sua vita alla ricerca e alla comunicazione. Autrice di successo ha scritto molti libri. Tiene conferenze, seminari e spesso partecipa a trasmissioni. Recentemente, Giuditta Dembech, è stata invitata a tenere lezioni sulla New Age alla Facoltà di Teologia dell'Università di Torino ed all'Università di Verona, dipartimento di Scienze della Comunicazione.L'ALTRA EUROPA: LE ORIGINI OCCULTE DELL'UNIFICAZIONENella seconda parte sarà con noi Paolo Rumor autore insieme a Giorgio Galli e Loris Bagnara de "L'altra Europa - Miti, congiure ed enigmi all'ombra dell'unificazione europea". Paolo Rumor è nato a Vicenza nel 1946 dove vive. Ha svolto la professione di avvocato. È figlio di Giacomo Rumor, noto uomo politico vicentino, personalità di primo piano nella ricostruzione del secondo dopoguerra. "Questo libro nasce da una telefonata, un incontro personale e un manoscritto. La telefonata avviene tra Paolo Rumor, discendente dell'omonima famiglia protagonista di molte vicende della Democrazia Cristiana, e Giorgio Galli, il massimo esperto italiano dei rapporti tra esoterismo e politica. Oggetto della telefonata e del successivo incontro tra i due è un manoscritto per molti versi sconcertante. Si tratta di un ampio segmento delle "Memorie riservate" di Giacomo Rumor, padre di Paolo ed esponente di punta della DC del dopoguerra. Al centro del memoriale vi è la collaborazione tra Rumor senior (fiduciario di monsignor Montini, futuro papa Paolo VI) e Maurice Schumann, insigne statista francese all'epoca del Trattato di Roma (1957), cioè del primo concreto passo verso l'Unione Europea. Dalle pieghe di questa sinergia emergono confidenze a dir poco inquietanti: dietro al lavoro diplomatico che porta al Trattato sembrano nascondersi alcune centrali occulte, portatrici di una loro idea unitaria di Europa, con sensibili interferenze non solo della Cia e del Vaticano, ma anche di misteriosi, antichissimi circoli esoterici"LA STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA: PIETRO ORSATTIStefania intervista il giornalista Pietro Orsatti parliamo della strage di Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio 1947 in Sicilia: la prima strage italiana dopo la nascita della Repubblica. Orsatti è autore del libro "Il bandito della guerra fredda", in cui vengono analizzati la figura di Salvatore Giuliano e il ruolo di vari poteri internazionali e dei servizi segreti soprattutto americani in quella che fu la prima di una lunga serie di stragi di Stato, atte a destabilizzare la politica e la società italiane.Completeranno la puntata la ruota libera con Paolo Franceschetti, il maestro Di Dietrologia e l'angolo di Barbara Marchand. Per Vetrina Bn spazio questa sera all'associazione SalusBellatrix. Si tratta di una associazione senza scopo di lucro che organizza incontri, corsi e conferenze al fine di permettere a tutti, gratuitamente, di accedere a determinati ambiti della conoscenza tenuti nell’ombra. Gli argomenti trattati sono prevalentemente di educazione tesa al raggiungimento della salute psico-fisica dell’individuo.Per intervenire: redazione@bordernights.it
Andrea Tornielli, coordinatore sito web della Stampa "Vatican Insider" ; Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea Cattolica di Milano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3214LA SEDIA GESTATORIA DEI PAPI? SFATIAMO UN MITO di Vittorio MessoriHa scritto Vittorio Feltri in un articolo su Il Giornale di settembre, a proposito di papa Francesco e del suo rapporto con l'antica tradizione della Chiesa: "Che dire della sedia gestatoria, in voga sino a qualche anno fa? Il Capo della cristianità si faceva portare in giro su un cadreghino con le stanghe, rette da poveracci, sostituti di cavalli o asini." Feltri ribadisce all'inizio dell'articolo di non essere credente, meno che mai cattolico, e, dunque, di sapere ben poco di "cose di Chiesa". Ci permettiamo allora - ad uso suo e dei lettori - di chiarire come, storicamente, stiano le cose. Il tema è solo apparentemente secondario, visto che sin dal Settecento è un luogo comune della polemica anticlericale (vi accenna persino Voltaire) come esempio della violenza sull'uomo da parte di coloro che osano dirsi rappresentanti del Cristo in terra. L'uso della sedia gestatoria da parte dei papi non era il residuo di crudeltà schiavistiche da faraone egizio o da imperatore del Basso Impero romano. Era, al contrario, un "servizio" prezioso reso ai devoti che si accalcavano alle cerimonie pontificie e si lagnavano di non poter vedere il papa che passava benedicendo. Non a caso l'impiego della sedia era limitato all'interno delle grandi basiliche, a cominciare da San Pietro e dal Laterano, o a liturgie solenni all'aperto che attiravano le folle. Insomma, qualcosa di equivalente ai maxischermi sulle piazze attuali. Non dimentichiamo che colonne di pellegrini giungevano di continuo a Roma dai luoghi più lontani, ut videre Petrum, per vedere Pietro; e grande sarebbe stata la loro delusione se, stretti nella calca, non avessero potuto contemplare il suo volto e la sua mano benedicente. Paolo VI disse all'amico Jean Guitton che stare su quella sedia era "assai incomodo", visti gli ondeggiamenti, ma di sopportare volentieri il disagio per una questione di equità: tutti coloro che lo desideravano - e non solo coloro che godevano di privilegi e di precedenze - potevano vedere il Santo Padre ed essere visti da lui. Anche per questo Giovanni XXIII ne fece grande uso. Sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI non vollero tornare alla sedia gestatoria (soprattutto per evitare equivoci come quello di cui testimonia ora Vittorio Feltri) ma la pedana mobile di cui si servirono non aveva solo funzioni "ortopediche", ma anche di migliore visibilità da parte dei fedeli. In ogni caso, portare sulle spalle il Santo Padre era un grande onore che si disputavano le grandi famiglie dell'Urbe. Ancora oggi, del resto, c'è viva competizione in antiche e nobili città come Viterbo e Gubbio per far parte del gruppo di eletti che hanno il privilegio di portare ogni anno la pesantissima "macchina di santa Rosa" e i "ceri", essi pure di peso non lieve. Per stare al Vaticano, abbiamo, tra l'altro, l'ordinanza con cui Pio IV, alla metà del Cinquecento, regolamenta il servizio alla sedia, riservandolo soltanto ai "cavalieri romani". Col tempo, l'impiego si fece più professionale e i Sediari Pontifici (questo il nome ufficiale) si unirono ad un'altra categoria ambita ed onorata, quella dei Palafrenieri del papa e dei cardinali, e crearono una confraternita che ebbe l'onore di una chiesa in Vaticano, accanto alla porta di Sant'Anna. Solo una minima parte del lavoro dei Sediari consisteva nel trasporto a spalle del pontefice: come dicevo, si ricorreva a quel seggio elevato solo in certe occasioni. Vestiti di una elegante livrea, con sul petto lo stemma papale ricamato, facevano parte della "Famiglia del Santo Padre" ed erano dunque tra quelli in maggiore intimità con lui. Accudivano e intrattenevano gli ospiti nelle anticamere e uno di loro aveva l'onore di dormire nella camera adiacente a quella papale, alla quale era collegato con un campanello, pronto ad accorrere a una sua chiamata. Quanto al trasporto a spalle del tronetto pontificale, gli addetti erano 12, dunque 3 per ciascuna delle quattro stanghe. In genere, si trattava di percorrere poche centinaia - se non poche decine - di metri: nulla di arduo per gente robusta e giovane, visto che a una certa età erano addetti solo ai servizi sedentari, di camera. La fatica di moltissimi operai o di muratori odierni è ben più pesante e prolungata, sopportata per giunta sino all'età della pensione. Non dimenticando il soddisfacente e sicuro stipendio (cosa rara e preziosa, un tempo ancor più che oggi) e, soprattutto, la gratificazione personale: come si diceva, quell'impegno a servizio diretto del Vicario di Cristo e, soprattutto, quello sforzo per mostrarlo alla folla dei devoti erano considerati tra i più prestigiosi e meritevoli, degni persino di un premio soprannaturale. Insomma è la storia che lo attesta: checché ne dica la superficialità giornalistica, quei collaboratori del ruolo pastorale del Pontefice erano tutt'altro che "poveracci", né sostituivano "cavalli ed asini".