L'ideologia che ha prodotto più di 100 milioni di morti innocenti
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8175GUERRA DEL VIETNAM: NEL 50° ANNIVERSARIO SFATIAMO 4 FALSI MITI di Stefano Magni Chi controlla il passato controlla il presente, chi controlla il presente controlla il futuro. Così scriveva George Orwell nel suo famigerato romanzo di fanta-politica "1984". E a giudicare da come viene raccontata la guerra del Vietnam, i marxisti controllano il passato.Un'opera di riscrittura della storia ha avuto pienamente successo ed oggi, 30 aprile, giorno del 50esimo anniversario della caduta di Saigon, noi "sappiamo", o almeno crediamo di sapere, nozioni come: "gli americani hanno invaso il Vietnam", "i vietnamiti si sono liberati con una guerra di popolo", "gli americani hanno combattuto una sporca guerra" e "l'esercito americano ha perso contro gli insorti vietnamiti".Prima di tutto, gli americani non hanno mai invaso il Vietnam. Dopo la cacciata dei francesi, nel 1954, il Vietnam, esattamente come la Corea, venne diviso in due. Una zona Nord, comunista, una zona Sud nazionalista. Il 17mo parallelo divenne un "confine", o meglio una linea di demarcazione temporanea, protetta da una fascia demilitarizzata (Dmz).L'EPURAZIONEIl Nord era dominato dai comunisti di Ho Chi Minh, il Sud dai nazionalisti di Cao Bai, a cui ben presto subentrò il dittatore Ngo Dinh Diem. In teoria si sarebbero dovute tenere elezioni comuni per riunificare il Paese sotto un unico governo democraticamente eletto, ma il Sud rifiutò. Al Nord, infatti, i comunisti avevano fatto subito piazza pulita, non solo dei partiti non comunisti, ma anche dei comunisti non sufficientemente allineati, dei contadini "ricchi", dei contadini "medi", dei collaboratori o di chiunque fosse stato accusato di collaborazione dei francesi e dei loro parenti.Una mattanza, in perfetto stile staliniano che, dal 1954 al 1959, costò al popolo nordvietnamita centinaia di migliaia di morti, soprattutto durante la campagna di collettivizzazione forzata delle terre. Un milione di nordvietnamiti approfittò del breve periodo concordato di apertura della Dmz per scappare al Sud. Al Nord invece non ci volle andare nessuno, se non circa diecimila guerriglieri comunisti (Viet Cong) che rischiavano l'arresto. In quelle condizioni era chiaro che non si potessero tenere libere elezioni comuni nel Nord e nel Sud.RIUNIFICAZIONE CON LA FORZAFinché il Vietnam del Nord non decise di riunificare il Paese con la forza. La guerra americana iniziò nel 1964 con la Risoluzione del Tonkino, ma la guerra in Vietnam incominciò più di cinque anni prima, precisamente nel gennaio 1959, quando il XV Congresso del Comitato Centrale del partito comunista nordvietnamita decise di "porre fine" al regime del Sud.Non con un'invasione convenzionale, come aveva fatto la Corea del Nord, ma con una lenta e costante infiltrazione di soldati regolari e di guerriglieri nel Sud. La guerra incominciò con una serie di attentati terroristici, soprattutto ai danni di giudici, ufficiali di polizia, capi villaggio, leader partitici e sindacali anticomunisti.Poi si passò alla guerriglia vera e propria, con la conquista dei villaggi e delle zone rurali. Per trasferire in sicurezza uomini, armi ed equipaggiamenti, il Vietnam del Nord violò la neutralità di Laos e Cambogia, costituendo nei loro territori basi ("santuari" dove non potevano essere attaccati dai sudvietnamiti) e pezzi della "pista di Ho Chi Minh", una serie di strade mimetizzate nella giungla.Il generale Vo Nguyen Giap, che aveva battuto i francesi nella guerra di indipendenza, pian pianino erose anche tutto il Vietnam del Sud. Giunti al 1964, 41 province su 44 erano nelle mani dei comunisti, al regime del Sud rimaneva soltanto la capitale Saigon e poco altro.Gli americani, in tutto questo periodo, avevano limitato il loro intervento all'invio di armi e consiglieri militari. L'azione politica più eclatante l'aveva condotta il presidente Kennedy, ma a Saigon: appoggiando il golpe contro Diem, un regime change per instaurare la democrazia nel Sud.L'INTERVENTO USAL'amministrazione Johnson, in un anno elettorale, intervenne direttamente dopo che il Sud era quasi del tutto nelle mani dei comunisti. Intervenne all'ultimo minuto per salvare un alleato dal precipizio. Le navi americane, che assistevano il Sud, erano sottoposte a uno stillicidio di agguati da parte dei nordvietnamiti.Uno di questi attacchi, il lancio di un siluro contro un caccia nel Golfo del Tonkino (un evento su cui sussistono tuttora dubbi), diede a Johnson la possibilità di portare la questione vietnamita in Congresso e ottenere l'autorizzazione per un intervento diretto. Ma non chiamatala "invasione": quando gli americani arrivarono a Saigon con le loro prime truppe, il Sud era già invaso dal Nord da cinque anni.GUERRA CONTRO IL POPOLOIl mito della guerra di popolo contro gli americani è un altro prodotto della costante riscrittura della storia. I comunisti, ovunque prendessero il controllo, imponevano il loro regno del terrore. Gli attentati proseguirono e iniziarono i massacri. I metodi erano quelli staliniani dello sterminio per quota: in ogni regione occupata, in ogni città, in ogni villaggio, i nordvietnamiti stabilivano una percentuale di popolazione da uccidere e la uccidevano.I Servizi di Sicurezza dei Vietcong stilavano liste nere che poi venivano regolarmente trovate nelle tasche dei soldati e degli ufficiali nordvietnamiti. Quando, nel 1968, i comunisti occuparono Hue, scatenarono uno dei più grandi massacri della guerra. Gli americani, quando riconquistarono la città, trovarono 19 fosse comuni piene di corpi: uccisi con un colpo di pistola, decapitati, torturati fino alla morte, o sepolti vivi.Nelle liste nere dei Viet Cong e dei nordvietnamiti entrava un po' di tutto: chi era nella polizia e nell'esercito del Sud, i loro parenti (un ottantenne fu sepolto vivo a Hue perché il nipote era nell'esercito), chiunque venisse accusato di aver collaborato con gli americani, gli attivisti non comunisti, i cattolici, i buddisti, i comunisti trotzkisti, i comunisti "recalcitranti".Oppure chiunque dovesse essere ucciso per fare numero, per rispettare le quote stabilite dal partito, sulla base di calcoli basati sulla lotta di classe (tot percentuale di borghesi, tot di contadini ricchi, ecc...). I nordvietnamiti non rispettarono neppure i campi profughi, né le colonne di profughi in fuga: anzi, li attaccavano deliberatamente per infondere terrore, per non fare sentire nessuno al sicuro. Minavano le strade e i campi, per impedire il movimento dei civili e dei militari.Non si facevano problemi a farsi scudo dei civili, quando dovevano presidiare un villaggio. Quella dei comunisti nordvietnamiti non fu una guerra "di popolo", ma contro il popolo. Lo dimostra la grande fuga dei sudvietnamiti, anche dopo la guerra: il popolo che fuggì via mare, con mezzi disperati, quello dei "boat people" in cerca di salvezza dall'inferno rosso che si era instaurato anche a Saigon.UNA SPORCA GUERRAEppure quella del Vietnam passa per essere la "sporca guerra" degli americani. Sì, gli americani commisero crimini di guerra: bombardarono a tappeto, uccisero prigionieri e compirono anche massacri deliberati di civili come nel celebre caso del villaggio di My Lai. C'è però una differenza fondamentale fra i crimini americani e nordvietnamiti, quantitativa e qualitativa.Quantitativa, prima di tutto: il grosso dei crimini commessi dagli Alleati fu ad opera dei sudvietnamiti (che combattevano con una logica da guerra civile) e da altri contingenti, soprattutto i sudcoreani. I crimini americani, in sé, provocarono un numero relativamente ridotto di vittime, stimato fra le 6 e le 10 mila (nella letteratura anti-Usa si legge spesso di un "genocidio" americano in Vietnam, con oltre un milione di vittime civili, ma è solo propaganda, perché un milione è il numero complessivo di vittime di tutta la guerra, da tutte le parti).I crimini nordvietnamiti provocarono un numero di vittime incommensurabilmente superiore: 216 mila vittime di cui 50 mila nelle purghe interne al Vietnam del Nord e 166 mila civili assassinati nel Sud (venne ucciso un sudvietnamita su cento, in rapporto alla popolazione totale), secondo i calcoli di Rummel.Fu anche una differenza qualitativa notevole. Gli americani colpirono civili durante le operazioni militari, soprattutto nei bombardamenti aerei... ma anche perché i nordvietnamiti combattevano deliberatamente in mezzo ai civili.I massacri di civili nei villaggi occupati o le uccisioni dei prigionieri, benché si tentasse di insabbiarle, erano comunque punite dalla legge americana. Chi commetteva quei crimini era consapevole di essere fuori legge. Al contrario, i crimini nordvietnamiti erano pianificati e ordinati dai vertici ed eseguiti dalle truppe. Le liste nere dei civili da assassinare erano parte degli ordini militari assegnati alle singole unità in guerra.SCONFITTA USA?Infine, c'è da chiedersi: davvero gli americani persero la guerra? Ogni singola battaglia venne vinta dalle forze americane e alleate. L'Offensiva del Tet, di inizio 1968, fu la più grande vittoria americana: in una sola campagna vennero inferti ai nordvietnamiti colpi senza precedenti: circa 45 mila morti, al prezzo di 1.500 caduti americani e quasi 3 mila sudvietnamiti.Eppure, passa alla storia come "punto di svolta" dopo il quale il presidente Johnson si arrese e decise di iniziare il disimpegno, poi proseguito e portato a termine dal successore repubblicano Richard Nixon. Il Vietnam fu la prima guerra vinta dai militari,
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=807510 FEBBRAIO: IL GIORNO DEL RICORDO, PER NON DIMENTICARE LE FOIBE di Roberto de Mattei Il 10 febbraio di ogni anno si commemorano le vittime dei massacri delle foibe e dell'esodo della popolazione della Venezia Giulia e della Dalmazia. La "Giornata del ricordo", istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, ha infatti stabilito questa data per "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale".Le foibe nel loro significato geografico sono delle voragini, strette e profonde, che si aprono nei territori dell'Istria, della Dalmazia e del Friuli Venezia-Giulia, Ma sotto l'aspetto storico, la parola foibe indica le efferate violenze compiute in queste regioni dai partigiani comunisti jugoslavi, tra l'autunno del 1943 e il 1947, ben dopo la conclusione della guerra. Migliaia di italiani vennero "infoibati" ovvero gettati in queste orrende cavità, dopo essere stati assassinati, ma spesso ancora vivi, morendo tra atroci sofferenze.Questo assassinio di massa faceva parte del progetto politico di Josip Brosz Tito, segretario generale del Partito Comunista di Jugoslavia, che, con l'aiuto della Russia sovietica, a partire dal 1941, si mise alla testa di un Esercito popolare di Liberazione contro le forze di occupazione italo-tedesche. Il maresciallo Tito fu poi capo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dal 1945 fino alla sua morte nel 1980.Il piano di Tito prevedeva l'annessione della Venezia-Giulia e di altre terre allora italiane alla nuova Jugoslavia comunista, come in parte avvenne. Per raggiungere l'obiettivo era necessario eliminare fisicamente ogni possibile oppositore, indipendentemente dalle sue complicità con i tedeschi e il passato regime fascista. Si trattava soprattutto di distruggere la vecchia classe dirigente, come avveniva in tutti i paesi in cui il comunismo prendeva il potere. Furono prese di mira dunque anche personalità di orientamento moderato e antifascista, compresi alcuni cattolici e liberali che militavano nel Comitato di Liberazione Nazionale (CNL). Tutti coloro che venivano ritenuti contrari al progetto di espansione slavo-comunista venivano trucidati o avviati nei campi di concentramento.IL MASSACROGli storici stimano che oltre 10 mila persone furono gettate vive o morte nelle foibe, tra l'8 settembre 1943 e il 10 febbraio 1947, giorno della firma dei Trattati di Pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia, i territori, già italiani dell'Istria, del Quarnaro, della città di Zara con la sua provincia e della maggior parte della Venezia Giulia. L'occupazione jugoslava fu causa non solo del fenomeno delle foibe, ma anche di massicce deportazioni nei campi di concentramento jugoslavi e dell'esodo di circa 300mila giuliani, istriani, fiumani e dalmati.Il massacro ebbe inizio in Istria dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Nel momento in cui l'esercito italiano si sbandò, i partigiani di Tito, avviarono il terrore, con arresti, uccisioni, infoibamenti di italiani. Il 16 settembre fu arrestato dalle milizie comuniste il parroco di Villa di Rovigno Angelo Tarticchio. Dopo averlo torturato, i partigiani lo trascinarono presso Baksoti (Lindaro), dove assieme a 43 prigionieri, legati con filo spinato, venne ucciso con una raffica di mitragliatrice e gettato in una cava di bauxite. Quando un mese più tardi il corpo fu riesumato dai Vigili del Fuoco di Pola, lo si trovò nudo, con una corona di spine conficcata sulla testa e i genitali tagliati e conficcati nella bocca.Pochi giorni dopo, il 25 settembre, venne catturata a Visinada, insieme ad altri membri della sua famiglia, Norma Cossetto, una giovane ventitreenne. Dopo essere stata sottoposta a brutali sevizie da parte dei suoi carcerieri, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943, la giovane fu gettata viva, legata a altre vittime, nella foiba di Villa Surani.In Istria, nell'antico castello Montecuccoli di Pisino, era insediato un feroce tribunale rivoluzionario. I condannati venivano legati con filo di ferro spinato e trasportati sull'orlo delle foibe dove erano uccisi a colpi di mitra e di fucile. In molte occasioni, prima dell'esecuzione, i prigionieri erano obbligati a spogliarsi completamente in modo da cancellare ogni possibile traccia della loro identità.FOIBA DI BASOVIZZA VANDALIZZATA DI RECENTELa seconda ondata di infoibamenti avvenne nel 1945, quando l'esercito di Tito invase la Venezia Giulia, giungendo a Trieste prima delle forze Alleate. Simbolo di queste stragi è la cosiddetta "Foiba di Basovizza", un pozzo minerario che, nel maggio 1945, divenne un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, arrestati dai partigiani comunisti. A Basovizza arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro.Il termine genocidio, con cui si intende definire il deliberato sterminio di un popolo o di una parte di esso, non è improprio per connotare questa "pulizia etnica". Bisogna ricordare però che la violenza dei partigiani di Tito non si limitò a colpire gli italiani, colpevoli di difendere la propria identità nazionale, ma si estese anche contro tutti quei militari e civili, sloveni e croati, che si opponevano all'instaurazione di una Repubblica comunista in Jugoslavia. La dimensione ideologica dell'eccidio era per certi versi più profonda di quella etnica e nelle foibe, italiani, tedeschi e slavi mischiarono spesso il loro sangue.Il dramma delle foibe va inserito all'interno di un processo rivoluzionario che ha le sue origini in Francia nel 1789. Il primo genocidio sistematico dalla storia fu infatti quello del popolo vandeano, che tra il 1793 e il 1797 si oppose alla Rivoluzione francese. Il maresciallo Tito attuava i principi della Rivoluzione francese e di quella comunista, secondo cui tutti i nemici della libertà e dell'uguaglianza, anche se solo "sospetti", vanno drasticamente eliminati. I crimini contro l'umanità che ancora oggi insanguinano il mondo sono figli di questa filosofia rivoluzionaria. E la giornata della memoria dedicata alle foibe ci ricorda anche questo.Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "Foibe: oltraggio alle vittime, pensioni d'oro ai carnefici" parla di Tito, dittatore comunista e medaglia al merito della Repubblica Italiana, onorificenza mai revocata così come i vitalizi pagati dall'INPS ai suoi soldati che divennero i boia dei loro connazionali.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 febbraio 2025:Sabato 8 febbraio, a quarantott'ore dal Giorno del Ricordo, e ottant'anni dall'inizio dei fatti, la foiba di Basovizza a Trieste è stata vandalizzata. Tre le frasi con l'inchiostro rosso: "Trieste è nostra", il motto usato dai comunisti; "Trieste è un pozzo", in riferimento alle foibe; "Morte al fascismo, libertà al popolo".E poi il numero 161, che sta per AFA, il collettivo antifascista internazionale d'ispirazione comunista. Ma l'oltraggio alle vittime delle foibe viene anche dai riconoscimenti istituzionali e dalle pensioni elargite ai loro carnefici.L'articolo 2 dello Statuto dell'Ordine «Al merito della Repubblica italiana», che disciplina il conferimento della più importante onorificenza del nostro Paese, prevede che il Presidente della Repubblica possa conferirla per «benemerenze di segnalato rilievo (...) e per ragioni di cortesia internazionale». La stessa «cortesia internazionale» che nell'ottobre 1969 (con il socialdemocratico Saragat al Quirinale e la Democrazia Cristiana al governo) consegnò la più alta delle onorificenze dello Stato italiano al dittatore Josip Broz, alias il maresciallo Tito, il dittatore comunista, assassino di nostri connazionali.Cinquantasei anni dopo, quella medaglia al merito è ancora lì, in palese contraddizione con una legge dello Stato che nel 2004, grazie al presidente Berlusconi, istituiva il Giorno del Ricordo per mantenere viva la memoria dei 10.000 italiani infoibati, della pulizia etnica d'Istria, Fiume e Dalmazia e dell'esodo di 350.000 italiani costretti a scappare dalle loro case. Insomma, mentre ricordiamo la tragedia degli italiani del Nord-Est ancora celebriamo la memoria dell'assassino Tito che li ha infoibati e costretti alla fuga.In questa legislatura ci sono due proposte di legge, alla Camera, primi firmatari Rizzetto (FdI) e Rampelli (FdI), e al Senato, primo firmatario Bizzotto (Lega), per revocarla post mortem. Sarebbe, infatti, un cavillo burocratico ad impedire di cancellare l'onorificenza di Tito: è morto. La legge già prevede di togliere l'onorificenza per «indegnità», come è stato fatto con al-Assad quando nel 2010 Napolitano gli aveva appuntato sul petto la stessa decorazione di Tito. Eppure, per un misterioso disegno, oltre che per ottusa burocrazia, da decenni, nessuno osa toccare quella medaglia che è un'offesa all'Italia.La nostra Penisola ha persino strade dedicate al comunista Tito. Un po' come se a Berlino, o in qualsiasi altro angolo d'Europa, ci fosse qualche piazza dedicata ad Hitler e nel mentre si celebrasse comunque la Giornata della Memoria. Con l'aggravante che per sessant'anni, in Italia, di
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8002UNIVERSITA' DI MILANO, I COLLETTIVI STUDENTESCHI DI SINISTRA IMPEDISCONO AI PRO-LIFE DI PARLARE di Anna Sartea Il convegno «Ascoltare la vita», in programma martedì sera nell'aula 200 dell'Università Statale di Milano, aveva per sottotitolo «Storie di libere scelte». Queste storie, però, nessuno dei presenti le ha potute sentire, perché un gruppo di ragazzi ha deciso che non avevano diritto di essere raccontate. Con una contestazione iniziata nel momento esatto in cui era stata invitata a parlare Soemia Sibillo, direttrice del Centro di aiuto alla vita della Mangiagalli, alcuni studenti del collettivo «Cambiare rotta» hanno fatto irruzione nell'aula, a suon di tamburelli, grida e bestemmie. Diversi loro amici si trovavano seduti tra i banchi e avevano assistito al primo intervento in scaletta, quello di Costanza Raimondi, assegnista di ricerca in bioetica alla Cattolica di Milano. Primo e unico dell'intero convegno, perché non c'è stato modo alcuno di proseguire.«Mi avevano appena passato la parola - commenta Soemia Sibillo -, quando si sente picchiare forte alla porta dell'aula. Alcuni giovani sono entrati gridando slogan e bestemmie, con il chiaro intento di boicottare l'incontro, che era stato organizzato da loro coetanei della lista "Obiettivo Studenti". Il più esagitato a un certo punto ha preso una bottiglietta dal tavolo dei relatori e l'ha rovesciata in testa a uno degli organizzatori. L'acqua è andata a finire anche sui cavi dell'impianto audio video, si sono spente le luci e il proiettore ha smesso di funzionare. Io avrei dovuto far vedere ai presenti la testimonianza di una mamma che ha accettato di portare avanti la gravidanza nonostante avessero diagnosticato al suo bambino una grave malformazione cardiaca, suggerendole l'aborto terapeutico. Ma non è stato possibile».Nel video mai proiettato in aula, una giovane di nome Lourdes racconta la sua storia. Il giorno dell'ecografia morfologica, assieme al suo futuro marito Henry scopre che il piccolo che aspettano ha il cuore sinistro ipoplasico. I medici prospettano loro l'interruzione della gravidanza e descrivono le tre operazioni, una più rischiosa dell'altra, a cui si sarebbe dovuto sottoporre il bimbo se fosse riuscito a nascere, per sperare di sopravvivere.«Quando sono arrivati da noi, la futura mamma era in lacrime, ma è stata l'unica volta che l'ho vista piangere - racconta la direttrice del Cav Mangiagalli -. Fatta la scelta di tenere il bambino, Lourdes ha dimostrato a tutti un coraggio e una forza incredibili, che non sono venuti meno nemmeno nei lunghi mesi in cui il suo bimbo è stato ricoverato in terapia intensiva al Niguarda, dove è nato e ha subito numerosi interventi a cuore aperto».Il Cav ha sostenuto la giovane coppia, che viveva in una stanza condivisa con altre persone, procurando un alloggio dove affrontare con maggior serenità questa gravidanza. Subito dopo il parto, i neo genitori sono stati accolti in un altro appartamento, in zona Niguarda, per facilitarli nel loro andare e venire dall'ospedale dove Liev Logan ha lottato per vivere, vincendo la sua battaglia perché ora sta bene.«Sarebbe stato impossibile affrontare tutto ciò da soli», afferma Lourdes nell'intervista video. «I nostri genitori sono lontani, in Perù. Qui è il Cav Mangiagalli la nostra famiglia».Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "L'assalto ai pro life è frutto della rivolta sociale targata Cgil" spiega chi sono i mandanti morali dei gravissimi fatti accaduti in università a Milano.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 novembre 2024:L'attacco brutale dei collettivi studenteschi di sinistra andato in scena martedì pomeriggio alla Statale di Milano nei confronti di un incontro pro-life organizzato da studenti vicini a Comunione e Liberazione rappresenta chiaramente la volontà della sinistra di alzare lo scontro sui temi della vita nascente oltre che sul fine vita con metodi squadristi tipici da anni '70.Gli studenti hanno fatto irruzione nella sala dove era in corso il convegno «Accogliere la vita - Storie di libera scelta», promosso dalla lista Obiettivo Studenti Unimi Medicina e Sanitarie. Ospiti Soemia Sibillo, direttrice del Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli, Chiara Locatelli, neonatologa del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, specialista in cure palliative perinatali e Costanza Raimondi, ricercatrice in bioetica alla Cattolica.Dopo l'irruzione dei collettivi ci sono stati disordini, spintoni, cori e persino bestemmie, minacce ai relatori e lancio d'acqua contro gli organizzatori, mentre le luci e i microfoni sono stati staccati.Inutile dire che da parte della galassia della sinistra non è arrivata alcuna solidarietà, mentre ad esprimere la propria vicinanza alle vittime, oltre a condannare i fatti, sono stati alcuni esponenti milanesi di Fratelli d'Italia e Lega mentre Pro Vita & Famiglia, che proprio l'altro giorno ha dovuto fare i conti con l'ennesimo assedio ai danni della sua sede romana, ha espresso parole di biasimo.Il motivo di questo silenzio da parte dei cosiddetti "democratici" è da ricercare in una precisa strategia che la Sinistra sta portando avanti per criminalizzare il dissenso e che la segreteria di Elly Schlein sta amplificando nei toni della lotta. E con essa la Cgil che proprio ieri con il segretario Maurizio Landini, nel lanciare lo sciopero generale previsto per oggi ha ribadito che «occorre alzare il tiro», mentre non più tardi di un mese fa aveva chiamato a raccolta per una «rivolta sociale».Per capire il contesto in cui Pd e Cgil sono responsabili moralmente di questo raid fascista dal quale si guardano bene dal prendere le distanze, bisogna andare a vedere chi sono i responsabili dell'assalto di via Celoria, sede della Statale dove si teneva il convegno pro-life.A stroncare l'incontro dopo pochi minuti dall'inizio e a rivendicarlo successivamente sono stati diversi movimenti studenteschi di sinistra. Nell'ordine: Udu, Studenti Indipendenti, Cambiare Rotta e Rebelot oltre che alcuni attivisti, che hanno occupato un immobile nella zona di Città Studi.Si tratta di collettivi che si presentano regolarmente alle elezioni studentesche che portano avanti azioni di rivolta e che nel loro programma hanno tutto l'armamentario tipico della Sinistra radicale e che sono letteralmente sostenuti dal sindacato rosso di Landini e dai Dem di Elly Schlein.Su tutti, per importanza, diffusione negli atenei e organizzazione capillare svetta l'Udu, l'Unione degli Universitari che si definisce nel suo sito «una confederazione di associazioni studentesche presente in 35 atenei italiani. All'Unione degli Universitari aderiscono ogni anno migliaia di ragazzi e ragazze attorno ad un modello organizzativo inedito in Italia: il sindacalismo studentesco».Non si tratta di una mission casuale. Il collettivo che ha assaltato i pro-life a convegno agisce come un sindacato e come un sindacato rivendica le proprie azioni di lotta. Ora, non è un caso che se il principale sindacato della Sinistra unita, la Cgil, abbia alzato lo scontro fino ad aizzare alla rivolta sociale, anche l'Udu si sente autorizzata ad agire di conseguenza e i temi dell'aborto sono assolutamente centrali in questa strategia di lotta.L'Udu, infatti, è assolutamente contiguo alla Cgil. Sono loro stessi a scriverlo sul loro sito: «Abbiamo un patto di lavoro con la Rete degli studenti medi e con la CGIL, con la quale collaboriamo sui temi del lavoro e del sociale». Dunque, si è autorizzati a pensare che l'azione di martedì pomeriggio risponda in tutto e per tutto alla campagna che la Cgil ha da tempo imbastito contro il movimento pro-life, dopo anni in cui le attenzioni della Camera del lavoro erano incentrate solo sulla tematica lavorativa dei medici obiettori. Da qualche tempo Landini e soci hanno cominciato a prendere di mira anche i pro-life impegnati nei consultori e in alcuni ospedali per informare correttamente e sostenere le donne che vogliono interrompere la gravidanza. Infatti, le prime reazioni contro le leggi regionali come quella del Piemonte, che fanno entrare i pro-life nei consultori, sono state provocate proprio dalla Cgil.Il 27 settembre scorso, in occasione della Giornata internazionale per l'aborto libero e sicuro la Cgil ha diffuso un manifesto per chiedere tra le altre cose il «divieto per le associazioni antiabortiste di operare nelle strutture pubbliche dedicate all'Ivg».E non più tardi di un mese fa, a conclusione della tappa italiana di 40 giorni per la vita promossa dai pro-life a Modena, sono comparsi nella città estense dei manifesti inequivocabili che chiedevano di mettere fuori legge le iniziative di preghiera organizzate davanti agli ospedali. «Liber3 (con tanto di schwa ndr.) di abortire, ostacolare l'aborto è violenza», dove il logo della Cgil faceva bella mostra di sé assieme ad altre sigle come Arci, Udi e Arcigay.Insomma, l'attacco ai pro life rappresenta per la Cgil della rivolta sociale di Landini un passaggio imprescindibile di questa lotta.E a proposito di lotta, non è un caso che questo sia lo stesso termine con il quale si è rivolta all'Udu proprio Elly Schlein. Il 4 giugno scorso, la Schlein ha incontrato i vertici del sindacato studentesco che diversi mesi dopo avrebbe fatto irruzione alla Statale di Milano.«Da quando è stata incoronata leader del Pd - scriveva il Foglio -, la collaborazione con l'Udu (che è sempre stata considerata la sigla universitaria di riferime
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7877PRIGIONIERI POLITICI IN POLONIA: URSZULA COME PADRE OLSZEWSKI di Wlodzimierz RedziochGià da quattro mesi rimane in prigione padre Michal Olszewski, il primo sacerdote-prigioniero politico nella Polonia governata dall' "europeista " Tusk. La Nuova Bussola Quotidiana segue il caso dall'inizio svelando il calvario subito dal dehoniano polacco, evidentemente orchestrato dalla Procura nazionale e dal ministro della Giustizia Bodnar. Ma recentemente stanno venendo alla luce fatti altrettanto scandalosi che riguardano il trattamento di una delle due impiegate del Ministero della Giustizia arrestate nell'ambito dello stesso caso riguardante il Fondo della Giustizia: la signora Urszula, anche lei in prigione da quattro mesi.Lo ha raccontato in un'intervista il padre di Urszula, Andrzej Skrzetuski (nella foto): è un resoconto drammatico di come sua figlia è stata trattata immediatamente dopo il suo arresto. Doveva spogliarsi nuda e sotto la doccia veniva sorvegliata da agenti uomini. Le era difficile soddisfare i suoi bisogni fisiologici. La donna per oltre un mese non ha potuto cambiare i vestiti. È tenuta in isolamento e non può avere contatti con altre detenute.Vengono limitati i contatti di Urszula con la famiglia. Come spiega Skrzetuski «il contatto con mia figlia è molto difficile. Solo una persona della famiglia può vederla una volta al mese. Finora solo il genero e il nipote hanno incontrato mia figlia». Anche la corrispondenza con Urszula è ostacolata: «Le lettere, se arrivano, arrivano con un grande ritardo, dalle quattro alle sei settimane. E sono censurate. Io ho mandato sei lettere a mia figlia, credo che ne sia arrivata a destinazione solo una».MARITO LICENZIATO E APPARTAMENTO SVALIGIATOÈ stata colpita anche la sua famiglia: suo marito è stato costretto a licenziarsi dal lavoro. Qualcuno ha svaligiato il loro appartamento: un evidente tentativo di trovare qualche documento compromettente, spacciato per un furto. Per Skrzetuski il calvario della figlia è tanto più doloroso tenendo conto che lui personalmente ha conosciuto le prigioni comuniste durante il regime di Jaruzelski. «Non pensavo - dice amareggiato - che tutte queste cose che io, da oppositore al regime comunista, sperimentavo durante la legge marziale introdotta dal generale Jaruzelski, toccasse in forme ancora peggiori ai miei figli».Il padre della detenuta ha svelato che in questi mesi difficili della prigione in isolamento Urszula legge sempre il Diario di suor Faustina, che è fonte di conforto, come anche le conversazioni con il sacerdote cappellano. Urszula prega molto, prega anche per i suoi persecutori. Riesce ad affrontare l'attuale calvario grazie alle solide fondamenta spirituali. Va aggiunto, inoltre, che è legata all'Opus Dei.Come mostrano i casi di padre Olszewski e della signora Urszula i metodi utilizzati dall'apparato di repressione comunista sono ancora oggi ampiamente utilizzati in Polonia. Ma oggi c'è dietro una grande ipocrisia. Nella Polonia comunista la repressione dei cosiddetti nemici di classe o del sistema era palese e ben manifesta, oggi viene nascosta dietro il pretesto di "difendere i diritti umani " o di "ripristinare lo Stato di diritto ". Le persone vengono arrestate ed umiliate per costringere loro a dichiararsi colpevoli o di fornire prove per incriminare altre persone. Tutto questo serve, oggi come nei tempi comunisti, per eliminare ogni opposizione.L'ASSURDITÀ DELLE ACCUSEMa la cosa più importante riguarda l'assurdità delle accuse contro di lei. Si tratta del presunto abuso d'ufficio nella concessione dei fondi del ministero della Giustizia alla Fondazione Proelio per la costruzione del centro per le vittime degli abusi e dei crimini. «Tutto era legale sottolinea il padre dell'accusata. Nessuno ha rubato un soldo né defraudato i fondi. Gli edifici del centro sono già costruiti». Ma, come suggerisce Skrzetuski, il centro sorge in una zona prestigiosa della capitale, nel quartiere Wilanów, perciò ci sono tanti speculatori immobiliari che vorrebbero impossessarsi di questo immobile e del terreno.Skrzetuski non ha dubbi sul perché sua figlia sia stata arrestata e viene maltrattata: «Questo è un tentativo di vendetta contro le persone che hanno collaborato con il precedente ministro della Giustizia Ziobro. È ovvio. Si vuole colpire l'ex ministro Ziobro e l'ex viceministro Romanowski. E' un tentativo di un attacco all'attuale opposizione».In Polonia si sono mossi in tanti per protestare ed esprimere il loro sdegno per gli arresti e il trattamento di padre Olszewski e di due impiegate del ministero della Giustizia, tra cui Urszula. Bisogna sperare che anche in Europa si protesterà contro questa deriva autoritaria dell'attuale governo polacco del premier Tusk e del ministro della giustizia Bodnar.Va raccontato anche un fatto particolare che mostra come Urszula vive la sua prigionia. Nella cella ha disegnato una Madonna e l'ha mandata alla redazione di Radio Maria polacca, accompagnata da una lettera in cui scrive: «Cara famiglia di Radio Maria. Ringraziandovi per aver sostenuto la nostra Patria con la vostra preghiera costante per oltre 30 anni, desidero esprimervi la mia speciale gratitudine per il fatto che in questi mesi nelle vostre preghiere avete incluso anche me. Posso ripagarvi solo con ciò che ho nella mia cella di prigione, che è la preghiera per voi e le vostre famiglie. Per favore accettate questa icona che ho disegnato per mia madre, che è un membro della famiglia di Radio Maria. Che questa Madonna del Carcere vi sostenga anche nei momenti difficili!».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7809CINA-VATICANO, SI RISCRIVE LA STORIA PER LEGITTIMARE L'ACCORDO di Riccardo Cascioli«Noi auspichiamo da tanto tempo ormai di poter avere una presenza stabile in Cina anche se potrebbe non avere all'inizio la forma di una rappresentanza pontificia, di una nunziatura apostolica...». È in questa prospettiva, delineata dalle parole del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, che va interpretato il convegno a cento anni del Concilio di Shanghai, a cui anche Parolin ha partecipato ieri, 21 maggio, facendo poi a margine il commento succitato.In realtà si è trattato di una commemorazione in due tappe: lunedì 20 a Milano, organizzata dall'Università Cattolica, e ieri appunto a Roma, organizzata dalla Pontificia Università Urbaniana; entrambe rese possibili dalla Comunità di Sant'Egidio, che tanto si sta impegnando per promuovere lo "spirito" del controverso accordo segreto tra Cina e Santa Sede, firmato nel 2018, rinnovato ogni due anni e ora in procinto di essere approvato definitivamente.Sia a Milano che a Roma grande presenza cinese tra i relatori, tutti ovviamente legati al regime comunista di Pechino, vescovi compresi: a Milano era presente il vescovo mongolo di Hohhot, Meng Qinglu, che ha partecipato a diverse ordinazioni episcopali illegittime; a Roma c'era invece il vescovo di Shanghai, Giuseppe Shen Bin, protagonista del famoso "schiaffo" del regime comunista alla Santa Sede: fu insediato a Shanghai il 4 aprile 2023 dal governo e il Papa, spalle al muro, lo ha riconosciuto soltanto il 15 luglio successivo. Che oggi sia relatore a un convegno in Vaticano la dice lunga sui rapporti di forza stabiliti dall'accordo e soprattutto sulla resa vaticana disposta a concedere tutto pur di piantare una bandierina a Pechino.IL CONCILIO DI SHANGHAINon stupisce quindi che il ricordo del Concilium Sinense di Shanghai (maggio-giugno 1924) sia stata un'occasione per reinterpretare la storia ad uso delle esigenze attuali. Ma cos'è stato il Concilio di Shanghai? Soprattutto la modalità con cui si iniziò ad attuare in Cina le indicazioni al mondo missionario che papa Benedetto XV aveva dato con la Lettera apostolica Maximum Illud (1919): il papa notava che in diverse parti del mondo, il compito missionario era frenato dall'eccessiva dipendenza del clero dalle potenze coloniali che controllavano quelle regioni; da qui, ad esempio, l'esigenza di promuovere la creazione di un clero indigeno «perfettamente formato»: «Come la Chiesa di Dio è universale, e quindi per nulla straniera presso nessun popolo, così è conveniente che in ciascuna nazione vi siano dei sacerdoti capaci di indirizzare, come maestri e guide, per la via dell'eterna salute i propri connazionali».Monsignor Celso Costantini, inviato come delegato apostolico in Cina da papa Pio XI alla fine del 1922, fu il grande regista di questo cammino, e già nel 1926 ci fu l'ordinazione a Roma di sei vescovi cinesi, un modo per sottolineare che la "indigenizzazione" della Chiesa era strettamente legata alla sua universalità.Il tentativo neanche troppo velato dei due convegni celebrativi di questi giorni è quello di creare un parallelo tra quel processo di "nazionalizzazione" e l'attuale "sinicizzazione" imposta dal presidente cinese Xi Jinping attraverso l'Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, e avallata dalle gerarchie vaticane. Lo dimostra anche un passaggio del videomessaggio di papa Francesco al convegno romano, quando ha detto: «A Shanghai, i Padri riuniti nel Concilium Sinense vissero un'esperienza autenticamente sinodale e presero insieme decisioni importanti. Lo Spirito Santo li riunì, fece crescere l'armonia tra loro, li portò lungo strade che molti tra loro non avrebbero immaginato, superando anche le perplessità e le resistenze. Così fa lo Spirito Santo che guida la Chiesa». In pratica, dice il Papa, lo Spirito santo, attraverso la sinodalità, li ha fatti passare da una contrarietà all'ordinazione del clero locale all'apertura di «nuove strade». Sottinteso, è quello che stiamo facendo oggi; vale a dire che chi critica l'accordo con la Cina non è aperto allo Spirito Santo.UNA EVIDENTE FORZATURA STORICAIl parallelo con il Concilio di Shanghai però è una evidente forzatura storica. Non solo per il contesto politico e sociale di allora totalmente diverso da quello attuale: la Cina viveva ancora nello sconquasso succeduto alla rivoluzione repubblicana del 1911-12 che aveva rovesciato la dinastia Qing, alla Prima guerra mondiale e alla stagione dei Signori della guerra. Una situazione ben lontana da quella dell'attuale regime totalitario che oggi controlla con il pugno di ferro tutta la Cina e tende ad espandersi.Ma soprattutto, nei documenti dei papi Benedetto XV e Pio XI, nell'opera di monsignor Costantini, nell'azione di importanti figure cattoliche cinesi del tempo (ricordate anche in questi convegni) si capisce come l'unica vera preoccupazione fosse «l'annuncio di Cristo». Era l'impeto missionario che spingeva a trovare le modalità migliori per far arrivare Cristo a ogni uomo, a ogni popolo. Non c'erano calcoli politici, ma si richiamava alla loro vocazione originaria i missionari che «non sono inviati dalla loro patria, ma da Cristo». Il processo di indigenizzazione del clero, dunque, era frutto dello zelo missionario. Partecipando a questi convegni di Milano e Roma si è avuta invece la netta percezione del cammino contrario: sistemare la Chiesa in modo da legittimarne la "nazionalizzazione", ma proprio nel senso voluto dal regime comunista. In fondo tutti gli interventi sottintendevano questo obiettivo.C'è un secondo aspetto molto importante, per rivelare la subdola menzogna su cui certe posizioni si fondano. Forzando il parallelo tra l'atteggiamento vaticano di oggi e quello del secolo scorso, si salta a piedi pari tutto quello che è accaduto in questi cento anni, e cosa sta accadendo ancora oggi. La Chiesa cinese, per quanto piccola nei numeri, ha dato una grande prova di fede attraverso il martirio: solo dall'avvento del regime comunista, nel 1949, sono migliaia i cattolici cinesi che hanno pagato con il sangue la loro appartenenza a Cristo e la loro fedeltà al Papa. E tuttora pagano questa appartenenza con una persecuzione sistematica, aggravatasi dopo gli accordi Cina-Santa Sede del 2018. Una persecuzione che si è ora allargata anche a Hong Kong, dove sono decine e decine i cattolici in prigione. È il martirio e la fedeltà di tanti la dimostrazione che la Chiesa è diventata davvero cinese; questa è la vera "sinicizzazione", che si dovrebbe continuare a perseguire.Invece su tutta questa realtà, da parte del Vaticano è calato un tragico silenzio; nei due convegni sul Concilio di Shanghai, a un ascoltatore ignaro della reale situazione sarebbe sembrato che dovesse essere la Chiesa ad emendarsi dei suoi peccati contro la Cina. Perché l'ascoltatore ignaro non sa che il silenzio è il prezzo da pagare per sperare di «avere una presenza stabile» a Pechino. A spese dei cattolici cinesi.Nota di BastaBugie: Angelina Tan nell'articolo seguente dal titolo "Come il regime di Pechino terrorizza gli studenti cinesi all'estero" racconta tutti i modi con cui il Partito Comunista Cinese segue, spia, perseguita e reprime gli studenti all'estero.Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 22 maggio 2024:Il 13 maggio, l'organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha pubblicato un rapporto completo, intitolato "Nel mio campus ho paura", che documenta quella che, secondo il rapporto, è l'analisi più approfondita finora condotta sulla sorveglianza transnazionale del Partito Comunista Cinese nei confronti degli studenti cinesi all'estero. In particolare, il rapporto ha definito il fenomeno della sorveglianza, delle molestie e della polizia del Partito Comunista Cinese come metodi della repressione transnazionale: "azioni governative per mettere a tacere, controllare o scoraggiare il dissenso e le critiche dei cittadini all'estero, in violazione dei loro diritti umani".Gli studenti intervistati nel rapporto hanno espresso il timore di essere sorvegliati dal governo comunista cinese o da suoi agenti. Il rapporto indica che i funzionari di sicurezza del Partito Comunista Cinese hanno molestato e intimidito le famiglie degli studenti cinesi all'estero ritenuti dissidenti in patria. Inoltre, la "sorveglianza statale delle attività degli studenti all'estero e la censura online" sono stati altri esempi degli sforzi del Partito Comunista Cinese per "limitare la libertà accademica e altri diritti" degli studenti cinesi all'estero, inducendoli a vivere e studiare "in un clima di paura", con il timore di essere "presi di mira dalle leggi e dai regolamenti della Cina e di Hong Kong in materia di sicurezza nazionale e di intelligence".Una studentessa, che nel rapporto viene chiamata col nome fittizio di "Rowan", ha descritto come i funzionari di sicurezza del Partito Comunista Cinese in Cina abbiano contattato suo padre poche ore dopo la sua partecipazione a una commemorazione del massacro di Piazza Tienanmen del 1989. Questi funzionari della sicurezza hanno dato istruzioni al padre di Rowan di «educare la figlia che studia all'estero a non partecipare a eventi che potrebbero danneggiare la reputazione della Cina nel mondo».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=705E' MORTO IL SEGRETARIO DI PALMIRO TOGLIATTI di Massimo CapraraEsiste solo qualche parola, o forse nessuna, come la parola ideologia che abbia dominato, anzi oppresso, il nostro tempo: il secolo appena passato "delle idee assassine". Di esse non vi parlo come uno storico di professione, perché tale non sono. Vi parlo della concretezza, del mio vissuto, vi reco una testimonianza che alimenta e nutre una riflessione critica. Non è quindi la Storia, ma la mia storia: la storia di un ideale che degenera in ideologia, di come un ideale si trasforma, si corrompe, si separa dall'esperienza e diviene un sistema dogmatico, una corazza di false verità totalizzanti e assolute.IDEOLOGIA, NON SUCCEDE MAI NIENTE DI IMPREVISTOIn questo senso, ideologia è contrario della realtà, contrario del Vero, suo pregiudizio, sua contrapposizione, suo non pensare. Nell'ideologia ogni passaggio è scontato. Essa è incurante dell'evidenza, è tempo senza tempo, incapacità di cercare il Vero, di riconoscerlo, di volerlo, di amarlo, ma capace solo di esecrarlo e negarlo. In uno dei maggiori suoi teorici, l'ideologia è «potere di una classe organizzata per opprimerne un'altra». Così Karl Marx nei Manoscritti economici - filosofici del 1844 e nell'Ideologia tedesca del 1846, descrive l'intrinseca violenza, prevedibile e prevista, che è la sostanza dell'ideologia. [...]Se parlo con durezza, con ostinazione e contrarietà, se parlo così di Ideologia non è certo per metafisica accademica. Parlo della mia vita. Ho vissuto per oltre 25 anni all'interno di una Ideologia, in una delle sue versioni più drammatiche, attivistiche, dottrinarie. Dal 1948 al 1968 ho fatto parte del Partito comunista italiano, del suo massimo pensatoio e dirigenza ossia della Nomenklatura comunista, nella sua confessione togliattiana. Sono stato membro del suo Comitato centrale, Sindaco di Portici, Deputato alla Camera per vent'anni. In quella ideologia ho militato con convinzione, allora con calore e ardore. Ho visto da vicino, ogni giorno, il volto e la maschera di una cultura e di una Ideologia autoritaria e costrittiva, che non può essere obliterata e che lascia un segno di memoria e di trauma. Ho vissuto il male dell'Ideologia sino in fondo. Ma proprio dal fondo dell'errore, ho ricevuto una spinta, un recupero, un desiderio del bene e della Verità, ho sentito, se così posso dire, il profumo della Bellezza.Di questo passato, io non mi assolvo. Ne vedo gli errori, le responsabilità personali e collettive, ne porto il peso materiale e morale. Non mi assolvo, ma neppure mi fustigo sterilmente. Di tutti i diritti di cui disponiamo, io non posso avere il diritto di tacere. Scrivo libri, ragiono, discuto, mi confronto per capire e giudicare, per suggerire i temi di un dialogo liberatorio, necessario e durevole.UN PASSATO FALLITO. E CHE MINACCIA IL PRESENTEPerché l'ideologia, in particolare e soprattutto quella comunista, è contraria alla Verità? Lo è per l'egualitarismo che contraddice e sopprime la libertà personale. Lo è per il totalitarismo che concentra in pochi il destino di molti. Ne vincola l'intera vita sociale, stermina il dissenso e lo reprime come inammissibile e imperdonabile. Lo è in quanto derivazione perversa e contraddittoria dal settecentesco Secolo dei Lumi. L'ideologia comunista comincia con il finto amore per l'Uomo, ma esso, nell'intelletto e nella pratica, finisce con l'orrore della vita. Io ho vissuto nel Partito impraticabili, estranianti ideali, io ho vissuto l'ideologia dell'avversione all'uomo. Mi sforzo di indurre gli altri a fare i conti con un passato che è praticamente fallito, ma non è morto. Mi batto perché esso non venga rimosso senza essere stato affrontato criticamente e senza una contestazione civile, ma implacabile. Parlo perché altri non cadano nell'errore mio e di una intera generazione. La mia rottura con l'Ideologia è stata difficile, forse lenta, sicuramente sofferta. Lottare contro l'ideologia è lottare contro la solitudine, la violenza, l'inganno. Significa prepararsi a cogliere il vero Ideale della Bellezza: la presenza irresistibile di Dio.
VIDEO: Intervista a Lenin ➜ https://www.youtube.com/watch?v=OBvlp4ih4Oo&list=PLolpIV2TSebWlrsMU4QrkYZXezTH-BCY6TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7740IL CENTENARIO DELLA MORTE DI LENIN, UNO DEI PEGGIORI CRIMINALI DELLA STORIA di Roberto de MatteiUn'atmosfera di penombra ha avvolto il centenario della morte di Vladimir Ilich Ul′janov, noto con lo pseudonimo di Lenin, una delle figure più criminali della storia. Morto il 21 gennaio 1924 a Mosca, a causa di una paresi, era nato 54 anni prima a Simbirsk, sulla sponda occidentale del Volga. Figlio di un ispettore scolastico, Vladimir Ul′janov fu un tipico prodotto di quella Russia fine secolo, nella quale, come scrisse Curzio Malaparte, «il fanatismo piccolo borghese andava dal liberalismo marxista al cristianesimo marcio di Tolstoi» (Il buonuomo Lenin, Adelphi, 2018, pp. 22-23). La sua giovinezza fu segnata dalla vicenda del fratello maggiore Aleksandr, impiccato nel maggio 1887 per aver complottato contro la vita dello zar Alessandro III. Vladimir Ul′janov, che già cominciava a leggere le opere rivoluzionarie, si convinse dell'errore dei populisti che intendevano sollevare i contadini compiendo atti terroristici esemplari. Fondamentale fu poi l'incontro con il padre del marxismo russo Georgji Plechanov (1856-1918), esule in Svizzera. Discepolo di Marx, ma anche dello stratega prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831), Lenin sviluppò una teoria che faceva della Rivoluzione una scienza. Nell'autunno 1895 fondò a Pietroburgo il circolo Osvoboždenie truda ("Emancipazione del lavoro"), per l'unificazione dei gruppi rivoluzionari, ma nel dicembre venne arrestato e scontò quattordici mesi di carcere e tre anni in Siberia. Esiliato nel 1900, si trasferì a Monaco di Baviera e infine a Zurigo, dove con Plechanov e Julji Martov (1873-1923), fondò il periodico Iskra ("Scintilla") allo scopo di diffondere l'ideologia comunista in Russia. Nel libro Che fare? (1902), progettò un partito comunista fortemente centralizzato guidato da «uomini la cui professione è l'azione rivoluzionaria» (Opere scelte, Progress, 947, vol. I, p. 331).Scoppiò la Prima guerra mondiale e Lenin viveva in una modesta camera della Spiegalgasse, a Zurigo, quando, nel febbraio 1917, la rivoluzione di Aleksander Kerensky (1881-1970) rovesciò il regime zarista. Lo Stato maggiore tedesco decise di inviare in Russia «i batteri della peste rossa», per fare crollare il fronte interno dell'esercito nemico. Il 17 aprile 1917, trentadue esponenti rivoluzionari, tra cui Vladimir Ul′janov, lasciarono Zurigo su un "treno piombato" alla volta di Pietrogrado.LA VIOLENZA PER CONQUISTARE IL POTEREGiunto in Russia, Lenin esortò il partito bolscevico ad assumere il potere, teorizzando in Stato e rivoluzione (1917) la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato, alla quale sarebbe seguito, il "deperimento" dello Stato, cioè lo spontaneo passaggio dalla fase inferiore alla fase superiore della società comunista senza classi.Quando, nell'ottobre del 1917, il partito bolscevico, guidato da Lenin riuscì con un colpo di Stato a conquistare il potere, la "undicesima tesi" di Marx su Feuerbach (1845), secondo la quale, il compito dei filosofi non è quello di conoscere il mondo, ma di trasformarlo, sembrò essersi storicamente realizzata nella sua persona. La violenza fu il metodo per conquistare il potere e per mantenerlo. Il 20 dicembre 1917 Lenin creò la Čeka, la polizia politica a cui affidò il compito di annientare la classe borghese. George Leggett calcola in 140.000 le sole esecuzioni compiute dalla Čeka tra il 1917 e il 1922 (The Cheka: Lenin's political Police, Clarendon Press, 1981, p. 467). La Čeka è stata la prima di una serie di organizzazioni, il GPU, il NKVD, il KGB, fino all'attuale FSB, che hanno raffinato, ma sostanzialmente non mutato i propri metodi. Un altro strumento di repressione creato da Lenin furono i campi di concentramento per gli oppositori, i famigerati Gulag. Nell'ottobre del 1923 erano già 315 con 70.000 prigionieri, mentre si succedevano spettacolari processi politici che portarono all'eliminazione della classe dirigente russa, degli ufficiali, degli aristocratici, dei borghesi, dei sacerdoti. Circa 100 vescovi e 10.000 preti ortodossi furono imprigionati, 28 vescovi e 1215 preti fucilati (Marco Messeri, Utopia e terrore. La storia non raccontata del comunismo, Piemme, 2003). Nella prospettiva leninista la religione, la proprietà privata e la famiglia dovevano essere estirpate alle radici. Il 17 dicembre 1917, poche settimane dopo la conquista del potere, venne introdotto il divorzio; l'aborto fu legalizzato nel 1920; era la prima volta nel mondo che ciò avveniva senza alcuna restrizione.La proclamazione dell'Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, il 30 dicembre 1922, fu il trionfo di Lenin. Quando il fondatore dell'Urss morì due anni dopo, divorato dal suo odio, tutto il potere venne accentrato nelle mani di Stalin, che, richiamandosi al suo compagno e maestro, condusse una feroce lotta contro due fronti: la "deviazione di destra" di Bucharin e la "deviazione di sinistra" di Trotzkj. Entrambi finirono assassinati da Stalin assieme a molti loro seguaci.MICHAIL GORBAČËV E VLADIMIR PUTINIl marx-leninismo è stato la dottrina dell'Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione nel 1991. Anche nell'ultima fase del regime, Michail Gorbačëv (1931-2022) dichiarò che la fonte ideologica della perestrojka era Lenin, insistendo sulla necessità di ritornare allo «spirito creativo del leninismo» e «di rileggere» le opere di Lenin per comprendere in profondità il metodo leninista (La casa comune europea, Mondadori, 1989, p. 267).In quegli anni, i "teologi della liberazione" si recavano in pellegrinaggio in Unione Sovietica per venerare la mummia di "san" Lenin, esposta per volontà di Stalin nel mausoleo della Piazza Rossa. Nel 1987, descrivendo la lunga fila che attendeva per vedere «il corpo imbalsamato del grande rivoluzionario», padre Clodovis Boff lo definiva «un atto di vera devozione, di autentica venerazione, che un teologo non ha difficoltà a spiegare». Dopo aver contemplato la mummia, «tutti nella processione, con gli occhi fissi sull'eroe, si sentono obbligati ad avanzare con la testa voltata indietro per non perdere nemmeno una goccia di quell'istante di grazia» (Fede e perestroika. Teologi della liberazione in Urss, Cittadella, 1988, p. 39).Dopo l'auto-dissoluzione dell'Unione Sovietica, il mito di Lenin si è oscurato e le migliaia di statue del fondatore dell'Urss sono state demolite in tutto lo spazio post-sovietico. In Ucraina il fenomeno ha assunto contorni talmente grandi da essere indicato con il termine Leninopad, forse il maggior movimento d'iconoclastia politica del Novecento. Antonella Salomoni, storica dell'Università di Bologna, ha raccontato l'ascesa e il declino del culto di Lenin attraverso la storia del suo corpo e delle sue immagini (Lenin a pezzi. Distruggere e trasformare il passato, Il Mulino, 2024).Il nuovo zar, Vladimir Putin, considera Stalin, e non Lenin il suo campione, ma non ha espulso Vladimir Ul′janov dal Pantheon russo. La mummia imbalsamata di Lenin continua ad essere mèta di pellegrinaggio nel cuore della piazza Rossa, mentre un museo storico di Stato è dedicato al fondatore dell'Urss a 35 chilometri da Mosca. Che cosa si sarebbe detto se, dopo il 1945, fosse stato riservato uno spazio pubblico a Mussolini o a Hitler nel centro di Roma o di Berlino? Ma oggi l'anticomunismo si è dissolto e gli stessi critici di Putin, in Occidente, lo definiscono "fascista" e non "comunista". Il comunismo continua così a diffondere i suoi errori nel mondo. [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7716LA DISASTROSA SITUAZIONE DEL BRASILE SOTTO IL COMUNISTA LULA di Roberto Bertogna"La destra è viva, anzi è la maggiore forza politica oggi in Brasile. Lula non sarebbe mai stato capace di organizzare una simile manifestazione".Ecco quanto commentava un noto opinionista di sinistra sulla gigantesca manifestazione contro il socialismo e a favore dell'ex presidente Bolsonaro, tenutasi domenica scorsa a San Paolo del Brasile. Il pubblico, calcolato dal Ministero dell'interno in oltre ottocentomila persone, riempiva da un estremo all'altro l'Avenida Paulista, una delle principali vie del capoluogo.Dal 2013, quando sono iniziate le grandi manifestazioni di piazza contro la sinistra, il Brasile ha assistito a un risveglio dell'opinione pubblica, con la formazione di un pubblico sempre più consistente e più radicato nelle idee conservatrici. Questo blocco comprende anticomunisti, cattolici di destra, evangelici di varie confessioni, liberali classici e centristi di varie sfumature. Dopo anni di sonnolenza, il Brasile autentico si è risvegliato.Incapace di contenere in modo democratico questa sana reazione, la sinistra ha buttato nella mischia le sue truppe d'assalto: la stampa e il Potere giudiziario. Ha quindi iniziato una tremenda campagna di manipolazione e intossicazione dell'opinione pubblica. Non contava, però, con le nuove tecnologie. Per contrastare la propaganda del regime, è sorta una fitta rete di canali, pagine, blog, pubblicazioni online, ecc. di centro-destra, che è riuscita egregiamente a bypassare la gioiosa macchina da guerra mediatica della sinistra. È comune, per esempio, per un blogger di centro-destra avere 2-3 milioni di follower.Il contrattacco del Potere giudiziario, invece, si è dimostrato molto più efficace.Durante il mandato del presidente Bolsonaro (2019-2022), il Supremo Tribunal Federal (Corte Suprema) è intervenuto a gamba tesa in più di 120 occasioni, calpestando le funzioni organiche dell'Esecutivo. Molti collaboratori di Bolsonaro sono finiti sotto inchiesta. Basta fare un discorso anticomunista in Parlamento per beccarsi un'inchiesta giudiziaria, che spesso e volentieri finisce con la pena di carcere, in barba all'immunità parlamentare. Sì, cari amici, in Brasile oggi ci sono prigionieri politici, come in Cuba. Non pochi esponenti del centro-destra hanno dovuto fuggire all'estero, mentre altri - tra cui lo stesso Bolsonaro - hanno avuto il passaporto confiscato.I GIUDICI DI SINISTRAIl parti pris delle toghe rosse a favore di Luiz Inácio "Lula" da Silva, leader del Partito dei Lavoratori, di matrice marxista, arriva al limite del surreale. Nonostante una condanna penale, passata in giudicato in tre diverse istanze fino alla Corte d'Appello, egli è stato scarcerato e dichiarato vincitore delle elezioni generali del 2022. Come mai? Semplice: non per l'innocenza dell'imputato, ma perché un Ministro della Corte Suprema (sì, uno!) ha "sospeso" la condanna per "incompetenza di foro" (sic). Lascio ai signori avvocati la qualifica di un tale atto…L'auge è arrivato quando, per ordine del magistrato Alexandre de Moraes - dichiaratamente comunista - si è proceduto all'invasione, e conseguente confisco delle apparecchiature, di molti organi di comunicazione legati al centro-destra. Più di un giornalista è finito in galera. La maggiore radio conservatrice del Paese, la Jovem Pam, è stata costretta a cambiare linea editoriale, pena la chiusura. Un numero imprecisato di blogger e youtuber si è rifugiato negli Stati Uniti. Per impedire la diffusione online di idee contrarie al socialismo, de Moraes è giunto all'estremo di proibire in Brasile diverse piattaforme digitali.Mentre il centro-destra è così bastonato, i rappresentanti della sinistra hanno la totale protezione del Potere giudiziario. Un caso clamoroso è quello di José Dirceu, militante del PT ed ex ministro di Lula. Condannato in appello a trent'anni di carcere, è stato messo in libertà dal Supremo Tribunal Federal.Era naturale che, di fronte a questa palese ingerenza nella vita democratica delle toghe rosse, si creasse un clima di grande insoddisfazione popolare.Per protestare contro il clima di persecuzione giudiziaria, Bolsonaro convocò una manifestazione pubblica, che si è svolta domenica scorsa nel centro di San Paolo. Mentre la Polizia Federale parlava di quasi ottocentomila persone, uno studio dell'Università di San Paolo calcolava attorno a 750mila. Il pubblico gridava slogan contro il socialismo e il comunismo, a favore della proprietà privata, di biasimo all'ideologia gender, alla cultura woke e all'aborto.UNA DELLE PIÙ GRANDI MANIFESTAZIONI NELLA STORIA DEL BRASILENonostante sia stata una delle più grandi manifestazioni nella storia del Brasile, la stampa italiana quasi non ne ha parlato. Il Corriere della Sera l'ha liquidata con un trafiletto.Si fa largo l'opinione secondo cui la manifestazione di domenica scorsa segna uno spartiacque nella storia del Paese. Commenta il noto opinionista Breno Altman, membro dell'ala più a sinistra del PT: "Mi duole dirlo, ma la manifestazione è stata gigantesca, scientificamente. Bolsonaro attirò tre volte più persone di Lula, quando questi celebrò la sua vittoria in quello stesso posto due anni fa. Non possiamo nasconderci. Con un dettaglio: mentre Lula aveva convocato il popolo della sinistra per celebrare, Bolsonaro lo convocò per lottare. È diverso. È stata una gigantesca manifestazione di forza dell'estrema destra".Prosegue il portavoce del PT: "La grande domanda è: la sinistra è in grado di rispondere a questa sfida? La sinistra darà una sterzata, oppure continuerà con la stessa tattica di reazione al neo-fascismo, cioè appaltando l'opposizione al Potere giudiziario? Non lo so. Non credo che, da sola, questa manifestazione cambi la situazione politica di Bolsonaro. Ma il fatto è che non possiamo non tenerne conto. Si è trattato della più grande manifestazione politica degli ultimi anni. Non c'è niente di paragonabile nella storia recente del Brasile. Bisogna ammetterlo: la sinistra, il PT, i sindacati non sono in condizione di dare una risposta all'altezza".Toccando il nodo della questione, Altman si domanda: "La sinistra continuerà a usare nel combattimento contro il neo-fascismo il Supremo Tribunal Federal? Oppure assumerà la lotta in prima persona? Secondo me, se la sinistra non assume questa lotta, ci sarà una trasferta di voti verso l'estrema destra. Una cosa è certa: io non conosco nella storia una coalizione politica che riesca a mantenersi nel potere se perde la piazza".Chiediamo a Nostra Signora Aparecida, Patrona del Brasile, che non permetta che la grande nazione brasiliana soccomba nelle grinfie dei suoi nemici giurati.Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Le mani di Zuckerberg sul voto europeo: Meta censurerà la destra" parla di Meta, l'azienda proprietaria di Facebook e Instagram, che sta preparando una rete di controllori (di sinistra) che modereranno i contenuti degli europei per le elezioni. La censura sarà spietata.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 febbraio 2024:Meta, la società guidata da Mark Zuckerberg che governa Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads, il social media rivale di X (ex Twitter), sta predisponendo la rete di controllori che modereranno i contenuti degli utenti europei, in vista delle prossime elezioni di giugno che, come descritto su La Bussola già nei giorni scorsi, stanno trasformandosi nel più imponente tentativo di influenzare l'esito della campagna elettorale, oggi favorevole ai partiti di centro destra. Cosa aspettano i governi conservatori degli Stati dell'Unione europea ad impedire la manipolazione e censura elettorale in atto?Un dettagliato articolo pubblicato sul quotidiano on-line The European Conservative dei giorni scorsi rivelato la rete di collaboratori di Meta, dopo che il capo degli affari europei, Marco Pancini, ha annunciato come il gigante dei social si stia preparando già da un anno per le elezioni europee. Un investimento di «20 miliardi e 15mila revisori, sui 40mila totali, che si dedicano specificatamente ad esaminare i contenuti su Facebook, Instagram e Threads in più di 70 lingue, comprese tutte le 24 lingue ufficiali dell'Ue». I censori vigileranno secondo tre direttrici principali: lottare contro la disinformazione; limitare ed eliminare le operazioni di influenza; contrastare i «rischi legati all'abuso» delle tecnologie dell'Intelligenza Artificiale. Nella stessa si scopre che i post che trattano delle elezioni, ma non violano queste norme, saranno revisionati e valutati da una rete di 29 organizzazioni e teams di partner "indipendenti" in tutta l'Ue, per tutte le lingue e nazioni europee.I criteri di valutazione forniti da Meta indicheranno la pericolosità e dunque la censura di post o messaggi saranno indicati da Meta, attraverso strumenti di «rilevamento delle parole chiave», che aiuterà
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4410LA MORTE DI BERNARDO CAPROTTI PROTAGONISTA DELLA RESISTENZA DELL'ESSELUNGA CONTRO LE COOP ROSSE di Renato FarinaLa morte di Bernardo Caprotti è accaduta come tutti vorremmo capitasse a noi stessi. A tarda età, ma mentre si vive. Al punto che a Boris pare di avere interrotto il suo discorso con lui un attimo prima. Sui giornali ci era finito ancora pochi giorni fa da protagonista, uno che tiene la frusta sul cavallo, non per colpirlo, ma per far vedere chi comanda, indicandogli una strada. C'è qualcosa in lui di molto italiano, e qualcos'altro di diversissimo dai costumi italici, e di molto russo. Mi accorgo di aver usato l'indicativo presente, perché mi sembra impossibile si possa sotterrare uno così.Caprotti è stato l'uomo che ha inventato il supermercato in Italia. In viale Regina Giovanna trasformò una vecchia autorimessa in un grande negozio, con gli scaffali, dove i clienti potevano scegliersi le merci e posarle in un carrello. Era il 27 novembre 1957. Nasceva così Esselunga, un nome derivato dall'insegna Supermarket con la consonante sibilante che si estendeva sul resto della scritta. I bottegai - ne sono consapevole - non l'hanno amato, ma il passaggio a questa nuova dimensione, alla grande distribuzione, era inevitabile per lo sviluppo delle tecnologie e per l'impulso americano. Alcuni negozi di vicinato hanno saputo resistere, tenere accese le vetrine, altri si sono arresi: in fondo l'innovazione punisce sempre chi non sa estrarre talenti dalla tradizione e si siede su di essa, invece che inventare, consorziarsi con amici e concorrenti, provare il nuovo sul suolo antico ma concimato dal proprio sudore e da quello delle nuove generazioni.Caprotti è stato italiano in due sensi. La caparbietà dell'inventiva, il reggere alla concorrenza straniera. In un capitalismo italiano bravo solo a farsi sovvenzionare dallo Stato e a trovare accordi nei salotti buoni per non rischiare nulla, Caprotti ha avuto il coraggio di giocarsela. Ha puntato su se stesso e i suoi collaboratori (li chiamava così, non impiegati o dipendenti, e sono più di 22 mila), e cioè sul lavoro, invece che sulla finanza. Non ha venduto per godere plusvalenze miliardarie dalla vendita a francesi o americani del suo business. Di certo non avrebbe mai venduto alla Coop. Non sopportava il comunismo in teoria, ma soprattutto l'affarismo dei comunisti nella pratica. Nove anni fa scrisse Falce e carrello, dove dimostrò i legami ammorbanti tra le amministrazioni delle Regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana in primis) e la proliferazione di supermercati del medesimo colore. A lui, al suo modo di intendere l'imprenditoria, non si lasciava spazio. La sua denuncia fece sapere all'Italia molte cose. Le sanno benissimo anche gli altri imprenditori delle medesime regioni. Ma per quieto vivere e per realismo non hanno potuto permettersi lo stesso coraggio. Negli ultimi tempi, sentendo che l'età gli imponeva delle decisioni, aveva stabilito di vendere tutto. In mani sicure, capaci di non sprecare il suo tesoro, frammentarlo, tradendo il suo spirito. In Italia non vedeva nessuno. Detestava l'ingordigia francese. Pensava piuttosto agli americani. [...]Non ha fatto a tempo a vendere, Caprotti. Per il bene di questo nostro paese e della sua discendenza, ci auguriamo che le liti ereditarie non portino a tagliare in pezzi questo diamante unico, che è così italiano. Riposi in pace, cavalier Bernardo. Anzi, venga giù a dare una mano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7514L'ASFISSIANTE PROPAGANDA DEL GOVERNO NELLE CHIESE IN CINA di Manuela AntonacciDal 1° settembre, a Pechino, entreranno in vigore 76 nuove Misure finalizzate a rafforzare il controllo del governo cinese sulle attività religiose. Si tratta di un ulteriore giro di vite che ha lo scopo reprimere il "sottobosco" delle organizzazioni religiose riluttanti a farsi risucchiare dal "mercato rosso" delle religioni ufficiali in Cina, ovvero le cinque associazioni permesse dal Partito Comunista Cinese, il quale ne nomina pure i responsabili: l'associazione buddista, l'associazione taoista, l'associazione musulmana, l'associazione protestante (la Chiesa delle Tre Autonomie) e l'associazione cattolica (l'Associazione patriottica cattolica cinese)Di più, le nuove misure convertiranno i luoghi di culto in veri e propri rami del sistema di propaganda del Partito Comunista Cinese, come riporta Bitter Winter. Infatti, queste Disposizioni sostituiscono quelle del 2005 e confermano che i luoghi in cui si svolgono le attività religiose (monasteri, templi, moschee e chiese) dovranno trasmettere attivamente la propaganda del Partito Comunista Cinese, altrimenti rischieranno la liquidazione. Sono state stabilite disposizioni più severe per includere contenuti di propaganda addirittura nei sermoni e per creare gruppi di studio che si formino sui documenti del Partito Comunista Cinese in tutti i luoghi di culto. Viene inoltre sottolineato che «è vietato costruire grandi statue religiose all'aperto al di fuori di templi e chiese» e il divieto vale anche per privati cittadini o donatori.Di fatto tutto questo si configura come l'ennesimo tentativo di uniformare il credo dei cittadini alla propaganda di Stato, anche se nell' Articolo 1 si ha il coraggio di affermare «Queste misure sono formulate [...] per proteggere le normali attività religiose e salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi dei luoghi di culto e dei cittadini credenti». Lo spirito liberticida che pervade queste norme emerge bene dall'Articolo 3, in cui si legge «I luoghi in cui si svolgono le attività religiose devono sostenere la leadership del Partito Comunista Cinese e del sistema socialista, attuare completamente l'ideologia del socialismo di Xi Jinping con caratteristiche cinesi per la nuova era, rispettare la Costituzione, le leggi, le norme e i regolamenti e le disposizioni pertinenti la gestione degli affari religiosi, praticare i valori fondamentali del socialismo, aderire alla direzione della sinicizzazione delle religioni cinesi, aderire al principio di indipendenza, autonomia e autosufficienza e salvaguardare l'unità del paese, l'unità nazionale, l'armonia religiosa e la stabilità sociale».Ovviamente anche gli insegnanti di religione dovranno adeguarsi all'ideologia del Partito: nell' Articolo 6 si legge che nei luoghi di culto «vi è un insegnante di religione che deve presiedere alle attività religiose in conformità con le norme e i regolamenti del gruppo religioso nazionale». Dopo aver stabilito a chiare lettere, nelle prime disposizioni, il totale subordinamento delle attività religiose al regime di Pechino, nelle norme successive, vengono fornite una serie di indicazioni burocratiche minuziose riguardo i luoghi di culto: all' Articolo 66 si specifica, ad esempio, che «il Dipartimento degli affari religiosi deve supervisionare e ispezionare i luoghi in cui si volgono le attività religiose in termini di conformità alle leggi».Insomma, l'ennesimo sistema creato ad hoc che costringa le comunità religiose a far passare tutte le loro iniziative al vaglio del regime di Pechino. Un sistema di cui il Dipartimento per gli affari religiosi rappresenta la longa manus con il suo controllo continuo, fatto passare per "assistenza e supervisione". In soldoni, non c'è scampo per chi non si adegui al regime. Anzi questo forse rappresenta il vero e proprio colpo di grazia alla libertà religiosa in Cina.Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Nuovo vescovo a Shanghai, in Cina decide solo il Partito comunista" parla della nomina a vescovo di Shanghai che è stata presa senza il consenso della Santa Sede, in violazione dell'Accordo del 2018.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 aprile 2023:La Cina decide e la Santa Sede abbozza. È ormai questa la trama dei rapporti tra Pechino e Vaticano da quando nel 2018 è stato firmato l'accordo segreto sulla nomina dei vescovi. E l'ennesima conferma è arrivata in questi giorni con la nomina del nuovo vescovo di Shanghai, monsignor Giuseppe Shen Bin, decisa dal regime attraverso la voce del Consiglio dei vescovi cinesi (la Conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede), di cui lo stesso Shen Bin è presidente. L'ingresso in diocesi è avvenuto il 4 aprile e i preti erano stati invitati alla celebrazione senza rivelare il nome del prescelto, mentre la Santa Sede - come afferma un comunicato vaticano - era stata informata della decisione solo pochi giorni prima e ha saputo dell'insediamento solo a cose fatte e dai media internazionali.Shanghai è una sede episcopale importantissima per la Chiesa cinese, qui c'era la comunità cattolica più vivace quando i comunisti arrivarono al potere alla fine degli anni '40 e qui c'è stata immediatamente la repressione più dura. Arcivescovo titolare di Shanghai era allora il cardinale Ignazio Kung Pin-mei, figura eccezionale del cattolicesimo, che fu arrestato nel 1955 e rilasciato solo dopo 30 anni di carcere per poi essere esiliato negli Stati Uniti, dove morì nel 2000. Fu creato cardinale “in pectore” da Giovanni Paolo II nel suo primo Concistoro nel 1979 e ricevette la porpora nel 1991.Nel territorio della diocesi c'è anche il santuario nazionale mariano di Nostra Signora di Sheshan, a cui Benedetto XVI chiese di rivolgersi nella Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina istituita nel 2007 e ricorre ogni anno il 24 maggio.La sede di Shanghai era vacante dal 2013, quando morì monsignor Aloysius Jin Luxian, vescovo patriottico che solo nel 2005 chiese e ottenne di tornare nella piena comunione con il Papa. L'anno prima, nel 2012, la Santa Sede - con il consenso di Pechino, aveva nominato come vescovo ausiliare monsignor Taddeo Ma Doqin, ma subito dopo l'ordinazione fu posto agli arresti domiciliari per aver manifestato l'intenzione di dimettersi dall'Associazione Patriottica della Chiesa cattolica, l'organismo con cui il regime comunista guida le attività della Chiesa. Da allora monsignor Ma Doqin è confinato a Sheshan, anche se poi è tornato sui suoi passi riguardo al rapporto con l'Associazione patriottica. In ogni caso i fedeli di Shanghai si aspettavano che fosse lui a essere nominato arcivescovo della diocesi.Ma l'elemento più importante è certamente il fatto che il regime cinese abbia preso la decisione senza consultare la Santa Sede, una chiara intenzione di riaffermare il proprio potere che non può essere limitato da nessuno, men che meno da quella che viene percepita come una potenza straniera. Era già successo pochi mesi fa, novembre 2022, poche settimane dopo il rinnovo dell'accordo sino-vaticano, quando monsignor Giovanni Peng Weizhao, dal 2014 vescovo di Yujiang, è stato nominato dal regime cinese come vescovo ausiliare della diocesi dello Jiangxi, un raggruppamento di cinque diocesi non riconosciuto dalla Santa Sede.Allora dal Vaticano arrivò una nota di protesta, a cui però non c'è stato seguito. In questo caso invece la Sala Stampa della Santa Sede ha detto che non ci sono dichiarazioni riguardo alla valutazione dell'accaduto. È però facile prevedere che prevarrà ancora una volta la volontà di mantenere l'accordo inalterato non alzando i toni e accettando il fatto compiuto.Lo dimostra l'immediato intervento dei “pompieri” - intellettuali, giornalisti e movimenti grandi sponsor dell'accordo con il regime cinese - sempre pronti a giustificare Pechino. Ne è un esempio l'analisi di Agostino Giovagnoli, docente di Storia Contemporanea all'Università Cattolica del Sacro Cuore ed esponente di spicco della Comunità di Sant'Egidio, pubblicata da Avvenire. Pur (delicatamente) rimproverando a Pechino l'incapacità di cogliere la «natura universale propria della Chiesa», tende a minimizzare la gravità della decisione di Pechino notando anzitutto che nel caso di Shen Bin si tratta di uno spostamento da una diocesi all'altra e non di una nuova ordinazione. Monsignor Shen Bin era infatti vescovo dal 2010 - nominato dalla Santa Sede con il consenso di Pechino - di Haimen (Jiangsu): «Nulla a che vedere, dunque, con le tante ordinazioni illegittime che ci sono state in Cina dal 1958 al 2018».Il che è vero, ma non si può far finta di non sapere che anche la destinazione è parte dell'ordinazione, quindi anche gli spostamenti da una diocesi all'altra sono prerogativa del Papa e quindi devono essere necessaria
VIDEO: The soviet story ➜ https://rumble.com/vwywp3-origini-comuni-di-comunismo-e-nazismo.htmlTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7415STALIN, LA TENTAZIONE DI ESTIRPARE IL MALE CON LA VIOLENZA di Vincenzo SansonettiMosca, 1° marzo 1953, interno del Cremlino, di tarda mattina. Due guardie sono davanti all'ufficio di Iosif Vissarionovič Dzugasvili, 74 anni, un bolscevico di umili origini nativo della Georgia, che si è dato il nome di battaglia di Stalin ("l'uomo d'acciaio"). Da oltre un trentennio è il segretario generale del Partito comunista, in sostanza l'indiscusso capo dello Stato sovietico nato dalla rivoluzione del 1917. "Degno continuatore dell'opera di Lenin" (come lui stesso si definiva), Stalin sta preparando l'ordine di deportazione nella Manciuria orientale, più precisamente nel territorio del Birobidian, di tutti gli ebrei sottoposti al suo potere; non solo quelli che vivono nell'Unione Sovietica (circa tre milioni), ma anche quelli degli Stati satelliti dell'Europa orientale (particolarmente numerosi in Romania, dove i nazisti ne avevano deportati solo una minima parte).Il motivo? Dirà ai suoi più stretti collaboratori, stupiti e increduli per questa scelta, dal momento che proprio gli ebrei occupavano molti posti di responsabilità nel partito: "Tutti gli ebrei russi non guardano forse alla Palestina, ormai? Chi di loro pensa più alla costruzione del comunismo? Non ci offende abbastanza questo? O forse dovremmo attendere addirittura che i nostri ebrei diventino fra noi la quinta colonna dello Stato di Israele?".Le sue parole non si discutono. "Io non dubito, né dubiterò", cantano in coro le guardie. E aggiungono: "Chi può ormai più dubitare che il comunismo è la dottrina che sanerà i mali del mondo?".Così comincia la tragedia Processo e morte di Stalin, opera meno nota ma fondamentale dello scrittore e saggista brianzolo Eugenio Corti (1921-2014), autore del long seller Il Cavallo rosso (più di trenta edizioni in quarant'anni). Racconta gli ultimi giorni di vita del dittatore sovietico, immaginando che sia stato vittima di una congiura ordita dai suoi ex "fedelissimi: Beria, Bulganin, Caganovic, Crusciov, Malencov, Micoian, Molotov e Voroscilov, che effettivamente si spartiranno il potere alla sua morte. Lo sottopongono a processo e con l'aiuto di medici compiacenti lo faranno morire procurandogli un'emorragia cerebrale, che fu effettivamente la causa del suo decesso. Ma Stalin si difende, affermando che i suoi seguaci si comporteranno in maniera spietata esattamente come lui, se vogliono davvero difendere il comunismo. E infatti il primo ad essere eliminato, pochi mesi dopo, sarà Beria, il feroce capo della polizia segreta.UN CAPOLAVORO (PESANTEMENTE STRONCATO DALLA STAMPA DI SINISTRA)La stesura della tragedia risale agli anni 1960-1961 e fu subito ritenuta un capolavoro da Mario Apollonio, il maggior critico e storico del teatro del dopoguerra. Venne rappresentata a Roma il 3 aprile 1962 al Teatro della Cometa - proprio su suggerimento e con il patrocinio di Apollonio - dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri, con la regia di Orazio Costa, ma "mutilata" e ridotta a semplice lettura scenica, quasi per ridurne e affievolirne la potenza drammatica ed evocativa, in quanto forte denuncia dei crimini staliniani (milioni e milioni di vittime, "nemici del popolo" ed "elementi ostili ed estranei alla società", come i kulaki, letteralmente fatti morire di fame). L'opera rimase in cartellone per quasi due settimane, con un buon successo di pubblico e giudizi favorevoli di almeno una parte della critica, ma fu pesantemente stroncata dalla stampa marxista o fiancheggiatrice del marxismo. Malgrado la destalinizzazione, non si poteva parlar male di Stalin e soprattutto del comunismo, peraltro in modo cosi chiaro ed esplicito. Ci fu quindi la censura, l'ostracismo, l'oblio, che crebbe con il passare degli anni, perché nel frattempo si era andata sempre più affermando in Italia l'egemonia marxista sul mondo della cultura in tutte le sue espressioni. La tragedia avrà fortuna solo negli ambienti della dissidenza russa e polacca.Quasi mezzo secolo dopo, l'opera dell'autore de Il cavallo rosso è tornata ad essere rappresentata (24, 25 e 26 giugno 2011) al Teatro Manzoni di Monza. Questa volta un' azione teatrale vera, molto efficace, non una scialba lettura scenica. Tutto esaurito e lunghi applausi al termine di ogni rappresentazione. A impersonare Stalin l'attore Franco Branciaroli, perfettamente nella parte di un uomo solo, stanco, tormentato dai fantasmi degli orribili massacri compiuti e accerchiato dai "lupi" e dai "maledetti cani" (così il dittatore chiama i suoi nemici interni, pronti a liberarsi di lui).STALIN HA APPLICATO CON RIGORE IL COMUNISMOLa regia è affidata ad Andrea Maria Carabelli, che in quell'occasione commentò: "Il personaggio ha dentro di sé tutta la tragicità del Novecento. È il massimo della coerenza. Lui ha applicato con rigore il comunismo, il suoi ideale. E non importa se per fare questo è arrivato persino a distruggere i legami familiari". Per il regista "Stalin rappresenta la tentazione di ogni uomo. Perché la tentazione più grande non è tanto il male che compiamo, fosse anche fatto di milioni di morti, ma pensare che il male possa essere estirpato dall'uomo e dal mondo" con le nostre sole forze. Eliminare il male dalla società ignorando o combattendo Dio significa che "alla fine bisogna eliminare l'uomo".Il momento più drammatico e rivelatore della tragedia è nelle parole rivolte da Stalin alla nuora Olga Goliscéva: "La realtà siamo noi. Se la realtà storica non ci viene dietro, e quindi sbaglia, noi possiamo anche cambiare la storia". Per Branciaroli, nella raffigurazione scenica di Corti "Stalin è convinto della possibilità di cambiare il mondo attraverso il marxismo. Il sangue versato lo reputa necessario. Ma la cosa non lo diverte. Lui uccide per ideologia, perché è un comunista. Lo ammette: più ci si avvicina al socialismo, più gli oppositori aumentano, più è necessario essere implacabili".Ci crede fino in fondo. E dopo di lui le cose non cambieranno, non si illudano i congiurati, i "fedelissimi" uomini del Politburo venuti nella sua dacia per arrestarlo e processarlo. Si devono arrendere al lucido ragionamento del loro capo: "Potete illudervi di fare a meno della violenza solo fino a quando rimarrà negli uomini il salutare terrore per le repressioni da me esercitate, ma non oltre". Una profezia su cui riflettere soprattutto da quando, negli ultimi anni, in epoca putiniana, sono riapparsi i fiori sulla tomba di Stalin.Negli anni del terrore staliniano l'ideologia che stravolgeva la società e la storia era il marxismo-leninismo, con le sue propaggini in Occidente, capaci di influenzare e orientare la politica e soprattutto la cultura. Oggi - in maniera più subdola e apparentemente meno lesiva della libertà e perciò più pericolosa - impera il nichilismo ecologista, frutto estremo del liberalismo più spinto. Ma, come sempre, l'ideologia quando ingabbia la realtà non può che produrre violenza e distruggere l'umano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7338IL PD DI ELLY SCHLEIN E' AGGRESSIVO DA FAR PAURA di Paolo PiroLa vittoria di Elly Ethel Schlein alle primarie del PD, suggerisce diverse riflessioni. Ai vertici di quello che fu il "glorioso" Partito Comunista Italiano, arriva una leader dai tratti antitetici a tutto ciò che è tradizionale. La Schlein ha tre cittadinanze, la diremmo cittadina del mondo, negazione della Patria. Si dichiara paladina degli LGBT+, negazione della natura. E' plenipotenziaria di tutti i diritti immaginabili - utero in affitto, libera cannabis, pillola abortiva Ru486 gratis, adozione da parte delle coppie gay, eutanasia, aborto - insomma l'individualismo libertario più radicale, negazione di ogni identità. Viene votata, da non tesserata, a segretaria del PD, da molti non tesserati al partito, gli uomini qualunque dei 5Stelle, negazione di ogni appartenenza. Con la Schlein, i motivi dominanti della sinistra non saranno più i diritti sociali (lavoro, welfare) ma i diritti civili, in un quadro di precarietà ed instabilità sociale ed esistenziale, dato per acquisito.Nel 1943 Palmiro Togliatti torna in Italia dall'URSS, con un progetto condiviso e "benedetto" da Stalin. Un piano che prevede quanto, in effetti, accadrà successivamente: la partecipazione dei comunisti al governo Badoglio, il referendum tra monarchia e repubblica etc..., ma soprattutto calibrato, come lui stesso afferma: "per cambiare gli italiani nel modo di essere e di sentire", attraverso l'affermazione dell'egemonia culturale gramsciana ed il divieto della rivoluzione armata, surrogata da una lenta, progressiva e vincente occupazione di tutti gli spazi socioculturali. È il partito radicale di massa, l'obiettivo individuato da Togliatti che con la Schlein, si compie. Il dimenticato Augusto Del Noce in "Il Suicidio della Rivoluzione", aveva visto giusto anche perché il fine del marxleninismo è l'anarchia come modello politico e umano. Togliatti aveva spiegato bene che "il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione politica". Una parte dei militanti del PD non capiranno questa progressione, ma non dimentichiamo quel genio di Giorgio Gaber ed il suo "Qualcuno era Comunista". I motivi per far parte di quel partito erano i più eterogenei. Una eterogeneità che non fa problema ai 5S, evanescenti come sono, ma farà qualche problema ai cattocomunisti. I pronipoti di Don Sturzo, De Gasperi, Moro, Martinazzoli, come concilieranno la radicalizzazione del partito con la loro militanza? Ci sarà ancora posto per i cattolici nel Pd? Per alcuni il problema non c'è perché hanno già completato quel trasbordo ideologico che li ha transitati dalla fede cattolica ad una fede disincarnata, privatizzata, protestantizzata, approdando ad una chiesa pneumatica, che Papa PIO XII aveva previsto e condannato negli anni cinquanta. Per altri sarà più difficile sposare il loro progressismo cattolico con il radicalismo della Schlein, anche perché la linea ambientalista ed immigrazionista, acquisirà presto un inevitabile sapore religioso e quando la politica si eleva a religione diventa totalitarismo. Il PD si batterà per reintrodurre a pieno titolo il reddito di cittadinanza, sconfiggere il "malcostume" dell'obiezione di coscienza del personale sanitario sulla 194, combattere ogni obiezione alla ovvietà del relativismo in ogni campo. I cattocomunisti, dovranno decidere se diventare definitivamente i chierici della "nuova" chiesa globalista/ambientalista. Una chiesa che giudica tutti sulla base di criteri morali leninisti dove la "moralità è ciò che serve alla distruzione della vecchia società" o di quel che ne rimane, e per l'avvento di un uomo nuovo che cambia dall'esterno verso l'interno, come e dove il potere vuole. Il sorriso delle sardine, Santori e Schlein è tutt'altro che innocente, ha il volto giacobino della "violenza per il tuo bene" e dell'imposizione del relativismo come verità assoluta. Un relativismo ambiguo, che ignorando il principio di non contraddizione, riuscirà a mettere insieme il voto per l'invio delle armi in Ucraina, con un pacifismo modello Imagine di Lennon, senza rinunciare, per amore ai 5S, alla convinzione che le armi non risolvano i conflitti. La Schlein è nata a Lugano, figlia di due professori universitari, sorella di una diplomatica in carriera e di un matematico, è agiata, poliglotta, intellettuale e cosmopolita, esponente dell'alta borghesia progressista ed incarna il prototipo dell'oltredonna di Nietzsce, potrà stare vicino agli eredi di un'altra storia? La nuova segretari* è sponsorizzata dai capicorrente del Partito Democratico, Franceschini, Zingaretti, Cuperlo, Orlando, Bersani e Bettini e, udite, udite, da Romano Prodi, ultimo elemento, questo, che fa comprendere le delicate parole che Mons. Corrado Lorefice, vescovo di Palermo, le ha dedicato in un intervista sul Giornale di Sicilia. Il cattocomunista Beppe Fioroni è già fuori dal partito, ma ad una certa età... si sa... certe emozioni...! E tutti gli altri? Alla fine il cattocomunista medio, dopo decenni di militanza rivoluzionaria, è diventato evanescente nelle idee e numericamente irrilevante e trascurabile in quanto elettore. Quasi certamente finirà con il transitare l'impegno politico, dai diritti sociali ai diritti civili, dissolvendosi nel partito radicale di massa. Una parte probabilmente sarà fagocitata da Renzi, mentre la riserva indiana bolognese nella quale sono ridotti i cattodem d'èlite, continuerà a sostenere il PD, anche perché, da chi potrebbero andare? Voi li prendereste?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7303DANIEL ORTEGA, IL ''VOLTO UMANO'' DEL COMUNISMO IN NICARAGUA di Mauro FaverzaniA chi ancora credesse al volto umano dell'ideologia comunista - qua e là nel mondo tradottasi o nella dittatura del partito unico o nella tragedia di un immorale radicalismo di massa -, varrebbe la pena di dedicare, quale esempio, la situazione odierna del Nicaragua di Daniel Ortega, tornato al potere nel 2007 col partito sandinista, partito di estrema sinistra impregnato di marxismo, socialismo, antimperialismo e teologia della liberazione.Come noto, questo Paese dell'America centrale è formalmente una repubblica presidenziale, col ritorno di Daniel Ortega però subito trasformata in un regime e dei più oscuri. Per citare solo l'ultimo periodo di una lunga e contrastante carriera politica, lo scorso 16 dicembre il vescovo di Rockford, mons. David Malloy, ha chiesto agli Stati Uniti ed alla comunità internazionale di esercitare pressioni per ottenere il rilascio del vescovo di Matagalpa, amministratore della diocesi di Estelí e segretario per i media della Conferenza episcopale, mons. Rolando Álvarez, prelevato dalla Polizia nazionale dal suo palazzo nelle prime ore dello scorso 19 agosto e poi posto dal governo prima e dai giudici poi agli arresti domiciliari con le incredibili accuse di «cospirazione per attentare all'integrità nazionale e propagazione di notizie false attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense», semplicemente per aver rivolto comprensibili critiche ad un esecutivo, distintosi per la politica di aggressione e intimidazione fisica scatenata contro la Chiesa cattolica, da oltre un anno perseguitata per un presunto sostegno dato ad oppositori e dissidenti.L'anno scorso il governo sandinista ha espulso dal Paese il nunzio apostolico Waldemar Stanislaw Sommertag e 18 suore Missionarie della Carità, ha imprigionato 7 sacerdoti e 2 collaboratori laici, chiuso 9 stazioni-radio cattoliche, ritirato 3 canali cattolici dalla programmazione televisiva in abbonamento, impedito processioni e pellegrinaggi. Profanazioni del Santissimo Sacramento e di immagini sacre, arresti ingiusti ed ingiustificati, violenze, divieto di rientro in Patria imposto ai sacerdoti all'estero sono solo alcune delle più evidenti prevaricazioni poste in essere da un regime rivoluzionario, pronto a calpestare libertà religiosa e diritti umani (quelli veri...), impedendo l'avvio di un processo di ripristino dello stato di diritto nel Paese, come evidenziato dal vescovo Malloy, che ha anche lanciato un drammatico allarme: «L'aspetto fisico deteriorato di Álvarez testimonia le condizioni particolarmente difficili degli arresti domiciliari».La risposta non si è fatta attendere. Lo scorso 20 dicembre Daniel Ortega, durante la cerimonia di consegna dei diplomi ai cadetti dell'Accademia di Polizia, si è scagliato a muso duro contro la Chiesa cattolica, incolpando i vescovi del bagno di sangue avvenuto nel 2018, quando migliaia di nicaraguensi scesero in piazza per protestare contro il regime sandinista. 300 dissidenti furono massacrati solo per aver chiesto un cambio di governo. Senza vergogna, Ortega ha accusato di tutto questo sacerdoti e vescovi, bollati come «farisei» e «sepolcri imbiancati», concludendo il discorso con un giudizio senza appello: «Non ho mai avuto rispetto per i vescovi».La data del processo al vescovo Álvarez non è stata ancora fissata. Ma le stesse accuse di «diffusione di notizie false» e «cospirazione» si sono già tradotte anche nell'arresto di altri 3 sacerdoti, 2 seminaristi, un diacono ed un laico, un fotografo cattolico per la precisione. Tra questi figura anche Padre Ramiro Reynaldo Tijerino Chávez, rettore dell'Università «Giovanni Paolo II». Tutti proclamano la propria innocenza. Probabilmente la loro "colpa" è quella d'esser considerati collaboratori del vescovo Álvarez. Le medesime accuse comunque sono state rivolte anche a don Uriel Antonio Vallejos, parroco della chiesa di Gesù della Divina Misericordia, a Sébaco, salvo solo perché in esilio. Su di lui pende un mandato d'arresto sempre pronto, sempre valido.Ecco, non fosse bastata l'esperienza dell'Unione Sovietica (i cui metodi sembran piacere ancora a tanti, troppi suoi nostalgici "nipotini") e non fosse sufficiente quel che oggi avviene in qualsiasi Paese a trazione comunista (Cina, Corea del Nord, Cuba e via elencando), il Nicaragua oggi, in questi stessi giorni mostra quale sia il vero volto del marxismo. In ogni epoca ed a qualsiasi latitudine.
VIDEO: I migliori anni ➜ www.youtube.com/watch?v=e6b22FCDwbM&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1UxpTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7279LA CINA AMMETTE (IN RITARDO) I DATI SUI MORTI DI COVID: E' LA FINE DEL BLUFF di Stefano MagniLa Cina ammette di aver subito quasi 60mila morti di Covid nell'ultimo mese e incassa il plauso dall'Oms: almeno una stavolta ha reso pubblico un dato reale.L'ultima stima è il risultato del colloquio, sabato, fra il capo della Commissione Nazionale per la Salute cinese, Ma Xiaowei e il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. I morti sono 59.938, il 90% sono anziani con più di 65 anni. Finora, le autorità cinesi avevano dichiarato appena 30 morti di Covid dalla fine dei lockdown. Come mai tanta differenza fra le stime precedenti e le attuali? Il modo di contare: le autorità erano autorizzate a contare come "morto per Covid" solo il paziente che non aveva altre patologie pregresse. È questo il tipo di contabilità che risulta da una nota del Centro per la Prevenzione e il Controllo cinese del 21 dicembre scorso, trapelata alla stampa. Quindi una minoranza estrema. La stessa nota contava 250 milioni di infetti nei primi venti giorni di dicembre e dà l'idea di quanto sia già diffusa la nuova ondata.I CONTI NON TORNANOCerto è che, con la contabilità cinese abbiamo sempre dovuto fare i conti. La pandemia, dal gennaio 2020 al dicembre 2022, secondo le autorità di Pechino, avrebbe provocato in tutto 5.272 morti (in Italia, per fare un paragone, sono stati 185.417). Adesso, dopo questa ammissione, si scopre che i trenta morti di dicembre e gennaio erano in realtà quasi 60mila. Quindi in un solo mese sono morte 12 volte il totale delle vittime di Covid degli ultimi due anni? C'è ovviamente qualcosa che non torna.La rivelazione di questi dati compromette la narrazione cinese, ma non solo quella. Infatti svela il bluff che c'era dietro alla politica di lockdown, volta ad eradicare il virus e non solo a contenerne la diffusione. Se appena finite le misure della strategia "zero Covid" la malattia riprende a circolare e fa decine di migliaia di vittime, vuol dire che non c'è alcuna possibilità di eradicare il virus tramite le chiusure. Neppure se imposte a tutti con le maniere brutali delle autorità della Cina, con metodi che solo un regime totalitario può permettersi. Quando Pechino ha annunciato la fine improvvisa delle chiusure lo ha fatto affermando che il virus fosse sconfitto. E invece non lo era. Motivo in più per pensare che il cambio di rotta sia avvenuto sia per motivi politici (la paura che le proteste dilagassero), sia per motivi economici (la crisi dovuta alle chiusure e i costi della politica zero Covid stavano diventando insostenibili). E questo in un Paese che già dichiarava definitivamente sconfitto il virus l'8 aprile 2020 e che ha puntato il dito contro virus "da importazione" dopo ogni caso registrato successivamente a quella data.TUTTO SBAGLIATO, TUTTO DA RIFAREGhebreyesus si è complimentato con le autorità cinesi per aver accettato di condividere per la prima volta dei dati reali. Ora le prega di essere più trasparenti anche sull'origine della pandemia. Anche questa domanda svela un bluff a cui ha partecipato la stessa Oms di Ghebreyesus per almeno un anno. Prima l'Organizzazione mondiale ha aderito ai tempi dettati da Pechino, dando l'allarme solo quando il regime cinese ha deciso di proclamare l'emergenza, mentre Taiwan, soprattutto, era in allerta dal mese precedente (il 31 dicembre 2019, contro il 23 gennaio 2020, data ufficiale di inizio emergenza). Questo ritardo è risultato fatale per la diffusione del virus nel mondo. Poi, sulla causa iniziale, l'Oms non ha mai mostrato alcun dubbio sull'origine naturale del virus, come Pechino voleva. Si veniva censurati anche sui social network se si provava a parlare di una possibile origine in laboratorio. Dopo la prima ispezione dell'Oms a Wuhan del febbraio 2021, però, è diventata un'ipotesi legittima e sempre più diffusa. La Cina si è finora trincerata dietro una barriera impenetrabile di silenzio e negazione. Ma se ha mentito così clamorosamente sul numero dei morti, c'è da fidarsi quando parla della storia della pandemia?Di fronte alle cifre che arrivano dalla Cina, ora, possiamo avere differenti reazioni, in Europa. Una reazione sbagliata è il panico: 60mila morti in un mese è un numero che incute timore, ma è poco se rapportata ad una popolazione di un miliardo e mezzo di cinesi ormai liberi di muoversi ed assembrarsi. In compenso, reintrodurre restrizioni in Europa sarebbe un errore, soprattutto considerando che proprio la Cina dimostra come le restrizioni (le più dure e dolorose del mondo) servano, al massimo, a rimandare il contagio e non a eradicare il virus. Una migliore reazione, al contrario, è quella di una sana diffidenza nei confronti delle informazioni che ci giungono da un regime totalitario comunista dove, come abbiamo appreso ancora una volta, la statistica è usata come un'arma politica. Se solo pensiamo che la risposta al coronavirus, nel 2020, è stata elaborata sulla base delle informazioni ufficiali di Pechino, possiamo ben realizzare in che mani siamo (stati).
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7254PROCLAMARE SANTO IL VESCOVO CAMARA SIGNIFICA CANONIZZARE IL COMUNISMOIl vescovo brasiliano Helder Camara potrebbe essere dichiarato venerabile: fu protagonista della teologia della liberazione, benevolo verso Urss e Cina, nella sua diocesi si pianificava la lotta armata rivoluzionariadi Stefano ChiappaloneUn deciso passo in avanti per la causa di beatificazione di mons. Helder Camara (1909-1999), il "vescovo rosso" brasiliano che a breve potrebbe essere dichiarato venerabile. Lo ha reso noto l'arcivescovo mons. Fernando Saburido, suo successore nell'arcidiocesi di Olinda e Recife, retta da Camara tra il 1964 e il 1985. Un prelato sui generis, schierato con l'ala più progressista dei padri conciliari e poi, a concilio concluso, desideroso di un Vaticano III che superasse il secondo (naturalmente a sinistra). Protagonista della teologia della liberazione, sul piano politico, si mostrò decisamente benevolo verso le dittature comuniste, dall'Unione Sovietica, alla Cina, a Cuba, sempre all'insegna della "difesa dei poveri" con cui è stato propagandisticamente identificato in vita e in morte. Qualora un giorno mons. Camara salisse agli onori degli altari, costituirebbe un modello a dir poco controverso. A sostenerlo, auspicando che la causa venga sospesa, è Tradizione Famiglia Proprietà (TFP), rete di associazioni nata proprio in Brasile dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), leader cattolico e impegnato nella "battaglia culturale" su posizioni opposte a quelle di dom Camara. Ne parla a La Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.Loredo, potremmo avere dunque un "vescovo rosso" sugli altari?Dom Helder Camara è stato una figura chiave del progressismo ecclesiale dagli anni ‘30 fino alla morte, protagonista della svolta a sinistra dell'Azione Cattolica in Brasile. In seno a questo processo è sorta anche la teologia della liberazione. Inoltre negli anni '50 e '60 ha avuto un ruolo centrale nel ricambio (generazionale ma anche ideologico) dell'episcopato brasiliano, favorendo la nomina di prelati progressisti insieme al nunzio dell'epoca, mons. Armando Lombardi.Una parabola partita però dal fronte opposto...E non da semplice militante: era il numero due del partito filo-nazista Azione Integralista Brasiliana, fondato da Plinio Salgado. Quando fu ordinato sacerdote, nel 1931, sotto la talare indossava la divisa delle milizie integraliste. Grazie a uno studio di Plinio Correa de Oliveira, che ne mostrava l'incompatibilità con la dottrina cattolica, venne meno l'appoggio ecclesiastico al movimento, poi messo fuorilegge dal presidente Getulio Vargas. Dopo la dissoluzione e l'esilio di Salgado, Camara iniziò il suo trasbordo ideologico verso sinistra - che abbiamo descritto in apertura - fino alla teologia della liberazione e alla costituzione di comunità ecclesiali di base (CEB), prefigurate dal pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, ispiratore del Movimento de Educação de Base.Come si mosse dom Camara durante il Concilio?Pur non avendo mai preso la parola in aula, è stato assolutamente centrale dietro le quinte del Vaticano II. Era lui a coordinare gli incontri fra esponenti dell'ala progressista (curiosamente anche sul fronte tradizionalista la spinta veniva dal Brasile, grazie agli incontri coordinati da Plinio Correa de Oliveira dai quali scaturì il Coetus Internationalis Patrum). In questi anni dom Helder, già parte integrante della teologia della liberazione, portava avanti il dissenso dal magistero anche sul piano morale fino alla critica della Humanae Vitae di Paolo VI e alla difesa dell'aborto.Un politico più che un vescovo?Nel 1969 tenne un celebre discorso a New York in cui appoggiava il comunismo internazionale. Difendeva l'URSS e la Cina di Mao. Al Sessantotto risale uno degli episodi più scioccanti: il documento Comblin. Nel giugno 1968 trapelò questo documento che pianificava una rivoluzione comunista armata in Brasile. Joseph Comblin era un sacerdote belga, professore presso l'istituto teologico di Recife. Dunque, nella diocesi e sotto l'egida di mons. Camara, il quale non negò l'autenticità del documento, limitandosi a dire che non era ufficiale. Il progetto contemplava, per esempio, l'abolizione della proprietà privata, delle forze armate, la censura di stampa, radio e tv, i tribunali popolari. In pratica una rivoluzione bolscevica in Brasile. Correa de Oliveira raccolse 2 milioni di firme chiedendo l'intervento di Paolo VI per bloccare questa infiltrazione marxista nella Chiesa brasiliana, ma non ebbe risposta.Anzi, il controverso presule rimase in carica fino ai 75 anni canonici.Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò suo successore José Cardoso Sobrinho, che ha cercato di mettere un po' d'ordine nella diocesi, addirittura chiudendo l'istituto teologico e creandone un altro. Nello stesso anno usciva l'istruzione vaticana Libertatis Nuntius che condannava gli aspetti esterni della teologia della liberazione, ma era come chiudere la stalla con i buoi già scappati.E lui personalmente non ha mai ritrattato le sue posizioni?Non risulta. E alla sua morte, nell'agosto 1999, godeva di una sorta di canonizzazione mediatica. Alcuni giornali italiani titolavano: «Profeta dei poveri», «Santo delle favelas», «Voce del Terzo Mondo», e addirittura «San Helder d'America».Una "fama di santità" ideologica, più che religiosa.Un'eventuale canonizzazione di dom Helder Camara sarebe la canonizzazione del comunismo, della teologia della liberazione, del dissenso. Lo chiamano già "Santo dei poveri", ma lui difendeva regimi che provocano la povertà, come aveva sintetizzato Indro Montanelli: «La sinistra ama tanto i poveri, che ogni volta che sale al potere ne aumenta il numero». Riguardo alla «falsificazione della fede cristiana» operata dalla teologia della liberazione, Benedetto XVI disse che « bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro».Nota di BastaBugie: mons. Helder Câmara appoggiava un progetto di rivoluzione comunista per l'America Latina conosciuto come il "Documento Comblin" preparato nel giugno 1968 sotto l'egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l'Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Si trattava di un Rapporto destinato al Consiglio Episcopale Latinoamericano. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una "dittatura popolare" di matrice comunista.In mezzo all'accesa polemica che ne seguì, padre Comblin non negò l'autenticità del documento, ma disse trattarsi "soltanto di una bozza".Eccone alcuni punti, riportati dal sito di Tradizione, Famiglia, Proprietà:CONTRO LA PROPRIETÀNel documento, il p. Comblin difende una triplice riforma - agraria, urbana e aziendale- partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.UGUAGLIANZA TOTALEL'obiettivo, afferma p. Comblin, è stabilire l'uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.RIVOLUZIONE POLITICO-SOCIALEIn campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di "gruppi di pressione" radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea "dittatura popolare" per imbavagliare la maggioranza, ritenuta "indolente".RIVOLUZIONE NELLA CHIESAPer consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell'autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di Politburo ecclesiastico.ABOLIZIONE DELLE FORZE ARMATELe Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.CENSURA DI STAMPA, RADIO E TVFinché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di "coscienza rivoluzionaria", la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Chi non è d'accordo deve abbandonare il Paese.TRIBUNALI POPOLARIAccusando il Potere Giudiziario di essere "corrotto dalla borghesia", p. Comblin propone l'istituzione di "Tribunali popolari straordinari" per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.VIOLENZANel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7222IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE RICORDA IL MALE DEL COMUNISMO di Roberto De MatteiIn occasione del Giorno della Libertà, istituito dal Parlamento, per il 9 novembre, data in cui nel 1989 fu abbattuto il Muro di Berlino, il ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, tramite i dirigenti scolastici, ha inviato a tutti gli studenti italiani una lettera in cui invita i ragazzi a riflettere sull'anniversario di questo evento che «gli storici hanno molto studiato e continueranno a studiare», ma che merita di essere giudicato anche da chi frequenta le aule scolastiche. La lettera del Ministro non è lunga ed ecco il suo testo integrale.TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL MINISTRO"Care ragazze e cari ragazzi, la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l'evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell'Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo - al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese - ne dimostra tuttavia l'esito drammaticamente fallimentare e ne determina l'espulsione dal Vecchio Continente.Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l'immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l'umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l'utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto - umanità, giustizia, libertà, verità - sia subordinato all'obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l'intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della Rivoluzione russa: «L'uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l'angelo fa la bestia».Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l'Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell'impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa.Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell'utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com'è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l'unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile."LE REAZIONICon questa lettera Valditara assolve a un compito educativo che è proprio del Ministero di cui ha la responsabilità: istruire e formare le giovani generazioni. Le parole del Ministro si limitano a ricordare ciò che è avvenuto nei Paesi governati dai comunisti, ma la sinistra italiana ha inscenato una pretestuosa polemica contro la sua lettera. Il Partito Democratico ha accusato il ministro di "fare propaganda politica", mentre il segretario di Sinistra Italiana Fratoianni ha affermato che "oggi tocca al titolare dell'Istruzione ergersi sulle macerie del Muro di Berlino, per dare una lezione quanto mai stantia sul comunismo".Però in questo mese di ottobre, in occasione del centenario della Marcia su Roma sono usciti una caterva di libri e di articoli rievocando e condannando, giustamente il fascismo, senza che negli ultimi trent'anni, si sia mai sentita qualsiasi condanna del comunismo. Del comunismo possono parlare solo i comunisti, i post-comunisti, i neo-comunisti, ma agli anticomunisti è interdetta la parola. Il vizio ideologico della sinistra è ancora quello che il filosofo Augusto Del Noce denunciava negli anni Ottanta del Novecento: considerare non il comunismo, ma il fascismo, il male assoluto del secolo, e su questo principio costruire una strategia di demonizzazione dei propri avversari politici. Ma mentre il fascismo è storicamente tramontato, il comunismo è ufficialmente professato dalla Cina, ed è ancora esaltato in Russia. Chi, come la sinistra italiana e internazionale, celebra l'antifascismo, ma nega il diritto di condannare pubblicamente il comunismo, dimostra con questo atteggiamento che il comunismo non è morto. Il che conferma quanto sia stata opportuna la lettera del ministro Valditara.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7128TUTTI I FALLIMENTI DI GORBACIOV di Stefano MagniGli articoli e gli editoriali sulla morte di Gorbaciov, in questi due giorni dopo la sua morte, sono tutti più o meno celebrativi. L'ultimo presidente sovietico fu l'uomo che pose fine alla guerra fredda, dunque viene ricordato soprattutto per il suo ruolo di pace. Ma non si comprende come mai in patria, sia in Russia che nelle altre repubbliche ex sovietiche, sia ricordato con estrema ostilità. Benché rispettato dal nuovo regime, Putin stesso gli ha reso omaggio, non ha ottenuto funerali di Stato. È una figura, ormai storica, divisiva e impopolare. Perché?Si fa presto ad affermare che Gorbaciov sia odiato dai nostalgici dell'Urss, che con Putin sono tornati in auge. Certamente, questa fu l'opposizione più visibile ed anche più violenta. Nel periodo dal 1985 al 1989, il Kgb era ben consapevole dei limiti economici, militari e strutturali dell'Unione Sovietica. Fu il Kgb a incoraggiare la promozione di Gorbaciov a Segretario Generale, dopo la morte di Chernenko, approvata poi dal Comitato Centrale con voto unanime. Gorbaciov era già uomo di fiducia di Andropov, storico direttore del Kgb e poi segretario generale dell'Urss dal 1982 al 1984. Gorbaciov venne selezionato perché relativamente "giovane" (54 anni nel 1985) e aperto di mente, ma fedele al sistema comunista. Il Kgb stesso promosse e in un certo senso incoraggiò l'abbandono dei regimi dell'Est europeo, con quella che venne informalmente chiamata la "dottrina Sinatra": ciascuno per la sua strada. Tuttavia, l'atmosfera cambiò repentinamente quando nei regimi ex comunisti le elezioni vennero vinte da partiti non comunisti, a partire dalla Polonia.Esercito e Kgb si coalizzarono per impedire che la disgregazione del blocco orientale divenisse disgregazione anche della stessa Urss. E pretesero che Gorbaciov imponesse l'ordine alle repubbliche secessioniste, anche proclamando lo stato d'emergenza. Il segretario generale usò la forza (contro Kazakistan, Georgia, Azerbaigian, Lituania e Lettonia), ma rifiutò il cambio di passo preteso da militari e servizi. Fu questo rifiuto che portò al tentativo di golpe contro di lui, nell'agosto del 1991. Il resto è noto: il golpe fallì, Gorbaciov ottenne una vittoria apparente, ma di fatto aveva già perso il potere. Eltsin, il presidente della Repubblica Socialista Federativa Russa, si oppose in prima persona ai militari e divenne lui il leader politico carismatico della nuova stagione russa che portò alla disgregazione dell'Urss. Dopo il collasso sovietico, esercito, ex servizi segreti, burocrazia statale, non perdonarono mai a Gorbaciov di aver causato il "crollo" dell'impero, di essersi lasciato sfuggire di mano il processo di riforme e decentramento che loro stessi avevano avviato.LE REPRESSIONI FINITE NEL SANGUENelle repubbliche ex sovietiche, al contrario, non perdonano a Gorbaciov quelle ultime repressioni della stagione di sangue del 1986-91, volte a tenere assieme un'Urss in piena frammentazione. In Kazakistan ricordano gli oltre 200 morti civili del massacro di Alma Ata del dicembre 1986. Quando Gorbaciov sostituì il segretario generale locale Dinmukhamed Kunaev con il russo Gennadij Kolbin, i kazaki inscenarono proteste che vennero schiacciate con la forza delle armi. Gli armeni non perdonano a Gorbaciov di aver permesso (o non ostacolato abbastanza) i primi massacri compiuti dagli azeri nel Nagorno Karabakh nel 1988 e 1989. Gli azeri, al contrario, non dimenticheranno mai il massacro di Baku, il "gennaio nero" del 1990, quando le forze regolare e le truppe speciali del KGB entrarono nella capitale azera per stroncare sul nascere il locale Fronte Popolare (indipendentista e anti-armeno), uccidendo da 130 a 170 persone, in gran parte civili, fra il 19 e il 20 gennaio. I lituani non dimenticano la "domenica di sangue", culmine di tre giorni di intervento militare sovietico (11-13 gennaio 1991) contro la repubblica baltica, dopo la sua proclamazione di indipendenza. Mentre il mondo era distratto dalla Guerra del Golfo, che sta appena iniziando, i sovietici nella notte fra il sabato 12 e la domenica 13 gennaio 1991, tentarono di occupare la capitale lituana, a partire dalla conquista della sede della televisione. La folla inerme oppose resistenza, vi furono meno morti rispetto ai precedenti massacri (14 le vittime), ma fu comunque traumatico, il tutto ripreso quasi in diretta dai media locali e internazionali. Contemporaneamente, e per lo stesso motivo, i carri sovietici entravano anche a Riga, ma dopo dieci giorni di confronto fra manifestanti (protetti da numerose barricate in cemento) ed esercito, l'Armata si ritirò. Non prima di aver fatto altri 6 morti, fra cui due poliziotti lettoni.I DISSIDENTI RUSSISe nelle repubbliche ex sovietiche vedono in Gorbaciov l'ultimo dei dittatori occupanti, non meno repressivo dei suoi predecessori, anche i dissidenti russi tendono a considerarlo come uno storico bluff. Significativa la reazione di Kasparov, campione di scacchi e poi dissidente: al momento della morte dell'ultimo leader sovietico ha twittato "Come giovane campione del mondo sovietico e beneficiario della perestrojka e della glasnost, ho spinto ogni muro della repressione per testare i limiti improvvisamente mutevoli. Era un periodo di confusione e di opportunità. Il tentativo di Gorbaciov di creare un 'socialismo dal volto umano' fallì, e grazie a Dio". Le pagine più drammatiche di denuncia, le scrisse un altro dissidente, Vladimir Bukovskij, nel suo Gli Archivi Segreti di Mosca: "Per quanto ci affannassimo a spiegare che il sistema sovietico non era una monarchia e che il segretario generale non era uno zar, chi in quel momento non avrebbe comunque augurato il successo al nuovo zar-riformatore? Delle centinaia di migliaia di politici, giornalisti e accademici, solo un minuscolo gruppetto conservò una sufficiente lucidità per non cedere alla seduzione, e un gruppo ancor più sparuto di esprimere apertamente i suoi dubbi".La repressione del dissenso interno non finì affatto con l'ascesa al potere di Gorbaciov. Come documenta Bukovskij, dai files presi negli archivi del Cremlino, ancora nel 1987, il KGB organizzava campagne per arrestare i dissidenti, far fallire le iniziative a favore dei diritti umani, impedire l'ingresso di intellettuali e attivisti stranieri. Il tutto era ordinato da Chebrikov, direttore dei servizi segreti, con il pieno appoggio di Gorbaciov. Nella sua monumentale opera Gulag, la storica Anne Applebaum, ci ricorda come gli ultimi campi di concentramento vennero chiusi nel 1992, l'anno dopo la fine dell'Urss. "Tipica di quel periodo è la vicenda di Bohdan Klimchak - scrive la Applebaum - un tecnico ucraino arrestato per aver tentato di lasciare l'Unione Sovietica. Nel 1978, temendo di essere arrestato con l'accusa di nazionalismo ucraino, aveva varcato la frontiera sovietica con l'Iran e chiesto asilo politico, ma gli iraniani lo avevano rimandato indietro. Nell'aprile 1990 era ancora detenuto nella prigione di Perm. Un gruppo di congressisti americani riuscì a fargli visita e scoprì che, in pratica, a Perm la situazione rimaneva immutata. I prigionieri si lamentavano ancora per il freddo che dovevano patire e venivano rinchiusi nelle celle di rigore per 'reati' come il rifiuto di allacciare l'ultimo bottone dell'uniforme".LE MALDESTRE RIFORME ECONOMICHETuttavia fu un altro prigioniero politico ucraino, Anatolij Marchenko, che determinò un primo grande cambiamento nel sistema concentrazionario sovietico. Per protesta contro le orribili condizioni degli internati nei campi, intraprese lo sciopero della fame e fu lasciato morire l'8 dicembre 1986. La vicenda fece scalpore anche all'estero e Gorbaciov si decise ad approvare un'amnistia generale. Non fu, appunto, la fine del sistema dei campi in quanto tale (che come abbiamo visto chiuse solo nel 1992), ma la fine del Gulag come metodo statale repressivo. Il Kgb accettò, sia secondo la Applebaum, che secondo voci dissidenti come quella di Bukovskij, perché l'amnistia ormai "costava" poco al regime. Non si doveva fare alcuna retromarcia ideologica: i prigionieri, graziati, dovevano comunque firmare delle dichiarazioni di pentimento. E giunti alla fine degli anni Ottanta, la dissidenza, ridotta allo stremo, non era considerata più un pericolo per il regime, come si legge dai documenti di allora.I dissidenti sono, appunto, una minoranza. La maggioranza dei russi ha pessimi ricordi di Gorbaciov per le sue maldestre riforme economiche. "Mi trovai ben presto - ricorda l'allora ambasciatore Sergio Romano al Corriere - ad osservare criticamente gli avvenimenti. Rimproveravo a Mikhail Sergeevic (Gorbaciov, ndr) di non avere un vero programma economico. Va bene concedere più libertà: tutti erano giustamente contenti. Ma cosa fare del sistema di produzione collettivo? Lui parlò della creazione di una 'industria sociale': ma non spiegò mai in cosa consistesse".Gli anni di Gorbaciov furono anni di ristrettezze. E anche di proibizionismo dell'alcool, che aggiunse ulteriore disperazione ad uno scenario lugubre di suo, con code per il pane e razionamenti. Particolarmente catastrofica fu la "riforma monetaria" del 22 gennaio 1991. A sorpresa, nottetempo, per stroncare i proventi del lavoro nero e del contrabbando, vennero confiscate tutte le banconote da 50 e 100 rubli. La procedura di sequestro permise di ritirare dalla circolazione 14 miliardi di rubli in contanti, ma bruciò i risparmi di decine di milioni di sovietici, soprattutto quelli più benestanti.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7029ARRESTATO E POI RILASCIATO IL CARDINALE CINESE ZEN di Alessandro FerroArrestato e poi rilasciato su cauzione il cardinale di Hong kong, Joseph Zen Ze-kiun, accusato di collusione con le forze straniere: ecco cos'è successo e perchè è osteggiato dal governo di PechinoOre incredibili e convulse quelle che hanno riguardato il cardinale e attivista cattolico Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong che nel pomeriggio era stato arrestato dalla polizia "per la sicurezza nazionale" come riferito dal South China Morning Post. L'accusa con cui il 90enne era stato fermato alcune ore fa insieme a un ex deputato di opposizione del governo cinese Margaret Ng Ngoi-yee, e alla cantante Denise Ho Wan-sze è stata per "collusione con forze straniere", uno dei quattro reati che prevede la legge che grava su Hong Kong che era stata decisa da Pechino nel giugno 2020 e condannata a livello internazionale perché può comportare pene severissime che arrivano anche all'ergastolo.L'INTERROGATORIO, POI IL RILASCIOIl cardinale Zen ha passato alcune ore all'interno di una stazione di polizia per un interrogatorio come aveva dichiarato a AdnKronos Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime adesso a Hong Kong. "La Polizia per ora non ha detto niente". Durante il pomeriggio, poi, anche la Santa Sede si era espressa in merito alla vicenda apprendendo "con preoccupazione la notizia dell'arresto del cardinale Zen" e seguendo "con estrema attenzione l'evolversi della situazione". Nelle ore convulse si era fatta sentire anche la Lega sottolineando come si trattasse dell'ennesimo attacco "alla libertà di professare la propria fede religiosa" dove è fondamentale che anche tutta l'Europa facesse "sentire la propria voce" contro il regime di Pechino che "non può continuare a ridurre al silenzio ogni voce libera che crede negli stessi valori e principi su cui poggiano i pilastri dell'Occidente".Poi, però, è arrivata la lieta notizia del rilascio tramite cauzione come ha fatto sapere la piattaforma Hong Kong 01. Gli altri due arrestati assieme a Zen non erano persone casuali ma facevano del "612 Humanitarian Relief Fund", un Istituito che offre assistenza finanziaria ai partecipanti delle proteste a favore della democrazia nel 2019. Tra l'altro, ieri era stato arrestato anche un altro amministratore del fondo che stava per decollare alla volta della Germania.LA FIGURA DEL CARDINALEQuanto accaduto non è un fatto nuovo: il cardinale Zen è da tempo sotto la lente d'ingrandimento della Cina. A gennaio ebbe alcuni attacchi dove veniva accusato di aver incitato alcuni studenti a ribellarsi, nel 2019, contro alcune misure decise da Pechino. Ed è proprio nella capitale cinese che il religioso viene visto con avversione per le critiche al controllo del Partito comunista cinese verso le comunità religiose. Ha da sempre difeso i diritti civili a Hong Kong e nella Cina, come ricorda AsiaNews, Zen "ha spesso assistito alle udienze che vedono imputati politici e attivisti filo-democratici, finiti alla sbarra con l'accusa di aver violato il provvedimento sulla sicurezza nazionale".Zen è una figura delle figure, se non la figura, più importante sia per la guida spirituale di Hong Kong che a livello politico per il movimento democratico. Si è sempre schierato contro le malefatte della polizia e le pressioni cinesi su quella che era l'ex colonia. In passato, poi, aveva criticato apertamente le politiche del Vaticano e le trattative con i leader comunisti cinesi dopo che furno nominati in maniera congiunta alcuni vescovi. Per Zen quell'episodio fu "irriguardoso" verso milioni di credenti che anche rischiando la propria pelle continuano a credere e coltivare la propria fede anche in un regime come quello cinese che reprime e condanna queste forme religiose."L'arresto di un cardinale di 90 anni per le sue attività pacifiche è un altro episodio scioccante per Hong Kong, che mostra bene la caduta libera della città per quanto riguarda i diritti umani negli ultimi due anni", ha affermato, infine, Human Rights Watch.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Joseph Zen arrestato a Hong Kong, anche la libertà religiosa ha le ore contate" parla dell'arresto del cardinale, 90 anni da poco compiuti, che poi è stato liberato su cauzione. Non è un incidente di percorso, ma l'ultima tappa di un disegno ben congegnato ed accelerato nel 2019.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 maggio 2022:Ad Hong Kong le autorità hanno arrestato il cardinale Joseph Zen. La notizia ha sconvolto la Chiesa, il Vaticano ha espresso preoccupazione per la sorte del vescovo emerito di Hong Kong. Il cardinale, 90 anni da poco compiuti, è stato liberato su cauzione. In ogni caso, resta aperto il procedimento contro di lui. Dopo la libertà politica e quella di espressione, ad Hong Kong, sempre più indistinguibile dal resto della Cina, sta scomparendo anche la libertà di religione. È l'ultima tappa di un percorso già segnato ed accelerato nel 2019.Joseph Zen è da sempre la voce critica di Hong Kong sia sull'accordo segreto fra Cina e Vaticano, sia sul regime comunista cinese. Si è esposto in prima persona in difesa dei manifestanti democratici, nel corso della rivoluzione "degli ombrelli" (2014) e poi delle manifestazioni di massa contro la legge sull'estradizione del 2019. Il regime di Pechino lo aveva preso nel mirino, con articoli denigratori sulla stampa ufficiale. L'arresto è motivato dalla presunta violazione della nuova Legge per la sicurezza nazionale, imposta a Hong Kong da Pechino, proprio a seguito delle manifestazioni del 2019. L'accusa rivolta a Joseph Zen è quella di sospetta collusione con "forze straniere": era uno dei cinque amministratori del Fondo 612, con cui erano stati aiutati i manifestanti democratici nel pagamento delle spese legali o sanitarie che dovevano affrontare. Con Zen sono stati fermati dalla polizia due altri amministratori: la cantante Denise Ho Wan-sze, e l'ex parlamentare dell'opposizione Margaret Ng Ngoi-yee. Il giorno prima si era proceduto all'arresto di un quarto amministratore, il professor Hui Po Keung, fermato all'aeroporto internazionale mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto in Germania"La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell'arresto del Cardinale Zen e segue con estrema attenzione l'evolversi della situazione", è il comunicato scritto rilasciato da Matteo Bruni, direttore della Stampa della Santa Sede. Anche gli Stati Uniti hanno espresso la loro protesta, nel giorno dell'arresto, chiedendo il rilascio di "coloro che sono stati arrestati e accusati, ingiustamente, come il cardinale Joseph Zen".L'arresto e la successiva liberazione su cauzione del cardinal Zen, segna l'inizio del "regno" di John Lee, nuovo capo dell'esecutivo di Hong Kong, insediatosi da appena due giorni. Nel 2019 era a capo della polizia ed ha gestito direttamente la repressione delle manifestazioni di piazza. Ha anche supervisionato l'imposizione della nuova Legge per la sicurezza nazionale. John Lee e funzionari fedeli a Pechino come lui, erano esattamente il motivo per cui buona parte della popolazione di Hong Kong era scesa in piazza per protesta.Lo spiegava proprio il cardinale Zen, nell'intervista che aveva rilasciato alla Nuova Bussola Quotidiana nel 2020: «I comunisti non capiscono cosa è una società libera e non possono tollerare che Hong Kong sia autonoma. Dovevamo essere autonomi per 50 anni, ma non siamo neppure a metà del percorso che ci hanno già tolto tutto. Con la nuova Legge sulla sicurezza nazionale, se ci arrestano possiamo essere privati dell'assistenza di un avvocato, non è permesso che i parenti vengano a trovarci in carcere, possiamo essere deportati in Cina e sparire. Esortiamo tutti ad essere prudenti e a non fornire pretesti, ma qualunque parola può essere usata contro di noi. La cosa più dolorosa è vedere tanta gente, soprattutto i giovani, che non può trattenersi più, vede che ci stanno togliendo tutto e non pensa più alla propria incolumità, al proprio futuro. E incontra la brutalità della polizia».L'elezione di John Lee, domenica, è stata praticamente una cooptazione in cui il voto si è ridotto a un rito formale. È stato infatti scelto dal voto di un comitato di 1500 membri, accuratamente selezionati in base al loro "patriottismo". Hong Kong non è mai stata democratica, né quando era una colonia britannica, né dopo la sua restituzione alla Cina nel 1997. Ma il percorso che stava intraprendendo verso una maggiore libertà, è stato interrotto. Ora il sistema della città autonoma è ancor più oligarchico e, quel che conta: direttamente controllato dal Partito Comunista Cinese.Se la riforma elettorale voluta da Pechino è la dimostrazione che nell'enclave di Hong Kong non ci sono più speranze per la libertà politica, la precedente imposizione della Legge per la sicurezza nazionale ha invece segnato la fine del sistema giudiziario indipendente, con le sue garanzie e il rispetto dell'habeas corpus derivati dalla tradizione britannica. Ora i reati puniti dalla nuova legge sono definiti in modo talmente ideologico (secessione, sovversione, sabotaggio...) ed arbitrario, da segnare, di fatto, la fine dell'equo processo. La libertà di espressione ha subito un durissimo colpo con l'arresto dell'imprenditore ed editore cattolico Jimmy Lai e la chiusura di Apple Daily, punto di riferimento dell'opposizione democratica al comunismo. L'arresto di Zen è il chiaro segnale che anche la libertà di religione ha le ore contate.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6968PALMIRO TOGLIATTI, IL COMUNISTA CHE COMBATTE' LA CHIESA (E GLI ITALIANI) di Martina CamonitaPalmiro Togliatti nasce a Genova, una domenica di marzo del 1893. Era la domenica delle Palme, da lì il suo nome: Palmiro.Cresce in una famiglia cattolica, da genitori praticanti, la mamma è una maestra di scuola, il padre un amministratore dei convitti. Togliatti scrive: "per abitudine si andava a messa tutte le domeniche, ma non sentii mai il problema religioso con troppa intensità". A scuola è il primo della classe tanto da guadagnarsi l'appellativo de "il migliore". Frequenta il liceo classico con ottimi risultati. In concomitanza della maturità, nel 1911, suo padre muore. La famiglia attraversa un periodo di difficoltà economiche e per andare avanti negli studi Palmiro partecipa al concorso per la borsa di studio. Si classificherà al secondo posto, il nono posto sarà appannaggio di un giovane sardo, di nome Antonio Gramsci. Palmiro vorrebbe intraprendere gli studi di filosofia ma, per assicurarsi un futuro più sicuro ed aiutare la famiglia, sceglie giurisprudenza. Si laurea con il massimo dei voti, 30/30, discutendo la tesi su "Il regime doganale delle colonie" con il professore Luigi Einaudi. Continua a seguire la sua passione per la filosofia ma, durante gli studi universitari frequenta Gramsci e matura il suo avvicinamento agli ideali socialisti rivoluzionari. Palmiro vive la sua gioventù nel clima del primo grande boom industriale del nord ovest italiano, dove sono ubicate fabbriche come la FIAT e l'ANSALDO che vedranno crescere una nuova, numerosa e forte classe operaia. Nel 1914 si iscrive al partito socialista. Il clima che si respira in quegli anni vive degli echi della rivoluzione bolscevica del 1917, della figura di Benito Mussolini che infervora gli animi dei giovani socialisti e che firma la testata dell'Avanti. Molti giovani percepiscono gli effetti dell'atmosfera ottimistica lasciati dalla belle époque, dal montante futurismo, c'è un'aria di attesa messianica e di grandi rivoluzioni nel sociale che la prima guerra mondiale metterà in crisi. Nel 1919 insieme a Gramsci, Terracini e Tasca fonda il giornale L'ordine Nuovo. Le masse operaie hanno bisogno di una guida, Togliatti intuisce che la politica "era una cosa troppo importante e troppo seria per lasciarla fare alla gente comune" guidare le masse verso la rivoluzione socialista diverrà la sua vocazione.I DUE PARTITI GEMELLIIntanto il Mussolini socialista diventa il Mussolini fascista, rappresentando con quel partito, come dicevano i socialisti de L'Ordine Nuovo: "la parte peggiore della borghesia italiana".Le squadre fasciste diventano molto attive, sono uno degli strumenti con cui l'incombente regime spazzerà via ogni opposizione.A Livorno, nel 1921, da una scissione del Partito Socialista, nasce il Partito Comunista d'Italia, che da lì a poco, insieme a Togliatti e tanti altri attivisti, sarà votato alla clandestinità. Nel 1926 Antonio Gramsci è arrestato, il carcere segnerà il suo destino piegherà il suo fisico e, nel 1937, lo porterà alla morte. In quell'anno Togliatti raccoglierà il testimone di segretario del partito comunista che ricoprirà fino al 1964, anno della sua morte.Nel 1924 Togliatti sposa la compagna Rita Montagnana, l'anno successivo nascerà suo figlio Aldo. Da lì a poco, insieme alla famiglia, andrà esule in Unione Sovietica dove resterà 17 anni fino al 1943. A Mosca diverrà membro, importante e stimato da Stalin, del Comintern il gotha del comunismo mondiale.Palmiro Togliatti è un uomo dal carattere riflessivo, diffida dei sentimentalisti e degli entusiasti, preferisce le decisioni pensate, prima che un militante ed attivista, sarà uno stratega. Fonderà lo stile della sua politica sul suo carattere ponderato, e sul convincimento che "il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione politica". Sposa la linea leninista che considera i primi nemici, i più pericolosi, quelli interni. Non pochi dirigenti e militanti comunisti fuggiti come lui in URSS, subiranno processi, esecuzioni, gulag e carcerazioni per avere, in vario modo ed a vari livelli, dissentito dal partito. Il Togliatti pragmatico, ritiene plausibile perseguire i dissidenti perché mettono in pericolo la "causa". Togliatti sposerà la logica per cui il "partito ha sempre ragione, anche quando ha torto". Nel 1930 diventa cittadino sovietico. Nel 1935 è inviato in Spagna durate la guerra civile, come commissario del Comintern. Vi rimarrà fino al 1939. In quel periodo lancia un appello ai fascisti italiani, invitandoli a tornare al primo ideale socialista.LA CHIESA CATTOLICA È IL NEMICOAl rientro dalla Spagna in URSS, sarà messo sotto inchiesta perché sospettato di avere sabotato la liberazione di Gramsci nonché per via del sequestro, da parte della polizia francese, di un carteggio del PSE - partito comunista spagnolo. Palmiro è un uomo colto, competente, conosce bene la parte avversaria soprattutto la Chiesa Cattolica. Per lui il Vaticano è "l'avversario irreconciliabile e organizzato, di una trasformazione democratica dell'Italia". Un avversario del quale ha grande rispetto, si arrabbia quando sente i suoi compagni denigrare o sottovalutare la Chiesa e il cattolicesimo, perché il nemico va conosciuto e considerato se lo si vuol combattere. Togliatti sa che il cattolicesimo, in Italia, è un modo di pensare, radicato nella mente dei più anziani e coltivato nei giovani. Ecco perché per attaccare il "nemico" è necessario conoscerlo a fondo.Nel 1943 Palmiro torna in Italia sotto l'identità di Ercole Ercoli. Ha elaborato un progetto "per cambiare gli italiani nel modo di essere e di sentire" che sottopone a Stalin, il quale non manca di condividere e "benedire" il piano. Il progetto prevede quanto, in effetti, accadrà successivamente: la partecipazione dei comunisti al governo Badoglio, il referendum monarchia-repubblica, una costituzione nella quale inserire principi e formule che favoriscano la rivoluzione, governi di unità nazionale etc... tutte cose che puntualmente si realizzeranno compresa "l'amnistia Togliatti". Un provvedimento di clemenza per un rapido avvio del Paese a condizioni di pace politica e sociale. L'amnistia comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi, ivi compreso il concorso in omicidio. Il provvedimento sarà promosso da Togliatti, a in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia del primo governo De Gasperi.Lo stile politico del leader comunista è pacato, argomentato, tiene testa ai suoi avversari con raziocinio, facendo riferimento, spesso, a fatti davanti ai quali l'interlocutore rimane spiazzato per mancanza di memoria o di preparazione. Ignazio Silone dirà di lui "nessuno poteva stargli alla pari aveva un suo modo di ascoltare a lungo ma quando prendeva la parola era come se leggesse, veniva fuori la lunga riflessione, sapeva collegare fatti apparentemente secondari, a cui nessuno aveva pensato".LE PIROETTE SU STALINRicorre anche alla contraddizione, non la teme, come quando alla morte del dittatore "canonizza" il grande Stalin "Stalin è un gigante del pensiero e dell'azione, col suo nome verrà chiamato un secolo" salvo successivamente, in epoca destalinizzante, affermare che "Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva di persecuzione etc...".Nel 1948 Togliatti subisce un grave attentato, tre colpi di pistola lo attingono mettendone in pericolo la vita. L'Italia è sull'orlo della guerra civile. L'Italia è ancora un Paese armato, Palmiro ha la forza di ordinare ai suoi di non reagire militarmente, nonostante ciò sulle piazze si conteranno i morti. Al risveglio dall'intervento chirurgico proferirà una frase in latino "Omnes actiones non ridere, non lugere neque detestari, sed intelligere". Dalla sua formazione intellettuale, Palmiro ha imparato che dietro ogni azione dell'uomo vi è un motivo che occorre capire, e che dietro ogni istituzione c'è sempre un essere umano. Questa considerazione fonderà un metodo di conquista dell'avversario che egli instillerà nei suoi dirigenti e nei militanti del PCI. Un metodo di conquista che gioca sul "cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che divide", Palmiro sa che "nelle file della DC ci sono masse di intellettuali, contadini, giovani, con le nostre stesse aspirazioni (...) vogliono una Italia democratica e progressiva". Uno stile dialogante che non vale, ovviamente, per gli irriducibili.Nel 1951 Mosca gli propone di diventare il numero uno del Cominform, la direzione mondiale del partito comunista. Lui rifiuterà. In Italia il PCI ha bisogno di Togliatti, c'è da cambiare l'Italia, le sue istituzioni e, soprattutto, gli italiani, occorre avviare la via italiana al socialismo. Nelle elezioni politiche del 1963 porterà il PCI al 25,6%, un grande successo, il PCI è il partito comunista più importante dell'occidente.Nel 1964 si reca in vacanza a Jalta in Crimea, vuole parlare con Kruscev, è preoccupato della frattura creatasi fra Mosca e Pechino, ma muore all'improvviso a seguito di un infarto. Al suo funerale a Roma, in Piazza San Giovanni accorreranno più di un milione di persone. Un popolo che riconosceva in lui una guida sicura, la guida de "il migliore". L'URSS gli dedicherà un francobollo e una città, Togliattigrad.La figura di Togliatti può essere definita elitaria perché incarna un politico che pensa, che studia, un politico colto, abile e pragmatico, uno che concepisce progetti politici a lunga scadenza, un uomo che ha una visione del mondo e della società, la si condivida o meno.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6921IL CARDINALE JOSYF SLIPYJ E LA SUA UCRAINA di Roberto de MatteiVi sono uomini che incarnano le virtù e i valori più profondi di un popolo. Tale fu il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Halyč e di Leopoli degli Ucraini, di cui ricorre il 130esimo anniversario della nascita, proprio mentre la sua terra natale conosce una nuova immane tragedia.Nato 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell'Ucraina occidentale, a diciannove anni Josef Slipyj entrò nel Seminario di Leopoli, dove fu ordinato sacerdote il 30 settembre 1917 e poi inviato a Roma per completare i suoi studi presso l'Istituto Orientale e l'Università Gregoriana. Nel 1925 venne nominato Rettore del seminario di Leopoli e nel 1929 dell'Accademia teologica della stessa città. L'Ucraina intanto era caduta sotto il giogo sovietico e Stalin, tra il 1932 e il 1933, requisì tutta la produzione agricola per imporre la collettivizzazione forzata del paese attraverso la carestia, conosciuta come Holodomor [il miglior film che parla dell'Holodomor è senza dubbio Raccolto amaro del 2017; per approfondimenti e per vedere il trailer, clicca qui http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=80].Mentre si avvicinava la guerra, il metropolita greco-cattolico dell'Ucraina Andrej Szeptycki (1865-1944), che lo aveva avviato al sacerdozio, lo richiese a Pio XII come suo coadiutore con diritto di successione. Così, nel 1939, mons. Josef Slipyj venne nominato esarca dell'Ucraina orientale e alla morte del metropolita Szeptycki, il 1° novembre 1944, divenne Capo e padre della Chiesa cattolica ucraina. Era un momento terribile per il suo Paese, stretto tra la morsa dei nazisti e dei comunisti. L'11 aprile 1945 il metropolita Slipyj venne arrestato dai sovietici e condannato a otto anni di lavori forzati nei gulag, mentre veniva inscenato un Sinodo illegale che proclamava la "riunificazione" della Chiesa cattolica ucraina con il Patriarcato ortodosso di Mosca, dominato dal regime sovietico. Le chiese dei greco-cattolici, circa 3.000, vennero date agli ortodossi e quasi tutti i vescovi e i sacerdoti furono uccisi o incarcerati. Nel 1953 l'arcivescovo Slipyj subì una seconda condanna a cinque anni di Siberia e nel 1958 una terza a quattro anni di lavori forzati. Nel 1962, a settant'anni, patì la quarta condanna, consistente nella deportazione a vita nel durissimo campo di Mordovia. In tutto, l'eroico presule passò 18 anni nelle carceri e nei gulag.PIO XII E GIOVANNI XXIIIIl padre gesuita Pietro Leoni (1909-1995), sopravvissuto ai lager sovietici, descrivendo gli orrori del campo di transito di Kivov, racconta che un giorno alcuni detenuti furono introdotti nella sua cella. "Sull'imbrunire mi sentii chiamare da una voce sconosciuta: un uomo anziano, con la barba, stava in piedi davanti al mio posto; mi porse la mano presentandosi: Giuseppe Slipyj. Fu allo stesso tempo una gioia e un dolore sapermi insieme al mio metropolita".Pio XII intervenne ripetutamente in favore degli ucraini e del loro metropolita incoraggiandoli a resistere alle persecuzioni, soprattutto con l'enciclica Orientales Omnes Ecclesias del 23 dicembre 1945. Tuttavia, nel 1958, dopo la morte di Pio XII, i rapporti tra la Russia e il Vaticano iniziarono a mutare. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio Vaticano II, volle che ad esso partecipassero i rappresentanti del Patriarcato di Mosca. Le autorità del Cremlino imposero come condizione il silenzio del Concilio sul comunismo. Un accordo segreto fu siglato, nell'agosto del 1962, nella cittadina francese di Metz tra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il vescovo ortodosso Nikodim da parte russa. La grande assemblea convocata per discutere sui problemi del proprio tempo avrebbe taciuto sulla maggiore catastrofe politica del Novecento.In quegli anni i gulag comunisti pullulavano di prigionieri per motivi religiosi, specialmente della Chiesa cattolica ucraina. Sarebbe stato uno scandalo se nell'aula del Concilio fossero stati assenti i vescovi vittime della persecuzione e presenti invece gli esponenti del Patriarcato di Mosca, che appoggiavano i carnefici. Fu svolta dunque una trattativa tra la Santa Sede e il Cremlino, per permettere al metropolita Slipyj di partecipare al Concilio. Il capo della Chiesa ucraina non voleva abbandonare il suo paese, ma ubbidì al Papa e prima di lasciare Mosca consacrò clandestinamente vescovo il sacerdote redentorista ucraino Wasyl Welyckowskyj.Giunse a Roma il 9 febbraio 1963, ma non tacque. L'11 ottobre 1963 Slipyj intervenne in Concilio parlando della testimonianza di sangue della Chiesa ucraina e proponendo di elevare la sede di Kiev-Halyč al rango patriarcale. Egli ricorda di aver rivolto questa richiesta numerose volte a Paolo VI ma di avere sempre ricevuto un diniego per ragioni politiche. Il riconoscimento del Patriarcato ucraino avrebbe infatti ostacolato l'Ostpolitik e il dialogo ecumenico con la chiesa ortodossa di Mosca. Però, il 25 gennaio 1965 fu creato cardinale da papa Paolo VI, che elevò la Chiesa greco-cattolica ucraina al rango di Arcivescovato maggiore di Leopoli degli Ucraini.IL FUTURO DELLA CHIESA UCRAINAFra il 1968 e il 1976, malgrado l'età avanzata, il cardinale Slipyj intraprese lunghi e faticosi viaggi presso le comunità della diaspora ucraina nelle Americhe, in Australia e in Europa, continuando a svolgere il ruolo di Pastore del suo popolo. Nel 1976 lanciò un appello alle Nazione Unite in favore delle vittime del comunismo e nel 1977, in un drammatico intervento presso il Tribunale Sakharov, denunciò ancora una volta la persecuzione religiosa in Ucraina. Il mondo guardava a lui e al cardinale József Mindszenty (1892-1975) come a due grandi testimoni della fede cattolica nel Novecento.Per assicurare il futuro della Chiesa ucraina, il cardinale Slipyj non arretrò di fronte a gesti estremi. Peter Kwasniewski ha recentemente ricordato come il 2 aprile 1977 egli ordinò clandestinamente tre vescovi, senza l'autorizzazione di Paolo VI, incorrendo automaticamente nelle censure canoniche previste dal can. 953 del Codice allora vigente. Però, a differenza di quanto accadrà per mons. Marcel Lefebvre, scomunicato nel 1986 per la stessa infrazione della legge canonica, nessuna misura scattò ipso facto, nei confronti del cardinale Slipyj. Uno dei vescovi da lui ordinati era mons. Lubomyr Husar (1933-2017), che Giovanni Paolo II nominò, dopo Slipyj, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica e cardinale. A lui successe come primate Svjatoslav Ševčuk, che si trova in questo momento sotto le bombe nella città assediata di Kiev. Nel 2004 la sede dell'arcivescovato maggiore è stata trasferita a Kiev e ha mutato il proprio nome in quello attuale di Kiev-Halyč.Il cardinale Josef Slipyj morì in esilio a Roma a novantadue anni il 7 settembre 1984 ed è ora sepolto a Leopoli, nella cripta della cattedrale di San Giorgio, accanto al metropolita Andrej Szeptycki. Giovanni Paolo II lo definì «uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa» (L'Osservatore Romano, 19 ottobre 1984).Mentre l'identità religiosa e politica della sua terra è ancora una volta brutalmente calpestata, la memoria dell'eroica resistenza del cardinale Josyf Slipyj ci aiuta a confidare nel futuro dell'Ucraina. Kiev fu il luogo della conversione del popolo russo alla Chiesa cattolica, e da Kiev, non da Mosca, è destinata a partire la seconda grande conversione della Russia annunciata dalla Madonna a Fatima. Del messaggio di Fatima il cardinale Slipyj fu un grande zelatore. Nel 1980 egli presentò a Giovanni Paolo II due milioni di firme raccolte dall'Armata Azzurra, insistendo in un lungo colloquio con il Papa sulla necessità di consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Questa consacrazione non è ancora avvenuta secondo le modalità richieste dalla Beatissima Vergine, alla quale il cardinale Slipyj così si rivolse nel suo testamento: «Seduto sulla slitta e facendomi strada verso l'eternità... recito una preghiera alla nostra protettrice e Regina del Cielo, la sempre Vergine Madre di Dio. Prendi la nostra Chiesa ucraina e il nostro popolo ucraino sotto la tua efficace protezione!». Facendo nostre le sue parole in questo momento tragico della storia del mondo non possiamo che proclamare a voce alta: "Onore al cardinale Slipyj e al suo popolo martire".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6879IL 2021 NERO DI HONG KONG: GIORNALI CHIUSI, ATTIVISTI IN CARCERE, FAVOLE PER BAMBINI VIETATE di Leone GrottiNon si poteva chiudere in modo più tragicamente emblematico il 2021 di Hong Kong. Il 29 dicembre oltre 200 poliziotti per la sicurezza nazionale hanno fatto irruzione nella redazione e negli uffici del giornale online pro democrazia Stand News arrestando sei giornalisti, tra i quali l'attuale e l'ex direttore e caporedattore. L'accusa è di aver «cospirato per distribuire pubblicazioni sediziose»: un modo come un altro per tappare la bocca a chiunque si azzarda a criticare il governo.Gli arresti a Stand News, che ha già chiuso sito e social media, concludono un 2021 disastroso, durante il quale la democrazia e i diritti dei cittadini di Hong Kong sono stati cancellati con impressionante violenza e rapidità. Il regime comunista cinese, sfruttando le norme e prerogative della legge sulla sicurezza nazionale, imposta al territorio nel luglio 2020, ha distrutto in appena 18 mesi il modello "Un paese, due sistemi", violando il trattato internazionale firmato con il Regno Unito e spazzando via con oltre 20 anni d'anticipo l'autonomia promessa all'isola.L'anno era iniziato con l'arresto di massa a gennaio di 53 importanti personaggi della galassia democratica di Hong Kong con il dispiegamento di oltre mille poliziotti. Politici e attivisti sono stati accusati di aver tenuto delle primarie democratiche con l'obiettivo di conquistare il Parlamento attraverso le elezioni. Un primo importante segnale della morte della democrazia sull'isola. A febbraio tutti sono stati accusati di sovversione, capo d'imputazione che potrebbe valere loro l'ergastolo.HONG KONG AI PATRIOTI COMUNISTISempre a febbraio, i consiglieri distrettuali (quasi tutti democratici dopo una clamorosa vittoria alle elezioni del 2019) sono stati obbligati a prestare giuramento di fedeltà al governo e alla Cina con l'obiettivo di escluderli dall'amministrazione della città. E per la prima volta in 32 anni, il banchetto floreale di raccolta fondi per ricordare le vittime di Piazza Tienanmen alla fiera per il capodanno cinese è stato smantellato.A marzo la Cina ha approvato le modifiche alla legge elettorale di Hong Kong per assicurare che la città venga guidata soltanto da "patrioti". Il nuovo sistema, in sostanza, diminuisce il numero di parlamentari eletti dal popolo e istituisce una commissione in grado di porre il veto preventivo a tutti i candidati al Parlamento e alla carica di governatore che non si sottomettono alla Cina e al Partito comunista. In tutte le scuole di ogni ordine e grado, inoltre, vengono introdotti libri di indottrinamento dal titolo La mia casa è la Cina.Ad aprile il governo assegna nuovi poteri all'ufficio della Dogana per vietare a chiunque di lasciare Hong Kong, senza bisogno di fornire spiegazioni, una mossa per impedire che gli attivisti democratici lascino l'isola. Carrie Lam lancia anche la "Giornata di educazione sulla sicurezza nazionale", dove ai bambini viene richiesto di scrivere frasi patriottiche e dove si insegna loro a maneggiare mitra, granate e lanciarazzi. Molti negozi legati alla galassia democratica vengono chiusi ed è introdotta una legge per punire chi inciterà altri a votare scheda bianca alle elezioni di dicembre.CENSURA ONNIPRESENTEA maggio la veglia annuale per ricordare le vittime di Piazza Tienanmen viene bandita un'altra volta con la scusa del Covid-19, i libri degli attivisti democratici vengono ritirati dalle librerie e decine di insegnanti sono licenziati per aver protestato contro il governo nel 2019. A giugno 500 poliziotti fanno irruzione negli uffici dell'Apple Daily, il cui fondatore è già in carcere, e arrestano cinque giornalisti. Il giornale viene poi chiuso: l'ultima edizione è uscita il 24 giugno. Il governo decide inoltre che chiunque vorrà acquistare una sim telefonica dovrà fornire tutti i propri dati personali.A luglio è stata condannata la prima persona in base alla legge sulla sicurezza nazionale: un 24enne ha ricevuto una pena pari a 9 anni di carcere. Cinque psicoterapeuti vengono arrestati per aver scritto un libro per bambini nel quale si racconta la storia di una pecora che protegge il villaggio dai lupi. Secondo la polizia, la favola «incita all'odio contro il governo».Ad agosto il più grande sindacato degli insegnanti si scioglie per timore che i suoi leader vengano arrestati. Scompare anche il Civil Human Rights Front, organizzatore della storica marcia democratica dell'1 luglio. A settembre chiude anche l'Alleanza di Hong Kong, che dal 1990 organizzava la veglia per le vittime di Tienanmen. Per evitare l'incarcerazione, chiude i battenti pure la più grande coalizione di sindacati dell'isola (Hkctu). Il governo impedisce alla popolazione di portare in carcere agli oltre 100 attivisti democratici finiti in prigione cioccolata e giornali.A ottobre scompare il sindacato degli studenti, in tutte le scuole viene introdotto l'obbligatorio alzabandiera settimanale con il drappo cinese. A novembre la mannaia della censura si abbatte anche su film e concerti. A dicembre, oltre alla chiusura di Stand News, viene smontata e rimossa, dopo 20 anni di permanenza, dal campus dell'università di Hong Kong la statua che commemorava le vittime della strage di Piazza Tienanmen: la "colonna della vergogna". Decine di attivisti, tra i quali Lee Cheuk-Yan e Jimmy Lai, ricevono nuove ingiuste condanne.Che cosa pensano i cittadini di Hong Kong di questo scempio compiuto dalla Cina? Alle elezioni farsa del 19 dicembre, oltre il 70% dei aventi diritto non si è recato alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Un segnale forte che dimostra come un anno di indottrinamento, arresti, persecuzione e terrore non sia stato sufficiente a cambiare la testa dei cittadini. Hong Kong ha resistito all'ingiustizia e all'oppressione, ora però qualcuno deve aiutarla.Nota di BastaBugie: Roberto Fabbri nell'articolo seguente dal titolo "La Cina come i talebani fa sparire da Hong Kong la statua di Tienanmen" spiega come l'università stessa ha rimosso il "Pilastro" che ricorda il massacro di regime... che ora rischia la distruzione, proprio come fanno i musulmani ogni volta che conquistano un territorio: distruggono tutto ciò che ricorda la storia di quel popolo. Altro che grande reset.Ecco l'articolo completo pubblicato su Il Giornale il 24 dicembre 2021:Continua senza sosta l'opera di «normalizzazione» di Hong Kong ordinata dal leader comunista cinese Xi Jinping dopo le proteste di massa del 2019. Anche il cosiddetto «Pilastro della Vergogna», la statua che da 24 anni si ergeva nel campus dell'Università per commemorare le vittime del massacro di piazza Tienanmen a Pechino del giugno 1989, è stata rimossa. La statua in rame, alta otto metri, rappresenta plasticamente l'orrore di quella strage, e raffigura cinquanta volti stravolti in un groviglio di corpi torturati. L'autore, l'artista danese Jens Galschiot, ha espresso il suo «assoluto choc» per l'accaduto, ma davvero non si può parlare di una sorpresa: da quando, il 1° luglio 2020, è entrata in vigore a Hong Kong la draconiana legge sulla sicurezza nazionale che vieta ogni minimo accenno di critica al regime, la governatrice Carrie Lam non ha fatto che attuare gli ordini dei suoi padroni e cancellare passo dopo passo gli elementi di democrazia che distinguevano l'ex colonia britannica tornata sotto sovranità cinese il 1° luglio 1997 dal resto della Repubblica Popolare. Le manifestazioni sono state proibite con il pretesto dell'emergenza sanitaria, i leader democratici incluso il famoso capo studentesco Joshua Wong sono stati arrestati e condannati al carcere, i giornali indipendenti sono stati chiusi e i loro editori a loro volta arrestati e incarcerati, la legge elettorale è stata cambiata per cancellare ogni parvenza di opposizione.É stato anche chiuso il museo dedicato alle vittime del giugno 1989 e sono finiti in galera i dirigenti della Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Democratic Movements in China, l'associazione che ogni anno organizzava la manifestazione per Tienanmen e a cui Galschiot aveva donato la sua opera nel 1997. Mancava quasi solo l'eliminazione della statua commemorativa degli studenti cinesi pro democrazia. E a farla smantellare ha provveduto nel corso della notte - la stessa Università che la ospitava, che in una nota ha spiegato di aver dovuto agire così «sulla base di un parere legale esterno, valutando il rischio per il miglior interesse dell'ateneo». Una volta rimossa, la statua è stata montata su un container e trasportata in un magazzino, dove verrà custodita «mentre l'Università cercherà un parere legale per qualsiasi azione appropriata in seguito».Questo anche perché Galschiot, che valuta la statua 1,4 milioni di dollari, aveva chiesto alle autorità di Hong Kong un'esenzione dalla famigerata legge sulla sicurezza per potersi presentare a recuperare la sua opera e riportarla in Europa (non è chiaro se abbia ottenuto risposta), promettendo al tempo stesso di chiedere un indennizzo qualora la statua venisse danneggiata. Anche se c'è chi si dice certo che lontano da sguardi indiscreti la statua verrà distrutta.Normalizzazione a vele spiegate dunque, con relativo spiegamento dell'immancabile propaganda menzognera. Dopo aver diffuso un incredibile «libro bianco» dedicato ai «sinceri sforzi profusi per la democrazia a Hong Kong», il regime di Pechino ha ritenuto opportuno manifestare il suo pieno apprezzamento alla governatrice della città per il lavoro svolto. Il presidente Xi ha elogiato le recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento, che hanno attuato «il principio dei patrioti che governano Hong Kong stabilendo un modello politico di partecipazione ampia ed equilibrata di tutti i settori della società».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6843QUANDO I COMUNISTI SOVIETICI ABOLIRONO IL NATALE di Giuliano GuzzoLa polemica di alcuni giorni fa sulle linee guida della comunicazione «inclusiva» dell'Unione europea - poi ritirate - che sconsigliavano l'uso di nomi e festività cristiane, ha portato alcuni a gridare al falso allarme. L'Europa, hanno infatti voluto precisare alcuni fact-checker, ossia i «cacciatori di bufale» sempre pronti a mettere i punti sulle i, non ha mai inteso «abolire il Natale». Ed è vero. Ciò però non toglie come quelle linee guida fossero imbarazzanti, tanto che poi sono state revocate, e non toglie neppure come l'abolizione del Natale non sia affatto uno scenario impossibile. Per un motivo semplice: nella storia, è già stata decretata.Neppure i più zelanti «cacciatori di bufale», categoria che spesso orbita nell'area politica progressista, potranno difatti negare il precedente - clamoroso eppure non molto conosciuto - dell'Unione Sovietica. In breve, accadde questo.L'ABOLIZIONE DEL NATALENell'aprile 1929, il Partito comunista - che aveva già preso a chiudere le chiese e a perseguitare i religiosi - fece un pesante passo avanti abolendo in toto il periodo delle festività natalizie e, con esso, l'albero, «usanza dei preti» accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché, si pensava allora, «la religiosità dei bambini inizia con l'albero di Natale», perciò occorreva evitare che si intossicassero col «veleno religioso».Qualche anno dopo, nel 1935, in Unione Sovietica si decise di introdurre poi una festa sostitutiva, quella del Capodanno. Sì procedette in tal senso sulla scorta di quanto apertamente suggerito sulle colonne della Pravda, l'organo ufficiale del Partito, dall'influente uomo politico Pavel Postyshev (1887-1939), il quale proponeva di restituire ai bambini sovietici «l'atmosfera di fiaba e magia» da alcuni anni rimossa. Le festività di fine dicembre furono insomma ripristinate. Ad una condizione, però: nessun riferimento, neppure remoto, alla religione.In effetti, già nel 1929 i sovietici furono a dir poco inflessibili nel loro intento di sradicare il Natale di Cristo dal loro immenso territorio. Basti qui ricordare che, nell'inverno di quell'anno, pattuglie di volontari si misero all'opera perlustrando palmo a palmo le città così come i villaggi. L'ordine era chiaro: garantire l'abolizione del Natale, osservando - con un'obbedienza al regime degna della penna di George Orwell - fin dentro le finestre delle case, al fine di assicurare compiuta esecuzione al decreto governativo. Ecco che allora il Natale si fece evento clandestino e, con esso, l'albero.VIETATO L'ALBERO DI NATALESignificativa, in proposito, la prima pagina della rivista L'ateo alla macchina da lavoro uscita nel 1931. Vi era ritratto un uomo che fissava un abete sui cui rami si trovava un cartello molto esplicito: «Divieto di tagliare l'albero di Natale». Ciò nonostante, come si diceva, l'usanza dell'albero tornò nel 1935. Ci fu però chi ritenne che la pur laicissima operazione presentasse dei rischi. Così ecco che apparvero sull'albero soldati, atleti, pionieri, esploratori e piloti. Per non lasciare nulla al caso, pure l'antica stella Cometa venne sostituita dalla stella rossa a cinque punte. La messa al bando delle festività natalizie, insomma, continuò all'insegna del massimo rigore.Ciò però, come sappiamo, non ha impedito all'Urss, dopo decenni di feroci persecuzioni anticristiane, di crollare. E di crollare, tra l'altro, in tempi e modo tutt'altro che casuali. La fine dell'impero sovietico fu infatti stabilita l'8 dicembre 1991, festa dell'Immacolata Concezione, mentre la firma delle carte e la bandiera rossa ammainata dalla piazza rossa datano il 25 dicembre 1991. Precisamente il giorno di Natale. Fu Dio stesso, insomma, a voler metter la firma sulla fine dell'ateismo di Stato e della feroce utopia irreligiosa. Pur immobile nella sua mangiatoia, Gesù Bambino ha così battuto, in un solo colpo, Marx, Lenin e Stalin. Ma di tutta questa incredibile vicenda storica, chissà come mai, ancora oggi si fatica a parlare.
VIDEO: Il racket dei trapianti e il prelievo forzato di organi in Cina ➜ https://www.youtube.com/watch?v=lQEIppK88RoTESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6811LA CINA PUBBLICA IL TARIFFARIO DEI TRAPIANTI DI ORGANI (PRELEVATI FORZATAMENTE) di Marco RespintiUn fegato? 260mila yuan, cioè 40.700 dollari statunitensi. Un rene ne vale invece 160mila (25.000 dollari), un cuore 100mila (15.600 dollari) e un polmone 80mila (12.500 dollari). Per un pancreas servono 50mila yuan (7.800 dollari), come per un intestino tenue, mentre le cornee vengono via a 10mila yuan al pezzo, cioè solo 1.600 dollari.Per il regime neo-post-nazional-comunista è prassi mandare a morte qualche migliaio di prigionieri politici ogni anno, espiantandone gli organi per alimentare il mercato nero dei trapianti. Ma la novità introdotta dal "modello cinese" di Xi Jinping, che diversi vorrebbero importare in Occidente, è la normalizzazione tecnocratica dell'orrore e così adesso arriva anche il tariffario.Come riporta il quotidiano statunitense The Epoch Times, in prima linea nel denunciare gli obbrobri di Pechino, diverse fra province e città della Cina hanno messo in pratica quanto previsto da un'ordinanza diramata in luglio dal governo in tema di parcelle e gestione finanziaria dei trapianti. Entro il 1° settembre, cioè, le amministrazioni locali e le regioni autonome (il nome dietro cui la burocrazia nasconde l'occupazione militare e coloniale di zone come il Tibet, lo Xinjiang e la Mongolia cosiddetta «interna») erano tenute a stilare listini prezzi e così hanno fatto.Nell'Henan, per esempio, cuore storico del Paese, 167mila kmq per 95 milioni di abitanti, se ne sono occupati con zelo sei dipartimenti, tra cui la Commissione Salute, il dicastero delle Finanze e l'Amministrazione per la supervisione del mercato. Sì, perché in Cina un mercato c'è, libero quanto serve allo Stato per incatenare i cittadini lucrandoci, e lo dimostra proprio la predazione di organi. L'Henan e lo Hubei (provincia sempre centrale di 186mila kmq per 58 milion di abitanti) sfoggiano prezzi diversi, diversi anche per organi di bambini e di adulti.Il che però aumenta lo sgomento: se gli organi predati agli adulti vengono dai prigionieri politici giustiziati, da dove vengono quelli dei bambini? La domanda, angosciante, fa parte del mistero persistente dei trapianti cinesi. Il numero degli organi disponibili è infatti enorme e i conti non tornano, come documentano il «China Tribunal», svoltosi a Londra dal dicembre 2018 all'aprile 2019 e conclusosi con un atto di accusa di oltre 560 pagine. [...]La Red Cross Society of China dice ufficialmente da sempre che gli organi disponibili sarebbero frutto di donazioni volontarie. Ma la Red Cross Society of China non c'entra con la Croce Rossa Internazionale e dipende dal governo cinese. Parlando al Circolo della stampa di Bruxelles il 27 ottobre, Hamid Sabi, consulente del «China Tribunal» citato da The Epoch Times, ha ricordato come il database delle donazioni di organi, gestito dal Partito Comunista al potere dal 1949, sostenga di ottenere da ogni singolo donatore volontario ben 2,8 organi: il che è letteralmente da Superman, essendo la cifra 180 volte superiore a quanto fanno Europa e Stati Uniti.Ma anche fosse, non si arriverebbe lo stesso ai 10mila trapianti vantati annualmente dalle stime ufficiali. Del resto è dal 2006 che David Kilgour (ex segretario di Stato canadese per l'area indo-pacifica), l'avvocato canadese David Matas e il giornalista Ethan Guttmann, oggi ricercatore sulla Cina della Victims of Communism Memorial Foundation di Washington, aggiornano studi e statistiche parlando di una forbice tra i 60mila e i 100mila trapianti reali l'anno.Cifre da capogiro, ma c'è un aspetto ancora più raccapricciante. Il tariffario del regime non è solo un distillato di cinismo: serve anche a puntellare la bugia. Cosa di meglio se non "legalizzare" l'abuso attraverso una regolare prezzatura della merce? È ciò che dice a The Epoch Times il dottor Wayne Shih-wei Huang, chirurgo, direttore di IRCAD Taiwan, il maggior centro di formazione per la chirurgia non-invasiva di tutta l'Asia.Una finzione colossale per fingere domanda e offerta. I costi per gli organi dei bimbi dovrebbero infatti essere più alti, e non inferiori, di quelli degli adulti, e non ha senso che un rene abbia un costo maggiore di quello di un cuore, più difficile da prelevare, conservare e trasportare. Bugie, insomma, persino raccontate male. Ma vale tutto, se non c'è chi voglia vedere.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6793 UNA FAMOSA TENNISTA SPARISCE PER AVER CRITICATO IL REGIME CINESE (POI RIAPPARE, MA...)E intanto la giornalista che denunciò quello che accadeva a Wuhan sta morendo in carceredi Francesca BurattinPeng Shuai, 35 anni, una delle star del tennis più famose della Cina, è oggetto di speculazioni e preoccupazioni internazionali dopo che il 2 novembre ha pubblicato una lunga dichiarazione su Weibo (la piattaforma di social media cinese simile a Twitter), in cui accusava l'ex vicepremier del paese, Zhang Gaoli, di averla aggredita sessualmente.Peng ha dichiarato che lei e Zhang Gaoli, che ora ha 75 anni, hanno avuto per diversi anni una "relazione" extraconiugale, ma Zhang Gaoli aveva smesso di contattarla dopo essere salito nei ranghi del partito comunista. Circa tre anni fa però l'ha invitata a giocare a tennis con lui e sua moglie e poi l'ha aggredita sessualmente a casa sua.Il post è stato cancellato dalla rigida censura cinese in meno di 30 minuti, ma è comunque diventato virale. I censori hanno bloccato parole chiave come "tennis", disabilitando i commenti sull'account di Peng e rimuovendo numerosi riferimenti a lei da Internet in tutta la Cina.L'EMAIL SCRITTA DALLA TENNISTA... O DAL REGIME?L'emittente televisiva statale cinese, CGTN, ha poi rilasciato un'e-mail, sostenendo che fosse stata scritta da Peng, dopo che le preoccupazioni per la sua sicurezza avevano iniziato a crescere: «Ciao a tutti, sono Peng Shuai. Per quanto riguarda le recenti notizie rilasciate sul sito ufficiale della WTA, il contenuto non è stato confermato o verificato da me stesso ed è stato rilasciato senza il mio consenso. Le notizie contenute in quel comunicato, compresa l'accusa di aggressione sessuale, non sono vere. Non sono dispersa, né in pericolo. Sono a casa e va tutto bene. Se la WTA (Women's Tennis Association) pubblica altre notizie su di me, per favore verificatele con me e rilasciatele solo con il mio consenso. Come tennista professionista, ringrazio tutti per la vostra considerazione. Spero di promuovere il tennis cinese con tutti voi se ne avrò la possibilità in futuro. Spero che il tennis cinese diventi sempre migliore. Ancora una volta, grazie per la vostra stima».Il presidente della Women's Tennis Association (WTA) Steve Simon ha condiviso una dichiarazione confermando di aver letto l'e-mail, ma ha chiesto ulteriori prove che fosse stata scritta da Peng. «La dichiarazione rilasciata oggi dai media statali cinesi... solleva solo le mie preoccupazioni sulla sua sicurezza e su dove si trovi. Ho difficoltà a credere che Peng Shuai abbia effettivamente scritto l'e-mail che abbiamo ricevuto o a credere a ciò che le viene attribuito», ha detto. «La WTA e il resto del mondo hanno bisogno di prove indipendenti e verificabili che sia al sicuro. Ho più volte cercato di contattarla tramite numerose forme di comunicazione, senza alcun risultato». Il ministero degli Esteri cinese rifiuta di commentare la posizione della star del tennis Peng Shuai.LA GIORNALISTA CHE DENUNCIÒ QUELLO CHE ACCADEVA A WUHANLa giornalista e attivista Zhang Zhan, che denunciò per prima quanto stava accadendo a Wuhan, invece, si trova attualmente in carcere, dove ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. La sua famiglia dice che non si aspettano che sopravviva all'inverno se non viene al più presto rilasciata per motivi di salute.Zang è scomparsa a Wuhan nel maggio 2020, dove si trovava per riportare ai media la situazione della gestione epidemica lì, dove tutto ha avuto inizio. In seguito è emerso che era stata presa dalle autorità cinesi e detenuta a Shanghai, dove è stata condannata a quattro anni di detenzione per «aver provocato disordini» a seguito di un processo farsa.Nel giugno 2020, Zhang Zhan ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. A dicembre, il suo corpo era così debole che ha dovuto partecipare al processo su una sedia a rotelle. Prima del processo, le autorità l'hanno alimentata forzatamente e l'hanno tenuta bloccata per giorni interi per impedirle di rimuovere il sondino con cui la nutrivano. Hanno anche costretto Zhang a indossare catene alle mani 24 ore al giorno per più di tre mesi come punizione per il suo sciopero della fame.Il 31 luglio 2021 è stata ricoverata in ospedale a causa della grave malnutrizione. Tuttavia, è stata riportata in prigione dove continua a praticare uno sciopero della fame parziale nonostante il grave rischio per la sua salute, che continua a peggiorare a un ritmo drammatico. Dopo il suo processo, le autorità si sono rifiutate di permetterle di parlare con il suo avvocato o di incontrare la sua famiglia di persona. Le sono state consentite solo telefonate o videochiamate occasionali con i parenti e sempre sotto supervisione.«Zhang Zhan, che non avrebbe mai dovuto essere imprigionata, ora sembra essere seriamente a rischio di morire in prigione. Le autorità cinesi devono rilasciarla immediatamente in modo che possa porre fine al suo sciopero della fame e ricevere le cure mediche appropriate di cui ha disperatamente bisogno», ha affermato Gwen Lee, attivista cinese di Amnesty International.Le storie di Peng Shuai e Zhang Zhan, in attesa di seguirne l'evolversi, sono altre due brutte storie che arrivano da Pechino. Storie di regime.Nota di BastaBugie: dopo la crescente pressione internazionale la tennista cinese Peng Shuai è riapparsa in video. La giocatrice ha parlato in videoconferenza con il presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), rassicurandolo sulle sue condizioni dicendo: "Sto bene e sono al sicuro".Eppure Luigi Conte su Yahoo Notizie il 22 novembre, commenta così questo video:La Cina tenta di seppellire il caso Peng Shuai con la benedizione del Comitato olimpico internazionale (Cio): non usa mezzi termini Le Monde dopo la video chiamata di domenica fra la star cinese del tennis e Thomas Bach.A quest'ultimo Peng ha detto di "stare bene" ma ha anche chiesto il rispetto della privacy. [...]Il quotidiano francese solleva dubbi circa la reale condizione in cui si trova la 35enne ex numero uno mondiale del doppio: "Nulla ci dice che è libera".Secondo Human Rights Watch, la conversazione tra Bach e Peng è stata condotta sotto "coercizione"."Il Cio è complice della macchina della propaganda e di un caso di coercizione e sparizione forzata da parte del governo cinese", ha twittato un attivista dell'organizzazione.Le Monde osserva che il comunicato diffuso dal Cio dopo il colloquio fra Bach e l'atleta è "particolarmente leggero" aggiungendo che il Comitato, "che si appresta a organizzare i Giochi olimpici invernali a Pechino, il prossimo febbraio, non ha citato le accuse di stupro rivolte a Gaoli"."Stando a quanto afferma il Cio, va tutto bene per Peng Shuai ed è meglio lasciarla in pace", prosegue il quotidiano.Il New York Times ha inoltre evidenziato che Peng era affiancata da un "amico" durante la video chiamata, per aiutarla a esprimersi in inglese. Ma la tennista "lo parla correntemente dopo aver giocato per 15 anni nel circuito internazionale", osserva ancora Le Monde sottolineando che "in passato la Cina ha spesso messo in scena confessioni forzate di dissidenti, intellettuali o dirigenti silurati"."Il Cio ha coronato gli sforzi propagandistici di Pechino", si legge ancora nell'articolo, firmato da Simon Leplatre, corrispondente da Shanghai."È dall'inizio della vicenda che il Cio si è distinto per la sua compiacenza con Pechino", conclude il giornalista francese osservando che, "al contrario, l'associazione delle giocatrici di tennis, la Wta, ha deciso di tenere testa alla Cina, anche se rischia di perdere importanti incassi con i circa dieci tornei organizzati nel Paese e i relativi diritti tv". [...]La storia continua ad essere completamente censurata dai media e dai social cinesi, e anche il segnale in diretta di alcune reti internazionali come la Cnn sbiadisce quando i suoi giornalisti iniziano a parlare del caso, ha denunciato la stessa emittente sulla sua pagina web.Il ministero degli Esteri cinese insiste sul fatto che il caso "non è una questione diplomatica".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6678TAIWAN HA VINTO 10 MEDAGLIE ALLE OLIMPIADI, MA... di Leone GrottiAlla cerimonia di premiazione del doppio maschile di badminton alle Olimpiadi di Tokyo, Lee Yang e Wang Chi-lin sono saliti sul gradino più alto del podio. Ma la bandiera issata dagli organizzatori non era quella del loro paese e l'inno suonato non era quello che avrebbero voluto cantare. Lee e Wang, infatti, sono taiwanesi e nonostante abbiano battuto in finale la coppia cinese, ad aver vinto sul piano diplomatico è stata ancora una volta la Cina.Dal punto di vista formale Lee e Wang non competono per "Taiwan" ma per "Taipei cinese": è questo il compromesso raggiunto dal paese per partecipare alle competizioni internazionali dal 1981. Anche la bandiera sotto la quale gli atleti taiwanesi hanno sfilato durante l'inaugurazione dei Giochi non è quella rossa con un rettangolo blu che reca un sole bianco con dodici raggi. Bensì un fiore di susino stilizzato su campo bianco con al centro il sole e i cerchi olimpici. L'accordo raggiunto con il Comitato olimpico internazionale prevede infatti che gli atleti asiatici non possano utilizzare alcun simbolo che faccia intendere che Taiwan è una nazione sovrana.Nonostante Taiwan esista come paese autonomo e indipendente dal 1949, la Cina considera l'isola di Formosa come un elemento dell'unica Cina da riunire alla madrepatria e impedisce di riconoscerne l'indipendenza a livello internazionale. Per questo Taiwan è stato estromesso dall'Onu nel 1971 e non ha potuto partecipare durante la pandemia neanche alle riunioni dell'Oms. Soltanto 15 paesi, tra cui il Vaticano, mantengono rapporti diplomatici con Taiwan e non con la Cina.DA 30 ANNI LA CINA CANCELLA TAIWANLo scontro politico tra Taiwan e Cina influisce sulla partecipazione alle Olimpiadi degli atleti dell'isola da trent'anni. Nel 1952, Taiwan si chiamò fuori per la presenza della Cina. Nel 1956 partecipò come "Formosa-Cina", nel 1960 come Taiwan, nel 1972 come Repubblica di Cina, nel 1976 boicottò i Giochi per poi essere sospesa su pressione di Pechino e nel 1981 riprese a gareggiare con il nome di compromesso "Taipei cinese". La soluzione piace agli atleti dell'isola, che non vogliono rischiare di rimanere esclusi dalla competizione.Questo però non significa che intendano adeguarsi anche al di fuori del rituale delle cerimonie. Dopo la vittoria nel badminton, Lee non si è fatto sfuggire l'occasione di dedicare su Facebook «questa medaglia d'oro al mio paese: Taiwan». Anche il Giappone, sempre più spaventato dall'aggressività cinese, ha voluto giocare uno scherzetto a Pechino: durante l'inaugurazione dei Giochi, infatti, il commentatore ha salutato la discesa in campo degli atleti dell'isola parlando di "Taiwan" e non di "Taipei cinese".FISCHIA L'INNO CINESE: ARRESTO A HONG KONGPer il regime guidato da Xi Jinping anche lo sport è politica e le Olimpiadi sono un'ottima occasione per riaffermare il predominio geopolitico del Partito comunista cinese. Così venerdì è stato arrestato a Hong Kong un uomo di 40 anni per aver fischiato in un centro commerciale dell'ex città autonoma l'inno cinese suonato a Tokyo in occasione della vittoria della medaglia d'oro da parte dello schermidore Edgar Cheung Ka-long. Durante la premiazione sventolava la bandiera di Hong Kong, ma l'inno era quello cinese. L'uomo, tradito da un video online nel quale ha gridato «Noi siamo Hong Kong!», rischia tre anni di carcere.Anche prima della premiazione di venerdì, un giocatore di badminton di Hong Kong, Angus Ng, è stato criticato da un partito pro Pechino per aver giocato con un completo nero. Il colore nell'isola è associato alle proteste oceaniche contro la legge sull'estradizione. L'atleta ha spiegato che ha dovuto indossare il completo nero solo perché gli è stato impedito di stampare la bandiera di Hong Kong sulla sua maglietta.Mentre la Cina non perde occasione per rivestire di politica anche le Olimpiadi, i megafoni del Partito come il Global Times elogiano «l'importante lezione dello sport che trascende i confini per l'umanità in un momento in cui il mondo deve affrontare un'ondata di nazionalismo e populismo senza precedenti». Gli atleti competono per l'oro, certo, «ma la comprensione reciproca e l'unità trascendono nazionalità e razze». Come sempre, il lupo comunista è abilissimo a travestirsi da agnello.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6669L'OMBRA DEL COMUNISMO SULLE OLIMPIADI DI TOKYOL'atleta Tsimanouskaya della repubblica ex sovietica della Bielorussia ha chiesto asilo politico nell'ambasciata della Poloniadi Stefano MagniNelle Olimpiadi di Tokyo 2020 abbiamo avuto anche l'occasione di rivivere le emozioni della Guerra Fredda. Un'atleta della repubblica ex sovietica della Bielorussia, la velocista Krystsina Tsimanouskaya, ieri avrebbe dovuto correre i 200 metri femminili, ma invece ha defezionato ottenendo asilo nell'ambasciata della Polonia. Presto si recherà a Varsavia come rifugiata politica.La Bielorussia, da agosto, è alle prese con una protesta popolare massiccia contro l'esito (scontato) delle elezioni presidenziali dell'agosto 2020, quelle in cui venne riconfermato ancora, dopo 16 anni ai vertici dello Stato, Aleksandr Lukashenko, dopo un conteggio dei voti alquanto dubbio. Lo sport è sempre stato un tipico canale di propaganda dei regimi comunisti e la Bielorussia, che è rimasta comunista, non fa eccezione. Il presidente del Comitato Olimpico bielorusso dal 1997 è stato lo stesso presidente Lukashenko, caso unico di presidente della repubblica che è anche il presidente del Comitato Olimpico. Solo di recente gli è subentrato il figlio, Viktor, che potrebbe succedergli anche nella carica di capo dello Stato. Colpito da sanzioni per la dura repressione della protesta anti-presidenziale (27mila arresti e l'uso diffuso della tortura nelle carceri), Lukashenko non può recarsi personalmente alle Olimpiadi. I suoi atleti neppure, perché in mille hanno firmato, già un anno fa, all'inizio della protesta, una lettera aperta in cui chiedono le dimissioni del presidente ed elezioni anticipate.LA REPRESSIONE DEL REGIMEDi questi atleti, almeno 95 hanno partecipato alle manifestazioni di piazza e sono stati arrestati, sette sono stati condannati per motivi politici, 60 sono stati licenziati dalla squadra nazionale, hanno perso tutti i finanziamenti (tutto lo sport è statale, in Bielorussia) e hanno subito pressioni per ritrattare. I casi di cui si è occupata maggiormente la nota Ong in difesa dei diritti umani sono quelli di Aliaksandra Herasimienia (tre volte medaglia olimpica di nuoto), licenziata da tutte le scuole di cui era istruttrice per essersi unita alla protesta; Yelena Leuchanka (due volte medaglia olimpica di basket) arrestata nell'agosto del 2020 e condannata a una durissima "detenzione amministrativa" nel famigerato carcere di Аkrestsina; Andrei Krauchanka (una medaglia d'argento in atletica leggera), arrestato nelle prime proteste e sottoposto a carcere duro, dove ha contratto il Covid. Sono casi selezionati di atleti di fama internazionale, ma ce ne sono molti di più nel Paese ex sovietico. In totale, Amnesty International calcola 124 atleti che hanno subito una qualche forma di persecuzione.In una situazione di questo genere devono essere sorte molte difficoltà a formare una squadra olimpica nazionale da inviare a Tokyo e Krystsina Tsimanouskaya, sulla sua pagina Instagram, ha denunciato un'organizzazione caotica e approssimativa. Per sostituire una staffettista che non poteva recarsi ai Giochi, il 29 luglio, sarebbe stata inserita all'ultimo nella 4x400 senza alcuna preparazione, né il necessario preavviso. La sua denuncia ha fatto notizia ed ha causato la comprensibile indignazione dei funzionari bielorussi presenti a Tokyo.LE MINACCE IN STILE SOVIETICOConvocata nella notte dall'allenatore della squadra di atletica leggera e da un alto funzionario del Comitato Olimpico bielorusso, ha subito pressioni e minacce. L'audio dell'incontro è trapelato ed è stato diffuso ieri da Euroradio. Con un linguaggio mafioso, i due dirigenti le hanno detto chiaramente che "sei come una mosca che finisce nella tela di un ragno, più provi a ribellarti più ne rimani avvolta". E per uscire dalla sgradevole situazione, le hanno consigliato di sparire "presso i tuoi genitori" o comunque lontano dai riflettori fino alla fine dello scandalo. La questione sarebbe finita nella rubrica "trattamento duro dei tuoi dipendenti, dopo il loro uso ingenuo dei social network", se non ci fosse stata la successiva defezione dell'atleta.Krystsina Tsimanouskaya, infatti, il 1 agosto avrebbe dovuto essere imbarcata su un aereo a Tokyo, contro la sua volontà, e rispedita a Minsk. Ma si è rivolta alla polizia giapponese, poi ha chiesto aiuto e asilo politico all'Austria, infine ha ottenuto aiuto dalla Polonia che, tramite la sua ambasciata in Giappone, è stata pronta a concedere un visto umanitario alla fuggitiva. Proposte di aiuto sono arrivate anche da altri Paesi che hanno avuto esperienze dirette del comunismo, quali la Slovenia e la Repubblica Ceca. Il marito della velocista, Arseni Zdanevich, ha invece lasciato la Bielorussia alla volta dell'Ucraina.C'è dunque molto di più in ballo rispetto a una normale "lavata di capo". La Tsimanouskaya era certa di essere arrestata una volta tornata in patria. L'esilio volontario del marito dimostra che questo timore si estende anche ai parenti più stretti. Stava già montando una campagna di denigrazione e diffamazione sistematica nei suoi confronti da parte dei media di Stato bielorussi, ulteriore segnale che, tornata a casa, non l'avrebbe fatta franca.Un'associazione sorta per difendere i diritti degli atleti ucraini, la Bssf, ha pagato il biglietto del volo per Varsavia alla Tsimanouskaya. Il 4 agosto, sempre che il suo volo non venga dirottato dai bielorussi (come hanno fatto per arrestare un altro dissidente, Roman Protasevich), sarà al sicuro nella capitale polacca, dove chiederà asilo politico.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6625IL VERO SIGNIFICATO DELL'ANTIFASCISMO DI OGGI di Rodolfo CasadeiQuando, a mezzanotte circa del 9 giugno di due anni fa, fu annunciato che il nuovo sindaco di Forlì era il candidato della coalizione di centrodestra a trazione leghista Gian Luca Zattini, che con la sua vittoria poneva fine a un'egemonia di sindaci di sinistra che durava dal 1970, nella principale piazza cittadina la folla dei simpatizzanti cantò sguaiatamente Romagna mia. Più o meno nello stesso momento nella vicina Cesena si festeggiava l'ennesima vittoria di un candidato di sinistra, Enzo Lattuca, e la folla che accompagnava il neosindaco al Palazzo Comunale ritmava convinta: Bella ciao, come se il candidato rivale del centrodestra Andrea Rossi - un giovane imprenditore a capo di una lista civica, che alle successive regionali si sarebbe presentato con i liberalconservatori di Cambiamo! - fosse il cavallo di Troia di una cospirazione volta a portare la città dei tre papi sotto l'egida di un neofascismo in salsa leghista.BELLA CIAO CONTRO I NUOVI FASCISTIC'è una fetta di italiani ai quali si è fatto credere - o che fingono di credere - che ogni appuntamento elettorale nell'Italia repubblicana rappresenti un nuovo episodio della Resistenza contro il fascismo. Che si tratti di elezioni politiche o del voto per il sindaco, c'è sempre una minaccia fascista da respingere o un nuovo Mussolini da sloggiare da palazzo Chigi o più semplicemente dal palazzo comunale. Il passato truce e nauseante del fascismo è sempre sul punto di tornare: oggi ha il volto di Giorgia Meloni, fino a un anno fa aveva quello di Matteo Salvini, prima di lui per una dozzina di anni ha avuto quello di Silvio Berlusconi (Furio Colombo lo definì «il piccolo Duce», gli intellettuali parlavano di «fascismo catodico»), preceduto da Bettino Craxi che veniva ritratto nelle vignette con la camicia nera e gli stivaloni; negli anni Settanta Lotta Continua scandiva contro un famoso pluripresidente del Consiglio democristiano: «Fanfani, fascista, sei il primo della lista»; fascista era considerata la Dc nel suo complesso, e nei cortei del 1974 (l'anno del golpe dei militari di sinistra a Lisbona) si sentiva gridare: «L'han fatto in Portogallo, facciamolo anche qui: fuorilegge il Msi (il partito neofascista - ndr) e la Dc!».Tutti questi ricorsi della storia patria all'insegna della lotta a un fascismo proteiforme, che si ripresenta da un'epoca all'altra con vesti e nomi diversi ma con le stesse raccapriccianti prospettive, hanno avuto come colonna sonora Bella ciao, cantata con tono di sfida alle manifestazioni antileghiste, antiberlusconiane, anticraxiane, antidemocristiane, ecc.L'ANTIFASCISMO COME ARMA POLITICAL'antifascismo dovrebbe essere un collante istituzionale della Repubblica italiana, e a quasi 80 anni dagli eventi che ne fecero la principale fonte di ispirazione della lotta che contribuì alla liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista (supportata dai fascisti) del 1943-45, dovrebbe essersi allargato in un più generale rifiuto del totalitarismo sotto qualunque forma e veste ideologica. Invece alcune forze politiche - ieri il Pci e i gruppuscoli extraparlamentari, oggi il Partito Democratico e gli alleati alla sua sinistra - ne hanno fatto un'arma propagandistica contro gli avversari politici, un'accusa infamante che ha l'obiettivo di delegittimare qualunque partito o leader politico che dimostri di avere le qualità per tenere ieri il Pci, oggi i suoi eredi, fuori dalla stanza dei bottoni.Si spiega così la proposta di legge presentata da deputati di Partito Democratico, 5stelle, Liberi e Uguali e Italia Viva affinché la canzone Bella ciao diventi inno ufficiale delle celebrazioni del 25 aprile, festa della Liberazione, da suonare subito dopo l'inno nazionale noto come Fratelli d'Italia (il vero titolo originale è Il canto degli italiani). Esponenti di centrodestra contrari alla proposta hanno obiettato che questa canzone non può diventare inno ufficiale - accanto all'inno d'Italia - delle celebrazioni del 25 aprile perché non è mai stato l'inno dei partigiani, ma è stato incoronato tale negli anni Cinquanta-Sessanta dai partigiani comunisti. Non è questo il punto. Il punto è che Bella ciao è associata alla strategia dei partiti di sinistra di delegittimazione degli avversari politici attraverso l'accusa di fascismo. Tutte le volte che Bella ciao è stata cantata nelle manifestazioni che prendevano di mira Fanfani, Craxi, Berlusconi, Salvini e Meloni, ciò è stato fatto per trasmettere il messaggio che quegli avversari politici rappresentavano il ritorno del fascismo in Italia, e questo gli eredi ideali della lotta partigiana del '43-'45 non l'avrebbero permesso.LO AVEVA GIÀ CAPITO GUCCINIUfficializzare oggi Bella ciao accanto all'Inno di Mameli avrebbe il significato di creare un nuovo "arco costituzionale" come quello che negli anni Sessanta-Settanta aveva l'obiettivo di tenere fuori da qualunque coalizione di governo missini e monarchici: i primi perché eredi diretti del fascismo, i secondi perché avevano boicottato in gran parte l'assemblea costituente. Parificare Bella ciao all'Inno d'Italia nelle celebrazioni del 25 aprile dopo averla cantata e fatta cantare alle manifestazioni contro Salvini, Meloni e Berlusconi significa inviare il messaggio che Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia vanno ufficialmente riconosciuti come nuove versioni del fascismo, e che chi sta dalla parte della Liberazione e della Costituzione li deve combattere, se necessario, come nel '43-'45.Il punto lo ha goliardicamente illustrato Francesco Guccini, quando in coincidenza col 25 aprile dell'anno scorso ha diffuso un video con la sua versione di Bella ciao. Il testo faceva così: «Stamattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor. C'era Salvini con Berlusconi, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao con i fasci della Meloni che vorrebbero ritornar. Ma noi faremo la resistenza, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao, noi faremo la resistenza come fecero i partigian. O partigiano portali via, come il 25 april».Probabilmente i deputati che hanno firmato la proposta di legge si sono ispirati alla genialata del cantautore modenese. Cui va riconosciuto il merito di avere esplicitato per i duri di comprendonio e per gli ipocriti tutti il vero significato dell'antifascismo italiano contemporaneo.
VIDEO: Crisi demografica in Cina. La società cinese si sgretola ➜ https://www.youtube.com/watch?v=0cEW08T0M28TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6606IL REGIME COMUNISTA CINESE PERMETTERA' ALLE FAMIGLIE DI AVERE TRE FIGLI... MA ORMAI E' TARDI di Leone GrottiLa Cina ha annunciato durante un incontro del Politburo che porrà fine alla politica dei due figli, permettendo a tutte le famiglie di averne fino a tre. La decisione è stata presa a due settimane dalla pubblicazione dell'ultimo censimento, che ha registrato un leggero aumento della popolazione a 1,41 miliardi di persone. Nel 2020 il Dragone ha registrato 12 milioni di nascite, il 18 per cento in meno rispetto ai 14,65 milioni del 2019, il dato più basso dal 1961. Non era mai accaduto che le nascite diminuissero per quattro anni di fila e con la nuova politica il Partito comunista cinese spera di convincere i suoi cittadini a fare più figli, anche se è improbabile che ciò accada.LA POPOLAZIONE INVECCHIA RAPIDAMENTEIl governo cinese guarda con preoccupazione ai dati demografici: se il trend non muterà, infatti, nel 2050 la popolazione con 65 anni o più in Cina raggiungerà il 24 per cento del totale. Nello stesso periodo negli Stati Uniti questa fascia di popolazione rappresenterà il 21 per cento del totale. Già nel 2030, secondo uno studio di Deutsche Bank, la forza lavoro cinese calerà a 781,8 milioni di persone rispetto agli 849,9 milioni del 2020.L'invecchiamento della popolazione è la diretta conseguenza delle scellerate politiche del Partito comunista cinese. Nel 1960, quando in media ogni donna cinese aveva sei figli, Mao Zedong affermava che «con molte persone, la forza è grande». Temendo ripercussioni negative per l'economia, però, nel 1979 il regime lanciò la famigerata politica del figlio unico. Allora Deng Xiaoping disse: «Dobbiamo farlo. Altrimenti la nostra economia non si svilupperà bene e la vita delle persone non migliorerà».I disastri della legge del figlio unicoPechino si è da allora vantata di aver impedito in 35 anni la nascita di circa 400 milioni di bambini, soprattutto attraverso sterilizzazioni e aborti forzati. Se nei primi anni Novanta il tasso di natalità è sceso al di sotto del ricambio generazionale, pari a 2,1 figli per donna, oggi secondo ricercatori indipendenti come Yi Fuxian è ulteriormente sceso a 1,05 figli per donna.Registrato il campanello di allarme, la Cina ha cercato di correre ai ripari, anche se tardivamente. Nel 2013 il governo ha permesso alle coppie formate da figli unici di avere due figli. Nel dicembre 2015 ha esteso a tutti il permesso di avere due figli. Pechino si era prefissata l'obiettivo di ottenere tre milioni di nati in più fino al 2020 e aggiungere 30 milioni di persone in età lavorativa entro il 2050. Ma la soglia sperata dei 20 milioni di nuove nascite all'anno non è mai stata raggiunta. Anzi, le nascite sono continuate a calare.LA SCOMPARSA DELLE DONNE IN CINAOra il Partito comunista cinese, senza rinunciare alla dittatoriale pretesa di decidere quanti figli può avere una famiglia, a prescindere dal numero, annuncia che tutte le coppie potranno averne tre. Ma il regime dovrebbe rendersi conto che leggi e propaganda non bastano più a convincere i cinesi ad avere figli. Trent'anni di politica del figlio unico hanno infatti creato una pericolosa mentalità: secondo un sondaggio condotto da Zhaopin, uno dei principali siti cinesi di reclutamento professionale, il 40 per cento delle persone censite senza figli non ha intenzione di averne e il 63 per cento delle donne con un figlio non ne vuole un altro.C'è anche un altro problema causato dalla politica del figlio unico e oggi esploso: la possibilità di avere un solo figlio ha portato innumerevoli famiglie a preferire un maschio (già favorito dalla cultura tradizionale) e ad abortire le femmine. Il fenomeno, per quanto contrastato dalle autorità, non è mai stato debellato e oggi in Cina ci sono 40 milioni di uomini (723,3 milioni) in più rispetto alle donne (688,4 milioni). La diretta conseguenza è che oggi milioni di uomini, soprattutto se poco agiati, non riescono a trovare una moglie.Infine, l'espansione economica della Cina ha creato un ambiente di lavoro sfavorevole alla maternità. In patria vengono spesso stigmatizzate e denunciate offerte di lavoro che prevedono, nel caso di assunzione di una donna, che questa si licenzi non appena resti incinta. Se scarseggiano le leggi a favore della conciliazione tra lavoro e maternità, non è raro leggere su Weibo commenti di questo tipo: «Non ci sono molti buoni lavori per una donna e quelle che ne ottengono uno sono disposte a fare di tutto pur di tenerlo. Chi oserebbe avere figli in una situazione come questa?».Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 9 minuti) dal titolo "Crisi demografica in Cina" nella prima parte si commenta la svolta epocale del regime comunista che ha dichiarato che alle coppie sposate sarà d'ora in poi concesso avere fino a tre figli. Il limite attuale è due, in passato uno. Il Paese più popoloso del mondo ora soffre di un drammatico calo delle nascite e il regime pensa che per legge vi si possa porre rimedio rapidamente, ma non è così semplice. Nella seconda parte del video si mostrano gli effetti dello statalismo che in Cina ha portato le giovani generazioni all'immobilismo in quanto ogni iniziativa privata viene mortificata dallo Stato. Tra i ventenni e i trentenni cinesi sta diventando popolare lo "sdraiamentismo" altrimenti detto "il metodo del fare niente".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6549SI DIMETTE IL FRATELLO DI FIDEL CASTRO, MA A CUBA LA DITTATURA COMUNISTA CONTINUA di Mauro FaverzaniMa chi l'ha detto che il comunismo è finito? I fatti provano l'esatto contrario.A Cuba, durante l'VIII Congresso, le dimissioni date da Raúl Castro dal ruolo di primo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista non corrispondono alla fine della dittatura. In campo politico il potere resta saldamente nelle mani della famiglia Castro, della leadership militare e degli organi della Sicurezza dello Stato; in campo economico, il modello socialista di produzione resterà lo stesso e così pure il carattere centralizzato della pianificazione. Nessuna libertà di mercato, nonostante la forte crisi, aggravata dalle sanzioni e dal crollo del turismo, l'inflazione, la povertà e le disuguaglianze sociali; a ciò si aggiunga la crisi sanitaria, altrettanto pesante per l'imperversare nell'isola del Covid-19 con un aumento incontrollato di morti e contagi. In campo militare, Raúl Castro manterrà il grado di generale dell'esercito, quindi il potere nelle proprie mani.Non a caso la propaganda di regime ha subito definito quello terminato lunedì scorso come il «Congresso della continuità», tanto per mettere le cose in chiaro. Castro stesso ha pronunciato un discorso guerrafondaio ed antimperialista, che non lascia spazio a dubbi, dichiarando anzi, pur lasciando il comando, di voler continuare a militare «come un combattente rivoluzionario in più. Finché vivrò - ha aggiunto - sarò pronto a difendere la patria, la rivoluzione e il socialismo».Solo il malcontento cresce. E, con esso, il numero dei dissidenti. Per l'intera durata del Congresso, attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti sono stati interrogati, minacciati oppure assediati e costretti a restare nelle loro case, secondo quanto rivelato dall'autorevole quotidiano spagnolo Abc. Non solo. Un rapporto diffuso dall'Osservatorio cubano per i Diritti Umani ha denunciato nelle scorse settimane i 1.798 arresti arbitrari - col ricorso alla violenza in almeno 216 casi - e le 1.647 detenzioni forzate, tutti atti voluti e compiuti nel 2020 dal regime con un aumento dei divieti e delle restrizioni all'esercizio delle libertà individuali e con un aggravarsi della repressione in ogni campo, compresi cultura e spettacolo. Il tutto in un silenzio complice da parte dell'Occidente, Usa ed Unione europea in particolare, sinora limitatisi a bearsi della liberazione di qualche detenuto, anziché sradicare davvero il problema alla radice, chiedendo l'abrogazione delle leggi, che consentono alla leadership comunista cubana d'incarcerare in modo assolutamente arbitrario.A proposito di Europa, anche qui il comunismo gode purtroppo di ottima salute.Nella Spagna un tempo cattolicissima, ma oggi sovietizzata, impossibile non dar conto del tentativo di condizionare lo svolgimento delle elezioni di Madrid, in agenda per il prossimo 4 maggio, tentativo posto in essere da molti gruppi di estrema sinistra con manifestazioni e disordini, verificatisi nei giorni scorsi tra Plaza de la Constitución e l'Assemblea. Solo l'intervento della Polizia ha impedito che nella capitale circa duemila facinorosi ricorressero alla violenza esplicita e brutale. Venerdì scorso, con un editoriale, il quotidiano Abc ha commentato in merito: «Né Madrid né la Spagna possono inserirsi in uno schema ideologico in grado di mortificare a tal punto la libertà».Eppure c'è chi non capisce o finge di non capire. Al corteo, ancora una volta inscenato tra la Gran Via ed il centro di Madrid dal Partito comunista, da Izquierda Unida, da Juventud Comunista e da altri movimenti di Sinistra come il Fronte operaio spagnolo ed il Partito marxista-leninista, per celebrare i novant'anni dalla proclamazione della seconda repubblica spagnola, sono rispuntati in foto i volti di Lenin e di Stalin e, tra le bandiere, falce e martello e la stella rossa a cinque punte, di triste memoria. Tra gli slogan scanditi da centinaia di partecipanti, alcuni, tra cui «Per una Repubblica federale popolare! Per una Spagna sovrana!», hanno evidenziato la politica destabilizzante ed antimonarchica, da tempo perseguita in modo più o meno esplicito dalle sigle appartenenti allo stesso governo Sánchez, ponendo problemi seri di lealtà allo Stato ed alla Corona.Del resto, a guidare le Sinistre in Spagna sono proprio i gruppi più estremi, come dimostrano Pablo Iglesias, secondo vicepresidente del governo nazionale, e sua moglie, il ministro per l'Uguaglianza Irene Montero, entrambi leader di Unidos Podemos, che hanno tirato per la giacca il Psoe-Partito socialista operaio spagnolo, "reo", a loro dire, di eccessive reticenze nel sostegno al progetto di «Legge Trans» e Lgbt, di cui viceversa vorrebbero l'approvazione ed in tempi rapidi. Prontissimi, per ottenere l'obiettivo, ad accusare di «transfobia» anche quanti, come il primo vicepresidente del governo Carmen Calvo (Psoe), abbiano "osato" definire la normativa proposta priva di garanzie giuridiche e pertanto da rivedere.Contemporaneamente, Sara Hernández Barroso, sindaco progressista di Getafe, sorta di città-dormitorio a sud di Madrid, ha cercato di "sdoganare" la pedofilia, sostenendo che bambini ed adolescenti debbano avere, a dispetto dell'età, esperienze sessuali «ovviamente e chiaramente soddisfacenti ed ovviamente e chiaramente egualitarie», ciò che l'agenzia d'informazione InfoCatólica non ha mancato di stigmatizzare giustamente come una «politica di depravazione morale ed esistenziale». La giunta municipale guidata dal sindaco Barroso ha diffuso nelle scuole e presso gli istituti, tanto pubblici quanto privati, un'apposita guida in sei volumetti, pagata con soldi pubblici quindi di tutti, contenente slogan, testi ed immagini sin troppo espliciti (tra cui «Spegni la tv, accendi il tuo clitoride» ed un convinto invito alla masturbazione, ma l'elenco potrebbe drammaticamente continuare), al fine di spezzare, si legge, «stereotipi sessisti e creare un nuovo futuro, scoprire il sesso alla grande e viverlo senza limiti». Affermazioni che si commentano da sole a triste supporto di azioni, in realtà, con effetti devastanti sui minori, perché profondamente diseducative, gravemente immorali ed irrispettose nei confronti delle famiglie, cui sole spetta - ed a nessun altro - la responsabilità e l'autorità educativa primaria ed a cui non è stata viceversa chiesta alcuna autorizzazione, prima di diffondere la scandalosa pubblicazione.Intanto, dalla parte opposta del globo terrestre, un altro colosso del comunismo mondiale, la Cina, continua a far quel che vuole, senza che nessuno gliene chieda conto oppure lo fa ma con voce sin troppo debole e smorzata, tanto da risultare assolutamente insignificante. Capitò già quando si trattò d'accogliere Pechino nei salotti buoni del commercio internazionale, senza nulla eccepire sulla questione dei diritti umani, letteralmente calpestati in casa propria dal gigante asiatico, come ormai arcinoto a tutti. Ed è capitato anche in occasione della pandemia da Covid-19, nonostante i ritardi colpevoli, i rifiuti e gli ostacoli sempre opposti dalla Cina a chiunque volesse inviare tecnici ed esperti, per individuarne le cause ed accertarne le responsabilità (come già avvenne per aviaria e Sars, sempre made in China). Oltre al danno, le beffe: grazie al mercato subito sviluppatosi proprio attorno al virus, la Cina nel primo trimestre 2021 ha registrato - caso unico al mondo - una crescita record del Pil pari al 18.3% ed una crescita complessiva del + 2,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, quando viceversa si ebbe un crollo del 6,8%, il peggiore degli ultimi 44 anni, ora già archiviato e dimenticato; a marzo, anche la produzione industriale ha avuto un incremento del 14,1%, mentre gli investimenti in capitale fisso sono aumentati del 25,6% e le vendite al dettaglio sono cresciute del 34,2% su base annua. Certo, la ripresa appare incerta, irregolare, la disoccupazione al 5,3% resta un problema e le previsioni si sono rivelate più ottimistiche della realtà, il che ha costretto ad abbassare anche gli obiettivi futuri, ma Pechino è decisa a recuperare terreno al più presto, puntando sulle esportazioni e sui consumi interni, consolidando la sua potenza e conservando intatta la dittatura comunista in casa propria, dittatura fatta degli ingredienti ad essa tipici ovvero laogai, arresti, detenzioni, violenze e prevaricazioni sulle minoranze, compresa quella cattolica, diritti umani negati e libertà recise. Nel silenzio generale.L'elenco dei popoli oppressi dalla tirannide comunista potrebbe purtroppo continuare ed estendersi anche a quei Paesi formalmente "democratici", tuttavia vittime di quel radicalismo di massa, ch'è poi la propaggine involutiva del verbo marxista, "esportabile" laddove al potere non si possa giungere direttamente, tuttavia si possa incidere in modo significativo quanto meno a livello di mentalità, di usi e di costumi.Il quadro complessivo non è per nulla rassicurante, anzi è tale da impedire all'Occidente di sentirsi al sicuro. Benché l'Occidente pare proprio non rendersene conto...
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6512LA VERA STORIA DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANOLa fondazione 100 anni fa a Livorno, poi il compromesso storico con la DC, poi il finto scioglimento per cambiare il nome più volte, fino all'attuale presenza al governodi Roberto de MatteiIl Partito Comunista d'Italia nacque a Livorno il 21 gennaio 1921 da una scissione del Partito Socialista. I suoi principali fondatori furono Antonio Gramsci (1891-1937), Palmiro Togliatti (1893-1964) e Amedeo Bordiga (1889-1970), poi espulso e sottoposto a damnatio memoriae, secondo la dialettica interna tipica di ogni partito comunista.Nel 1917 il partito bolscevico aveva conquistato il potere in Russia, sotto la guida di Vladimir Lenin e Lev Trotzski. Il PCI fu la sezione italiana del Komintern, l'organizzazione internazionale fondata a Mosca nel 1919, con lo scopo di diffondere la rivoluzione comunista nel mondo. Nella storia del comunismo, la Rivoluzione russa è un evento più importante della pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista con cui Karl Marx e Friederich Engels, nel febbraio del 1848, lanciarono un appello ai proletari di tutto il mondo per abbattere la borghesia e realizzare la «società senza classi».Nella «undicesima tesi» del suo commento alla filosofia di Feuerbach, Marx sostiene che il compito dei filosofi non è di interpretare il mondo, ma di «trasformarlo». Questa affermazione sembrò realizzarsi nel 1917 a Mosca, dove, per la prima volta nella storia, il comunismo prese il potere e iniziò a diffondersi nel mondo. A Lenin, morto nel 1924, successe Stalin, eliminando la dissidenza di Trotzski, che lo accusava di "tradire" la Rivoluzione. In Italia, mentre Gramsci, imprigionato dal fascismo, elaborava, nei Quaderni dal carcere, la sua «filosofia della prassi», Palmiro Togliatti, il più fedele tra gli stalinisti, guidò il Partito Comunista nella clandestinità e poi nel dopoguerra. Con l'aiuto, anche finanziario, dell'Unione Sovietica, il Partito Comunista divenne il secondo partito italiano dopo la Democrazia Cristiana.OSTPOLITIKIl 7 marzo 1963 Giovanni XXIII ricevette in Vaticano Alexis Adjubei, genero di Krusciov e direttore dell'agenzia Izvestija. Pochi giorni dopo Togliatti, in piena campagna elettorale, propose ufficialmente una collaborazione tra cattolici e comunisti (Rinascita, 30 marzo 1963). Nelle elezioni del 29 aprile, il PCI aumentò di un milione di voti, provenienti soprattutto da ambienti cattolici. Togliatti morì a Yalta nel 1964, mentre la Democrazia Cristiana, con la benedizione del nuovo Pontefice, Paolo VI, formava i primi governi di "centro-sinistra". Il Concilio Vaticano II si chiuse l'8 dicembre 1965 senza aver pronunciato una sola parola sul comunismo, sebbene quasi 500 Padri conciliari ne avessero chiesto un'ufficiale condanna.Nel 1973, dopo l'ascesa e la caduta del governo socialcomunista di Salvador Allende, in Cile, il nuovo segretario del PCI Enrico Berlinguer (1922-1984) pubblicò sulla rivista del partito Rinascita, una serie di Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile, in cui avanzava la proposta di un «compromesso storico», che portasse i comunisti al governo in maniera indolore, con l'appoggio della Democrazia Cristiana. L'interlocutore privilegiato di Berlinguer era Aldo Moro, che godeva della piena fiducia di Paolo VI e che iniziò a tessere la trama di un governo con i comunisti.IL COMPROMESSO STORICOGli anni fra il 1974 ed il 1976 furono quelli del maggior successo elettorale del PCI, che nelle elezioni del 21 giugno 1976 raggiunse il 34,4% dei voti espressi. Nel 1978, tuttavia, la morte tragica di Aldo Moro, a cui seguì, pochi mesi dopo, quella di Paolo VI, rallentò la realizzazione del "compromesso storico", mentre in Unione Sovietica, colpita da una colossale crisi economica, nasceva la perestrojika di Mikail Gorbaciov. Nel 1989 crollò il Muro di Berlino e l'Unione Sovietica iniziò la sua auto-dissoluzione. «La decomposizione dell'Unione Sovietica e di conseguenza del suo impero per il modo in cui è avvenuta resta misteriosa», scrive François Furet nel suo studio su Il passato di un'illusione (Mondadori, Milano 1995, p. 354). Senza spargimenti di sangue, tra il 1989 e il 1991, la nomenklatura sovietica sciolse la vecchia azienda e si mise alla testa della nuova. Il comunismo si liberò del suo apparato burocratico, in Russia e nel mondo, lasciando che l'idea comunista potesse esprimersi in nuove forme e modalità di azione.Il 3 febbraio 1991 anche il Partito Comunista Italiano deliberò il proprio scioglimento, promuovendo la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS). Il 14 febbraio 1998 il PDS, al termine degli Stati Generali della Sinistra, cambiò ulteriormente nome in Democratici di Sinistra (DS), una compagine che fu a sua volta soggetto fondatore dell'Ulivo, sorto per iniziativa di Romano Prodi, che finalmente, nel 1996 portò i comunisti al governo in Italia. L'Ulivo confluì poi nel Partito Democratico (PD), fondato nel 2007 e oggi al governo.Nota di BastaBugie: in Italia c'è stato il più grosso Partito Comunista d'occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Si può approfondire il tema leggendo il seguente articolo.IL PCI COMPIE CENTO ANNI ED E' AL POTERE IN ITALIA (SOTTO ALTRO NOME)I dirigenti del Partito Comunista si sono autoassolti senza chiedere scusa, hanno accantonato la bandiera marxista, ma non l'arroganza ideologica, la pretesa superiorità morale e la demonizzazione degli avversaridi Antonio Soccihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6322 Titolo originale: La genealogia del PCIFonte: Radici Cristiane, 12 Marzo 2021Pubblicato su BastaBugie n. 708
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6430CENTO ANNI DI COMUNISMO NEL MONDO (1921-2021)Con la scusa dell'emergenza Covid le autorità di Pechino hanno chiuso i 155 luoghi religiosi della città (eppure nessun contagio è stato trasmesso in chiesa)di Mauro FaverzaniLa notizia potrebbe esser considerata sin ridicola, se in realtà non fosse estremamente tragica: col pretesto dell'«emergenza Covid», le autorità di Pechino hanno chiuso a chiunque tutti e 155 i luoghi religiosi della capitale, sospeso le «attività religiose collettive» e deciso un'ulteriore stretta sulle «attività illegali» delle comunità sotterranee. Ciò, nonostante la pandemia sia esplosa in un laboratorio e non certo in un edificio sacro. L'annuncio ufficiale è giunto nel corso di un'apposita conferenza-stampa, promossa lo scorso 8 gennaio dall'Ufficio di informazione del governo della città, lo stesso che curiosamente ha dichiarato quanto segue: «Finora non si sono verificate nuove infezioni di polmonite e nessun caso sospetto fra gli 840 religiosi in 155 sedi religiose della nostra città e l'obiettivo "zero contagio" è stato raggiunto». E allora, verrebbe da dire?Il lockdown ha sbarrato i luoghi di culto sin dal gennaio dell'anno scorso con una breve riapertura a luglio, sia pure a condizioni rigorosissime: ingressi contingentati, rilevazione della temperatura, distanziamento, riti brevi e via elencando. Nessun'altra concessione.Già a Natale i continui controlli condotti dalla Polizia e le restrizioni strettissime imposte spinsero già molti sacerdoti a gettare la spugna ed a chiudere le proprie chiese, affidandosi alle celebrazioni online. Ora, assurdamente, ci si son messi pure i messaggi anonimi sui social, che accusano i cattolici ed i missionari stranieri d'essere i nuovi "untori" e di diffondere il virus nell'Hebei, guarda caso la provincia con la maggiore percentuale di cattolici. Persino l'Associazione patriottica ha precisato come tali affermazioni siano assolutamente infondate, essendovi finora un solo cattolico di Shijiazhuang, la capitale provinciale, risultato positivo al Covid-19.Ma niente da fare. Le chiese resteranno chiuse ed, anzi, le autorità hanno assicurato di «condurre indagini speciali sulle attività religiose illegali nelle aree rurali, frenarle risolutamente e prevenire il rischio di diffusione dell'epidemia». E precisano come «il virus trovato a Shijiazhuang ed a Xingtai sia importato dall'Europa». Ovvero la Cina accusa l'Europa d'aver diffuso il Coronavirus. Anche questa sarebbe forse un'affermazione esilarante, se la faccenda non fosse drammaticamente seria. Tant'è vero che tra i fedeli circola la convinzione che, in realtà, il virus abbia rappresentato per Pechino l'occasione per azzerare le comunità sotterranee. [...]Poche settimane fa, il Partito comunista di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, ha imposto a tutti gli insegnanti di impegnarsi per iscritto a non professare alcuna religione ed a proporre in merito anzi l'opinione marxista, a promuovere attivamente l'ateismo tra gli studenti e la «nuova civiltà socialista», riservandosi ispezioni ed azioni disciplinari tra docenti ed alunni, qualora qualcuno si dichiarasse credente. Va qui ricordato come già il regime abbia vietato a tutti i minori di 18 anni la partecipazione alla S. Messa. [...] Più o meno nello stesso periodo, la Sara ovvero l'Amministrazione statale cinese per gli Affari religiosi ha introdotto nuove norme circa le attività religiose straniere nella Repubblica popolare, sospettando che in esse possano intrufolarsi operazioni di "spionaggio". Per questo è stato imposto loro una piena e totale sottomissione a leggi e regolamenti cinesi, devono registrarsi, accettare controlli sui propri membri (devono essere tutti, rigorosamente stranieri) e sul materiale in essi utilizzato, inoltre tali comunità devono restare del tutto isolate e non aver contatti con quelle analoghe cinesi. All'esterno delle attività religiose straniere non devono esservi simboli religiosi evidenti, non possono fondare scuole, fare "proselitismo" o accettare donazioni da cinesi. L'elenco potrebbe tristemente continuare. [...]Qualcuno potrebbe ritenere che, in ogni caso, non vi sia granché di cui preoccuparsi, poiché queste situazioni riguardano la sola Cina comunista. Certo, se proprio qualche giorno fa in Scozia il governo non avesse deciso di chiudere indiscriminatamente e completamente tutti i luoghi di culto, per contrastare l'«emergenza Covid», consentendo solo cerimonie online, tra lo sconcerto della Conferenza episcopale scozzese, secondo la quale non sussistono prove scientifiche, che possano «giustificare l'inclusione dei luoghi di culto tra i focolai di contagio», il che fa ritenere «arbitrarie ed ingiuste» le restrizioni imposte solo ai cattolici e non, ad esempio, al settore edile, né agli sport d'élite. Anche altri Stati europei si starebbero preparando per fare altrettanto. Discriminazioni, queste, di cui non è responsabile certo il Coronavirus. Il virus, in questi casi, è un altro, è ideologico, ma non è meno pericoloso e sta già circolando ovunque...Nota di BastaBugie: Roberto de Mattei nell'articolo seguente dal titolo "1921-2021: il comunismo sempre al potere" parla dei cento anni di comunismo al potere nel mondo: Corea del Nord, Cina e anche Italia.Ecco l'articolo completo pubblicato su Radio Roma Libera l'11 Gennaio 2021:Il 7 gennaio, il leader nordcoreano Kim Jong-un è stato eletto segretario generale del Partito dei lavoratori, in occasione dell'ottavo congresso del Partito, il primo negli ultimi cinque anni.Il ruolo di Kim come dittatore comunista della Corea è stato dunque ufficialmente riconfermato.Il Partito dei Lavoratori è infatti l'erede diretto del Partito Comunista Coreano fondato nel maggio del 1921, tre mesi dopo la fondazione del Partito Comunista Italiano, di cui sarà celebrato tra qualche giorno il centenario della fondazione, avvenuta a Livorno il 21 gennaio 1921.Nel 2021 ricorre anche il trentennio della auto-dissoluzione dell'Unione Sovietica. Dopo la caduta del muro di Berlino abbiamo assistito alla liquefazione dell'apparato burocratico comunista in Russia. Però, la fine del regime sovietico non segnò la fine del comunismo, ma la fine dell'anticomunismo, che si illuse che, dopo la caduta del muro di Berlino e dell'Unione Sovietica, il comunismo sarebbe scomparso dalla storia.Non è stato così. Il comunismo ha subito una metamorfosi, ma il suo nucleo dottrinale, il materialismo dialettico, continua a dominare in tutto il mondo. L'Occidente oggi è immerso in una filosofia di vita materialista e relativista. Come negarlo? E come negare che l'Occidente sia ancora guidato da una classe dirigente e intellettuale di origine comunista?In Oriente, la Corea di Kim Jong-un è la longa manus della Repubblica popolare cinese, governata da un dittatore, XI Jinping, che rivendica continuamente la dottrina e la prassi del comunismo. In Cina c'è l'obbligo di studiare Marx, Lenin, Mao e lo stesso pensiero di Xi Jinping, se non si vuole perdere il posto e scomparire nei campi di concentramento, più che mai affollati da schiavi che, con il loro lavoro, permettono la sussistenza dell'economia cinese.Xi Jinping ha detto che la religione è incompatibile con la "fede" marxista e ha presentato se stesso e il Partito Comunista Cinese come «atei marxisti inflessibili». Nel 2020 è stato pubblicato un importante libro della sinologa francese Alice Ekman, dal titolo Rouge vif, che smentisce abbondantemente le teorie di chi pensa che la Cina non sia più comunista.La Cina è comunista e si avvia ad essere la prima superpotenza mondiale. La Corea del Nord è una proiezione politica della Cina. Il suo capo, Kim Jong ha ribadito nell'ultimo congresso del Partito Comunista che il nemico più grande della Corea sono gli Stati Uniti e ha ordinato di sviluppare missili nucleari terrestri e subacquei, perché il suo paese, deve rafforzare la sua capacità militare contro gli Stati Uniti. Lo stesso pensa e fa la Cina di Xi Jinping, che alle armi nucleare, aggiunge quelle informatiche e biologiche, su cui si lavora senza sosta nei suoi laboratori. Titolo originale: In Cina chiese chiuse per Covid. Ma anche in Scozia...Fonte: Corrispondenza Romana, 13 Gennaio 2021Pubblicato su BastaBugie n. 699
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6394IL COLLASSO DELLA POLITICA CINESE DEL FIGLIO UNICO di Rodolfo CasadeiA Vancouver, Canada, la campagna "One Planet One Child" promossa dalla Ong statunitense World Population Balance ha conosciuto un increscioso incidente di percorso: avendo scelto di pubblicizzare il suo messaggio secondo cui «il dono più amorevole che puoi fare al tuo primo figlio è di non averne un altro» con la gigantografia di un neonato afroamericano, è incorsa in accuse di razzismo. I promotori della campagna si sono affrettati a chiedere scusa e ad assicurare che non avevano alcuna intenzione di perorare una diminuzione del numero dei neri a vantaggio di altri gruppi razziali ed etnici, ma soltanto di diffondere il messaggio che i figli unici di qualunque colore sono la scelta migliore che una famiglia può fare per garantire un futuro felice al bambino in questione: anche se non avrà fratelli o sorelle avrà però a disposizione maggiori risorse ambientali. Hanno però dimostrato di non credere veramente che le loro spiegazioni sarebbero state accettate, perché il manifesto in questione, dopo essere scomparso dalle strade e dalle vie di Vancouver, è sparito anche dalla pagina del sito internet di World Population Balance (Wpb) che ospita i numerosi "transit ads" della campagna, cioè le pubblicità stradali. Infatti nel settembre scorso la campagna pubblicitaria, con grandi cartelloni stradali recanti la scritta "We chose one!" abbinata alla foto di coppie di genitori con un solo figlio, ha fatto la sua apparizione non solo a Vancouver, ma lungo le strade del Colorado e del Minnesota. L'obiettivo della campagna è convincere le coppie di tutto il mondo, cominciando da quelle dei paesi occidentali, a non avere più di un figlio per combattere la sovrappopolazione, che secondo gli attivisti è la causa principale del degrado dell'ambiente e dell'esaurimento delle risorse.L'ESPERIMENTO (CON 336 MILIONI DI ABORTI) IN CINASecondo una cervellotica proiezione di Wpt, se da oggi in avanti per 100 anni di seguito la media dei figli per donna diminuisse e restasse stabile a 1, la popolazione mondiale scenderebbe da 7,8 a 3 miliardi di persone, e tutti i problemi di inquinamento ambientale ed esaurimento delle risorse sarebbero risolti. A chi obietta che a creare pressioni sull'ambiente non è tanto il numero degli esseri umani, quanto l'eccesso di consumi, la Ong ribatte che «conseguire la sostenibilità attraverso la riduzione dei consumi comporterebbe che dovremmo vivere tutti in povertà. Risolvere il problema della sovrappopolazione in tutto il mondo migliorerebbe le vite ovunque. Molte famiglie nel mondo hanno scelto famiglie sempre più piccole negli ultimi sessant'anni, mentre molto poche hanno scelto di abbassare il loro standard di vita. Perché non incoraggiare ciò che è già riuscito - la riduzione volontaria dei tassi di fertilità - piuttosto che riporre tutte le nostre speranze in qualcosa che nessuna società ha mai scelto di fare?».Quello che Wpb dimentica di dire, è che l'esperimento sociale del figlio unico è già stato condotto, per più di trent'anni, in un grande paese del mondo, e che i costi umani ed economici di tale politica sono stati così negativi da convincere il governo a cambiare politica. Stiamo parlando della Cina, che nonostante avesse conosciuto una forte diminuzione dei tassi di fertilità nel corso degli anni Settanta senza bisogno di politiche draconiane, a partire dai primi anni Ottanta decise di imporre con le cattive la politica del figlio unico alla sua popolazione. Per raggiungere gli obiettivi fissati, in Cina sono stati procurati 336 milioni di aborti in un trentennio, molti dei quali forzati; sono state sterilizzate 196 milioni di donne ed altre 403 milioni hanno avuto impiantata una spirale: anche in questo caso spesso si è ricorsi alla forza. Molti secondi figli, soprattutto se femmine, sono stati soppressi o lasciati morire subito dopo la nascita per non subire le sanzioni legali, che andavano dall'imprigionamento dei genitori a salatissime multe. Si calcola che per un lungo periodo l'ente pubblico abbia incassato l'equivalente di 3 miliardi di dollari all'anno dalle contravvenzioni pagate dalle famiglie che avevano un secondo o terzo figlio, e che buona parte di questa cifra sia finita nelle tasche dei rappresentanti delle autorità locali, i più motivati fra tutti i pubblici ufficiali a vedere applicate le leggi sul numero dei figli.LA GENERAZIONE DEL PICCOLO IMPERATORESulla personalità e sui comportamenti della generazione dei figli unici cinesi, definita "la generazione del Piccolo Imperatore", sono stati condotti studi sociologici e scritti libri da autori cinesi. [...] Crescendo questi bambini hanno dimostrato di essere meno generosi, meno capaci di fiducia e meno onesti dei loro predecessori nati negli anni Settanta, più paranoici, pessimisti e timorosi di assumersi responsabilità. La giornalista Helen Gao ha elencato sul New York Times i loro ricorrenti comportamenti problematici, come fare scenate al partner in pubblico, gettare rifiuti spensieratamente per la strada, l'essere soffocanti nelle relazioni affettive e tutti i comportamenti che rivelano l'aspettativa di essere serviti da altri. Alcuni sociologi spiegano le scarse performance dei cinesi negli sport di squadra con la teoria della "palla grande, palla piccola": gli atleti cinesi eccellono soprattutto negli sport individuali come il ping pong e il badminton, che richiedono alti livelli di precisione e ripetitività, ma afflitti dall'egoismo e dalla paranoia che dominano la generazione dei figli unici, non riescono a coinvolgersi nello spirito degli sport di squadra come calcio e basket, e così normalmente hanno risultati scadenti negli sport della "palla grande".40 MILIONI DI MASCHI SENZA COMPAGNA E 300 MILIONI DI ANZIANIUn altro vistoso fenomeno sociale conseguenza delle politiche del figlio unico in Cina è il soprannumero di maschi. La tradizionale preferenza per il figlio maschio ha prodotto un vasto fenomeno di aborto selettivo delle femmine (problema che esiste anche in India) quando dalle ecografie risultava che questo era il sesso del concepito. Oggi in alcune province cinesi il numero dei maschi supera del 38 per cento quello delle femmine, e nel complesso dell'intera Cina nascono 119 ragazzi ogni 100 ragazze. Di conseguenza il paese oggi si trova con un surplus di 40 milioni di maschi in età da matrimonio (più di tutta la popolazione della Polonia o del Canada) che non può trovare una compagna in Cina. Il problema viene risolto svuotando i paesi vicini dalle donne appartenenti a minoranze etniche e a famiglie poverissime. Vengono attirate in Cina col miraggio di un buon impiego o puramente e semplicemente "vendute" dalle loro famiglie. Provengono in maggioranza da Vietnam, Cambogia, Myanmar, Pakistan e Corea del Nord.Infine ci sono le conseguenze economiche della politica del figlio unico: nei prossimi trent'anni la Cina perderà 200 milioni di lavoratori che avrebbe avuto senza le politiche di controllo delle nascite e accumulerà 300 milioni di anziani. Il miracolo economico cinese finirà e la Cina dovrà affrontare il problema di una popolazione anziana che difficilmente può essere sostenuta dalle generazioni che lavorano: a metà di questo secolo il 39 per cento dei cinesi avrà più di 60 anni.Di fronte a questi problemi il governo comunista ha reagito sostituendo alla politica del figlio unico quella degli almeno due figli per famiglia, ma finora con scarso successo: i cinesi hanno fatto proprie le tendenze dei paesi ricchi in materia di fertilità, che sommate all'eredità delle violente politiche antinataliste fanno sì che la fertilità delle donne cinesi continui ad essere molto bassa, cioè un po' più di 1,6 figli per donna. Il 2019 è stato l'anno col minor numero di nascite ogni 1.000 abitanti da quando si tengono statistiche, appena 10,5. Il baby-boom che il governo si aspettava come conseguenza della politica inaugurata cinque anni fa non ha avuto luogo, e chissà se mai ci sarà. [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6354A HONG KONG LA LIBERTA' E' STATA UCCISA DALLA CINA ALLA LUCE DEL SOLE di Leone GrottiIl 22 febbraio 2017 il Washington Post adottò per la prima volta un motto sotto la testata: «La democrazia muore nell'oscurità». In tanti ci hanno visto una risposta alle accuse che Donald Trump, presidente in carica da appena un mese, aveva cominciato a rivolgere ai «fake news media». Se riguardava davvero lui, lo slogan si può considerare un flop visto che le ultime elezioni presidenziali sono state le più partecipate degli ultimi 120 anni negli Stati Uniti. Ma è il motto in se stesso a sembrare ormai obsoleto: la realtà di questi giorni dimostra infatti che la democrazia può morire benissimo in pieno giorno, alla luce del sole, illuminata dalle telecamere di mezzo mondo.LE LIBERTÀ CARPITE UNA DOPO L'ALTRAIeri tutti i deputati democratici di Hong Kong hanno deciso di dimettersi dal Parlamento. Lo hanno fatto per inscenare un'ultima, eclatante e disperata protesta contro un regime che, giorno dopo giorno, sopprime incontrastato una dopo l'altra le libertà dei cittadini. La legge sulla sicurezza nazionale, proprio come previsto, si è rivelata la pietra tombale sul modello "Un paese, due sistemi". Pechino aveva giurato, firmando un trattato internazionale con il Regno Unito, di lasciare «ampia autonomia» alla città fino al 2047. Invece dopo appena 13 anni dalla restituzione dell'isola, e con ben 27 d'anticipo sulla scadenza prevista, il Partito comunista cinese ha deciso di farsi beffe dello stato di diritto, instaurando la dittatura che già vige nella Cina continentale anche al di là del fiume Sham Chun.Xi Jinping si è preso Hong Kong con la forza utilizzando, come nella migliore tradizione sovietica, una legge per scardinare tutte le altre. Violando tre o quattro articoli della Costituzione della città, Pechino ha imposto all'isola una norma che prevede pene fino all'ergastolo (da scontare in Cina) per chiunque osi anche solo contraddire il verbo del Partito comunista. In soli cinque mesi ha abolito di fatto la libertà di espressione e di insegnamento, di stampa e di assemblea, ha cancellato l'indipendenza della giustizia, ha proibito manifestazioni pacifiche, ha rinviato le elezioni, minacciato i cittadini desiderosi di scendere in politica per opporsi al governo, ha fatto espellere i primi deputati democratici, ha trascinato in tribunale gli attivisti, costretto all'esilio i dissidenti, ha fatto arrestare studenti e giornalisti, parlamentari e insegnanti, bambini e adulti, a volte solo per aver esposto un cartello bianco, senza scritte, simbolo della censura che vorrebbe ridurre al silenzio ogni coscienza.LA LIBERTÀ A HONG KONG È MORTAMa il regime non ha fatto tutto questo di nascosto. Ormai si sente così forte e inattaccabile da agire alla luce del sole. E due giorni fa è davanti alle telecamere dei più importanti quotidiani del mondo che Wu Chi-wai, presidente del Partito democratico di Hong Kong, ha annunciato le dimissioni sue e di tutti i suoi colleghi, scegliendo parole drammatiche: «Negli ultimi sei anni abbiamo visto la Cina estendere il suo dominio progressivamente sulla nostra città e questo è il risultato. Per combattere contro un governo centrale autoritario, noi dobbiamo stare dalla parte della popolazione di Hong Kong e combattere per la democrazia nel lungo periodo. Oggi hanno squalificato i nostri colleghi senza alcuna ragione e la cosa peggiore è che la Costituzione di Hong Kong prevede la separazione dei poteri rispetto a Pechino e invece oggi abbiamo capito che il governo centrale vuole prenderseli tutti. Carrie Lam è solo una marionetta nelle mani di Pechino. Oggi è la fine del modello "Un paese, due sistemi". In questo periodo così incredibilmente difficile, non cederemo, combatteremo per la nostra democrazia».Il regime è andato su tutte le furie per le dimissioni dei democratici, che hanno osato «sfidare» l'autorità cinese e rendere manifesta l'illegittimità di un Consiglio legislativo dove ormai siedono solo le «marionette» del governo. Pechino avrebbe preferito continuare ad agire indisturbato coperto da una parvenza di legalità. Ora anche l'ultimo paravento è stato tolto, la democrazia a Hong Kong è morta e l'annuncio funebre è stato dato in conferenza stampa. Ma con un'Unione Europea egoista e incapace di prendere posizione sulla scena internazionale e un'America troppo impegnata a farsi la guerra da sola, chi è disposto ad ascoltare il grido di Hong Kong?Nota di BastaBugie: Leone Grotti nell'articolo seguente dal titolo "A Hong Kong ormai comanda la dittatura di Pechino" intervista Wu Chi-wai, presidente del Partito democratico della città di Hong Kong.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 novembre 2020:Ci hanno messo «meno di dieci minuti» i parlamentari democratici di Hong Kong a prendere una delle decisioni «più difficili» della loro vita: dimettersi in massa dal Consiglio legislativo della città e lasciarlo interamente nelle mani dei deputati fedeli a Pechino. «Non avevamo altra scelta», spiega a tempi.it Wu Chi-wai, presidente dal 2016 del Partito democratico di Hong Kong. «Le regole del gioco sono cambiate, il modello "Un paese, due sistemi" è morto. Per continuare la nostra battaglia per la democrazia dobbiamo guardare ai paesi dell'Europa dell'est che hanno conosciuto la dittatura sovietica».Perché avete deciso di dimettervi?Il comitato permanente del Congresso nazionale del popolo [il "Parlamento" cinese, ndr] ha dato il potere al governo di Hong Kong di espellere qualunque parlamentare, in base a criteri soggettivi, dal Consiglio legislativo. Questa decisione, che viola la Basic Law, [la Costituzione di Hong Kong, ndr], ha cambiato completamente il panorama politico della città. Dimetterci era l'unico modo per protestare con forza contro il governo centrale.Quando un parlamentare può essere espulso?Sostanzialmente chiunque cerchi di opporsi a una decisione del governo centrale può essere espulso. Ormai bisogna scegliere tra obbedire a Pechino ed essere cacciati. La governatrice Carrie Lam può sbarazzarsi di qualunque parlamentare, se non le va a genio. Come si può fare opposizione a queste condizioni?Carrie Lam non dovrebbe difendere l'autonomia della sua città?Certo che dovrebbe, ma ha abdicato alle sue funzioni e ha capitolato completamente davanti a Pechino. Già nel 2014, quando era a capo della task force per lo sviluppo costituzionale della città, non ha protestato davanti alla decisione del governo cinese di non concedere, come promesso in precedenza, il suffragio universale alla città. Da governatrice, poi, ha cercato di introdurre la legge sull'estradizione e ha ignorato la voce del popolo, sceso in massa in piazza a protestare. Ormai a Hong Kong vige uno stato di polizia, secondo i sondaggi la popolazione non si fida più delle forze dell'ordine. Di chi è la colpa? Di Carrie Lam, che ha distrutto la città. Ormai è solo una marionetta nelle mani di Pechino. Perché sostiene che il modello "Un paese, due sistemi" «è morto»?La Costituzione di Hong Kong prevede la separazione del potere esecutivo e legislativo, l'articolo 73 poi prevede un sistema di pesi e contrappesi perché l'azione del governo venga controllata. Ora invece il governo può espellere i parlamentari se questi non appoggiano Pechino. Così cambia completamente la struttura politica di Hong Kong e il senso stesso dell'azione politica, che si basa sul mandato popolare. Come si è arrivati a questo punto?Con l'introduzione a luglio della legge sulla sicurezza nazionale la legge di Pechino ha preso il sopravvento su quella di Hong Kong, mettendo fine allo stato di diritto. Il nostro sistema non è più diverso da quello della Cina continentale. Tutto è stato distrutto.Che valore avrà d'ora in poi il Consiglio legislativo a Hong Kong?Non molto diverso da quello che ha in Cina. Senza opposizione, restano soltanto i deputati che obbediscono a Pechino. Agiranno in base agli ordini che ricevono e per entrare in Parlamento dovrai essere fedele al governo centrale. Non è più un Parlamento, è una marionetta.Qualcuno vi obietterà che dimettendovi non otterrete niente, mentre lascerete campo libero a Pechino.Hanno espulso quattro parlamentari. Si trattava solo di una questione di tempo prima che arrivassero a tutti noi. La verità è che avevamo un potere davvero limitato, il governo non ci permetteva di fare nulla. Quando hanno cominciato a espellerci abbiamo capito che non aveva più senso combattere per la democrazia in Parlamento. Dovevamo unire le forze e concentrarle su altri obiettivi. È stato difficile, ma ci abbiamo messo meno di dieci minuti a prendere la decisione.Il vostro è stato quindi un atto simbolico?Sì, volevamo attaccare frontalmente il governo centrale. Proseguiremo la nostra battaglia per la democrazia, ma con altri mezzi.Questo significa che se mai ci saranno nuove elezioni, e i dubbi rimangono visto che le ultime sono state rinviate a data da destinarsi, non parteciperete?Dobbiamo parlarne, di sicuro fare politica non avrà più lo stesso significato di prima. Partecipare alle elezioni potrebbe però essere ancora un modo per dare la possibilità ai cittadini di esprimersi contro il governo. Sarebbe come un referendum contro chi ci ha derubato dei nostri valori e principi.Qual è la conseguenza più grave della legge sulla sicurezza nazionale?Oggi chiunque può essere arrestato a Hong Kong e processato solo perché non piace a Pechino. Ma la cosa più grave è che può essere processato e incarcerato nella Cina continentale. Questa è la cosa peggiore per noi: la popolazione soffrirà molto per questo motivo. Hong Kong ormai non è più governata dalla Costituzione, ma dalla legge cinese. C'è ancora speranza per il futuro di Hong Kong?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6318GLI EFFETTI NEGATIVI DELL'ACCORDO SEGRETO CINA-VATICANOSentendosi abbandonato, si dimette mons. Vincenzo Guo Xijin, vescovo coraggioso e fedele alla Santa Sede (cioè appartenente alla Chiesa sotterranea che viene tutt'ora perseguitata dal regime comunista cinese)di Aldo Maria Valli"Sono incompetente", "non ho nessun talento", "non sono al passo con l'epoca", "non voglio essere ostacolo per il progresso": così monsignor Vincenzo Guo Xijin ha spiegato, durante la sua ultima Messa pubblica, la decisione di dimettersi da tutte le cariche per ritirarsi a una vita nascosta e di preghiera. Una vicenda, quella del vescovo Guo, che può essere definita in un solo modo: un'enorme ingiustizia. Erede legittimo di monsignor James Xie Shiguang, il vescovo della Chiesa sotterranea morto nel 2005 senza mai aver accettato di scendere a compromessi con il regime comunista di Pechino, Guo era la guida di oltre settantamila cattolici cinesi nella diocesi di Mindong, nella Cina sud-orientale, che in lui avevano visto il nuovo difensore della fede, baluardo contro le prevaricazioni del regime.Pechino aveva tentato di imporre al posto di Guo monsignor Zhan Silu, allineato al governo e alla cosiddetta Associazione patriottica cattolica, la finta Chiesa emanazione del Partito comunista. Silu era stato scomunicato da Roma, ma due anni fa la firma dello scellerato accordo tra Cina e Vaticano per la nomina dei vescovi aveva trasformato la diocesi di Mindong in una specie di laboratorio per la verifica dell'intesa. Risultato: monsignor Zhan Silu, al quale era tolta la scomunica, veniva promosso dal papa vescovo titolare mentre monsignor Vincenzo Guo era retrocesso a vescovo ausiliario.Per due anni Guo ha cercato di resistere, in attesa che la giustizia potesse trionfare. Ma ora che il Vaticano ha tutta l'intenzione di rinnovare l'accordo con Pechino, abbandonando di fatto al loro destino i vescovi fedeli e i cattolici della Chiesa sotterranea, ha deciso di gettare la spugna. E lo ha fatto [...] umiliandosi davanti a tutti ma anche lasciando trasparire un sarcasmo più tagliente di qualsiasi invettiva. "Rimane il fatto - commenta la benemerita agenzia AsiaNews, grazie alla quale abbiamo notizie di prima mano dalla Cina - che egli, un grande confessore della fede, che ha subito molte volte la prigionia, per amore all'unità della Chiesa lascia lo spazio a un vescovo ex scomunicato, da tutti conosciuto come ambizioso e assetato di potere". Tra l'altro monsignor Zhan Silu, "riconciliato con papa Francesco", non ha compiuto alcun gesto di richiesta pubblica di perdono davanti alla comunità.Riassumendo quanto è successo a lui e alla sua comunità, nell'ultima omelia rivolta ai fedeli monsignor Guo afferma: "Tutto questo è forse il segno di una nuova epoca, una pagina nuova per la Chiesa. In un momento storico così straordinario, abbiamo bisogno di personaggi con grande talento, saggezza, virtù e conoscenza, per poter stare al passo con quest'epoca, o persino precedere i passi dell'epoca guidandola. Io sono una persona che non ha nessun talento, la mia testa è ormai obsoleta e non sa come cambiare con il mutar della società; un pastore nato in un povero villaggio che non possiede nessun talento, né virtù, né saggezza, né capacità, né conoscenza; dinanzi a questa epoca che cambia così rapidamente, mi sento quasi incapace. Ringrazio Dio per avermi illuminato facendomi capire che ormai non sono più in grado di essere al passo con quest'epoca. Nonostante ciò, non voglio neanche diventare un ostacolo per il progresso. Per questo ho deciso di dimettermi presentando le mie dimissioni alla Santa Sede già nel mese scorso".Poi, alla fine del messaggio, il vescovo dimissionario lascia il suo breve ma significativo testamento spirituale: "Miei fedeli, dovete ricordarvi che la vostra fede è in Dio e non in un uomo. L'uomo è soggetto ai cambiamenti, ma Dio no. L'ultima raccomandazione: in ogni circostanza o cambiamento, non dovete mai dimenticarvi di Dio, non ignorare i comandamenti del Signore, non nuocere all'integrità della fede, non rallentare la salvezza dell'anima che è la cosa più importante. Nel momento in cui sto per lasciare l'incarico, vi chiedo di perdonarmi per la mia debolezza e impotenza, soprattutto per le offese recatevi durante il mio incarico! Che il Dio misericordioso sia sempre con voi, fino all'ultimo giorno della vostra vita! Il vostro incompetente pastore Guo Xijin".La vicenda di monsignor Guo dimostra in modo evidente e drammatico come il Vaticano sia disposto ad abbandonare i pastori più fedeli in nome di un accordo iniquo e insensato, ancora oggi tenuto segreto. L'umiliazione inflitta a un vescovo coraggioso e fedele è una ferita inferta non solo alla Chiesa cinese, ma a tutto il popolo cattolico e specialmente a quei fratelli nella fede che in ogni parte del mondo mantengono accesa la fiammella al prezzo di persecuzioni e vessazioni d'ogni genere.DOSSIER "L'ACCORDO SEGRETO CINA-VATICANO"Per vedere tutti gli articoli, clicca qui! Titolo originale: La triste vicenda di monsignor Vincenzo Guo Xijin, abbandonato dal VaticanoFonte: Radio Roma Libera, 10 Ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 686
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6306IL REGIME CINESE CORREGGE IL VANGELO: GESU' LAPIDO' L'ADULTERA di Leone Grotti«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la prima pietra contro di lei». La risposta di Gesù, come riportato da Giovanni (8,1-11), agli scribi e ai farisei è uno dei passi più famosi del Vangelo. Altrettanto rinomato è il finale dell'episodio dell'adultera: "Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più»". Eppure c'è un paese al mondo dove il racconto evangelico non si conclude così.Come denunciato da UcaNews, la storia viene distorta in un libro di testo destinato alle scuole secondarie in Cina. Nel sussidiario pubblicato dall'editrice governativa dell'Università di scienza elettronica e tecnologia, che ha l'obiettivo di insegnare negli istituti professionali del Dragone "la legge e l'etica professionale", Gesù lapida l'adultera. Sembra incredibile, ma è esattamente così.Quando la folla rinuncia all'intenzione di punire la donna, spiega il "Vangelo con caratteristiche cinesi", Gesù le dice: «Anch'io sono un peccatore. Ma se la legge può essere eseguita solo da uomini senza macchia, la legge sarebbe morta». E poi la uccide.Il passo del testo, riproposto in pagina, è stato pubblicato sui social media cinesi da un cattolico. «Voglio che tutti sappiano che il Partito comunista cinese ha sempre cercato di distorcere la storia della Chiesa, di calunniare la nostra Chiesa, e di far sì che la gente odi la nostra Chiesa». Un docente cristiano in una scuola professionale, Matthew Wang, ha confermato il contenuto del libro, spiegando che può cambiare da provincia a provincia.L'obiettivo di una simile distorsione è far passare il messaggio che tutti devono obbedire alla legge in Cina, la quale è incarnata dal Partito comunista e dalle sue decisioni, e che anche i cattolici devono farlo, visto che persino Gesù si sottometteva ad essa. Kama, cattolico, spera che «le autorità della Chiesa si facciano sentire perché il libro venga corretto».Il regime non è nuovo a interventi così clamorosi, nonostante sia in trattaiva per rinnovare l'accordo sino-vaticano. L'anno scorso, ad esempio, l'Editrice per l'educazione del popolo aveva dato alle stampe un libro di testo per i bambini di quinta elementare, dove cancellava qualunque riferimento a Dio, alla Chiesa e a Cristo in capolavori come La piccola fiammiferaia e La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe. L'obiettivo (finora mai raggiunto, anzi) è eliminare Dio per evitare che il cristianesimo si diffonda e resti soltanto la fede nel comunismo guidato da Xi Jinping.Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Leone Grotti, nell'articolo seguente dal titolo "Il regime cinese rimuove Dio dai classici della letteratura per bambini" rivela come nelle fiabe per bambini il partito comunista ha censurato le parole Dio, Bibbia, chiesa, preghiera.Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 2 agosto 2019:La paranoia del regime comunista cinese nei confronti della religione non conosce limiti. Il partito guidato da Xi Jinping vuole a tutti i costi eliminare Dio dalla società e comincia dalla scuola. Nulla sfugge alla censura e al revisionismo ateo, neanche i grandi classici della letteratura, come spiegato ieri dal quotidiano giapponese Asahi Shimbun.Il partito comunista ha ordinato che ogni riferimento a "Dio" e alla "Bibbia" deve essere cancellato. Così l'Editrice per l'educazione del popolo, che ha dato alle stampe un libro di testo per i bambini di quinta elementare, ha deciso di sostituire alcune pericolose parole dai riassunti tradotti dei grandi classici occidentali.A essere manipolata è ad esempio La piccola fiammiferaia, inserita nel sussidiario allo scopo di «comprendere le altre culture». Nella storia scritta da Hans Christian Andersen, alla bambina appare in una visione la nonna morta, che le dice: «Quando cade una stella, un'anima va a stare con Dio». Nella versione cinese, invece, la nonna dice: «Quando cade una stella, una persona lascia questo mondo».Nel classico La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, Daniel Defoe fa naufragare il suo protagonista su un'isola sperduta. Da ciò che resta della sua nave, Crusoe recupera tre copie della Bibbia, ma la versione rivista dal partito comunista sostituisce il testo sacro con la dicitura «pochi libri». Come sia possibile comprendere la storia, e quindi la «cultura straniera», senza accennare al tentativo di Crusoe di convertire Venerdì alla fede cristiana, è un mistero.Almeno una decina di modifiche sono state fatte invece a Vanka di Anton Chekhov, da dove sono stati rimossi tutti i riferimenti alla preghiera in chiesa al pari della parola "Cristo".Come riportato da AsiaNews, che ha ripreso la notizia, «queste operazioni rispondono alle direttive lanciate dal presidente Xi Jinping fin dal 2015, secondo cui le religioni, per vivere in Cina, devono "sinicizzarsi", assimilarsi alla cultura cinese e sottomettersi al Partito comunista. Secondo osservatori, la campagna contro il cristianesimo, è dovuta al timore che la Cina diventi il Paese "più cristiano al mondo" entro il 2030, come prevedono alcuni sociologi (Fenggang Yang). Allo stesso tempo, è un modo per proteggersi da idee quali democrazia, diritti umani, giustizia, stato di diritto». Titolo originale: Detto questo, Gesù lapidò l'adultera. Così la Cina stravolge il VangeloFonte: Tempi, 24 settembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 684
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6224LA TRAPPOLA DEL RINNOVO DELL'ACCORDO SEGRETO TRA CHIESA E CINA di Aldo Maria ValliVoci insistenti parlano di un possibile incontro a Roma tra una delegazione vaticana e una cinese per il rinnovo dell'accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi, firmato dalle due parti il 22 settembre 2018 e in scadenza fra due mesi. In attesa di sapere se l'incontro effettivamente ci sarà, AsiaNews pubblica una testimonianza che va letta con attenzione. Arriva da uno studioso del Nord della Cina che si firma con uno pseudonimo, Li Ruohan, e che mette in rilievo tutta la negatività dell'accordo, da lui definito una vera e propria trappola. E non potrebbe essere diversamente visto che il Partito comunista cinese è espressione di un'ideologia che vuole distruggere la dimensione religiosa dell'uomo.Ma la Chiesa, si chiede lo studioso, conosce davvero il suo interlocutore nel negoziato?LA VISIONE MARX-LENINISTA SULLA RELIGIONEOra, è fuori discussione che secondo Karl Marx, fondatore del Partito comunista, "la religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo".Anche Lenin ricorda ai comunisti che "l'ateismo è una parte naturale e inseparabile del marxismo, della teoria e della pratica del socialismo scientifico".È bene allora aver sempre presente che "il Partito comunista cinese, come fedele successore e discepolo del marxismo-leninismo, accetta in modo totale la visione marx-leninista sulla religione", tanto che "fin dal 1949 la persecuzione non si è mai fermata". E come dimenticare che "il regime comunista ha organizzato e promosso un gran numero di movimenti contro tutte le religioni in Cina, specie contro i cristiani"?Basti ricordare che nel 1958 il cosiddetto "movimento delle offerte di templi e santuari" intimò alle chiese di offrire le loro proprietà per sostenere la costruzione e lo sviluppo del Paese. Centinaia di chiese furono così confiscate o demolite per far posto a industrie e fabbriche. E in seguito, durante la Rivoluzione culturale (1966 -1976) tutte le religioni furono bandite.Anche nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, quella che fu presentata come la "politica dell'apertura" fu utilizzata in realtà dal governo cinese per ingannare gli stranieri. La libertà religiosa, infatti, sulla carta è garantita dalla Costituzione, ma tutto ciò fa parte della trappola.LA STRATEGIA DEL FRONTE UNITO È LA DISTRUZIONE DI TUTTE LE RELIGIONI"Nella storia della Chiesa cinese - ricorda lo studioso - migliaia di missionari stranieri, di differenti congregazioni, hanno lavorato in Cina e hanno offerto il loro amore appassionato e i loro sacrifici per il popolo cinese e per la Chiesa. I loro contributi rimarranno sempre presenti nella memoria dei cristiani cinesi. Purtroppo, però, al presente alcuni missionari stranieri sono stati presi all'amo della propaganda politica" e in questo modo offrono "una base a coloro che desiderano approntare una Chiesa cinese indipendente". In una parola, "questi missionari sono divenuti uno strumento della strategia del Fronte Unito"."Il Fronte Unito opera per unire e per dividere. Dividere i nemici significa indebolirli e distruggerli, e allo stesso tempo guadagnare alleati. La strategia del Fronte Unito per la libertà religiosa è diversa dal concetto che si ha di essa nelle altre nazioni. Lo scopo finale del Fronte Unito non è il rispetto e la protezione della libertà di religione, ma la distruzione di tutte le religioni. Proprio come Mao Zedong disse una volta al Dalai Lama: 'La religione è veleno'."Il dialogo resta uno strumento di confronto e conoscenza, ma a patto che dall'altra parte ci sia sincerità e trasparenza. Non va dimenticato l'insegnamento della Chiesa. Pio XI disse: "Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come l'oppio del popolo perché i princìpi religiosi, che parlano della vita d'oltre tomba, distolgono il proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è di questa terra" (Divini Redemptoris, n. 22).Anche san Giovanni Paolo II ammonì i cristiani, quando raccomandò: "Non abbiate alcuna illusione sul comunismo".Commenta Li Ruohan: "Se vogliamo rimanere ancora eccitati sui cosiddetti risultati del dialogo, per favore, stiamo almeno attenti! Ci è posta davanti una trappola e, se vi cadiamo, il disastro è vicino!".Parole quanto mai chiare e sensate.Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "Lo schiavismo oggi è targato Cina comunista, ma fa paura dirlo" racconta lo scandalo dei capelli umani prelevati da internati in uno dei campi di concentramento cinesi.Ecco l'articolo completo pubblicato su Radio Roma Libera il 7 luglio 2020:Pochi giorni fa le autorità federali di New York hanno sequestrato un'importante spedizione di prodotti di bellezza. L'Associated Press ha svelato il contenuto della portata di 13 tonnellate: capelli umani prelevati da internati in uno dei campi di concentramento cinesi. Un carico illegale del valore stimato di 800.000 dollari. Le donne che amano le extension ai capelli dovrebbero iniziare a chiedersi da dove provengono. Oggi, le ciocche più costose, arrivano sicuramente dalla moderna schiavitù che il regime comunista impone alle minoranze religiose nei confini nazionali. Cristiani e musulmani in testa.Siamo nella regione autonoma che oggi i cinesi chiamano Xinjiang - "nuovo possedimento" - dove giocano esattamente il ruolo della potenza coloniale. Una regione che conta più di venti milioni di abitanti e conquistata, con una guerra che ha provocato un milione di morti, dalla dinastia cinese Qing nel 1757. Là giù non ci sono cinesi, la maggioranza è di turco-mongoli, ma anche tibetani e russi, e non amano parlare di Xinjiang, ma di Turkestan Orientale.La politica di repressione non contempla solo i campi di concentramento, ma anche il controllo demografico con la sterilizzazione, i lavori forzati per le donne per impedire le gravidanze, farmaci anticoncezionali imposti e aborti coatti fino al nono mese. Benché non manchi tra gli indipendentisti qualche infiltrato nel terrorismo islamico. E benché il Movimento Islamico del Turkestan Orientale sia considerato un gruppo terroristico legato ad al-Qa'ida dagli stessi Stati Uniti, ci si domanda come mai per lo schiavismo e il colonialismo del regime comunista nessuno si metta mai in ginocchio.Il rispetto dei diritti umani degli uiguri e della loro identità culturale e politica non viene rivendicato da nessuno. Ma soprattutto ci si domanda dove siano i paladini della lotta all'islamofobia e le femministe a tutela delle giovani donne che in Cina vengono rasate a zero - chissà se solo questo per davvero! - per compiacere le velleità dei ricchi occidentali.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6070LA CINA SCARICA SULL'ITALIA LE COLPE DEL DISASTRO CORONAVIRUS di LEONE GROTTIOra che il governo italiano, fustigato anche dal New York Times, ha mostrato non poche falle nella gestione dell'epidemia di coronavirus, si rinnovano gli appelli al modello cinese e gli elogi per l'efficienza del governo comunista. Ma come spesso accade, e come già spiegato, Pechino mostra al mondo solo una parte della verità.QUELLO CHE PECHINO NON DICEDopo una settimana in cui si è registrato appena un contagio a Wuhan, epicentro mondiale dell'epidemia, le autorità hanno dichiarato che a partire da oggi saranno tolte alcune restrizioni ai viaggi nella provincia dell'Hubei. Allo stesso modo Wuhan, la capitale provinciale, comincerà a uscire dalla quarantena l'8 aprile dopo oltre due mesi.I numeri ufficiali, però, non raccontano tutta la verità. A partire da febbraio, infatti, la Commissione nazionale della sanità cinese ha dichiarato che i casi di individui contagiati, ma asintomatici, non sarebbero stati inclusi nelle statistiche ufficiali. Secondo un documento governativo interno consultato dal South China Morning Post, gli asintomatici accertati a fine febbraio erano 43 mila, mentre quelli comunicati ufficialmente al mondo in uno studio pubblicato su Jama il 24 febbraio dal Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie erano appena 889.OGNI GIORNO REGISTRIAMO DECINE DI CASIPoiché gli asintomatici - secondo uno studio cinese, americano e inglese - potrebbero avere infettato oltre il 70 per cento dei contagiati a Wuhan, la loro presenza non è certo trascurabile. Mentre però il governo cinese continua a sostenere che l'infezione a Wuhan è stata bloccata e che ora la Cina soffre per i contagi di importazione da parte di stranieri arrivati nel Dragone dall'estero, un membro del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie di Wuhan ha dichiarato a Caixin che «ogni giorno la città continua a registrare decine di casi, anche se si tratta di persone asintomatiche». Ecco perché «non è possibile affermare al momento che la trasmissione del contagio si è fermata».La presenza accertata di centinaia di asintomatici è anche il motivo per cui la task force provinciale contro il Covid-19 ha chiesto alla squadra di medici incaricata di monitorare il contagio di restare a Wuhan. Eppure questo non è quello che che il governo cinese comunica al mondo, impegnato com'è a diffondere attraverso la propaganda una nuova immagine della Cina.IL VIRUS È ITALIANO, NON CINESEParte di questa propaganda, e gli italiani che inneggiano alla Cina dovrebbero segnarselo, consiste nel far credere a tutto il mondo che il nuovo coronavirus non sia in realtà cinese, bensì italiano. Cornuti e mazziati dal governo cinese nostro "amico", dunque. Attraverso i suoi giornali e i suoi ambasciatori, Pechino ha infatti trasformato una dichiarazione ai media americani del direttore dell'Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, in una ammissione di colpevolezza.Remuzzi ha dichiarato alla National Public Radio americana che alcuni medici di Bergamo notarono «strane polmoniti, molto gravi, a dicembre e persino a novembre. Significa che il virus circolava almeno in Lombardia prima che venissimo a conoscenza» del focolaio di Wuhan, reso noto a gennaio, nonostante le autorità cinesi sapessero del virus già a dicembre.I media di regime in Cina hanno avuto buon gioco a stravolgere queste parole, tanto che al Foglio Remuzzi ha dovuto rettificare: «Non c'è alcun dubbio che il virus sia cinese in base alla genetica. Le prime infezioni sono avvenute in Cina a novembre, forse anche prima, e se la Cina l'avesse detto prima... Questo è un esempio da manuale, da insegnare nelle Università, su come si possa manipolare l'informazione scientifica per ragioni di propaganda».REPRESSIONE TRAMITE APPIl Partito comunista purtroppo non è cambiato e non ha imparato niente dalle vicende di Li Wenliang e Ai Fen, i medici che per primi hanno avvisato la comunità del virus e che per questo sono stati redarguiti e minacciati dal regime. Se li avessero ascoltati, avrebbero forse potuto evitare la pandemia. Invece li hanno messi a tacere, così come oggi nascondono i nuovi contagi, dimostrando efficienza solo nell'applicare la tecnologia alla sorveglianza di massa della popolazione.Se nei prossimi giorni le restrizioni ai viaggi in tutta la provincia dell'Hubei saranno gradualmente tolte, non tutti potranno muoversi liberamente. A ogni cittadino, infatti, attraverso le app di Alibaba e WeChat è stato o verrà assegnato un Qr code che ne certifica la condizione sanitaria, riporta Bloomberg. Solo chi ha il disco verde può entrare in ristoranti, bar, supermercati o comprare biglietti del treno.È L'APP A DECIDERE CHI VA A SCUOLAIl sistema è già in uso in oltre 200 città, spiega Reuters. Nell'app bisogna inserire i propri dati personali, la carta di identità, la propria posizione, i viaggi effettuati negli ultimi mesi, la propria storia clinica e dichiarare se si è stati in contatto con chiunque abbia avuto problemi di Covid-19 negli ultimi 14 giorni. Nessuno sa in base a quali criteri l'app fornisca alla fine un codice verde (libertà di movimento), arancione o rosso (obbligo di quarantena). Diversi utenti hanno lamentato su Weibo errori clamorosi del sistema: ma fino a quando non verranno risolti, non potranno uscire di casa.Allo stesso modo, potranno rientrare a scuola e avranno accesso all'educazione in ben 300 città solo quegli studenti che l'app di Tencent giudicherà come «sani» e liberi dal rischio di contagio, informa Caixin. Dei lettori di codici a barre saranno posti all'ingresso degli istituti, anche delle scuole elementari: chi avrà luce verde potrà studiare, gli altri no. È il modello cinese.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6040L'IDEOLOGIA COMUNISTA AVANZA IN SPAGNA E IN IRLANDA di Mauro FaverzaniL'ideologia comunista avanza in Europa. L'allarme è partito dalla Spagna con la svolta autoritaria assunta dalla Sinistra al potere: il patto di governo Psoe-Podemos ha subito attaccato la Chiesa; fatto "saltare" gli accordi vigenti con la Santa Sede; declassato l'ora di religione nelle scuole, privandola della possibilità di fare media; imposto agli alunni l'educazione «affettivo-sessuale», cavallo di Troia di una mentalità contraccettiva, abortista e Lgbt-friendly; negato ai genitori il diritto di scegliere la scuola per i figli e di indirizzare la loro educazione religiosa.Una nuova bandierina "rossa" è stata ora conficcata in un altro Stato a forte tradizione cattolica, l'Irlanda. Qui i risultati delle elezioni parlamentari, svoltesi lo scorso 8 febbraio, hanno purtroppo registrato un significativo rafforzamento dell'estrema sinistra, rappresentata da ben cinque liste (Sinn Fein, Verdi, Solidarietà-Popolo prima del profitto, Indipendente per il cambiamento, Partito dei lavoratori). Insieme hanno totalizzato il 34,7% dei voti e rappresentano in questo momento la forza progressista più solida d'Europa (in Grecia Syrisa ha ottenuto "solo" il 31,5% dei consensi alle elezioni parlamentari dello scorso luglio), una presenza rafforzatasi peraltro proporzionalmente alla scristianizzazione del Paese.GOVERNO PROGRESSISTAI loro programmi non promettono alcunché di buono. Il Sinn Fein, che nel Parlamento europeo fa parte del Gue-Gruppo delle Sinistre Unite, ad esempio, è un partito fortemente filo-abortista e filo-Lgbt: si è distinto per la foga con cui, in occasione del referendum del 2018, si è battuto per l'abrogazione dell'ottavo emendamento costituzionale, quello che garantiva all'embrione la medesima tutela della madre. E non ha esitato, per lo stesso motivo, ad espellere l'unica voce contraria, quella di Peadar Toibin, che, una volta fuoriuscito, ha fondato una nuova lista totalmente pro-life, denominata Aontu: chiede che venga negata la possibilità di abortire a motivo della disabilità dell'embrione, invoca l'obiezione di coscienza per il personale medico, cure d'urgenza per i bimbi sopravvissuti all'aborto e l'ecografia del bambino, che portano in grembo, per le donne che abbiano deciso di abortire. Ma non è la sola formazione pro-life, questa, del panorama politico irlandese: anche un'altra lista, Renua Ireland, chiede, tra l'altro, una riduzione delle tasse per le famiglie, di fermare la propaganda abortista e filo-Lgbt nelle scuole, nonché di bloccare la pornografia su Internet, considerata qual è ovvero un abuso su minori.Di contro, il governo progressista guidato in Irlanda da Leo Varadkar, primo premier dichiaratamente omosessuale ed anti-cattolico, si è distinto per aver introdotto le "nozze" gay, facilitato il divorzio e cancellato il reato di blasfemia, tutti provvedimenti approvati a colpi di referendum.LA VIA ELETTORALE OPPURE I TUMULTI DI PIAZZACome in America Latina, anche in Europa, laddove le forze di Sinistra non riescano a strappare il potere per via elettorale, ci provano con i tumulti di piazza. Così accade in Francia, ad esempio, dove anche quest'anno sono attese centinaia di anarchici a sfilare per le strade di Montpellier in occasione del Martedì Grasso per il cosiddetto «Karnaval dei Mendicanti», nonostante la manifestazione sia stata vietata da diversi anni per i danni e per il degrado provocati ogni volta: bidoni della spazzatura dati alle fiamme, vetrine in frantumi, negozi saccheggiati, scontri con la Polizia, il solito festival dell'eversione messo in scena ogniqualvolta vengano organizzate manifestazioni di questo tipo, insomma. Che vengano emanate disposizioni senza poi essere in grado di farle rispettare ricorda tristemente le «grida» manzoniane e denuncia tutta l'impotenza di un sistema politico privo di credito, di autorevolezza e disarmato di fronte alla violenza cieca ed all'arroganza delinquenziale dalla chiara matrice politica, quella di estrema Sinistra. L'anno scorso, ad esempio, tutto si risolse con soli 6 arresti a fronte del centinaio di criminali assiepati nel Boulevard de Strasbourg.Questa recrudescenza comunista in Paesi-simbolo del Cattolicesimo europeo rappresenta un segnale da non sottovalutare, soprattutto perché frutto, in Spagna ed in Irlanda, di un consenso popolare espresso per via elettorale o referendaria, dunque sintomo di un mutato clima civile, politico e culturale, quanto mai pericoloso, specie in prospettiva...Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Le tre mosse (anticristiane) del governo Sanchez" racconta come dal 13 gennaio 2020 si sia insediato il nuovo esecutivo di sinistra guidato da Pedro Sanchez e in pochi giorni ecco tre atti contro la libertà. Primo, la lotta contro il pin parental, perché secondo l'esecutivo "i figli non appartengono ai genitori". Secondo, l'accelerazione sull'eutanasia. Terzo, il tentativo di mettere le mani sui beni della Chiesa.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 1° febbraio 2020:Non sono passate nemmeno tre settimane dalla nascita ufficiale del secondo governo Sanchez, avvenuta lo scorso 13 gennaio. E già il nuovo esecutivo spagnolo - formato da socialisti, comunisti e Podemos - ha fatto tre mosse per imbavagliare genitori, persone sofferenti e Chiesa. Non c'era da aspettarsi altro, e tuttavia colpisce il dinamismo sinistro con cui il nuovo governo si è messo all'opera.Il primo "casus belli" è nato a seguito della proposta di prevedere nel sistema educativo della regione della Murcia, governata da una coalizione di centrodestra (Popolari, Ciudadanos e appoggio di Vox), che i genitori siano informati dei programmi scolastici extracurriculari delle scuole ed eventualmente possano far valere il diritto umano di rifiutare tali programmi per i propri figli (il cosiddetto pin parental, "controllo genitori"). La possibilità di scelta, ovvero il riconoscimento del diritto dei genitori, è stata invocata dopo i pericoli di indottrinamento in alcune scuole riguardo all'educazione sessuale e ideologia di 'genere'. L'accettazione della proposta da parte del governo della Murcia, il 17 gennaio, ha spinto il ministro per l'Educazione, Isabel Celáa, a impugnare la decisione per via giudiziale: da qui la polemica feroce che infiamma le radici della convivenza civile spagnola.Lo stesso Sanchez, nella sua prima intervista televisiva alla Tv pubblica, ha rincarato la dose contro la libertà educativa e i diritti dei genitori: "Cose da ultra destra... un modo per evitare i problemi reali, un tentativo di esautorare la comunità educativa spagnola". Ancora più chiara la già citata Celáa: "Non possiamo pensare in nessun modo che i figli appartengano ai genitori, noi difenderemo il diritto dei minori di pensarla in maniera diversa". Sulla stessa linea il ministro dell'Uguaglianza, Irene Montero, che ha definito il pin parental una censura educativa e un frutto del machismo: "Una famiglia omofoba non ha diritto che i figli vengano educati con lo stesso spirito omofobo".Diversamente da ciò che traspare dalle dichiarazioni di Sanchez e dei suoi ministri Celáa e Montero, la Costituzione spagnola non include il proclama sul comunismo di Bucharin del 1919, che al paragrafo 79 diceva che "il bambino appartiene alla società; [...] il diritto dei genitori di educare i propri figli, da un punto di vista socialista, non ha fondamento". Nella Costituzione spagnola si dice invece (art. 27.3) che si riconosce il diritto dei "genitori affinché i loro figli ricevano una formazione religiosa e morale conforme alle proprie convinzioni". Con sentenza del Tribunale Costituzionale del 1981, si limita la libertà del docente che mai può tramutarsi in indottrinamento. La stessa Corte europea dei diritti umani ha più volte, nel 2007 e in seguito, riconosciuto il diritto della libertà di coscienza dei genitori nel campo educativo, anche nei riguardi di materie curriculari. Una serie di dichiarazioni dell'Onu, tra cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, confermano questo diritto inalienabile dei genitori e della libertà educativa.La violenta reazione all'approvazione del pin parental, strumento amministrativo per rendere effettivi i diritti dei genitori, smaschera il vero scopo del governo Sanchez, cioè di impossessarsi dei figli degli spagnoli e indottrinarli.Davanti a questo pericolo, l'Alleanza evangelica spagnola è scesa in campo con un durissimo comunicato di denuncia, in cui si accusa il governo di voler indottrinare i figli a dogmi ideologici presentandoli come nuove verità assolute. Il 25 gennaio, lo stesso cardinale Antonio Cañizares, nella sua lettera settimanale, non ha mancato di stigmatizzare le gravi affermazioni di Sanchez e di altri esponenti dell'esecutivo ("i figli non appartengono ai genitori"), ricordando non solo che il diritto/dovere dei genitori di educare i propri figli è comunemente accettato, ma altresì che è "solo dei sistemi dittatoriali e delle dittature l'affermare che questo diritto/dovere appartiene allo Stato e che i figli appartengono allo Stato", come già visto nell'URSS, a Cuba o in Cina.In questi stessi giorni, il 29 gennaio, il secondo colpo del governo Sanchez, ossia la confermata proposta della coalizione di sinistra ad approvare in tempi rapidi, e prevedendo obblighi per cliniche pubbliche e private, una nuova legge sull'eutanasia. L'eutanasia attiva, oggi delitto punibile per la legislazione spagnola, era stata oggetto di accordo nel governo e ora la maggioranza ha chiesto una rapida approvazione da parte del parlamento. Il ministro della Salute, Salvador Illa, ha incluso la legge sull'eutanasia come una delle quattro priorità assolute del suo impegno.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6016IN CINA LA CHIESA E' CONTROLLATA DAL GOVERNO di Leone GrottiIl 1° febbraio sono entrati in vigore in Cina nuovi regolamenti cui tutte le religioni dovranno attenersi per non diventare fuorilegge. Come già scritto, si tratta di un ulteriore inasprimento del controllo che lo Stato eserciterà su tutte le organizzazioni religiose. Queste non potranno più fare nulla (celebrazioni, raduni, progetti) senza l'esplicita approvazione del dipartimento per gli Affari religiosi del governo e saranno costrette ad «aderire alla leadership del Partito comunista cinese, aderire al principio di indipendenza e di auto-governo», che per la Chiesa cattolica significa obbedire a Pechino invece che al Papa, e «attuare i valori del socialismo».POSSIAMO ANCORA CHIAMARCI CHIESA CATTOLICA?C'è però anche un'altra norma che rischia di minare alla base l'identità della Chiesa cattolica. Ogni religione, infatti, dovrà essere guidata al massimo vertice da un'assemblea nominata dallo Stato. Il principio è chiaramente in contraddizione con la dottrina cattolica, come nota padre Li, sacerdote dell'Hebei intervistato da Ucanews: «Così non si abolisce forse il tradizionale modello della Chiesa guidata dai vescovi? Se la Chiesa non ha una guida cattolica, si può ancora chiamare Chiesa cattolica?».L'obiettivo del Partito comunista è «chiaro», continua il sacerdote: «Trasformare la Chiesa cattolica in un gruppo che appartiene al Partito. Questi nuovi regolamenti mettono in serio pericolo la Chiesa cinese e da quando sono stati introdotti non abbiamo avuto che persecuzione, chiese demolite, il divieto di vendere Bibbie online, oltre all'arresto di centinaia di cristiani per incitamento alla sovversione del potere statale».Hau Baolu, che gestisce una parrocchia nello Shaanxi, reagisce allo stesso modo: «Ora sono gli atei a gestire la Chiesa. Mi chiedo come il governo possa pretendere di essere più importante di Dio e del Vaticano in materia di fede e morale». Secondo Wang Baoen, cristiano dello Shaanxi, «i nuovi regolamenti intendono privare i vescovi e i preti della loro autorità e portare la Chiesa sotto il controllo totale dello Stato, che non esiterà a sopprimerla».NON SEGUIREMO QUESTE REGOLE, NOI SUORE SIAMO PRONTE AL MARTIRIOUna suora cattolica, che guida un convento nell'Hebei, ha dichiarato sempre ad Ucanews che non rispetterà le norme appena entrate in vigore: «Noi abbiamo le nostre regole e la nostra gestione del convento. Se seguissimo quelle del governo, non saremmo più un gruppo di suore cattoliche. Non possiamo cambiare la nostra natura».I nuovi regolamenti sono in netto contrasto anche con l'accordo provvisorio tra Cina e Vaticano firmato nel settembre 2018. Per quanto il testo sia segreto, la Santa Sede ha più volte ribadito che il governo comunista ha riconosciuto il ruolo di papa Francesco come capo della Chiesa cattolica in Cina. Come si concilia questo riconoscimento con la nascita di un'assemblea nominata dallo Stato, e che sicuramente non includerà i vescovi ancora non riconosciuti dal governo, che avrà il compito di decidere tutto riguardo alla vita e agli insegnamenti della Chiesa? Come stanno insieme l'autorità del Papa e il riconoscimento del «principio di indipendenza e di auto-governo» della Chiesa cinese? Queste domande, per ora, rimangono senza risposta.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6007SPAGNA, PUZZA DI REGIME: NON PUOI PENSARE DIVERSAMENTE DAL GOVERNO di Raffaella Frullone«Non possiamo pensare in alcun modo che i figli appartengano ai genitori». Non si può certo dire che non sia stata chiara Isabel Celaá, ministro dell'Istruzione dell'esecutivo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sánchez. La Celaá ha rilasciato questa dichiarazione durante una conferenza stampa in cui criticava l'adozione del cosiddetto «Pin parentale» da parte del governo della regione di Murcia per iniziativa del partito Vox. Si tratta di una sorta di consenso informato che permette alle famiglie di esercitare il primato educativo e dunque fornire o meno l'autorizzazione rispetto alle attività scolastiche complementari.«Il Pin parentale viola il diritto fondamentale e costituzionale dei bambini e dei giovani a essere educati - ha dichiarato il ministro Celaá - e dunque non può essere accettato. Viola inoltre l'autonomia del centro educativo». Nel caso il messaggio non fosse abbastanza chiaro, le ha fatto eco Irene Montero, ministro spagnolo per l'Uguaglianza, che ha ribadito: «I figli di genitori omofobi hanno il diritto di essere educati al rispetto» e sulla «possibilità di "amare chi vogliono"». Secondo la Montero la decisione del governo della Múrcia «comporta la rottura del patto contro la violenza di genere».Ma se i figli non appartengono ai genitori bensì allo Stato, allora ci sono alcune cose che non tornano, come ha scritto in una lettera diventata virale María Teresa Corzo Santamaría, preside della Facoltà di Scienze economiche e commerciali della Pontificia Università di Comillas e madre di cinque figli.LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE«Signora Celaá, sono la madre di cinque figli, lavoro ogni giorno all'università e spendo le mie energie quotidiane tra la cura dei miei figli e il lavoro e il pagamento di tutte le tasse allo Stato. Grazie al fatto che vivo nella Comunità di Madrid, ho qualche aiuto destinato alle famiglie numerose e per la disabilità di due dei miei figli. In altre comunità non va così bene. Ma mai nessuno di qualunque governo mi ha aiutato quando i miei figli si sono alzati di notte o quando sono stati malati, né alcuno mi ha aiutato quando sono stati ricoverati. Nessuno è corso a prendere uno dei nostri bambini a scuola mentre io o mio marito eravamo in ospedale con nostro figlio appena operato al cuore. Nessuno mi ha accompagnato nei controlli medici di mio figlio con la sindrome di Down. Solo le associazioni non governative senza scopo di lucro ci hanno offerto aiuto.Di questo "governo papà", nessun segno. Non vi ho visto signore e signori. Ma ora che il bambino è a scuola, guarda caso, ora volete essere voi "il padre", volete educarlo a modo vostro. E togliere la libertà di educazione ai genitori. Perché attenzione, cosa succede se la madre non pensa come il governo? Allora diciamo che non puoi pensare diversamente e basta. E se la signora Montero pensasse che la madre è pazza? O se la madre dice qualcosa che alle dee dell'Olimpo, custodi del bene, non piace? O peggio ancora, e se lo dicesse il padre? [...]Un'ultima domanda, dato che è filosofa e conosce i sillogismi. Se i bambini ora appartengono allo Stato totalitario del signor Sánchez e del signor Iglesias, allora appartengono anche allo Stato di Franco, quando Franco era al comando, giusto? E se il prossimo presidente del governo sarà il signor Abascal, i bambini di questo Paese apparterranno anche a lui, giusto? Dopo 17 anni dalla nascita di della mia figlia maggiore, molto lavoro, molti dottori, molte notti di sogni infranti e molte occhiaie, avevo solo bisogno di sentire questo insulto alle libertà e all'intelligenza. Ma ora le cose sono cambiate, i genitori non hanno più libertà. No, ora no, perché le dee hanno parlato».Nota di BastaBugie: Mauro Faverzani nell'articolo seguente dal titolo "Spagna verso il regime comunista, SOS della Chiesa" racconta la drammatica situazione spagnola.Ecco l'articolo completo pubblicato su Corrispondenza Romana il 29 gennaio 2020:«Abbiamo visto come il comunismo si è introdotto in Venezuela. Ed è quanto sta avvenendo ora in Spagna»: a lanciare l'allarme, dalle colonne del quotidiano Abc, sono state Eva Buitrago, 65enne di Santa Cruz, e Violeta Perdorno, 59enne di Caracas, entrambe esponenti dell'Associazione Pensionati venezuelana. Scorgono ora nel Paese iberico gli stessi germi, che hanno portato il marxismo al potere in Venezuela, a partire dall'era Maduro.E non sbagliano. A confermarlo autorevolmente in una lettera pastorale, è stato l'arcivescovo metropolita di Mérida-Badajoz, mons. Celso Morga Iruzibieta, che, dopo aver letto il programma del nuovo governo Psoe-Podemos, lo ha accusato senza mezzi termini di laicismo militante, pronto a rendersi «parte attiva nella rimozione totale di Dio dalla vita pubblica» e nell'«imporre l'ateismo pratico». Ciò cui il prelato oppone l'enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate n. 29, laddove si legge in particolare: «Quando lo Stato promuove, insegna o addirittura impone forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale».Non è un caso che il diritto dei genitori ad impartire ai figli un'educazione religiosa conforme alle proprie convinzioni sia stato definito dal neo-ministro per l'Educazione spagnolo, Isabel Celaá, del Partito Socialista Operaio, un «diritto accessorio». Ed, in base a tale assurdo pretesto, è pronta a trascinare la giunta regionale di Murcia in tribunale, accusandola d'aver violato il diritto all'istruzione, per aver dato «priorità ad un diritto accessorio» ovvero cercato di trattare tutte le materie allo stesso modo. È lo stesso ministro, che due mesi fa, dal palco del congresso delle Scuole cattoliche, negò che la Costituzione iberica garantisca ai genitori il diritto di scegliersi la scuola per i propri figli e tanto meno un'educazione religiosa.Il nuovo governo ha già mostrato, poco dopo il suo insediamento, un inquietante volto da regime. Contro cui si è già espresso pubblicamente anche il card. Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo metropolita di Valencia: «Ciò che ha detto il ministro Celaá è una barbarie, è il più grande passo indietro che un governo possa fare - ha commentato -. Questo governo sta violando l'ordinamento giuridico spagnolo. I genitori hanno il dovere e la responsabilità di educare i propri figli e niente e nessuno glielo può togliere, tanto meno lo Stato», che deve rispondere all'esigenza di «garantire a tutti, soprattutto alla famiglia, di poter adempiere al proprio dovere educativo». Sua Eminenza ha bollato espressamente chi la pensi diversamente d'avere ancora la testa ai «gulag sovietici ed alla cultura comunista».Nei giorni scorsi Txomin Gómez, responsabile dell'Educazione nella Diocesi di Vitoria, ha denunciato a chiare lettere, in un'intervista rilasciata all'agenzia InfoCatólica, gli ostacoli amministrativi e le difficoltà opposte dagli istituti scolastici alle famiglie decise ad iscrivere i propri figli all'ora di religione. Non solo: il nuovo governo, spostato decisamente a Sinistra con l'accordo tra Partito Socialista Operaio e Unidas Podemos, già dai primi passi compiuti ha rivelato subito la propria vera natura, quella di lupo travestito da nonna di Cappuccetto Rosso: nella valutazione degli alunni l'ora di religione non farà più media; inoltre, chi non la frequenti, avrà semplicemente una materia in meno, non essendone più previste alternative educative; vietate le scuole che propongano un'istruzione differenziata in base al sesso, maldestramente ed ideologicamente definita una «segregazione educativa» (sic): chi non ha classi miste, può scordarsi di ricevere ancora soldi pubblici; verrà di contro potenziata nelle classi l'educazione «affettivo-sessuale», cavallo di Troia per inculcare una mentalità contraccettiva, abortista ed Lgbt-friendly alle nuove generazioni sin dalla più tenera età. Peggio di così...Sono tutti provvedimenti, che violano palesemente gli accordi vigenti tra Spagna e Santa Sede, accordi che prevedono per l'ora di religione condizioni assolutamente equiparabili a quelle delle altre materie. Invece no, d'ora in poi gli alunni si troveranno di fronte a professori di "serie A" (gli iperlaicisti) e professori di "serie B" o "C" o "D" (gli insegnanti di religione). Insomma, una cosa è certa: in Spagna il nuovo governo è appena nato, eppure già si sente puzza di regime.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5967L'ALLEANZA SEGRETA TRA HITLER E STALIN di Marcello VenezianiIl 23 agosto di ottant'anni fa il mondo stava prendendo un'altra piega che avrebbe cambiato i destini dell'umanità. Stalin e Hitler strinsero un patto che sarebbe diventato un abbraccio fatale per il comunismo, per il nazismo ma anche per il resto del mondo. Era un patto di non-aggressione, firmato al Cremlino dai due ministri degli esteri, Molotov e Ribbentrop, ma era in realtà un patto di aggressione al resto del mondo. Un reciproco via libera all'insegna dell'anticapitalismo, dell'antisemitismo e dell'antioccidentalismo.Stalin brindò col ministro tedesco alla salute del Fuhrer e all'amicizia tra i due regimi. Un mese dopo seguì un ulteriore patto di amicizia. Rimase in piedi per un paio d'anni, quel patto, permise di spartirsi la Polonia, consentì alla Germania di invadere i paesi vicini e dichiarare guerra alle plutocrazie occidentali, ricevendo dall'Urss scorte di petrolio, informazioni segrete e materiali necessari al conflitto. Se il carattere sospettoso e maniacale dei due dittatori non avesse prevalso, oltre le ragioni strategiche, oggi vivremmo in un altro pianeta.Magari a guerra finita ci sarebbe stata una finale resa dei conti tra la Germania indoeuropea e la Russia asiatica; però intanto avrebbero liquidato insieme capitalismo, democrazie liberali, ebrei ed egemonie atlantiche. Fu l'Operazione Barbarossa, due estati dopo, a spezzare l'incantesimo e l'idillio, con l'attacco tedesco all'Urss.L'IMBARAZZANTE GIRAVOLTA DEI COMUNISTI EUROPEI (TOGLIATTI INCLUSO)Di quel patto, la stampa e la cultura occidentale, egemonizzate da una cultura di provenienza marxista e comunista, ha sempre finto di non ricordarsi e continua a dimenticare. Ma quel patto non riguardò solo i due dittatori. Fu un patto che coinvolse i regimi, i partiti, gli apparati, la propaganda. E si estese ben al di là dell'Unione Sovietica a tutta l'Internazionale comunista. Fu imbarazzante, e a tratti ripugnante, la giravolta che i comunisti francesi e italiani, Togliatti incluso, fecero dall'antifascismo militante fino alla guerra di Spagna alle epurazioni dei dissidenti antinazisti, alle circolari che esortavano a chiudere ogni ostilità tra rossi e neri e a guardare con simpatia alla Germania nazista che si apprestava ad aggredire le nazioni capitaliste.Qualcuno, come Angelo Tasca, tra i fondatori del partito comunista d'Italia, prese quel patto assai sul serio, e in Francia dove era esule da comunista dissidente, fu col regime filo-nazista di Vichy, diresse una rivista collaborazionista con la Francia occupata dai nazisti, l'Effort, e fu dipendente del governo di Petain. Altri compagni da noi si barcamenarono, elogiarono il Patto, misero la sordina all'antinazismo. Camilla Ravera e Umberto Terracini osarono criticare il patto con Hitler: furono espulsi dal Pc. Rischiò grosso anche Peppino Di Vittorio; gli altri si allinearono.Al di là dei fatti storici, le giravolte e i retroscena, come giudicare quel patto sul piano delle idee? Ci affidiamo al giudizio di due acute pensatrici ebree, una rivoluzionaria-socialista e l'altra liberal-democratica. Scrivendo Sulla Germania totalitaria, Simone Weil osservava che le parole d'ordine dei nazisti e dei comunisti sono state quasi identiche e notava già prima del patto: "non si può negare l'esistenza tra i comunisti di una certa corrente di simpatia verso gli hitleriani...Si ha spesso l'impressione che operai comunisti e operai nazisti nelle loro discussioni cerchino invano di trovare un punto di disaccordo... In pieno terrore hitleriano si potevano sentire hitleriani e comunisti rimpiangere insieme i momenti in cui lottavano, come dicevano, fianco a fianco, vale a dire il tempo del plebiscito rosso; si poteva sentire un comunista gridare: 'Meglio nazista che socialdemocratico'".LE ORIGINI DEL TOTALITARISMONe Le origini del totalitarismo Hannah Arendt sottolineò le convergenze tra nazismo e comunismo, l'ammirazione di Hitler per "il geniale Stalin" e ricordò che Krusciov aveva rivelato: "Stalin si fidava solo di un uomo, e questo era Hitler". Nazismo e comunismo, notava Pierre Chaunu, sono "gemelli eterozigoti" e Francois Furet sottolineava "la parentela inconfessata" tra i due e la complicità ideologica.Nel Novecento, il Secolo del male, Alain Besancon, nota che Russia comunista e Germania nazista ebbero in comune la parola lager. Quell'uso, come è noto, non fu solo verbale. Comunismo e nazismo condivisero la promessa del bene assoluto in terra. Il nazismo ebbe una passione estetica, magica e naturalistica mentre il comunismo ha una passione etica, storica e materialistica.I nazisti promisero di ridare bellezza al mondo, i comunisti promisero di dare bontà al mondo. Il comunismo uccide a fin di bene, è pedagogico e obbliga le sue vittime a interiorizzare le sue nuove regole morali; per questo, aggiunge Besancon, è più perverso del nazismo. Perverte a tal punto "il principio di realtà e il principio morale da poter sopravvivere a 85 milioni di cadaveri", mentre l'idea nazista soccombe con le sue vittime. Il nazismo, in linea col suo particolarismo, è ferocia circoscritta a un preciso nemico (gli ebrei e altre minoranze mirate); il comunismo, coerente col suo universalismo, è visione punitiva estesa all'umanità.Tutti possono diventare vittime del comunismo, chi difende la famiglia, la patria, la religione o la proprietà o gli stessi comunisti "deviati", anarchici e "socialtraditori". Il nemico del comunismo è generico e indefinito, il nemico del nazismo è specifico e definito. La paura nei regimi comunisti è universale, tutti denunciano tutti.Perciò, nota Besancon, i comunisti "hanno bisogno della chiusura assoluta delle frontiere, per proteggere il segreto delle loro fosse, del loro fallimento". Infatti il comunismo crolla con la globalizzazione. I comunisti controllano l'informazione in modo capillare, fino a "sostituire la realtà con una pseudorealtà". Vi ricorda qualcosa? Viviamo di continui paragoni tra l'oggi e l'avvento del nazismo.Quanti paragoni potremmo fare tra la sinistra d'oggi e la sua matrice comunista?Nota di BastaBugie: l'accordo di Hitler e Stalin permise lo sterminio di 22.000 ufficiali polacchi da parte dei sovietici. Per informazioni e per vedere il trailer del film del 2007 "Katyn" che parla di questa triste vicenda, clicca qui!
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5917IL NEMICO DELLA SINISTRA NON E' SALVINI di Marcello VenezianiMa chi è il nemico principale della sinistra? Voi direte Salvini o il centauro Salvini-Meloni. Ma vi sbagliate. E andando a ritroso avreste risposto Berlusconi, o prima ancora Craxi, Fanfani o Almirante. O al tempo dell'anticapitalismo, i "padroni".Ma anche in quei casi sareste stati approssimativi, avendo ragione sul piano superficiale e contingente. Il vero nemico storico, ontologico, assoluto della sinistra - sia in versione comunista che radicale e progressista - è la realtà.E questo spiega gli appelli infruttuosi che lanciano i suoi leader e i suoi chierici a ritrovare il rapporto con la gente, a rifarsi un'anima, un popolo e una passione sociale, o viceversa a spiegare, senza mai spiegarselo, come mai avviene il travaso di consensi in territori e quartieri proletari, da sinistra ai sovranisti.LA SINISTRA È CONTRO LA REALTÀRifiuta la realtà, la natura, l'esperienza, il senso comune e il sentire popolare. Qualche giorno fa in tv, Corrado Augias ha detto un'apparente sciocchezza. Ha detto che essere di destra è molto più facile che essere di sinistra. Di primo acchito sobbalzerete. [...]Però Augias voleva dire forse qualcos'altro. Essere di sinistra è più difficile perché vai controsenso cioè contro il corso naturale della realtà.In principio fu il comunismo e la sua essenza malefica fu l'abolizione della realtà: "il comunismo abolisce lo stato di cose presenti" proclamano Marx ed Engels. È il sogno di un mondo nuovo, di una società perfetta, contrapposta al mondo reale e alla società imperfetta in cui da sempre viviamo e che dovremmo sacrificare in nome di quella migliore che verrà. Il '68 fu la versione aggiornata dell'irrealismo: il rifiuto della realtà nel nome dell'immaginazione, della natura nel nome del desiderio, della tradizione nel nome dell'emancipazione, dell'autorità nel nome della libertà assoluta, dei meriti nel nome dei diritti.Ma anche oggi la sinistra più sofisticata adotta una visione correttiva della realtà che viene chiamata non a caso politically correct, e che avversa la natura, l'esperienza, la storia, la tradizione, il senso comune, nel nome di un moralismo ideologico e lessicale che produce da un verso ipocrisia e dall'altro intolleranza. Ipocrisia perché non puoi chiamare le cose col loro nome, non puoi indicare la realtà per quello che è e per come l'hai davvero conosciuta nell'esperienza personale e tramandata. Ma se ti ostini a farlo, se non ti adegui e non ti correggi, incorri nelle sanzioni dell'intolleranza.La sinistra non accetta la natura, non accetta i limiti e i confini imposti dalla vita; respinge gli assetti consolidati nel tempo; disconosce o colpevolizza le molle naturali dell'umanità, da quelle economiche a quelle affettive, dalla legittima aspirazione al riconoscimento dei propri meriti e delle proprie capacità, alla motivazione personale del profitto e del miglioramento economico-sociale; dalla preferenza in amore e solidarietà verso i famigliari, gli amici, i connazionali, alla tutela delle proprie identità. Rovescia la realtà, ribalta l'ordine della carità e della vita, spezza il legame tra diritti e doveri, tra azioni e responsabilità, tra libertà e suoi limiti.L'ODIO PER TUTTO CIÒ CHE È NOSTRANOQui si manifesta quell'indole che Roger Scruton definisce oicofobia, l'odio per tutto ciò che è nostrano e la preferenza per tutto ciò che viene da fuori, dall'esterno, da lontano. Si potrebbe anzi compilare un elenco delle fobie serpeggianti oppure ostentate che sono agli antipodi di quelle - come la xenofobia, l'islamofobia, l'omofobia - verso cui viene sancita condanna e riprovazione: l'italofobia, ossia il rigetto del senso di appartenenza e di preferenza nazionale, la cristofobia, ossia la rimozione dei simboli della civiltà e della tradizione religiosa, la familofobia, ovvero il rigetto di tutto quanto riguarda la famiglia naturale, la paternità e la maternità, i legami di sangue, la casa. Prevale il razzismo etico in base al quale tutto ciò che proviene dalla realtà, dalla natura, dalla civiltà e della tradizione deve essere condannato e capovolto. Certo, la natura lasciata a se stessa è solo basic istinct, la realtà allo stato spontaneo è rozzezza, egoismo; l'identità non è inerzia, la tradizione non è ripetizione. Ma un conto è educare, formare secondo il precetto antico "Divieni ciò che sei"; un altro è liberarsi, disfarsi, divenire ciò che non sei, ma ciò che vorresti che fosse. Un conto è il realismo selettivo, un altro è l'utopia contro la realtà.Da questa scelta culturale di fondo discende sul piano pratico e politico quel continuo schierarsi contro il sentire comune, contro il buon senso, gli interessi e le preoccupazioni della gente. Trascurando la richiesta di sicurezza e di identità, la paura dell'ignoto e dell'oscurità, o viceversa lo spaesamento, la perdita dei confini, la piramide capovolta dei rapporti di cittadinanza, la preferenza a tutto ciò che viene da fuori e da lontano.Poi ogni tanto, nella terapia di gruppo si chiedono: ma dove abbiamo sbagliato, perché il popolo ci è contrario? Perché hanno dichiarato guerra alla realtà.Per carità, sempre nel nome della pace...Odiano, ma a fin di bene.Nota di BastaBugie: non ci stancheremo mai di consigliare la visione dello straordinario video "La battaglia contro la realtà" (durata: 2 minuti) tratto da un film discutibile, ma che in questo spezzone raggiunge un vertice di saggezza.Gli adepti del Fronte Popolare di Giudea confabulano azioni terroristiche contro i nemici di sempre: i romani. Un uomo vuole che la battaglia dei gay di avere figli venga condivisa dagli amici di quel fronte. Ecco allora che uno degli esponenti più saggi del gruppo si domanda se quella non sia una sterile "battaglia contro la realtà". Essere "contro la realtà" è infatti la prerogativa di ogni ideologia. Ieri comunismo e nazionalsocialismo, oggi animalismo, ambientalismo, movimento gay...Ecco dunque l'esilarante ma serissimo video, seguito dal nostro commento alle frasi più significative.