BASTA BUGIE - Santi e beati

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Vite straordinarie di persone normali che hanno scelto di vivere la vita di tutti i giorni secondo gli insegnamenti del Vangelo

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    I veri patroni d Europa

    Play Episode Listen Later Apr 22, 2025 13:00


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8144I VERI PATRONI D'EUROPA, ALTRO CHE URSULA VON DER LEYEN di Cristina Siccardi I patroni d'Europa non sono Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, António Costa, Kaja Kallas e neppure Macron e Steinmeier, bensì i santi Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena e Teresa Benedetta della Croce, sui quali il Senato della Repubblica italiana scriveva nel 2017 in una pubblicazione dal titolo Patroni d'Europa. Percorsi di unità, di pace, di cultura: «In modi speciali essi sono stati tutti profondamente europei [...]. Se pace, cultura, dialogo, difesa dei diritti umani sono oggi imperativi morali per tutti i cittadini d'Europa, e non solo per chi si professa credente, dobbiamo riconoscere il merito a straordinari precursori. La loro voce, a distanza di secoli, ancora ha molto da dirci e da insegnarci». Leggendo queste considerazioni, occorre fare alcuni doverosi distinguo. L'allora presidente del Senato, Pietro Grasso, aveva riconosciuto il patronato dell'Europa dei santi menzionati; tuttavia, ha compiuto un'operazione conforme a tutti coloro che da molti anni cercano di assorbire le figure dei santi nell'agone del liberalismo laicista politico e religioso, strumentalizzando i loro insegnamenti.I santi patroni d'Europa hanno operato nella pace di Cristo e non del mondo; hanno tessuto le loro relazioni non in un vacuo dialogo, ma sulle linee costruttive del Vangelo; non hanno pensato e agito in modalità antropocentrica, ma evangelica e con spirito soprannaturale alla luce della Grazia di Dio; hanno dato priorità alla Gloria di Dio e non del mondo, concentrandosi sulla salvezza delle anime, considerando lesive le proposte e tentazioni mondane. Essi non sono stati «straordinari precursori» dell'ideologia europeista anticristiana, bensì Maestri nell'instaurare il Regno di Dio attraverso Cristo Re.San Benedetto da Norcia (480-547) è stato dichiarato «Santo patrono di tutta l'Europa» da papa Paolo VI il 24 ottobre 1964 con la lettera apostolica Pacis Nuntius. Cirillo e Metodio sono stati proclamati compatroni da papa Giovanni Paolo II il 31 dicembre 1980 con la lettera apostolica Egregiae virtutis; lo stesso Papa ha inoltre proclamato compatrone d'Europa santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce il 1º ottobre 1999.SAN BENEDETTO, SANTI CIRILLO E METODIOLa statura umana e cristiana di san Benedetto resta nella Storia un luminoso punto di riferimento in un'epoca di profondi mutamenti (come la nostra), quando l'antico ordinamento romano stava ormai crollando e stava per nascere una nuova era sotto l'impulso di nuovi popoli emergenti all'orizzonte dell'Europa. Attraverso la fondazione delle abbazie e dei monasteri nel continente, san Benedetto risanò le anime, bonificò i villaggi, promuovendo la coltivazione razionale delle terre, offrendo lavoro alle famiglie che vivevano e lavoravano intorno ai centri benedettini; salvò l'antico patrimonio culturale e letterario greco-romano, influì sulla trasformazione dei costumi dei barbari. La Regola benedettina portò ordine e civilizzazione grazie a due parole profondamente applicate «Ora et labora», che instillarono il senso del dovere, stando attenti alla propria coscienza e allo sguardo di Dio (ciò implicava, conseguentemente, il rispetto per i legittimi diritti altrui) e che promossero responsabilizzazione, coraggio, determinazione, tutto ciò, disse Giovanni Paolo II durante la sua visita pastorale a Norcia il 23 marzo 1980, «sulla base e in forza di una vita spirituale di fede e di preghiera assolutamente intensa ed esemplare».La missione dei fratelli Cirillo (826/827-869) e Metodio (815/825-885), evangelizzatori bizantini dei popoli slavi in Moravia e Pannonia (antica regione compresa tra i fiumi Danubio e Sava, che comprendeva la parte occidentale dell'attuale Ungheria, il Burgenland oggi Land austriaco, fino a Vienna, la parte nord della Croazia e parte della Slovenia), produsse nel IX secolo l'invenzione dell'alfabeto glagolitico, noto come «cirillico», dal nome del suo inventore e nato dal geniale sforzo di conciliare le lingue latina, greca e slava. Come san Benedetto aveva posto le basi dell'Europa latina, i due fratelli di Tessalonica innestarono nel continente la tradizione greca e bizantina, come riconobbe papa Pio XI con la Lettera Apostolica Quod Sanctum Cyrillum del 1927, definendoli «figli dell'Oriente, di patria bizantini, d'origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi».Le nazioni europee, con le loro lingue, le loro culture, i loro usi e costumi furono unite sotto il Sacro Romano Impero, che si instaurò sotto l'egida e il faro del Cristianesimo, un credo non rivoluzionario, non distruttivo, ma forte nei suoi principi e nei suoi valori del Dio Uno e Trino, di patria, di famiglia e proprietà privata. È di tutta evidenza che il collante di tante diversità fu la Fede religiosa, che rispettava ogni identità, a differenza della surrettizia Unione Europea che vuole imporre, senza rispetto di quelle identità, il livellante pensiero unico alle genti europee.Aver eliminato il Cristianesimo dalla linfa europea, come ben vediamo, ha trasportato il continente nel baratro del pensiero neonietzschiano, che nega verità oggettive, imponendo una pluralità di prospettive opinabili, in cui le “verità soggettive” e i presunti diritti sono legati all'ideologia schizofrenica di chi domina con politiche sovranazionali, tiranniche e schiavizzanti, che vanno contro le Leggi di Dio, ma anche contronatura, riproponendo in definitiva il «non serviam» di matrice luciferina. Se l'Europa era stata ferita e incrinata dalla rivoluzione protestante, oggi la presunta Unione Europea, claudicante e persa in un labirinto di confusione, è il frutto del suo tradimento a se stessa.SANTA BRIGIDA DI SVEZIA ED EDITH STEINSanta Brigida di Svezia (1303-1373) fu sposa, madre, monaca, mistica, donna di grande carità e coordinatrice di ordine e di pace dentro e fuori la Chiesa. Si recò a Roma per celebrare l'Anno Santo del 1350 e qui trovò una situazione drammatica: il Papa si era trasferito ad Avignone e il popolo romano era come un gregge senza pastore. C'era la peste e in Europa infuriava il conflitto tra Francia e Inghilterra. Nelle stanze di Palazzo Farnese e nelle chiese romane ricevette rivelazioni divine, intanto parlava direttamente al Papa, ai cardinali, ai governanti europei, anche per intercedere per la pace in Europa al fine di porre termine alla guerra dei Cent'anni. Si prodigò per il ritorno del Pontefice a Roma, come fece anche vigorosamente la mistica domenicana e sua contemporanea santa Caterina da Siena (1347-1380), la quale, sopravvivendole, sarà testimone del ritorno definitivo a Roma di Gregorio XI nel 1377. Particolarmente devota della Passione di Cristo, giunse il tempo dei pellegrinaggi brigidini: da Assisi al Gargano, arrivando poi in Terra Santa, quando aveva quasi settant'anni.Cinque santi medioevali come patroni d'Europa ed una dell'età moderna, l'ebrea Edith Stein (1891-1942), atea convertita al Cattolicesimo, che divenne carmelitana scalza. Dalla brillante intelligenza, scelse il ramo universitario della filosofia e dopo essere stata allieva di Edmund Husserl, divenne membro della facoltà di Friburgo. Un giorno rimase folgorata quando vide una donna con i sacchetti della spesa entrare in una chiesa per pregare... un atto semplicissimo, ma che a Edith rivelò che Dio può essere pregato in qualsiasi momento e quindi apprese, grazie a quella donna, che il punto centrale del Credo cristiano è lo stabilire un rapporto personale fra l'anima e il Padre Creatore. Nel 1921, durante una vacanza, lesse l'autobiografia della mistica carmelitana Teresa d'Avila e da allora abbracciò Santa Romana Chiesa, ricevendo il battesimo il 1° gennaio 1922. Dopo un periodo di discernimento spirituale, entrò nel monastero carmelitano di Colonia nel 1934, prendendo il nome di Teresa Benedetta della Croce e qui scrisse il libro metafisico Endliches und ewiges Sein (Essere finito ed Essere eterno) con l'obiettivo di conciliare le filosofie di san Tommaso d'Aquino e di Husserl.Per proteggerla dalle leggi razziali, l'Ordine delle Carmelitane scalze la trasferì nei Paesi Bassi, ma non fu sufficiente: il 26 luglio 1942 entrò in vigore l'ordine di Hitler che anche gli ebrei convertiti dovevano essere catturati e internati. Fu così che Edith e sua sorella Rosa, anche lei divenuta cattolica, furono deportate nel campo di concentramento di Auschwitz, dove vennero uccise nelle camere a gas il 9 agosto 1942 e i loro corpi furono bruciati nei forni crematori.ROBERTO BENIGNI ESALTA IL MANIFESTO DI VENTOTENEAlcuni giorni fa Roberto Benigni ha teatralmente declamato e inneggiato con lo spettacolo intitolato «Il Sogno» il Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita, manifesto che è stato protagonista di una ormai nota manifestazione progressista a Roma, ma anche di molteplici polemiche politiche e mediatiche. Nel decantare l'Europa culturale e l'indiscutibile suo primeggiare nel mondo, Benigni si è però completamente “scordato” di far presente che è stata la religione cristiana ad aver dato vita ad uno straordinario sviluppo dell'arte, della letteratura, della musica nel segno della bellezza; ma ha anche “scordato” di dire che è stato il Cristianesimo ad avviare lo studio scientifico degli esseri animati e inanimati, si pensi alle realtà monastiche che si sono occupate della catalogazione del mondo vegetale e animale, nonché dello studio medico delle erbe officinali; ma si pensi anc

    Santa Maria Maddalena de' Pazzi: in paradiso non si va in carrozza

    Play Episode Listen Later Apr 15, 2025 11:18


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8122SANTA MARIA MADDALENA DE' PAZZI: IN PARADISO NON SI VA IN CARROZZA di Don Stefano Bimbi Come mai facciamo tanta fatica ad accettare la vita cristiana per quello che è: una via crucis che ha come obiettivo la risurrezione?Santa Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607), al secolo Caterina, nacque a Firenze in una nobile famiglia. Fin dall'infanzia, Caterina dimostrò una profonda inclinazione spirituale e una sensibilità straordinaria verso la preghiera e la contemplazione. All'età di nove anni faceva veglie e digiuni impensabili per una bambina. Trascorreva ore in adorazione del Santissimo Sacramento ed aveva visioni celesti. Subito dopo la prima comunione fece voto di verginità.A 16 anni entrò nel monastero delle Carmelitane Scalze di Santa Maria degli Angeli a Firenze, assumendo il nome di Maria Maddalena. Qui si dedicò a un'esistenza di preghiera, penitenza e servizio. La sua vita fu caratterizzata da intensi fenomeni mistici con cui Dio la preparava a soffrire per riparare l'ingratitudine degli uomini verso Gesù.A diciannove anni, iniziò il suo Calvario. Il Signore le chiese di cibarsi di solo pane, di dormire solo cinque ore, di indossare la veste più povera possibile e fare a meno di scarpe e calze. In una apparizione Gesù le mise sulla testa una corona di spine che le provocò un continuo mal di testa che aumentava ogni venerdì, giorno in cui si ricorda la passione e morte di nostro Signore. Una volta rimase quaranta ore in estasi e sperimentò la presenza di Maria al sepolcro potendo tenere tra le braccia il corpo esanime di Gesù.L'INFERNODal 1585 visse l'esperienza dell'inferno per cinque anni: udiva risate sguaiate, grida e bestemmie. Aveva visioni di diavoli che le causavano una grande tristezza. Un demonio la picchiava per diverse notti e la faceva cadere spesso dalle scale. Cercava la protezione di Dio, ma ne era allontanata da una forza sovrumana. Anche la vita religiosa le era diventata noiosa e per questo sentiva la spinta ad uscire dal monastero. Tutto sembrava inutile ed ebbe la tentazione di uccidersi con un coltello. La salvò all'ultimo momento il pensiero della Madonna che veniva spesso a trovarla per darle il coraggio di affrontare queste tremende prove. Per questo Maria Maddalena riusciva con pazienza a sopportare tutto. Nel 1590 fu finalmente liberata dalle persecuzioni diaboliche. Come premio Dio le dette la speciale grazia di vedere sempre Gesù al suo fianco.Grazie al suo esempio di vita riuscì a convincere tutte le consorelle del monastero a riformarlo per mirare solo alla gloria di Dio e a offrirsi eroicamente a Lui e ad amarsi le une le altre accettando qualunque sofferenza e umiliazione. La vita del monastero tornò ad essere austera come aveva insegnato santa Teresa d'Avila per la riforma dell'Ordine carmelitano.Un giorno una voce le disse che le restavano pochi anni da vivere. Sapendo che in Paradiso non si soffre più, con il permesso della superiora, chiese ancora sofferenza a Gesù, come se fosse poco quello che aveva vissuto. Gesù accettò la sua richiesta. Da allora la sua anima sperimentò l'aridità e fino alla morte fu bloccata a letto provando enormi dolori fisici. Diceva spesso: "La mia anima non è capace che della sofferenza".Morì il 25 maggio 1607, a soli 41 anni, lasciando un'eredità spirituale di rara profondità. Fu canonizzata nel 1669 da Papa Clemente IX, diventando testimone della spiritualità carmelitana e della devozione mistica. Le sue lettere e scritti riflettono un'intensa intimità con Dio e un amore ardente per l'umanità. È venerata come patrona delle malattie mentali e invocata per la guarigione spirituale.IN PARADISO NON SI VA IN CARROZZALa vita di Santa Maria Maddalena de' Pazzi non può lasciarci indifferenti e suscita delle domande importanti riguardanti la nostra fede. Per noi con il telefonino in mano è difficile accettare così tanto dolore. Ci sembra una prova tanto grande e può sembrare strano che Dio la permetta in una creatura che Egli ama. Però, a pensarci bene, lei è una santa e quindi se le nostre idee sul dolore e su Dio contrastano con la sua vita, forse dobbiamo cambiare noi le nostre idee. Non si può cambiare il fatto che la sua vita è questa e che è stata proclamata santa dalla Chiesa.Con un po' di sforzo, dobbiamo abbandonare l'idea che in paradiso ci si vada in carrozza, che Dio perdoni sempre e che ci chieda soltanto di andare alla Messa, di dire qualche preghiera e di mandare i figli a catechismo. Certo sono cose buone, ma non bastano per essere cristiani. Gesù dice chiaramente nel vangelo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Evidentemente per seguire Gesù dobbiamo rinnegare noi stessi e quindi non puntare a "realizzare noi stessi", ma abbandonare la nostra realizzazione come scopo di vita e rinunciare alle comodità, alla vita agiata, a soddisfare ogni nostro desiderio. Del resto tutti i santi ci insegnano che sono diventati tali con forti privazioni e scelte radicali.Ma anche rinunciare a noi stessi non è sufficiente. Prendere la croce ogni giorno è necessario e comporta grandi sacrifici. Del resto se vogliamo seguire Gesù non possiamo non seguirlo nella via della croce. Se poi ci chiediamo come Dio padre possa aver permesso le grandi sofferenze di Maria Maddalena de' Pazzi, beh allora dobbiamo prima chiederci come ha potuto permettere che suo figlio morisse in croce tra atroci sofferenze come sono state ben rappresentate nel film della Passione di Mel Gibson. E poi la sofferenza di Maria in vedere così straziato il figlio? Flagellato, crocifisso e morto. Beh anche la Madonna ha sofferto tantissimo.ACCETTAZIONE DELLA SOFFERENZAInsomma la vita cristiana è tutto questo. E se uno dicesse «se è così, non voglio essere cristiano perché non voglio soffrire tanto», la cosa sarebbe curiosa in quanto anche i non cristiani soffrono. La differenza è che il cristiano sa perché soffre - per avere il paradiso - ed ha accanto a sé Gesù e la Madonna che lo confortano. Invece il non cristiano soffre, ma non sa il perché e non ha a chi rivolgersi... se non allo Stato per chiedere l'eutanasia.Insomma la vita cristiana non è una roba per stomaci delicati, una minestrina riscaldata che non sa di nulla. Il cristianesimo è fatto per uomini (e donne, ovviamente) veri e forti. E la forza non ci viene dalla nostra buona volontà, ma dall'aiuto che Gesù ci da facendoci partecipare al suo sacrificio. In fondo la Santa Messa è proprio questo: partecipare al sacrificio di Cristo che viene attualizzato nella consacrazione del pane e del vino. Lo dice anche il sacerdote prima della consacrazione: «il mio e il vostro sacrificio sia gradito a Dio padre onnipotente». Non è riferito al sacrificio di andare alla Messa, ma il sacrificio della nostra vita unito al sacrificio di Cristo sulla croce.Questo è il cristianesimo di cui ci parlano i santi. Santa Maria Maddalena è un fulgido esempio di accettazione della sofferenza per amore di Cristo. Del resto l'amore può esprimersi solo con la sofferenza per l'amato. Santa Gianna Beretta Molla che ha sacrificato la sua vita per partorire la quarta figlia (rimandando le cure per non far morire la figlia nel suo grembo) diceva: «Se amare non ci costa nulla, significa che non si ama veramente». Del resto ogni mamma che partorisce il figlio soffre per il parto, ma siccome sa perché soffre, accetta la sofferenza per amore del figlio. Insomma non c'è amore se non c'è sofferenza. Santa Maria Maddalena è un fulgido esempio di accettazione della sofferenza per amore di Cristo. Se è difficile per noi accettarlo, chiediamo a Dio la forza. Il Signore vincerà la resistenza che facciamo ad accettare l'amore come legge suprema della nostra vita.

    Un bambino miracolato potrebbe portare il card. Pell verso gli altari

    Play Episode Listen Later Apr 8, 2025 14:13


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8127UN BAMBINO MIRACOLATO POTREBBE PORTARE IL CARD. PELL VERSO GLI ALTARI di Nico Spuntoni Un miracolo di Pell? Poco più di due anni dopo l'improvvisa morte del cardinale australiano, una straordinaria notizia arriva dall'altra parte dell'oceano. Protagonista è un bambino di un anno e sei mesi dell'Arizona che, dopo essere caduto in una piscina ed aver smesso di respirare per 52 minuti, si è improvvisamente ripreso senza alcun danno. I genitori del bambino di nome Vincent hanno confessato di aver invocato in quei drammatici momenti l'intercessione di Pell.La storia è stata rivelata qualche giorno fa a Sydney dall'arcivescovo locale Anthony Colin Fisher, già ausiliare e amico del primo prefetto della Segreteria per l'economia. L'intervento del presule domenicano è avvenuto nel corso dell'evento organizzato mercoledì al Campion College Australia per presentare la biografia George Cardinal Pell Pax Invictis. A Biography scritta dalla giornalista di The Australian Tess Livingstone che conobbe molto bene il cardinale. La serata ha registrato il tutto esaurito, a dimostrazione del grande affetto che la sua arcidiocesi continua a riservare al principe della Chiesa mandato in prigione ingiustamente per 404 giorni. Alla presentazione, oltre a monsignor Fisher, hanno partecipato e parlato ben due ex primi ministri d'Australia: John Howard e Tony Abbott. I due politici avevano continuato a supportare Pell anche nei giorni più difficili e si erano pubblicamente definiti suoi amici nonostante l'iniziale verdetto di condanna per abusi. Durante la serata è stata anche svelata la targa che intitola alla memoria del cardinale la grande hall del college. A prendere la scena, in ogni caso, è stato il racconto di Fisher sul bimbo americano in pericolo di morte.Nei 52 minuti di terrore i genitori hanno invocato l'intercessione di Pell che avevano conosciuto nel 2021 a Phoenix durante una presentazione del suo libro Diario di prigionia (in Italia edito da Cantagalli). Fisher ha spiegato che Vincent «è sopravvissuto e non ha riportato danni al cervello, ai polmoni o al cuore. Ora sta bene e i medici lo definiscono un miracolo». È stato dimesso dopo 10 giorni dall'ospedale e suo zio, un sacerdote cattolico, ha segnalato l'accaduto all'ex segretario particolare di Pell, padre Joseph Hamilton che ora guida la Domus Australia a Roma.Durante la presentazione, Livingstone ha sollevato la possibilità che questa guarigione potrebbe essere citata un domani in una eventuale causa di beatificazione e canonizzazione. Per avviare l'istruttoria serviranno però altri 3 anni perché sono richiesti almeno 5 anni di distanza dalla morte del candidato per garantire una maggiore obiettività di valutazione. Resta il fatto che Pell già in vita veniva considerato un martire, perseguitato in odium fidei. Negli ultimi tempi romani l'anziano cardinale veniva ripetutamente fermato ed omaggiato, spesso in ginocchio, da vescovi, sacerdoti e funzionari laici vaticani che lo incontravano e che si rivolgevano a lui per avere la benedizione speciale di un martire. Persino un altissimo dignitario della Curia, accogliendolo nell'anticamera del Palazzo Apostolico per l'udienza concessagli il 12 ottobre 2020 da Francesco, si inginocchiò al suo cospetto commosso e ammirato per l'esempio offerto nel calvario giudiziario e mediatico.Una riabilitazione arrivata dopo anni di maldicenze e di freddezza in Curia, con presunti retroscena che gli scaricavano addosso accuse di «spese pazze» e fatti uscire proprio nel momento in cui Pell, ingiustamente accusato, tornava in Australia ad affrontare un processo già indirizzato. Mentre dal basso mai è venuta meno la fiducia e l'affetto per quel gigante un po' burbero e ancora oggi il suo santino funebre è uno dei pochi in evidenza nei gabbiotti dei portieri dei palazzi in cui ha vissuto e lavorato.Nota di BastaBugie: Nico Spuntoni nell'articolo seguente dal titolo "Morto Pell: subì la persecuzione, difese la verità" racconta la storia dell'arcivescovo di Sidney e prefetto della Segreteria per l'Economia. Subì un caso di persecuzione giudiziaria, conobbe il carcere e venne privato della possibilità di dire Messa per 400 giorni. Poi fu assolto e riabilitato.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 gennaio 2023, il giorno dopo della sua morte:Dieci giorni dopo Benedetto XVI, la Chiesa perde un altro leone della fede del nostro tempo. È morto improvvisamente ieri a Roma a 81 anni il cardinale George Pell, già arcivescovo di Sidney e in seguito prefetto della Segreteria per l'Economia della Santa Sede. Sembra che il decesso sia dovuto alle complicazioni relative ad un intervento chirurgico all'anca. Nel momento in cui scriviamo, l'entourage del porporato non ha ancora notizie sul funerale e si limita a confermare la triste e inaspettata notizia. Pell, però, aveva confessato tempo fa ad alcuni amici in contatto con La Nuova Bussola Quotidiana la sua preferenza per una sepoltura all'interno della cripta della cattedrale di Santa Maria a Sidney, lì dove era stato arcivescovo per tredici anni. Il suo nome rimarrà inevitabilmente legato ad una delle pagine più nere della storia mediatico-giudiziaria del XXI secolo.Di recente, nel discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco aveva ricordato che la libertà religiosa e le discriminazioni contro i cristiani sono in aumento anche in quei Paesi dove, almeno sulla carta, questi sono la maggioranza. Ebbene, il quasi ottuagenario Pell dovette sopportare più di quattrocento giorni senza la possibilità di celebrare Messa nelle celle in cui era stato rinchiuso per una condanna che venne annullata dall'Alta Corte nell'aprile 2020. Non accadde in Corea del Nord, ma nell'Australia in cui il cristianesimo continua ad essere la religione più diffusa. E della cui vita pubblica George Pell fu un protagonista assoluto, non solo perché primate d'Australia in quanto arcivescovo di Sidney dal 2001 al 2014, ma perché non ebbe paura di prendere posizioni coerenti con gli insegnamenti della Chiesa e dunque scomode nelle società sempre più scristianizzate dell'età contemporanea. Schietto com'era, il porporato di Ballarat non fece mistero della convinzione maturata che a mandarlo alla sbarra fu proprio la sua difesa della visione giudaico-cristiana su famiglia, vita, sessualità.Nel 2017 accettò di lasciare Roma, farsi congedare da prefetto della Segreteria per l'Economia, e tornare in Australia per affrontare un processo da cui l'opinione pubblica non si aspettava nient'altro che una sua condanna. Lui avrebbe potuto trincerarsi dietro allo status diplomatico, ma non lo fece. Finì con una condanna a sei anni e tredici mesi in carceri di massima sicurezza, senza alcun occhio di riguardo.Pell venne prosciolto nell'aprile del 2020 dall'Alta Corte e rilasciato poco dopo dalla prigione in un'Australia alle prese con la pandemia. Un finale non scontato di una brutta storia mediatica e giudiziaria nella quale, però, spiccarono dimostrazioni di coraggio ed amore della verità come quella data dal giudice Mark Weinberg che pur messo in minoranza nella sentenza della Corte d'Appello produsse un corposo parere dissenziente mettendo in evidenza la debolezza dell'impianto accusatorio su cui poi la difesa riuscì ad ottenere il proscioglimento davanti all'Alta Corte.Allo stesso modo, fecero un grande lavoro quegli organi di stampa di Oceania, America ed Europa che non si accodarono alla linea forcaiola della maggioranza dei media ed analizzarono i documenti del processo con obiettività in un momento in cui a difendere Pell era rimasta soltanto la sua piccola ma agguerrita cerchia di amici e collaboratori.La Nuova Bussola Quotidiana fece la sua parte ed il cardinale non lo dimenticò, esprimendo la sua gratitudine personale non solo per gli articoli ma anche per le intenzioni di preghiera dei lettori. Il processo a Georg Pell resterà per sempre una macchia non nella vita di questo carismatico uomo di fede, ma del sistema giudiziario di uno dei Paesi occidentali più evoluti. Sul caso che lo aveva riguardato, diceva: «La mia opinione è che più verosimilmente la giuria mi avesse ritenuto riprovevole, meritevole di essere punito per questioni estranee al processo, e che (...) sono stato vittima della politica dell'identità: bianco, maschio, in una posizione di potere, appartenente a una Chiesa i cui membri avevano commesso atti vili e i cui leader, fino a poco tempo fa, avevano messo in atto un vero e proprio insabbiamento».La sua esperienza è stata raccontata in un Diario di prigionia (edito da Cantagalli in Italia) che - ora sappiamo grazie al libro di monsignor Georg Gänswein - venne apprezzato molto da Benedetto XVI a cui venne letto nel Monastero Mater Ecclesiae. Il Papa emerito non abbandonò Pell nel momento più difficile e gli inviò una lettera in prigione rivelandogli che aveva pregato per lui e scrivendogli significativamente: «temo che adesso dovrà pagare anche per la sua incrollabile cattolicità, ma in questo modo sarà molto vicino al Signore». Nonostante ciò, il cardinale australiano a cui non faceva difetto un carattere a tratti un po' brusco, non lesinò critiche alla scelta di Ratzinger di rinunciare e poi a quella di scegliere il titolo di Papa emerito.Le spigolosità di Pell lo portarono anche ad attaccare pubblicamente un suo confratello finito in disgrazia, il cardinale Angelo Becciu con il quale c'erano stati screzi ai tempi in cui entrambi lavoravano in Curia. Ma lui stesso, pur continuando a non amare l'ex sostituto, aveva espresso in colloqui privati le sue perplessità per le moda

    La storia dell'uomo risparmiato ad Auschwitz grazie a padre Kolbe

    Play Episode Listen Later Apr 8, 2025 8:41


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8126LA STORIA DELL'UOMO RISPARMIATO AD AUSCHWITZ GRAZIE A PADRE KOLBE di Paola Belletti Franciszek Gajowniczek, prigioniero numero 5659, è morto quasi centenario 30 anni fa. Un nome, il suo, che immediatamente ai più forse non dice nulla, come il numero con il quale i destinati alla soluzione finale venivano umiliati privandoli della loro identità e del loro rango di persone. Non era così agli occhi di un sacerdote - e per molti, moltissimi altri che hanno illuminato come diamanti le tenebre e l'orrore dei campi di concentramento nazisti. Per padre Massimilano Kolbe quell'uomo era tanto prezioso e meritevole di amore anche in quella condizione di sofferenza e crudeltà estreme che per lui offrì in sacrificio la propria vita e, miracolo, la sua offerta fu accolta.Ne ripercorre la storia il National Catholic Register: «Il 29 luglio 1941, nel piazzale dell'appello di Auschwitz, un grido straziante squarciò la gola di Franciszek Gajowniczek: "Ho pietà di mia moglie e dei miei figli!"». L'uomo era stato scelto insieme ad altri nove, senza criterio di giustizia alcuna, per essere lasciato morire di fame: la loro sorte era nella logica del campo di sterminio una perversa riparazione per il tentativo di fuga di un altro prigioniero. «Pochi istanti dopo, accadde un evento straordinario. Dalle fila dei prigionieri uscì il francescano conventuale Padre Massimiliano Kolbe: "Sono un prete; voglio morire per lui!" La sua offerta fu accettata. Gajowniczek sopravvisse alla guerra, ma la sua vita fu segnata dal dolore e dalla sofferenza.»IL GIOVANE FRANCESCANO E IL SOLDATOIl sacerdote, proclamato santo il 10 ottobre del 1982 da Giovanni Paolo II, morì pronunciando come ultime parole le prime della preghiera mariana per eccellenza: "Ave Maria". La sua vita era stata tutta tesa a diffondere il Vangelo e la devozione all'Immacolata, una missione realizzata con ingegno e creatività e in nome della stessa fede che lo ha portato a compiere il sacrificio estremo come naturale compimento del suo cammino. La sua storia ha come svelato l'intreccio invisibile ma reale che lega l'uomo al suo fratello, una trama che l'Incarnazione di Cristo ha riparato ed elevato al Cielo, fino a farsi carico della tutela del bene così prezioso della vita altrui, in vista del bene ultimo della vita eterna.«Gajowniczek proveniva da una povera famiglia polacca. Nacque il 15 novembre 1901 a Strachomin, un villaggio a circa 62 miglia a est di Varsavia. Attratto dall'esercito, prestò servizio nel 36° reggimento di fanteria della Legione accademica a Varsavia e fu persino ferito nel 1926 durante un colpo di stato politico in Polonia. A quel tempo, l'esercito era tutta la sua vita. Padre Maximilian Kolbe, di qualche anno più grande di Gajowniczek, nacque l'8 gennaio 1894 nella città industriale di Zduńska Wola. Iniziò il noviziato nel 1910, prendendo il nome di Maximilian. Quando si presentò l'opportunità per la Polonia di riconquistare l'indipendenza, intendeva lasciare l'ordine per combattere per una patria libera, ma la Provvidenza decise diversamente».DUE STORIE DESTINATE A INTRECCIARSIQuando incontrò e si innamorò di Helena il giovane Franciszek trovò nel matrimonio la forma decisiva della sua vita: ebbero due figli e godettero della dolcezza della vita familiare. Nel frattempo il giovane Kolbe stampava e distribuiva quasi un milione di copie del Cavaliere dell'Immacolata pubblicazione della Milizia Mariana, da lui fondata quando studiava a Roma. Allo scoppio del conflitto mondiale Gajowniczek era sergente e si impegnò nella difesa della prima città polacca attaccata dai tedeschi dimostrando un coraggio eccezionale.«Dopo che la sua unità fu distrutta, cadde prigioniero dei tedeschi ma fuggì per unirsi alla resistenza clandestina. La Gestapo lo catturò mentre tentava di raggiungere l'Ungheria. Prima di arrivare ad Auschwitz, sopportò sette mesi di brutali interrogatori, entrando nel campo nel settembre 1940». La moglie non sapeva nulla di lui se non che era stato deportato in un campo. Sorte che toccò anche il giovane e battagliero sacerdote: la sua opera di soccorso e aiuto ai numerosi ebrei espulsi rifugiatisi nel monastero di Niepokalanów attirò le nefaste attenzioni naziste e venne arrestato. «Nel febbraio 1941, fu mandato nella prigione di Pawiak e in seguito ad Auschwitz».LA PRIGIONIA AD AUSCHWITZ E IL SACRIFICIO DI SAN MASSIMILIANO KOLBEIn quell'inferno che fu il campo di concentramento di Auschwitz i destini dei due uomini si incontrarono. Durante l'appello durato meno di un minuto per destinare 10 prigionieri al bunker della fame san Massimiliano Kolbe levò la voce con quell'insolita offerta che lasciò nello stupore gli altri prigionieri e soprattutto ottenne il consenso dei militari impegnati nell'esecuzione. La salvezza che Kolbe ottenne per Gajowniczek lo preservò in una vita però piena di prove, pericoli mortali dai quali lui e gli altri vollero strapparlo a tutti i costi perché, dirà lo stesso Franciszek non voleva rendere vano il suo sacrificio. «La volontà di vivere di Gajowniczek era straordinaria. Sopravvisse ad Auschwitz e a Sachsenhausen, un altro campo di concentramento nazista. Sopravvisse a una marcia della morte due settimane prima della fine della guerra: 12 giorni senza cibo né acqua, sopravvivendo con erba secca e ortiche. Non sapeva ancora che una tragica notizia lo attendeva a casa».Una volta tornato in Polonia si ricongiunse con la moglie e seppe della morte dei due figli. La moglie si era assentata per spedire un pacco al marito mentre i ragazzi perirono in un bombardamento dell'Armata Rossa, a guerra quasi finita. Una beffa del destino che amareggiò profondamente l'uomo che addirittura rimpianse di essere stato salvato perché se lui fosse morto sua moglie non avrebbe avuto nessuno a cui spedire provviste. Si arrese però alla imperscrutabile volontà di Dio che invece aveva disposto diversamente.LA TESTIMONIANZA DI GAJOWNICZEKFino a che lo stesso Gajowniczek non mandò la sua testimonianza alla rivista della Milizia Mariana del padre di famiglia per cui Padre Kolbe si era sacrificato non si sapeva nulla: «Come il Cavaliere dell'Immacolata sia arrivato nelle mani di Gajowniczek resta un mistero. Ciò che è certo è che, nel maggio del 1946, pubblicò la sua testimonianza, "La voce del sopravvissuto". Il suo passaggio finale spicca: "Sono cresciuto in un clima religioso; ho mantenuto la mia fede nei momenti più difficili; la religione era il mio unico sostentamento e la mia unica speranza in quel momento. Il sacrificio di Padre Massimiliano Kolbe ha ulteriormente intensificato la mia religiosità e devozione alla Chiesa cattolica, che dà vita a tali eroi"». Rimasto vedovo nel 1982, morì il 13 marzo del 1995 all'età di 94 anni con a fianco la seconda moglie Janina. «Al funerale, il vescovo disse: "Era una reliquia vivente rimasta dopo Padre Massimiliano"».

    Giovanni di Dio colui che rivoluziono l assistenza ai malati

    Play Episode Listen Later Apr 1, 2025 14:16


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8120GIOVANNI DI DIO, COLUI CHE RIVOLUZIONO' L'ASSISTENZA AI MALATI di Antonio Tarallo Un folle della carità. Un amore, il suo, riflesso del grande Amore di Dio per l'umanità. Una mano aiuta un'altra mano, un cuore soffre per un altro cuore sofferente: è questa la sintesi estrema della biografia di san Giovanni di Dio, del quale oggi ricorre la memoria liturgica. La sua figura affascinerà persino Lope de Vega, il famoso drammaturgo spagnolo che scriverà un'opera in versi su di lui. Ma la follia di cui stiamo parlando denota caratteri, in senso buono, rivoluzionari. Qual è stata la "rivoluzione", la novità che san Giovanni di Dio ha portato nel mondo?Fondatore dell'Ordine ospedaliero che reca il suo nome, detto anche dei Fatebenefratelli, il santo spagnolo di origini portoghesi ci ha lasciato un nuovo modello di attenzione al malato e al bisognoso. Un modello nel quale ogni uomo è accolto e assistito con amore. Un termine, soprattutto, ha fatto la differenza rispetto ad altri sistemi di accoglienza - contemporanei a san Giovanni di Dio - degli ammalati: "totalità", matrice e motore di radicali novità nel sistema assistenziale dell'epoca.L'assistenza pastorale e sanitaria, per lui, partiva da Cristo, unica origine di salute e salvezza. E l'accompagnamento spirituale degli ammalati e dei bisognosi, dei loro familiari e dei collaboratori, era parte integrante della sua missione ospedaliera. Francisco de Castro, suo primo biografo, scrive che san Giovanni di Dio «si occupava tutto il giorno in diverse opere di carità, e la sera, quando tornava a casa, per quanto stanco fosse, non si ritirava mai senza aver prima visitato tutti gli infermi, uno per uno, e chiesto loro com'era andata la giornata, come stavano e di che cosa avevano bisogno, e con parole molto amorevoli li confortava spiritualmente e corporalmente». Duplice impegno, duplice visione: spiritualmente e corporalmente. Queste due parole dicono tutto della sua visione di assistenza medica.GUARDARE A OGNI SINGOLA PERSONAIn san Giovanni di Dio, "ospitalità" non voleva dire solamente accogliere gli ammalati, ma era guardare a ogni singola persona, con il proprio bisogno: un "sistema sanitario" (così lo definiremmo oggi) attento all'individualità del singolo. Lo stile che aveva san Giovanni di Dio nella gestione delle sue opere è possibile trovarlo descritto in tante testimonianze. Come ad esempio questa: «Comprò letti ed accolse i poveri e mise infermieri che potessero accudirli e un cappellano che li confessava e amministrava i sacramenti». I confratelli che lo aiutavano nell'opera assistenziale «curavano e davano loro tutto il necessario, come medici, medicinali e tutto il necessario» (in José Sánchez Martínez O.H., Kénôsis-diakonía en el itinerario espiritual de San Juan de Dios, Fundación Juan Ciudad, Madrid, 1995).Uomo soprattutto del fare, Giovanni non ci ha lasciato molti scritti se non una raccolta di sei lettere indirizzate a Luigi Battista, al nobile Gutierre Lasso e alla Duchessa di Sessa. Il santo era loro direttore spirituale. Tra confidenze personali e insegnamenti evangelici, in queste pagine dallo stile semplice e diretto, troviamo la sua visione di assistenza ai malati, moderna e pragmatica, senza mai però trascurare l'aspetto spirituale che per lui ricopriva il primo posto. Colpisce l'incipit, uguale per tutte le lettere: «Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e di nostra Signora la Vergine Maria sempre intatta; Dio prima di tutto e sopra tutte le cose del mondo». Dio, prima di tutto, e la Sua Santa Madre, la Vergine Maria: per il santo, tutto deve iniziare da questo pensiero.Altro punto in comune delle lettere, il poco tempo che san Giovanni di Dio può riservare alla scrittura di queste, perché totalmente assorbito nelle opere di carità: «Scrivo questa lettera in fretta per spedirla subito, e ho tanta premura che quasi non ho tempo di raccomandare la cosa a Dio; ed è necessario raccomandarla molto a nostro Signore Gesù Cristo e con più tempo di quanto io ne abbia». In una lettera indirizzata a Gutierre Lasso ci lascia una fotografia della sua prima casa d'accoglienza a Granada: «Essendo questa una casa per tutti, vi si ricevono indistintamente persone affette da ogni malattia e gente d'ogni tipo, sicché vi sono degli storpi, dei monchi, dei lebbrosi, dei muti, dei matti, dei paralitici, dei tignosi e altri molto vecchi e molti bambini; senza poi contare molti altri pellegrini e viandanti che vengono qui e ai quali si danno il fuoco, l'acqua, il sale e i recipienti per cucinare il cibo da mangiare. Per tutto questo non vi è rendita alcuna, ma Gesù Cristo provvede a tutto».FATEBENEFRATELLIStrumenti di questa Provvidenza furono molte volte proprio Lasso e la Duchessa di Sessa: il santo sa bene che per portare avanti l'opera di assistenza agli ammalati e ai bisognosi vi sono delle necessità materiali. In una lettera alla Duchessa di Sessa, ad esempio, troviamo scritto: «Gesù Cristo vi ricompensi in cielo dell'elemosina e della santa carità che sempre mi avete elargita». E ancora: «L'anello (scrive riguardo ad un anello donato dalla duchessa, ndr) è stato utilizzato così bene che, col denaro ricavato, ho vestito due poveri piagati e ho comprato anche una coperta».Tutto questo lavoro per il Signore e per i bisognosi non è andato sepolto con la morte del santo spagnolo († 8 marzo 1550), che tra l'altro non lasciò nessuna Regola scritta all'Ordine ospedaliero. Ma l'organizzazione era già chiara. Ne sono testimonianza queste righe del suo primo biografo, il già citato Francisco de Castro: «In questa casa di Granata ordinariamente vi sono da diciotto a venti fratelli. Alcuni di essi lavorano nelle infermerie assistendo i poveri, altri nei vari uffici della casa. Altri, invece, vanno a chiedere elemosina per la città, ripartita in parrocchie, chiedendo ciascuno nella propria. Altri vanno fuori per le campagne e i paesi a chiedere grano, orzo, formaggio, olio, uva passa, e le altre cose necessarie alla vita».Si presenta, dunque, nuovamente agli occhi di noi contemporanei un fatto preciso: l'eredità della moderna concezione ospedaliera di san Giovanni di Dio è nell'aver formato, con il suo esempio, i suoi confratelli. Un'eredità che ancora oggi perdura grazie alla presenza dei religiosi dell'Ordine e a quella degli operatori sanitari appartenenti alle strutture ospedaliere dei Fatebenefratelli che, con amore e dedizione, prestano la loro opera nel mondo.Nota di BastaBugie: Ermes Dovico nell'articolo seguente dal titolo "La carità di san Giovanni di Dio verso le prostitute" ricorda che l'8 marzo è la festa del fondatore dei Fatebenefratelli. Oltre a prendersi cura di poveri e malati, liberò molte prostitute dagli sfruttatori, puntando al loro recupero integrale e quindi alla loro salvezza eterna.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l' 8 marzo 2025:Il fondatore dei Fatebenefratelli, san Giovanni di Dio (1495 - 8 marzo 1550), è conosciuto soprattutto come patrono dei malati, degli ospedali e degli infermieri. Patronati evidentemente di estrema importanza, che condivide con un altro grande santo: l'italiano Camillo de Lellis (25 maggio 1550 - 14 luglio 1614), fondatore dei Ministri degli Infermi (comunemente detti Camilliani), nato appena due mesi e mezzo dopo la morte di Giovanni, come in una singolare e provvidenziale "successione" nella Chiesa universale.Non si dirà mai abbastanza della carità che san Giovanni di Dio (come anche san Camillo) esercitò verso i malati: non solo la Chiesa ma il mondo intero ha bisogno che si diffonda la conoscenza del suo esempio, tanto più in un'epoca come la nostra in cui si sta propagando una mentalità utilitaristica che dimentica che il malato è una persona umana, unione di corpo e anima. Da trattare e amare come faceva il nostro santo: come se avesse davanti Gesù in persona.Ma qui vogliamo soffermarci su un altro aspetto importante, eppure poco conosciuto, della vita di san Giovanni di Dio: la sua carità verso le prostitute. Molte furono coloro che il santo strappò dalle mani del demonio, conducendole a quelle del Signore. Basti leggere quanto riferisce il suo primo biografo, Francisco de Castro, sacerdote e rettore dell'Ospedale di Granada, che scrisse la vita del santo a una trentina d'anni dalla sua morte.Per amore di Gesù e della Passione che ha sofferto per noi, Giovanni - a un certo punto del suo apostolato a Granada - prese l'abitudine di andare, ogni venerdì, nei postriboli della città, con il fine di aiutare qualche prostituta a salvarsi l'anima. Abitualmente, appena entrato nel bordello, si rivolgeva alla donna che gli sembrava più lontana da Dio e le chiedeva solo di ascoltarlo, promettendole che le avrebbe dato anche più degli altri clienti. Quindi, riferisce il Castro, «la faceva sedere ed egli si inginocchiava per terra dinanzi a un piccolo crocifisso che portava con sé a tale scopo; ed ivi cominciava ad accusarsi dei propri peccati e, piangendo amaramente, ne chiedeva perdono a nostro Signore, con tanto affetto, che anche in essa suscitava contrizione e dolore delle sue colpe. E così, con questo accorgimento, attirava la sua attenzione ad ascoltarlo e cominciava a narrare la passione di nostro Signore Gesù Cristo, con tanta devozione, che la commuoveva fino a farle versare lacrime».

    Santi o mediocri? La necessità della virtù cardinale della fortezza

    Play Episode Listen Later Apr 1, 2025 5:40


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8119SANTI O MEDIOCRI? LA NECESSITA' DELLA VIRTU' CARDINALE DELLA FORTEZZAI Santi danno valore soprannaturale alla sofferenza, perché con essa si uniscono più intimamente a Cristo per andare in Paradiso, invece i mediocri si lamentano di essa e si chiedono perché Dio li abbia voluti puniredi Padre Cipriano de Amborosiis "Viva Cristo Re!". Furono queste le ultime parole pronunciate dal martire messicano, il beato Miguel Pro, accusato ingiustamente e fucilato in odio alla fede il 23 novembre 1927 a soli 36 anni d'età. Nel periodo della persecuzione messicana contro la Chiesa, egli si donò completamente per sostenere i cattolici perseguitati, i poveri, i malati, i moribondi. Svolse clandestinamente il suo ministero di sacerdote, e in un giorno riuscì a distribuire anche 1500 Sante Comunioni. Questo Beato, che agli occhi di tutti sembrava essere sempre felice e ottimista, in realtà nascondeva le lacrime dietro al sorriso e passò nel crogiolo della sofferenza più acuta e della depressione a causa della persecuzione che stava patendo il suo popolo e la sua famiglia. Arrestato, quando si rese conto che gli restavano poche ore di vita, chiese di essere portato sul luogo dell'esecuzione, senza essere bendato né trascinato. Poco prima di ricevere il proiettile in petto, perdonò i suoi assassini e allargò le braccia a forma di croce, tenendo in mano il Rosario.Un anno dopo la morte del Beato, san José Sanchez del Rio, ragazzo messicano di 14 anni, subiva anche lui il martirio in difesa della fede cattolica, dopo atroci torture. Prima di morire, dopo essere stato ripetutamente pugnalato, un soldato gli chiese di lasciare un messaggio per suo padre: «Ditegli che ci rivedremo in Paradiso. Viva Cristo Re! Viva la Madonna di Guadalupe!».LE ALTERNATIVE SONO DUELa beata Irene Stefani, missionaria in Africa, morta in Kenya nel 1930, era instancabile nel correre tra i malati, nell'amministrare ai moribondi il Battesimo (amministrò il Battesimo a circa tremila anime in punto di morte), nel catechizzare, nel sanare le piaghe dell'anima e del corpo. Tutti questi Santi (e tanti altri ancora) dove trovavano la forza spirituale (e fisica) nell'andare avanti?Nelle nostre vite le sofferenze, i dolori, i travagli e le avversità sono innumerevoli, ed è impossibile che spariscano. Quello che però fa la differenza è come li affrontiamo nel tempo che ci è dato da Dio. Le alternative sono due: possiamo comportarci da eroi o da mediocri. Gli eroi, i Santi, sono coloro che danno valore soprannaturale alla sofferenza, perché vedono in essa un mezzo per unirsi più intimamente a Cristo e per andare in Paradiso; i mediocri invece si lamentano di essa, si chiedono perché Dio li abbia voluti punire mandando quei castighi, arrivano alla disperazione e alla mancanza di abbandono in Dio.La fortezza è perciò quella virtù che fa affrontare senza temerità e timidezza qualunque pericolo per il servizio di Dio e del prossimo. Tra temerità e timidezza c'è una differenza grande quanto il giorno e la notte: la prima ci fa affrontare i pericoli confidando solo nelle nostre forze, la seconda invece non ci dà il coraggio di superare le difficoltà, non facendoci confidare nell'aiuto della grazia.NÉ TEMERITÀ, NÉ TIMIDEZZADue eccessi a cui la virtù della fortezza sa ben rispondere in maniera equilibrata. Questa, inoltre, ci fa superare le tentazioni e le difficoltà che provengono da parte del demonio, del mondo e delle passioni. La fortezza fa vincere il rispetto umano, ci dà la forza per affrontare le derisioni, le persecuzioni, la morte e anche il martirio. Integra questa virtù la pazienza, grazie alla quale sopportiamo con animo sereno le tribolazioni permesse da Dio per la nostra santificazione.Nelle Litanie lauretane invochiamo l'Immacolata sotto il titolo di Vergine potente. In effetti, non si può forse considerare la nostra Mamma celeste come l'esempio, per noi più importante, di Colei che ha vissuto integralmente e in maniera eroica la virtù della fortezza? Quante difficoltà ha dovuto affrontare nella sua vita, a partire dalla Nascita di Gesù, la fuga in Egitto, la profezia di Simeone, la Passione e la Crocifissione dell'amato Figlio? Tutto ciò che ha patito Cristo, l'ha sofferto intimamente e interiormente anche Lei. Solo l'Immacolata può veramente insegnarci come si soffra e si offra santamente. Solo Lei può insegnarci la magnanimità, che rende pronti a compiere opere eccelse per il servizio di Dio, la pazienza nel sopportare tutti i mali senza contristarsi, e la perseveranza, che fa proseguire nell'esercizio delle virtù.È a Lei dunque che chiediamo la grazia dell'esercizio perfetto della virtù della fortezza, come i martiri, come i missionari, instancabili nel servizio a Dio, come tutti i Santi che hanno fatto di Dio la loro roccia, il loro sostegno, senza temere le tempeste della vita perché totalmente fidenti in Lui.

    Beata Pierina Morosini martire della purezza

    Play Episode Listen Later Mar 19, 2025 13:42


    VIDEO: Pierina Morosini ➜ https://www.youtube.com/watch?v=Rnj0rXeoC1E&list=PLolpIV2TSebVM7CoAHtiTvbPX4t2opTUUTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8103BEATA PIERINA MOROSINI, MARTIRE DELLA PUREZZA COME SANTA MARIA GORETTIPrimogenita di nove figli, a 16 anni partecipa a Roma alla beatificazione di Santa Maria Goretti e dieci anni dopo un giovane tenta di violentarla, ma respinto la uccide (VIDEO: Pierina Morosini)di Gianpiero Pettiti ed Emilia Flocchini Pierina Morosini nasce il 7 gennaio 1931 a Fiobbio di Albino, nella bergamasca; viene battezzata il giorno seguente, coi nomi di Pierina Eugenia. È la primogenita di una famiglia di nove figli. Suo padre, Rocco Morosini, rimane invalido e guadagna qualcosa facendo il guardiano notturno in uno stabilimento. Sua madre, Sara Noris, invece bada, oltre che ai figli propri, anche a quelli degli altri, solo in cambio del pane con cui riempire la bocca della sua nidiata.Con simili premesse Pierina cresce, imparando da subito ad archiviare i sogni senza troppi rimpianti: deve rinunciare a studiare ed a diplomarsi maestra, anche se ne avrebbe i numeri; deve rinunciare a entrare tra le Suore delle Poverelle di Bergamo, anche se tutti trovano che la sua vocazione sia solida e ben fondata; deve rinunciare anche al sogno missionario, il cui solo pensiero le fa battere il cuore come se fosse il primo amore.Il 18 marzo 1946, poco più che quindicenne, fu assunta nel Cotonificio Honegger di Albino, un'azienda di circa 1300 dipendenti. Qui cominciò a lavorare prima come addetta alle pulizie del reparto e dei telai, poi come apprendista e aiutante delle altre operaie, infine divenne operatrice ai telai. Questo stipendio è l'unica entrata fissa su cui può contare la sua famiglia. Per il primo turno deve svegliarsi alle quattro del mattino, ma invariabilmente trova ancora il tempo di prendere un "pezzo" di Messa e soprattutto di fare la Comunione, che l'accompagnerà per tutto il giorno. Pierina prega lungo la strada, prega quando è al telaio, prega quando riesce a scappare per qualche minuto in chiesa. Durante un ricovero ospedaliero dovuto a un incidente sul lavoro, conobbe padre Luciano Mologni, del Convento dei frati minori Cappuccini di Albino, che sarebbe diventato il suo padre spirituale. Pierina viene nominata dirigente parrocchiale di Azione Cattolica ed è attivissima in parrocchia, il suo specifico campo di apostolato. Trova, così, in famiglia, il convento cui ha dovuto rinunciare; nella fabbrica, la scuola in cui aveva sperato di insegnare; nella sua parrocchia, la missione in cui aveva sognato di andare.PICCOLO REGOLAMENTO QUOTIDIANOSi dà un regolamento di vita e soprattutto traccia per se stessa alcuni propositi che, nella loro semplicità, danno la misura di quest'anima innamorata di Dio. Tra le altre cose, si propone di «tener la pace in famiglia», di «mostrarsi sempre allegra» e di «cercare di non sapere le cose altrui». Tra i suoi appunti spicca una frase in cui è condensata tutta la sua vita: «il mio amore, un Dio Crocifisso; la mia forza, la Santa Comunione; l'ora preferita, quella della Messa; la mia divisa, essere un nulla; la mia meta, il cielo». In questo periodo manifestò alla mamma il desiderio di farsi suora ma venne distolta da questo proposito in quanto il suo lavoro e la sua presenza erano necessari alla famiglia.Nel 1947 è a Roma, per la beatificazione di Maria Goretti, la piccola martire delle Paludi Pontine, che su indicazione di papa Pio XII venne proposta come modello di virtù cristiane per le nuove generazioni. Alla nuova beata e futura santa Pierina "ruba" il segreto che l'ha portata sugli altari, lasciandolo maturare lentamente in lei. L'8 dicembre, festa dell'Immacolata, professò i voti privati di castità, povertà e obbedienza. Nel 1948 approfondì il suo impegno spirituale e il suo servizio alla Chiesa. S'iscrisse all'Apostolato della Riparazione e alle Figlie di Maria. Indossò lo scapolare carmelitano e aderì al Terz'Ordine francescano. Nel 1950 provò ancora una volta a chiedere ai genitori il permesso di entrare tra le Suore delle Poverelle di Bergamo, ma anche questa volta ricevette un fermo diniego. Continuò senza soste il suo impegno in famiglia, sul lavoro e a servizio della parrocchia; diventò zelatrice dell'Opera San Gregorio Barbarigo che aiuta il seminario diocesano di Bergamo.IL MARTIRIODieci anni dopo la beatificazione di Maria Goretti confida ad uno dei suoi fratelli: «Piuttosto che commettere un peccato mi lascio ammazzare». Che questo non sia solo un pio desiderio lo dimostra appena un mese dopo aver pronunciato questa frase. Pierina, nella freschezza dei suoi 26 anni, anche se volutamente vestita in modo dimesso, non può nascondere la sua avvenenza, che accende insani desideri in una mente malata.Il 4 aprile 1957, pochi minuti prima delle 15, Pierina è di ritorno dal suo turno di lavoro in fabbrica. Lungo i sentieri solitari del monte Misna, viene assalita dal violentatore nel castagneto che abitualmente, due volte al giorno, attraversa da undici anni per recarsi al lavoro. È inutile il suo tentativo di fuga, perché l'uomo le fracassa il cranio a colpi di pietra. Trasportata in ospedale a Bergamo, vi muore due giorni dopo, senza aver ripreso conoscenza.È fin troppo facile, per la gente, vedere in lei una nuova Maria Goretti; ed è infatti proprio la sua gente ad impedire che Pierina resti a lungo sottoterra e che il suo omicidio venga semplicemente archiviato come un pur tragico fatto di cronaca nera.Così, mentre la giustizia umana compie il suo corso nei confronti del giovane di Albino individuato come l'omicida, la Chiesa comincia invece ad interessarsi di lei. Il vescovo di Bergamo, monsignor Clemente Gaddi, l'8 dicembre 1975 avvia l'iter per la causa di beatificazione. [...] Il 3 luglio 1987 il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui l'uccisione di Pierina Morosini era da considerare un autentico martirio. Lo stesso Pontefice ha celebrato la sua beatificazione il 4 ottobre 1987, durante l'assemblea del Sinodo dei Vescovi dedicata al tema «Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo», proponendola come autentica icona di un laicato maturo e coerente, anche a costo della vita.Nella diocesi di Bergamo la memoria liturgica della Beata Pierina Morosini si celebra il 6 maggio, un mese dopo la sua nascita al Cielo, perché il 6 aprile può corrispondere ai giorni della Settimana Santa o dell'Ottava di Pasqua.Il 10 aprile 1983 i resti mortali di Pierina erano stati traslati dal cimitero di Fiobbio alla chiesa parrocchiale, dedicata a Sant'Antonio di Padova, e posti in un sarcofago di marmo bianco, situato vicino al banco dove solitamente lei s'inginocchiava a pregare. Dopo la beatificazione, sono stati collocati sotto l'altare maggiore della chiesa di Sant'Antonio di Padova a Fiobbio.Nota di BastaBugie: negli scritti di Pierina si trovano il prezioso "Piccolo regolamento quotidiano" e "I sette propositi". Eccoli qui riportati.I SETTE PROPOSITI1) Mi sforzerò di tenere la pace nella famiglia.2) Quando la stanchezza m'avrà vinta, mi mostrerò sempre allegra.3) Avrò sommo rispetto verso la mamma, la obbedirò e non risponderò sgarbatamente.4) Non prenderò nessuna golosità.5) Durante la giornata mi terrò alla presenza di Dio, farò Comunioni spirituali e reciterò giaculatorie.6) Non cercherò di sapere cose altrui.7) Non dirò mai parola in mia lode e procurerò di star nascosta agli occhi degli uomini.PICCOLO REGOLAMENTO QUOTIDIANO1) Mi alzerò per tempo, senza poltrire e, vestendomi modestamente, offrirò la mia giornata a Gesù per le mani di Maria SS.2) Preghiere del mattino - Santa Messa e - possibilmente, Comunione quotidiana.3) Meditazione di almeno 15 minuti raccoglimento, amore, propositi pratici per il giorno.4) Tornata a casa, attenderò con la massima fedeltà e serenità alle mie faccende domestiche e al mio lavoro.5) Al suono di ogni ora penserò a Gesù e a Maria con una giaculatoria o uno sguardo d'amore.6) Ogni mia azione la farò in unione con Maria; e nelle contrarietà mi abbandonerò, come una bambina sul suo Cuore materno, invocando il suo aiuto e quello del mio caro Angelo custode.7) Dirò il S. Rosario o almeno una corona, secondo le mie possibilità.8) Ogni giorno mi sforzerò di offrire a Maria Santissima qualche "fiore" profumato e nascosto una mortificazione di lingua, di occhi, di gola, soprattutto di volontà.9) Non mi metterò mai a tavola senza aver fatto una piccola preghiera, né mai mi alzerò senza aver compiuto una mortificazione di gola.10) Mi sforzerò di sorridere a tutti e di cedere, con amabilità, al giudizio degli altri, specialmente dei miei genitori e superiori.11) Curerò sommamente la modestia nel vestito, nello star seduta e nel camminare; con nessuno mi permetterò leggerezze di parole o di mani.12) Prima di coricarmi, secondo le possibilità, farò un po' di lettura spirituale e scriverò il resoconto dell'esame di coscienza; quindi, recitata la preghiera della sera mi addormenterò pensando alla Comunione dell'indomani o a qualche buona cosa.N.D. Tutto questo mi propongo di metterlo in pratica fedelmente, con amore e gioia, ma senza eccessive preoccupazioni; pronta ad omettere qualche devozione o ad interromperla, quando l'ubbidienza ai superiori o ai miei doveri lo richiede, sicura che la Madonna preferisce da me, sua piccola schiava d'amore, l'offerta del mio cuore e della mia volontà in tutte le circostanze della vita.

    La storia di suor Clare Crockett nel libro "Sola con il solo"

    Play Episode Listen Later Mar 12, 2025 15:24


    VIDEO: Canzone su suor Clare ➜ https://www.youtube.com/watch?v=DVtepqmqJCoTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8096LA STORIA DI SUOR CLARE CROCKETT NEL LIBRO ''SOLA CON IL SOLO'' di Valerio Pece Della vulcanica e affascinante suor Clare Crockett, morta a 33 anni nel terribile terremoto che nel 2016 colpì l'Ecuador, la Nuova Bussola si era già occupata. Esattamente il 16 aprile di cinque anni fa la suora irlandese saliva al Cielo insieme a cinque candidate del Focolare della Madre e ad altri 400 ecuadoriani. In sua memoria esce oggi, nella traduzione italiana, il libro che descrive la sua figura: "Suor Clare Crockett. Sola con il Solo". Lo ha scritto suor Kristen Gardner, trentaquattrenne di Columbus, Ohio, che per via degli anni del postulandato passati insieme è stata molto vicina a suor Clare. Suor Kristen presenterà ufficialmente il libro, rispondendo alle domande del pubblico, alle ore 20 di oggi.Raggiunta dalla Bussola a poche ora dalla presentazione di "Sola con il Solo", la suora americana ci racconta i singolari inizi, indiscutibilmente guidati da Dio in ogni dettaglio, di quella consorella morta in odore di santità. «Possiamo dire che il Signore si servì di un equivoco. All'invito di un'amica per "un viaggio gratis in Spagna", la giovane Clare Crockett rispose con un "sì" entusiasta. Della Spagna, però, cercava il sole e le spiagge, si ritrovò invece catapultata dentro un'intensa settimana di spiritualità in un antico monastero. L'aspirazione della giovane Clare in quel momento della sua vita era una sola: camminare sul tappeto rosso di Hollywood. Sognava di fare l'attrice e aveva tutti i numeri per farlo: voce, bellezza, personalità. Eppure, in quel Venerdì Santo del 2000, a 17 anni, mise da parte tutti i suoi sogni per un sogno più grande. Successe esattamente nell'attimo in cui incontrò da sola Cristo Crocifisso».PERCHÉ CONTINUI A FERIRMI?Quel passo, però, non fu semplice. Aggiunge suor Kristen: «Dopo quella forte esperienza estiva, tornata in Irlanda, Clare ricade nello stile di vita che aveva lasciato: partecipa alle riprese di un film ("Sunday", di Charles McDougall, regista di successo e autore della serie televisiva "Sex and the City", ndr) e il peccato torna a regnare nella sua anima». In una testimonianza confluita in "O tutto o niente!" - il commovente docufilm curato sempre da suor Kristen Gardner - fu la stessa suor Clare a confessarlo: «Vivevo male, in peccato mortale. Bevevo molto, iniziai a fumare droghe, continuavo a far tardi con gli amici. Ero uguale a prima, non avevo la forza di tagliare con tutto. Ovviamente non avevo questa forza solo perché non avevo chiesto aiuto al Signore». Il Signore però voleva fortissimamente il cuore di quella ragazza. Così, una notte che Clare esagerò con l'alcol, sentì Gesù che le diceva: «Perché continui a ferirmi?».Suor Kristen Gardner confessa che furono due i momenti più difficili per la suora irlandese. «È vero che l'estate successiva a quella in cui partecipò alla Settimana Santa in Spagna - racconta la biografa di suor Clare alla Bussola - entrò da postulante nella nostra casa. È vero anche, però, che il suo manager la tartassava, chiamando un giorno sì e uno no per parlarle del ruolo da protagonista che avrebbe avuto in un nuovo film. Era il 2001. Non fu semplice per Clare, ma vinse l'amore per il Signore».L'altro momento in cui suor Clare fu fortemente tentata fu l'anno prima di diventare suora. «Eravamo negli Stati Uniti, e il diavolo non poteva lasciarla in pace prima dell'appuntamento più importante», confida suor Kristen. «Leggendo attentamente i sei diari personali della nostra amata consorella, ci ha sorpreso un passaggio legato proprio a quel momento. Non sappiamo con quale modalità, ma suor Clare ricevette dal Signore queste precise parole: "Se tu non riuscirai a camminare, io ti prenderò in braccio ma tu non mi lasciare". Parole fortissime che lei ripeté in pubblico più volte e in tutta semplicità».Le missioni a cui partecipò la suora nata a Derry nel 1982 sono state molte, faticose e multiformi. Lavorò a Belmonte, in Spagna, con le sfortunate ragazze di un collegio; quindi fu spostata a Jacksonville, in Florida, dove insegnò inglese e religione ai bambini della scuola dell'"Assunzione". Nel 2010 tornerà in Spagna, questa volta a Valencia, per assistere spiritualmente i malati in fase terminale. Un apostolato difficile. «Sicuramente arduo - ribadisce suor Kristen alla Bussola -, ma suor Clare ha sempre lavorato ovunque con la stessa gioia, qualunque opera prestasse. Era una trascinatrice infaticabile. Per capirla possiamo pensare all'immagine dell'"assegno in bianco": ogni giorno offriva al Signore un assegno in bianco affinché Egli potesse chiederle tutto ciò che voleva».SOLA CON IL SOLOIl titolo del libro, «Sola con il Solo», è preso dal motto che lo spagnolo Padre Rafael Alonso, settantatreenne fondatore del Focolare della Madre, diede a Clare Crockett il giorno in cui questa emise i voti perpetui. «In realtà - racconta suor Kristen - nella scelta del motto da parte del nostro fondatore, che a quella ragazza che andava a parlargli fumando ha creduto fin dal primissimo incontro, si nasconde un doppio significato. Innanzitutto, il giorno in cui prese i voti, a differenza di quanto comunemente accade, suor Clare si trovò sola. Dovevano essere in quattro suore ma tre lasciarono il Focolare poco prima. L'altro motivo è che nel già ricordato Venerdì Santo del 2000, quando Clare, mettendosi in fila con le mani in tasca, baciò la croce, si trovò sola con il Crocifisso. "Sola con il Solo", appunto. Senza, cioè, quelle maschere che facevano di lei una persona irresistibile, perennemente "contesa" ma fondamentalmente incapace di rimanere sola davanti alla sua vita».In effetti quel faccia a faccia in solitaria per l'allora diciassettenne Clare - che a 15 anni già presentava programmi giovanili per Channel 4 (tra più importanti canali televisivi del Regno Unito) e che veniva corteggiata dall'emittente statunitense Nickelodeon - si rivelò una catarsi, il vero spartiacque della sua vita. A liturgia conclusa le cronache raccontano che la trovarono con le lacrime agli occhi: «È morto per me! Mi ama! Perché nessuno me l'ha detto prima?».Il libro nei mesi scorsi è già uscito in inglese e spagnolo. «Ci sono arrivate moltissime mail - spiega al nostro giornale suor Kristen - e la cosa che colpisce è che i messaggi arrivano da tutte le fasce d'età: i ragazzi sono affascinati dalla prima parte della sua vita, dal salto enorme fatto da suor Clare, dal suo stile da "O tutto o niente!"; le altre persone, invece, sono impressionate dalla profondità e maturità spirituale che dimostrò dopo. In ogni caso i 33 anni di vita terrena di suor Clare, con gli innumerevoli aneddoti e gli abissi d'amore attinti dai suoi preziosi diari, contengono un messaggio speciale per ognuno e sono una chiamata alla santità per tutti».Nota di BastaBugie: Ermes Dovico nell'articolo seguente dal titolo "Aperta la causa di suor Clare Crockett, nuova stella di Dio" racconta che è stata proclamata serva di Dio la religiosa nordirlandese ed ex attrice, morta a 33 anni, la cui vita sta ispirando e restituendo speranza a innumerevoli persone.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 gennaio 2025:Domenica 12 gennaio, nella cattedrale di Alcalá de Henares (Spagna), è stata aperta solennemente la causa di beatificazione di suor Clare Crockett (14 novembre 1982 -16 aprile 2016). La giovane nordirlandese, appartenente alle Serve del Focolare della Madre e vittima del tremendo terremoto che colpì l'Ecuador il 16 aprile di nove anni fa, gode perciò adesso del titolo di serva di Dio.A presiedere la cerimonia il vescovo Antonio Prieto Lucena, alla cui diocesi è stata concessa la competenza sulla causa, dopo il benestare dell'arcidiocesi ecuadoregna di Portoviejo (sul cui territorio è avvenuta la morte della religiosa) e del Dicastero per le Cause dei Santi. Come ha spiegato il vescovo di Alcalá, il tribunale eletto per studiare la causa a livello diocesano avrà adesso il compito di «indagare approfonditamente la vita, le virtù, la fama di santità e le grazie e i favori ricevuti per intercessione di suor Clare, per provare l'eroicità delle sue virtù».Se le virtù eroiche saranno provate, suor Clare potrà essere proclamata venerabile, passo che precede l'eventuale beatificazione (per la quale servirà poi il riconoscimento di un miracolo per sua intercessione) e canonizzazione (per la quale è richiesto, in via ordinaria, un secondo miracolo). Queste, in breve, le tappe fondamentali prima che suor Chiara Maria della Trinità e del Cuore di Maria - secondo il suo nome in religione completo e italianizzato - possa essere dichiarata santa.In attesa che la Chiesa cattolica studi la causa con la dovuta prudenza, la fama di santità di suor Clare è già diffusa in mezzo mondo. E dalle testimonianze emerge come Gesù stia continuando a servirsi di questa sua sposa come uno strumento prediletto del suo piano di salvezza. «La sua gioia traboccante ha condotto molte anime, soprattutto di giovani, a scoprire che la vera felicità si trova unicamente in Dio.

    Beata Elisabetta Sanna, la piccola sarda dalle braccia paralizzate

    Play Episode Listen Later Mar 4, 2025 17:13


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8090BEATA ELISABETTA SANNA, LA PICCOLA SARDA DALLE BRACCIA PARALIZZATE di Gianpiero Pettiti Ha le braccia atrofizzate e paralizzate, per cui non riesce a portare il cibo alla bocca e nemmeno a fare il segno di croce: una disabile, insomma, e per questo la vorrebbero proporre come protettrice di tutti i disabili del mondo. Il suo handicap è una conseguenza del vaiolo, contratto da bambina piccolissima, e di un'operazione maldestra: le è rimasta soltanto la possibilità di muovere dita e polsi, ma per poter mangiare deve utilizzare speciali bacchette in legno, realizzate apposta per lei.Malgrado questa menomazione, soprattutto perché non è tipo da piangersi addosso, riesce ad avere una vita normale e felice, anche per le condizioni discretamente agiate della sua famiglia, che nel clima di generale povertà di Codrongianos (Sassari) si distingue per il reddito garantito dei campi che lavorano onestamente.In Elisabetta Sanna soltanto le braccia sono inerti, perché in lei non mancano le idee e la volontà di tradurle in pratica: a casa sua si danno appuntamento le ragazze del paese per imparare catechismo, organizzare pellegrinaggi, occupare utilmente il tempo libero. E deve pure avere un buon seguito se nel 1803, quando ha solo 15 anni, alcune mamme del paese vanno a protestare ufficialmente dai suoi genitori, perché attira troppo le ragazze in chiesa.Impedita a pettinarsi, lavarsi la faccia, cambiarsi d'abito da sola, ha sviluppato tuttavia le sue capacità residue che le consentono di impastare, infornare e sfornare il pane e, nessuno mai lo potrebbe immaginare, anche allevare figli. Neanche lei, a dire il vero, perché le sembra impossibile aspirare al matrimonio nelle sue condizioni e poi perché si sente profondamente attratta dalla vita religiosa pur essa non priva di difficoltà, senonché all'improvviso saltano fuori ben tre pretendenti.Mentre mamma insiste perché si sposi e lei punta i piedi perché vuole andare in convento, si accorge di averli tutti contro, confessore compreso, a caldeggiare il suo matrimonio. Finisce per arrendersi e, potendo addirittura scegliere, dice il tanto sospirato "sì" a quello dei tre che è più povero, come a dire che con il matrimonio non è in cerca di una buona sistemazione.UN MATRIMONIO CHE FUNZIONAIncredibile a dirsi, il suo è un matrimonio che funziona e nel 1807, cioè a 19 anni, comincia ad essere sposa felice di un marito felice, Antonio Porcu. Tra il 20 novembre 1808 e il 20 novembre 1822 nascono sette figli, cinque dei quali sopravvivono, e lei riesce ad allevarli, possiamo immaginare con quanta difficoltà. Testimonianze giurate riferiscono che in quella casa il marito non fa nulla senza prima sentire la moglie e questa non finisce mai di dire di non esser degna d'un marito così buono.Peccato che quest'ultimo muoia il 25 gennaio 1825, lasciandola vedova a 37 anni con cinque figli, il più piccolo dei quali ha solo tre anni. Senza perdersi d'animo, si riorganizza la vita e la vedovanza, facendo innanzitutto voto di castità, come a ribadire di non volersi più risposare, caso mai se ne fosse ripresentata l'occasione.Insieme ai suoceri, con cui vive d'amore e d'accordo, avvia poi i figli più grandi al lavoro dei campi, mentre si prende cura dei suoi più piccoli, ma anche di quelli degli altri, perché non ha perso l'abitudine di aprir le porte di casa sua per far catechismo ed insegnare ai più piccoli a cantare e pregare. Si intensifica la sua partecipazione alla vita parrocchiale, senza che per questo ne risentano né l'educazione dei figli, né i lavori di casa, che tiene pulita come uno specchio.Torna, in questo periodo, il desiderio della vita religiosa, ma si sente legata ai suoi doveri di famiglia e glieli richiamano in continuazione anche i confessori. Che non riescono però a toglierle dalla testa il desiderio di fare un pellegrinaggio in Terrasanta, verso la quale si sente irresistibilmente attratta, volendo almeno una volta nella vita posare i piedi sulla stessa polvere calpestata da Gesù.Organizza il suo viaggio nel 1831, con la certezza che i suoceri baderanno ai figli e il fratello prete si prenderà cura del più piccolo fino al suo ritorno e si imbarca il 25 giugno. Il viaggio, però, subito si trasforma in incubo a causa di una burrasca, che per quattro giorni tiene in balìa delle onde la povera nave, costretta il 29 giugno ad un attracco d'emergenza a Genova.Sfinita al punto di non reggersi in piedi, qui Elisabetta si accorge di non avere il visto per raggiungere la Terra Santa e, dato che per ottenerlo bisogna attendere mesi, insieme ad altri pellegrini raggiunge Roma con un viaggio via terra molto faticoso.MAMMA SANNA"Mamma Sanna" a Roma prende provvisoriamente alloggio in una locanda, ma ben presto le viene diagnosticato un grave problema di cuore per cui il medico esclude che, almeno per il momento, sia in condizioni di proseguire il viaggio o di rientrare in Sardegna perché non sopporterebbe la traversata. Tanto vale, quindi, trovare una sistemazione meno provvisoria e soprattutto più economica, visto che le sue risorse economiche si stanno esaurendo.Poiché la donna ha imparato a malapena a leggere, ma non sa scrivere, è don Vincenzo Pallotti (che sarà il suo direttore spirituale e che la Chiesa poi ha proclamato santo) a scrivere in Sardegna, al fratello prete di Elisabetta, per comunicare le sue condizioni di salute e l'impossibilità di un ritorno immediato.Per di più lei parla solo il dialetto sardo e non riesce a comunicare, perché nessuno a Roma lo capisce. Trova sistemazione in una soffitta, nei pressi della basilica di San Pietro, chiaramente una soluzione di fortuna e non certo ambita da molti, vista la difficoltà per accedervi e l'obbligo di condividerla con sgradevoli ed aggressivi topi, che saranno sempre suoi coinquilini.Unico pregio è la sua collocazione, a ridosso della basilica, che per lei diventa la sua collocazione abituale: chi vuole trovarla è in San Pietro che deve andare a cercarla, sprofondata in preghiera sul nudo pavimento, in un angolo buio e seminascosto.Dalle prime luci dell'alba, quando la basilica apre i battenti, fino a quando li chiude, un misterioso ininterrotto colloquio si svolge tra la donna dalle braccia inerti e il suo Dio, che evidentemente non ha problemi a capirla, anche se lo prega in strettissimo dialetto sardo.Come sempre accade, dall'intesa dell'uomo con Dio nasce poi quella con gli uomini, che poco a poco cominciano a capire ciò che dice quella donna, vestita in modo strano e che sembra avere "un fagotto sulla testa", che passa indenne tra gli sberleffi dei monelli, che entra quasi di soppiatto nelle case dei poveri e dei malati per curare pulire e servire con le sue braccia paralizzate, che ha imparato ad ascoltare e comprendere affanni regalando parole di consolazione e di speranza.C'è uno strano andirivieni nella sua soffitta infestata dai topi: nobili e poveri, cardinali e popolane, uomini d'affari ed esponenti della curia romana. Si è infatti sparsa voce che "Mamma Sanna" legga nei cuori, scruti le coscienze, investighi il futuro e interpreti il presente alla luce di Dio.Tutto questo avviene sotto gli occhi della "Virgo Potens", cioè il quadro mariano che tiene in camera, e davvero "potente" si rivela la sua intesa con la Vergine, se davanti ad esso avvengono piccoli e grandi eventi straordinari, guarigioni fisiche e conversioni, tutte rigorosamente attribuite alla Madonna, anche se agli occhi del popolo non è del tutto estranea l'intercessione di questa donna che pare abbia davvero un filo diretto con il Paradiso. [...]Nota di BastaBugie: Paolo Risso nell'articolo seguente racconta gli ultimi decenni della vita della beata a Roma. Ecco l'articolo pubblicato su Santi e Beati nel 2018:Nel suo pellegrinare per le chiese di Roma, assetata di preghiera, Elisabetta si incontra, in San Pietro con il Maestro dei Penitenzieri, Padre Camillo Loria, che, ascoltata la sua confessione, le ordina di tornare in Sardegna. Ella è decisa ad obbedire, ma proprio in quel periodo di dubbio e di ansia sul da farsi, incontra nella chiesa di Sant'Agostino, un santo prete romano, Don Vincenzo Pallotti, dedito ad un proficuo vasto apostolato, in cui coinvolge numerosi laici, dando vita nel 1835 alla Società dell'Apostolato Cattolico.Uomo di grande influenza sui religiosi e sui laici, ricco di un fascino singolare, Don Pallotti sarà canonizzato dal Santo Padre Giovanni XXIII nel gennaio 1963. Elisabetta è compresa e rasserenata da Don Vincenzo, che illuminato da Dio, vede la singolare missione a cui ella è chiamata nell'Urbe. Dirà: «Allora, mi quietai e dopo circa cinque anni che dimoravo a Roma, ebbi una lettera da mio fratello sacerdote che la mia famiglia era veramente lo specchio del paese e tutti ne erano edificati».Davvero è il caso di dire che ognuno ha da Dio la sua vocazione, anche se qualche volta, può apparire difficile da comprendere.Ma i santi sanno percepire la volontà di Dio. Elisabetta si dedica al lavoro che le basta per vivere in povertà e letizia e occupa grandissima parte del suo tempo nella preghiera e nella contemplazione di Dio. Per qualche tempo, collabora nella casa di Mons. Giovanni Saglia, segretario della Congregazione dei Vescovi e futuro Cardinale. Diventa terziaria francescana e soprattutto si occupa, come prima collaboratrice, nell'unione Apostolato Cattolico, fondato da Don Pallotti. Ai suoi figli in Sardegna, fa donazione di tutto quanto possiede, lieta di vivere in perfetta povertà. Chi la avvicina, dirà di

    Da promessa star di Hollywood... a suora in via di beatificazione

    Play Episode Listen Later Feb 11, 2025 15:46


    VIDEO: Suor Clare, versione estesa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=QXAryehCyR8&list=PLolpIV2TSebURQLIBppY4bAc0bO7DbkRTTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8078 DA PROMESSA STAR DI HOLLYWOOD... A SUORA IN VIA DI BEATIFICAZIONE: ''A DIO TUTTO, O NIENTE!'' di Costanza Signorelli Desiderare di consumarsi completamente, sino a sbiadire il proprio volto, sino a logorare mani e piedi, sino a perdere la voce. Dare tutto di sé e darlo subito, per offrire la vita intera a Dio. Un amore folle e radicale: "A Dio tutto, o niente!". Questa, in poche battute, era suor Clare Crockett.È chiaro, allora, che non fu il caso a volere che questa giovane Serva del Focolare della Madre rimanesse l'unica a morire sotto le macerie del tragico terremoto del 2016 a Playa Prieta. Tra tutte le sorelle del convento missionario in Ecuador, fu scelta solo lei. "Sola con il Solo": misteriosamente, si realizzava il motto di vita stabilito proprio nel giorno della sua consacrazione e ancor più si avverava quell'insondabile piano d'Amore che lei stessa aveva profetato: "Morirò giovane, a 33 anni, come Gesù".NASCERE E RINASCERE NELLO SPIRITOClare Crockett vede la luce il 14 novembre 1982 a Derry, in una famiglia dell'Irlanda del Nord duramente segnata dalle feroci lotte tra cattolici e protestanti. Lei stessa però dirà che la sua vera nascita avverrà solamente l'11 agosto 2001, data in cui la giovane fanciulla fa il suo ingresso nelle Serve del Focolare della Madre come postulante. Sarà questa, infatti, per Clare l'occasione di una vera e propria rinascita nello Spirito Santo che, corteggiandola come il più appassionato tra gli amanti, la conquisterà completamente.Ma la strada che condusse Clare alla "vita nuova" fu tutt'altro che spianata. Per comprendere su quale terreno cominciò ad arare l'agricoltore e quanti rami ebbe a potare il vignaiolo, basti sapere che, quando Clare annunciò a parenti e amici il suo ingresso in convento, venne accolta con una fragorosa e corale risata. Gli stessi familiari erano convinti si trattasse di uno dei suoi colpi di testa che sarebbe durato pochi giorni, al massimo qualche settimana.Del resto, quella ragazzina a dir poco esuberante era nota a tutti come la futura stella di Hollywood per via del suo straordinario talento per la recitazione. Dotata di un agente dello spettacolo sin da piccolissima, Clare aveva conquistato da subito ruoli da protagonista sul piccolo schermo e alcune pellicole al cinema. Genitori, professori, amici... tutti quanti la spingevano in questa direzione, essendo convinti che un giorno sarebbe arrivata molto lontano. Quanto al rapporto con la fede, invece, non si poteva certamente festeggiare lo stesso successo. Clare, di famiglia cattolica più per etichetta che per sostanza, aveva ricevuto i sacramenti durante l'infanzia, ma ben presto, ai locali della parrocchia, aveva preferito quelli notturni che l'avevano eccitata ai piaceri del mondo. Alcol, droga e sesso erano diventati per Clare regola e dipendenza, complice l'ambiente dello spettacolo che l'aveva stretta, ancora piccola, tra le tenaglie del peccato. Eppure, nessuno poteva immaginare che la "follia" di quella ragazzina, che la spingeva a divorare sempre più vita, fosse in verità il sigillo messo da Gesù sul cuore della sua promessa sposa e che Dio stesso sarebbe stato pronto a tutto pur di portare a termine il suo piano d'Amore su quella vittima da Lui prescelta.LA "TRAPPOLA" DELLA VERGINE MARIA«Un giorno - racconta Clare durante una testimonianza - la mia amica, Sharon Dougherty, mi chiamò e mi disse: "Clare, vuoi andare in Spagna? È tutto pagato". "Un viaggio gratis in Spagna! - pensai - Dieci giorni di festa in Spagna con il sole". "Certo che ci vado!". Io, sinceramente, pensavo che saremmo andate su un'isola turistica come Ibiza. Chi avrebbe potuto immaginare che invece fosse tutta una mossa della Vergine Maria per riportarmi a casa, nel Suo Focolare, in quello di Suo Figlio?».Spiegarono a Clare che tutti quelli che volevano andare in Spagna si sarebbero dovuti presentare in una certa casa per ritirare il biglietto aereo. «Quando entrai nella casa - continua Clare - trovai un gruppo di 30-35 persone mature che recitavano il Rosario. Subito chiedo: "Voi andrete in Spagna?", "Sì", mi risposero con entusiasmo "ad un pellegrinaggio!"». Ovviamente Clare non ha la minima intenzione di partecipare a un ritiro spirituale, ma l'amica insiste: ormai il biglietto aereo è pagato, perciò non ci si può più tirare indietro.«Così arrivai in Spagna presso il monastero del Focolare della Madre, da sola e senza nessuna voglia di fare un pellegrinaggio». Era la Settimana Santa, ma Clare logicamente non lo sapeva e nemmeno poteva sospettare di dover partecipare per cinque giorni e con molto raccoglimento alla Passione, morte e Risurrezione del Signore.L'IRRESISTIBILE SPOSO CROCIFISSOÈ Venerdì Santo e qualcuno del gruppo dice a Clare che, in quel giorno, non avrebbe potuto star fuori dalla chiesa a fumare sigarette come sempre accadeva. La giovane, perciò, quasi costretta, si unisce alla Celebrazione liturgica della Passione e morte del Signore e col solito atteggiamento strafottente - come racconta lei stessa - sceglie subito di sedersi nei banchi più in fondo. Quando però arriva il momento in cui tutti si mettono in fila per l'Adorazione della Croce, Clare d'impeto li segue.«Quando toccò a me baciare la croce non mi ricordo se mi inginocchiai o se feci la genuflessione, mi ricordo solo che baciai il chiodo che era sui piedi di Gesù e sentii come uno schiaffo sul cuore. In un istante ricevetti la grazia di vedere come Egli, Dio, era morto per me sulla croce, per i miei peccati, per le mie vanità, per le mie infedeltà, per la mia impurezza... Compresi e vidi d'un tratto che io avevo inchiodato il Signore alla croce e che l'unico modo in cui io potevo consolarLo era con la mia vita. Ormai non valeva raccontare barzellette, né fare una bella rappresentazione teatrale: nulla, nulla di ciò che io potevo fare era in grado di consolare Gesù, se non dandoGli tutta la mia vita! Compresi questo in un lampo, senza avere alcuna formazione religiosa: ero pazza, andavo in discoteca, pensavo di andare a Ibiza e in quel momento, nel baciare la Croce, il Signore mi fece cadere completamente da cavallo. (...) Ebbi la certezza che il Signore era sulla croce per me e, assieme a questa convinzione, sentii un vivo dolore. Tornando al banco, iniziai a piangere, e a piangere, e a piangere... non potevo smettere. Dio mi aveva mostrato con chiarezza che era morto per me e che io dovevo dargli qualcosa, e quel qualcosa non era semplicemente un'Ave Maria, una messa o un impegno piccolo, ma era la mia vita!».PERCHE' MI CONTINUI A FERIRE?Nonostante le enormi grazie ricevute durante il pellegrinaggio, Clare torna a casa e precipita di nuovo nelle seduzioni del mondo. Sente con chiarezza di avere ricevuto la chiamata di Dio, ma non riesce in alcun modo ad abbandonare la vecchia vita. «"Non posso diventare suora! Non posso smettere di bere, di fumare, di andare a divertirmi e non posso rinunciare alla mia carriera, alla mia famiglia..." Mi ripetevo queste cose, tuttavia non riuscivo a fare tutto questo semplicemente perché non avevo ancora chiesto a Gesù il Suo aiuto».Non appena Clare si mette in ginocchio, il Signore corre in suo soccorso dandole la certezza che, se Egli le stava chiedendo qualcosa, certamente le stava anche donando la grazia e la forza per viverlo.E infatti, una notte accade qualcosa che cambierà l'esistenza di Clare per sempre: «Ero nel bagno di una discoteca, ero completamente ubriaca e stavo per vomitare, fu in quel momento che sentii con forza lo sguardo del Signore. Era così forte questo sguardo! E subito sentii dentro di me il Signore che mi diceva: "Perché Mi continui a ferire?". Sapevo che il Signore era lì e mi stava guardando. Sentire lo sguardo del Signore è qualcosa che ti lacera. Vidi che di nuovo stavo inchiodando il Signore alla croce con i miei peccati, con le mie ubriachezze. Io sentii che il mio modo di vivere e la mia mancanza di risposta a ciò che il Signore mi stava chiedendo facevano molto male a me stessa e anche a Dio».Fu questo il momento decisivo in cui Clare comprende che l'Amore di Gesù l'ha vinta per sempre: «Capii in quell'istante che dovevo lasciare tutto e seguirlo. Io sapevo che il Signore mi stava chiamando ad essere Sua nelle Serve del Focolare della Madre, a dargli la mia vita affinché altri Lo potessero conoscere. Sapevo con grande chiarezza che mi chiedeva di confidare in Lui, di porre la mia vita nelle Sue mani e di avere fede». E così accade: Clare, l'11 agosto 2001, giorno di santa Chiara D'Assisi, entra in monastero; e l'11 febbraio 2006 fa i suoi primi voti scegliendo il nome religioso di suor Clare Maria della Trinità e del Cuore di Maria. L'8 settembre 2010 emette i suoi voti perpetui.SERVIRE, FINO A CADERE A TERRA SFINITIDal momento della professione solenne, in un potente crescendo di intensità, inizia per Clare una corsa pazza verso il Signore. Nei cinque anni da professa, viene inviata in numerose comunità delle Serve: a Belmonte (Cuenca, Spagna), a Jacksonville (Florida, Stati Uniti), a Valencia (Spagna), a Guayaquil (Ecuador) e a Playa Prieta (Manabí, Ecuador). Di luogo in luogo, la Serva lascia dietro di sé la scia del suo bruciante amore per il Signore, che non smette di crescere e che si manifestava in un'instancabile e impressionante carità verso il prossimo.Un esempio ne spiega bene la portata. Nel 2011, insieme ad altre 9 consorelle, suor Clare si trova ad accompagnare 140 ragazze alla GMG

    La clamorosa conversione di Ratisbonne

    Play Episode Listen Later Jan 29, 2025 9:00


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8056LA CLAMOROSA CONVERSIONE DI RATISBONNE di Roberto de Mattei Tutti conoscono i santuari mariani di Loreto e Pompei e, a Roma, le grandi basiliche, ma non tutti sanno che nel cuore della città eterna esiste una piccola basilica parrocchiale, Sant'Andrea delle Fratte, conosciuta anche con il nome di Santuario della Madonna del Miracolo. Qui, infatti, il 20 gennaio del 1842 la Madonna apparve all'ebreo Alfonso Ratisbonne e lo convertì istantaneamente. Una lapide posta in uno dei pilastri della cappella dell'apparizione, così ricorda l'avvenimento: "Il 20 gennaio 1842, Alfonso Ratisbonne, venne qui ebreo indurito. La Vergine gli apparve come tu la vedi. Cadde ebreo si rialzò cristiano. Straniero: porta con te questo prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della SS. Vergine".Alfonso Ratisbonne, nato a Strasburgo nel 1814 da una famiglia di ricchi banchieri ebrei, per migliorare il suo malfermo stato di salute aveva deciso di intraprendere un lungo viaggio che dalla Francia, avrebbe dovuto condurlo a Costantinopoli. Capitò a Roma, per un breve soggiorno il giorno dell'Epifania del 1842. Tra le persone che incontrò fu un amico, che, nel corso di un'animata discussione religiosa, lo sfidò a portare una medaglia con l'effigie dell'Immacolata, come era apparsa quattro anni prima a santa Caterina Labouré a rue du Bac e a recitare il Memorare o piissima Virgo Maria, l'antica preghiera mariana tradizionalmente attribuita a san Bernardo.Ratisbonne, per mostrare la sua superiorità sulle "superstizioni" cattoliche, accettò ridendo la sfida e cinse al collo la medaglietta detta miracolosa. Ma il gruppo di amici cattolici che aveva a Roma pregava per la sua conversione. Un imprevisto aveva intanto costretto Ratisbonne a rinviare la sua partenza da Roma. Si giunse così al 20 gennaio 1842.DA EBREO A SACERDOTE CATTOLICORatisbonne, si trovò a passare davanti alla chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, situata tra la Fontana di Trevi e piazza di Spagna, quando sentì un impulso ad entrare nella chiesa, dove si preparava il funerale per uno degli amici che pregava per lui, il conte francese de La Feronnays, morto improvvisamente il 17 gennaio: "Se in quell'istante (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato, e mi avesse detto: "Alfonso, fra un quarto d'ora adorerai Gesù Cristo, tuo Dio e tuo Salvatore, sarai prosternato in una povera chiesa, ti batterai il petto dinanzi a un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove trascorrerai il carnevale per prepararti al battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica; e rinuncerai al mondo, alle sue pompe, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire;... e non aspirerai più che a seguire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino alla morte!...". Dico che se qualche profeta mi avesse fatto una predizione simile, avrei giudicato solo un uomo più insensato di lui: l'uomo che avesse creduto possibile una simile follia! Eppure, è proprio questa follia che costituisce oggi la mia sapienza e la mia felicità".Fu infatti quello che accadde. "La chiesa di Sant'Andrea - ricorda Ratisbonne - è piccola, povera e deserta. Camminavo, meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza soffermarmi su nessun pensiero; mi ricordo soltanto di un cane nero che saltellava e balzava dinanzi a me... Non appena scomparso il cane, la chiesa intera disparve, non vidi più nulla... o piuttosto, Dio mio, vidi una sola cosa! Come potrei parlarne? Oh! no, la parola umana non deve tentare d'esprimere l'inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero là, prosternato, bagnato nelle mie lacrime, col cuore fuori di me stesso. Non sapevo dove mi trovavo; non sapevo se ero Alfonso o un altro; sentivo un così totale mutamento, che mi credevo un altro me stesso... La gioia più ardente si sprigionava dal fondo della mia anima; sentivo in me qualcosa di solenne e di sacro che mi fece chiamare un sacerdote... Vi fui condotto, e solo dopo avuto l'ordine positivo ne parlai, per quanto mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante."Tutto ciò che posso dire è che al momento del fatto la benda mi cadde dagli occhi; non una sola, ma tutta la moltitudine di bende che mi avevano avvolto, scomparvero una dopo l'altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l'azione di un sole cocente. Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo... Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell'abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza... Oh! quanti discendono tranquillamente in questo abisso con gli occhi chiusi dall'orgoglio o dalla spensieratezza! Vi discendono, s'inabissano vivi nelle orribili tenebre!""Non posso spiegare questo cambiamento che con l'immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d'un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione".LA VERIFICA DEL PAPAQuando la notizia si diffuse a Roma il Papa Gregorio XVI fece svolgere un'accurata inchiesta che confermò il fatto miracoloso. Alfonso Maria Ratisbonne fu battezzato il 31 gennaio 1842 nella chiesa del Gesù, divenne sacerdote e volle dedicare la propria vita all'apostolato tra gli ebrei.A Rue du Bac, a La Salette, a Lourdes, a Fátima, la Madonna scelse anime innocenti per trasmettere i suoi messaggi al mondo. A Roma la Beata Vergine Maria apparve a un peccatore, che sembra rappresentare nella sua persona il mondo moderno, incredulo e ostinato nei suoi errori. La conversione di Ratisbonne fu perfetta e istantanea come quella di san Paolo, ma la Madonna volle che fosse accompagnata da piccoli gesti: l'accettazione della Medaglia miracolosa, la recita del Memorare, le preghiere insistenti degli amici.Nulla è impossibile alla Madonna, regale dispensatrice di grazie, quando essa è invocata da cuori ardenti e devoti. Preghiamo dunque la Regina del Cielo e della terra, affinché voglia manifestare ancora la sua potenza e la sua misericordia. Allo stesso modo in cui convertì l'ebreo Ratisbonne e regnò nel suo cuore, conceda ai nostri giorni la conversione del mondo, il trionfo del Cuore immacolato, l'instaurazione del Regno di Maria sulle anime e sulla società.

    Offre la vita per salvare l'anima dell'assassino di suo padre

    Play Episode Listen Later Jan 15, 2025 8:43


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8045OFFRE LA VITA PER SALVARE L'ANIMA DELL'ASSASSINO DI SUO PADRE di Rino Cammilleri Si chiamava Maria del Carmen Gonzàlez Valerio y Sàenz de Heredia. Perché un cognome così lungo? Perché sono due: gli spagnoli dei tempi cattolicissimi aggiungevano anche quello della madre, dimostrando alle femministe odierne di essere molto più "avanzati" di loro.Diciamo subito che si tratta di uno di quei bambini malatissimi che, inspiegabilmente (a viste umane), sono tutti per Gesù. E morendo non lasciano i genitori nello strazio, come la gioia serena della madre di Carlo Acutis dimostra. Se Dio ragionasse come noi, il Cielo sarebbe pieno di soli centenari. Eppure, anche i pagani sapevano che chi muore giovane è caro agli dei. E veniamo a noi. María del Carmen, così chiamata perché alla nascita consacrata alla Madonna del Carmelo, era madrilena e figlia di nobili. Era la seconda di cinque e nacque nel 1930.Dati i brutti tempi che correvano (e che di li a poco avrebbero portato alla guerra civile) si pensò di cresimarla alla svelta, cosa che fu effettuata quando lei aveva solo due anni per mano personale del nunzio apostolico Todeschini, che aveva consuetudine col cattolicissimo capofamiglia don Julio González Valerio. L'inferno scatenato dagli anarco -comunisti del Fronte popolare in quegli anni è cosa nota ai lettori del Timone (omicidi di preti, incendi di chiese, distruzione di opere d'arte religiose...), cosi saltiamo direttamente al 1936, quando la Spagna si divise in due parti, l'una contro l'altra armate. I miliziani rojos non persero tempo e scelsero proprio il giorno dell'Assunta per arrestare don Julio, che aveva il grado di capitano d'artiglieria. La colpa? Niente, semplice pulizia etnica, anzi religiosa: non era dei loro, quindi era contro di loro (diabolus simia Dei, il diavolo è la scimmia di Dio). Il carcere in cui lo rinchiusero dava sulla strada della sua casa, e la bimba poteva vedere sgomenta suo padre dietro a una finestra con le sbarre. Fino al giorno in cui non lo vide più. Alla moglie, che ne chiedeva notizie, fu risposto di andare a cercare all'obitorio.MISTERI DIVINIMaricarmen (così in famiglia), sebbene avesse solo sei anni sapeva che il responsabile ultimo dell'assassinio di suo padre era il premier repubblicanoManuel Azaña Díaz. Ma, beata innocenza, chiedeva a sua madre se l'anima di costui si sarebbe salvata (!). La madre, trattenendo le lacrime, le rispondeva che ci volevano molti fioretti. Intanto, sistemava i figli presso vari parenti e lei si rifugiava nell'ambasciata belga. Maricarmen fu messa in un collegio di suore irlandesi (tra le poche che i rivoluzionari lasciarono in pace, non volendo complicazioni internazionali). Ed era l'unica alunna a frequentare la Messa delle suore al mattino presto.Pare che durante la Settimana Santa, il Giovedì per l'esattezza, abbia offerto la sua vita a Dio in cambio dell'anima di chi l'aveva resa orfana. Qui non mi si chieda di avanzare spiegazioni, sarebbero un'arrampicata sugli specchi tanto inutile quanto fuorviante. Si tratta di mistica, della quale dichiariamo di nulla sapere e capire. Certo, sul retro di qualche santino si trova sempre il volo pindarico clericale che "spiega" l'inspiegabile. E l'inspiegabile è questo: come può venire in mente a una bambinetta di fare una cosa del genere e, per giunta, perseverarvi? Misteri divini. Sì, perché o così, o niente.Solo Dio può inculcare un desiderio siffatto, che implica una certezza adamantina nella realtà della vita eterna. Puoi stringere i denti e sopportare, sì, ma quando sai che la sofferenza è a termine. Come l'evangelica donna che partorisce e alla vista del neonato dimentica di aver patito da urlare.SAPEVA DI DOVER MORIREL'offerta di Maricarmen fu evidentemente accettata, infatti si prese la scarlattina. Era il 1939 e mancavano pochi mesi alla vittoria dei nazionalisti, che lei di fatto non vide mai. La scarlattina fece presto a degenerare in chissà che cosa: le si formò una specie di tumore all'orecchio, che si riempì di pus.Gli antibiotici ancora non esistevano, i medici non si raccapezzavano, cercavano di curala con certe flebo che però non bastavano mai. Prima tre volte al giorno, ed era roba dolorosa quando entrava in circolo. Arrivarono a venti al giorno. E ogni volta che l'ago le entrava nel braccio quella obbligava i presenti a dire un Pater noster con lei. Dopo otto giorni gettarono la spugna e la rimandarono a casa. La casa, però, era quella della zia Sofia, sorella della madre, la quale stava ancora, per sicurezza, nell'ambasciata belga. Qui gli agi di famiglia le permisero l'assistenza di due infermiere, ma era sempre peggio. Si ridusse a un'unica piaga in tutto il corpo. La madre la invitava a chiedere a Gesù la guarigione e lei diceva di star pregando perché si facesse la di Lui volontà. Sapeva di dover morire e, anzi, disse che le sarebbe piaciuto andarsene il giorno della Madonna del Carmine. Solo che, saputo che proprio allora si sarebbe sposata sua zia, posticipò. Infatti, come da lei predetto, morì il 17 luglio 1939, alle quindici, l'ora di Cristo. Lo stesso giorno, quattro anni prima, era scoppiata la guerra civile.IL PRIMO MIRACOLOAzaña? Morì l'anno dopo, in esilio a Montauban, in Francia. Il vescovo di Tolosa, monsignor Theas, gli impartì gli ultimi sacramenti e testimoniò che il presidente della Seconda repubblica spagnola era morto da buon cristiano. Grazie a una bambina di nove anni che si era sacrificata per lui. Anche santa Teresina di Lisieux, prima di entrare nel Carmelo a quindici anni (con dispensa speciale), aveva pregato per un famoso delinquente senzadio che, tra le bestemmie, stava offrendo il collo alla ghigliottina.E quello, un attimo prima, si era voltato verso il crocifisso che il cappellano gli tendeva e lo aveva baciato. Ma, con tutto il rispetto, santa Teresina non aveva offerto in cambio la sua vita (lo farà dopo, per i missionari), né quello le aveva ucciso il padre. La conversione di Azaña in articulo mortis fu solo il primo dei miracoli di Maricarmen, la cui efficace intercessione ha costretto i responsabili delle cliniche abortive di Madrid a chiedere l'intervento della polizia per il vistoso calo di affari.Il sito armatabianca.org registra diversi miracoli della piccola madrilena, andate a vedere. Giovanni Paolo II l'ha dichiara Venerabile. Per il momento.Nella sua borsetta da bimba c'era un'agendina di pelle rossa. Dentro frasi del tipo: «29 agosto. Oggi hanno ucciso mio padre», «Viva España, Viva Cristo Rey!», «6 aprile 1939. Mi sono offerta nella parrocchia del Buon Pastore». Faceva collezione di santini e giocava insegnando alle sue bambole a farsi il segno della croce. Sapeva a memoria il Rosario in latino e perfino le sterminate Litanie lauretane. Mari, prega per la nostra conversione.

    Canonizzate le martiri di Compiegne

    Play Episode Listen Later Jan 8, 2025 11:00


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8041CANONIZZATE LE MARTIRI DI COMPIEGNE UCCISE DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE di Cristina Siccardi Era verso la fine del 1600 quando la carmelitana suor Elisabeth-Baptiste del monastero di Compiègne, circa un secolo prima della Rivoluzione francese,  vide in sogno alcune monache del suo convento nella gloria del Cielo, vestite con manti bianchi e ciascuna con una palma in mano: si trattava della premonizione del martirio che avrebbero subito alcune sue future consorelle, ghigliottinate il 17 luglio del 1794 sulla piazza del Trono-Rovesciato, antica piazza del Trono, così rinominata nel 1792 e oggi place de la Nation. Pochi giorni fa, il 18 dicembre, le sedici martiri Carmelitane scalze, beatificate da san Pio X il 27 maggio 1906, sono state canonizzate da papa Francesco per equipollenza.Lo scrittore francese Georges Bernanos (1888-1948), nella sua celebre opera letteraria Dialogues des carmélites, che può considerarsi il suo testamento, scrive: «nelle cose di questo mondo, lo sapete, quando è perduta ogni speranza di conciliazione, la forza è l'estrema risorsa. Ma la nostra saggezza non è di questo mondo. Nelle cose di Dio l'estrema risorsa è il sacrificio delle anime consacrate» (Quadro terzo, scana XII).Le pagine dei Dialoghi delle Carmelitane, che invitiamo a leggere quale strenna spirituale natalizia di questo anno che volge al termine, che è stato infuocato dalla cruenta violenza nelle case e strade italiane (anche per mano di minorenni), dal terrorismo e dalle guerre a livello internazionale, sono le più affini al Diario di un curato di campagna econ La gioia formano una trilogia ideale, nella quale il motivo conduttore è il capovolgimento dei valori operato dalla Grazia divina. Nel Diario si insiste sul capovolgimento tra povertà e ricchezza, tra ingenuità fanciullesca e prudenza adulta; nei Dialoghi, come pure nelle pagine de La gioia, il capovolgimento è osservato sotto il focus del binomio forza-debolezza.UCCISE IN ODIO ALLA FEDEAttraverso la Grazia la debolezza umana diventa forza irresistibile nelle mani di Dio. D'altra parte, san Paolo ci rivela che il Signore gli ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9), pertanto «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 10). È esattamente ciò che hanno sperimentato e vissuto Madre Thérèse de Saint Augustin (Marie-Madeleine-Claudine Lidoine, 41 anni), nata il 22 settembre 1752 a Parigi, e le sue 15 compagne dell'Ordine delle Carmelitane scalze di Compiègne, uccise in odio alla fede.Il 15 dicembre 1789 l'Assemblea Nazionale vietò a tutti gli ordini religiosi di pronunciare nuovi voti e molti religiosi e religiose vennero dispersi, ciò avvenne anche alle sante Carmelitane di Compiègne, piccolo borgo a nord est di Parigi, alle quali venne ordinato nel 1792 di allontanarsi dal loro monastero e di togliere gli abiti religiosi. Tuttavia, le monache vollero mantenere il loro proponimento di «vivere e morire da Carmelitane» e per questa ragione, nonostante il ferreo divieto, continuarono a pregare di nascosto e in comune, quotidianamente, divise in piccoli gruppi e accolte da alcune famiglie di Compiègne vicino alla chiesa di Saint-Antoine.Nel settembre 1792, quando la Madre priora, Thérèse de Saint Augustin, sentì che nelle sue figlie cresceva il desiderio di martirio, propose loro di compiere un atto di consacrazione con il quale «la comunità si offrisse in olocausto per placare l'ira di Dio e che questa pace divina, che il suo caro Figlio era venuto a portare al mondo, potesse essere restituita alla Chiesa e allo Stato». Si organizzarono in modo tale da continuare la loro vita come all'interno del convento, entrando e uscendo dalla chiesa furtivamente. Ogni giorno pronunciavano il loro voto di totale consacrazione alla volontà di Dio, pregando perché si arrivasse alla fine delle violenze e al ritorno della pace per la Chiesa e la Francia.LA DECRISTIANIZZAZIONE DELLA FRANCIANell'autunno 1793, come parte della decristianizzazione, la pratica del culto cattolico divenne sempre più perseguitato a Compiègne come in tutto il resto della nazione, precipitata sotto il Regime del Terrore. Oggigiorno si grida giustamente all'orrore per le azioni terroristiche, senza però mai puntare il dito contro il governo del Terrore della Francia rivoluzionaria, che fece scorrere fiumi di sangue (nel nefando spettacolo di inaugurazione delle Olimpiadi 2024, Maria Antonietta decapitata, affacciata e replicata alle finestre della Conciergerie, dove fu imprigionata, teneva fra le mani la propria testa e il rosso sangue dominava, fino a fuoriuscire dal Palazzo e gettarsi nella Senna), realizzando persino il primo genocidio dell'era moderna, quello in Vandea.Il 10 giugno 1794 fu emanata una nuova legge repressiva, che eliminò diverse garanzie agli imputati (tra cui quelle di citare testimoni per la difesa o di nominare un difensore d'ufficio), negando la possibilità di emettere qualsiasi verdetto diverso dalla condanna a morte o dall'assoluzione. Dal 10 giugno 1794 al 28 luglio dello stesso anno ci furono tanti condannati a morte quanti nei quattordici mesi precedenti. Pierre-Gaspard Chaumette (1763-1794), tra i fautori del Regime del Terrore, uno dei maggiori organizzatori a Parigi del culto della Ragione e che sarà pure lui decapitato, definì la ghigliottina «un vulcano di lava che divora i nostri nemici».Tra il 22 e il 23 giugno 1794 le Carmelitane scalze furono individuate e incarcerate nel loro ex monastero «per aver tenuto conciliaboli antirivoluzionari, mantenuto corrispondenze fanatiche e conservato scritti liberticidi». Durante le perquisizioni vennero trovate alcune lettere che contenevano critiche alla Rivoluzione in corso e ciò fu sufficiente per accusarle di complottismo, ma allo stesso tempo anche di fanatismo religioso, considerato un crimine per la società.Il 12 luglio 1794, tutte quante decisero eroicamente di indossare il loro abito religioso e furono trasferite da Compiègne al Palais de la Cité di Parigi. Così, le sante monache si ritrovarono finalmente tutte insieme, potendo riprendere le ore di preghiera comunitaria. Alcuni detenuti hanno testimoniato che il giorno prima del loro martirio, il 16 luglio, celebrarono la festa liturgica di Nostra Signora del Monte Carmelo, con grande letizia.Quando vennero condotte davanti al Tribunale rivoluzionario, la Madre superiora tentò vanamente di addossarsi tutte le colpe. A questo punto, le imputate furono condannate a morte e immediatamente fatte salire su di un carro, in direzione del patibolo. Accusate di «fanatismo e sediziosità», le Carmelitane furono giustiziate, come detto, il giorno 17 e per le martiri fu un giorno di festa nuziale.IL MARTIRIO GLORIOSO DELLE MONACHEIl corteo delle spose di Cristo venne guidato da Madre Thérèse de Saint-Augustin e lungo tutto percorso, che le conduceva al luogo dell'esecuzione, cantarono inni sacri, come il Miserere e il Salve Regina. Con i loro mantelli candidi, scesero dai carretti e, in ginocchio, intonarono il Te Deum e il l'inno liturgico gregoriano Veni Creator Spiritus; quest'ultimo, oltre che a Pentecoste, viene cantato anche in particolari momenti solenni, come durante la Santa Messa del primo giorno dell'anno, oppure durante il rito di canonizzazione o di ordinazione episcopale, in occasione di concili e sinodi, e intonato nella Cappella Sistina dai cardinali prima del conclave.La più giovane, suor Constance de Jésus, era novizia e fece la genuflessione di fronte alla Madre superiora per domandarle il permesso di morire, poi, salendo gli scalini della ghigliottina, intonò il Laudate Dominum (il salmo 116). Una per una, sempre cantando, vennero ghigliottinate le altre consorelle fino ad arrivare alla penultima, suor Marie Henriette de la Providence, l'infermiera, e all'ultima, Madre Thérèse de Saint-Augustin.Gli ammutoliti spettatori di quella orribile scena rimasero sbigottiti nel vedere il giubilo delle Carmelitane scalze nel dirigersi verso il boia e la ghigliottina, come se fossero andate alle loro nozze.I corpi delle martiri furono gettati nella notte in una delle due fosse comuni del cimitero di Picpus. Undici giorni dopo, con un colpo di Stato parlamentare del 9 termidoro, anno II, ebbe termine il Regime del Terrore. Suor Marie dell'Incarnation, che aveva vissuto nel monastero di Compiègne, raccontò il martirio delle sue consorelle ne La Relation du Martyre des Seize Carmélites de Compiègne.A suor Bianca de La Force, monaca scaturita dalla fantasia letteraria, per la quale la passione, pur con diversi gradi di consapevolezza, è itinerario di ogni anima veramente cristiana, Bernanos fa pronunciare le seguenti parole: «la preghiera è un dovere, il martirio una ricompensa. […] Non si muore mai ciascuno per sé, ma gli uni per gli altri, ed anche gli uni al posto degli altri», come insegnò il Sommo Sacrificio di Gesù Cristo, nato Bambino a Betlemme in un nido di paglia.

    La suora in purgatorio che ha lasciato la sua impronta

    Play Episode Listen Later Dec 10, 2024 7:50


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8006LA SUORA IN PURGATORIO CHE HA LASCIATO LA SUA IMPRONTA di Rino Cammilleri L'attivissimo don Marcello Stanzione qualche anno fa su Aleteia.org portò alla luce un caso singolare riguardante una mano impressa soprannaturalmente a fuoco su una porta, fatto appurato da un'inchiesta vescovile e ancora visibile nel convento delle terziarie francescane di Foligno.La protagonista era una suora corsa, Maria Gesta, nata a Bastia nel 1797 e figlia di Domenico, un facoltoso commerciante. Già da bambina ebbe problemi: una spina di pesce che le si era conficcata nell'unghia quasi la invalidò (la ferita ci mise anni a guarire), costringendola a usare per sempre l'altra mano, la sinistra. Giunta all'età giusta il padre la fidanzò a un bravo giovine, cosa che lei accettò per obbedienza pur se già si sentiva attratta dal chiostro. Ma a un passo dalle nozze sopravvenne un male inguaribile che la ridusse in fin di vita. Tumore, dissero i medici. Sul petto. Però la medicina dell'epoca non brillava né per diagnosi che per rimedi, tanto che si pensò seriamente a un trapianto di pelle dopo l'asportazione. Per fortuna non ce ne fu bisogno: non erano riusciti ad aver ragione di una semplice lisca di pesce, figurarsi che cosa avrebbero combinato con quel tumore esterno. Chi fa da sé fa per tre, e Maria si rivolse direttamente in alto.Una notte che il male non la faceva dormire fece voto alla Vergine: se fosse guarita si sarebbe consacrata in religione. L'indomani si svegliò completamente sana e subito mantenne. Due nobili umbri: Filippo e Stefano Bernabò, esiliati in Corsica per non avere voluto giurare fedeltà a Napoleone, le trovarono il posto: il convento delle terziarie francescane di Sant'Anna a Foligno. Così, nel 1825 la Nostra divenne suor Teresa Margherita e subito prese il nuovo ruolo con la massima serietà.Espletava tutti i servizi più umili sempre col sorriso sulle labbra. Per sé sceglieva panni vecchi e rattoppati, vestendo di quel che le altre scartavano. Del suo corredo donò tutto alle consorelle, tenendo per sé lo strettissimo essenziale e prediligendo sempre le tele più ruvide e navigate. La sua cella rasentava lo squallido: dormiva su un saccone di paglia e non usava praticamente mobilio. Una così zelante non poteva non essere scelta per le varie cariche dopo aver espletato tutte le mansioni.Gli ultimi tre anni, dei trentatré trascorsi in convento, la videro addirittura come badessa. E fu in tale veste che morì. Il 4 novembre 1859, dopo la refezione a mensa, mentre scriveva una lettera al fratello fu colpita da apoplessia e stramazzò sul pavimento. La soccorsero quando si insospettirono per la sua assenza agli atti comuni. Cioè, troppo tardi. Morì la notte stessa e fu sepolta nel cimitero del convento. Ma è adesso che comincia il bello.LA VOCE DELLA MORTADopo tre giorni dalla morte, alcune suore dissero di aver sentito come dei lamenti provenire dalla cella della defunta. Lì per lì si pensò a fantasie di donne impressionabili. Ma suor Anna Felice Meneghini da Montefalco, che era una tosta, udì proprio la voce della morta, che conosceva bene avendola avuta come compagna in diversi incarichi. Proveniva dalla stanza dei guardaroba. E lei e suor Teresa Margherita, erano state insieme come guardarobiere per anni. Vi si diresse, frugò dovunque, aprì tutti gli armadi. Niente. D'un tratto la stanza si riempì di fumo e la voce si palesò ancora, lamentandosi. La suora, fattasi forza, chiese il perché di quei lamenti. La voce rispose che era per via della povertà se si trovava in Purgatorio. Quell'altra trasecolò: la defunta aveva vissuto quasi da misera, di cosa era incolpata? La voce chiarì che, sì, lei aveva amato la povertà ma, da badessa, non aveva vigilato affinché anche le altre la osservassero a puntino. Poi aggiunse che non l'avrebbe sentita mai più ma le avrebbe lasciato una prova della sua presenza. Ci fu come un gran colpo sulla porta e suor Anna Felice vide la sagoma della defunta uscire dalla stanza. Subito il fumo scomparse e accorse tutto il convento.Suor Maria Angelina Torelli e suor Maria Vittoria Vicchi dovettero sorreggere Suor Anna Felice, che era mezza tramortita. Tutte le suore avevano sentito la botta. Videro con sgomento che sulla porta si era formata l'impronta di una mano, come se fosse stata impressa a fuoco. Andarono a chiamare la badessa e anche lei costatò il segno. Intanto l'ora si era fatta tarda e, non sapendo che pesci prendere, la badessa comandò a tutte di andare a dormire. L'indomani si sarebbe visto che cosa fare.NULLA È IMPOSSIBILE DIOLa più spaventata di tutte era colei che aveva assistito ai fenomeni, suor Anna Felice. Questa nella sua cella, prima di coricarsi si inginocchiò per recitare sette salmi espiatori per l'anima della consorella defunta. La notte stessa sognò suor Teresa Margherita tutta gioiosa. La quale la ringraziò per le preghiere che aveva recitato e che le avevano ridotto la pena in Purgatorio: doveva starci ancora un po' per via della eccessiva indulgenza nei confronti delle suore al tempo della sua direzione, ma con qualche altra preghiera sarebbe stata finalmente ammessa alla visione beatifica. Qualche settimana dopo, suor Anna Felice, di notte mentre era a letto e recitava il Miserere, sentì la solita voce che la chiamava.Si rizzò a sedere e di colpo un globo di luce comparve nella sua cella illuminandola a giorno. La voce le disse che il venerdì seguente sarebbe finalmente uscita dal purgatorio, la ringraziò e si congedò per sempre perché mai più l'avrebbe sentita. La notizia di questi fatti non tardò a valicare le mura del convento e a interessare tutta la città. Il vescovo volle vederci chiaro e, sentita la badessa, ordinò un'inchiesta. Dopo i minuziosi accertamenti e gli interrogatori si procedette alla riesumazione del corpo della defunta. Fu divelta la porta con l'impronta e fu portata accosto alla bara: la mano della morta coincideva perfettamente con quella impressa nel legno. E non ci fu altro da aggiungere.Alcune notazioni. La morta a Suor Anna Felici aveva detto di essere stata condannata a quarant'anni di Purgatorio, poi ridotti a quindici grazie alle preghiere di intercessione. Ma c'è il tempo in Purgatorio? Ci sono gli anni? O è una metafora dell'anima purgante per farsi intendere?Altra cosa: una suora zelantissima c'era finita non per mancanze sue, ma per non aver vigilato con la necessita severità sullo zelo altrui, di cui era responsabile. In effetti, dice il Vangelo che "a chi molto è stato affidato, molto verrà chiesto". Vien da dire, come gli Apostoli: "ma allora chi potrà salvarsi?". Gesù rispose che ciò era impossibile agli uomini ma non a Dio. Ed è questa la nostra speranza. Mah, e poi dicono che l'inferno è vuoto...

    Proclamata santa Elena Guerra, apostola dello Spirito Santo

    Play Episode Listen Later Nov 13, 2024 9:36


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7975PROCLAMATA SANTA ELENA GUERRA, APOSTOLA DELLO SPIRITO SANTO di Cristina Siccardi«Elena fu contemplativa nell'azione: di fronte all'invito di Cristo seppe evitare due atteggiamenti estremi, quello dell'estraniamento, del disinteresse per le realtà temporali e quello dell'impegno totale, la riduzione della testimonianza a puro fatto civile e sociale. Elena ne sceglie un terzo: si colloca nel punto di intersezione tra regno di Dio e realtà terrene», questa la sintesi della vita di santa Elena Guerra secondo il postulatore della causa di canonizzazione, Paolo Vilotta ("L'Osservatore Romano", 19 ottobre 2024, pp.14-15). Elena Guerra, apostola dello Spirito Santo, è stata proclamata santa da papa Francesco la scorsa domenica 20 ottobre.Nata a Lucca il 23 giugno 1835 da nobile famiglia cattolica, dopo la Comunione ebbe il permesso di poterla ricevere ogni giorno, un uso che all'epoca, prima di san Pio X, non era ancora acconsentito. La sua tensione verso lo Spirito Santo iniziò ben presto, dopo la Cresima, che ricevette a otto anni: «Da allora», lei stessa lascia scritto, «quando mi trovavo in chiesa per la novena di Pentecoste, mi sembrava di essere in paradiso». Attraverso l'istruzione del fratello, che si preparava per diventare sacerdote, ella, di nascosto dalla madre che le permise solo di imparare musica, pittura e ricamo, imparò le lezioni a domicilio date al fratello dai professori e, studiando pure la notte, oltre al resto apprese anche il latino.Nel 1956 costituì il «Giardinetto di Maria» e poi le «Amicizie spirituali», due realtà laicali femminili, dove le giovani erano chiamate ad impegnarsi a vivere integralmente la vita cristiana. Dopo aver superato un periodo di grave malattia, fece domanda per essere ammessa fra le Dame di Carità, la cui mansione era quella di visitare a domicilio poveri e malati. Quando Lucca venne colpita dal colera, Elena ebbe il permesso dai suoi familiari di assistere i colerosi, curandoli e confortandoli con la fede.LO SPIRITO SANTO, IL CENACOLO, LA PENTECOSTEPunto fermo della sua spiritualità furono sempre lo Spirito Santo, il Cenacolo, la Pentecoste. Era particolarmente addolorata nel constatare che la maggior parte dei cattolici, come ancora accade oggi più di ieri, trascurava la devozione al Paraclito e per questo, nel 1865, scrisse un opuscolo dal titolo «Pia Unione di preghiere allo Spirito Santo» per ottenere la conversione degli increduli, diffondendo la pratica delle sette settimane in preparazione della Pentecoste e facendo stampare, nel 1889, la novena «Nuovo Cenacolo», al fine di suscitare «un generale ritorno dei fedeli allo Spirito Santo».Elena Guerra agì molto attraverso la stampa, pubblicando numerosi scritti su problemi riguardanti fidanzate, spose, domestiche, con un'attenzione speciale per l'educazione e la scuola, il tutto indirizzato a una cultura cristiana per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Poliedrica e attiva, educò personalmente centinaia di ragazze, fra le quali la grande mistica santa Gemma Galgani (1878-1903).Letta la biografia di sant'Angela Merici (1474-1540), decise di dedicarsi all'educazione della gioventù, insegnando ad alcune ragazze povere in casa di una Dama di Carità. Poi, con l'aiuto del parroco della cattedrale di Lucca, nel dicembre 1872, aprì una scuola privata vera e propria per le figlie della borghesia e della nobiltà lucchese. L'opera, dopo alcune difficoltà, si consolidò e con il gruppo delle compagne che si erano unite a lei, fondò l'Istituto di Santa Zita, composto da donne che inizialmente non facevano vita comunitaria, ma si dedicavano all'istruzione e formazione cristiana delle giovani. Tuttavia, ebbe molte difficoltà da superare e incomprensioni da parte di molti, compresa la sua famiglia, il clero della diocesi e lo stesso Arcivescovo Arrigoni. Determinata nel proseguire la sua chiamata, nel 1882, lasciò la casa paterna, e si insediò in un palazzo acquistato con i fondi della divisione del patrimonio familiare: nacque così la comunità delle Oblate dello Spirito Santo.IL CENACOLO PERMANENTETale fu il suo impegno di apostolato per propagare la devozione allo Spirito Santo che il suo appello giunse fino al Sommo Pontefice attraverso il vescovo ausiliare di Lucca. Esortò Leone XIII (1810-1903) a indurre vescovi, parroci e fedeli a recitare una novena per la festa di Pentecoste, novena possibilmente predicata. Il Papa comprese l'importanza fra i cattolici di meditare e pregare lo Spirito Santo, foriero di sapienza e illuminazione divina e, con un Breve del 5 maggio 1895, incitò tutti i vescovi a questo scopo con una intenzione precisa: il ritorno dei dissidenti all'unico vero Ovile, Santa Romana Chiesa.L'operato di suor Elena Guerra venne dunque ascoltato e accolto da Leone XIII, nuovamente sollecitato dalla santa quando ella istituì l'associazione del «Cenacolo Permanente», tanto che promulgò l'enciclica Divinum illud Munus il 9 maggio 1897 sulla presenza e le virtù dello Spirito Santo, nella quale dichiarò che se «Cristo è il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo ne è l'anima». Tutti i fedeli erano chiamati esplicitamente alla devozione della Terza Persona della Santissima Trinità, la cui divinità è professata nel Simbolo niceno-costantinopolitano: «Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti».Madre Elena fu ricevuta in udienza privata dal Papa cinque mesi dopo l'uscita dell'enciclica. Ma notando che il clero sembrava non sufficientemente interessato ad attuare quanto Leone XIII aveva raccomandato, l'oblata dello Spirito Santo non solo moltiplicò gli opuscoli per richiamare i parroci e i fedeli a questo prezioso culto, ma finanziò anche delle missioni al popolo per propagarlo in Italia. Anche questa iniziativa fu sostenuta dal Pontefice, il quale raccomandò con forza ai parroci di celebrare la novena di Pentecoste «tutti gli anni per il ritorno all'unità di tutti i credenti».Giunsero i tempi della prova e del sacrificio. Fra il 1905 e il 1906 alcune sue consorelle la accusarono di mala gestione, imputandole la dilapidazione del patrimonio dell'Istituto a causa delle sue pubblicazioni; pertanto fu obbligata dalle autorità ecclesiastiche a dimettersi da superiora e le fu impedito di pubblicare altri suoi testi. Da quelle cupe e drammatiche ore infamanti emerse una sua straordinaria e applicata considerazione: «È bello operare il bene, ma rimanere fermi per volere altrui, lasciarsi legare le mani senza ribellarsi, congiungendole in un supremo atto di adorazione e di perfetta adesione al volere di Dio, è opera ancor più sublime, è un trasformare la più umiliante situazione nell'azione più perfetta che possa fare la creatura»Subì ogni cosa senza lamento, offrendo tutto, vita compresa, per il bene della Chiesa. Fra sofferenze e malattie concluse i suoi giorni l'11 aprile 1914. Era Sabato Santo e, poco prima di morire, scese dal letto, baciò per terra e ad alta voce esclamò: «Credo!».

    Miracoli rari: i santi con i corpi incorrotti

    Play Episode Listen Later Nov 5, 2024 9:15


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7962MIRACOLI RARI: I SANTI CON I CORPI INCORROTTI di Roberto de MatteiLo scorso 12 settembre 2024, al termine del Sinodo della Chiesa Armena Cattolica, è avvenuta la traslazione da Roma a Beirut, in Libano, delle spoglie mortali del Servo di Dio, cardinale Gregorio Pietro (in armeno Krikor Bedros) Agagianian, quindicesimo patriarca di quella Chiesa, morto a Roma nel 1971. Il feretro è stato accolto nella capitale libanese dal Patriarca Minassian, dal Primo ministro Najīb Mīqātī e dalle massime personalità religiose e politiche. Ciò che ha reso straordinaria questa traslazione è che il corpo del cardinale Agagianian, oltre mezzo secolo dopo la sua morte, malgrado non sia stato imbalsamato, è incorrotto, perfettamente integro. Il suo volto è tranquillo e sorridente. Sul blog di Padre Livio troverete alcune immagini veramente sorprendenti.Il corpo del cardinale Agagianian, ha attraversato la città di Beirut, in un 'urna trasparente, applaudito dalla folla che lanciava petali di rose come al passaggio di un santo, fino alla cattedrale armena dei Santi Elia e Gregorio Illuminatore, dove è stato sepolto.IL CARDINALE AGAGIANIANMa chi era il cardinale Agagianian? Nato in Georgia nel 1895, Gregorio Pietro Agagianian studiò a Roma fin da giovanissimo presso il Pontificio Collegio Armeno, di cui fu in seguito sia vice-rettore che Rettore e venne ordinato sacerdote nel 1917. Nominato Vescovo  l '11 luglio 1935 da Papa Pio XI, il 30 novembre 1937 fu eletto Patriarca di Cilicia degli Armeni cattolici.Il 18 febbraio 1946 Papa Pio XII lo creò cardinale assegnandogli il titolo di San Bartolomeo all 'Isola. Alla morte di Pio XII, Silvio Negro, vaticanista del "Corriere della Sera", lo indicava come favorito dai pronostici in conclave, per la sua conoscenza della curia, la sua competenza di giurista e la sua pietà esemplare. Fu eletto invece Giovanni XXIII. Il cardinale Agagianian, sostenuto dai conservatori, fu un papabile anche nel conclave del 1963 che elesse Paolo VI. Guidò in veste di prefetto, la Congregazione di Propaganda Fide dal 1958 al 1970 e partecipò al Concilio Vaticano II. Morì a Roma il 16 maggio 1971, in fama di santità. Nel 2022 è stata avviata la sua causa di beatificazione e ha quindi il titolo di Servo di Dio.Nei processi di beatificazione e canonizzazione è prevista la ricognizione canonica dei resti dei candidati alla santità e quando, al momento della riesumazione, il corpo appare non decomposto, senza che vi sia stata un 'imbalsamazione, la Chiesa considera il corpo incorrotto come un segno soprannaturale. Il corpo incorrotto non è in sé stesso una prova di santità, ma ne costituisce una conferma, tanto che la Chiesa lo dichiara al momento della canonizzazione.I santi con i corpi incorrotti sono comunque rari. Infatti i santi canonizzati dalla Chiesa negli ultimi cinque secoli sono stati circa 1700 e di essi poco più di un centinaio sono stati trovati incorrotti. Tra questi santa Cecilia, il cui corpo fu scoperto intatto oltre 1500 anni dopo la morte, santa Chiara da Montefalco e santa Caterina da Bologna, santa Caterina Labouré e santa Bernadette Soubirous, san Giovanni Bosco e san Luigi Orione. Nel bel libro di don Charles Murr L 'anima segreta del Vaticano (Fede e Cultura, Verona 2024), tra i numerosi episodi che Suor Pascalina racconta al giovane sacerdote americano suo amico vi è anche questo. Quando nel 1956 Pio XII volle aprire la causa di beatificazione di Pio IX e fu riesumato il suo corpo, mandò la sua collaboratrice a rivestire il corpo del Papa, dopo che monsignor Enrico Dante e la commissione ne ebbero esaminato lo stato. «Quando la bara fu aperta - ricorda suor Pascalina - non riuscivo a credere ai miei occhi. Sembrava non morto, ma addormentato! Il corpo era perfettamente intatto! Non solo, ma le dita, i polsi, le braccia erano morbidi, flessibili». Suor Pascalina dovette tagliare i capelli, radere la barba e spuntare le unghie di Pio IX, prima di rivestirlo con gli abiti pontifici.Si è parlato di incorruttibilità del corpo anche per Giovanni XXIII, ma il corpo di papa Roncalli, a differenza di quello di Pio IX fu imbalsamato e quando i corpi dei Papi subiscono questo trattamento il fenomeno non può essere definito di origine soprannaturale e l 'ipotesi dell 'incorruttibilità viene esclusa.IL GIUDIZIO UNIVERSALEPerché il numero dei santi che sono sfuggiti al processo di decomposizione è così esiguo? La risposta sta nel dogma centrale della Chiesa cattolica, che è quello della Risurrezione dei morti. I corpi degli uomini sono destinati a decomporsi dopo la morte per poi ricongiungersi con le loro anime alla fine del mondo. La morte è la separazione dell 'anima dal corpo e quando il corpo degli uomini è privato dell 'anima, che è il suo principio unitario e vivificatore, si decompone e torna in cenere. Però, il giorno del Giudizio universale, tutte le anime si riuniranno con i loro corpi che verranno resi incorruttibili, sia quelle degli eletti che quelle dei dannati. In Paradiso e all 'Inferno si andrà con anima e corpo per l 'eternità. Tuttavia, solo i corpi di coloro che saranno in Paradiso riceveranno un corpo glorioso, spirituale, conforme a quello di Cristo risorto. Per questo san Paolo dice «E i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d 'incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d 'immortalità» (1 Cor 15, 52-53).Dio, che destina gli uomini alla corruzione dei corpi, per renderli incorruttibili quando risorgeranno, ha disposto tuttavia che alcuni di essi, eccezionalmente, sfuggano al processo di decomposizione. I loro corpi possono essere accompagnati anche da altri fenomeni soprannaturali, quali il profumo che emanano, il ringiovanimento e talora il movimento. Nel caso del cardinale Agagianian colpisce, ad esempio il ringiovanimento. Basta paragonare le immagini del suo volto riesumato e quelle delle sue ultime fotografie per rendersi conto che il corpo del cardinale dimostra molto meno dei 76 anni che aveva quando è morto. Ciò che è inspiegabile deve rimandarci all 'esistenza di Dio Creatore, che nella sua infinita Sapienza ha la capacità di modificare le leggi della natura per il bene delle anime. Per questo non dobbiamo trascurare i segni che la Divina Provvidenza mette spesso davanti ai nostri occhi. Nel caso del Servo di Dio Gregorio Pietro Agagianian fa riflettere anche il suo arrivo nella Terra dei Cedri, il Libano, proprio nel momento in cui il Medio Oriente è in fiamme, come a significare che solo la santità può spegnere quelle fiamme che rischiano di incendiare il mondo.

    Avviato il processo di beatificazione di re Baldovino

    Play Episode Listen Later Oct 30, 2024 20:14


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7964AVVIATO IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE DI BALDOVINO, RE DEL BELGIO di Cristina Siccardi«Un aborto è un omicidio, si uccide un essere umano», così ha dichiarato il Papa durante il ritorno dal suo recente viaggio apostolico in Belgio, il 46°, conclusosi il 29 settembre. Abbiamo così avuto modo di ascoltare parole di netta verità su un principio assolutamente inconfutabile e il Papa, nel farlo, ha usato parole senza pericolo di ambiguità: «i medici che si prestano a questo sono, permettetemi la parola, sicari». Quindi «su questo non si può discutere», perché «la scienza ti dice che al mese del concepimento ci sono tutti gli organi già... Si uccide un essere umano».Non siamo più abituati, purtroppo, alla verità dei concetti, seppure evidenti come lo sono la cultura/politica a favore della vita e la cultura/politica a favore della morte.A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, l'assassino di una persona “in erba” è una pratica autorizzata per legge in numerosi Paesi nel mondo, soprattutto in Occidente, a discrezione della donna e nei primi mesi della gestazione. Nonostante ci sia, quindi, un'ampia diffusione di questa pratica legislativa, i dibattiti e i dubbi sulla liceità dell'aborto continuano ad essere parte integrante delle nostre società. Con l'edulcorata espressione linguistica «interruzione volontaria di gravidanza», questo tragico problema, che trafigge le coscienze, continua a circolare, e ciò avverrà fin tanto che non sarà chiara a tutti la sacro santa verità pronunciata dal Papa: «Un aborto è un omicidio, si uccide un essere umano», a cui si sono aggiunte le parole, altrettanto reali: «Le donne hanno diritto alla vita, la vita loro e la vita dei figli». Uccidere i figli significa commettere un abominio, indipendentemente da quanti mesi abbia la creatura destinata alla vita e indipendentemente dai problemi che può avere la madre. Non ha forse scandalizzato tutta quanta l'opinione pubblica l'orrenda fine dei piccoli, senza nome, che Chiara Petrolini ha sepolto in giardino a Parma? E che cosa c'è di diverso dai piccoli, senza nome, assassinati nel grembo materno?Il viaggio apostolico in Belgio è stata anche occasione per annunciare una importante iniziativa del Pontefice: a conclusione della visita ha annunciato che avvierà il processo di beatificazione di Baldovino (1930-1993), re del Belgio dal 1951 al 1993, il quale, salito al trono in una fase di crisi politica, di cui peraltro fu costellato il suo lungo regno, affrontò la questione dell'aborto, manifestando la propria fede cattolica; non gestendola, quindi, come fatto religioso privato, ma come realtà pubblica che ha inciso sulle sue scelte a livello nazionale. Atteggiamento ben diverso rispetto a figure di potere che dichiarano di essere cattoliche e poi si comportano come non lo fossero, pensiamo, per esempio, a molti esponenti della vecchia Democrazia Cristiana oppure a contemporanei politici. [...]Nota di BastaBugie: Anselmo Palmi nell'articolo seguente dal titolo "Re Baldovino di fronte alle legge belga sull'aborto" racconta la vita di questo sovrano rispettoso della Legge di Dio prima di quella degli uomini.Ecco l'articolo completo pubblicato il 3 aprile 2006:Si apprestava a festeggiare i suoi 60 anni, poi i 40 anni di regno e i 30 di matrimonio, quando una crisi istituzionale ha rischiato di compromettere tutto. Stiamo parlando del re del Belgio, Baldovino, il quale nei primi giorni di aprile del 1990 si rifiuta, per ragioni di coscienza, di firmare la legge sull'aborto.In un Paese diviso tra le comunità fiamminga e vallona, che oggi convivono nell'ambito di un'incerta struttura federativa, Baldovino era diventato un indispensabile elemento di unità, una sorta di cerniera fra due popoli che non ritenevano di avere un cammino comune da compiere. Nessuno l'avrebbe detto e neppure immaginato quando nel 1951, ad appena 21 anni, egli salì al trono. Il Belgio usciva allora da una grave crisi istituzionale: la guerra, l'occupazione tedesca, l'inquietudine sociale si erano scaricate su re Leopoldo III, accusato di essere stato troppo remissivo verso Hitler e di non aver seguito il governo in esilio a Londra. Nonostante un referendum gli abbia assicurato il 57% dei voti, Leopoldo nel 1950 decide di abdicare in favore del figlio, Baldovino, anche se per molto tempo continua ad esercitare il potere.Baldovino, infatti, è troppo giovane e il potere non era la sua aspirazione primaria. Primogenito di Leopoldo III e di Astrid, entrambi molto amati dalla popolazione, a vent'anni Baldovino si trova praticamente imprigionato nel castello di Laeken, quando la Wehrmacht occupa il paese. Viene poi deportato in Germania con suo padre - naturalmente non come un deportato comune - verso la fine della guerra. Incoronato nel 1951, comincia una carriera politica di dignitoso mediatore tra le parti, in un clima politico reso spesso rovente dalle dispute fra le due comunità linguistiche, fiamminga e vallona.Nel 1960 Baldovino si sposa con la spagnola Fabiola, una persona di profonda fede cattolica. Il cruccio principale della coppia reale sarà quello di non poter avere figli.Baldovino si rivela un sovrano abile e, quando necessario, coraggioso. È lui ad annunciare nel 1959 l'indipendenza del Congo, al fine di evitare un ulteriore spargimento di sangue. È lui ancora a gestire in tutti quegli anni le aspre vicende linguistiche e nazionali che hanno sempre contrapposto fiamminghi e valloni. Grazie alla sua opera di mediazione la monarchia è tornata popolare in Belgio e il Paese ha conservato la sua unità. Tutto ciò viene però messo improvvisamente in discussione dal dibattito in merito al problema dell'aborto.UN IMPEDIMENTO MORALEII 29 marzo 1990 in Belgio, dopo il Senato, anche la Camera dei Deputati approva una legge, d'iniziativa socialista e liberale, che autorizza quasi senza limiti l'interruzione volontaria della gravidanza nelle prime dodici settimane. Questa legge, che depenalizza l'aborto, giunge al termine di un dibattito durato vari mesi ed è il risultato di un difficile e delicato compromesso tra i due partiti della maggioranza parlamentare che sostiene il governo: quello socialista, favorevole alla legge sull'aborto, e quello cristiano-sociale, contrario. Non rimane che la firma reale perché la legge divenga esecutiva.Si tratta in apparenza di una formalità, dato che in Belgio, come in tutti i Paesi a monarchia costituzionale, il re non può far altro che approvare le decisioni del Parlamento. Infatti l'art. 69 della Costituzione belga specifica che «il re ratifica e promulga le leggi». Quando il re ratifica una legge, dimostra però anche il suo consenso al testo approvato dalle Camere. E nel nostro caso manca il consenso del re: Baldovino si rifiuta di firmare la legge sull'interruzione di gravidanza. La sua decisione non giunge del tutto inattesa, poiché già in varie occasioni il sovrano aveva fatto sapere che non era disposto a firmare una legge che riteneva lesiva della sua coscienza di cattolico. Nel suo discorso del 31 dicembre 1989 aveva, ad esempio, chiaramente affermato che il potere politico doveva fare tutto il possibile per difendere la vita, comunque.Il rifiuto del re crea in Belgio una situazione eccezionale, storica. È la prima volta che un fatto del genere avviene in questo Paese. Baldovino precisa il suo pensiero in merito con una lettera che invia al capo del governo, Wilfried Martens.Signor Primo Ministro,in questi ultimi giorni ho potuto manifestare a numerosi esponenti politici la mia grande preoccupazione circa il progetto di legge relativo all'interruzione di gravidanza. Questo testo sta per essere votato alla Camera, dopo esserlo stato al Senato. Mi rincresce che non sia stato raggiunto un accordo fra le principali forze politiche su un argomento così fondamentale.Questo progetto di legge suscita in me un grave problema di coscienza. Temo infatti che esso venga recepito da una gran parte della popolazione come un'autorizzazione ad abortire durante le prime dodici settimane dopo il concepimento.Nutro anche una serie di preoccupazioni circa la disposizione secondo la quale l'aborto potrà essere praticato al di là delle dodici settimane se il nascituro è affetto "da una menomazione di particolare gravita e riconosciuta come incurabile al momento della diagnosi". Si è meditato come tale messaggio sarebbe avvertito dagli handicappati e dalle loro famiglie?In sintesi, temo che questo progetto porti a una sensibile diminuzione del rispetto della vita nei confronti dei più deboli. Comprenderete, dunque, perché io non voglio essere coinvolto da questa legge. Ritengo che firmando questo progetto di legge e dimostrando nella mia qualità di terzo ramo del potere legislativo il mio accordo con questo progetto, assumerei inevitabilmente una certa corresponsabilità. E questo non posso farlo, per i motivi sopra esposti. So che agendo così non scelgo una strada facile e che rischio di non essere capito da un buon numero di concittadini. Ma è la sola via che in coscienza posso percorrere. Chiedo a quelli che si stupissero della mia decisione: "Sarebbe normale che io fossi il solo cittadino belga costretto ad agire contro la propria coscienza in una questione essenziale? La libertà di coscienza vale per tutti, salvo che per il re?".Capisco peraltro molto bene che non sarebbe accettabile che, a causa della mia decisione, venisse bloccato il funzionamento delle nostre istituzioni democratiche. Per questo invito il Governo e il Parlamento a trovare una soluzione giuridica che concili

    San Tommaso, il dottore angelico in 5 punti

    Play Episode Listen Later Oct 22, 2024 8:58


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7955SAN TOMMASO, IL DOTTORE ANGELICO, IN CINQUE PUNTINel 1567 Papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa (a quel tempo i dottori della Chiesa erano solo i 4 più grandi Padri della Chiesa: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno)di Padre Giorgio CarboneNel 1317, cioè 43 anni dopo la morte e 6 anni prima della canonizzazione, Tommaso d'Aquino era abitualmente chiamato "communis doctor" presso l'Università di Parigi, all'epoca il più importante centro di studi di Filosofia e di Teologia. 250 anni dopo, esattamente il 15 aprile 1567, il papa san Pio V proclamò san Tommaso dottore della Chiesa. Oggi i dottori della Chiesa sono 37, ma allora erano solo 4: Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno. Pertanto sia il titolo in sé sia il numero esiguo dei santi proclamati tali ci segnalano una dote singolare e rara. (...)In altri termini la Chiesa segnala in Tommaso un eccellente maestro della fede cristiana e del pensiero umano, esemplare per gli scritti e per la fedeltà a Cristo Signore vissuta nella sua esistenza. (...) Se consideriamo che il Concilio Vaticano II indica solo Tommaso d'Aquino come maestro cui ispirarsi, e non altri teologi o dottori, allora questi due brani del magistero conciliare acquistano un significato peculiare per il nostro discorso. Questa presa di posizione ufficiale con grande probabilità fu ispirata da papa Paolo VI, il quale un anno prima, il 12 marzo 1964, rivolgendosi agli insegnanti e agli studenti dell'Università Gregoriana di Roma aveva detto: «I professori ascoltino con riverenza la voce dei dottori della Chiesa, tra i quali san Tommaso d'Aquino occupa un posto speciale. Infatti, la forza dell'ingegno del Dottore Angelico, il suo sincero amore per la verità e la sua sapienza nel ricercare le altissime verità, illustrarle e unirle in un nesso appropriatissimo sono talmente grandi che la sua stessa dottrina è uno strumento efficacissimo non solo per dare alla fede un solido fondamento, ma anche per sperimentare utilmente e con sicurezza i frutti di un suo sano sviluppo».RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONEGiovanni Paolo II nell'enciclica Fides et Ratio dedicata al rapporto tra fede e ragione cita ripetutamente san Tommaso e dedica un intero paragrafo alla «novità perenne» del suo pensiero (nn. 43-44). (...): «(...) Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche modo "esercizio del pensiero"; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole. E per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia. (...) Tra le grandi intuizioni di san Tommaso vi è anche quella relativa al ruolo che lo Spirito Santo svolge nel far maturare in sapienza la scienza umana. Fin dalle prime pagine della sua Summa Theologiae l'Aquinate volle mostrare il primato di quella sapienza che è dono dello Spirito Santo ed introduce alla conoscenza delle realtà divine. La sua teologia permette di comprendere la peculiarità della sapienza nel suo stretto legame con la fede e la conoscenza divina. Essa conosce per connaturalità, presuppone la fede e arriva a formulare il suo retto giudizio a partire dalla verità della fede stessa: "La sapienza elencata tra i doni dello Spirito Santo è distinta da quella che è posta tra le virtù intellettuali. Infatti quest'ultima si acquista con lo studio: quella invece viene dall'alto, come si esprime san Giacomo. Così pure è distinta dalla fede. Poiché la fede accetta la verità divina così com'è, invece è proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità divina". La priorità riconosciuta a questa sapienza, tuttavia, non fa dimenticare al Dottore Angelico la presenza di altre due complementari forme di sapienza: quella filosofica, che si fonda sulla capacità che l'intelletto ha, entro i limiti che gli sono connaturali, di indagare la realtà; e quella teologica, che si fonda sulla Rivelazione ed esamina i contenuti della fede, raggiungendo il mistero stesso di Dio. Intimamente convinto che "omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est", san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità. In lui, il Magistero della Chiesa ha visto ed apprezzato la passione per la verità; il suo pensiero, proprio perché si mantenne sempre nell'orizzonte della verità universale, oggettiva e trascendente, raggiunse "vette che l'intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare». Con ragione, quindi, egli può essere definito "apostolo della verità". Proprio perché alla verità mirava senza riserve, nel suo realismo egli seppe riconoscerne l'oggettività. La sua è veramente la filosofia dell'essere e non del semplice apparire».SAN TOMMASO, MAESTRO PERENNE, IN CINQUE PUNTIPossiamo così riassumere gli aspetti per cui san Tommaso è presentato come maestro perenne:- l'amore sincero per la verità che induce a dialogare con l'altro per conoscere le sue opinioni e a cercare sempre, non il rispetto umano o il concordismo, ma l'adesione anche spregiudicata dell'intelligenza alla realtà;- la fiducia nella ragione umana: questa è capace di conoscere la realtà, e quindi di approdare al vero;- l'armonia e la collaborazione tra la ragione e la fede: sono due modi diversi e complementari di conoscere il reale;- la capacità di esercitarsi nella speculazione delle cose conosciute per cogliere il nesso che le unisce (altrimenti il sapere è ridotto ad un'accozzaglia di nozioni) e per proporre un sistema coerente di idee;- il primato dato a Dio, che creandoci ci dà oggi la vita e la capacità di agire, e quindi il primato dato alla comunione con Dio nella preghiera, nella Messa e nell'Eucaristia offerta e adorata. Tommaso era solito dire ai suoi confratelli e ai suoi studenti che aveva imparato di più pregando che studiando.

    San Girolamo e la caduta dell'impero romano

    Play Episode Listen Later Oct 2, 2024 9:29


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7932SAN GIROLAMO E LA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO di Roberto de MatteiIl 30 settembre si celebra la memoria di san Girolamo (347-420) uno dei più grandi Dottori della Chiesa, che, come sant'Agostino, si trovò a vivere il dramma della caduta dell'Impero romano.Girolamo nacque a Stridone, in Dalmazia, nel 347, studiò a Roma, dove ricevette il battesimo. Si recò quindi in Oriente, soggiornando soprattutto ad Antiochia. Tornato a Roma nel 382, divenne segretario di papa Damaso e indirizzò all'ideale ascetico vari nobili romani. Un gruppo di donne dell'aristocrazia si riunirono sotto la guida di Girolamo per condurre una vita più perfetta, seguendo il suo appello a una nuova nobiltà cristiana, basata sulla preghiera e sulla verginità. Tra queste ricordiamo Marcella che fece del suo palazzo sull'Aventino una sorta di convento femminile, Fabiola, Proba, Paola. Dopo la morte di san Damaso però, Girolamo fu fortemente combattuto dalla Curia romana, e venne perfino accusato della morte di una sua discepola per i suoi digiuni eccessivi. Nel 386 lasciò allora Roma e si trasferì in Palestina. Alcune discepole, tra cui Paola e la figlia Giulia Eustochio, che saranno entrambe canonizzate, per non perdere i suoi insegnamenti, lo seguirono e decisero di rimanere con lui in Terra Santa fino alla fine dei loro giorni. "Onore a queste valorose! - scrive dom Guéranger - La loro fedeltà, la loro sete di sapere, le loro pie importunità procureranno al mondo un tesoro che non ha prezzo: la traduzione autentica dei Libri santi (Conc. Trid. Sess. IV)". Infatti fu grazie alla loro collaborazione che Girolamo realizzò quella che fu la principale opera della sua vita: la traduzione della Bibbia dal greco e dall'ebraico al latino, la celebre Vulgata, che è ancora oggi il testo biblico ufficiale a cui fa riferimento la Chiesa.Girolamo subì durante la sua vita attacchi e diffamazioni, anche all'interno della Chiesa. A Gerusalemme entrò in contrasto con il vescovo Giovanni, che appoggiava l'eretico Pelagio. "Forti dell'appoggio del vescovo di Gerusalemme, - scrive Dom Guéranger - i Pelagiani si armarono una notte di torcia e di spada e si gettarono all'assassinio e all'incendio sul monastero di Girolamo e sulle vergini, che dopo la morte di Paola riconoscevano per madre Eustochio. Virilmente affiancata dalla nipote, Paola la giovane, la santa raccolse le sue figliuole e riuscì ad aprirsi un passaggio in mezzo alle fiamme. Ma l'ansietà della terribile notte aveva consumate le sue forze e Girolamo la seppellì presso la mangiatoia del Dio Bambino, come la madre e, lasciando incompiuto il suo commento a Geremia, si dispose egli pure a morire".LA MORTE DI SAN GIROLAMOSan Girolamo morì poco dopo, il 30 settembre 420. Prima di morire fu testimone nelle sue lettere degli eventi terribili che aprirono il IV secolo. Il 31 dicembre dell'anno 406 i barbari attraversarono il Reno su una spessa lastra di ghiaccio, irrompendo all'interno dei confini dell'impero. Erano Vandali, Alani, Svevi, tribù intere, con donne e bambini, carri, bestie e greggi, quelli che travolsero ogni resistenza e dilagarono in Gallia. Nulla poté più fermarli.Una lettera che san Girolamo scrisse da Betlemme nel 409 ci offre un'immagine impressionante della situazione in cui allora versava l'Impero: "Se fino a questo momento alcuni di noi, per quanto rari, stiamo ancora a casa nostra, non è merito nostro ma lo dobbiamo alla misericordia di Dio. Popolazioni senza numero e ferocissime hanno occupato tutte quante le Gallie. Tutto ciò che è compreso tra le Alpi e i Pirenei, tra l'Oceano e il Reno, i Quadi, i Vandali, i Sarmati, gli Alani, i Gepidi, gli Eruli, i Sassoni, i Burgundi, gli Alemanni e - oh, Stato disgraziato! - i Pannoni, nostri nemici, tutto quanto hanno saccheggiato. Magonza, quell'illustre città d'un tempo, è stata presa e rasa al suolo; nella sua chiesa è stata fatta una carneficina di migliaia e migliaia di persone. (...). Le province dell'Aquitania, di Novempopulonia, di Lione e di Narbona sono state completamente rase al suolo (...). Non mi riesce di ricordare Tolosa senza uno scroscio di lacrime. Se finora non è stata demolita lo si deve ai meriti del suo santo vescovo Esuperio. Anche le Spagne sono lì per lì per ricevere il colpo di grazia (...). Da tempo le regioni comprese tra il Ponto Eusino e le Alpi Giulie e che appartenevano a noi, non sono più nostre; e sono ormai trent'anni che, violato il confine del Danubio, si sta combattendo in pieno territorio dell'impero romano. A forza di versar lacrime, le abbiamo perse tutte invecchiando" (Lettera 123, 15-16).IL SACCO DI ROMAIl peggio non era ancora venuto. San Girolamo e le sue discepole si trovavano a Betlemme quando nell'agosto del 410 un immenso esercito di Visigoti, Unni, Alani e Sciti, guidati da Alarico, giunse, senza incontrare resistenza alle porte di Roma e la invase. Rapine, incendi, stragi, desolarono una città che, da ottocento anni, non era mai stata invasa dal nemico.La notizia del sacco di Roma produsse in tutto il mondo un senso di stupore e di profonda costernazione. La città sovrana, la città eterna, Roma, era stata esposta all'oltraggio dei barbari che essa aveva mille volte debellati.Sono commoventi le espressioni di dolore nelle quali proruppe san Girolamo alle successive e sempre più tristi notizie della caduta della città eterna. "Stavo per tradurre Ezechiele - egli racconta - quando mi giunse in Palestina la notizia della presa di Roma per mano di Alarico e della barbarica devastazione dell'Occidente; rimasi istupidito, e nulla più feci se non piangere". "Il più risplendente lume - egli esclama - si è spento; il capo del mondo è tronco e nella rovina di una sola città è perito tutto l'impero". "La città - così egli continua - che aveva soggiogato tutti i popoli, è stata espugnata; quella che aveva raccolto e accumulato tutti i tesori della terra, è ora spoglia e ridotta ad un mucchio di rovine".Eppure mentre l'astro di Roma si spegneva una nuova luce si accendeva: era la Roma cristiana, la Roma degli Apostoli Pietro e Paolo, la Roma che a differenza di quella pagana, avrebbe sfidato i secoli e i millenni.La luce di questa Roma che non tramonta continua a illuminare il mondo anche quando esso, come oggi accade, sembra immerso nelle tenebre. Il mondo moderno sembra seguire il percorso autodistruttivo dell'Impero romano; la Chiesa di Roma è destinata ad affermarsi sulle rovine del mondo moderno, come già accadde dopo il V secolo.

    La clamorosa storia di santa Marta dopo l'ascensione

    Play Episode Listen Later Sep 24, 2024 5:33


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7925LA CLAMOROSA STORIA DI SANTA MARTA DOPO L'ASCENSIONE di Pietro RomanoUno dei classici della letteratura cristiana è la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, che contiene meditazioni spirituali sui tempi liturgici e molte vite di santi e martiri (per "leggenda" non si intende "fatto inventato", ma "storia da leggersi"). Tra queste meditazioni "da leggersi" (per la festa liturgica del giorno) si trova anche la vita di santa Marta. Di famiglia nobile, il padre si chiamava Syro ed era duca di Siria, mentre sua madre si chiamava Encharia. Con la morte dei genitori Marta ereditò, insieme a sua sorella Maria, il castello di Magdala, quello di Betania e Gerusalemme. Stando alla tradizione, Marta non si sposò e dedicò tutta la sua vita a servire Gesù. Dopo l'ascensione i tre fratelli Lazzaro, Marta, Maria Maddalena, insieme ad altri cristiani, perseguitati per la fede e abbandonati su una barca senza né vela n remi, né timone, né provviste, approdarono a Marsiglia, dove santa Marta convertì molti alla fede cristiana.Mentre la santa si dedicava a evangelizzare la Provenza un terribile mostro chiamato Tarasca, devastava quelle terre e uccideva uomini. Quando santa Marta seppe di questa bestia feroce, si recò nei boschi dove l'animale aveva dimora, portando con sé dell'acqua benedetta e pregando intensamente. Scorse la bestia mentre stava divorando un uomo. Con coraggio virile, intinse un rametto d'issopo nell'acqua benedetta e asperse la bestia, tracciando su di essa il segno di Croce. Immediatamente il feroce animale divenne come un agnellino e si mise ai piedi di santa Marta, che lo lego con la propria cintura lo condusse in citta dove fu subito ucciso con lance e pietre. Questa città, in memoria di tale avvenimento, fu chiamata Tarascona. Qui la santa rimase, con il permesso del suo maestro e di sua sorella, vivendo in continua preghiera e digiuni. E in questo stesso luogo, dopo aver eretto un grande monastero di suore ed edificato una basilica in onore della Beata sempre vergine Maria, condusse una vita di aspra penitenza, cibandosi una sola volta al giorno e trascorrendo i giorni e le notti in ginocchio a pregare.Un altro miracolo della Santa è degno di nota. Mentre un giorno predicava la Parola di Dio presso Avignone, tra la città del fiume Rodano, un giovane, che si trovava dall'altra sponda del fiume, desiderando di ascoltare le sue parole e non avendo alcuna barca, si gettò a nuoto nel fiume per raggiungere il luogo dove si trovava la Santa, ma la violenza della corrente lo travolse e il povero uomo annegò. La gente del posto ritrovò il suo corpo il giorno dopo e pensò di portarlo subito ai piedi di santa Marta perché lo resuscitasse. Ella, avendo saputo cosa fosse successo, si mise on le braccia aperte a forma di croce e pregò così il Signore: "Oh Adonay, Signore Gesù Cristo, che un giorno resuscitasti il mio amato fratello, guarda alla fede di coloro che sono qui presenti e risuscita questo giovane". Quindi, lo prese per mano, l'uomo si alzò e ricevette il battesimo.Proprio a Tarascona, nel X secolo fu edificata la prima Chiesa dedicata a Santa Marta e la sua memoria si festeggia il 29 luglio con grande solennità e una tradizionale processione, nella quale viene ripresentato l'episodio in cui Santa Marta ammansisce il drago feroce.Santa Marta, il cui nome in aramaico significa "padrona", è la protettrice delle casalinghe, delle domestiche, degli albergatori e dei cuochi, ma, potremmo dire, è soprattutto la patrona di tutti coloro che sono preoccupati e agitati per molte cose, e dimenticano l'unica cosa necessaria: rimanere in amorosa unione e adorazione dell'Ospite divino Gesù.

    Il beato Schuster

    Play Episode Listen Later Sep 18, 2024 8:25


    https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7924IL BEATO SCHUSTER, ARCIVESCOVO DI MILANOdi Roberto de MatteiIl 30 agosto sono ricorsi i 70 anni dalla morte del beato cardinale Ildefonso Schuster, monaco benedettino, cardinale di Santa Romana Chiesa e arcivescovo di Milano.Fu battezzato con il nome di Alfredo Ludovico a Roma, dove nacque il 18 gennaio 1880, primogenito di Giovanni, zuavo pontificio di origine bavarese, e della sua terza moglie, Maria Anna Tutzer di Bolzano. A nove anni, perse il padre e per interessamento del barone Pfiffer d'Altishofen, colonnello delle guardie svizzere, venne mandato a studiare presso i benedettini del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura. Qui ebbe come maestro il beato Placido Riccardi (1844-1915), rettore dell'abbazia di Farfa, che lo aiuto a discernere la vocazione religiosa. Entrato come novizio nell'ordine benedettino col nome di Ildefonso prese i voti nel 1899, si laureò in filosofia al Collegio di S. Anselmo e nel 1904 divenne sacerdote.Mostrò, fin da giovanissimo, grandi qualità di studioso, nei campi della storia, dell'archeologia, della liturgia, della musica sacra, ma soprattutto si distinse per una grande pietà ed esattezza nell'osservanza della disciplina monastica. Gli vennero perciò affidati importanti incarichi, come il rettorato del Pontificio istituto Orientale e la missione di visitatore apostolico in Lombardia, Campania e Calabria. Il 26 marzo 1918, a soli 38 anni, fu eletto abate del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura, incarico che mantenne fino a quando, nel 1929, Pio XI lo scelse come arcivescovo di Milano, creandolo cardinale. Fu il primo vescovo a prestare giuramento di fedeltà davanti a Vittorio Emanuele III, come prevedevano i Patti Lateranensi appena firmati tra Italia e Santa Sede l'11 febbraio dello stesso anno.Il cardinale Schuster osservò una posizione di lealismo nei confronti delle legittime autorità politiche, che in quel momento erano rappresentate dal sovrano sabaudo e dal Duce del fascismo Benito Mussolini. Ciò non gli impedì di resistere ai tentativi di ingerenza del regime fascista nella vita della sua diocesi e di denunciare il razzismo hitleriano come "un'eresia", in una celebre predica dal pulpito del Duomo, il 13 novembre 1938, che suscitò la protesta del regime (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, NED, Milano 1994, pp. 64-65).UN PASTORE ESEMPLAREFu un pastore esemplare del popolo a lui affidato. Milano era una diocesi di 1000 parrocchie servite da 2000 sacerdoti. Schuster compì in venticinque anni ben cinque Visite Pastorali, consacrando 280 nuove chiese, ma senza mai mancare alla Messa Capitolare di ogni domenica e di ogni festa.Durante la Seconda guerra mondiale appartenne a quel gruppo di coraggiosi Pastori, come i cardinali Elia Dalla Costa (1872 - 1961), arcivescovo di Firenze, e Antonio Santin (1895-1981), arcivescovo di Trieste, ai quali fu applicato il titolo di "defensor civitatis", per l'impegno con cui difesero la loro diocesi nelle ore più buie del conflitto. Nell'aprile 1945, alla caduta della Repubblica Sociale Italiana, il cardinale propose una trattativa tra i rappresentanti partigiani e Mussolini, ma quest'ultimo invece di consegnarsi agli alleati, preferì partire verso quel confine svizzero dove trovò la morte. Quando i corpi di Mussolini e dei gerarchi fascisti furono esposti a piazzale Loreto, Schuster ne condannò lo scempio e li benedisse per il rispetto che si deve a qualsiasi cadavere. Nel dopoguerra fu eletto primo presidente della Conferenza episcopale italiana e nel 1954, ammalato, si ritirò nel seminario di Venogono, da lui fatto costruire, dove si spense il 30 agosto di quell'anno. Fu beatificato il 12 maggio 1996 da Giovanni Paolo II, che ne fissò la memoria liturgica al 30 agosto. E' sepolto nel Duomo di Milano, dove è continuo il flusso davanti ai suoi resti mortali.Il cardinale Schuster fu sempre e innanzitutto un figlio di San Benedetto, di cui meditò a fondo la Regola, basata sull'Ora et labora. Egli era convinto che questa Regola, che fonde in un armonioso equilibrio la preghiera e l'azione, potesse plasmare la vita non solo dei monaci, ma di chiunque sia disposto a vivere nel mondo, ispirandosi alla spiritualità benedettina.  Prese certamente come modello uno dei suoi predecessori più illustri nel governo della diocesi di Milano, san Carlo Borromeo, ma non bisogna dimenticare, un'altra eminente figura a lui particolarmente cara, il beato benedettino, Giuseppe Benedetto Dusmet, dei marchesi de Smours (1818 - 1894), cardinale-arcivescovo di Catania, pastore amatissimo del popolo della città etnea.RTANTI STUDI SUI SACRAMENTI E SULLA LITURGIAIl cardinale Schuster va ricordato inoltre per i suoi importanti studi sui sacramenti e sulla liturgia, come il Liber Sacramentorum (Marietti, Torino 1919-1929), un commento storico-liturgico in 9 volumi al Messale Romano, frutto delle lezioni tenute presso il Pontificio Istituto di Musica sacra. Il vescovo Cesario d'Amato, che di lui fu successore alla guida dell'abbazia di San Paolo, racconta di aver avuto, per due anni, l'onore di servire la Messa al futuro cardinale nel suo oratorio privato e riferisce che Schuster "[...] subito si metteva allo scrittoio a scrivere rapidamente il commento alla messa del giorno. La maggior parte del Liber Sacramentorum è nata così, per dirlo con una frase che gli piaceva: «sulle ginocchia».Al centro della vita spirituale del cardinale Schuster è Gesù Cristo, Verbo Incarnato e Re della storia. Questo è il titolo delle sue Lezioni di storia ecclesiastica, in cui scrive: "la storia della società cristiana esige (...) un primo principio di azione tutto divino, onnipotente e sapiente che noi ammaestrati dalla Teologia riconosciamo nello Spirito di Colui che ci ha promesso che sarebbe rimasto tra noi sino alla fine dei secoli" (Gesù Cristo nella storia. Benedictina Editrice, Roma 1996, pp. 34-35).Ai seminaristi di Venegono, poco prima di morire, disse: «Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio» (Angelo Majo, Schuster, una vita per Milano, p. 32).Vivo o morto. La distinzione è importante. Non sempre infatti nella vita di un santo tutti accorrono al suo passaggio. Sappiamo bene che molti attraversano il proprio tempo, ignoti o incompresi dai più. Ma tutti accorrono al passaggio dei santi dopo la loro morte, amandoli e onorandoli, soprattutto quando la Chiesa ne ha decretato le virtù. Così accade oggi per il beato cardinale Ildefonso Schuster, di cui chiediamo l'intercessione.

    Apostolo del Sacro Cuore e padre spirituale di santa Margherita Maria Alacoque

    Play Episode Listen Later Jun 25, 2024 10:43


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7827APOSTOLO DEL SACRO CUORE E PADRE SPIRITUALE DI SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE di Roberto de MatteiLa devozione al Sacro Cuore che caratterizza il mese di giugno è legata soprattutto alla figura di santa Margherita Maria Alacoque, (1647-1690), suora dell'ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales e santa Giovanna di Chantal. Fu a questa umile suora che la Provvidenza affidò un grande rimedio soprannaturale contro una nuova eresia che nasceva nel XVII secolo.Questa nuova eresia era il giansenismo, una corrente religiosa che sul piano dogmatico stravolgeva la dottrina cattolica della grazia, spingendola verso il calvinismo, e sul piano morale rinchiudeva la vita cristiana in un tetro e insopportabile rigorismo. I giansenisti ignoravano il ruolo della misericordia, appellandosi solo alla implacabile giustizia divina. Ma al di là degli errori teologici e morali, la peggiore insidia giansenista stava nel suo tentativo di voler riformare la Chiesa dall'interno e non più dall'esterno, come aveva cercato di fare il protestantesimo. Il giansenismo intendeva rimanere dentro la Chiesa, senza essere condannato, ma cercando anzi la condanna dei suoi avversari che, in quel momento, erano soprattutto i gesuiti, i più fedeli difensori dell'ortodossia romana.I disegni della Divina Provvidenza sconvolsero questo programma di distruzione della Chiesa. Margherita Maria Alacoque, lo strumento di questo straordinario intervento della grazia, nacque in Borgogna nel 1647, e dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, nelle visitandine del convento di Paray-le-Monial, dove fu incompresa dalle consorelle e malgiudicata dai superiori, finché, nel 1675 fu nominato Rettore del Collegio gesuita di Paray-le-Monial il padre Claudio de La Colombière, che aveva allora 34 anni, ma si era già distinto per la sua pietà e la sua dottrina. D'accordo con il suo Superiore, oltre al voto di obbedienza al Papa, il padre de La Colombière aveva pronunciato quello, eroico, di osservare sotto pena di peccato tutte le regole del suo OrdineUN INCARICO APPARENTEMENTE SECONDARIOI superiori gli affidarono un incarico apparentemente secondario, perché sapevano che nel Monastero della Visitazione, si trovava una religiosa favorita da rivelazioni del Cielo. Margherita Maria, da parte sua, aspettava che il Signore adempisse la promessa di inviarle un suo  "servo fedele e amico perfetto ", per realizzare la missione alla quale la destinava: manifestare al mondo le ricchezze imperscrutabili del suo amore.Giunto nella sua nuova destinazione il padre de La Colombière, incontrò suor Margherita Maria e ne divenne direttore spirituale, orientandola nella sua vita spirituale e suggerendogli di mettere per iscritto tutto ciò che passava nella sua anima. Durante l'ottava del Corpus Domini 1675, Gesù, mostrando il suo Cuore a Margherita, le disse:  "Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e in contraccambio non riceve che ingratitudini, disprezzo, irriverenze, sacrilegi e freddezza in questo Sacramento d'amore ".Quella del giansenismo era una concezione di Dio oppressiva ed angosciante. Il Sacro Cuore appare a santa Margherita Maria Alacoque affermando, invece, che bisogna abbandonarsi al suo Amore, e formulando la grande promessa dei primi Nove Venerdì del mese: "Io ti prometto nell'eccesso della misericordia del mio Cuore che il mio Amore onnipotente concederà a tutti quelli che si comunicheranno al primo venerdì del mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale; essi non morranno nella mia disgrazia, né senza ricevere i Sacramenti, servendo loro il mio cuore di asilo sicuro in quell'ora estrema ". Il Signore disse poi alla religiosa visitandina: "Rivolgiti al mio servo, il Padre de La Colombière, e digli da parte mia di fare il possibile per propagare questa devozione e di fare questo piacere al mio Cuore divino... Sappia che è onnipotente colui che diffida interamente di se stesso per confidare solo in me ".Margherita comunicò il suo messaggio al Padre e tutti e due, il 21 giugno, si consacrarono al Cuore di Gesù e moltiplicarono i loro sforzi per diffondere questa devozione. La loro fu un'inscindibile amicizia spirituale dai frutti straordinari.Dopo un anno e mezzo di permanenza a Paray-le-Monial, nel 1676 il padre de La Colombière fu destinato a Londra, come cappellano della giovane duchessa di York, Maria Beatrice d'Este, nota in Inghilterra come Mary of Modena, perché era figlia del duca di Modena Alfonso d'Este. Maria di Modena aveva sposato Giacomo Stuart, duca di York, che, alla morte del fratello Carlo II, nel 1685, avrebbe regnato con il nome di Giacomo II, fino alla Rivoluzione del 1688, che stroncò la possibilità di una restaurazione cattolica dell'Inghilterra. Giacomo si era segretamente convertito al cattolicesimo, mentre la moglie Maria subiva una dura opposizione a causa della sua fede cattolica.LA MISSIONE A LONDRANella Londra ferocemente protestante, esisteva però un'enclave cattolica, che aveva il suo centro nella chiesa di St. James nella Spanish Place dove, dal 1676 al 1679 il padre de La Colombière, predicò, dedicandosi all'istruzione nella vera fede di cattolici o ex-cattolici inglesi. In questa Chiesa sarebbe stato battezzato, due secoli dopo, l'11 ottobre 1865, Rafael Merry del Val, futuro cardinale di Santa Romana Chiesa.Improvvisamente, alla fine del 1678, il padre de La Colombière fu arrestato sotto l'accusa calunniosa di essere coinvolto in uno pseudo "complotto papale ". Fu imprigionato nel carcere di King's Bench, dove restò durante tre settimane, sottoposto a gravi privazioni, ma in virtù della sua posizione a corte e della sua cittadinanza francese, sfuggì alla condanna a morte e fu espulso dall'Inghilterra. Tornò a Paray-le-Monial dove morì, a soli 41 anni, il 15 febbraio 1682. Da quel giorno, nella sua preghiera personale, alle litanie dei santi santa Margherita Maria aggiungeva: "San Claudio, prega per noi! "Nel 1929, Claudio de La Colombière fu beatificato da papa Pio XI e nel 1992 canonizzato da Giovanni Paolo II. La casa editrice AdP ha ripubblicato nel 2023 il suo Diario spirituale, che merita di essere letto da chiunque voglia approfondire la devozione al Sacro Cuore, ma anche da chiunque voglia capire come vivere in spirito di completo abbandono alla Divina Provvidenza. Nel Diario, san Claudio traccia questo programma: "Vivere giorno per giorno. Sperare di morire nell'occupazione che svolgiamo ". Cercare, in una parola, la perfezione nel momento presente, non preoccupandoci del nostro domani e affidandoci ciecamente a Dio. "Mio Dio, - scrive - sono intimamente persuaso che non sarà mai troppa la fiducia che ho in Te e che, ciò che otterrò da Te, sarà sempre al di sopra di ciò che avrò sperato ".Lo spirito di abbandono alla Provvidenza e la devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, sono più che mai necessari per infondere vita e calore soprannaturale in un'epoca, come la nostra, in cui le anime sembrano così spesso raggelate e prive del fuoco dell'Amore divino.

    Beatificato don Streich, martire ucciso dai comunisti

    Play Episode Listen Later Jun 19, 2024 18:29


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7828BEATIFICATO DON STREICH, MARTIRE UCCISO DAI COMUNISTI di Wlodzimierz RedziochDurante l'udienza concessa il 23 maggio al card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, Papa Francesco ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare una serie di decreti, tra cui quello riguardante il martirio del Servo di Dio Stanislao Kostka Streich, sacerdote diocesano; nato il 27 agosto 1902 a Bydgoszcz (Polonia) e ucciso in odio alla fede il 27 febbraio 1938 a Luboń (Polonia). Un'altra vittima del comunismo in Polonia sarà proclamata beata, ma a differenza dei sacerdoti martiri nel periodo comunista, don Streich fu ucciso nella Polonia democratica, prima della Seconda guerra mondiale da un militante comunista. La sua storia assomiglia a tante storie dei sacerdoti dell'Emilia Romagna martirizzati dai comunisti negli anni Quaranta.Un anno prima dell'assassinio di don Streich Pio XI pubblicava l'Enciclica Divini Redemptoris sul «'comunismo bolscevico' ed ateo che mira a capovolgere l'ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana». Nella sua Enciclica il Papa, tra le altre cose, spiegava le cause della violenza esercitata dai comunisti. «Insistendo sull'aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società; e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l'aspetto d'una crociata per il progresso dell'umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano» - scriveva Pio XI. Il martiro di don Streich è la prova della correttezza dell'analisi del Papa che, purtroppo, è sempre attuale.DON STANISŁAW KOSTKA STREICHMa chi era don Stanisław Kostka Streich? Nacque il 27 agosto 1902 a Bydgoszcz che nel periodo delle spartizioni della Polonia ad opera delle potenze confinanti (1795-1918) apparteneva alla Prussia. I suoi genitori erano: Franciszek Streich, impiegato di una Compagnia di Assicurazioni, e Władysława Birzyńska. Nel 1912, dopo aver compiuto i tre anni della scuola dell'obbligo, frequentò per otto anni il ginnasio di Scienze umane fino al 1920. Lo stesso anno, inoltrò una domanda di ammissione al Seminario di Poznań e fu ammesso. Poi studiò a Gniezno e fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1925. Dopo l'ordinazione, negli anni 1925-1928 studiò filosofia classica all'Università di Poznań. Negli anni successivi lavorava come vicario presso varie parrocchie e insegnava religione al seminario.Nel 1933 assunse la funzione di parroco nella località Zabikowo nel territorio del comune di Lubon dove, purtroppo, mancava una vera chiesa: da chiesa fungeva la cappella presso il convento delle Ancelle dell'Immacolata. Don Streich organizzò un comitato per la costruzione della chiesa: nel 1935 fu presa la decisione di avvio della costruzione della chiesa a Luboń e fu istituita la nuova parrocchia di San Giovanni Bosco organizzata attorno alla chiesa in costruzione. Durante i 3 anni del suo lavoro pastorale, prima di essere assassinato, il sacerdote organizzò quasi dal nulla la vita parrocchiale e la vita della comunità. Il suo atteggiamento pieno di premura e disponibilità, la promozione della vita eucaristica nella parrocchia e le attività introdotte conferirono alla parrocchia di San Giovanni Bosco di Lubon una qualità particolare. Don Streich organizzò una serie di organizzazioni cattoliche che poi crebbero in modo meraviglioso. Ma le sue intense attività nel campo sociale, di particolare importanza per Lubon, città abitata prevalentemente da operai, furono malviste dai comunisti locali che volevano instaurare il comunismo.MINACCE DI MORTEPer tutto l'anno 1937 il sacerdote riceveva lettere anonime in cui, con linguaggio ingiurioso e offensivo, si prediceva la sua morte imminente. Ad aprile, qualcuno si introdusse di nascosto nella chiesa, manomise il tabernacolo, forzò le cassette delle offerte e sparpagliò gli abiti di rito. Ad agosto, fu aggredito il guardiano della chiesa. In ottobre, aggressori ignoti lanciarono pietre contro il prete. È proprio in quel mese che scrisse il suo testamento. L'11 febbraio 1938, scrisse la sua ultima lettera alla madre. La domenica del 20 febbraio, nella chiesa successe un fatto strano: fu probabilmente quel giorno che, durante una finta confessione il suo futuro assassino gli comunicò la sua intenzione di ammazzarlo. Dopo quel fatto il sacerdote sembrava cambiato.Il 27 febbraio 1938 alle ore 9.30, don Streich entrò nel confessionale come al solito per sentire le confessioni dei fedeli. Alle 10.00 cominciò a celebrare la Messa. Dopo che si fu allontanato dall'altare, si tolse la casula e si diresse verso il pulpito per leggere il Vangelo e pronunciare la predica. Con la mano sinistra stringeva contro il petto l'evangeliario, con la destra toccava le testine dei bambini. All'improvviso, dalla folla saltò fuori un uomo con la mano alzata e sparò due volte a don Streich mirando alla faccia. Il primo colpo fu mortale: il proiettile entrò sotto l'occhio destro, ruppe l'osso cranico e si fermò nel cervello. La seconda pallottola attraversò l'Evangeliario. Il prete cadde all'indietro sul fianco destro e l'attentatore gli sparò altri due colpi alla schiena. L'atto di decesso precisava il momento della morte: le ore 10.30.I tentativi volti ad avviare l'inchiesta diocesana della causa di beatificazione di don Streich iniziarono subito dopo la sua morte. Sfortunatamente, l'anno successivo scoppiò la Seconda guerra mondiale, successivamente, nel 1945, in Polonia fu istaurato il regime comunista che ovviamente non permetteva d'instaurare un processo di beatificazione di una vittima di un comunista. Solo con la caduta del comunismo nel 1989 si ripresentò la possibilità d'avviare la causa, essendo sempre viva fama di martirio e di santità di don Streich tra i fedeli. Il 26 gennaio 2017, la Congregazione Vaticana per le cause dei santi rilasciò il "nulla osta" per l'istruzione della causa che cominciò nell'arcidiocesi di Poznan. Finita la fase diocesana, il 26 aprile 2019 gli atti furono consegnati alla Congregazione per le Cause dei Santi. L'odierna promulgazione del decreto sul martirio di don Streich apre la strada alla sua già prossima beatificazione.«Quando i cristiani sono veramente lievito, luce e sale della terra, diventano anche loro, come avvenne per Gesù, oggetto di persecuzioni. Come Lui sono 'segno di contraddizione' (...) Quanto utile è allora guardare alla luminosa testimonianza di chi ci ha preceduto nel segno di una fedeltà eroica sino al martirio!» - scriveva Benedetto XVI.Il messaggio del martirio di don Streich rimane sempre attuale nel mondo che continua a combattere la Chiesa di Cristo e perseguita i suoi sacerdoti. Ed è particolarmente attuale anche nella Polonia di oggi dove è iniziata una nuova persecuzione della Chiesa, simile a quella dei tempi del comunismo. I politici, ma prima di tutto i media, fomentano l'odio verso fede cattolica e l'anticlericalismo. E i preoccupanti risultati si vedono: profanazione dei luoghi di culto e dei simboli religiosi, spettacoli blasfemi, attacchi anche fisici ai sacerdoti, ondate di discorsi d'odio conto la Chiesa e i valori cristiani nei social media. Allora il martirio di don Streich dovrebbe essere anche un monito contro chi alimenta l'anticattolicesimo.Nota di BastaBugie: Wlodzimierz Redzioch, nell'articolo seguente dal titolo "Sacerdote arrestato nella nuova Polonia anticlericale" intervista l'avvocato del sacerdote in carcere dal 26 marzo. Si sospetta il movente politico dietro l'arresto, per appropriarsi del suo centro di aiuto alle persone in difficoltà e "regalarlo" a fondazioni di sinistra.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 11 aprile 2024:Quest'anno la Settimana Santa per la Chiesa in Polonia è stata particolare: martedì 26 marzo è stato fermato dalla polizia un sacerdote, padre Michal Olszewski: fermato e subito condannato dal tribunale distrettuale di Varsavia-Mokotów a tre mesi di arresto temporaneo in relazione al caso del Fondo Giustizia. Il difensore di padre Olszewski, l'avvocato Krzysztof Wąsowski ha comunicato che non c'erano motivi per l'arresto e che le accuse rivolte alla Fondazione Profeto diretta dal sacerdote sono infondate. Perciò ha fatto ricorso contro la detenzione del sacerdote. La faccenda riguarda la costruzione del centro "Arcipelago - Isole libere da violenza" destinata ad aiutare le persone in situazioni economiche difficili, socialmente escluse e vittime di violenza e crimini, che viene finanziato principalmente dal Fondo Giustizia gestito dal Ministero della Giustizia.Nemmeno i confratelli di padre Olszewski, i padri del Sacro Cuore di Gesù, potevano contattarlo nel giorno dell'arresto. Lo stesso giorno, gli agenti dell'Agenzia per la Sicurezza Interna (ABW) sono entrati in tre case appartenenti alla congregazione. P. Płatek, portavoce della congregazione, ha dichiarato che il giorno dell'arresto «gli ufficiali dell'ABW sono venuti e hanno fatto delle perquisizioni nelle loro case a Varsavia, Stopnica e Stadniki: erano luoghi dove la Fondazione Profeto svolgeva temporaneamente le proprie attività».L'arresto di p. Olszewski è stato preceduto ed accompagnato dall'odiosa campagna mediatica di denigrazione del sacerdote che l'avvocato ha

    Annuncio ufficiale: Carlo Acutis sarà Santo

    Play Episode Listen Later May 29, 2024 5:26


    VIDEO: Conferenza della mamma di Carlo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=s_hftmmo27AVIDEO: Carlo Acutis e l'autostrada per il cielo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=l6WTVTzxgRoTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7808ANNUNCIO UFFICIALE: CARLO ACUTIS SARA' SANTO di Giuliano GuzzoÈ ufficiale: Carlo Acutis - lo studente morto a soli 15 anni stroncato dalla leucemia fulminante e già beatificato da papa Francesco il 10 ottobre 2020 - sarà santo. L'importante annuncio è arrivato quest'oggi, nel corso dell'udienza al cardinal Marcello Semeraro, prefetto per le Cause dei Santi - e riguarda anche un'altra figura: il beato Giuseppe Allamano, fondatore delle Missioni della Consolata. Il Santo Padre ha difatti autorizzato il Dicastero a promulgare i Decreti riguardanti il miracolo attribuito all'intercessione del giovane, morto nell'aprile 2019.Il miracolo in questione, riferisce Vatican News, è quello avvenuto nel 2022 ad una donna, Liliana, della Costarica. «La donna si inginocchia, prega e lascia una lettera, parole di speranza che avvolgono l'angoscia peggiore per una madre. Sei giorni prima, il 2 luglio, sua figlia è caduta nella notte dalla bici mentre tornava a casa nel centro di Firenze, dove dal 2018 la ragazza si trova per studiare. La notizia che arriva dall'ospedale Careggi è di quelle che schiantano. Trauma cranico molto grave, intervento di craniotomia, asportazione dell'osso occipitale destro per diminuire la pressione, speranze di sopravvivere quasi nulle.Quel 2 luglio, la segretaria di Liliana comincia a pregare il beato Carlo Acutis e l'8 Liliana stessa va ad Assisi. Quello stesso giorno l'ospedale informa: Valeria ha ripreso a respirare spontaneamente, il giorno dopo riprende a muoversi e parzialmente a parlare. Di lì in avanti è uno di quei casi in cui i protocolli medici si fanno da parte. Il 18 luglio la Tac mostra la scomparsa dell'emorragia e l'11 agosto la ragazza viene trasferita per la terapia riabilitativa, ma dopo solo una settimana è chiaro che la guarigione completa è ormai a un passo. E il 2 settembre madre e figlia sono di nuovo ad Assisi sulla tomba di Carlo a dire il loro infinito grazie».Il riconoscimento di questo miracolo e il riconoscere Carlo Acutis come santo certamente allieterà i tantissimi che già erano legati alla figura di questo giovane, considerato il ”patrono di Internet'‘ per la sua passione per l'informatica. In effetti, tanti sono anche i pensieri che, pur nella sua giovane età, il giovane era stato in grado di condividere ed evidentemente ispirati da una fede grandiosa: «L'eucaristia è la mia autostrada per il cielo», «Il rosario è la scala più corta per salire in Cielo», «Tutti nasciamo originali, ma molti muoiono fotocopie»...Detto questo, c'è da immaginare che, con la notizia di oggi, Carlo Acutis - giustamente - diventerà sempre più un riferimento non solo per la Chiesa tutta e per i fedeli in generale, ma soprattutto per quei giovani che, spesso, sembrano come distanti alla fede o percepiscono la santità come un traguardo irraggiungibile; mentre invece la breve ma luminosissima vita di questo giovane santo (ora possiamo dirlo), dimostra che è qualcosa cui si può guardare; anche a prescindere da quella che è la religiosità della propria famiglia.La madre di Carlo Acutis, infatti, non ha problemi a riconoscere che la fede di suo figlio non dipendeva da quella sua famiglia, che era assai più blanda per così dire. «Non è certo per merito di noi genitori», disse infatti la donna al Corriere della Sera, intervistata da Stefano Lorenzetto, «lo scriva pure. In vita mia ero stata in chiesa solo tre volte: prima comunione, cresima, matrimonio. E quando conobbi il mio futuro marito, mentre studiava economia politica a Ginevra, non è che la domenica andasse a messa [...] un ruolo lo ebbe Beata, la bambinaia polacca, devota a papa Wojtyla».«Ma c'era in lui una predisposizione naturale al sacro», ricorda ancora la madre del giovane, «a 3 anni e mezzo mi chiedeva di entrare nelle chiese per salutare Gesù. Nei parchi di Milano raccoglieva fiori da portare alla Madonna. Volle accostarsi all'eucaristia a 7 anni, anziché a 10». Insomma, sin da giovanissimo Carlo Acutis già si era scelto «l'autostrada per il cielo» giusta, tracciando un sentiero che, da oggi, potrà essere seguito da tutti quanti noi con ancora maggiori convinzione e gratitudine.

    San Giuseppe Cottolengo, il gigante della carità

    Play Episode Listen Later May 14, 2024 8:11


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7791SAN GIUSEPPE COTTOLENGO, IL GIGANTE DELLA CARITA' di Roberto de MatteiMartedì 30 aprile 2024 tutti i religiosi della Piccola Casa della Divina Provvidenza e delle congregazioni ad essa collegate hanno festeggiato la solennità di san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842) a novant'anni dalla sua canonizzazione.Giuseppe Cottolengo fu infatti proclamato santo il 19 marzo 1934 nella Basilica di San Pietro da Papa Pio XI, che lo definì "gigante della carità" e "genio del bene".Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra, cittadina della provincia di Cuneo, nel Piemonte sabaudo, il 3 maggio 1786. In quegli stessi anni l'ex-gesuita Nikolaus von Diessbach e il sacerdote Pio Brunone Lanteri fondavano a Torino la Amicizia Cristiana, che poi divenne la Amicizia Cattolica, una società segreta che si opponeva agli errori del tempo, l'illuminismo e il giansenismo, riproponendo l'autentico spirito cattolico, soprattutto la spiritualità di sant'Ignazio e la teologia morale di sant'Alfonso de'Liguori. Negli anni che vanno tra la Rivoluzione francese e la restaurazione sabauda del 1814, l'opera di disseminazione intellettuale e spirituale delle Amicizie preparò la grande rinascita del Piemonte cattolico nell'Ottocento.Uno dei primi frutti di questa rinascita fu Giuseppe Cottolengo, che nel 1811 abbracciò la via del sacerdozio, imitato anche da due fratelli. Fu nominato canonico e divenne un apprezzato predicatore e conferenziere. Dio però chiedeva qualcosa di più da lui e gli manifestò la sua Volontà, in modo drammatico, la domenica mattina del 2 settembre 1827. Proveniente da Milano giunse a Torino una diligenza dove si trovava una famiglia francese in cui la moglie, con cinque bambini, era in stato di gravidanza avanzata e con la febbre alta. Dopo aver vagato per vari ospedali, quella famiglia trovò alloggio in un dormitorio pubblico, ma la situazione per la donna andò aggravandosi e alcuni si misero alla ricerca di un prete. Fu chiamato Cottolengo, e fu proprio lui, ad accompagnare alla morte questa giovane madre. Rimase profondamente colpito da questo evento e pregò davanti al Santissimo Sacramento: "Mio Dio, perché? Perché mi hai voluto testimone di una morte così triste? Cosa vuoi da me?". Rialzatosi, fece suonare tutte le campane e accendere le candele, esclamando: "La grazia è fatta! La grazia è fatta!". Da quel momento il Cottolengo fu trasformato: tutte le sue capacità, specialmente la sua abilità economica e organizzativa, furono utilizzate al servizio dei più bisognosi.UNA SANTA GARAAffittò un paio di camerette nel centro di Torino e iniziò ad accogliere poveri e sofferenti, con l'aiuto di collaboratori e volontari. Tra essi una giovane vedova, Marianna Nasi, che fu alle origini delle sue suore, la cui giornata era divisa tra il servizio ai poveri e l'adorazione al Santissimo Sacramento. Fondò poi una famiglia religiosa di fratelli laici, e una comunità di sacerdoti, con la stessa missione di assistenza ai poveri e ai malati. Le dimensioni dell'iniziativa furono tali da obbligarlo ad allargarsi verso la periferia di Torino, a Valdocco. Cottolengo creò una sorta di villaggio, nel quale ad ogni edificio assegnò un nome significativo: "casa della fede", "casa della speranza", "casa della carità", coinvolgendo uomini e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare insieme le difficoltà che si presentavano.Il canonico Cottolengo era di una carità eroica, ma la sua virtù più caratteristica era la fede nella Divina Provvidenza. Diceva: "Io sono un buono a nulla e non so neppure cosa mi faccio. La Divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole. A me tocca solo assecondarla. Avanti in Domino". Fu detto che una santa gara si avvertiva fra il totale abbandono del Cottolengo nelle mani della Divina Provvidenza e la cura della Provvidenza Divina nel premiare, spesso in modo prodigioso, la smisurata fiducia che egli aveva in essa.OPERE STRAORDINARIE E STRAORDINARIE DIFFICOLTÀNello spazio di quindici anni, Cottolengo realizza opere straordinarie, ma conosce anche straordinarie difficoltà. Nel 1838 viene denunciato per i debiti che fa per le sue case e parte un'inchiesta governativa nei suoi confronti. Il Re Carlo Alberto, invia due suoi uomini di fiducia il conte di Collegno e il conte di Castagnetto, che lo interrogano severamente. Cottolengo risponde: "Ho esaminato la casa per vedere se vi è qualche disordine tale da attirare l'abbandono del Cielo, non vi è nulla. Dunque perché le risorse mi vengono meno? Ecco ciò che penso: nella Piccola Casa non ho mai lasciato un letto vuoto. Ora da qualche tempo ho due o tre camere sottotetto vuote. Ecco la causa dell'abbandono di Dio. Ho mancato di fiducia. Datemi una piccola somma affinché io possa ripulirle, allestirle e riempirle di poveri, e fra un mese la situazione sarà capovolta". Nel diario del conte di Castagnetto che riporta il dialogo, si legge: "Il conte di Collegno ed io ci guardammo: dopo tre ore di discussione giungemmo alla conclusione che per sanare una situazione finanziaria disastrosa bisogna aumentare le spese! La fede di quest'uomo è ben grande e ci è mancato il coraggio di opporvici".La sera Cottolengo scrive al conte di Castagnetto, "Ho ferma fiducia di arrivare a Pasqua vedendo allargata la mano di Dio sulla Piccola Casa". E così' avvenne. Arrivarono delle inaspettate donazioni e per Pasqua il debito fu ripianato.Era il 1838. Cottolengo aveva davanti a sé solo quattro anni di vita nei quali fondò cinque monasteri di suore contemplative e uno di eremiti, considerandoli tra le realizzazioni più importanti. Mancano tre giorni ai suoi cinquantasei anni quando rimane vittima di un'epidemia di tifo. Muore a Chieri, il 30 aprile 1842, mentre Torino è in festa per le nozze del giovane Re Vittorio Emanuele II. Le sue ultime parole sono: "Misericordia, Domine; Misericordia, Domine. Buona e Santa Provvidenza... Vergine Santa, ora tocca a Voi".Con san Giuseppe Cafasso, san Giovanni Bosco, san Luigi Orione e tanti altri santi e beati, san Giuseppe Cottolengo costituisce una fulgida espressione di quella grande fioritura spirituale piemontese che aveva avuto i suoi prodromi nell'opera silenziosa, ma decisiva delle Amicizie cristiane.

    Il cavaliere perfetto, eroe nazionale del Portogallo

    Play Episode Listen Later May 14, 2024 9:39


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7792IL CAVALIERE PERFETTO, EROE NAZIONALE DEL PORTOGALLOCombattente devotissimo alla Madonna, Nuno Alvares de Pereira decise di ritirarsi in un convento carmelitano e ai funerali era già acclamato come santodi Rino CammilleriÈ singolare come due nazioni tendenzialmente pacifiche come la Svizzera e il Portogallo abbiano per eroe nazionali due guerrieri. La singolarità si accresce nella Svizzera calvinista, che ha come padre della Patria non solo un combattente ma addirittura un santo cattolico, San Nicola di Flue. E pure il Portogallo ha un Santo, Nuno Alvares de Pereira, canonizzato nel 2009 da Benedetto XVI. Allo svizzero, che dopo le gesta belliche si ritirò in eremitaggio e visse per quarant'anni di sole ostie, abbiamo dedicato a suo tempo una puntata. Oggi parleremo del portoghese, che già al funerale era acclamato come: "o santo Condestàvel", "il Conestabile Santo" (Conestabile era il titolo del comandante supremo delle armate). Nato il 24 giugno 1360 a Cernache do Bomjardim, era figlio illegittimo di un cavaliere di San Giovanni (odierni di Malta), fra Álvaro Gonçalves Pereira, che era pure priore e, ovviamente nobile d'alto rango. Anche la madre, Dona Iria Concalves do Carvalhal, era una gran dama, e a quel tempo la castità non era considerata un problema da perderci il sonno (e l'aborto era escluso a priori).AL COMANDO DELL'ESERCITOLe entrature del padre a Corte ottennero un decreto reale di legittimazione, così il tredicenne Nuno poté diventare paggio della regina Leonor e ricevere un'educazione da cavaliere. Dopo l'investitura, a sedici anni il padre lo accasciò in un ottimo partito, la giovane, bella e soprattutto ricca vedova dona Leonor de Alvin. I due sposi ebbero tre figli, due maschi e una femmina. Sopravvisse solo quest'ultima, Beatriz che poi andò in moglie ad Alfonso, Duca di Braganca e figlio del re Joao I. Da questa unione partì la dinastia reale portoghese di Bracanca. Nel 1383 morì Ferdinando senza eredi maschi, per cui la corona passò al fratello Joao. Ma il defunto Fernando aveva una figlia che aveva sposato il re di Castiglia, il quale si affrettò a reclamare per sé la corona portoghese. Naturalmente fu guerra e il nostro Nuno ebbe il comando supremo dell'esercito. Erano tempi in cui il comandante in carica non stava a dirigere le operazioni al sicuro su un'altura ma si spendeva personalmente in prima fila. E Nuno non si faceva pregare. Lo si vide in diverse battaglie e, fin dal giorno in cui le navi castigliane si presentarono di sorpresa davanti a Lisbona, che non era ancora capitale ma aveva già un porto di grande importanza. Nuno riuscì a riunire di fretta solo sessanta uomini e pochi cavalieri, mentre una forza di duecentocinquanta nemici si apprestava a sbarcare.PRATICAVA IL DIGIUNOI portoghesi, intimoriti, esitavano, ma Nuno si lanciò all'attacco con pochi compagni. Un colpo di lancia gli abbatté il cavallo e lui rimase intrappolato sotto l'animale. Ma anche da quella scomoda posizione si difendeva spada in mano contro una forma di castigliani. Fu il vedere il loro comandante in grave pericolo a far decidere i portoghesi rimasti a distanza. Dimentichi degli inferiorità numerica si proiettarono nel soccorso e la giornata fu loro: I castigliani, investiti da quelle furie, si affrettarono a reimbarcarsi lasciando sul terreno parecchi uomini. La guerra continuò fino al 1385, quando nella storica Battaglia Aljubarrota il Conestabile di Portogallo sconfisse definitivamente i castigliani e salvò l'indipendenza del Regno. La vittoria, quantunque l'esercito portoghese fosse più ridotto rispetto a quello Castigliano, fu così netta che il nemico venne inseguito fin dentro alla Castiglia e schiacciato a Valverde. Il giorno di Ajubarrota era la vigilia dell'Assunta. Il giorno prima, l'esercito in marcia provenendo da Tomar passò per Fatima. E qui, in località Cova di Iria, si vide lo straordinario spettacolo dei cavalli fermarsi e inginocchiarsi. Nuno, infatti era devotissimo alla Madonna. In Suo onore praticava moderato digiuno, compatibilmente con le esigenze belliche, nei giorni di mercoledì, venerdì e nelle vigilie delle feste mariane.MESSA OGNI MATTINAOgni mattina assisteva alla Messa e sul suo stendardo campeggiavano il Crocifisso, la Vergine, San Giorgio e Santiago. Di tasca sua erigeva chiese e monasteri, tra cui il Carmelo di Lisbona e la chiesa di Santa Maria da Vitòria di Batalha. Poco dopo la fine della guerra morì sua moglie e lui, malgrado le insistenze della corte, non volle prenderne un'altra. Impiegò la maggior parte dei suoi beni per soccorrere i reduci della guerra, in un tempo in cui l'assistenza e la pensione dipendevano totalmente dalla buona volontà dei signori. Nel 1423 lasciò loro tutto quel che gli restava e si chiuse nel convento carmelitano che aveva fondato. Avrebbe voluto sceglierne uno lontano per esservi dimenticato, ma don Duarte, figlio del re, glielo proibì: la situazione politica non era ancora assestata e il Portogallo poteva avere bisogno della sua esperienza in qualunque momento. Prese voti come fra Nuno de Santa Maria e per umiltà vuole restare per sempre un semplice frate. Nello stesso convento c'era anche uno che era stato ai suoi ordini e che adesso era sacerdote. Quando lo incrociava, Nuno si inchinava a baciare un lembo della sua tonaca. Si dedicò alla mensa quotidiana dei poveri che lui stesso aveva organizzato e nei locali della quale assisteva e serviva i più sfortunati. Morì il giorno di Pasqua, il 1° aprile del 1431, e subito il popolo pianse il suo "santo Conestabile". Era un popolo, ahimè, di indole diversa da quello che seicento anni dopo accompagnò le sue reliquie nella traslazione in chiesa. Erano i primi anni sessanta del secolo scorso e l'urna d'argento che conteneva le sue ossa fu rubata e non se ne seppe più nulla.MORÌ DURANTE LA PASSIONESul letto di morte volle venire ad abbracciarlo il re, quello stesso che, da Gran Maestro dell'Ordine di Aviz, lo aveva creato Conestabile. Rese l'anima mentre gli leggevano la Passione, nell'istante in cui scandivano le parole: "Ecco tua Madre". Così passò al cielo Nuno Alvares di Pereira, Conte di Arraiolos, di Barcelos e di Ourém, Gran Conestabile di Portogallo. La sua tomba venne distrutta durante lo spaventoso terremoto che rase al suolo Lisbona nel 1755, evento che servì a Voltaire come esempio per dimostrare che se Dio esisteva non era affatto buono: La sfortunata traslazione finale, come abbiamo visto, finì con un furto sacrilego. Cosa attrasse la cupidigia dei ladri? L'urna d'argento? La commissione di qualche ricco collezionista? In ogni caso, la fede del 1961 non era più quella del XIV secolo. E non si era che agli inizi. Ero appena laureato e fresco di conversione quando un amico scoprì sulla bancarella di un mercatino antiquario una serie di piccole e artistiche teche contenenti reliquie. Le ricomprò tutte e non ci fu difficile risalire alla chiesa cittadina da cui erano state tolte. E al parroco, più noto per le sue attività di saggista, che non faceva mistero di preferire a quelle di officiante. Già: frammenti infinitesimi di vecchie ossa, di valore inferiore alle scatole che li contenevano. Che vuoi che sia? Ma sì, vendiamo tutto e magari diamone il ricavato ai poveri. Nello spirito (?) del Concilio.

    Una stigmatizzata fuori dal comune

    Play Episode Listen Later Apr 24, 2024 8:39


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7773UNA STIGMATIZZATA FUORI DAL COMUNI di Rino CammilleriHo scrutato attentamente il video che il dottor Paolo Basso da Crema mi ha recapitato sulla beata Maria Domenica Lazzeri, detta la "Meneghina", nata nel 1815 e morta nel 1848. Diciamo subito, per chi non lo sapesse, che si tratta di una stigmatizzata. Stavo per scrivere "la solita stigmatizzata", perché essendomi occupato per trent'anni, ogni giorno, prima sul quotidiano Avvenire e poi Il Giornale, di santi e beati, di stigmatizzate ne ho viste tante. Quante siano potete agevolmente contarle, se avete pazienza, sul sito santiebeati.it. Da Caterina da Siena, a Teresa Neumann, eccetera. Mai, però, avevo considerato il fatto che queste mistiche sanguinanti fossero tutte donne. Sì, abbiamo il Poverello e Padre Pio. E basta, almeno che io ricordi. Tutte le altre sono donne, sempre donne. Queste strane privilegiate dal Cielo in genere non devono far altro che starsene in un letto a patire. Qualcuna ha visioni e detta libri, come Katharina Emmerick. Qualche altra manifesta i dolori della Passione in periodi ricorrenti e limitati, come Natuzza Evolo. Qualche altra ancora, come Elena Aiello, continua a occuparsi dei suoi orfanotrofi. Ma le più devono solo fare le "vittime". Perché donne? Forse perché sono più delicate e fragili? In effetti ciò si accorderebbe con il risultato modus operandi del Cielo: scegliete il personaggio più improbabile onde mostrare che quanto gli accade viene solo esclusivamente dall'Alto. La potenza di Dio si manifesta meglio nella debolezza, come dice Paolo. E più la creatura prescelta è inadeguata, più appare, a chi voglia vederla, l'opera di Dio.RIMANEVA MORTANaturalmente noi crediamo che la ricompensa per tali "vittime" sarà straordinaria, altrimenti prendere una ragazza minuta e insignificante, confinarla in un letto di dolore senza mangiare, né bere, né dormire, ma solo e sempre sanguinare tra le sofferenze più atroci sarebbe puro sadismo. Ma noi sappiamo che il Creatore è Bontà e Amore, perciò non ci resta che aggrapparci alla Fede. E veniamo alla Nostra. Al solito, nasce in un posto sperduto e dimenticato, Capriana in Val di Fiemme, Trento. Figlia di un povero mugnaio fin da subito conosce la fatica e i geloni alle dita in un tempo e in un luogo in cui se vuoi scaldarti devi prima far legna e accendere il camino. Ultima di cinque figli, dopo qualche anno di scuola, va a servizio, anche perché il padre è nel frattempo morto. Nel 1833, mentre si prodiga per i malati d'influenza, rimane contagiata. A quel tempo o si guarisce o si muore di polmonite. Lei, invece, sviluppa un crescendo di sintomi mai visti prima che in breve la confinano a letto, impedita a mangiare, bere e dormire. Riesce solo a "inghiottire" l'ostia, di cui nell'800 bisogna essere "degni", perciò mensile. Chiamata in paese "meneghina" ("Domeneghina"), ha diciannove anni quando comincia: sudorazione di sangue come nel Getsemani, ferite sulla fronte come da coronazione di spine, stigmate alle mani, al torace e ai piedi. Le mani sono artigliate, come si suppone siano state quelle inchiodate di Cristo, i piedi sempre sovrapposti. Ogni venerdì, all'ora della morte di Cristo, anche lei rimane morta per diverso tempo. Sì, morta. Indi si rianima e si riparte con il calvario.IL SANGUE OLTRE LA GRAVITÀGli scienziati che scrutano il caso sono intrigati anche dal fatto che su di lei il sangue gocciola non seguendo la gravità, ma come se davvero fosse appesa verticale a una croce. E ciò accade tutti i venerdì, per quattordici anni (per chi ama le coincidenze sempre in questi casi c'è il bicchiere mezzo pieno: la mistica è in grado di seguire omelie pronunciate in altri luoghi e di riferire cose dette altrove, di comprendere lingue straniere e pure antiche, di bilocarsi). Naturalmente, il caso fa scalpore e in breve la sua casa è assediata da visitatori provenienti da ogni dove. Anche semplici curiosi, certo. Ma per fortuna il vescovo competente è il beato Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, che prende a cuore la vicenda e provvede a disciplinare l'accesso. Il primario dell'ospedale di Trento, dopo accurato studio, stende una relazione che viene presentata in ben tre congressi scientifici nazionali. Vengono illustri personaggi da tutta Europa, viene il beato Antonio Rosmini, perfino l'Arcivescovo di Sidney. Scoppia il caso sulla stampa, fogli cattolici e fogli protestanti incrociano le lame. Diversi editori europei fiutano l'affare e sguinzagliano agenti alla ricerca di testimoni oculari per cavarne libri e opuscoli a sensazione, i pamphlets il più delle volte di scaso valore, ma che concorrono alla divulgazione della notizia. Malgrado l'interessata non abbia mai voluto fotografie. Che pensare di tutto questo? Perché Dio sceglie una "vittima" e la massacra (o permette che lo sia, ma è lo stesso) per tutta la vita? Certo la cosa è sempre su base volontaria e se qualche farabutto conclamato scansa la dannazione eterna proprio grazie a queste mistiche che accettano di farsi maciullare al loro posto dalla Bontà Divina?HA RAGIONE DIOSi, Uno potrebbe osservare che Cristo in croce ci rimane tre ore, mica 14 anni, cioè 728 venerdì. Ma, attenzione, la prescelta assenziente viene fornita di un dono speciale: l'amore per la croce. La meneghina, si scoprì, portava il cilicio. Come se non le bastassero le sofferenze inaudite che doveva sopportare. Nella letteratura mistica questo fenomeno è chiamato "follia della croce", che, seppure alla lontanissima, può essere paragonato a quel che prova un padre che si fa togliere un rene per salvare la vita al figlio. Forse l'esempio è inadeguato, ma non me ne vengono altri. E non me ne vengono perché io, come voi, aborro la sofferenza e faccio di tutto per evitarla. Siamo fatti per la gioia, non per il dolore (il che dimostra che il peccato originale è un fatto storico). È per questo, temo, che a molti la preghiera sembra una perdita di tempo: se fosse efficace, se venissimo sempre esauditi, saremmo tutti in ginocchio. Ma ogni nostra preghiera - ci si faccia caso - è una richiesta per toglierci una croce. O la croce. Forse è per questo che di solito non succede niente. Si, poi il devoto spiega che Dio ascolta, ma si riserva dell'esaudimento al tempo opportuno; oppure che stai chiedendo la cosa sbagliata, oppure che...La solita arrampicata sugli specchi perché Dio, per definizione, ha sempre ragione e tu torto. Come Giobbe, cui alla fine Dio rispose come il Marchese del Grillo. Insomma, boh. Proviamo a chiedere lumi alla Meneghina.

    Principessa, schiava e infine suora

    Play Episode Listen Later Apr 9, 2024 8:10


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7755PRINCIPESSA, SCHIAVA E INFINE SUORA di Rino CammilleriOggi parliamo di una suora africana, negra ed ex schiava. No, non si tratta di Giuseppina Bakhita, che è già canonizzata. Mi riferisco a Teresa Chikaba, che non era sudanese come Bakhita, ma veniva dall'Africa subsahariana, quella che ai suoi tempi veniva chiamata Africa nera. Teresa Chikaba è in attesa di beatificazione, e sarebbe anche l'ora, dati i molti miracoli testimoniati per sua intercessione. Ma andiamo con ordine. Non sappiamo se avesse altri nomi oltre a Chikaba; in base ai suoi racconti sappiamo che era nata in Guinea nel 1676 e che era una principessa. Ora, il termine principessa ci fa subito pensare alle case reali europee, col loro fasto e le trine e le parrucche incipriate. Quanto fosse esteso il "regno" di suo padre non è dato conoscere, ma è probabile che quest'ultimo non fosse altro che uno dei tanti capitribù. Chi comandava davvero da quelle parti erano i portoghesi, che avevano fatto della Guinea, insieme ai confinanti Angola e Mozambico, una loro colonia fin dal secolo precedente. Sì, perché, dopo che il rullo islamico aveva spazzato via l'Africa romana e cristiana, il continente aveva visto secoli di guerre inter-tribali per procurarsi schiavi da vendere agli arabi. Fino a quando i navigatori portoghesi nel XV secolo non inaugurarono il ritorno dei missionari al seguito dei coloni.FUTURA REGINADietro esploratori e poi coloni spagnoli, francesi e, via via, olandesi belgi, inglesi, tedeschi e infine italiani, la parola Vangelo era rientrata in Africa, con i suoi successi più o meno limitati e i suoi, ovviamente, martiri. Per questo è altresì probabile che la famiglia di Chikaba, i suoi genitori e i fratelli fossero venuti in contatto con i missionari cattolici, dato che questi sempre seguivano la fondazione di una colonia da parte di una potenza cattolica. Lei stessa narrò che, una volta, dovendo seguire la sua famiglia nel prescritto pellegrinaggio all'idolo che i nativi chiamavano Lucero, mentre eseguiva la prostrazione rituale sentì una sorta di vuoto dentro, un senso di insoddisfazione infinita, una delusione cocente. Perché? Qualunque cosa fosse quella sensazione inaudita e insopportabile, fu forse l'inizio della sua conversione. In ogni caso, il risultato fu per lei un desiderio di imitazione dei missionari cristiani, nel senso che da allora prese a occuparsi dei malati, dei bambini, dei bisognosi con un trasporto che finì col procurarle la stima degli altri indigeni. Tanto da allarmare i suoi fratelli. Infatti, questi temevano che, quando fossero morti i loro genitori, il popolo avrebbe riversato il suo favore su Chikaba, eleggendo lei come regina e defraudando le aspettative dei maschi della famiglia sul trono. Chikaba dovette fare i salti mortali per rassicurarli: non aveva alcuna mira politica, anche se non sapeva bene nemmeno lei che cosa volesse nella vita. In ogni caso, ci pensarono gli eventi a decidere per lei.RAPITA DAGLI SPAGNOLIUn brutto giorno un raid di razziatori spagnoli rapì lei e altri nativi per venderli come schiavi. Non avrebbe rivisto mai più la sua terra e la sua famiglia. Caricata con gli altri schiavi su una nave, fu portata in Spagna. Durante il tragitto i trafficanti appresero che si trattava di una principessa e cominciarono a trattarla bene. Oh, non per riguardo al rango, ma perché da lei si poteva cavare un miglior prezzo. Infatti, venne acquistata dai duchi di Mancera, che la portarono nel loro palazzo di Madrid. La differenza tra gli schiavi domestici nei luoghi cattolici e in quelli protestanti stava in questo: i primi erano considerati dei paggi e praticamente adottati, entravano cioè a far parte della famiglia, come si può vedere in molti dipinti dell'epoca. Gli spagnoli non tenevano dunque schiavi? Sì, ma si trattava quasi sempre di saraceni catturati e messi ai remi o adibiti ai lavori più pesanti, in attesa di poterli scambiare con gli schiavi cristiani in mano ai barbareschi o ai turchi. Chikaba poté dunque per l prima volta in vita sua indossare dei veri abiti e nutrirsi con una vera cucina, dormire in un vero letto e avere una o più stanze tutte per sé. Volentierissimo accolse il Battesimo, per il quale ebbe gli stessi duchi come padrini. Si accorse anche di aver trovato quel che sempre aveva cercato, che il cristianesimo riempiva totalmente quel vuoto che le si era impresso dolorosamente dentro da quando era andata ad adorare Lucero. E tanto sul serio prese il suo Battesimo che, compiuti i ventiquattro anni, espresse il desiderio di farsi suora. Si tenga presente che la sua educazione, i suoi modi e la famiglia adottiva le avrebbero consentito un buon matrimonio. Gli spagnoli non erano razzisti: Darwin era inglese e di là da venire. Forse che il padre di san Martino de Porres non era un gentiluomo spagnolo (e la madre una africana?)? Forse che molti conquistadores non si erano sposati con donne incas e azteche? Forse che il grande scrittore Garcilaso de la Vega non era di madre inca? E poi una buona dote non avrebbe mancato di attirare gli hidalgos iberici.GLI ANNI IN CONVENTONo, la vocazione di Chikaba era sincera e totale. Solo che c'era un problema. Nessun convento la accettava. Sì, c'entrava proprio il colore della sua pelle. Non c'erano precedenti di suore africane in Spagna, e una suora negra avrebbe finito col trasformare il convento in cui fosse ospitata in un'attrazione per i curiosi, con nocumento della necessaria clausura, una clausura che - va detto - a quel tempo era piuttosto larga e certe visite altolocate non si potevano rifiutare. Solo nel 1708, convinto dalla schiettezza della sua vocazione, l'Arcivescovo di Salamanca ordinò alle suore domenicane del Terz'ordine di Santa Maria Maddalena di accoglierla come conversa. Finalmente, Chikaba poté prendere il velo e il nome religioso di Teresa. Malgrado la sua estrazione nobile, si adattò facilmente ai lavori domestici ai quali fu adibita. Ci vollero ancora degli anni prima che un altro Vescovo decidesse di ammetterla ai voti. E finalmente fu suora domenicana. I quarant'anni di vita che le restavano li trascorse tutti lì, a Salamanca, nel convento dove aveva spazzato e lavato i pavimenti. Morì in odore di santità il 6 dicembre 1748. Il suo corpo riposa nel monastero che a Salamanca chiamano delle Duenas. Molti miracoli sono attribuiti a questa principessa africana, schiava, adottata dal duca di Mancera, suora domenicana. I progressi del suo processo canonico? Mistero. Sotto papa Bergoglio tutti i lavori della Congregazione apposita sono stati segretati, chissà perché.

    Il buon ladrone a cui Gesù promette il paradiso subito

    Play Episode Listen Later Mar 26, 2024 11:14


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7736IL BUON LADRONE A CUI GESU' PROMETTE IL PARADISO SUBITO di Roberto De MatteiLa liturgia latina della Chiesa ricorda il 25 marzo san Disma, il buon Ladrone, a cui Gesù disse sul Calvario: "Oggi sarai con me in Paradiso". La scelta del 25 marzo non è casuale. Questa data non è solo quella dell'Annunciazione e dell'Incarnazione del Verbo ma secondo un'antica tradizione è anche il giorno in cui il Salvatore dell'Umanità consumò il suo supremo sacrificio. Il Vangelo ci dice che sul Calvario crocifissero Gesù con due Ladroni, mettendone uno alla sua destra e uno alla sua sinistra (Lc, 23, 39-42). Ne conosciamo il nome dai Vangeli apocrifi: Disma il buon Ladrone e Gisma, o Gesta il cattivo Ladrone.La parola Ladrone non deve trarre in inganno. Il termine Latrones indicava i briganti da strada, non solo ladri, ma assassini e rapinatori, puniti di morte presso tutti i popoli dell'antichità. Per umiliare Gesù furono scelti i più scellerati tra i tanti che riempivano le prigioni di Pilato. Disma era un capo brigante, probabilmente egiziano, vissuto e invecchiato tra i delitti più gravi, tra i quali quello di fratricidio. Sulla sua croce era scritto: Hic est Dismas latronum DuxLa morte in croce era tra le più dolorose e il condannato soffriva terribilmente, sospeso a quattro chiodi. I due malfattori imprecavano tra gli spasimi, mentre Gesù sopportava i tormenti con pazienza inalterabile. Le sue prime parole sulla Croce furono di misericordia per i suoi carnefici: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc, 23, 24).Entrambi i Ladroni ascoltarono queste parole, entrambi ricevettero la grazia sufficiente a riconoscere l'innocenza di Cristo, ma uno si convertì, l'altro continuò a bestemmiare. San Luca racconta che dei due ladri, appesi alla Croce accanto a Cristo, uno si beffava di lui dicendogli: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente siamo condannati alla Croce, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gesù gli rispose: "In verità io ti dico che oggi sarai con me in Paradiso" (Lc, 39-43). Disma dunque insorge alle parole di oltraggio contro Gesù del suo compagno di rapine e lo corregge apertamente, in maniera severa, accusandolo di non capire che Gesù è innocente, mentre loro sono colpevoli e giustamente condannati. Il suo è un atto di pentimento, ma egli non si limita a riconoscere le proprie colpe, proclama l'innocenza di Cristo, dicendo: "Non ha fatto niente di male". Lo proclama, quando tutto il mondo condanna Gesù e gli Apostoli tacciono. Disma rompe il silenzio, afferma pubblicamente la verità.LA GRAZIA DELLA FEDEPer affermare l'innocenza di Gesù era sufficiente la luce della ragione, illuminata dalla grazia, per proclamarlo Dio era necessaria la grazia sfolgorante della fede. Dopo aver difeso Gesù contro il cattivo ladrone, Disma riceve la grazia della fede soprannaturale che esprime nelle parole: "Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno"(Lc, 23, 42). Non era tra coloro che avevano seguito Gesù nella sua predicazione, nessun angelo glielo aveva suggerito. Non vedeva la Divinità di Cristo, ma un'umanità sfigurata dalle sofferenze. Eppure, pur vedendolo crocifisso, non dubitò che fosse Dio. San Roberto Bellarmino dice, "Chiama Signore uno che guarda nudo, ferito, sofferente, deriso e schernito pubblicamente, appeso con lui e afferma che dopo la morte andrà nel suo regno. Da ciò si comprende che egli non sognava un regno temporale di Cristo sulla terra, come aspettavano i Giudei, ma un regno eterno dopo la morte nel Cielo. Chi gli aveva insegnato misteri così alti? Nessuno certamente, se non lo spirito di verità" (Le Sette parole di Cristo, in Scritti spirituali, Morcelliana, Brescia 1997, pp. 556-557).Gesù aveva detto: "Chi mi confesserà davanti agli uomini io lo confesserò ed onorerò dinnanzi al Padre Mio e ai suoi Angeli" (Mt, 10, 32). E mantiene la promessa. Disma otterrà la più preziosa delle ricompense.La parola di Disma "Domine, memento mei, cum veneris in Regnum tuum" è una preghiera che va ripetuta con cuore umile e fiducioso. A questa preghiera Gesù risponde: "Amen dico tibi: hodie mecum eris in Paradiso"; "In verità io ti dico che oggi sarai con me in Paradiso". E' la seconda parola di Gesù in Croce. La parola Amen è quasi il giuramento di Cristo, che non dice a Disma, sarai con me in Paradiso nel giorno del Giudizio, e neppure tra qualche anno, mese o giorno, ma promette che quel giorno stesso si sarebbero aperte per lui le porte del Cielo."Oggi sarai con me in Paradiso", sono le parole più angeliche e armoniose che possano risuonare ad un orecchio umano ed è per questo che tanti compositori, da Franz Joseph Haydn a Charles Gounod, a Théodor Dubois, le hanno messe in musica, con commoventi melodie che cantano la speranza della salvezza eterna.LA RAGIONE DELLA CONVERSIONELa ragione della conversione di Disma fu la grazia divina che ne inondò l'anima. I Padri attribuiscono la causa strumentale di questa conversione all'ombra che Cristo proiettava sul Ladrone, mentre pronunciava le sue prime parole in Croce. Il volto di Cristo, scrive mons. Jean-Joseph Gaume (1802-1879), era rivolto a Occidente, il sole era a mezzogiorno e l'ombra del Redentore si stese alla sua destra su Disma chiamando il buon Ladrone dal nulla del peccato alla vita della grazia (Storia del buon ladrone, Tip. Ranieri Guasti, Prato 1868, pp. 135-136). Ma se è vero che ogni grazia viene da Maria, come dubitare del ruolo primario della Madonna nella conversione di Disma? Ella si trovava in piedi, tra la Croce di Cristo e quella del buon Ladrone e pregò certamente per lui. Quando poi udì le parole di Disma ne ebbe un'immensa consolazione, perché queste parole proclamavano davanti al Cielo e alla terra le verità dell'innocenza del Figlio e della sua divinità. Nel Venerdì santo, nessuno, al di fuori di Disma, ebbe una fede simile a quella incrollabile di Maria.Tre croci si innalzano sulla cima del Calvario. Alla destra l'umanità penitente che sta per salire in Cielo. Alla sinistra l'umanità impenitente che cade nell'inferno. Nel mezzo è l'Uomo-Dio Giudice supremo dei vivi e dei morti. Nel giorno del Giudizio, gli eletti saranno alla destra del divino giudice, ed alla sinistra i reprobi. Di due che staranno sul campo, dice il Vangelo, uno sarà preso e uno sarà lasciato (Lc, 17, 34). Il buon Ladrone è l'immagine degli eletti, il cattivo ladrone dei riprovati.Tra gli straordinari miracoli che seguirono alla morte di Gesù ve ne fu uno impressionante, che san Matteo descrive con queste parole: "i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti" (Mt, 52-54). Profeti e Re di Israele furono tra coloro che apparvero per le vie di Gerusalemme convertendo alcuni, ma senza riuscire a scuotere l'incredulità dei molti. Quale stupore fu per gli abitanti della Città santa vedere tra questi risorti il vecchio brigante Disma proclamare la verità di Cristo, trasfigurato nell'anima e nel corpo. I risorti rimasero a Gerusalemme fino al momento dell'Ascensione quando Gesù li portò con sè in Cielo. La sentenza secondo cui i risorti del Calvario sono in Cielo anima e corpo è, secondo i teologi, la più sicura e tra questi risorti, bisogna annoverare san Disma, il buon Ladrone (Gaume, op. cit. pp. 278-288).San Disma è il protettore dei peccatori che si trovano in punto di morte. Oggi il mondo oltraggia Cristo come il cattivo ladrone sul Calvario. Chiediamo al buon Ladrone di infondere il suo spirito penitente e fiducioso nell'Occidente che muore. La promessa di Fatima ha la stessa dolcezza delle seconde parole di Gesù in Croce. Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria sarà il paradiso storico delle nazioni, cioè la restaurazione della civiltà cristiana che seguirà all'inferno storico del nostro tempo.

    La terribile storia dimenticata dei francescani martirizzati dai musulmani

    Play Episode Listen Later Mar 12, 2024 7:29


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7723LA TERRIBILE STORIA DIMENTICATA DEI FRANCESCANI MARTIRIZZATI DAI MUSULMANI di Rino CammilleriOggi voglio ricordare i sette francescani, e non solo loro, che nel 1920 vennero martirizzati dai musulmani. Nel 1920,dunque dopo la fine della Grande Guerra, dopo i trattati di pace, dopo che Kemal Ataturk aveva respinto i Greci e salvato la Turchia. Che, lo ricordiamo, era stata alleata degli sconfitti Imperi centrali.Il genocidio del popolo armeno - il primo, nella storia, a convertirsi al cristianesimo - era stato completato da un pezzo, i turchi, stretti tra i Bolscevichi di Lenin a nord e le potenze occidentali, soprattutto Inghilterra e Francia, che si spartirono il loro ex impero, dopo aver orribilmente incendiato Salonicco (la più ricca delle loro città, ma ricca grazie a greci e armeni), visto che Ataturk intendeva modernizzare il suo popolo vietando fez, veli e barbe per dare un sterzata laica alla vita turca (ben rendendosi conto che la causa dell'arretratezza stava proprio nella religione), avrebbero potuto smetterla con le scimitarre e l'uccisione inutile e insensata dei cristiani. Invece no. Ecco la storia che andiamo a raccontare.Alla fine del 1919 tre francescani, due  italiani e un ungherese, vennero assegnati dalla Custodia della Terra Santa a Mugiukderest, in Armenia. Erano padre Francesco De Vittorio (38 anni), fratel Alfredo Dolentz (67), austriaco, e fratel Salvatore Sabatini (45). La missione era completamente distrutta e ora, a guerra finita, la Custodia intendeva ripristinarla in qualche modo. Provvisti di denaro, i tre riuscirono a farvi affluire le famiglie superstiti e a radunare la trentina di bambini rimasti orfani. Sotto la loro direzione si cominciò a riattare qualche casa e, soprattutto, a impiantare un orfanotrofio per quei bambini abbandonati che chissà come erano riusciti a scappare al genocidio. I tre frati erano tutto: medici, farmacisti, vivandieri, maestri, padri. Ma nel gennaio del 1920 ricominciò l'incubo: la notizia che i massacri di cristiani erano ripresi giunse fino alla missione e quei poveri disgraziati, la cui sfortuna non sembrava aver mai fine, presero a disperarsi. Dove altro sarebbero potuti andare? Ora che avevano riguadagnato un minimo di tranquillità, pur nella miseria, bisognava di nuovo scappare?UN INVITO A CENALeggo in una vecchia news del Centro studi Giuseppe Federici che ai tre frati, in pensiero per i loro orfanelli, si presentò uno del posto, un musulmano di cui avevano fatto la  conoscenza e che si era comportato sempre amabilmente con loro. Ne conosciamo il nome: Leuimen Oglu Alì. Aveva una grande casa e si  offrì di ospitare i missionari e tutti gli orfanelli. Anzi, poiché c'era ancora posto, poteva accogliere anche tutti i pochi cristiani del luogo. E arrivò a mettere a disposizione alcuni locali per gli oggetti, le cose care che ognuno avesse ritenuto di portare con sé. Cominciò così il trasloco. In quella nuova casa sarebbero stati al sicuro, così aveva garantito loro l'anfitrione. Anche se si fosse scatenato il pogrom, lui li avrebbe protetti, perché nessuno avrebbe osato violare la casa di un notabile musulmano. Erano a cena, gentilmente offerta dal loro ospite, quando i tre frati sentirono colpi di fucile provenienti dalla strada. D'istinto si alzarono da tavola per sbirciare dalle finestre, ma a quel punto Leuimen Oglu Alì gettò la maschera. Estratta una pistola, mentre i tre gli davano le spalle li freddò con pochi colpi, poi andò ad aprire il portone di quelli fuori, con cui era d'accordo. Dei cristiani e orfanelli non ne rimase vivo neppure uno. Poi la banda di assassini andò a saccheggiare la chiesa, l'orfanotrofio e le case delle vittime, completando l'opera con un bel falò di tutto. Tutto questo accadde il 23 gennaio 1920.CHIESA BRUCIATAPadre Alberto Amarisse, 46 anni, era superiore alla missione di Jenige-Rale. Negli stessi giorni i turchi invasero l'Armenia e uccisero lui e tutti gli altri cristiani. Padre Stefano Jalincatjan, 51 anni, armeno, era superiore alla missione Donkalè. Scappato all'ora dalle guerra, era tornato per riunire i superstiti e cercare di ricostruire quanto era stato distrutto. Ma il 23 gennaio 1920 i turchi tornarono. Capeggiati da tal Naggiar Mustafà, si avventarono nel villaggio e presero a incendiare tutto. I cristiani si rifugiarono in chiesa e, nella missione, mentre i turchi li calpestavano di fucilate. Ma prevalse l'opinione di risparmiare munizioni, visto che quelli si erano barricati. Così, mano alla benzina, diedero fuoco a tutto e arrostirono gli sventurati, missionario compreso. Al giovane fratel Giuseppe Achillian, 25 anni e armeno pure lui, andò meglio. Nel senso che non morì ammazzato. Invasa l'Armenia, ricominciarono le marcie forzate della popolazione cristiana. Molti morirono di stenti e fatica. Lui, il più giovane e in forze, partito il 23 gennaio, resistette fino al 15 del mese successivo. Ma, arrivato ad Adana, schiantò per lo strapazzo. E, se questa fu la sorte, figurarsi quella di donne, vecchi e bambini. L'italiano padre Leonardo Bellucci, 39 anni, dopo il servizio militare (il clero italiano non era ancora esentato, lo sarà con Mussolini), finita la guerra fu assegnata alla missione di Aleppo come economo e insegnante nel collegio che i francescani avevano là. Stava recandosi a Gerusalemme in treno quando, alla stazione di Kherbet el- Ghazi, un gruppo di beduini armati lo costrinse a scendere. Venne freddato sul posto a colpi di fucile. E, non contenti ne impalarono il cadavere. Allah è grande. Forse Abramo sbagliò a mettere incinta Agar...

    Sant'Antonio abate e la benedizione degli animali

    Play Episode Listen Later Feb 7, 2024 10:51


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7690SANT'ANTONIO ABATE E LA BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI di Don Stefano BimbiLa vita di Sant'Antonio abate è descritta nella Vita Antonii di Sant'Atanasio, vescovo di Alessandria e dottore della Chiesa, che ebbe da lui un aiuto nella lotta contro l'arianesimo. Questa era l'eresia combattuta dal Concilio di Nicea per eliminare l'idea che Gesù fosse solo uomo e non vero Dio. Sant'Antonio è considerato il fondatore del monachesimo orientale, mentre quello occidentale si fa risalire a San Benedetto da Norcia. Risale al santo anche il nome dell'herpes zoster, popolarmente noto come fuoco di sant'Antonio, una malattia virale della cute e delle terminazioni nervose, causata dal virus della varicella infantile.VITA DI SANT'ANTONIOSant'Antonio nacque a Coma un villaggio del Basso Egitto nel 251, figlio di benestanti contadini cristiani. Rimase orfano a vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare. Sentì presto la vocazione ascoltando il vangelo dove Gesù dice al giovane ricco «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri» (Mt 19,21). Distribuiti i beni ai poveri e sistemata la sorella, iniziò a vivere come un anacoreta nel deserto attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità.In una visione vide un eremita che passava la giornata tra la preghiera e l'intreccio di una corda. Da questo capì che, oltre alla preghiera, si sarebbe dovuto dedicare ad un'attività concreta. Diventerà il principio dell'ora et labora che caratterizzerà anche in Occidente la vita monastica da San Benedetto in poi.Sant'Antonio condusse quindi una vita ritirata in perfetta solitudine. I frutti del lavoro gli servivano per sostentarsi, ma anche per fare la carità ai poveri. Nei primi anni di vita ritirata fu tormentato da tentazioni fortissime, inclusi dubbi sul senso della vita solitaria. Consultando altri eremiti fu esortato ad andare avanti. Anzi gli fu consigliato di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Fu così che, indossando solo un rude panno, si chiuse in una tomba nella roccia. Qui fu aggredito e percosso dal demonio; senza sensi fu trovato dalle persone che si recavano spesso da lui per portargli del cibo. Fu portato nel villaggio, dove guarì.In seguito Sant'Antonio si spostò sul monte Pispir, vicino al Mar Rosso, dove si rinchiuse in una vecchia fortificazione. Vi rimase per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva portato due volte all'anno. Anche qui fu tormentato dal demonio. Alla fine molte persone, per stargli vicino e chiedergli consiglio e aiuto, abbatterono le mura del suo rifugio. Sant'Antonio allora si dedicò a guarire i sofferenti ed a liberare gli indemoniati.Durante la persecuzione dell'imperatore Massimino Daia rientrò ad Alessandria per confortare i cristiani che venivano ferocemente perseguitati. Tornata la pace, Sant'Antonio visse i suoi ultimi anni nel deserto. Morì all'età di 105 anni il 17 gennaio del 356. Ecco perché la sua festa si celebra il 17 gennaio di ogni anno.PROTETTORE DEGLI ANIMALI DOMESTICISant'Antonio è ricordato anche come protettore degli animali domestici e viene raffigurato con un maiale che reca al collo una campanella. Per la sua festa la Chiesa benedice gli animali e le stalle. Ci si potrebbe chiedere se sia il caso di benedire gli animali oppure se sia solo una moda derivante dalla diffusione degli animali come surrogati di un figlio, ma la risposta non può che essere affermativa. Infatti il primo a benedire gli animali è stato Dio stesso. Come ci ricorda la Genesi, dopo aver creato gli animali Dio li benedisse dicendo: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22). Siate fecondi e moltiplicatevi vuol dire crescere di numero, cioè godere di buona salute per avere lo sviluppo voluto da Dio. Purtroppo con il peccato originale anche la natura animale partecipa della ferita della natura umana e quindi anche gli animali sono soggetti alle malattie e alla morte. Inoltre il Diavolo non solo può colpire gli uomini, ma anche i beni che a lui appartengono e quindi, tra questi, anche gli animali. Le benedizioni per gli animali si trovano nel Rituale Romanum. C'è anche una benedizione se sono colpiti da gravi infermità chiedendo a Dio che venga cancellato ogni diabolico potere su di loro.Certamente il fatto che la Chiesa benedica gli animali, non vuol dire che questi abbiano la stessa dignità degli uomini. Oggi va di moda difendere i diritti degli animali (contro i diritti degli uomini), come prima erano stati esaltati i diritti degli uomini (contro i diritti di Dio). È quindi bene ricordare che anche Hitler fu un animalista (e vegetariano). A prova di ciò basti sapere che una delle prime leggi che fece approvare proibiva la vivisezione sugli animali. Sappiamo come è andata a finire... gli esperimenti sono stati fatti sugli uomini.L'IDEOLOGIA ANIMALISTAPurtroppo l'ideologia animalista sta permeando sempre più la società e ciò è dovuto anche alla massiccia campagna per i presunti diritti degli animali sui mezzi di comunicazione. Ad esempio è frequente trovare nei tg un servizio che parli di cura degli animali o di ingiusti maltrattamenti nei loro confronti. È talmente assillante che ormai pare quasi introdotto un nuovo genere di peccato: l'abbandono degli animali. Vorrei invece ricordare che abbandonare un animale non è un peccato. Può essere una cosa non bella, ma non è un peccato. Semmai abbandonare un anziano è un peccato, però di questo raramente parlano i tg, per cui, sono certo, alla frase "abbandonare un animale non è un peccato" si troverebbero molte persone indignate. Eppure basterebbe ricordar loro che decidere cosa è peccato non è compito della televisione, ma di Dio.Sempre nei succitati servizi televisivi capita spesso che per descrivere i maltrattamenti sugli animali si arrivi a dire "animali trattati in modo disumano". Ora mi pare evidente che l'espressione riveli che esiste una gerarchia nella natura umana che prevede che l'uomo sia superiore agli animali. E ciò è confermato dall'altra espressione usata quando invece sono maltrattati degli uomini, si dice infatti "uomini trattati come bestie".In conclusione, per la festa di Sant'Antonio la Chiesa benedice gli animali perché li considera creature che Dio ha messo al fianco dell'uomo per migliorare la sua vita. La posizione della Chiesa, bene espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, mi pare equilibrata e secondo verità. E profondamente contraria alle ideologie del mondo che si rivelano, al contrario, fortemente disumane. Hitler docet!Nota di BastaBugie: per approfondire l'articolo di Don Stefano Bimbi alla luce di quello che insegna la Chiesa riportiamo cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sugli animali.2416 - Gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria. Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d'Assisi o san Filippo Neri, trattassero gli animali.2417 - Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane.2418 - È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell'uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone.

    San Pier Damiani e la denuncia dell'omosessualità

    Play Episode Listen Later Jan 31, 2024 9:47


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7686SAN PIER DAMIANI E LA DENUNCIA DELL'OMOSESSUALITA' di Luisella ScrosatiUn grande santo riformatore, ingiustamente poco conosciuto. Nato a Ravenna nel 1007, morto molto presto il padre e abbandonato dalla madre (anch'essa morirà poco dopo) per l'estrema povertà della famiglia, venne prima allevato da un fratello, che lo trattò molto duramente; quindi fu cresciuto da un altro fratello, l'arciprete Damiano, e avviato allo studio delle arti del trivio e del quadrivio. Divenuto professore, fu profondamente colpito da un episodio, nel quale lesse un monito divino: rifiutata ad un povero un'elemosina, secondo alcuni, o del pane bianco, secondo altri, rischiò di morire soffocato per una lisca conficcatasi nella gola. Decise così di abbracciare la vita solitaria, entrando nell'eremo di Fonte Avellana, monastero camaldolese non molto grande, che fu però fucina di santi (76, secondo la tradizione camaldolese) e di futuri vescovi, importantissimi per la riforma della Chiesa.Pier Damiani fu eletto priore nel 1043 e divenne protagonista di numerose nuove fondazioni, propagando con zelo la vita eremitica quale culmine della vita monastica cenobitica. Ma basta dare un'occhiata alle sue lettere, raccolte in otto volumi nell'Opera omnia, per capire come questo eremita fosse particolarmente attento alle piaghe di cui la Chiesa del suo tempo soffriva, soprattutto la simonia e l'omosessualità nel clero, cercando di denunciare il male, consigliare i pastori, papi inclusi, perché mettessero mano ad una coraggiosa riforma. Per questa ragione, papa Stefano IX (1020-1058) nel 1057 lo nominerà vescovo di Ostia e cardinale; carica che pare abbia accettato solo sotto pena di scomunica e che sopportò per soli dieci anni, ottenendo poi di ritornare alla vita eremitica.Ma facciamo un passo indietro. Con il pontificato di Leone IX (1002-1054), san Pier Damiani iniziava la sua influenza significativa sulla riforma della Chiesa. Due sono gli scritti di denuncia dei peccati del clero, diffusi e gravissimi, con la proposta di una linea più decisa e rigorosa da parte del papa: il Liber Gratissimus del 1052, sulla simonia, e il Liber Gomorrhianus, composto nel 1049, sull'omosessualità negli ecclesiastici. Entrambi gli scritti furono accolti da Leone IX, ma qualcosa nel rapporto tra i due finì presto per incrinarsi. Più tardi, nel 1059, scrisse anche un piccolo libro, il De cælibatu sacerdotum, appunto per esortare papa Nicola II (980 ca - 1061) ad agire contro i prelati che avevano concubine e che violavano la castità propria del loro stato.LINEA FERMA CONTRO LA SIMONIA E L'OMOSESSUALITÀQuanto alla prima pubblicazione, Pier Damiani proponeva una linea ferma contro la simonia, ma nello stesso tempo spiegava che le ordinazioni conferite a o da prelati simoniaci erano comunque valide. Sul fronte opposto, il cardinale Umberto da Silva Candida (†1061), nell'Adversus simoniacos, sosteneva invece la necessità di riordinare quanti avevano ricevuto l'ordinazione da vescovi simoniaci. Leone IX appariva fortemente indeciso al riguardo, e fu solo con Nicola II, durante il Sinodo romano del 1060, che si prese la posizione definitiva della non riordinazione.Ma ancora più curiosa appare la gestione di Leone IX riguardo al problema dell'omosessualità. Il Liber Gomorrhianus rappresentava il più forte e chiaro tentativo di colpire al cuore questa piaga presente nel clero, che Pier Damiani chiamava «quadruplice vizio», in riferimento alle quattro modalità concrete con cui la pratica omosessuale si concretizzava, a partire dal peccare con sé stessi, che egli considerava come un primo grado del peccato contro natura, fino all'atto propriamente sodomita. La posizione di Pier Damiani, che pure non intendeva arrogarsi dell'autorità di comminare sanzioni ecclesiastiche, fu molto ferma e decisa non solo per la gravità del peccato contro natura, ma anche e soprattutto per il fatto che veniva commesso da chierici. Dichiarava infatti «contrario alla ragione e alle sanzioni dei Padri» che «quelli che si macchiano abitualmente con questa malattia purulenta osino entrare nell'ordine e rimanere nel loro grado».San Pier Damiani sosteneva dunque che quanti erano abitualmente implicati in qualcuna di queste quadruplici colpe, foss'anche quella non più grave, dovevano essere dimessi dallo stato clericale. Leone IX, nella lettera Ad splendidum nitentis (1054), rispondeva personalmente all'eremita, condividendo la ferma condanna della «sfrenata licenza della fangosa lussuria» e riconoscendo che quanti si sono macchiati di queste colpe sono sempre stati «rimossi da tutti i gradi della chiesa immacolata», a norma dei sacri canoni. Ma, non senza contrariare Pier Damiani, il Papa decise di operare «con maggiore benevolenza», permettendo che fossero reintegrati nel proprio grado dell'ordine sacro quanti, purificati da una «degna penitenza» e dopo aver messo «un freno alla libidine», erano sì rei, «ma con una pratica non lunga né con molte persone» e purché non avessero «peccato nelle terga».LE PERVERSIONI NEL CLEROUna decisione sicuramente di condanna, ma che lasciava ampi margini di interpretazione, rischiando di fiaccare la lotta contro l'omosessualità attiva nel clero: cosa significava una «pratica non lunga»? E cosa si intendeva con «molte persone»? Che tra i due ci sia stato un certo distanziamento, sembra attestarlo una lettera (cf. PL 144, 208B-209C) scritta tra il 1050 e il 1054; Pier Damiani rimprovera il Papa di aver creduto ad alcune menzogne contro di lui, senza aver voluto verificare i fatti. Chi e per quale ragione abbia diffuso delle falsità a danno dell'eremita non è dato saperlo; e nemmeno sappiamo il contenuto di queste menzogne. Sta di fatto che il pontificato di Leone IX scivolò via, senza troppo ferire quegli ecclesiastici che praticavano l'omosessualità.Ma il Liber Gomorrhianus doveva andare incontro ad una sventura ancora più singolare. Quando, nel 1061, Anselmo da Baggio venne eletto Papa, scegliendo il nome di Alessandro II (+1073), sembrava suonata l'ora per le perversioni nel clero. Anselmo da Baggio era stato, insieme a Pier Damiani, protagonista della riforma della Chiesa di Milano; tra loro c'era comunione di intenti ed amicizia. Inoltre papa Alessandro doveva all'amico una strenua difesa della legittimità della sua elezione contro l'antipapa Onorio II. Anche le sue prese di posizione da pontefice indicavano una volontà di lottare strenuamente contro simonia e nicolaismo. Eppure, in una lettera (cf. PL 144, 270A-272C) indirizzata a due cardinali (tra i quali Ildebrando di Soana, futuro Gregorio VII), Pier Damiani lamentava che il Papa si era fatto prestare la copia, probabilmente l'unica, di un libro a lui caro (che molti identificano proprio con il Liber Gomorrhianus), e non gliela aveva più restituita. In sostanza, un sequestro. Non è difficile pensare che il libro in questione doveva essere molto scomodo e dare fastidio a più d'uno degli ecclesiastici che operavano nella Curia romana.San Pier Damiani non ebbe dunque vita facile proprio sul versante della denuncia dell'omosessualità nel clero. I pontefici erano di certo contrari a questa piaga, ma sembravano approcciarsi alla riforma con il freno a mano. Una certa vaghezza di Leone IX prima, e una probabile volontà di non urtare gli avversari di Pier Damiani da parte di Alessandro II poi, lasciano comprendere che evidentemente il problema era non solo diffuso, ma anche penetrato fin negli uomini più vicini ai papi. I quali evidentemente ne avvertivano la pressione. Il caso di Leone IX è poi particolarmente significativo: dietro a quel suo modo di agire “più umano”, non si può forse vedere il problema molto pratico che, a dimettere dallo stato clericale tutti quelli che si erano macchiati del «quadruplice vizio», ci sarebbero stati non pochi problemi a trovare sufficienti sostituti?

    Emilia Kaczorowska, la mamma di san Giovanni Paolo II

    Play Episode Listen Later Nov 22, 2023 11:09


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7603EMILIA KACZOROWSKA, LA MAMMA DI SAN GIOVANNI PAOLO II di Renzo AllegriLa madre di Giovanni Paolo II, Emilia Kaczorowska, era figlia di un sellaio lituano, ma era nata in Slesia il 26 marzo 1884. Aveva otto fratelli. La famiglia si trasferì a Cracovia quando Emilia era ancora piccola e fu bersagliata da dolori e disgrazie. In pochi anni, Emilia perse quattro fratelli e anche i genitori. Per alcuni anni crebbe in un Collegio delle suore della Misericordia. Poté frequentare solo le scuole elementari. Poi dovette pensare a guadagnarsi da vivere facendo la sarta.Era gracile e cagionevole di salute, ma era molto bella.Maria Janina, una coetanea di Emilia, nel 1978, subito dopo l'elezione a Pontefice di Karol Wojtyla, ricordava: «Emilia Kaczorowska, da ragazza, era la più bella ed elegante di Wadovice. Abitavamo nella stessa casa. Era snella, aveva profondi occhi neri e un sorriso disarmante. Di carattere era gaia e sempre serena. Vestiva modestamente, ma era distinta, molto femminile. Si confezionava lei stessa i vestiti. Aveva capelli lunghi e si pettinava, come si usava allora, puntandoli tutti in alto».Il padre del Papa si chiamava Karol. Al figlio poi diede il proprio nome, come si usava spesso allora. Era nato nel 1879. Era figlio di un sarto e anche lui aveva imparato il mestiere del sarto, ma poi lo aveva abbandonato per un posto di ufficiale di carriera nell'esercito.«Era alto, con spalle molto dritte e aveva un incedere armonioso», raccontava Maria Janina, la vicina di casa. «Gli stivali lunghi e la divisa militare con le scintillanti tre stellette di sottufficiale sul colletto gli davano fascino ed eleganza. Era molto ammirato dalle ragazze. Anche Emilia si era nascostamente innamorata di lui, e fu felicissima quando Karol la scelse come fidanzata».I due giovani si erano conosciuti nella chiesa cattolica di Cracovia che entrambi frequentavano. Emilia se ne era innamorata subito. Secondo un rapporto dell'esercito austriaco, dove Karol prestava servizio, egli era «onesto, leale, serio, educato, modesto, retto, responsabile, generoso e instancabile». Era anche un affascinante parlatore. Tutte doti preziose, immediatamente apprezzate da Emilia.IL MATRIMONIO E I FIGLISi sposarono il 10 febbraio 1904 e subito dopo si trasferirono a Wadowice, dove aveva sede un prestigioso reggimento di fanteria in cui Karol Wojtyla svolgeva compiti amministrativi.Nell'agosto del 1906, Emilia diede alla luce un maschietto, che fu chiamato Edmund. Ma già fin da quel primo parto risultò che Emilia aveva una salute gracile e che successive maternità potevano essere fatali per lei. I medici quindi le consigliarono di non avere altri figli.La vita dei coniugi Wojtyla a Wadowice trascorreva serena. Lo stipendio di Karol non era pingue ma sufficiente. Emilia lo amministrava con oculatezza. Lavorava anche lei come sarta contribuendo al bilancio familiare. Amava vestire bene il suo bambino e andava a comperargli qualche vestitino a Cracovia.Edmund era intelligente, studiava con profitto. Emilia decise che quel suo ragazzo doveva frequentare l'università e diventare importante. Era orgogliosa di lui.Nel 1914 però Emilia rimase di nuovo incinta. La gravidanza questa volta fu difficile, il parto complicato e nacque una bambina che visse poche ore. Emilia la volle chiamare Olga, come la propria sorella morta a soli 22 anni.Quella difficile maternità e la perdita della bambina segnarono molto Emilia. Fisicamente ma anche psicologicamente. Era diventata una donna molto sofferente. Andava soggetta a fortissimi mal di schiena che le impedivano perfino di reggersi in piedi. Inoltre veniva presa da improvvisi capogiri, svenimenti che le facevano perdere conoscenza. Quando arrivavano quelle crisi, doveva restare a letto anche per quattro cinque giorni di fila. Doveva essere trasportata a Cracovia, per essere assistita da medici specialisti. Le assenze duravano anche una settimana e allora era il marito a sbrigare le faccende domestiche, fare da mangiare, lavare i piatti, pulire la casa.I medici dicevano che aveva i reni compromessi e il cuore malandato. Doveva condurre un'esistenza tranquilla, serena, non doveva affaticarsi e neppure lontanamente pensare ad altre maternità.IL RIFIUTO DELL'ABORTO TERAPEUTICOMa alla fine del 1919 si accorse di aspettare un nuovo bambino. Aveva già 35 anni e mezzo e la nuova gravidanza si annunciò subito difficile. I medici dissero che era pericolosa per lei e per il nascituro: doveva interromperla. Ma Emilia era una donna di fede. Con grande semplicità, si affidò al buon Dio. Mai avrebbe impedito a quel suo bambino di venire al mondo: per lui era disposta a morire.I nove mesi di gestazione furono pieni di complicazioni per la salute cagionevole di Emilia. Il parto, avvenuto il 18 maggio 1920, fu difficile. Il bambino però nacque sano e venne chiamato Karol, come il padre.Da quel momento l'esistenza di Emilia divenne precaria. I disturbi al cuore e ai reni peggiorarono, i gonfiori alle gambe le impedivano di restare a lungo in piedi. Doveva egualmente provvedere alla casa e ai figli. Si sacrificava in silenzio. «Sopportava il dolore con fede», raccontò la sua coetanea Maria Janina. «Non parlava mai dei suoi disturbi e riusciva sempre a tenere un sorriso dolce e sereno sulle labbra, anche nei momenti di maggior sofferenza».Il piccolo Karol crebbe sereno e vezzeggiato. Nel 1926 cominciò ad andare a scuola. Aveva difficoltà in matematica, ma con l'aiuto del fratello maggiore, che era già universitario, riuscì a superarle e divenne uno dei migliori allievi.Nell'inverno del 1928 le condizioni di salute di Emilia si aggravarono. Karol, che aveva compiuto otto anni, cominciò a capire e ad avere il terrore di perdere la mamma. Un suo insegnante di allora raccontò che il bambino era spesso pensieroso e assente. La mattina del 13 aprile 1929, Karol, dopo aver fatto colazione, era uscito presto come il solito per andare a scuola. Verso mezzogiorno arrivò nella sua classe il preside e disse all'insegnante che doveva parlare con il piccolo Wojtyla. Fuori dell'aula, Karol vide una vicina di casa. Capì che era accaduto qualcosa di grave alla sua mamma e scoppiò a piangere. La signora Emilia, infatti, era spirata poco dopo aver mandato a scuola il bambino.La salma esposta nella casa, i funerali, la sepoltura nel cimitero, impressionarono tremendamente il piccolo Karol. Quel lutto segnò la sua vita per sempre. Gli fece scoprire il dolore di perdere la persona più cara. Tutti gli amici di Karol Wojtyla sono concordi nel dire che egli rimase sconvolto dalla perdita della madre al punto di non riuscire quasi mai a parlare di lei. Solo una volta, al giornalista francese André Frossard, che era suo amico, confidò:«La morte di mia madre è sempre profondamente scolpita nella mia mente». Il suo amore tenero e vivo lo dimostrò tenendo sempre con sé alcuni oggetti che erano appartenuti a sua madre: un tavolino e la cesta di vimini che Emilia usava per raccogliere la biancheria.In seguito, quando Karol Wojtyla era anche diventato un famoso poeta, scrisse, in ricordo della madre questa poesia:«Sulla tua tomba bianca / Fioriscono bianchi fiori della vita.Oh, quanti anni sono stati senza di te, / Quanti anni fa?Sulla tua tomba bianca / Da tanti anni già chiusa:Come se in alto qualcosa si innalzasse, / Come la morte incomprensibile.Sulla tua tomba bianca, / O madre, mio spento amore,Con tanto affetto filiale / Faccio preghiera: Dio, donale eterno riposo».Versi densi di un tremendo dolore mai venuto meno.

    Il ruolo fondamentale delle sante madri dei santi

    Play Episode Listen Later Nov 14, 2023 8:20


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7600IL RUOLO FONDAMENTALE DELLE SANTE MADRI PER LA SANTITA' DEI FIGLI di Antonio TaralloSul tema "mamma", la letteratura di ogni genere ed epoca è assai vasta: testi teatrali, poesie, racconti e romanzi. Per non parlare degli antichi adagi popolari che costituiscono una cultura millenaria. Più volte, nel nostro quotidiano, abbiamo sentito ripetere frasi come: "La mamma è sempre la mamma"; "di mamma ce n'è una sola" o ancora "chi dice mamma non s'inganna". E si potrebbe continuare ad libitum perché l'immaginario collettivo su questo tema così universale è davvero colmo di scene e sentimenti. Le madri sono, infatti, da sempre figure centrali per ognuno, per ogni vivente: si nasce da un grembo materno. E, prima di nascere, si è legati alla madre tramite il cordone ombelicale, unione vitale e spirituale con la propria mamma. E non è certo "un caso" se Dio stesso, per incarnarsi, ha pensato al grembo della Vergine Maria, la Mamma per eccellenza.Nella storia del cristianesimo, dunque, la figura della madre ha avuto un ruolo fondamentale fin dal principio. E lo sapevano bene quei santi che hanno avuto nelle madri testimoni importanti di fede. L'agiografia è colma di esempi di spose e madri che hanno trasmesso ai propri figli una fede salda, ben radicata in Dio, in Cristo, nella Madonna. Madri che per prime hanno trasmesso il messaggio del Vangelo ai figli, e questi, a loro volta, hanno così voluto intraprendere un cammino spirituale tutto particolare, speciale, fino a divenire santi. Così è accaduto a san Gregorio Magno, papa Gregorio I: la madre, santa Silvia (della quale oggi ricorre la memoria liturgica), secondo quanto lo stesso pontefice santo ha riferito nei suoi scritti, raggiunse il vertice della vita di preghiera e di penitenza, divenendo per lui una colonna della sua stessa fede.SANTA MONICA, MADRE DI SANT'AGOSTINOAltra figura centrale per la storia del cristianesimo è senza dubbio santa Monica, madre di sant'Agostino, dottore della Chiesa. Monica ha 22 anni quando nasce il primogenito Agostino, il futuro santo vescovo d'Ippona. Le vicende della sua biografia sono così strettamente legate a quelle del figlio che i due nomi si fondono, si confondono quasi, diventando un binomio inscindibile nella storia della Chiesa. Anche le loro memorie liturgiche si susseguono una dopo l'altra: Monica è celebrata il 27 agosto (sale al Cielo il 27 agosto 387); Agostino il 28 agosto (sale al Cielo il 28 agosto 430). Questa incredibile storia di madre e figlio è affascinante: quando Agostino si trasferisce per i suoi studi di retorica a Cartagine, si concede con sfrenata libertà ai piaceri della vita. La sua è una quotidianità fatta di piaceri smodati. Le sue Confessioni raccolgono diversi episodi riguardo a questo periodo. Monica, allora, cerca di riportarlo sulla retta via, ma niente da fare: Agostino, pur amando profondamente la madre, continua la sua vita smodata. Finiti gli studi, Agostino decide di spostarsi con la sua famiglia a Roma, capitale dell'impero. Monica, caparbia, decide di seguirlo, ma il figlio le sfugge. Ed è a questo punto della storia che avviene un fatto fondamentale: Monica trascorre una notte intera a pregare presso la tomba di san Cipriano. Sarà proprio la perseveranza della preghiera di santa Monica a convertire il figlio. Ma non sarà Roma la tappa decisiva della conversione, bensì Milano. Nella città lombarda, Agostino conosce sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Monica comincia così a intravedere un po' di luce nella vita del figlio: è la Luce di Cristo che comincia a squarciare le tenebre del cuore del figlio dissoluto. Agostino verrà battezzato nel 387. Diventerà vescovo d'Ippona e sarà ricordato per la sua imponente e importante opera teologica.SANTA BRIGIDA E SANTA CATERINA DI SVEZIAFacciamo un salto nel Medioevo: in quest'epoca ci imbattiamo nella storia di santa Brigida e santa Caterina di Svezia, madre e figlia. Anno del Signore 1349: dalla fredda Svezia, Brigida, dopo la morte del nobile marito Ulf Gudmarsson, giunge a Roma. La seguirà la figlia, Caterina. Le due donne saranno da quel momento in poi sempre più unite nel Signore, nell'amore per i bisognosi. Abiteranno, fra preghiere e opere di carità, in Piazza Farnese. Qui si trova ancora oggi il palazzo dove avevano preso dimora: due stanze attigue, metafora della loro vicinanza spirituale. E proprio nel palazzo di Piazza Farnese - sede dell'Ordine del SS. Salvatore di Santa Brigida - è conservata una tela (vedi immagine in fondo) che può darci un'istantanea delle loro biografie: il quadro presenta santa Caterina mentre accompagna l'uscita del corpo di santa Brigida dalla chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna. Brigida era stata sepolta lì, prima di ritornare in patria: viene colta nel sonno della luminosa morte, mentre Caterina, mesta, con il capo reclinato e le mani giunte, prega il Signore mentre accompagna la madre nel suo ultimo viaggio.MARGHERITA OCCHIENA, MADRE DI SAN GIOVANNI BOSCOAnche il Novecento riesce a donarci bellissime storie di madri che con la loro testimonianza di fede hanno avuto una grande influenza sui propri figli. Basterebbe pensare alla venerabile Margherita Occhiena, madre di san Giovanni Bosco: sarà lei la guida per il figlio e per i primi ragazzi di Valdocco. Quando Giovanni confidò al parroco di sentir nascere in lui la vocazione religiosa, il sacerdote lo comunicò subito alla madre. Lei, allora, si rivolse al figlio con queste parole: «Io voglio solamente che tu esamini attentamente il passo che vuoi fare e poi segui la tua vocazione senza guardar ad alcuno. La prima cosa è la salvezza della tua anima. [...] Non prenderti fastidio per me. Io da te voglio niente; niente aspetto da te. Ritieni bene: sono nata in povertà, sono vissuta in povertà, voglio morire in povertà. Anzi te lo protesto. Se ti decidessi per lo stato di prete secolare, e per sventura diventassi ricco, io non verrò neppure a farti una sola visita, anzi non porrò mai piede in casa tua. Ricordalo bene».Passiamo dal Nord al Sud d'Italia. Un altro esempio di grande e genuina fede: è Maria Giuseppa Di Nunzio Forgione, madre di san Pio da Pietrelcina. La sua, una vita da terziaria francescana che sicuramente influì sul figlio Francesco (chiamato così in onore di san Francesco d'Assisi), il futuro santo cappuccino con le stimmate.Altra madre importante è la serva di Dio Emilia Kaczorowska, mamma di Karol Wojtyła, il futuro pontefice Giovanni Paolo II. Il ginecologo di fiducia aveva avvisato della pericolosità del parto di quel bambino e le aveva indicato di abortire. Ma Emilia era una donna di fede: affidò tutto a Dio e alla Madonna: quel bambino, che rischiava di non nascere, diventerà appunto san Giovanni Paolo II, colosso della fede e della Chiesa.

    San Michele è l'Arcangelo del purgatorio

    Play Episode Listen Later Oct 10, 2023 4:25


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7561SAN MICHELE E' L'ARCANGELO DEL PURGATORIOL'arcangelo san Michele è considerato dai cristiani il più potente difensore del popolo di Dio. Nell'iconografia, sia orientale che occidentale, san Michele viene rappresentato come un combattente, con la spada o lancia nella mano e sotto i suoi piedi il dragone-satana, sconfitto nella battaglia. I credenti da secoli si affidano alla sua protezione qui sulla terra, ma anche particolarmente nel momento del giudizio, come recita un'antica invocazione: "San Michele arcangelo, difendici nel combattimento, affinché non periamo nel terribile giorno del giudizio."L'Arcangelo viene riconosciuto anche come guida delle anime al Cielo. Questa funzione di san Michele è evidenziata nella Liturgia romana in particolare nella preghiera all'Offertorio della Messa dei defunti: "Signore Gesù Cristo, libera le anime dei fedeli defunti dalle pene dell'inferno! San Michele, che porta i tuoi santi segni, le conduca alla luce santa che promettesti ad Abramo e alla sua discendenza."Egli compie dunque l'onorevole ufficio di presentare a Gesù Cristo, nostro giudice, le anime che muoiono in grazia di Dio. La Santa Chiesa prega anche san Michele, a nome di tutti i fedeli, di difenderci al momento della morte contro i demoni; di farci trionfare dei loro assalti e di custodirci contro ogni pericolo di perdizione. Questo ufficio attribuito a san Michele di proteggere i moribondi è un privilegio secolare e riconosciuto da tutti. San Tommaso, san Bellarmino, Suarez e sant'Alfonso de' Liguori dichiarano che san Michele ha dato a Dio il compito di presiedere alla morte dei cristiani; che egli libera i suoi devoti dalle astuzie del demonio e dona loro la pace e la gloria eterna. Tale è dunque il pensiero della Chiesa.La Tradizione attribuisce a san Michele anche il compito della pesatura delle anime dopo la morte. Perciò in alcune rappresentazioni iconografiche, oltre alla spada, l'Arcangelo porta in mano una bilancia. Felice dunque colui che ogni giorno avrà pregato san Michele. Nella sua ultima ora, quando dovrà vincere il supremo combattimento che decide per l'eternità, il potente Arcangelo l'assisterà. Esso stesso dichiarò che Satana non avrebbe avuto nessun potere sopra i suoi servi e i suoi protetti.Il fatto che la Chiesa lo preghi per i defunti, indica, secondo l'osservazione del Bossuet, la sua fede circa il ruolo di san Michele nei riguardi delle anime del Purgatorio. Nelle loro sofferenze purificatrici, queste anime hanno bisogno di consolazione. San Michele vi si impegna in modo particolare, egli è l'Arcangelo del Purgatorio. Il Principe della milizia celeste, dice sant'Anselmo, è onnipotente in Purgatorio, egli può dare sollievo alle anime che la giustizia e la santità dell'Altissimo trattengono in quella dimensione dell'aldilà. E' incontestabilmente riconosciuto fin dalla fondazione del Cristianesimo, diceva il cardinale san Roberto Bellarmino, che le anime dei defunti sono liberate dal Purgatorio per l'intercessione ed il ministero dell'arcangelo san Michele. Aggiungiamo a questo autorevole teologo anche l'opinione di sant'Alfonso: "San Michele - egli dice - è incaricato di consolare le anime del Purgatorio. Egli non cessa di assisterle e di soccorrerle, procurando loro molti sollievi nelle loro pene".Se dunque noi amiamo i nostri defunti, a loro intenzione dobbiamo pregare san Michele.

    Madre Teresa

    Play Episode Listen Later Aug 30, 2023 11:20


    VIDEO: cartone animato su Madre Teresa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=HXUI5yBvSdoTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4361MADRE TERESA SARA' PROCLAMATA SANTA IL 4 SETTEMBRE di Rodolfo CasadeiOggi il Meeting di Rimini chiude i battenti con un attesissimo incontro su Madre Teresa di Calcutta, che verrà proclamata santa il 4 settembre prossimo, e fra i relatori non poteva mancare Brian Kolodiejchuk, il postulatore della causa di beatificazione e di quella di canonizzazione della suora albanese. Kolodiejchuk, canadese di origine ucraina e sacerdote dei padri missionari della Carità, ha frequentato madre Teresa per vent'anni, dal 1977 fino alla morte nel 1997, e oggi è il direttore del Mother Teresa Center. Oltre alla mostra rimasta esposta per tutta la settimana al Meeting, ha curato molti libri di scritti della fondatrice delle Missionarie della Carità, fra i quali Sii la mia luce, il libro che rivela la "notte dell'anima" che Teresa visse fino alla fine dei suoi giorni e che più oggi risulta utile per capire la natura della santità che la Chiesa ha riconosciuto e intende sottolineare celebrando la canonizzazione nel corso del Giubileo della misericordia.Padre Brian, lei ha detto e scritto che madre Teresa sarà la patrona di chi ha maggiormente bisogno della misericordia di Dio. Cosa intende dire?In una lettera pubblicata nel libro Sii la mia luce madre Teresa scrive: «Se mai diventerò una santa, sarò una santa dell'"oscurità". Sarò sempre assente dal Paradiso per accendere la luce di coloro che sono nell'oscurità sulla Terra». Questa è la missione di misericordia che si prefigge di svolgere dal Paradiso. Allo stesso tempo l'opera delle sue suore è essenzialmente opera di misericordia. Nell'ultimo libro tradotto in italiano, Il miracolo delle piccole cose, i quattordici capitoli mettono a fuoco le sette opere di misericordia corporale che madre Teresa e le sue suore hanno compiuto, e si tratta della documentazione ufficiale della causa di canonizzazione. Che avviene provvidenzialmente nell'anno del Giubileo della misericordia, per proporre la Madre come un modello di misericordia.Qual è la cosa che più ha fatto soffrire madre Teresa in vita?Vedere continuamente la sofferenza dei poveri. Nei suoi ultimi anni di vita ripeteva spesso: «Chi si prenderà cura dei poveri?». E non si riferiva a quelli di cui le Missionarie della Carità si prendevano cura, ma ai poveri di tutto il mondo in generale. Le dava sollievo il fatto che, grazie anche alle sue iniziative, il mondo era diventato più cosciente della condizione dei poveri. Ha accettato di ricevere più di 200 premi, oltre al premio Nobel, nel corso della sua vita, in nome dei poveri e del fatto che attraverso di lei il mondo prendeva coscienza di loro.Cosa pensava madre Teresa delle critiche che le facevano persone come Christopher Hitchens, di chi la accusava di fare assistenzialismo senza affrontare le cause della miseria?Alcuni fatti che Hitchens ha riportato nel suo libro non erano precisi, come quando ha accusato madre Teresa di aver reso omaggio alla tomba del dittatore Enver Hoxha a Tirana: lei è stata portata lì come le autorità facevano con tutti i visitatori stranieri, la sua intenzione era quella di pregare sulla tomba dei suoi genitori in Albania. L'ha criticata per essersi limitata a creare una casa per i moribondi a Calcutta, quando avrebbe potuto finanziare una clinica di prim'ordine per loro. Ma quella casa era stata creata proprio per i moribondi, per persone abbandonate e senza speranza di guarigione, affinché potessero morire nella dignità. Tutti sanno la storia di quell'uomo che disse: «Ho vissuto tutta la vita come un animale, ma ora muoio come un angelo». Doveva essere un luogo dove si realizzava un incontro personale profondo fra chi accudiva il morente e il morente stesso. Ho invitato Hitchens a rendere la sua testimonianza durante il processo di beatificazione, e lui ha ammesso che la sua antipatia per madre Teresa è nata quando, nella seconda parte della sua visita alle opere delle missionarie della Carità a Calcutta, caduto il discorso sulla questione dell'aborto lei gli disse che la soluzione per le donne che volevano abortire era che partorissero e dessero il figlio in adozione. [leggi MADRE TERESA: IL PIU' GRANDE DISTRUTTORE DELLA PACE E' L'ABORTO, clicca qui, N.d.BB]Riguardo alle critiche sul fatto che lei non si occupava delle cause della miseria, la Madre ha sempre risposto che la sua missione era quella di prendersi cura dei bisogni del sofferente qui ed ora, ad altri era data quella di occuparsi della rimozione delle cause, appoggiandosi sulla dottrina sociale della Chiesa. [leggi MADRE TERESA: PORTAVA AI POVERI SIA IL PANE CHE CRISTO (NO ALL'UMANITARISMO RELATIVISTA), clicca qui, N.d.BB]Quali sono stati il santo e la santa preferiti di madre Teresa?La santa è Teresina di Lisieux, che era stata canonizzata e poi proclamata co-patrona delle missioni insieme a san Francesco Saverio proprio negli anni della formazione e dei primi voti di madre Teresa. La colpiva tantissimo la «via dell'infanzia spirituale» di Teresina, che consiste nella fiducia e nell'abbandono nelle braccia di Gesù perché lui operi in noi quando a noi è impossibile operare. Teresa tradurrà in inglese "confiance et abandon" con "trust and surrender". Fra i santi amava molto san Francesco: era l'unica immaginetta dentro al suo libro di preghiere. E sant'Ignazio di Loyola, al quale si ispirava il primo ordine religioso a cui si consacrò, quello delle suore di Loreto.Quale era la sua preghiera preferita?Era il Memorare, la preghiera di intercessione alla Vergine Maria attribuita a san Bernardo di Chiaravalle. Ne aveva fatto una novena, che chiamava la "novena volante", nella quale si ripeteva per nove volte di seguito la preghiera ogni giorno per nove giorni. Ricordo il caso di una suora che non riusciva ad avere il visto per l'allora Ddr (la Germania comunista): lei e altre suore pregarono e già dopo il primo giorno il visto arrivò. E quella non è stata l'unica grazia ottenuta attraverso la novena volante.Aveva pratiche ascetiche particolari?Solo il digiuno in concomitanza del pranzo del primo venerdì del mese. Il corrispettivo del pranzo saltato andava in un fondo speciale a cui si faceva ricorso per le richieste di aiuto impreviste. Non era attratta da pratiche ascetiche straordinarie, anche nella vita ascetica applicava il suo motto generale: "fare le cose ordinarie con un amore straordinario".Quali persone ha sentito maggiormente amiche nel corso della sua esistenza?Anzitutto Jacqueline De Decker, una donna belga che voleva diventare missionaria della carità, ma a causa di un grave problema di salute è dovuta tornare in Belgio. Madre Teresa le ha chiesto di essere il suo braccio destro spirituale, di fondare i Cooperanti sofferenti delle missionarie della Carità, che offrivano le loro sofferenze per donare alle suore la forza di compiere la loro opera di misericordia. Poi Anne Blaikie, che condusse con lei la campagna "tocca un lebbroso con la tua compassione" a Calcutta e poi fondò gli Youth Co-workers, giovani che collaborano le Missionarie della Carità. Infine Kathryn Spink, figlia di diplomatici britannici e scrittrice di successo: madre Teresa si fidò tanto di lei da farne la sua biografa autorizzata.Si è molto parlato della "notte dell'anima" che scese su madre Teresa a un certo momento. Come attraversò quel tempo e come ne uscì?Non è uscita dall'oscurità per il resto della sua vita. Di solito nella vita dei mistici la notte dell'anima è un passaggio verso l'unione mistica con Cristo. In madre Teresa la cosa è diversa. Lei afferma di avere provato la dolcezza dell'unione della sua anima con Cristo fra il 10 settembre 1946, il giorno in cui si manifesta in lei l'ispirazione per quella che sarà la sua opera, e la metà del 1947, quando comincia a visitare gli slum di Calcutta. In quel momento la dolcezza svanisce e non torna più. Questa seconda esperienza di oscurità, dopo che era avvenuta l'unione mistica con Cristo, la definirei un'oscurità apostolica, missionaria. Lei capisce che la povertà più grande dell'uomo non è quella materiale, ma il sentirsi non amati, abbandonati, soli, ed è ciò che lei stessa sperimenta nel rapporto con Cristo: ha il sentimento che Gesù non la ama e che lei non riesce ad amare Gesù come vorrebbe. Diceva: «Lo stato della mia anima è come quello dei poveri che vivono per strada».Paradossalmente questa aridità del rapporto con Cristo l'ha unita maggiormente a lui e ai poveri. A lui perché ha condiviso con lui l'esperienza della solitudine nell'orto del Getsemani e dell'abbandono da parte di Dio sulla croce, quando Gesù dice: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?". E con i poveri perché è diventata come loro non solo nello stile povero di vita, ma nel condividere il loro senso di abbandono, di solitudine, di assenza dell'amore.

    San Giovanni da Capestrano, patrono dei cappellani militari

    Play Episode Listen Later Aug 22, 2023 11:41


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7502SAN GIOVANNI DA CAPESTRANO, PATRONO DEI CAPPELLANI MILITARI di Don Mario ScuduNon si può certo dire che fu un uomo tutto casa e chiesa, o meglio, visto che era un frate, tutto convento e cappella. Ha avuto una vita movimentata, molto varia e ricca di esperienze. Ha girato prima l'Italia e poi l'Europa, ma non per turismo religioso o per convegni di aggiornamento con soggiorno in alberghi a varie stelle... ma per predicare. E non dimentichiamo che, nel Quattrocento, lo stesso "viaggiare" era sinonimo di fatica, dormire poco, soffrire la fame e la sete con pericoli vari e imprevedibili: ogni giorno una buona dose di disagio di vario genere con avventure non sempre a lieto fine.Nel 1453 era caduta la città di Costantinopoli, la capitale dell'Impero Romano d'Oriente. L'impressione fu enorme. Il senso della minaccia sulla cristianità europea era tangibile e incombente. La paura e l'angoscia erano tornate prepotenti e si facevano sentire con forza su larghi strati della popolazione. Anche se non su tutti. Davanti ad ogni avvenimento doloroso c'è sempre un certo numero di apatici, che sono poi quelli dagli ideali ristretti e dagli orizzonti che coincidono esattamente con il proprio benessere e tornaconto. Fu così anche allora.Il nuovo pericolo che minacciava l'Europa era costituito dall'avanzata sanguinaria e apparentemente inarrestabile dell'Islam e dei Turchi. Furono i papi Niccolò V e poi il successore Callisto III che organizzarono una crociata in difesa della fede cristiana e dell'Occidente intero minacciati dal pericolo ottomano-islamico. Ma sul campo è stato Giovanni da Capestrano, un umile frate, a raccogliere la sfida e darsi da fare, con la predicazione, per reclutare uomini. Purtroppo solo gli Ungheresi, i più direttamente minacciati, risposero al suo appello.Con un esercito di quasi 5.000 uomini si mise in cammino verso Belgrado, fortezza che era stata chiusa in una tenaglia dalle truppe di Maometto II e dalla flotta turca. Fu dapprima un comandante ungherese, lo Hunyadi, dietro suo impulso a rompere l'assedio navale con un attacco che riportò pieno successo il 14 luglio 1456. Una settimana dopo arrivò anche la vittoria terrestre. E questa ebbe come protagonista assoluto Giovanni da Capestrano che guidò l'attacco. Un frate trasformatosi in generale vittorioso. Fu questa azione a difesa dell'Occidente che gli meritò in seguito l'appellativo di "Apostolo dell'Europa Unita". Ma gli costò anche la vita. Contrasse infatti la peste e ne morì tre mesi dopo nel convento di Ilok, in Croazia. Era il 1456. Anno della Battaglia di Belgrado dell'Europa contro i Turchi, come viene indicato nei libri di storia.GIOVANNI: INQUISITORE E PREDICATORE IN ITALIAGiovanni nacque il 24 giugno 1386 a Capestrano non lontano da L'Aquila, nell'Abruzzo. I suoi genitori erano di nobili origini. La prima istruzione l'ebbe in famiglia da uno speciale pedagogo. E ancora adolescente conobbe il dolore: subì infatti, per rappresaglia, l'uccisione di ben dodici persone del parentado e la distruzione della stessa casa. Giovanni studiò diritto canonico e diritto civile a Perugia. Diventò anche giudice di questa città facendosi notare e ricordare per la sua integrità morale e imparzialità. Stava per far rientro in paese per guadagnare un po' di denaro e così autofinanziarsi gli studi per la promozione al dottorato, quando, nel 1415 in seguito ad un conflitto tra Perugia e Rimini, cadde prigioniero. Come sarà alcuni secoli dopo per Sant'Ignazio di Loyola che si convertì durante la prigionia, così fu per Giovanni da Capestrano (cf box a pag. 18). Alcuni anni dopo entrò tra i francescani osservanti, divenendo sacerdote nel 1417.La sua vita si può dividere in due grandi periodi. Il primo comprende la sua attività in Italia fino al 1451; il secondo la sua predicazione nell'Europa centrale e la partecipazione alla battaglia di Belgrado, e la morte (1456).Nel primo periodo furono tre i principali interessi di Giovanni: la predicazione, la difesa della ortodossia cattolica e la riforma dei frati minori.A partire dal 1422 cominciò a predicare a L'Aquila davanti a grandi folle, che rimanevano estasiate alle sue parole e al suo entusiasmo. Folle enormi lo seguiranno anche a Roma, Siena, Perugia, Milano, Padova, Vicenza, Venezia e altre città. Fece anche alcune puntate in Spagna e in Terra Santa. La sua predicazione, specialmente durante l'Avvento e la Quaresima, fu un grande aiuto per il rinnovamento spirituale e dottrinale delle popolazioni italiane del tempo. Diventato un predicatore famoso, Giovanni ne conobbe un altro grandissimo, Bernardino di Siena, di cui divenne amico (e difensore quando venne accusato di idolatria). Fu quest'ultimo a comunicargli la devozione al nome di Gesù (condensato nelle famose tre lettere IHS che significavano Jesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli uomini). Per le sue conoscenze del diritto Giovanni veniva anche chiamato dai papi come paciere e come diplomatico incaricato di delicate missioni.Venne nominato in seguito inquisitore dei Fraticelli e chiamato così a combattere il fraticellismo: una setta che pretendeva di praticare "alla lettera e senza glosse" la regola di San Francesco, professando diverse dottrine dichiarate eretiche dalla Chiesa. Proprio per il successo che ebbe come riformatore dell'ordine francescano si meritò l'appellativo di "Colonna dell'Osservanza".Altro incarico che svolge con molto zelo e efficienza, anche senza i risultati desiderati, fu la sua attività di inquisitore degli Ebrei (1427) o meglio la sua battaglia contro l'usura, grandemente ed efficientemente praticata da questi, che ha poi lasciato su di loro lungo i secoli seguenti una fama poco bella.Giovanni si era adoperato presso papi, principi e governatori di città, e specialmente presso la regina Giovanna di Napoli, per far applicare le leggi contro l'usura in generale e contro gli Ebrei in modo particolare, cercando di costringere questi ultimi ad osservare le disposizione del diritto ecclesiastico e civile del Regno. Non ebbe grande successo anche perché non godette degli appoggi importanti su cui lui contava.UN PREDICATORE PER L'EUROPADal 1451 al 1456 abbiamo il secondo periodo della vita di Giovanni quello propriamente "europeo". Su istanza di papa Niccolò V egli partì per l'Austria insieme a dodici compagni (tra i quali uno dei suoi biografi, un certo Nicola della Fara). Fu lo stesso imperatore Federico III a richiedere la sua presenza come predicatore (predicò in Baviera, nella Turingia, nella Sassonia, Slesia ed in Polonia, parlando in latino e aiutato da un interprete), come riformatore dei frati conventuali, come inquisitore degli Ebrei e anche per cercare di riconvertire gli hussiti di Boemia. Questi erano i seguaci del riformatore Jan Hus, arso come eretico nel 1415. [...]Ma questo punto nel programma di Giovanni diventava secondario rispetto al pericolo incombente posto dall'Islam che avanzava insieme ai Turchi. Si dedicò completamente a questo obiettivo fino alla morte.Che messaggio ci lascia Giovanni da Capestrano? Anzitutto la sua totale dedizione per la causa del Vangelo, attraverso la predicazione in Italia e nell'Europa centrale contrastando le eresie del tempo. Egli "può restare come esempio di un uomo che, in quello scorcio finale del Medio Evo, seppe capire problemi e aspirazioni, angosce e attese del suo uditorio, e cercò di ripresentare il Vangelo in quella situazione... Un messaggio ... resta per i predicatori di tutti i tempi, quello di farsi ricercatori e annunciatori del senso attuale che deve avere la rivelazione divina per ogni generazione e cultura" (A. Pompei).Giovanni da Capestrano ha lasciato una profonda impressione nella Chiesa del Quattrocento, per la sua predicazione travolgente e convincente (e le sue prediche non erano propriamente uno show: duravano infatti dalle due alle tre ore, con qualche eccezione... ancora più a lungo). Fu un uomo di successo apostolico per le conversioni spettacolari operate, per i suoi poteri taumaturgici che esercitava per la povera gente, e non ultimo anche per la sua multiforme santità. "Giovanni appare come un discepolo di Cristo, del quale segue l'esempio per quanto la sua condizione umana glielo consente.L'imitazione di Cristo è dunque primordiale ed il modello evangelico guida la vita di Giovanni. La profonda pietà e la grandissima umiltà del santo colpirono i suoi contemporanei; egli si imponeva prove umilianti, come attraversare la città di Perugia, della quale fu giudice, malvestito e in groppa ad un asinello. Il suo amore per la pace, legato ad un innato senso della giustizia ed una ardente carità nei confronti del prossimo, lo pongono nella categoria dei santi. La sua vita è condotta nel segno dell'austerità: accatta il suo pane, porta quotidianamente il cilicio, digiuna tutti i giorni in eguale misura" (da Storia dei Santi e della Santità cristiana, vol. I).Un santo ancora oggi, per molti aspetti, significativo.

    Francesco di Sales, il santo che ci insegna ad essere santi

    Play Episode Listen Later Aug 15, 2023 7:25


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7478FRANCESCO DI SALES, IL SANTO CHE INSEGNA AD ESSERE SANTIAutore del libro di successo Filotea, scritto per i fedeli laici e tutt'oggi validissimo per progredire nella vita spiritualedi Liana MarabiniLo Château de Sales, in Savoia, predomina la vallata sottostante con i suoi muri merlettati predisposti per le guardie: è un castello fortificato, di proprietà della famiglia de Sales. Il patriarca François osserva da una delle finestre del primo piano il giardino sottostante: un ragazzino elegantemente vestito sta duellando con un adulto. Il ragazzo è suo figlio, si chiama François, come lui (lo hanno battezzato così in onore di san Francesco d'Assisi); l'altro duellante è il suo maestro di armi. Il patriarca è combattuto fra la gioia di vedere la bravura del figlio nel maneggiare le armi e la tristezza per la notizia che il giovane desidera ardentemente diventare prete.Ma lui ha ben altri progetti per il figlio. Lo manderà a Parigi, a studiare il diritto, così diventerà un ottimo magistrato. Il giovane Francesco (1567-1622) si piega alla decisione del padre e prosegue gli studi presso il collegio parigino di Clermont, tenuto dai gesuiti. Studia retorica, latino, greco, ebraico, filosofia e teologia, conoscenze che gli permettono di "imparare gli esercizi della nobiltà". Impara bene anche il francese, che comincia ad utilizzare in sostituzione del dialetto natale. Ma ciò che lo attira di più è lo studio della teologia.Francesco mostrava un forte interesse per la teologia dei santi Agostino di Ippona e Tommaso d'Aquino, concentrandosi in particolare sulla grazia e la predestinazione, che era molto discussa allora a causa del protestantesimo. Qualche tempo prima della nascita del Sales, Calvino aveva teorizzato una sua teologia della predestinazione, in modo molto diverso dalla dottrina cattolica. Questo approccio suscitò grande ansia in Francesco, che per alcune settimane - tra il dicembre 1586 e il gennaio 1587 - si immaginò di essere predestinato all'Inferno. Sconvolto, pregava davanti a una statua della Vergine Maria in una chiesa domenicana, la chiesa di Saint-Étienne-des-Grès. Con l'aiuto della preghiera arrivò alla liberazione dalle sue paure. Fece anche voto di castità, accrescendo preghiere e penitenze.STRAORDINARIE QUALITÀ SACERDOTALINel 1588, decise di continuare gli studi in Italia, arrivando in una delle più notevoli università europee del tempo: Padova. Cercando consiglio e aiuto, si pose sotto la direzione spirituale del gesuita Antonio Possevino, che gli fece fare gli esercizi spirituali. Come confidò una volta a un amico: "Ho studiato diritto per piacere a mio padre e teologia per piacere a me stesso". A 25 anni, viaggiò tra Loreto, Roma, Venezia e poi tornò in Savoia. Qui il padre gli offrì la signoria di Villaroger e gli presentò una fidanzata. Ma Francesco ribadì il suo desiderio di diventare prete.Qualche tempo dopo, il vescovo Claude de Granier gli offrì l'incarico di prevosto del capitolo di Ginevra. Così, Francesco indossò la tonaca il 10 maggio 1593 e il giorno successivo divenne canonico di Annecy; il 13 maggio rinunciò alla primogenitura e al titolo di signore di Villaroger. Si ritirò quindi nel castello di Sales fino al 7 giugno 1593, lottando contro i suoi dubbi e le sue tentazioni. Ricevette il diaconato l'11 giugno 1593; il 18 dicembre dello stesso anno fu ordinato sacerdote e quindi divenne prevosto di Ginevra.Le sue straordinarie qualità sacerdotali (calma, dolcezza nelle parole e nell'approccio ai fedeli, un'eloquenza rara) fecero di lui un ottimo strumento per la conversione delle anime. L'8 dicembre 1602 Francesco di Sales fu consacrato, a Thorens, vescovo di Ginevra. Servì la sede episcopale in esilio ad Annecy, poiché Ginevra era divenuta una roccaforte protestante. Come nuovo vescovo, decise di istituire il catechismo per diffondere, far conoscere e far comprendere la fede cattolica ai credenti della sua diocesi. I suoi seguaci lo chiamavano "l'amabile Cristo di Ginevra".L'INCONTRO FECONDO CON SANTA GIOVANNA DI CHANTAL Nel marzo 1604, a Francesco fu chiesto di tenere i sermoni quaresimali a Digione. Lì conobbe la baronessa Giovanna Francesca di Chantal (1572-1641). Vedendola, Francesco credette di riconoscere colei che gli era apparsa durante una visione e che avrebbe dovuto fondare un nuovo ordine religioso. Qualche tempo dopo, divenne direttore spirituale della stessa Giovanna di Chantal, oggi santa, alla quale disse: "Tutto si deve fare per amore, e niente per forza, bisogna amare l'obbedienza più che temere la disobbedienza". Insieme a lei, avrebbe poi fondato l'Ordine della Visitazione.San Francesco di Sales è stato anche uno scrittore notevole, uno dei primi ad usare il francese contemporaneo nei suoi scritti per avvicinarsi ai lettori. Nel 1608, scrisse la sua opera più famosa, l'Introduzione alla vita devota (o Filotea). Inizialmente, il santo aveva scritto a Madame de Charmoisy, la moglie di un cugino che desiderava praticare una vita di preghiera. Per due anni, le diede consigli spirituali, finché la guida spirituale di Francesco lo esortò a pensare a una pubblicazione. L'autore, dopo una serie di opportune modifiche, pubblicò quindi quei consigli sotto il titolo di Introduzione alla vita devota. Il linguaggio e lo stile utilizzati in quest'opera erano molto semplici per l'epoca, senza citazioni latine o greche. Offrendo devoti consigli a uomini e donne di ogni stato di vita, si rivolgeva a un pubblico molto più vasto rispetto a molti altri trattati spirituali dell'epoca.Riguardo al protestantesimo, si distinse per la carità con cui si proponeva di riportare le anime alla Chiesa cattolica: "È con la carità che le mura di Ginevra devono essere scosse, con la carità che deve essere invasa, con la carità che deve essere recuperata [...]. Non ti offro ferro, né questa polvere il cui odore e sapore ricorda la fornace infernale [...]. È da noi stessi che dobbiamo respingere il nemico [...], con l'esempio e la santità della nostra vita [...]. Dobbiamo abbattere le mura di Ginevra con preghiere ardenti e lanciare l'assalto con fraterna carità".Francesco di Sales è stato canonizzato nel 1665 da Alessandro VII. Nel 1877 il beato Pio IX lo ha proclamato Dottore della Chiesa. E nel 1923, Pio XI lo ha dichiarato patrono dei giornalisti e degli scrittori cattolici.

    L'attualità del santo Curato d'Ars

    Play Episode Listen Later Aug 2, 2023 14:35


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=160L'ATTUALITA' DEL SANTO CURATO D'ARS di Benedetto XVICari fratelli e sorelle, nell'odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l'esistenza del Santo Curato d'Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25, 34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all'ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l'Anno Sacerdotale, che, com'è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l'efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l'8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com'era buon uso all'e-poca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell'adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all'età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili.Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all'ordinazione presbiterale dopo non poche traversie ed incomprensioni, grazie all'aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l'orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all'età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l'altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.Il Santo Curato d'Ars manifestò sempre un'altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: «Oh! Che cosa grande è il sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!» (Abbé Monnin, Esprit du Curé d'Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: «Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime» (Abbé Monnin, Procès de l'ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull'esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un'efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.Centro di tutta la sua vita era dunque l'Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l'assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell'apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (cfr Gv 20,23). San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando «con un solo movimento interiore, dall'altare al confessionale», dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un'esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l'Anno Sacerdotale).I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c'è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d'Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu «innamorato» di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l'amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l'Eucaristia «non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l'intero io dell'uomo e crea un nuovo noi» ( Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa , p. 80).Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che con-trassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di «dittatura del razionalismo» volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un'eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote - si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell'uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d'Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c'era la «dittatura del razionalismo», all'epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di «dittatura del relativismo». Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell'uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l'essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l'uomo «mendicante di significato e compimento» va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi. Avevano ben presente questa «sete di verità», che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, «quali educatori della fede», formare «un'autentica comunità cristiana» capace di aprire «a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo» e di esercitare «una vera azione materna» nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede «il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa», e costituendo per chi già crede «stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale» (cfr Presbyterorum ordinis , 6). L'insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d'Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un'intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno.

    Gli interrogatori a Bernadette, la forza di un'anima pura

    Play Episode Listen Later Aug 1, 2023 15:17


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7479GLI INTERROGATORI A BERNADETTE, LA FORZA DI UN'ANIMA PURA di Antonio TaralloQuando si pensa a Lourdes le immagini si affollano nella mente, soprattutto nel cuore: la grotta di Massabielle, la statua dell'Immacolata Concezione, l'acqua miracolosa, i flambeaux, le migliaia di candele accese che illuminano il luogo sacro, il verde incontaminato dei Pirenei, il fiume Gave e tante, tante altre immagini. Si potrebbe continuare ad libitum. Ma fra queste, più di tutte, ve n'è una: è il volto di una giovane con grandi occhi neri, scuri e profondi; ha un viso tondeggiante e i suoi capelli sono raccolti da uno scialle che reca sulla testa. È il volto di santa Bernadette Soubirous. È questa adolescente di appena 14 anni ad essere, assieme alla Vergine Maria, protagonista di quei fatti che sconvolsero, a partire dall'11 febbraio di 165 anni fa, la piccola cittadina francese di Lourdes: un luogo come tanti, destinato a rimanere anonimo, se Maria non l'avesse scelto per palesarsi con il titolo di Immacolata Concezione.UNA RAGAZZINA POVERA E IGNORANTEDio sceglie i piccoli per parlare, gli umili di cuore. «In quel tempo Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli"» (Matteo 11,25). E così è avvenuto per santa Bernadette, che non sapeva leggere né scrivere. Bernadette doveva aiutare la sua povera famiglia perciò non c'era tempo per lo studio. Andava solo saltuariamente a scuola, nella classe delle bambine povere dell'ospizio di Lourdes, tenuta dalle Suore della Carità di Nevers. Bernadette e la sua famiglia è un capitolo che merita un particolare approfondimento in quanto riesce a fornirci alcune importanti informazioni sulla fede della giovane santa. I suoi genitori - François Soubirous (1807-1871) e Louise Castérot (1825-1866) - erano poveri e indigenti rimasero sempre: è grazie a loro se la piccola Bernadette crebbe in una fede cattolica semplice e pura, al contempo forte, determinata e coraggiosa. Il padre, alla nascita di Bernadette, faceva il mugnaio presso il mulino di Boly, ma gli affari erano tutt'altro che proficui perché François era uomo buono e generoso, sempre più pronto a donare che a ricevere. Ogni giorno un problema assaliva la famiglia Soubirous, ma in questa loro via Crucis è necessario sottolineare un elemento importante: la loro fede nel Signore era incrollabile, riusciva a superare ogni difficoltà. È questo l'humus in cui crebbe Bernadette.E proprio questa fede incrollabile l'aiuterà durante gli interrogatori a cui sarà sottoposta dalle autorità di Lourdes. Dopo quel famoso 11 febbraio, alla grotta di Massabielle cominciarono ad accorrere i primi "pellegrini": da ciò, gli asseriti problemi di ordine pubblico. I primi interrogatori che dovette affrontare Bernadette furono condotti dal commissario di polizia Jacomet e dal procuratore imperiale Dutour. È interessante leggere il memoriale che il procuratore stenderà del suo incontro con la giovane: «Bernadette non fu né portata, né condotta: si recò volontariamente, dietro semplice invito verbale. Quando apparve, nulla del suo aspetto esprimeva ch'ella dovesse vincere qualche ripugnanza; nessun timore da superare. La sua fisionomia era serena, fiduciosa, senza timidezza, se pur senza audacia. Ciò che le fu detto non parve causarle alcun turbamento; ciò che disse, lo disse con semplicità, nel suo dialetto, senza imbarazzo e senza che fosse necessario costringerla» (cit. in Bernadette Soubirous di François Trochu, Marietti, Torino, 1957). Quest'ultima frase - «senza che fosse necessario costringerla» - ci dice tutto: ci fa comprendere l'animo di questa giovane di fronte alle autorità. Bernadette non ha paura perché sa bene che il Signore e la Vergine Maria sono con lei. A una sua compagna di scuola, dopo gli interrogatori, Bernadette dirà: «Non ero più me stessa e non avevo paura. C'era in me qualche cosa che mi rendeva capace di superare ogni ostacolo».UNA SANTA CHE HA ANCORA MOLTO DA DIRCII resoconti degli interrogatori - qui riproposti come il già citato volume Bernadette Soubirous di François Trochu li raccoglie - riescono ad offrire un'istantanea di quei momenti che segneranno, per sempre, la storia della Chiesa e delle apparizioni mariane. Sono pagine in cui, il più delle volte, troviamo replicato lo stesso schema: da una parte, ci sono le autorità che cercano di mettere in crisi Bernadette; dall'altra, vi è la giovane pastorella che non cade nelle "trappole". Fra i tanti esempi che si potrebbero annoverare, ne citiamo uno: è l'interrogatorio condotto dal commissario Jacomet. A un certo punto, il commissario disse: «No, tu non dici la verità. Se tu non mi dici chi è che ti ha spinta a raccontare questa storia, ti perseguiterò come una bugiarda». Pronta la risposta di Bernadette: «Signore, fate come volete».A 165 anni dagli straordinari avvenimenti di Lourdes, santa Bernadette ha ancora molto da dirci. Le grandi figure del cristianesimo hanno proprio questa peculiarità: pur approfondite da insigni studiosi e teologi, la loro forza comunicativa sembra davvero non esaurirsi mai. Basterebbe solo pensare alle migliaia e migliaia di pagine scritte sulla giovane pastorella. Da Le apparizioni di Lourdes narrate da Bernadette di Jean-Baptiste Estrade, testimone oculare e tra i primi storici delle apparizioni, del 1898 (prima edizione) e del 1906 (edizione definitiva), fino ad arrivare alle importantissime opere di padre René Laurentin (solo per citarne alcune, Vita di Bernadette del 1979; Lourdes. Cronaca di un mistero del 1998; Bernadette di Lourdes ci parla ancora, uscito postumo nel 2018). E poi vi è il nostrano Bernadette non ci ha ingannati (2013), di Vittorio Messori.Ma alla lista bisogna almeno aggiungere altri autori, come l'abate Blazy con il suo Santa Bernadetta del 1977 e come il curioso Il canto di Bernadette (del 1941) di Franz Werfel, scrittore austriaco di origine ebraica. Werfel scrisse questo romanzo - in cui «tutti gli avvenimenti notevoli che formano il contenuto del libro sono in realtà accaduti», come precisa lo stesso autore nell'introduzione - per adempiere un voto fatto alla Madonna. Werfel e la moglie, scappati dalla Parigi occupata dai nazisti, avevano trovato rifugio a Lourdes per poi trovare definitivamente la salvezza a Los Angeles, in America. La Madonna aveva ascoltato la sua preghiera.Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Antonio Tarallo, nell'articolo seguente dal titolo "Vita nascosta di una santa: Bernadette nel convento di Nevers" parla della vita esemplare della santa vissuta nel ritiro del convento.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15 aprile 2023:Martedì 3 luglio 1866, Bernadette è davanti alla grotta di Massabielle: lo sguardo fisso a quelle rocce e nel suo cuore vi è tanta malinconia. I sentimenti della giovane Bernadette, alla vigilia della partenza per Nevers, sono tanti e hanno le stesse sfumature dei colori del cielo di Lourdes: sa bene che non rivedrà più quel paesino dei Pirenei, non vedrà più i suoi genitori, ma soprattutto non vedrà più quella grotta, dove le era cambiata, per sempre, l'esistenza. Eppure, sa bene che la strada religiosa è quella segnata dalla Vergine Maria.Prime luci dell'alba del 4 luglio: la giovane parte alla volta della Casa Madre delle Suore della carità e dell'istruzione cristiana di Nevers. «Signorina Bernadette Soubirous, postulante di Lourdes, di ventitré anni, entrata l'8 luglio 1866. Ammessa gratuitamente. [...] Siamo felici che la Santa Vergine si sia degnata di affidarcela», poche righe sul "Libro delle entrate" del convento di Nevers per registrare questa nuova postulante. «Finalmente lontano da tutti, sono venuta qui per nascondermi», affermerà lei qualche giorno dopo.Le sorelle della congregazione non erano del tutto sconosciute alla giovane Bernadette: già dalla fanciullezza erano entrate nella sua vita. Erano state, infatti, loro a istruirla a Lourdes per la Prima Comunione, le avevano insegnato il catechismo e le prime nozioni della lingua francese. E ora si trovava fra loro. Incominciava così per Bernadette un nuovo capitolo della vita che si sarebbe concluso con l'ultima pagina scritta della sua esistenza terrena. Chi avrebbe mai pensato che quella pastorella, quasi analfabeta, un giorno avrebbe visto l'Immacolata e ancora più avanti sarebbe divenuta una religiosa? Eppure il Signore aveva voluto così e lei, nella sua umiltà, aveva accettato tutto.Ma come era visto dalle sorelle di Nevers questo nuovo arrivo? Tutte conoscevano la sua storia, ciò che aveva vissuto prima di entrare lì, nel convento di Saint Gildard a Nevers: facile immaginare la curiosità di incontrare il suo volto; tutte le sorelle non aspettavano altro che ascoltare la voce di quella giovane che aveva parlato con l'Immacolata. Suor Lucia Clor

    Storia del vescovo autore di Tu scendi dalle stelle

    Play Episode Listen Later Jul 26, 2023 6:34


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4502STORIA DEL VESCOVO AUTORE DI TU SCENDI DALLE STELLE di Francesco Agnoli"Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo": inizia così la più celebre canzone popolare di Natale, e può venir voglia di conoscere chi sia l'autore e quale sia stata la sua vita. Alfonso Maria de Liguori, questo il nome di colui che la ideò, nasce a Napoli nel 1696, da famiglia nobile e ricca. Dati i natali, la sua vita sembrerebbe già scritta: lo aspettano onori, ricchezze, potere. Suo padre nutre grandi ambizioni per il figlio, e lui ha doti non ordinarie. Studia musica, ama dipingere, si iscrive, a 12 anni, presso l'Università di Napoli, per divenire avvocato.BRILLANTE AVVOCATO E BUON SAMARITANOL'età minima, per accedere al titolo, sono i 20 anni: Alfonso viene rivestito di una toga più grande di lui, già a 16. Se l'aspirante è eccezionale, si può fare eccezione. Divenuto avvocato, Alfonso si impone una moralità ferrea, in un mestiere difficile. Nello stesso tempo frequenta varie confraternite, che lo portano per esempio a visitare i malati, i sifilitici, i derelitti del grande ospedale di Napoli, gli Incurabili. L'ingresso "nella confraternita della Visitazione portava per la prima volta il nostro brillante samaritano ad avvicinare, a incontrare, a toccare con le sue mani, ogni settimana, per anni, l'uomo a terra, spogliato, ferito, gemente nel fossato, ai bordi del suo cammino di ricco. Per otto anni si piegherà su di lui con orrore, con amore, con fede nella parola di Gesù: 'Quello che fate al più piccolo dei miei lo fate a me'" (T.R.Mermet).Alfonso fa parte anche della Confraternita di santa Maria della Misericordia, i cui membri sono dediti al seppellimento degli indigenti, ai preti pellegrini o stranieri, e a quelli detenuti per indegnità nelle carceri dell'Arcivescovado. Alfonso per dieci anni, dal 1714 al 1726, gira per Napoli, una volta la settimana, questuando per tutti questi. E' nel 1723, quando la carriera sembra inarrestabile, che proprio mentre si piega su un malato degli Incurabili, egli sente come una voce che lo chiama: "Lascia il mondo e datti a me". Nonostante la disperazione del padre, Alfonso segue l'ispirazione e si avvia agli studi per il sacerdozio, che sarà speso negli studi, negli scritti di morale (tra cui la Theologia moralis, La pratica del Confessore e Apparecchio alla morte), nelle missioni al popolo, nel confessionale, nelle celle dei prigionieri, tra i lazzaroni, le prostitute, i poco di buono e i peccatori di ogni genere...CELESTE PATRONO DEI MORALISTI E DEI CONFESSORIQui, tra questa umanità dolorante, l'uomo di dottrina e di carità, acquista quella saggezza, nel trattare non solo con i malati nel corpo, ma anche con quelli nello spirito, che gli varrà il titolo, concesso da Pio XII nel 1950, di "celeste patrono dei moralisti e dei confessori". Saggezza che consiste in quel santo equilibrio con cui il santo sa affrontare il peccato: condannandolo, certamente, ma piegandosi anche con benignità ed amore sui peccatori. Alfonso è un avversario del rigorismo che trasforma la vita morale in terrorismo spirituale: confessa, esige e perdona, impone penitenze che non siano eccessive e da buon ammiratore di san Filippo Neri, di san Vincenzo de Paoli e di san Francesco di Sales (quello che invitava a conquistare le anime con il miele piuttosto che con il fiele), impara ad evangelizzare gli uomini con la semplicità (voleva farsi intendere anche dalle "menti di legno"), le devozioni popolari, la meditazione. Tenendosi lontano dallo zelo amaro e dall'algida moralità giansenista. Alfonso invita i confratelli predicatori a non dimenticare di inculcare il "timor di Dio", ma evitando gli eccessi, le "maledizioni", perché le conversioni vere nascono solo quando "entra nel cuore il santo amore di Dio".Napoli è la città giusta per lui: così piena di contraddizioni, di cultura e di miseria, di fede e di superstizione, di processioni e di bestemmie e sacrilegi... Un impasto in cui l'umanità dà il meglio e il peggio di sé, e in cui non si può raccogliere solo ciò che brilla e riluce, a prima vista."TU SCENDI DALLE STELLE" E "QUANNO NASCETTE NINNO"Napoli è anche la città della musica che Alfonso ama sin da ragazzo (abbandonerà il suo clavicembalo solo una volta divenuto vescovo) e che sarà sempre, per lui, un modo per pregare ed istruire il popolo. Napoli è infatti la città in cui i discepoli di san Filippo Neri, inventore dell'Oratorio, frequentati da Alfonso già dal 1706, propongono di continuo concerti religiosi e 'ricreativi'; è la città in cui gli orfani "scugnizzi" sono internati nei "Conservatori", luoghi in cui, come dice la parola, devono essere custoditi e magari educati anche attraverso la musica. "A Napoli, scrive il già citato Mermet, la musica era per il popolo una seconda lingua, così questi Conservatori divennero 'gabbie di usignoli' e nel corso del XVII secolo si evolveranno progressivamente in scuole musicali".Da sant'Alfonso, "il più napoletano dei santi", avvocato, moralista, confessore, amico dei poveri, è nato dunque quel canto di cui si diceva all'inizio; come pure quell'altro, bellissimo, in cui i Cieli fermano la loro armonia, perché la Madonna canti la sua ninna nanna; e pure quell'altro, così dolce, in dialetto napoletano: "Quanno nascette Ninno...".

    Dichiarata venerabile suor Lucia di Fatima

    Play Episode Listen Later Jul 11, 2023 9:02


    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7461DICHIARATA VENERABILE SUOR LUCIA DI FATIMARiconosciute le virtù eroiche della veggente che visse la sua chiamata alla santità fin da prima delle apparizioni della Madonna nella Cova da Iriadi Ermes DovicoIeri, 22 giugno, dopo aver ricevuto il benestare di papa Francesco, il Dicastero delle Cause dei Santi ha promulgato, tra gli altri, il decreto che riconosce le virtù eroiche di suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato. Questo il nome completo, da carmelitana scalza, di colei che è più semplicemente conosciuta come suor Lucia di Fatima (28 marzo 1907 - 13 febbraio 2005), che da ieri gode quindi del titolo di «venerabile», il gradino che precede l'eventuale beatificazione.Si può leggere come una carezza della Provvidenza il fatto che questo decreto giunga nel mese del Sacro Cuore di Gesù e a pochi giorni dalla collegata memoria liturgica del Cuore Immacolato di Maria. Una devozione, quest'ultima, che Dio ha voluto diffondere particolarmente proprio attraverso la missione affidata a Lucia, come la Madonna stessa rivelò per la prima volta alla più grande dei tre pastorelli di Fatima, quando di anni ne aveva appena dieci, il 13 giugno 1917. Allora la Santa Vergine le disse che lei, a differenza di Francesco e Giacinta che sarebbero presto andati in Cielo, sarebbe rimasta in terra «ancora per un po' di tempo. Gesù vuole servirsi di te per farMi conoscere e amare. Egli vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. A chi l'abbraccerà, prometto la salvezza, e saranno amate da Dio queste anime, come fiori messi da Me a ornare il Suo trono» (cfr. Memorie di suor Lucia, Appendice I, Testo della Grande Promessa del Cuore di Maria, scritto nel 1927).SIGNORE FAMMI SANTAOggi sappiamo che quell'«ancora per un po' di tempo» ha significato, per suor Lucia, tornare alla casa del Padre alla soglia del 98° compleanno. Tant'è che la veggente, già nella sua maturità, ebbe a dire che la Madre celeste l'aveva sempre accontentata in tutto, tranne che nel suo desiderio di raggiungerla presto in Paradiso. Un fatto che ci dice quale nostalgia della patria eterna vivono coloro che sperimentano, già quaggiù, le realtà celesti e che ci esorta a riscoprire il senso soprannaturale della nostra vita in terra, dove siamo chiamati a scegliere Dio, anziché il peccato che ci allontana da Lui. Verità di cui il mondo odierno appare dimentico.Il decreto che riconosce le virtù eroiche di suor Lucia sottolinea il profondo influsso che le apparizioni ebbero sulla vita della nuova venerabile e da cui le derivarono, insieme a grandi gioie e straordinarie grazie celesti, anche «molte delle sue sofferenze». Basti ricordare qui il dolore che provò, fin dall'inizio della mariofania, per non essere creduta dalla propria famiglia, in particolare dalla madre. E non fu l'unico. Eppure suor Lucia, come scrive il Dicastero delle Cause dei Santi, «visse eroicamente la virtù della fede sia nella modalità con cui affrontò il procedimento ecclesiastico e civile relativo alle apparizioni, sia cercando di compiere in tutto la volontà di Dio e di aiutare gli altri a crescere nella fiducia in Lui. La sua lunga vita fu segnata dall'eroica speranza e dal profondo desiderio di "andare in Cielo". Volle offrire la sua vita per amore verso Dio, riparando le offese contro di Lui e crescendo nella pietà eucaristica. Ebbe anche una grande sollecitudine per l'Ordine Carmelitano, i familiari, i malati e i poveri che sosteneva con la preghiera e la penitenza, ma anche attraverso la pratica della carità».Se è chiaro che le apparizioni hanno rappresentato uno spartiacque nella vita di Lucia, è altrettanto chiara una verità poco sottolineata e cioè che in lei, grazie alla fede ricevuta in famiglia, si palesavano i semi di un'eccezionale vocazione alla santità già prima del ciclo angelico del 1915-16 e di quello mariano del 1917. Esemplare, in tal senso, quanto la stessa venerabile racconta nelle prime pagine della seconda delle sue quattro Memorie, tutte e quattro scritte (nel periodo 1935-41) in obbedienza al vescovo di Leiria, monsignor Giuseppe Alves Correia da Silva. Commovente, in particolare, tutta la descrizione dell'attesa e poi del giorno della Prima Comunione, che Lucia ottenne di fare, dietro una sua santa insistenza, già a sei anni. «Mentre il sacerdote scendeva i gradini dell'altare - scriveva Lucia - sembrava che il cuore mi volesse saltar fuori dal petto. Ma appena l'Ostia Divina si posò sulla mia lingua, sentii una serenità e una pace inalterabili, sentii che m'invadeva un'atmosfera così soprannaturale, che la presenza del nostro buon Dio mi diventava così sensibile come se Lo vedessi e sentissi con tutti i sensi del mio corpo. Allora Lo pregai così: "Signore, fammi santa, conserva il mio cuore sempre puro, soltanto per Te"».UNA PROFEZIA NON ANCORA CONCLUSAFin dall'infanzia, come ricorda lo stesso decreto, la sua vita è stata quindi un cammino di costante crescita spirituale, che la portò - dopo il grande ciclo fatimita - a vivere nel silenzio e nella contemplazione le sue esperienze da religiosa, prima tra le Dorotee e poi, dal 1948, nel Carmelo di Coimbra. «Lucia si ritira nel segreto della sua clausura perché la luce del messaggio brilli con intensità», ha scritto il vescovo emerito di Leiria-Fatima, il cardinale Antonio Marto.Dal nascondimento della sua cella, nelle sue giornate divise tra preghiera e lavoro, suor Lucia intrattenne vari scambi epistolari. Famosa è la lettera autografa che inviò nei primi anni Ottanta all'allora semplice sacerdote Carlo Caffarra, poi cardinale, il quale, incaricato da Giovanni Paolo II di fondare e presiedere il Pontificio Istituto di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia, le aveva chiesto preghiere: «Padre, verrà un momento in cui la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e Satana sarà sul matrimonio e sulla famiglia. E coloro che lavoreranno per il bene della famiglia sperimenteranno la persecuzione e la tribolazione. Ma non bisogna aver paura, perché la Madonna gli ha già schiacciato la testa».Quelle parole oggi si stanno rivelando in tutta la loro portata profetica, non solo per gli attacchi da parte del laicismo ma anche per quel che accade all'interno della Chiesa. Proprio la Sposa di Cristo ha l'urgenza di rilanciare il messaggio di Fatima nella sua interezza: la visione dell'Inferno, dove finiscono le anime che rifiutano fino all'ultimo l'amore di Dio; la recita quotidiana del Rosario, da cui passa la fine delle guerre; l'importanza di consacrarsi al Cuore Immacolato di Maria, rifugio sicuro contro gli assalti del diavolo; il fortissimo richiamo alla penitenza; la pratica salvifica della Comunione riparatrice nei primi sabati del mese.Il tutto con all'orizzonte l'annuncio della tremenda persecuzione alla Chiesa, che ancora deve compiersi. Come disse Benedetto XVI il 13 maggio 2010, nel decimo anniversario della beatificazione di Francesco e Giacinta e della rivelazione di quella che è nota come la terza parte del segreto: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa». La Madonna ha già promesso che il suo Cuore Immacolato infine trionferà. Ma il suo trionfo, come ci ricorda tutta la vita di suor Lucia, passa da ogni nostro singolo sì alla volontà divina che Maria è venuta a rivelarci a Fatima.

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